Processo per l’ombra di un asino

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Processo per l'ombra di un asino

di Friedrich Dürrenmatt

Personaggi

Strutione, dentista

Antrace, asinaio

       Crobile, sua moglie

       Filippide, giudice

Milzia, assessore

Fisignato, avvocato di Strutione

Polifono, avvocato di Antrace

Peleia, modista, amata da Mastace

Mastace, fabbricante di elmi, fratello di Tifi

Tifi, capitano di mare

Iride, sua fidanzata

Stròbilo, gran sacerdote, protettore di  Antrace

Telesia, verginella prediletta di Strobilo

Agatirso, sommo sacerdote, protettore di Strutione

Presidente della società protettrice degli animali

Presidente dell’associazione turistica

Direttore della S p. A. marmi

Un agitatore

Ipsiboa, presidente del senato

Mastro Lesina

Tichidide, direttore di una fabbrica d’armi

Primo uomo, emissario del partito delle ombre

Secondo uomo, emissario del partito degli asini

Un pompiere

L’asino

      Il   capitano dei pompieri Piròpile

      Il   sergente Polifemo

      Il   sergente Perseo

      Un mendicante, Un banditore, Una venditrice

    Primo, secondo, terzo, quarto, e quinto giudice

STRUTIONE Sono Strutione, il dentista. E’ da me che ha inizio questa maledetta storia. Mi ah completamente ro­vinato. Completamente dico. Casa, professione, matri­monio, sostanze, tutto. E sì che sono innocente, inno­cente come un bambino!. Ho commesso solo un errore, lo ammetto senz’altro:, ero nato a Megara e ho voluto trasferirmi in questo sozzo paesucolo tracio di Abdera. Come si fa a stabilirsi ad Abera, direte voi. Me lo chie­do anch’io. Abdera è un macello! Diecimila abitanti: meglio non parlarne. Mille case di mattoni, pessimamente costruite: la magior parte, ormai bruciata. Sor­didi vicoletti, nei dintorni nient’altro che paludi con dentro nient’altro che rane: non ne parliamo, mi hanno fatto venire il mal mare, tutte ‘ste rane. Insomma, la più tetra provincia. Di templi ce n’è due. Nel primo si venera Latona, una dea che un tempo trasformò i contadini in rane , nel secondo Giasone, un semidio di mezza tacca, eh si dice abbia ucciso due possenti to­ri: anche questo è tipico. Ed è qui che io faccio il den­tista! Ma non voglio più parlarne. Voglio raccontarvi, invece, come una bella mattina — fu l’estate scorsa —venni chiamato d’urgenza a Gerania, a tre giorni di viaggio qui. Il direttore della locale società impor­tatrice di schiavi aveva male al dente del giudizio, quel­lo in sinistra. Da allora maledico tutti i denti del giudizio. Mi misi dunque in viaggio. Prima di par­tire non avevo mangiato che un po’ di tacchino freddo e un uovo. Avevo bevuto anche un bicchiere di vino rosso, lo ammetto. La mia asina, che usavo le altre vol­te, aveva partorito la sera prima. Perciò la mattina precedente me nevado sulla pizza del mercato, che brulica cme sempre di accattoni, banditori e venditori, cerco un asinaio che mi noleggi la sua bestia.

Si sentono i suoi passi.

MENDICANTE Un’elemosina, signor Strutione, fatemi una piccola elemosina!

VENDITRICE Prugne, prugne fresche, le prime della sta­gione

VENDITORE Gli ateniesi sbarcano in Sicilia! Colpo di sce­na nella guerra del Peloponneso!

ANTRACE Come giunsi in piazza de mercato, vidi venir­mi incontro il dentista Strutione o, dovete sapere, so­no Antrace, l’asinaio. C’è gente , oggi, che mi rimprovera di aver causato l’incendio.  Che idiozia! Proprio un patriota come me, che ha sempre detto: Abdera e la Tracia al di sopra di tutto? Naturalmente non mi riu­scì simpatico, quel cavadenti, quando me lo  vidi venire incontro attraverso la piazza del mercato, simile a una botte ambulante. Non e’ da stupirsi, del resto: è nati­vo di Megara, dove hanno la specialità dei piedi piatti. Avete mai incontrato un megarese simpatico? E allora! Neanch’io. E poi puzzava di vino, e non solo di un bic­chiere, ma di una bottiglia sana, l’ho subito capito dal suo alito. Che impressione possa fare a un proletariò co­me me, che per tutto l’anno non mangia altro che pappa di miglio condita con l’aglio, lo lascio immaginare a voi. Per di più, il nostro caro dentista greco non è mai stato visto in un tempio, è un ateo integrale; dicono persino che a casa a tenga una vasca da bagno, razza di pa­gano!

STRUTIONE Noleggio dunque un asino dall’asinaio An­trace per raggiungere Popopoli, la prima stazione sulla strada di Gerania. Mica male, quell’asino, devo dire, abbastanza curato e ben strigliato. Gli monto dunque in groppa e l’asinaio appresso. Passiamo attraverso i vi­ciletti lerci di Abdera, davanti al municipio, davanti al teatro, davanti alla palestra sportiva, attraversiamo la Porta Inferiore, usciamo dalla Porta Superiore, ed eccoci già in mezzo alle paludi.

Si  sente il gracidare delle rane, gli zoccoli dell’asino, il passo di Antrace.

ANTRACE Eccomi che trotto accanto a questi due: accan­to all’asino e al dentista che siede sull’asino. Io, co­me sempre, vado a piedi. Le rane sacre gracidano, come sempre. Io m’inchino, verso oriente e verso occidente, verso nord e verso sud.  Il dentista non si muove. Pro­prio un ateo, un pagano! Abbandoniamo le paludi sacre e raggiungiamo la grande pianura.

STRUTIONE (gemendo) Maledizione! che caldo insoppor­tabile! La pianura tra Abdera e Gerania è famosa, per questo. Il popolo, infatti, la chiama anche la pianura dell’insolazione. E io cavalco cavalco, cavalco. Ogni tanto l’asino si ferma, poi riprende, poi si ferma di nuo­vo: e dietro l’asinaio, che puzza d’aglio. Io cavalco. Il sole continua a salire. Io cavalco. Un’ora. Non un. albero, non un cespuglio, niente, solo pianura, solo erba secca e grilli, sciami di grilli. Una pianura simile non si ‘può trovare che in Tracia. Ho la testa che mi gira; il sole è una ruota che sprizza a scintille sull’asino e su me. Alla fine ne ho abbastanza. Scendo dall’asino e mi siedo alla sua ombra. Allora quel bel tomo dell’asino comincia a sgranarmi in faccia tanto d’occhi, e ciò che segue non l’avrei mai creduto possibile. Non posso credere ai miei orecchi.

ANTRACE Ehi signore, che fate? Che significa, questo?

STRUTIONE a te che te ne importa? Mi siedo un po’ al­l’ombra i tuo asino. Il sole brucia da farmi svenire.

ANTRACE Eh no, mio caro signore, i nostri patti non era­no questi! Io vi ho noleggiato il mio asino, ma dell’om­bra non si è fatta parola.

STRUTIONE Ehi, dico, sei matto? L’ombra fa parte del­l’asino, è chiaro. Io ho noleggiato l’uno e l’altra, quan­do ho noleggiato l’asino.

ANTRACE Per le rane sacre! Non è chiaro un corno. Una cosa è l’asino e un ‘altra cosa è l’ombra. Voi avete noleg­giato il mio asino per dieci monete di rame. Se voi volete noleggiare anche l’ombra, dovevate dirlo. Insomma, caro signore, alzatevi e proseguite il vostro viaggio, op­pure pagatemi per l’ombra quello che è giusto.

STRUTIONE Che cosa? Io ho pagato per l’asino e adesso dovrei pagare anche per l’ombra? Chiamami tre volte asino, se lo farò! L’asino è mio per tutta questa giorna­ta e io voglio sedermi alla sua ombra ogni volta che mi farà comodo e starci seduto finché mi farà comodo, puoi giurarlo!

ANTRACE  Davvero la pensate e si?

STRUTIONE Assolutamente.

ANTRACE Allora favorite tornare subito con me ad Abde­ra: sentiremo i giudici. Voglio un po’ vedere chi di noi due avrà ragione. Che le rane sacre siano propizie a me ed al mio asino, voglio  un po’ vedere chi riuscirà a disporre dell’ombra del mio somaro contro la mia volontà!

i

STRUTIONE Che potevo fare? E’  per questo, dunque, che mi sono trasferito da Megara ad Abdera! Cose che succedono solo in Tracia! A tutta prima ebbi una gran voglia di bastonarlo di santa ragione, quel maledetto  asi­naio, ma  lo guardai un po’ meglio: alto un metro e novanta largo il doppio del suo asino. Sicché non mi  restò altro che rinunciare al dente del giudizio e tornarmene ad Abdera  dal giudice Filippide.

FILIPPIDE E va bene. Quei due, dunque, si presentarono a me, il giudice Filippide. Me ne stavo seduto al palazzo di giustizia, verso le undici, e te li sento gridare già  da lontano

STRUTIONE Truffatore! Mi fai perdere la clientela!

ANTRACE Sfruttatore! Volete spogliare un poveretto fino all’osso!

FILIPPIDE Be’, penso io, gridate pure, i giudici stanno lì per questo. E’ da vent’anni che faccio il magistrato. Bè penso, entrino pure quei due; se non ronza intorno qualche avvocato li metterò d’amore e d’accordo. Io,  sapete, sono sempre per la pace. Il mio mestiere è proprio quello di mettere pace. Tutti quelli che ho sentito gridate cosi mi è parso che avessero ragione. Se viene da me un ricco trascinando un ladro, io ascolto prima il ricco. Naturalmente ha ragione il rico: quello che è  nostro è nostro. Non si deve rubare. Poi ascolto il ladro. Be’ penso, ha ragione anche lui, perché non si deve morire di fame. L’uomo ha bisogno di pane. Cosi c’è una ragio­ne del ricco e una ragione del povero. Dovrei prendere partito? Ecco perché sono per la pace: affinché ciascu­no abbia la sua parte di ragione. Sono io che lo dico, il giudice di Abdera. Tutti devono vivere in pace .Senza pace non si va avanti.Be’ penso, ecco qui i due urloni che arrivano. Si tratta del dentista STRUTIONE e dell’asinaio ANTRACE, li conosco entrambi. A Abdera, si conoscono tutti. Guardo prima il dentista e poi l’asinaio, poi di nuovo l’asinaio, poi ancora una volta il dentista. Chi di voi due è il querelante? Chiedo.

STRUTIONE Sporgo denuncia contro l’asinaio per aver Violato il nostro contratto.

ANNTRACE  E io contro il dentista per essersi voluto appro­priare di un’ombra che non ha noleggiato.

FILIPPIDE Abbiamo dunque due querelanti. E il quere­lato dov’è? Strano caso. Be’, raccontatemi il fatto con tutti i particolari, ma uno per volta: è impossibile che mi raccapezzi se strillate tutti e due insieme.

STRUTIONE Illustrissimo signor giudice! Io, il dentista Struttone, ho noleggiato da questo asinaio l’uso del suo animale per una giornata. È verissimo, non.c’è stato  nessun accordo circa l’ombra dell’asino. Ma chi ha mai sentito dire che in un contratto di nolo come questo si sia aggiunta una clausola relativa a un’ombra? Non è mica il primo asino,  che si sia noleggiato ad Abdera.

FILIPPIDE    In questo ha ragione il dentista.

STRUTIONE L’asino e la sua ombra fanno tutt’uno, signor giudice, e perché dunque chi ha noleggiato l’asino non dovrebbe aver diritto anche alla sua ombra?

FILIPPIDE Giusto. E tu, asinaio, che cos’hai da osser­vare?

ANTRACE Egregio signore, io non sono. che un povero uomo, ma a lume di naso posso dire che non ho il dovere di lasciare il mio asino al sole perché un altro ,gratis, possa sedersi alla sua ombra. Io  ho dato a nolo a questo signore la mia bestia e lui mi ha anticipato metà della somma, lo riconosco. Ma una cosa è l’asino e un’altra è la sua ombra.

FIPPIDE Giusto anche questo.

ANTRACE Se dunque vuole l’ombra, mi paghi metà di quel che paga per l’asino perché io non pretendo che quel che mi spetta, e perciò vi prego di rendermi giu­stizia.

FILIPPIDE La miglior cosa che possiate fare è di mettervi d’accordo. Voi, onesto Antrace, fate conto di aver noleggiato anche l’ombra, poiché  solo di un’ ombra, in fondo, si tratta; e voi, signor Strutione dategli in compen­so tre monete di rame, così  ambo le parti potranno dichiararsi soddisfatte. La pace è sempre la migliore cosa.

STRUTIONE Neanche una moneta, gli darò a codesto pidocchioso! Voglio quel che mi viene di diritto!

ANTRACE E io lo stesso!

FILIPPIDE  Bè, penso, eccoli che tornano a strillare, e io li lascio strillare, non bisogna mai immischiarsi in faccende che si risolveranno da sé. Mi asciugo il sudore,  quelli strillano sempre, mi soffio il naso e quelli avanti a strillare. Poi, di colpo, chiudono il becco, tutti e due insieme. Silenzio di morte. Dov’è quell’asino? chiedo.

ANTRACE  in strada, davanti alla porta, signor giudice.

FILIPPIDE Me lo faccio portare dentro. Ed ecco l’asino che arriva, un bestio grigio, triste; greve, si ferma, drizza le orecchie, raglia, guarda prima l’asinaio, poi il dentista, poi me, scuote la testa, la lascia penzolare, ras­segnato. Be’, penso, ti capisco bene, la stupidità uma­na è roba a piangere. L’asinaio attacca a strillare di nuovo.

ANTRACE Vedete voi stesso, signor giudice, se l’ombra di un l’asinone come questo non vale  a dir poco  le sue cinque monete di rame, tanto più in una giornata calda come oggi.

FILIPPIDE Tu sostieni dunque che ti spettano cinquemonete di rame per l’ombra del tuo asino?

ANTRACE Per le rane sacre, su questo non ammetto di­scussioni! Poche storie!

FILIPPIDE E va bene, asinaio. Allora fisseremo il giorno dell’udienza. Usciere, porta l’asino in cottile. Finché la corte non avrà emesso la sentenza resterà sotto la cu­stodia del tribunale.

ANTRACE  Signor giudice, questo non potete farlo!

FILIPPIDE Non c’è altro modo:La giustizia è severa. L’a­sino è l’oggètto di un processo e deve restar qui.

ANTRACE Ma è quell’asino che mi dà da vivere!

FILIPPIDE Lo vedi, asinaio? Ecco quel che succede quan­do non si vuoe la pace, e si che la pace è la cosa più importante. Se poniamo c’è una guerra contro i macedoni, ecco che ti viene ugualmente impedito di fare il tuo mestiere: devi consegnare il tuo somaro all’esercito, se vuoi fare un processo, devi consegnarlo al tribuna1e. Sei disposto a cedere, ora? Bè, dentista Sturione, pagate quattro monete di rame all’asinaio per dimostrare la vostra buona volontà, e tu, asinaio Antrace accettale. Poi ripigliate ai più presto il vostro viaggio a Gerania se no quel poveretto muore di mal di denti.

STRURIONE Non saprei.

ANTRACE Mah, signor giudice.

FILIPPIDE Bè, penso, tra poco ci siamo, e insisto, cerco di persuaderli, porto loro una buona ragione dopo l’altra, già stanno per cedere, si grattano dietro le orec­chie… quand’ecco che purtroppo, ti arrivano i due avvocati Fisignato e Polifono, simili a due avvoltoi coi loro mantelli gialli e i loro lunghi  colli.

FISIGNATO Avete sentito? Quand’ecco che purtroppo ti arrivano gli avvocati Fisignato e Polifono: ecco la pa­rola che si ritiene necessario usare. Be’, non che io vo­glia difendere il mio collega Polifono, non capirò mai come un membro del collegio degli avvocati di Abdera possa patrocinare la causa dell’asinaio — non lo capirò mai, ripeto — ma assumere la difesa del dentista Strurione mi pare che sia il mio sacrosanto dovere. A cosa mirava, in. fondo, questo processo, che ora è terminato in modo così tragico? Mirava a una giusta sentenza, ecco tutto! Mi si rimprovera di aver man­dato avanti la lite per avidità di danaro. Ma si tratta forse di danaro, quando è in ballo la giustizia stessa? No, questo processo è diretto  contro l’eterna arro­ganza che tenta continuamente di eludere il diritto, cercando d’instaurare, per i suoi loschi fini, uno stato di carenza giuridica.

POLIFONO In questo processo  -in ciò ha ragione Fisgnato- era in ballo la giustizia stessa. Ma a questo pun­to io, Polifono, devo domandare: Che ‘cos’è il diritto? Oh certo, Fisignato ha studiato ad Atene,a Siracusa, a Micene, ed io soltanto a Pella, lo ammetto, ma tuttavia: il diritto, più che una scienza, non è forse un sentimen­to? Lo so, mi sono stati attribuiti i moventi più disparati, per trascinare nel fango l’assistenza da me data all’asinaio Antrace. Un noto pubblicista ha scritto persino che avevo gettato l’occhio sull’asino stesso, che mi era sembrato un animale bello e ben pasciuto. Una volgare calunnia. Perché qual’è, invece, il vero, autentico motivo del mio modo di agire? Nient’altro che il fatto che dal popolo stesso, dal suo seno, dalla bocca di uno dei suoi più umili rappresentanti è uscito un nuovo princi­pio giuridico, sorgendo per casi dire dalla miseria, dal­l’infelicità, dalla sporcizia. Un nuovo principio giuridi­co, dico: e perché, infatti, la massa dei nullatenenti non dovrebbe aver diritto alla propria ombra? Non dobbia­mo forse cercare, liberi da pregiudizi, di accogliere que­sta voce per quello che è, cioè per la voce dello stesso diritto? E perciò conforme ad volelre dello stesso giudice Filippine, lasciai che l’asino restasse incustodito presso il palazzo di giustizia e uscii con Antrace sulla piazza del mercato, sotto il sole ancor sempre cocente.

VENDITRICE Albicocche, albicocche fresche, le prime del­la stagione!

VENDITORE Gli ateniesi accusano il loro ammiraglio Alcibiade  Novità sensazionale nel guerra del Pelopon­neso!

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­POLIFONO  Su con la vita, asinaio Antrace!Il tuo somaro è sotto custodia, ma tutto sommato questo processo ti  farà guadagnare dodici dracme.

ANTRACE Dodici dracme? Per le rane, signor  Polifono, dodici dracme! Mi prende un colpo!

POLFONO  Dodici dracme.

ANTRACE Dodici dracme. Con dodici dracme posso com­prarmi tre asini nuovi. Di buona razza.  Diventerò il primo e il più rapido asinaio di Abdera.

POLIFONO Non sarà facile vincere il processo, asinaio Antrace. Devi rendertene conto. La cosa non dipende solo da me. ‘mporta, soprattutto che tu conduca una vita onesta e irreprensibile. Gli occhi della città. adesso, sono puntati su di te. Si dice, ad esempio, che di tanto in tanto ti ubriachi!

ANTRACE Ma signor Polifono

POLIFONO Ieri ti ho visto barcollare in via Giacone ap­pena uscito dalla taverna di Leonida.

ANTRACE  Un liquorino  di prugne, caro signore, di tanto in tanto un liquorino di prugne.

POLIFONO   E’ una cosa che deve finire. Astinenza assoluta. E devi anche smetterla di bastonare tua moglie. Cosi potremo tirare dalla nostra la Lega femminile.

ANTRACE Ma caro signor Polifono…

POLIFONO Non c’è ma che tenga. Niente obiezioni. Ora si tratta di suscitare la fede nel popolo. E il popolo sei tu. L’ombra di un asino non basta: chi se ne cura?

ANTRACE Ma io sono uno solo, signor Polifono, e il po­polo è tutta una massa.

PÒLIFONO Tu sei quello che conta. Anche un generale non è tutta l’armata, ma è l’uomo più importante. Sen­za di lui la guerra è già perduta. Tu, adesso, sei co­me un gènerale, asinaio Antrace, un generale della vir­tù, un generale del matrimonio esemplare, un generale dell’astinenza.  Il mio onorario è di quattro dracme, se­condo le tariffe del reale collegio degli avvocati.  Onorario per meno abbienti. Dovrai pagarmelo entro i pros­simi tre giorni.

ANTRACE Quattro dracme, signor Polifono?Per le rane! Ma allora posso comprarmi solo due asini!

POLIFONO  Considera che in tutto guadagnerai dodici dracme. In fatto di onorari, purtroppo, non posso fare ecce­zioni devo attenermi strettamente ai nostri statuti. Coraggio, Antrace. Ora devo svoltare nel vicolo di Apolo atteso dal possidente Panfo.

FISIGNATO  Frattanto, mentre il mio collega Polifono, traversa piazza del mercato con l’asinaio Antrace,  io prendo per via Democrito in compagnia del dentista Strurione, dirigendomi verso il quartiere dei villini. Fa davvero un caldo terribile così camminiamo dalla par­te dell’ombra. Bè, dico, signo Sturione, non guadagnerete niente da questo processo: quattro dracme in tutto

STRUTIONE            Per me è una questione di principio, signor Fisignato. Quant’è il vostro onorario?

FISIGNATO Quaranta dracme. Secondo le tariffe del no­stro collegio degli avvocati per i clienti che fanno parte della prima categoria fiscale, signor Struttone. Entro i prossimi tre giorni mi dovete un anticipo di venti dracme.

STRUTIONE Hm. Mi viene a costar caro, questo viaggi Gerania.  Ma voi avrete il vostro onorario e anche l’anticipo, signor Fisignato. Nessun sacrificio è troppo alto quando sono in ballo i principi. Io sono uno scienziato e, come mi diceva un tempo il mio maestro Pitagora.

ANTRACE Sicché questo lercio ‘cavadenti si definisce uno scienziato. Bello scienziato, che non crede neanche alle rane: e si che tutti possono sentirle. Se ne sparisca pure nel suo quartiere dei villini, io per me svolto in via Giasone.  Dodici dracme meno quattro dracme fanno otto dracme, cioè due asini! Un buon affare, un bell’affarino. Ecco là Leonida davanti alla porta della sua taverna.. Andiamoci a bere un liquorino di prugne, chi è che mi vede? No, non cedere,  Antrace! Non entrare in quel­la bettola, non guardarla neanche. Niente bettola, niente bettola, guadagnare otto dracme, far buona impressione, atteggiamento serio, non schioccare la- lingua.  Non sei forse un generale in capo della virtù? … Ecco la mia cantina. Ci risiamo, l’ingreso mezzo coperto da biancheria bagnata. Dominati…  Antrace! ecco tua moglie. Niente botte, falle un bel sorriso, d’ora in poi si vivrà un matrimonio esemplare, faremo vedere i sorci verdi.  Pensa alle otto dracme, ai due somari di razza macedone. Ti saluto mille volte, Crobile, moglie mia.

CROBILE La pappa di miglio è pronta, e anche l’aglio. Dov’è il tuo asino?

ANTRACE L’ho lasciato in custodia, moglie mia, Tra poco non chiederai più: dov’è il tuo asino, ma dove seno i tuoi tre asini, quello di prima e i due macedoni? Sto per concludere un affare, moglie mia: Otto dracme.

CROBILE Otto dracme?

ANTRACE Ti stupisci, eh, vecchia mia?

CROBILE Ma tu sei ubriaco!

ANTRACENo, non sono ubriaco, e nemmeno ti bastono. Sono diventato virtuoso, mia cara, perché adesso io so­no il popolo. To’, un bel bacio sulla tua guancia, diletta strega! E adesso fuori i letti e i mobili: sono di ciliegio e dobbiamo portarli al monte dei pegni.

CROBILE Eh?

ANTRACE Che cosa eh?  Quattro dracme di onorario per l’avvocato Polifono mia cara peste d’una mo­glie! Io ne guadagno otto, lui quattro: sommali insie­me, fanno dodici dracme. E per che cosa, vecchia mia? Non lo immagineresti in mille anni. Per uno straccio d’ombra del mio bravo asino!

CROBILE Per gli dèi santissimi! Mio marito è diventato matto.

ANTRACE  E’ il dentista che è diventato matto, moglie: lui che ha voluto sedersi all’ombra del mio asino senza pagare un soldo. Col sole che c’era. Sono forse questi si­stemi che si usano a Abdera? Non con me, non con me, il popolo! E adesso c’è un processo da impaurire gli stessi dèi. Fuori i letti! Siamo d’estate, e possiamo dor­mire benissimo su1 pavimento.

CROBILE     Eccomi qua, poveretta che sono: Crobile, figlia del calzolaio Anomalo e della levatrice Ebe; me ne sto davanti a una pentola piena di pappa di miglio e ascolto la sciagurata storia che mi racconta mio marito, l’asi­naio Antrace, figlio dello schiavo Idro e della vaccara Persefone. Ed è un uomo simile che ho acconsentito a sposare! Quando il pugile professionista Ceto mi aveva già presa in simpatia!... Ecco qua, ti vende i nostri mobili ed i nostri letti e lascia al palazzo di giustizia il suo somaro che è l’unica sua fonte di guadagno. Un asinaio che fa causa a un dentista. Rovinato in partenza. L’av­vocato non basta. Un asinaio resta un asinaio, e non c’è barba di avvocato che possa farci niente, io so come va il mondo. E anche la virtù non risolve niente: la co­nosco, io, la virtù. Non dura mai a lungo, quando non si hanno i quattrini. Né io né Antrace riusciremo a conservarla. Bisogna interessare alla faccenda qualco­sa di più alto, qualcosa di spirituale, un bel pezzo di religione,ad esempio, un sacerdote, to’, il nostro rione non dipende forse dal tempio di Latina? Si faccia dun­que sotto, Latona, con tutte le sue rane. Io me ne inten­do, di sacerdoti, mia madre era quasi sposata con uno di loro. Più in alto ricorri, meglio riesci. Marito mio, dico Antrace, dobbiamo ottenere l’interessamento per­sonale del gran sacerdote Strobilo, sennò i tuoi asini re­stano dove sono adesso: nel tuo cervello.

ANTRACE Sei matta, Crobile, e come credi di arrivarci? Nessun grande sacerdote si è mai interessato ai guai di un asinaio.

CROBILE  E’ semplicissimo: la mia amica  Peleia, quella che fa la modista, conosce un fabbro di elmi di no­me Mastace, che vuole sposarla, ma lei non vuole per via dell’oste Colone, che insiste tanto per sposarla lui, ora ch’è rimasto vedovo. Ora, Mastace ha un fratello, che fa il capitano di mare ed è fidanzato con Iride, la conosci, no?, quella biondona grassa.

ANTRACE Non me ne frega niente, di Iride.

CROBILE Testone! Ma se è la cuoca della danzatrice Teleria

­ANTRACE Che diavolo c’entra la danzatrice Telesia col mio processo?

CROBILE Ma di’, sei proprio scemo? Non lo sai che la danzatrice Telesia si reca spesso, di notte, in casa del gran sacerdote Strobilo per eseguirgli dei balletti? Se lo sanno anche i bambini!

ANTRACE Non offendere il gran sacerdote delle rane. Sap­pi, donna, che è un santo! Non pérmetto che si tocchi la religione, io sono un uomo pio!

CROBILE Certo che è un santo! _Ma anche i santi sono uo­mini, no? E poi Teleria non gli esegue nemmeno dei balletti, gli fa solo le statue viventi, imitando le scul­ture di Artemide e di Afrodite che si vedono nei templi.

ANTRACE Be’, allora è un’altra cosa. Sono più che altro studi naturalistici o roba del genere. Ma dove vuoi an­dare a parare?

CROBIlLE Senti bene, una cosa da niente. Io parlo alla modista, quella ai suo fabbro di elmi, quello a suo fratello,  quello a Iride, quella alla danzatrice e quella al gran sacerdote. Dobbiamo farlo, Antrace: io conosco la moglie del den­tista Strutione, sono andata a lavare in casa sua, una volta, quella è una donna che andrà a visitare tutti i giudici, e tu ci andrai di mezzo, se non prendiamo le no­stre precauzioni. Il gran sacerdote è l’uomo che ci vuo­le. Vedrai che ti farà avere le tue otto dracme, io la co­nosco la religione, non viviamo forse nella circoscrizione del tempio di Latona?

ÀNTRACE Otto dracme! Di’, vecchia mia, se riuscissimo à farcela?

CROBILE  E’stata dura. Ma finalmente mio marito è convinto. Io do via i letti e i mobili, e il sabato sera vado dalla modista Peleia. Abita nel quartiere della rocca,          sopra la bettola di Colone. Davanti alle porte di casa non si vedono che donne intente a spazzare. Gli uomini sono all’osteria, come sempre. La porta dell’abita­zione di Peleia è aperta, io entro. La modista mi abbraccia. Siediti,  mi dice. Peleia, dico io, chi vuoi dunque sposare: Mastace o quel pancione dell’oste qui sotto?

PELEIA   Non so, Crobile. Non lo so proprio, sono così ter­ribilmente indecisa!    

CROBILE Sposa Mastace. Colone ha già seppellito la quin­ta moglie. Tutto il giorno chiusa nello spaccio e ogni giorno un sacco di legnate: ecco il destino di tutte e cin­que.

PELEIA    Anche Mastace bastona.

CROBILE Si sa, tutti i mariti lo fanno, se non sono malati. Soltanto le mogli ricche non vengono bastonate perché c e scritto nel loro contratto nuziale. Ma le botte di Ma­stace sono molto più progressiste di quelle di Colone. Non te le suona che due volte la settimana. E’ un enorme progresso, ti dico; è già quasi un segno di civiltà.

PELEIA Credi? Io pensavo che civiltà fosse il nome di un’acconciatura che si usa adesso in Grecia.

CROBILE  Anche mio marito non è cattivo, ma un vero conservatore! ... Ogni due giorni un carico di legnate e il terzo giorno di ogni mese ti bastona due volte, usanze ormai di cent’anni fa. Pare che serva a far crescere bene il bestiame, e noi, lo sai, abbiamo bisogno di un asino. Ma adesso, di colpo, è cambiato.. Da lunedì non mi tocca più neanche con un dito. E’ vero che è sparito anche l’asino. Ma Antrace adesso, si batte per la virtù. Ha un pro­cesso in corso contro il dentista Struttone.

PELEIA        E così, con mia grande sorpresa vengo a conoscere  io, la modista Peleia — questa stranissima storia dell’asino e della sua ombra. Non la capisco. Non ci arrivo. Ma se da un giorno all’altro Crobile non prende più bot­te, vuoi dire che i dev’essere dentro qualcosa di morale. Lei adesso, naturalmente, vuole che ne parli a Mastace, per via di suo fratello. Credo proprio che finirò per sposare Mastace, Crobile ha ragione. Ora, poi, c’è caso che abbia quella grossa ordinazione. Aspetto dun­que fino a domenica. Ed eccola. La domenica cioè. Una domenica come tutte le altre che si passano qui da noi. La mattina si va ad Abdera a sentire la predica. I ricchi nel tempio di Giasone, da Agattirso; i poveri in prevalenza da Strobilo, nel tempio di Latona. Gli è che Stro­bio racconta delle storie molto più interessanti sugli dèi e sulle rane, e certe volte tempesta persino i ricchi. E’ una cosa che ti fa bene al cuore. Poi si mangia un arro­sto. Nel pomeriggio, verso le due, senti il passo di Ma­stace che monta le scale.

-        Passi che vengono su per le scale. Poi qualcuno che bus­sa alla porta.

MASTACE    Ehi, Peleia , apri, sono io, Mastace, il fabbro­di elmi, puntuale come sempre alle due della do­menica.

PELEIA   Entra, Mastàce!

MASTACE    Di’ un po’, bellezza, mi vuoi sposare? Ho avu­to quell’ordinazione. Duemila elmetti per una tribù di barbari al di là del Danubio. Goti, si chiamano. Davan­ti, sull’elmo, devo mettere un’aquila, a sinistra  una dea con una spiga, a destra un dio con un martello, dietro una montagna sulla quale si inerpica un camoscio, e in alto due autentiche corna bovine, tutto col massimo naturalismo. Viene o più caro degli elmetti greci, così stilizzati, e la misura della testa è di tre numeri più grande : un elmo gotico di questi ti pesa sulle ventiquat­tro libbre. Un affarone, diventerò ricco, o almeno farò arte del ceto medio superiore. I goti hanno promesso di raccomandarmi tutta la loro razza, che pare sia molto più numerosa della greca o della tracia.

PELEIA Prometti anche di non bastonarmi?

MASTACE    Io? Bastonarti? Ma io non potrei far male a una mosca, col mestiere pacifico che faccio! No, Peleia, mai! E se anche, una volta, dovessi metterti le mani addosso in preda. all’ira, vedrai: le mie botte non si possono nemmeno chiamare botte.

PELEIA Oggigiorno non si bastona più. Ci si è moderniz­zati. Nemmeno l’asinaio Antrace picchia sua moglie.

MASTACE   Chi? Antrace l’asinaio? Ma se la picchia ogni giorno, che lo sente tutta via Giasone

PELEIA Adesso non più, da lunedì scorso, da quando gli è capitata la faccenda dell’ombra dell’asino e del den­tista.

MASTACE E Peleia comincia a raccontare. Roba da matti questa storia di Antrace. Che sciocco se non ricorre subito al gran sacerdote, quello il processo l’ha già perdu­to. Quanto al dentista, vada pure in malora. Mezza dracma ha osato chiedermi, per un molare già mezzo staccato. Che cosa dice, Peleia quel diavolo d’una ragazza? Che mi sposerà se parlo a mio fratello, il capitano? Mia  certo che gli parlo! Daremo un aiuto ad Antrace e ci sposeremo Peleia. E adesso coraggio, scendiamo al por­to. Mi dicono che è attraccato di nuovo mio fratello Tifi col suo veliero traballante. Si sa,  è già seduto all’osteria, ubriaco fradicio, lo sento già berciare le sue canzoni.

    Si sente cantare Tifi.

TIFI      Folli pel buio e per le libagioni, tutti

            quanti inzuppati e infradiciati,

            da un’algida nottata raggelati,

            su nella coffa, smorti di visioni,

            infermi, nudi e tostati dal sole,

          (che d’inverno è per lòr cosa gradita)

            pieni di fame e febbre, in agonia,

            cantano a piene gole:

            O cielo, azzurra magia

             vento, gonfia le vele...

MASTACE Ehilà,  fratello capitano, ehilà!

TIFI (fortemente ubriaco)  Perché disturbi il mo salmo? Chiudi il becco,  fratello di terraferma, sto cantando il gran corale dei pirati:

            Ammassano gioielli, ammassan seta

             e oro in quell putrida barcaccia!

            Gli balla lo stomaco e li allieta

            la rubata vernaccia...

MASTACE     Smettila di cantare fratello Tifi! Devo dirti. qualcosa che riguarda Iride.

TIFI     Iride? E chi sarebbe? Mai sentita nominare.

MASTACE Ma se è la tua fidanzata!

TIFI    Sciocchezze. La mia fidanzata è Clodia, di Anfipoli. Vuoi che non sappia chi sia la mia fidanzata?

MASTACE Ma che mi racconti? Tre mesi fa ti sei fidan­zato con Iride sai bene, quella biondona grassa, l’ultima volta che sei stato qui.

TIFI    Si, adesso mi ricordo. Ma non era bruna e magra?

MASTACE Bionda, Tifi, bionda,e grassa. Te lo giuro.

TIFI    Ma guarda. Bionda e grassa. Strano. Si vede che la confondo, fisicamente, con la Febe di Rodi.   Be’, si vede che quella, invece, è bruna e magra. E che cosa vuole, questa fidanzata?

MASTACE  Non vai a farle visita?

TIFI Certo che ci vado. E’ naturale, no?

MASTACE   E allora raccontale la storia dell’asinaio Antrace e del dentista Strobilo. Lo sai, no, Iride lavora pres­so la danzatrice Teleria

TIFI     E mio fratello, bevendo con me tre ponce ben carichi, mi racconta la storia dell’asinaio. Io lo sto a sentire. Lo guardo in faccia. Sputo, Mi soffio il naso. Taccio. Lui mi chiede se pregherò Iride di raccontare questa storia alla danzatrice Telesia. Io faccio di si col capo. Poi mi soffio di nuovo il naso. E sotto il naso ci passo una mano Mio fratello se ne va. Addio per sempre, fratello Mastace! Non mi piaci più, sai? Non ha neanche bevuto da uomo. Abdera non è proprio il posto adatto per un capitano di mare. Niente mi piace, in questa città, e la storia dell’asino è talmente stupida. Roba che succede solo in terraferma. Che m’importano, a me, i dentisti? Un bel nulla. -E Iride?  Altrettanto. Sarebbe dunque bionda, grassa. Non è il mio tipo. Fidanzata con me? Può darsi. Come si fa a tener conto di tutto?

      Non campi di frumento verdi prati,

      nessuna bettola coi sonatori,

      né balli né donnette né liquori

       né carte li trattennero, i pirati!

Ehi, oste, quanto ti devo per questa bottiglia di acqua­vite? Ah, erano tre. E va. bene. To’, una moneta d’oro spagnola, comprati una carta del Mar Nero. Ciao, Ab­dera! ... Come giungo a bordo, traballo un poco. Non fa niente. Sul ponte di comando ci arrivo, se uso mani e piedi. Eccomi qui come una bandiera al vento. Su, entriamo nell’azzurro dei mari, nella schiuma delle on­de, nel rosso dei coralli, nel vuoto del cielo stellato! La lontananza m’ingoia come un’avida gola! Olà! Spiegate 1e vele, ci aspettano altre rive, altre fidanzate

IRIDE  Tifi! Capitano Tifi!

TIFI Naufragio e dannazione! Chi si arrampica sul mio ponte di comando? Proprio adesso che sto per far vela per l’Adria? Una donna, bionda, grassa! L’ho già vista, da qualche parte. Mi viene un sospetto! Speriamo che sia solo un delirio. Ma non è un delirio, è una fidanzata. Che Nettuno mi trafigga col suo tridente! Deve essere Iride, non sono fuggito abbastanza in fretta. Coraggio, capitano Tifi, coraggio, ne hai già vinte delle più grasse, là in Abissinia.

IRIDE Come, Tifi! Sei ad Abdera e non vieni a trovarmi?

TIFI Iride! Ma guarda, la mia Iride! Certo che vengo a trovare la mia fidanzata! Stavo appunto venendo. Vole­vo solo mettermi l’uniforme della domenica. Ho scaricato dell’olio di fegato di merluzzo preso su a Tule,  e  allora puzzo un pochino.

IRIDE    E’ tutta la sera che aspetto. Non siamo forse fidan­zati?

TIFI Eccome! Fidanzatissimi! Un fidanzamento con un marinaio vale come due matrimoni.

IRIDE    Oh Tifi, come sono contenta di riaverti! Non ho fatto che pensare a te. Oggi ho persino infilato la tunica a rovescio, alla mia padrona, tanto pensavo a te. Tifuccio mio! Guarda come la luna splende sul golfo. Sembra d’argento.

TIFI     Si direbbe una moneta d’argento persiana. Per una di quelle, a Sanno, ti danno un barilotto intero di liquore d’albicocche.

IRIDE    E le stelle scompaiono. nel suo latteo fulgore. O Tifi! Migliaia di faville sono disseminate sul mare, van­no su e giù.

TIFI Domani tirerà vento di nord-est. Ma adesso devi scusarmi.  devo andar via.

IRIDE Andar via?

TIFI Purtroppo. Un incarico urgente. Ma torno subito. Attraverso solo il golfo sino a Xantia.

IRIDE  Hai detto così anche la volta scorsa e poi non sei più tornato.

TIFI Davvero? Ah si, ora ricordo: volevo tornare, ma mi sono ubriacato come una scimmia in casa del conso­le babilonese. Ma non succederà più. Sono diventato un uomo serio. Non ci vuol niente, del resto, con una fidanzata come te. E poi il console è stato trasferito, e inoltre devo andare a prendere un carico di cammelli per il porto di Anfipoli . Il governo di Pella ne ha bisogno.

IRIDE Di cammelli?  Per quelle regioni?

TIFI  Certo! La Macedonia ha deciso di diventare una grande potenza

IRIDE E per questo ci vogliono i cammelli?

TIFI    Eccome . Soprattutto cammelli. Solo cammelli. Una montagna , ce ne vuole. Senza cammelli, oggi, non si con­clude  niente. Con una cavalleria di cammelli ben addestrati ti mettono a terra tutta la Grecia, perché i cam­melli sono molto più alti dei cavalli greci. Lo  capisce chiunque.

IRIDE Ma domani sarai di ritorno?

TIFI Alle sei di domattina. Non vedo l’ora di starmene un po’ con la mia fidanzata. Non sono forse un uomo? Che ne dici, grassottella mia?

IRIDE Portami con te, allora, Tifuccio! Con la, bella luna tonda che splende su1 mare!

TIFI Ed eccomi qua senza un fio di vento, in mezzo al mar Rosso, vuol venire con me! Etna e Stromboli!  Sono più appiccicose della pece, queste fidanzate. Per fortuna, ad un tratto mi torna in mente la storia di quella dannata ombra dell’asino. Proviamo un po’ con questo mezzo.  Raffica e tifone! Se non serve nemmeno questo posso considerarmi un uomo sposato. Senti, cuccetta mia, devi farmi un piacere, a me e a mio fratello Mastace, che vorrebbe sposare la sua modista, e così per pura disperazione le racconto tutta quella maledetta storia.

IRIDE Che buon cuore che ha il mio Tifuccio. Povero asì­naio. Andrò a raccontarlo subito a Telesia, anche lei è così sensibile alla miseria e roba del genere. Rieccomi sulla banchina del porto. E lui, il mio tesoro, sul ponte di comando, a gambe larghe. Vacilla di qua e di là per il dolore di doversene andar  via e l’alberatura pullula di marinai!

TIFI (cantando)

Sugli orizzonti color viola,

sotto una luna pallida e severa,

o in notti buie, a primavera,

quando l’anima è chiusa: chiusa e sola.

IRIDE    Tifuccio, Tifuccio mio! Eccolo che entra in quella gran luna gialla e tonda, e tutta la nave non è che un’om­bra. Ma domani tornerà. Alle sei!

TIFI (da lontano)

Simili a lupi, sui tetti, in agguato,

omicidi dagli occhi risplendenti,

come bambini al cesso, impertinenti,

van cantando per darsi un po’ di fiato:

                      O cielo, azzurra magia!

IRIDE    La nave, ora, è sparita, come sempre. Tifuccio, Tifuccio mio, rieccomi sulla banchina del porto, tutta so­la, come sempre. Non ci sono più che le stelle e lo sciac­quio delle onde: come sempre, anche questo. (Rumore delle onde). Dio del cielo!. Ho dimenticato completa­mente la mia danzatrice, che stasera va dal gran sacer­dote e prima si fa un bagno nella nuova vasca venuta da Corinto. Oh Tifuccio, questa notte voglio ancora aiutare Antrace e domani sarò tua moglie quando tornerai da Xantìa sulla tua nave carica di cammelli!

(I suoi passi si allontanano in fretta).

ELESIA (sciacquio di vasca da bagno) Finalmente sei arrivata, Iride. Come vedi sono già in bagno, nella mia vasca corinzia di marmo nero. Come ti rinfresca, un bel bagno, in questo clima tremendo! Che calore! Aggiungi due altre bottiglie di latte d’asina. Così va bene. E un po’ di crusca di. mandorle e un po’ di fagioli tritati. In­ tanto prepara il belletto. Prendi degli escrementi di coc­codrillo schiacciati e misturali con biàcca, terra di Chio e una porzione di saliva. Spero che a cena tu non abbia mangiato cipolle! Questa dannata Tracia mi rovinerà ancora la carnagione. In autunno me ne torno a Mileto. Dicono che l’inverno, qui ad Abdera, sia freddissimo. E poi zanzare, zanzare! Non capisco, con tutte le rane che ci sono! Ora esco dal bagno, Iride. Porgimi l’asciu­gamano. Dammi il diadema egizio, piace tanto al mio gran sacerdotuccio, e poi le fibbie di Creta e l’abito trasparente di Cos. E adesso il belletto e il profumo. E ora raccontami qualcosa sul popolo, Iride, mentre mi fac­cio bella: lo sai che voglio tanto bene, io, al popolo.

IRIDE Avrei da raccontarvi una storia fresca fresca: quella dell’asinaio Antrace, signora.

TELESIA Un. asinaio?  Delizioso! Mi piacciono tanto gli asinai. Camminano fieri accanto alle loro bestie, canta­no le loro canzoni e sono poveri ma felici. I poveri sono sempre felici, Iride: sai, non hanno preoccupazioni. Che cos’ha, quel brav’uomo? Un processo? Perché il dentista si è seduto all’ombra del suo asino? Oh, lo raccon­terò al mio gran sacerdotuccio. Anche lui vuol tanto be­ne ai popolo. Gliela racconterò stanotte stessa, questa storia, mentre gli farò quelle noiose statue viventi. Il mio gran sacerdotuccio se ne starà seduto su un morbido cuscino davanti a me e i suoi occhi si riempiranno di lacrime, mentre gli racconterò questa storia e intanto, allo strascicato suono di un flauto lidio, solleverò ora una gamba,. ora l’altra. Fuori, dinanzi alla finestra aper­ta, il vento accarezza i cipressi e dalla palude vicina, al tempio gracchiano, come sempre, le rane, sacre...

Si sentono le rane e il flauto lidio.

STROBILO Una storia commovente, Telesia, questa che mi hai raccontato, mentre mi raffiguri. la Persefone dii Prassitele. E adesso la Nike di Mirone: la mano sinistra

sul seno destro, la gamba sinistra un po’ ripiegata in­dietro... Perfetto! Il ginocchio destro un po’ più teso e cerca di stare sulla punta del piede: così rendi meglio la quasi aerea leggerezza dell’originale.

TELESIA (sospirando per lo sforzo) Va bene, cosi?

STROBILO Magnifico. Ma adesso devo assolutamente allargare il mio studio al culto di Afrodite. Direi che è meglio cominciare con quella statua di Fidia in cui la dea dell’amore, seduta in grembo a Giove, ne accarezza la barba.

TELESIA Ma siamo senza Giove, Strobilo.

TROBILO Non fa niente. Vuoi dire che fungerò da Giove io stesso, uno studioso non deve arretrate di fronte a nessuna difficoltà.

TELESIA (blandendolo) E tu farai qualcosa per Antrace. l’asinaio, mio gran sacerdotuccio?

TROBILO Non posso mica abbandonare chi dipende dal mio tempio. È’ in lite col dentista Strutione? E’ da un pezzo che lo tengo d’occhio, quel cavadenti megarese. Fin da tempi immemorabili tutti gli abderiti affetti da mal di denti venivano a farsi curare nel templio di Lato­na. Si sacrificavano due polli alla divinità e si guariva, ed ecco che adesso, invece, ti arriva questo tiradenti con le sue ciurmerie scientifiche. Va bene, non sempre la dea ha fatto la grazia, ma perché ricorrere subito a una cura razionalistica? Si potrebbero sacrificare tre polli,­una volta tanto, invece di due, e allora la guarigione è certa. Che cosa danno, al popolo, tutti questi progressi, in luogo di una fede semplice e sana, di cui abbiamo tanto bisogno? Il dubbio, gli danno, anzi: la disperazione. Ecco il baratro in cui il progresso vuol precipitare il nostro povero popolo. Ma adesso è ora di dare un castigo esemplare. Il dentista dovrà sentire tutto il peso della mia potenza! Domani si riunisce la commissione parlamentare per le questioni del culto, e voglio dire due paroline ad alcuni giudici miei amici del tempio di Latona. Il dentista è perduto. Ma ora dedichiamoci a rappresentare Afrodite, figliuola cara. Più forte, quel flauto!

IL SOMMO SACERDOTE AGATIRSO (flauto in sotto fondo) No, gran sacerdote Strobilo, il dentista non è perduto affatto, anche se l’asinaio Antrace fosse vostro figlio! Scusatemi, signore e signori, se interrompo in modo un po’ arbitrario le parole del certo onorevolissimo gran sa­cerdote, ma nella mia qualità di sommo sacerdote del tempio di Giasone, il mio nome è Agatirso, sono co­stretto a gridare al sacerdote di Latona: oggigiorno non abbiamo bisogno di una fede basata sulle rane e su aneddoti mitologici, ma abbiamo urgente bisogno di una nuova fede nell’uomo! Ma che fede nell’uomo è mai quella di chi gli preferisce un asino, di chi vuole che a rosolarsi al sole sia un essere umano, miei cari, un es­sere umano, anziché un animale? Si, ci troviamo dinan­zi a un baratro, signor Strobilo, ma è il baratro del più cieco conservàtorismo. Si è sempre cominciato con l’a­dorare un asino per finire ai massacri in massa, i sintomi non sono nuovi. E’ di questo, gran sacerdote Strobilo, che si tratta nel presente processo, sulla cui fattispecie           mi ha informato ieri notte, nel più amabile dei modi la signora Cloe Strutione: si tratta di definire una volta per tutte che cosa è più importante, la fede nell’uomo o la fede nelle rane e negli asini! Avete ragione: domani sì riunisce la commissione parlamentare per le questioni del culto, ma anch’io conosco dei giudicii in Abdera! La vedremo, signor Strobilo, la vedremo!

FILIPPIDE Anch’io, il giudice Filippide, l’ho veduta. Purtroppo. Un risultato disastroso! I grandi e i sommi sa­cerdoti non dovrebbero immischiarsi in faccende così meschine, quando la cosa più importante è la pace. I grandi e i sommi sacerdoti arrivano subito alle affermazioni di principio, il che non è bene; quando si tratta di un’asineria. Invece di sgridare severamente i due que­relanti per l’idiozia di voler fare un processo sull’ombra di un asino, si commise l’idiozia ancora più grossa di fare di questo processo una questione di filosofia, di idea­li e Dio sa di quali altri beni supremi. La seduta del con­siglio dei dieci sulla faccenda Strutione-Antrace fu una vera catastrofe. Avevo capito subito che c’era qualcosa che non andava, quando, aperta la seduta, avevo dato la parola all’assessore Milzià.  Be’, penso, vecchio Filippide, che cosa sta succedendo? Le altre volte i giudici si stanno a gingillare e non prestano la minima attenzione alla proposta dell’assessore, gli danno senz’altro voto favorevole e l’affare, grazie a Dio è liquidato. In questo modo ad Abdera abbiamo sempre preso le decisioni più sagge. Be’, penso, lo sa il diavolo, oggi i dieci hanno certe facce feroci e non vanno nemmeno allo spaccio a mangiare focacce e salamini caldi,  mmh, c’è qualcosa che non funziona. Oggi ne va di mezzo la giustizia. Quanto più dura il discorso, tanto più mi vengono i brividi: ora si applaude, ora si fischia, non ho mai visto i dieci cosi riscaldati.

GRIDA ECCITATE Basta! Avanti! Silenzio! Avanti! Continuare!

FILIPPIDE (scampanellando) Silenzio! Vi prego di non  interrompere l’assessore Milzia.

MILZIA Ma da ciò consegue, onorevoli giudici della città di Abdera, che l’ombra di tutti gli asini della Tracia, compresa quella che ha dato motivo alla presente causa, non si può considerare parte della proprietà di una singola persona, come non lo è l’ombra del monte Athos o della torre municipale di Abdera o l’aria che tutti respiriamo; che, di conseguenza, l’ombra suddetta non può essere né ereditata né acquistata né donata né affìttata né comunque fatta oggetto di un qualsivoglia contratto civile, e che dunque, per queste e per le altre ragioni da noi esposte, la querela sporta. dall’asinaio Antrace contro il dentista Strutione deve essere respinta.

Grida altissime.                           . .

PRIMO GIUDICE    E’ inaudito!

SECONDO GIUDICE Allora non c’è più giustizia, ad Abdera!

TERZO GIUDICE Bravo Milzia!

QUARTO GIUDICE Abbasso l’asinaio!

QUINTO GIUDICE    E’ una vergogna!

FILIPPIDE (scampanellando) Silenzio! Prego il consiglio dei dieci di fare silenzio. Passiamo ai voti: chi approva la proposta dell’assessore Milzia alzi la mano. Cinque voti a favore di Milzia.

SECONDO GIUDICE E cinque contro!

Clamori.

POLIFONO Chiedo la parola!

Clamori.

FILIPPIDE (scampanellando) Silenzio! La parola all’avvocato Polifono.

POLIFONO  Onorevole consiglio dei dieci della ‘città di Abdea. Cinque dei tuoi giudici hanno approvato la più mo­struosa proposta che sia mai stata avanzata a una corte di giustizia. Si è mai osato beffare a tal punto l’innocenza, la virtù, la miseria, il buon senso, la retta intuizione del giusto e dell’ingiusto? Si è mai pro posta una sentenza, che mira a distruggere una volta per sempre ogni resto di umanità? Perché è chiarissimo: se in questa cit­tà non si può nemmeno più noleggiare l’ombra di un asino, sarà il crollo di tutta l’economia privata, scalzata dalle radici, e noi dovremo ricominciare là dove hanno finito gli abitanti delle caverne.

FILIPPIDE (scampanellando) Stiamo al tema!

POLIFONO Ci sto venendo. Per quale svergognato motivo Milzia ha osato farsi beffa della giustizia, dell’opinione pubblica, dell’eroica storia della nostra città, dei nostri stessi più alti ideali?

FILIPPIDE (scampanellando) . Veniamo al fatto!

POLIGONO Io domando: - Milzia, discendente di una antica casataperché, rispondimi, ieri l’altro fra le undici e l’una di notte, è venuta a visitarti la moglie del dentista Stutione, Cloe?. (Agitazione). Voi vedete, o padri, il rossore di Milzia, mentre il dentista si copre il volto con le mani! O tempi; o costumi! Ma come può essere virtuoso il patrizio Milzia, se lo stesso vertice di Abdera, la corona del suo spirito, l’emblema vivente della sua tradizione, conduce una vita adultera e viziosa? Parlo del sommo sacerdote Agatirso, onorevoli Giudici!

PRIMO GIUDICE    Udite! Udite!

TERZO GIUDICE    Basta cosi!

SECONDO GIUDICE    No, continuate!

QUARTO GIUDICE     un affronto!

Il       campanello di Filippide ristabilisce la calma.

POLIFONO    E’ accertato che i cinque giudici che hanno da­to il voto favorevole alla criminosa proposta di Milzia sono partigiani del sommo sacerdote Agatirso. Si sono trovati con lui lunedì scorso, in occasione di una seduta della commissione parlamentare per le questioni del culto. Abbiamo dei testimoni che hanno constatato e sono pronti, in qualunque momento, a giurare nel modo più solenne sulle sacre rane che i predetti cinque giudici si. sono appartati col sommo sacerdote Agatirso in un gabinetto separato. Qual’è la ragione di questo consulto segreto col sommo sacerdote? Esiste un rapporto fra Agatirso e il dentista Strutione? Si, questo rapporto esiste! (Agitazione). Impallidisci, repubblica di Abdera.  Gli assassini, con le lame sguainate, stanno alle tue spalle! Il primo dei tuoi nobili, il primo dei tuoi sacerdoti, insieme con cinque dei tuoi giudici, hanno stretto un patto con un cavadenti megarese, un patto che può mirare solo alla rovina!

FILIPPIDE (scampanellando) Al fatto, al fatto!

POLIFONO Eccomi al fatto, giudice Filippide. Cloe Strutione, che in tal modo si è rivelata una delle più rovinose seduttrici della nostra storia, quasi una seconda Medea, si è recata due giorni fa. nella notte di sabato, anche allora tra le undici e l’una (in un’ora dunque molto insolita) nel tempio di Giasone. E chi ci ha trovato, sommo sacerdote Agatirso? Il popolo di Abdera ha diritto a una risposta!

STRUTIONE    No! no! Menzogna! è tutto una menzogna

FILIPPIDE Silenzio! Usciere, trattenete il dentista Strutione!

FISIGNATO Egregi signori!

FILIPPIDE  (scampanellando) Silenzio! L ‘avvocato  Fisignato chiede la parola.

FISIGNATO Illustre, consesso. E’ una vera pazzia, o giudi­ci, che qui, in questa sede, in questo antico e glorioso tribunale, di fronte alla statua della giustizia, cui tutti serviamo, si sprechino ancora parole, anche una sola, invece di agire sull’istante. Correte, onorevoli giudici, cor­rete, chiamate qui il sommo sacerdote Agatirso con tutta la sua schiera sacerdotale, con tutte le sue sacre vergini, pregatelo in ginocchio di venire, affinché purifichi que­st’edificio così ignominiosamente insozzato da Polifono! (Agitazione). Signori giudici, onorevoli padri! Qual’ è la cosa orrenda, inqualificabile, che ci fa tutti raccapricciare, che costringe tutti gli uomini civili a volgere le spalle, inorriditi, alla nostra città? Cloe Strutione, una delle nostre più virtuose e rispettabili donne di casa, moglie del dentista Strutione, la più alta autorità odon­toiatrica della Tracia, figlia del comandante Stilbone, sì e recata, due notti fa, tra le undici e l’una, da Milzia.  Bene, è un fatto incontestabile. Polifono, inoltre, nel suo zelo, ha accertato che questa stessa signora, il cui marito voi vedete sedere, distrutto, davanti a voi, ha visitato nottetempo anche il sommo sacerdote Agatirso. In un’ora insolita, d’accordo, ma, per la santità dei nostri ideali…

­FILIPPIDE   Venite al fatto!

FISIGNATO È’ forse lecito trarre le deduzioni che ha tirat­o Polifono? No! Le nostre madri, le nostre spose, le nostre            figlie non sono al di sopra di qualsiasi sospetto, se andassero a visitare il sommo sacerdote in ore ancora più tarde? Abdera cesserà di esistere, onorevoli padri, se metteremo in dubbio la purezza, l’illibatezza delle nostre mogli. Di chi non oserà sospettare Polifo­no, se lo lasciamo. fare? Chi altri trascinerà nei fango? Noi tutti! ... Polifono ha accertato che lunedì ha avuto luogo la seduta della commissione per il culto. Ma non era presente solo Agatirso, onorevoli padri, bensì anche, il gran sacerdote di Latona, Strobilo. E’ provato Che ­anche lui si è appartato in una saletta coi cinque giudici che hanno votato per l’asinaio. Cos’ha che vedere il gran sacerdote di Latona con un asinaio eternamente ubriaco, con un asinaio che...

PRIMO GIUDICE   Ha smesso di bere!

FILIPPIDE  Silenzio. (Scampanella).

FISIGNATO Ha sempre bevuto e berrà ancora. Noi non ci caschiamo in questa commedia avvocatesca di un bevitore diventato improvvisamente sobrio. Nulla ci può. impedire di chiedere: chi frequenta, il gran sacerdote. Strobilo? Chi va a trovarlo a mezzanotte? Chi vedono, i cittadini scandalizzati, dalla finestra illuminata del suo studio, eseguire delle pantomime in abiti succinti? La danzatrice Telesia di Mileto! (Commenti). Che cosa ha che vedere, questa signora promossa da  ballerinetta di un locale di periferia megarese a ballerina solista del nostro teatro civico, con l’asinaio Antrace puzzolente d’ aglio? Ecco ciò che vogliamo indagare, seguendo anello per anello questa fatale catena di orrori. La cameriera di Telesia è fidanzata a un capitano di mare, il cui fratello, un armaiuolo, implicato in torbidi affari con tribù barbariche, fa la corte a una modista, la quale, e questo basta a darvene un’idea, è considerata la migliore amica di quella creatura eternamente bastonata che, moglie dell’asinaio Antrace, ne divide l’orrido scantinato

PRIMO GIUDICE  Ha smesso di bastonare!

FISIGNATO Ma tornerà a farlo. No, anche l’apparente progresso morale di un brutale liberto non ci impedisce di chiedere al gran sacerdote di Latona: osate forse negare  questi rapporti, signor Strobilo?


PRIMO GIUDICE     E’uno sconcio!

SECONDO GIUDICE . Una calunnia!

TERZO GIUDICE Abbasso i conservatori del tempio di Latona!

QUARTO GIUDICE Viva Agatirso!

- Clamori, scampanellate, tumulto crescente. Poi, silenzio di morte -

FILIPPIDE Io, Filippide, lo sapevo. Non volevano stare al fatto. Ci hanno messo di mezzo gli ideali. La rissa fu            tremenda. L’asinaio bastonò il dentista, il dentista l’as­sessore, l’assessore Polifono, Polifono Fisignato e Fi­signato mi calcò in testa il campanello perché avevo deferito la controversia al senato. Gli uscieri bastonarono l’asinaio ei dieci giudici bastonarono tutto ciò che capitò loro sotto mano, e furono bastonati da tutti. Final­mente ciascuno, coperto di sangue, se ne tornò vacillan­do a casa, io nel mio gabinetto, i giudici in città, 1‘asi­naio in compagnia di Polifonia in via Giasone e il den­tista Strutione con Fisignato al quartiere dei villini.

STRUTIONE Quel maledetto direttore della società impor­tatrice di schiavi di Gerania! A che mi serve, adesso, che gli facesse male il dente del giudizio? La metà della clientela sfumata. Un odontotecnico di Bisanzio, un ignorante che non parla nemmeno in buon greco, ha già aperto bottega nel vicolo della Cicogna, con una rana viva  sospesa sopra la sedia operatoria! E che belle cose vengo a sapere di mia moglie! E’ il colmo, signor Fisignato, il colmo. A mezzanotte, nel tempio di, Giasone! Debbo divorziare, io sono un uomo di principi! Ah, co­me vorrei lasciar perdere il processo!

FISIGNATO Signor dentista Strutione! Tutta la città punta gli occhi su di voi! Parla di voi la Tracia intera! Volete venir meno in questo momento storico? Vostra mo­glie l’avete perduta, d’accordo. Ci avete rimesso mezza clientela, vero anche questo. Ma ora sono in ballo valori ben  più alti, signor dentista, sono in ballo gl’ideali, l’umanità! Datemi altre quaranta dracme per le mie spese e i nostri avversari sono a terra!

POLIFONO E’ tuo sacrosanto dovere, come proletario e rappresentante delle, classi lavoratrici, di lottare contro l’ingiustizia che è stata fatta non solo a te ma a tutti gli asinai in blocco, mio caro Antrace. Ti rendi conto che la tua posizione è stupenda. Dammi altre quattro dracme e il dentista è distrutto.

ANTRACE   Ma ormai non ho più soldi, signor avvocato: ho l’asino sotto custodia, i mobili e i letti impegnati e ho persino venduto come schiava mia figlia, sapete bene, la piccola Gorgo, al possidente Panfo...

POLIFONO Se vuoi cedere le armi alla vigilia della vitto­ria, mio caro Antrace, quando potevi rnetter su un bel servizio di trasporti.

ANTRACE    Va bene, va bene, avrete le vostre quattro dracme.

POLIFONO   Lo vedi, che in fondo sei un uomo ragionevole? Quel danaro mi serve entro domani. E condurremo il processo alla sua gloriosa conclusione. Eccoci già al vicolo di Apollo, mio caro, io vado per di qua, mi raccomando, su con la vita, io devo svoltare l’angolo. Accidenti, il mio naso!

ANTRACE   Eccolo che se ne va. Dal possidente Panfo. E io giù per via Giasone. Quattro dracme vuole ancora, quattro ne ha già avute. Me restano solo altre quattro, posso almeno comprarci un asino. Non posso più ritirarmi, non foss‘altro per le otto dracme che ho già per­duto. Adesso tocca a mia moglie, a Crobile, il vinaio  Corace la accetta senz’altro. Non mi resta altra scelta. Sù, soffiamoci il naso, ne abbiamo viste di peggio, al tempo della carestia. Ecco .Leonida, davanti alla sua ta­verna. Non mi saluta neanche più perché ho smesso bere. Non è mica colpa mia: devo essere virtuoso, no? ora che rappresento il popolo. Ed ecco il mio scantinato. Più niente biancheria bagnata davanti all’ingresso: non ne abbiamo più, di biancheria ,  Salve, Crobile, moglie mia.

CROBILE La pappa di miglio è pronta. L’aglio, invece, è finito.

ANTRACE Ah, finito anche l’aglio. Ingolliamo dunque que­sta pappa di miglio. Mi soffio il naso. Moglie, dico, sono tempi brutti. Lei brontola, la vecchia, se ne sta al foco­lare, come fa sempre, e mi guarda. Moglie, dico, Polifono ha bisogno di altre quattro dracme.

CROBILE Non abbiamo neanche più un soldo.

ANTRACE Riprendo a lavorar di cucchiaio. Poi mi soffio di nuovo il naso. Crobile, dico, non c’è altro da fare. Bisogna che vinca il processo per via dei debiti. Abbia­mo venduto nostra figlia, dice lei. Si, dico io, ormai è fatta. Anche gli avvocati devono vivere. Vivono bene, quelli, dice lei. Io riprendo a mangiare, soffiarsi il naso un altra volta non avrebbe senso, bisogna decidersi a parlare. Le dico: Sai, ho parlato col vinaio Corace. Sarebbe un buon posto, per te. Mi dà cinque dracme. Non sarà una vita dura. Devi solo cucinare. E un buon uomo, sai, Corace, è malato di cuore, e così non è più in grado di bastonare o altro. Un buon posto. Lei non dice niente. Guarda solo nell’angolo. Sei stata una brava moglie, le dico, una buona e brava moglie, la pappa di miglio l’hai sempre fatta eccellente, devo dire, e l’aglio che ci mettevi era squisito. Lei abbassa la testa. Be’, vecchia mia, di’ qualcosa.

CROBILE Quand’è che posso prendere servizio da Corace?

ANTRACE   ‘Anche subito. Quando vuoi tu. Lei continua a tacere. Ma intanto fa fagotto. Un fazzoletto che le ha lasciato sua madre, l’immagine di Artemide che le pendeva sopra il letto. I sandali della domenica. Il quadro che raffigura noi due, il giorno delle nozze, seduti da­vanti al  tempio di Latona, eseguito dal pittore Bellero­fonte lo lascia lì

CROBILE  Allora ciao, Antrace.

ANTRACE  Ciao, allora, Crobile. Sei stata una buona mo­glie, una brava sposa. E se ne va via. Esce dal nostro scantinato. E in un angolo sento frusciare un topo. Ogni volta che se ne va Crobile arrivano i topi. Un bel guaio. C’è ancora un resto di pappa di miglio. Continuo a man­giare.. Ho gli occhi tutti bagnati. Mi soffio un’altra volta il naso. E dire che non posso permettermi neanche un grappino! E’ la miseria, Antrace, la nuda miseria. Se vin­co il processo, mi ricompro Crobile, invece di un asino. Ecco un secondo topo, intanto. Be’, usciamo da questa cantina.. Rieccomi in via Giasone, dove ho passato tutta la vita; Via Giasone, nient’altro che via Giasone. Una ressa di gente. Una babilonia. piena la piazza del mer­cato, piena piazza Latona, piene le osterie. Discorsi, una febbre di discorsi, che succede a questa città? E dovun­que sento il mio nome e dovunque si applaude e do­vunque si fischia e dovunque ci si bastona. Che suc­cede dunque a questa città?

Mormorio di popolo;

IL PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE TURISTICA DI ABDERA Da questo processo dipende ben altro: dipende il nostro movimento turistico! Qual è infatti il motivo, amici e amiche dell’associazione turistica di Abdera, per cui gli stranieri evitano la nostra città e vanno a Xantia, una città che, in. fatto di bellezze naturali, è tanto più povera della nostra e non possiede né un teatro ne un museo folkloristico, anzi nemmeno un Istituto pubblico? Le rane del gran sacerdote di Latona, che saltellano un po’ dappertutto, nel foro, sulla piazza del mercato e nei parco municipale e che mettono in fuga i forestieri col loro orribile aspetto, nonché l’insolenza dei nostri asinai, che osano chiedere un compenso persino per un’ombra ecco ciò che scaccia gli stranieri dalla nostra città. Di fronte al pericolo che tutti ci minaccia, amici e amiche dell’associazione turistica di Abdera, non c’è che un unico rimedio...

Dissolvenza.

IL        PRESIDENTE DELLA SOCIETÀ PROTETTRICE DEGLI ANI­MALI DI ABDERA Abderiti e adberite! Questo proces­so ci ha finalmente fatto capire che cosa è in giuoco:

l’umanità! Come presidente della società protettrice degli animali protesto contro il crudele trattamento cui un dentista ha osato sottoporre un asino: proprio un dentista, del quale conosciamo la bestialità nell’estirpare i denti! Ciò che quest’essere inumano ha osato fare a una povera creatura indifesa è pressoché indescrivibile! Non solo si è seduto all’ombra dell’incolpevole somaro, no, è arrivato al punto di cavalcarlo, invece di camminare al suo fianco, come fa ogni zoofilo di vedute un po’ moderne.  Io invito perciò ogni abderita che sia amico degli animali..

IL DIRETTORE DELLA SPA.MARMI No, nessun dubbio è più possibile. L’epoca del mattone è finita, il marmo continuerà anche in Tracia la sua trionfale marcia! Il colpo inferto al dentista Strutione è un colpo che ferisce l’igiene, e perciò anche noi, la Società per Azioni Marmi, perché chi usa il marmo è amico dell’igiene!

L’AGITATORE DEL PARTITO OPERAIO MACEDONE L’aristo­crazia e l’alta finanza di Atene non riusciranno a turlupinare il popolo lavoratore, e quanto agli speculatori di borsa, vadano dal loro amico dentista a farsi riparare i denti che il pugno coperto di sudore del proletariato avrà fatto loro saltare! Sedendosi  su un asino, quel democratico da salotto in, realtà alludeva a noi! Un’ennesi­ma provocazione contro il proletariato, che noi racco­gliamo e accettiamo!

Grida.

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IL PRESIDENTE DEL SENATO IPSIBOA E ora di fare finalmente di Abderà una città che sia all’altezza della civiltà moderna. Si tratta di vedere se Abdera debba tenere il passo dell’evoluzione greca o se, come la Tracia, debba ripiombare definitivamente nel buio delle età primor­diali, circondata dalle ulcere delle sue paludi, attorniata dal gracidio delle sue rane, avvolta nell’odore d’aglio dei suoi asinai. Rigettiamo da noi gli ultimi resti di barbarie! Calpestiamo  l’idra delle superstizioni! Ma finché svergognati individui come il ben noto asinaio potranno impunemente scagliare, dinanzi agli occhi delle autorità, le loro sconce ingiurie contro la civiltà e il progresso, ciò non sarà certo possibile! Il tempo stringe, abderani! Noi viviamo nell’epoca più decisiva della storia universale! In mezzo al conflitto tra Atene e Sparta! Tra lo spirito e il materialismo, tra la libertà e la tirannide! Uniamoci, dunque! Difendiamo insieme la libertà nelle file del partito di cui ho l’onore di proclamare la fondazione,  partito che si schiera intorno al dentista Struttone: il partito delle ombre!

GRIDA Viva Ipsiboa, viva le ombre!

MASTRO LESINA Ci si fa beffe delle nostre paludi, delle nostre rane, del nostro aglio e intanto si allude al popolo; si esalta la ragione, la civiltà, e intanto si pensa a una dolce vita senza alcun vincolo morale! La Grecia è grande, certo, ma la Tracia è più grande ancora, perché non c’è nulla che sia più grande della patria! Per cui cittadini traci, accorrete in. massa nel partito degli asini, nel partito che da questo processo ha tratto il più salutare degli insegnamenti: Abbasso i nemici della Tracia, che sono anche i nemici di Abdera, abbasso i liberali. panellenici!

GRIDA Viva mastro Lesina, viva gli asini!

Dissolvenza.

TICHIDIDE, DIRETTORE DELLA FABBRICA D’ARMI Scrivi, Pànfago: Con vivo interessamento e simpatia seguiamo la coraggiosa lotta del vostro partito. Condividiamo in pieno la vostra opinione che la pace è il più alto dei beni, ma, date le criminali intenzioni del partito avversario, bisogna prepararsi al peggio. Perciò la Società per Azioni Armi Tichidide di Coriinto, vi offre il suo aiuto nella lotta per i supremi ideali e per la pace e mette a vostra disposizione spade di primissima qualità, particolarmente adatte alle lotte intestine e tumulti popolari, ai prezzi di favore qui sotto indicati. Vi preghiamo in oltre di prendere in considerazione i nostri giavellotti speciali marca Pax, sui quali abbiamo le più lusinghiere referenze da parte dei due eserciti contendenti nella guerra di Sicilia. Abbiamo poi ricevuto e potremmo eventualmente fornirvi, un grosso stock di scudi di cedro del Libano, ricoperti di pelle d’Asino selvatico. In attesa della vostra pregiata risposta ci firmiamo, con distinti saluti, Società per Azioni Armi Tichidite di Corinto. Fanne due copie Pànfago, e mandane una per ciascuno ai due partiti di Abdera.

TIFI (canta a squarcia gola) Ma ecco che una bella notte

            d’aprile, con cielo senza stelle,

            l’oceano, ribelle,

            si stufa di quei tangheri, e li inghiotte.

            Ed ecco che la veglia, impietosito,

            con l’oro, il vecchio mare.

            Ma poi si sentono afferrare

            dal vento. Il loro corso è ormai finito.

Rieccomi sul ponte della mia nave, con la mia grappa in corpo e gli astri fra i capelli, con la luna sulle spalle e i miei quattro stracci imbevuti d’olio e sfrangiati d’alghe, in uno sbavare di schiume marine. Olà, timoniere, olà, pilota! Terra! Una parete di avorio, che emerge dalle tenebre! Terra, ragazzi, una costa qualsiasi, una qualun­que città che tende avida le braccia cicciose verso i nostri baci e le nostre coltellate. Vediamo un po’ che affa­ri potremo concludere.

PRIMO UOMO  Capitano Tifi!.

TIFI   Chi mi chiama? Chi sta salendo a bordo?

UOMO  Uno che non vuoi dire il suo nome.

TIFI Benvenuto, signore. Mi piace quando la gente non vuoi dire il proprio nome: ne nascono sempre affari van­taggiosi. Che cosa vuoi?

UOMO   Un incendio in questa città.

TIFI   Da capitan Tifi puoi avere di tutto, amico mio: don­ne, incendi, liquori, omicidi. Tutto in vendita, se l’offerta è buona. Come si chiama, la tua città?

UOMO Abdera.

TIFI   Guada guarda, Abdera! Stai a sentire, grappino mio, stai bene a sentire in fondo al mio stomaco: questa città si chiama Abdera, la città del mio fratello.Abbiamo navigato in tondo, matti come siamo, io la mia grappa, sempre in tondo sull’abisso d’argento. E dove vuoi, quest’incendio?

UOMO   Nel tempio di Latona.

TIFI  Nel tempio delle rane! Arrostiranno a migliaia, le bestiacce. Vedi un po’, grappino mio, che bella fiaccolata, devota accenderemo in faccia al cielo. E  perché mai, mio elegantissimo amico?

UOMO  Per poter progredire, capitano. Dobbiamo la­sciarci alle spalle, una buona volta, tutto questo ciarpa­me e andare innanzi. Ne va della libertà.

TIFI Senti, grappino mio? Ne va della libertà! S’incendia bene, quando ne va della libertà. Veniamo usati per alti scopi, eh, noi due? Tu, grappino, ed io. Be’, è sempre andata così, su tutte le coste, in tutti i porti, in ogni con­trada, sotto qualunque sole! A voi, interessavano gli ideali e a me la grappa, le donne e l’oro. Mia gl’ideali non hanno mai potuto fare a meno di me, i beni supremi hanno sempre avuto bisogno del mio coltello. Siamo  stimati, grappino mio, siamo stimati. Quanto?

UOMO    Cinquecento dracme.

TIFI    Da’ qui. E che altro porti, amico mio, in quella bor­sa di pelle? fa’ vedere, anzi, te la taglio dalla cintura, faccio più in fretta. Oh guarda guarda: perle!

UOMO (spaventato) Tutto il patrimonio, capitano. Le porto sempre con me, così nessuno me le prende.

TIFI Un bel patrimonio. Ventimila dracme, a dir poco. Hai fatto bene a portarle addosso, così le prendo io. Tu hai gli ideali, non hai bisogno delle perle.

UOMO Capitano!

TIFI Che cosa, amico? Porti la mano alla cintura? Bada che un uomo carico d’ideali, combatte peggio di chi non  ne ha. Vedi come faccio presto a impugnare il coltello? Sei venuto da me, amico mio,ed eccomi al tuo servizio: le mani insanguinate del capitano Tifi eseguiranno i tuoi pensieri. E adesso, nella stiva! Questa notte stessa ve­drai bruciare il tuo tempio come adesso la mia ebbrezza. Giù nella stiva; soffiato dal mio alito di grappa, pazzo che non sei altro! Su, gente! Su, timoniere, su,. mio pilota dagli occhi di lince! Ecco che semino perle tra voi! (La ciurma si accapiglia urlando). Così va bene, bestiacce, picchiatevi, cani, mordetevi a sangue, sciacalli! ecco altri due di Abdera che salgono a bordo. Splendi­damente vestiti, distinti, mani immacolate. Uno vecchio e uno giovane. Che cosa volete?

SECONDO UOMO   Il capitano Tifi?

TIFI   E’ seduto di fronte a te. Ma aspetta, amico, devo scolarmi un’altra bottiglia di grappa: vedo sempre dop­pio quando non ho bevuto. Tu, dunque, vieni dalla cit­tà di Abdera?

SECONDO UOMO   Precisamente, da Abdera.

TIFI    E ti batti per gli ideali, vero? Per i supremi valori?

SECONDO UOMO  Io mi batto per la mia patria.

TIFI   Bell’ideale .anche questo. Un ideale sano. Ci si fanno degli ottimi affari. Il patriottismo mi ha già reso milio­ni. Che cosa vuoi? Un   omicidio coi fiocchi?

SECONO UOMO    Fuoco, capitano.

TIFI Fuoco! Un articolo molto richiesto. Nel tempio di Giasone, vero, amico mio?

SECONDO UOMO   Hai indovinato.

TIFI Quanto?

SECONDO UOMO  Seicento dracme.

TIFI  Seicento dracme. Hai sentito, grappino mio, andia­mo su di prezzo, diventiamo sempre più necessari. Chi è quello li?

SECONDO UOMO    Mio figlio, capitano. Studia all’università.

TIFI Che cosa studia di bello?  ancora così giovane.

SECONDO UOMO   Studia diritto.

TIFI Sei un bravo padre, un padre premuroso. Hai fatto bene  a portarlo con te: mentre lui studia diritto, tu gli insegni ad andar storto. Me lo tengo sulla mia nave, tuo figlio, presso di me e il mio grappino.

SECONDO UOMO   (spaventato) il mio unico figliuolo!

TIFI    Vuoi dire che ne farò un furfante tanto più grosso. Tu ripaghi la tua patria col fuoco, amico mio: ebbene, io ci metto in conto anche tuo figlio. Vattene, avrei vo­glia di cacciarti una lama nelle trippe, ma la mia grappa, oggi, è benigna. Era acquavite di Efeso, offri un sacrificio a Diana, è lei che ti ha salvato. Vedrai bruciare il tuo tempio come una vecchia pergamena e io sulla mia nave, alla vista dell’incendio, danzerò e batterò le mani. Via, adesso, tornatene a terra! Su, timoniere! Su, pilota! Nuotate fino alla riva, il coltello tra i denti, nudi e unti di grasso, miei piccoli pescicani, che eseguono i miei co­mandi, che traducono in omicidio il lampeggiare dei miei occhi e in incendio l’aggrottar delle mie sopracciglia! A terra, a terra! Incendiatemi i templi delle loro menzogne, quasi fossero paglia!

Corno d’allarme e rintocchi di campane.

POMPIERE Al fuoco! Al fuoco! Ai fuoco! Signor ca­pitano dei pompieri Piropide, al fuoco! Brucia il tem­pio di Latona!           

PIROPIDE Che? Il tempio di Latona? Quella vecchia baracca di legno? Giù dal letto, moglie! Dammi l’elmo, la giubba e gli schinieri! Continua a sonare, tu, con tutte le tue forze!

SECONDO POMPIERE Il tempio di Giasone, signor Piro­pide, brucia il tempio di Giasone!

PIROPIDE Anche quello? Sonate, ragazzi, sonate, guarda­te che incendio, che pioggia di faville, è la fine del mon­do, la notte si fa chiara come il giorno. Sonate, sonate! Da me subito i sergenti Polifemo e Perseo!

POLIFEMO E PERSEO Capitano!

PIROPIDE Polifemo, corri con metà degli uomini al tetri­pio di Giasone e tu, Perseo, con l’altra metà a quello di Latona.

PERSEO Io sono iscritto ai partito delle ombre, signor ca­pitano: non potete pretendere da me che, contro le mie più sacre convinzioni, cerchi di salvare un tempio di cui non posso che desiderare la distruzione.

POLIFEMO E io sono un asino. I miei ideali non mi per­mettono di salvare il tempio di Giasone.

PIROPIDE  E allora corra ciascuno al tempio che vuol salvare, mannaggia il diavolo. Ma affrettatevi! Pensate al vento! Brucerà la città intera, se non vi date da fare!

IL POMPIERE Arde la città vecchia! La città vecchia!

PIROPIDE Agite! Non vedete che arde tutta la città?

PERSEO I nostri ideali; signore: dovete comprendete. devo attenermi strettamente alla consegna del partito del­le ombre: Nessun aiuto agli asini, aiutare solo le ombre.

POLIFEMO Le mie convinzioni, signor capitano: come asino convinto non posso fare alcuna eccezione, quando sono in ballo i valori supremi.

TIFI Arde e brucia! Abdera, mio allegro rogo, ecco che Tifi, sul suo ponte di comando, balla al lume dei suo in­cendio! Come fiammeggiano i tuoi dèi, le tue rane, i tuoi affari, la tua idiozia! Saltano giù pallidi dal letto, i tuoi abitanti, in camicia, e strillano e imprecano e pian­gono, dimenticando i loro ideali e il loro processo! Verde risplende la luna attraverso la tua vampa, Abdera, e il fumo ascende verticale al tuo cielo. A bordo, a bordo, miei lupi, mie linci, miei gatti, mie volpi! A bordo!

IRIDE (disperata) Tifi! Capitano Tifi!

TIFI Chi è là, sul molo? Ohilà, Iride, mia sposa abderi­tica, mia vedova carbonizzata, perché mi gridi appresso? Tifi si perde nel mare, con le sue botti piene di vino e di olio, con le sue perle e le sue donne, con la sua grappa e la sua enorme ubriachezza, la sua nave torna a sci­volare nell’immensità dell’oceano, nella sublimità delle stelle che spuntano. Fui l’alito di fuoco che incendiò la vostra effimera esistenza, la giustizia che si abbatté tor­nerà sempre ad abbattersi sulla vostra città, fui l’infer­no delle vostre azioni, che voi stessi commetteste, che voi stessi desideraste nei vostri sogni!

           Scaglia su in cielo un ultimo maroso

           il dannato naviglio.

           Poi appare, in un tenue sbadiglio

           Di luce, il grande scoglio periglioso

IRIDE   Tifi, Tifuccio mio!

TIFI    Parve che dalle sartie i marinai,

urlava la tempesta,

andando giù all’inferno, con gran festa

cantasser più che mai!

o cielo, azzurra magia!

Vento, gonfia le vele!

            Tenetevi il vento ed il cielo!

Ma lasciateci il mare,  per Maria!

FILIPPIDE  E così ci capitò questo guaio. Abdera non ri­mase al tema e bruciò  E ora eccoci tra le nostre rovine, stretti stretti, fantasmi notturni sotto un sole crudele, che continua a splendere come se niente fosse.

PELEIA Nient’altro che muri carbonizzati

CROBILE    E le finestre, occhiaie vuote.

MASTACE  L’aria è ancora piena di fumo.

TELESIA  La mia vasca da bagno corinzia si è spezzata in due. Non era di marmo. Uno dei tanti imbrogli.

TROBILO Le mie rane sacre sono abbrustolite.

AGATIRSO Il mio tempio continua ad  ardere. Legno di cedro garantito.

STRUTIONE La mia casa bruciata, la mia clientela perduta e di mia moglie preferisco non parlarne.

ANTRATE Adesso non ho neanche più uno scantinato.

MASTACE   Chi è che sta arrivando?

AGATIRSO    In piena piazza del mercato?

PELEIA    Uh, guardate!

STROBILO . L’asino! L’asino di Antrace!


FILIPPIDE  E’ fuggito dalla sua stalla distrutta dall’incen­dio!

MASTACE  La colpa è sua!

CROBILE E’ lui il delinquente!

PELEIA Il mascalzone!

AGATIRSO Il farabutto!

STRUTIONÉ L’incendiario!

TUTTI Dagli addosso! Dagli addosso! Dagli addosso?

Grida. L’asino galoppa.

TUTTI Eccolo! Eccolo! Prendetelo! Ammazzatelo! Lapidatelo! Fatelo a pezzi!

ANTRACE Voglio il mioasino! Ridatemi il mio asino

ASINO Permettetemi, signore e signori, permettetemi,  prima che mi raggiungano i sassi. dei miei inseguitori,  prima che i loro coltelli mi entrino nel corpo e: i loro cani mi dilanino, permettete che io, l’asino di Antrace, che sto galoppando col pelo irto di terrore attraverso le vie di questa città distrutta dall’incendio, sempre più strettamente circondato, sempre più crudelmente ferito, permettetemi, anche se è cosa insolita sentir parlare un somaro, di rivolgervi una domanda. Ma, dato che in un certo senso io sono il personaggio principale di questo racconto, non abbiatevela a male e rispondermi sin­ceramente e secondo coscienza, mentre i proiettili dei vostri fratelli mi stanno massacrando: l’asino, in que­sta storia, sono stato forse io?

F  I  N  E