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In casa di Evelina, sala di soggiorno moderna, chiara, elegante, libri, quadri, un cestello da lavoro




Commedia in tre atti

di Nicola Manzari

(Da IL DRAMMA – Anno 31° - n. 226 – Luglio1955)

Personaggi

EVELINA

MARCO

MATTEO

GIOVANNI

CLARETTA

UN'INFERMIERA

IL CERIMONIERE

1°TESTIMONE

2°TESTI­MONE

L'AIUTO

L'ORGANISTA

I PAGGETTI

Oggi. In una grande citta’. Il secondo e il terzo atto sono divisi in due quadri. Fra il primo e il secondo atto passano dieci giorni. Fra il quarto e il quinto quadro passano quindici giorni.

Nelle fotografie: in alto, Andreina Paul e Giuseppe Porelli; in basso: Conforti, la Consoli, la Paul e Rizzi

 


ATTO  PRIMO

In casa di Evelina, sala di soggiorno moderna, chiara, elegante, libri, quadri, un cestello da la­voro. Tatto rivela una calda intimità borghese. E' il primo pomeriggio. Entra Marco. Ha un mazzo di fiori ravvolto in carta d'argento. Claretta, cameriera, lo segue.

CLARETTA   (indicandogli i fiori) - Li porto di là?


(Indica la porta a sinistra).

MARCO         -  No.

CLARETTA   - Come vuole. (Fa per andarsene)

MARCO         - Aspetta. (Claretta si ferma) No. Niente. Va' ad avvertire la signora.

(Claretta esce. Marco passeggia. Guarda intorno. Si accorge che un nin­nolo è fuori posto e lo rimette su di un altro mobile. Siede, tenendo i fiori sulle ginocchia. Accende una sigaretta. Tutti questi gesti rivelano la consuetu­dine che egli ha con le casa).

EVELINA     - (entra; è giovane, graziosa, semplice, ele­gante)  Oh,Marco. (Prendendo i fiori) Grazie d'esserti ricordato. (Lo bacia con tenerezza. Marco ricambia il bacio).

MARCO         - Come avrei potuto dimenticare? Sono cinque anni oggi.

EVELINA      - (felice)  Cinque anni. Sono volati.

MARCO         - Grazie a te. Cinque anni di felicità.

EVELINA      - É facile amarti, Marco. Sei così buono. (Lo bacia).

MARCO         - (stringendola con tenerezza) Cara, cara Evelina.

EVELINA      - Attento. Schiacci i fiori. (Si avvia per disporli in un vaso bene in vista).

MARCO         - (richiamandola)   Evelina.

EVELINA      - (senza voltarsi)    Dimmi, amore.

MARCO         - Aspetta. Ma non hai visto?

EVELINA      - (fermandosi)   Cosa, caro?

MARCO         - (un po' contrariato)   Ma le rose. Cre­devo tu guardassi.

EVELINA      - (sorpresa, accennando i fiori)   Qui?

MARCO         - Sì. Cerca.

EVELINA      - (che ha immerso le mani fra i lunghi gambi delle rose)   Ahi!

MARCO         - (con premura)   Ti sei punta?

EVELINA      - Sì. Ma non importa. (Che ha tro­vato) Ah! (Trae un involtino, l'apre e ne tira fuori un bracciale di brillanti) Splendido! (Tornando indietro) Oh, Marco. (Lo bacia con trasporto) Perché hai speso tanto?

MARCO         - Ti piace?

EVELINA      - E me lo domandi? (Allaccia il brac­cialetto al polso).

MARCO         - Sono contento che ti piaccia.

EVELINA      - Ma non dovevi. Bastavano le rose.

MARCO         - Davvero credevi che ti regalassi solo le rose?

EVELINA      - (Sincera)    Sì.

MARCO         - E ti saresti accontentata?

EVELINA      - (c. s.)   Sì. Perché non avrei dovuto? Le tue rose sono molto belle, (Va a disporre i fiori nel vaso).

MARCO       - Straordinario.

EVELINA    - Che cosa c’è di straordinario.

MARCO       - Ma tutto in te è fuori del comune. Una donna che ama i gioielli, ma si accontenta anche dei fiori. Cheadora i bei vestiti ma sa farne anche a meno. A cui piace il teatro, il ballo, il lusso, ma sa anche rinunziare a tutto per restare settimane intere tappata qui  in casa... a rammendare, lavare, stirare.

EVELINA      - (ponendogli una mano sulla bocca). Zitto. Zitto. Io son felice qui, accanto a te. Non chiedo altro. Se vuoi condurmi fuori, ci vengo vo­lentieri, perché so che ti fa piacere. Ma se mi lasci a casa, ci sto ancora più volentieri, perché qui nulla mi  distrae dal pensiero di te. E' così dolce aspet­tarti, Marco.           

MARCO         - Evelina, ma ti rendi conto che sei di-versa da tutte le altre donne?

EVELINA      - (candida)  Ma no, Marco. Sei tu, buono e generoso, che scopri in me virtù singolari. Io sono una donna come le altre.

MARCO         - Anche questa è una tua virtù : la mo­destia.

EVELINA      - Basta. Altrimenti arrossirò tanto che dovrò darmi la cipria.

MARCO         -  (come scoprendo un'altra qualità di lei)   Ecco. Non ti trucchi. E poi dici              d'essere   come tutte.

EVELINA      -  Marco, smettila di parlarmi di me. Non sono un personaggio così importante. Vieni qui, prendi il tuo posto. (Lo conduce a una poltrona, lo fa sedere) Dimmi di te,   piuttosto. Cosa hai fatto, oggi?

MARCO         - Al solito. Ufficio. Pratiche. Colloqui. Noia. Una giornata veramente dura.

EVELINA      - Si vede che sei affaticato, povero amore. Ora sta' qui. E dimentica l'ufficio. I tuoi cuscini. (Gli colloca un cuscino dietro la schiena e un altro ai piedi) No,distendi bene le gambe. Non c'è nulla che riposi di più. Ecco. Così. La tua pipa. Il tuo tabacco. No, lascia che te l'accenda io. Tu non devi compiere il minimo gesto, a meno che non sia per abbracciami.

MARCO         - Evelina, toglimi un dubbio.

EVELINA      - Dimmi, tesoro.

MARCO         - Tu detesti il fumo della pipa.

EVELINA      -  Ma no!

MARCO         -  Si.

EVELINA      - Non fumo perché non ne ho l'abitu­dine.

MARCO         - No, non è questo. Tu non fumi. Non bevi.

EVELINA      - Se mi piacesse, berrei.

MARCO         - Torniamo alla pipa. Essa ti disgusta. Me ne accorgo dal modo come la stringi fra le dita quando la carichi e volgi leggermente la testa con un impercettibile moto d'orrore, lì, fra le tue belle sopracciglia.

EVELINA      - Fantasie. Fuma pure, tesoro.

MARCO         - Evelina, guardami. Tu non sai mentire. Non ci riesci. Non hai mai mentito in questi       cinque anni nelle grandi come nelle piccole cose.

EVELINA      - (timida)  E' vero. (Sorridendo) Ma vo­glio imparare. Forse gli uomini hanno bisogno di bugie. E rischio, altrimenti, di sembrare troppo stu­pida.

MARCO         - Per carità, resta come sei. Ma che dico? Anche volendo, non sapresti mentire. Sei costitu­zionalmente inadatta. Perciò guardami e rispondi. (Solenne) Ti piace il fumo della pipa?

EVELINA      - (occhi bassi)   No.

MARCO         - Lo detesti, vero?

EVELINA      -  Si, mi stringe qui. (Indica lo stomaco) Scusami, ma è più forte di me.

MARCO         -  (con un gesto di rabbia scaraventa la pipa in un angolo)    Lo sapevo.

EVELINA      -  Ma perché, tesoro? (Si alza per rac­cattarla).

MARCO         - Ti proibisco di raccattarla. Da oggi non fumerò più.

EVELINA      -  (pentita, quasi trepida)   Ecco, ho fatto male a dirti la verità. Marco, ti prego, non farlo per me.

MARCO         - (alzandosi di scatto)   Per te? Evelina, io sono un bruto. Per cinque anni ho fumato, qui, in questa stanza, e tu hai sopportato l'orribile fetore di quella pipa che ti disgusta, senza una minima protesta, macché dico, senza una parola, un accenno, un moto, un indizio che mi lasciasse sospet­tare la tua avversità. Eri anzi tu stessa ad insistere perché fumassi.

EVELINA      - Ti faceva tanto piacere.

MARCO         - Evelina sei un angelo. Sì. Un angelo. E voglio che tu mi sposi.

EVELINA      - (dolce)    Marco, ricominci. Sei propria un cattivo ragazzo testardo.

MARCO         - Pensa, Evelina, tu ed io, sempre.

EVELINA      - E non lo siamo già?

MARCO         - Certo. Ma sarebbe diverso. Perché non vuoi?

EVELINA      - Sono forse io a non volere? Sai bene che non si può.

MARCO         - (subito, cupo)   E' vero. Non si può. Non si può. (Passeggiando furiosamente per la stanza) Per la prima volta incontro una donna diversa dalle altre e Dio sa se di donne ne ho conosciute. Una donna perfetta che ha tutte le qualità per diventare la moglie ideale; quella che tutti sognano, ma nessuno incontra nella vita. Io sono solo, scapolo, ricco, e voglio sposarla. Ebbene non si può. Non si può.

EVELINA      - Non tormentarti più, Marco. Su, da bravo, vieni qui, siedi. (Lo riconduce per mano alla poltrona) Ne abbiamo tanto discusso. Lo sai. E sem­pre anche tu hai dovuto convenire che non c'è via d'uscita. Dunque, perché parlarne ancora? Per sof­frire... (Riprendendo il ricamo)  Vedi:oggi son cinque anni. Cinque anni felici. Chi ci impedisce di continuare ad esserlo per molti anni ancora?

MARCO         - Ma io...

EVELINA      - (tappandogli la bocca)  So già quello che vuoi dire. Non dirlo, Marco. E' una cosa cattiva. E tu stesso sai di non poterla fare. Guardami e ri­spondimi : saresti veramente capace di fare quello che pensi? (Marco non risponde) Vedi? Tu abbassi gli occhi. Segno che ti vergogni anche di averla pen­sata quella cosa cattiva... Dunque: dimenticala. E restiamo come siamo. Non c'è via d'uscita, cre­dimi. E non chiedermi più di sposarti. Credi che io non soffra nel risponderti sempre : « no »? E al­lora, perché tormentarci? Perché? (Marco avvilito, si stringe nelle spalle) Su, dammi un bacio. (Marco la bacia) E sorridi. Via quelle brutte rughe. Via. (Rapida, altro tono) Stamani sono uscita per com­perarti la stoffa per il pigiama. Credo di aver indovinato il colore che desideravi. Vuoi vedere? (Trae della stoffa dal cestino da lavoro) Ecco. Ti piace?

MARCO         - (ancora un po' aggrondato)     Sì.

EVELINA      - Bene. Sono contenta. E dove vuoi che ti disegni il monogramma?

MARCO         - (ancora distratto)   Come?

EVELINA      - Ma sì: le tue iniziali. (Indicando) Va bene qui? In alto?

MARCO         - A sinistra. (Con intenzione) Sul cuore.

EVELINA      - Che bambinone romantico. Sul cuore. Pensa se uno dei tuoi dipendenti ti sentisse dire, facendo boccuccia : « sul cuore »!

MARCO         - (sorride)   Ma siamo soli.

EVELINA      - Ecco, son riuscita a farti sorridere. Cielo, ti ringrazio.

MARCO         - (ripreso da un improvviso pensiero)  Fa' vedere. (Stende la mano verso il cestello).

EVELINA      - (gli porge la stoffa)  Ecco.

MARCO         - Ma no. Lì. (Fruga nel cestello, finché ne trae fuori un'altra stoffa quasi simile) Lo sapevo. Ne hai comprata un'altra uguale.

EVELINA      - Marco, ricominci? Ridammi quella stoffa. (Gliela riprende) Cattivo ragazzo indiscreto. Un'altra volta ti fo' « tò-tò » sulle manine!

MARCO         - (lento)   Talvolta penso che dovrei ucci­derti.

EVELINA      - (spaventata)    Marco!

MARCO         -  O uccidermi.

EVELINA      - Ecco che ora ti diverti a farmi « bau- bau ».  Il signore le studia tutte per impressionare la sua piccina.

MARCO         - (altro tono)   No. Forse non ne vale la pena. Di nulla vale la pena.

EVELINA      - Esatto. Nessuna donna merita un delitto.

MARCO         - (con decisione)   E riprendo a fumare. (Va a prendere la pipa).

EVELINA      - Caro, te l'avevo già detto. Perché vuoi rinunciare a un tuo piacere per me?

(Una pausa. Marco riaccende la pipe. Evelina riprende a cu­cire).

MARCO         - Cosa facciamo stasera?

EVELINA      - Quello che vuoi. Se preferisci restare a casa...

MARCO         - No. Voglio uscire. Divertirmi. Forse ballare...

EVELINA      - Come vuoi.

(Altra pausa. Entra Cla­retta).

CLARETTA   - Il signor Matteo.

(Si alza solo Evelina. Marco resta seduto. Entra Matteo. Sari quarant'anni. Porta una scatoletta di cellophane con delle orchidee. Evelina gli va incontro, lo abbraccia, lo bacia con effusione sulle labbra).

EVELINA      -  Caro, come mai così tardi?

MATTEO       - Non riuscivo a trovare dei fiori abba­stanza belli. Ho visitato tre fiorai.

EVELINA      - (minacciandolo, scherzosa)   Segno che ci hai pensato all'ultimo momento. Confessa che te n'eri dimenticato.

MATTEO       -  Ti pare!

EVELINA      - Devo aprire la scatola?

MATTEO       - Certo.

EVELINA      - (esegue e trae dalla scatola i fiori)   Bel­lissimi. (Sta per richiudere la scatola, ma, come colta da un pensiero, la riapre e infatti, frugandovi dentro, vi trova un anello) Oh, Matteo, perché hai speso tanto?

MATTEO       - Ti piace?

EVELINA      - Oh, amore mio. (Lo abbraccia e lo bacia con effusione. Marco continua a fumare come se la scena non lo riguardasse. Evelina che ha infilato l'anello) Preciso. (Volgendosi a Marco e mostrandogli l'anello)    Vero che è bello?

MARCO         - (con un grugnito)    Hum! (E si volta dall'altra parte).

MATTEO       - (a Marco)    Ciao, Marco.

MARCO         - (secco)    Ciao.

EVELINA      - (a Matteo mostrandogli il bracciale)   E questo è il regalo di Marco.

MATTEO       - (sincero)    Caspita! Complimenti!

EVELINA      - Due cose veramente di gusto. (Va a disporre i fiori di Matteo in un altro vaso)  Sono proprio una donnina fortunata.

MATTEO       - (va a sedersi in 'una poltrona discosta da quella ove siede Marco)    Nulla è troppo bello per te, Evelina.

EVELINA      - Anche tu? Zitto se non vuoi che arros­sisca. (Parlandogli va dietro la poltrona di Matteo e gli mette le braccia intorno al collo)  Anche se non mi avessi regalato nulla, sarei contenta. Mi ba­sta che tu mi voglia bene.

MATTEO       - Ti adoro; lo sai.

EVELINA      - (sempre ,dietro di lui, gli poggia la testa sulla Spalla, guancia contro guancia) — Sapessi quante volte, mentre ti aspetto, mi sorprendo a pensare a questi momenti e mi pare di sentire per-sino contro la mia guancia il tepore della tua! E' amore questo, Matteo?

MATTEO       - (sincero, commosso)    E' amore, Evelina.

(Marco dà  una gran sbuffata di fumo e si agita rumorosamente sulla sua poltrona; ma Evelina e Matteo non badano a lui).

EVELINA      - (c. s.)   Io non ho più amiche dacché t'ho incontrato. E nemmeno le desidero. Ma quando ancora ne avevo, esse mi raccontavano che erano orgogliose di mostrarsi in giro con l'uomo che amavano, di esibire ovunque la propria felicità. Io, invece, vorrei nascondermi al mondo, starmene sem­pre qui, in casa, accanto a te e dimenticare che gli altri esistono per vivere solo di te e per te.  Chi ha ragione : loro o io?

MATTEO       -  (c. s.)   Tu, Evelina, tu!

EVELINA      - (tenera, affettuosa, sincera)   Grazie, Matteo. Fa piacere sentirselo dire. (Altro tono) Povero caro, ma tu sei stanco! Sì. Non negarlo. Quando ti affatichi, queste tue due piccole pieghe all'angolo delle labbra si appesantiscono e la tua bocca si fa amara, quasi cattiva. Hai avuto una giornata dura, vero, povero amore?

MATTEO       - (lasciandosi coccolare, con gli occhi soc­chiusi)    Non ti si può nascondere nulla. Sì, oggi in ufficio tutto è andato male. Capita, a volte.

EVELINA                 - (premurosa)   Non pensarci. (Carezzan­dogli le tempie ritmicamente) Via, i brutti pensieri. Via.

MATTEO       - (Occhi chiusi)   Ancora, Evelina. Ancora.

EVELINA      - (accarezzandolo ancora)     Si. Amore. Va meglio?

MATTEO       - (c. s.)   Come son leggere le tue dita. E riposanti. Ecco che al loro semplice tocco i brutti pensieri dileguano.

EVELINA      - (c. s.)  Sì, amore.

MATTEO       -   (con un improvviso scatto, prendendole le mano)  Lascia che le baci queste tue piccole mani tanto care.

EVELINA      -  (un po' schernendosi)    Buono, Matteo. Su.

MATTEO       - (attirandoci sé Evelina sino a farsela sedere sulle ginocchia) — Non voglio esser buono. (La bacia con trasporto, Evelina prima tenta di tirarsi indietro poi si abbandona a  lui).

MARCO       - (che non ne può più, esplode)    T'avverto che poco fa baciava me così.

EVELINA    - (scostandosi da Matteo e levandosi in piedi)   Oh, Marco, sei proprio  incorreggibile.

MATTEO      - (calmo)   Bella novità. Per cinque anni ha baciato me come te e nessuno di noi due è andato mai a cercare sulle sue labbra il ricordo della bacca dell'altro.

MARCO       - (pronto)  Dunque, tu confessi di non soffrire se vedi che io bacio Evelina.

MATTEO      - (cercando di interromperlo)  Un mo­mento.

MARCO       - (continuando, ostinato)  Dunque non ti importa nulla di lei.

MATTEO      - (c. s.)  Piano. Io non ho mai detto questo.

MARCO       - Ma il tuo atteggiamento lo lascia capire.

MATTEO      - T'avverto che oggi non ho voglia di litigare. E se mi provochi non ti rispondo.

MARCO       - Comodo.

MATTEO      - Forse. Ma logico.

(Evelina ha ripreso a cucire, tranquilla, come abituata a quelle scene).

MARCO       - (caparbio, continuando veloce, come per non farsi soverchiare)   Dunque, se fra noi due c'è uno che a Evelina non vuole bene... o le vuole meno bene, questo sei tu.

MATTEO      - Davvero?

MARCO       - Perciò è giusto che tu ti sacrifichi a favore di chi senza di lei non può vivere.

 MATTEO      - E saresti tu.

MARCO       - Certo.

MATTTEO    - (sempre calmo)  Ebbene ti sbagli, perché anch'io non passo vivere senza Evelina.

MARCO                   - Ma no. Tu hai un temperamento diverso dal mio; sei più calmo, riflessivo, forse anche più buono.

MATTEO      -  Vuoi dire: più stupido.

MARCO       - Non l'ho detto.

MATTEO      - Ma lo pensi. Ebbene sarò forse più stupido, ma non sino al punto di lasciarti        Evelina.

MARCO       - (di nuovo irritato)    Ebbene, io ti costrin­gerò.

MATTEO      - (urtato)      Provaci.

EVELINA    - Calma, su, non ricominciate. Possibile che dobbiate litigare proprio per me? Avanti, fate subito la pace.

MATTEO      - Ma io non sono in collera con Marco. Solo non permetto che egli approfitti della discre­zione che io porto in tutte le mie manifestazioni d'affetto, per inscenare la commedia di una mia assurda indifferenza verso di te, quando sa benis­simo che io ti voglio bene se non più di lui, per lo meno quanto lui.

MARCO       -  Quanto me? Oh, lascia, caro Matteo, che questa volta io rida. (Ride, ma di un sorriso amaro).

MATTEO       -   Per me, puoi ridere quanto vuoi; ma è così.

EVELINA      - Su, andiamo, perché parlarne ancora?

MARCO         - (a Evelina)   Ma, scusa, hai sentito tu stessa l'enormità di quanto ha detto. Ti ama come me, lui! Ma quando sei stata ammalata un anno fa, chi ti ha assistito giorno e notte, trepidando al tuo fianco minuto per minuto?

EVELINA      -   Tu, Marco.

MATTEO       - Sfido. Io ero in Inghilterra. Ma quando mi avvertiste non mi precipitai forse, rinunziando ad un affare che doveva rendermi il mille per cento?

EVELINA      - E' vero, Matteo.

MATTEO       - Meno male che c'è chi lo ricorda.

MARCO         - Ma io chiusi lo studio e rimandai tutti i clienti finché Evelina non guarì.

MATTEO       - Uno studio si può chiudere. Una fab­brica, no. Ma in quei quindici giorni tutte le ore libere le passai qui. E' vero, Evelina?

EVELINA      -  Sì.

MARCO         - Io che detesto i romanzi, mi rassegnai a leggergliene uno al giorno per distrarla.

EVELINA      -  E' vero, Marco.

MATTEO       -  E io non giocai forse decine e decine di stupide partite a dama perché ciò la                 divertiva?

EVELINA      - E' vero, Matteo. Foste tutti e due molto buoni con me. Non lo dimenticherò mai.

MARCO         -  Tutti due?

EVELINA      -  Certo. Tutti due.

MARCO         -  (scattando)   E' assurdo.

EVELINA      -   Che cosa?

MARCO         -   Che tu non abbia una preferenza per uno di noi.

EVELINA      -   E' la verità.

MARCO         -   Impossibile. Per qualcuno devi pur sen­tire qualcosa di più.

MATTEO       -   Perché vuoi forzarla a dire quel che non sente?

MARCO         -   Ma basta una sfumatura. Pensaci, Evelina. Per esempio, poco fa, prima che                              entrasse lui, tu mi hai abbracciato con uno slancio, una tene­rezza...

MATTEO       - (a Marco)   Alt. Questo tuo gioco non è leale. Anche con me poco fa, hai visto com'era. Se è questo che cerchi, anch'io potrei esibirti inti­mità di parole e di gesti fra  me ed Evelina che certamente ti ferirebbero.

EVELINA      - Matteo!

MATTEO       -  (a Evelina)    Sta' tranquilla. Ho buon gusto, io. E non m'avvalgo di certi argomenti  per tentare di dare Io sgambetto a un amico.

MARCO         -  Macché sgambetto. Giacché vuoi saperlo, ti dirò la verità: le ho chiesto di                           sposarmi.

MATTEO       - Verità per verità : anch'io son disposto a sposarla.

MARCO         - Ma perché non ci hai pensato prima d'ora?

MATTEO       -  E tu perché non l'hai fatto in tutti questi anni?

MARCO         - Insomma, Matteo, ammetti d'essere l'uni-co ostacolo alla nostra felicità e ritirati, Te ne sarò grato per tutta la vita.

MATTEO       -  Grazie. Me ne infischio della tua gra­titudine.

MARCO         - D'ora innanzi penserò io solo ad Evelina. Tu non avrai più obblighi verso di lei.

MATTEO       -  Grazie, no. Mi piace occuparmi di Evelina.

MARCO         - Se non e che questo, ti permetterò di venire qui tutte le volte che vorrai.

MATTEO       - Vuoi dire che ti rassegni ad essere tradito?

MARCO         - Sei pazzo? Verrai quando ci sarò io. E potrai riscaldarti ancora al tepore del nostro focolare.

MATTEO       -  Qui verrà finché mi pare, perché la casa è anche mia.

MARCO         - Riscatto anche la tua parte.

MATTEO       - No. Hai capito? No. A meno che non sia Evelina stessa a scacciarmi.

MARCO         -  Evelina, per favore, digli che se ne vada. Che ci lasci in pace.

EVELINA      - Non posso, Marco.

MARCO         -  Perché?

EVELINA      - (semplice)  Perché gli voglio bene.

MARCO         - E a me non me ne vuoi?

EVELINA      -  Anche a te.

MARCO         - Ma a chi di più?

EVELINA      -  A tutti due ugualmente.

MARCO         - Incredibile. (Ad Evelina) Ma lo sai cosa sei tu?

EVELINA      - (candida)   No.

MARCO         - Un mostro. Ecco cosa sei.

MATTEO       - Non insultarla. Ti proibisco.

EVELINA      - (c. s.)   Non capisco. Perché sarei un mostro?

MARCO         - (furibondo) Non capisce. Ma sentitela! Si divide fra noi due con una impudicizia tanto più colpevole quanto più incosciente, e poi viene a dirci che non capisce.

MATTEO       -  Marco, non essere volgare.

EVELINA      - (tranquilla)  Oh, non importa. So benis­simo che Marco parla così perché è irritato.

MARCO         - Nient'affatto. Sono lucido e cosciente. E ti dico che non conosco donna immorale come te.

EVELINA      - (senza turbarsi)   E voi due, allora, cosa siete?

MARCO         - (un po' smontato)   Noi due?

EVELINA      - (c. s.) Sì. Non siete stati forse voi a costringermi a questa vita? Mi avete ripetuto infi­nite volte che siete amici fin da bimbi; che avete fatto insieme le scuole, l'università, la guerra; che avete sempre avuto in comune tutto: i libri, i ve­stiti, la casa, gli affari, il danaro e le donne. E' vero o no?

MATTEO       - E' vero.

EVELINA      - E che a rendere perfetta tale amicizia mancava solo che nelle vostre vene scorresse lo stesso sangue. Finché tu, Marco, fosti ferito in combattimento ed egli (indica Matteo) tidonò il suo sangue per la trasfusione.

MARCO         - E' vero.

EVELINA      - E mi insegnaste giorno per giorno a voler bene a tutti due nello stesso modo. Certo, non è stato facile, lo confesso. Perché le mie pre­ferenze andavano o all'uno o all'altro.

MARCO         - (con ansia)   A chi?

MATTEO       -   A chi, Evelina?

EVELINA      -  A che servirebbe ora dirvelo? Ma pro­prio quando uno di voi due cominciava a piacermi di più, ecco che mi ripetevate la solita lezione : «Bada, non innamorarti di uno di noi. Noi siamo due corpi, ma un'anima sola e se tu preferissi uno piuttosto che l'altro, noi per non rompere la nostra vecchia amicizia saremmo costretti a lasciare te ». E' vero?

MARCO   e   MATTEO  - (insieme)   Sì.

EVELINA      - E studiavate tutti i modi per mostrarmi che non eravate affatto gelosi. Tu mi baciavi quando c'era lui. E lui quando c'eri tu. E ridevate del mio disagio. E' vero?

MARCO E MATTEO  - (c. s.) — Sì.

EVELINA      - Volevate uccidere - dicevate - il sentimento della gelosia che avvelena l'amore    « e distruggerlo alle radici, ove è più feroce ed esclusivo: nel possesso». Son frasi vostre. Ricordate?

MARCO E MATTEO  - (c. s.)   Sì.

EVELINA      -  Ed io mi son piegata ad ubbidirvi. E ogni giorno un po' più, ho cercato di amarvi... in blocco! Non è facile, credete, abituarsi a vedere due uomini come complemento uno dell'altro. E cercavo in te (indica Matteo) le qualità che mancavano in lui... (Indica Marco).

MARCO         - (protestando)   Ti prego di credere che anch'io...

EVELINA      - (a Marco)   Ma sì, e in te mi sforzavo di veder virtù a lui sconosciute. (Indica Matteo) Così solo sono riuscita a raggiungere lo scopo. E oggi posso dire che non voglio bene né all'uno né all'altro.

MARCO E MATTEO  - (impressionati)   Come?

EVELINA      - (con un sorriso)   Né all'uno né all'altro in particolare. (A Marco) Ma a te voglio bene perché c'è lui... (indica Matteo) e a Matteo perché ci sei tu.

MATTEO       - (scoppia in una risata allegra)   Meravi­glioso. Il cuore a spicchi. (A Marco) E ti lamenti?

EVELINA      - E ora venite a chiedermi improvvisamente di rompere questo equilibrio che ho tanto faticato a costruirmi.

MATTEO       - Oh,  io non ti chiedo nulla. Io sto benissimo come sto. Solo non rinunzio a te.

EVELINA      -  E allora continuiamo a vivere così. E non parliamone più.

MATTEO       - E' quello che dico anch'io. Ma bisogna garantirsi. Garantirsi da tiri mancini. (Guarda con intenzione Marco).

MARCO         -  Alludi a me?

MATEO         - Oh, no. Parlo anche per me. Perché anch'io le avevo chiesto di sposarla, e se mi diceva di sì, sta' certo che facevo le carte e te la soffiavo. Ma non ha voluto.

EVELINA      - Naturale. Sarebbe stata una slealtà.

MARCO         - (a Matteo)   Ah, dunque tu mi avresti fatta un'azione simile?

MATTEO       - E tu non stavi per farmela? Hai fatto di tutto per convincerla. Sei giunto a dirle ogni giorno male di me.

MARCO         - Matteo, ti prego di credere...

MATTEO       -  (conciliante)    Ma sì, ti credo...

EVELINA      - Alla buon'ora. Rifate pace, su. Strin­getevi la mano.

(Marco esita un momento)

MATTEO       - (tendendo a Marco per primo la mano)  Da' qua.

(Marco esegue e stringe la mano di  Matteo)

EVELINA      - Bravi. Così va bene. E poiché Matteo è stato il primo a stendere la mano merita un premio. (Porge la guancia a Matteo).

MATTEO       - (baciandola sulla guancia)   Sei un tesoro.

EVELINA      -  Ma poiché Marco ha accettato di strin­gerla, ha anche lui diritto al premio. (Porge l'altra guancia a Marco che la bacia)   Ed ora, qui tutti due accanto a me.  (Li conduce a un divano al cen­tro della scena, facendoli sedere uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra)   Restiamo qui e mentre io lavoro, chiacchierate pure. Sapete che mi piace ascoltarvi.

MARCO         - Io preferirei uscire. Distrarmi.

EVELINA      - Sentiamo cosa ne pensa Matteo.

MAI-IEO        -  Oh, per me. Qui o fuori. purché ci sia Evelina.

EVELINA      -  Bene. Allora accontentiamo Marco. Usciamo. Ma qual è il programma?

MATTEO       -  Potremmo andare a teatro.

MARCO         -  Sì. Ma non alla prosa.

MATTEO       -  Sì, anch'io preferisco la rivista.

EVELINA      - Allora, scelgo io. Né prosa, né rivista. Risparmiamo. Il cinema.

MATTEO       - Accettato.

EVELINA      - (a Marca)   Ti va?

MARCO         -  E sia.

EVELINA      - Oh, eccovi d'accordo. Adesso mi preparo. Ma prima voglio mostrarti, Matteo, la stoffa per il tuo pigiama. (Fruga nel cestello da lavoro e trae la stoffa) Ecco. Ti piace?

MATTEO       - Bellissima.

EVELINA        - (a Matteo)  Son contenta che ti piaccia. E dove vuoi che ti ricami le iniziali?

MARCO         - (scattando)    Basta.

EVELINA      - Cos'hai, Marco?

MARCO         -  Non ne passo più. Anche i pigiami uguali. E' troppo.

EVELINA      -  Di nuovo, Marco? Ma sai che diventi cattivo?

MARCO         - E lo diventerò sempre più, se tu non ti decidi a sposarmi.

MATTEO       - (deciso)   Bada, Marco, non tirare troppo la corda! Io ti voglio bene più che a un fratello, ma c'è un limite a tutto.

MARCO         - (raccogliendo la sfida)   Sentiamo, cosa vuoi fare?

MATTEO       - (c. s.)  Son deciso ad impedire con tutti i mezzi che Evelina ti sposi.

MARCO         -  Non ti temo. Fa' pure.

MATTEO       - (questa volta veramente irritato)   Insomma vuoi che sia guerra?

MARCO         -  Sì.  

(I due sono ormai l'uno di fronte all'altro come due avversari)

MATTEO       -  Non t'importa più nulla della nostra amicizia?

MARCO         -  No  

(Evelina guarda i due perplessa, poi sempre più spaventata)

MATTEO       -  Un giorno ti pentirai di quello che hai fatto. Ma sarà troppo tardi.

MARCO         -  No. No. No. Hai capito?

MATTEO       -  Tanti anni fa giurammo morte ci avrebbe diviso.

MARCO         -  Si vede che ci sbagliammo.

MATTEO       -  E che mai una donna ci avrebbe messo l'uno contro l'altro.

MARCO         -  Non conoscevamo Evelina.

MATTEO       -  (fuori di sé)    Sei una bestia ostinata.

MARCO         -  Rinuncia a lei.

MATTEO       -  No.

MARCO         -  Rinuncia ti dico. (Lo prende per la giacca).

EVELINA      -  (Con un grido)  Marco!

MATTEO       -  (Minaccioso a Marco)  Cos’è?  Credi di farmi paura?

EVELINA      - (c. s.)    Matteo!

(I due stanno ormai per lanciarsi l'uno contro l'altro. Marco alza il braccio per colpire. Un attimo di sospensione. Ma improv­visamente il braccio di Marco ricade e i due si tro­vano l'uno nelle braccia dell'altro. Restano così ab­bracciati)

MARCO         -  Perdonami. Stavo per colpirti.

MATTEO        - Oh, non pensarci. Ti avevo provocato.

MARCO          - No. Sono stato io. Avrei colpito te che mi salvasti la  vita.

MATTEO       -  Sciocchezze. Eri irritato,

MARCO         -  Non me lo perdonerò mai. Forse se avessi avuto un'alma ti avrei ucciso.

MATTEO       -  Via. Non montarti la testa ora.

MARCO         -  È così. Ho orrore di me, Matteo.

MATTEO       -  Non pensarci più. E meglio.

MARCO         -  Ti avrei ucciso.

MATTEO       - (con un grido)   Evelina.

(Evelina infatti è  caduta sul divano, svenuta, I due le si fanno intorno preoccupatissimi)

MARCO         -  Evelina, Evelina.

MATTEO       -  E' svenuta.

MARCO         -  E' colpa mia.

MATTEO       -  Lascia andare. Chiama Claretta.

MARCO         -  (chiamando a sinistra)   Claretta. Claretta.

MATTEO       -  (scuotendo Evelina)   Evelina. Cara. Ri­spondi.

CLARETTA  -  (entrando)    Che è successo? Oh, mio Dio, la signora!

MARCO         -  Su, non state lì ferma. Fate qualche cosa.

CLARETTA  -  (disperandosi)   Signora. Signora.

MATTEO       -  Bell'aiuto ci date.

CLARETTA   -  Oh, la signora era così buona.

MARCO         -  Stupida, non è mica morta.

(Evelina riapre gli occhi)

MATTEO       -  Ecco. Rinviene.

MARCO         -  Oh, Evelina. Piccola cara.

MATTEO       -  Come stai?

EVELINA      -  (con un sospiro) — Che è successo?

MATTEO       -  Sei svenuta, cara.

MARCO         -  Colpa mia, colpa mia.

EVELINA      -  (a Matteo)    Ti ha fatto male?

MATTEO       -  Chi?

EVELINA      -  Marco.

MATTEO       -  Marco?

EVELINA      -  Quando t'ha picchiato.

MARCO         -  Ma no, Evelina. Non l'ho più colpito. Gli ho chiesto anche scusa.

EVELINA      -  (ancora stordita)     Davvero?

MATTEO       -  Ma sì. Non l'hai visto? Ci vogliamo bene come prima. Guarda.

MARCO         - Ecco. Vedi. E lo bacio anche. (Dà a Matteo due sonori baci sulle gote) Va bene così?

EVELINA      - (a Claretta)   Cosa fai lì?

CLARETTA  -   Il signore mi ha chiamato.

EVELINA      -  Grazie. Sto meglio. Va' pure.

CLARETTA  - Come vuole.

(Esce un po' irritata).

MARCO         -  Ti abbiamo spaventata, vero?

EVELINA      -  Eh, un po'.

MATTEO       -  Scusaci. Non accadrà più.

MARCO         -  Oh, sì. Mai più.

EVELINA      -  Detesto la violenza.

MATTEO       -  Hai ragione. Ma Marco è già Vero, Marco?

MARCO         -  Sì. Mi son lasciato trasportare. Perché ti voglio troppo bene.

MATTEO       -  Anch'io te ne voglio, Evelina.

EVELINA      -  Zitti. Non ricominciate

MARCO         - (precipitosamente)   No.No. No. Sta' tranquilla.

EVELINA      - E non ricominciate  a chiedermi di spo­sarvi.

MATTEO       - No. Vero, Marco?

MARCO         -  No.

EVELINA      -   Già. Ora dite così. Ma poi?

MATTEO       -  E' vero: bisognerebbe essere sicuri che nessuno di noi due tentasse di sposarti  all'insaputa dell'altro.

MARCO         -  Già.

MATTEO       -  Perché questo bisogno di costruirsi una Famiglia è ormai insopprimibile in ognuno  di noi e prima o poi rispunterà fuori.

MARCO         - E' probabile.

MATTEO       -  E' certo. Ognuno questo desiderio.

MARCO         -  Hai ragione.

MATTEO       - Tanto più forte quando incontra una donna brava, buona e graziosa come Evelina.

MARCO         -  Che vuoi concludere?

MATTEO       - Bisogna impedire che ciò avvenga.

EVELINA      - Basterà che io vi risponda sempre di no come ho fatto finora.

MATTEO       - Non basta, Evelina. Anche tu potre­sti essere vittima di un momento di debolezza, di un particolare stato d'animo, del desiderio improv­viso di una tenerezza esclusiva e finire col dire di sì a uno di noi.

EVELINA      - Che devo fare, allora?

MATTEO       -  E' quel che sto cercando.

MARCO         - Non c'è nulla da fare. E' inutile che ti scervelli.

MATTEO       - (passeggiando come chi cerca di afferrare un'idea)   Eppure un mezzo ci deve essere.

MARCO         - Bravo. Trovalo, dunque.

MATTEO       - (fermandosi innanzi ai due)    Di', e se Evelina fosse sposata?

MARCO         -  Sposata? Non capisco.

EVELINA      -  Ma io non sono sposata.

MARCO         -  A chi dovrebbe essere sposata?

MATTEO       - (che sta concretando la sua idea) Aspet­tate un momento... (Si ferma pensieroso in un an­golo).

EVELINA      - (a Marco, sottovoce)    Ma cosa dice?

MARCO         - (serio)  Forse vaneggia.

EVELINA         - (chiamando)   Matteo.

MATTEO       -  Zitti. Non mi distraete.

                        (Una pausa. Marco ed Evelina si guardano perplessi. Matteo con un grido allegro)  Trovato. Bisogna dar marito a Evelina.

MARCO         - Marito? Ma se abbiamo detto che non deve sposare nessuno di noi.

EVELINA      - (preoccupata)   Matteo, oh povero amore. Tu sei stanco. L'emozione di poco fa. Vieni qui. Siediti. Fagli posto, Marco.

MARCO         - (scusandosi)   Vieni. Vieni qui con noi. Ti riposi un po'. E poi andiamo tutti al cinema.

MATTEO       - (non Si siede) Mi credete impazzito. (Ridendo) Oh, no. Ho un'idea formidabile.

                         Sentirete.

MARCO         - (con un cenno di intesa ad Evelina)   Beh, ce Ia dici dopo. Ora sta' calmo.

MATTEO       - Macché dopo. Subito la dico. Sto be­nissimo. Ecco qua. (Spiegando) Finché Evelina è nubile ognuno di noi può sposarla. Esatto?

MARCO         - (cominciando a seguirlo)    Sì.

MATTEO       - (c. s.) Ma se fosse sposata ad un terzo, nessuno di noi due potrebbe più sposarla. Vero?

MARCO         - Certo. Il marito. Ci sarebbe il marito.

MATTEO       - Il marito non conta.

MARCO         -  No? (Sempre più. interessato) Ma un marito è un marito.

MATTEO       -  Per modo di dire. Capisci?

MARCO         -  No.

EVELINA      -  Ma io non voglio lasciarvi.

MATTEO       -  Tu non ci lascerai.

EVELINA      -  E non voglio sposare uno a cui non voglio bene.

MATTEO       -  Ma tu vorrai sempre bene a noi.

EVELINA      -  Ma sposerò un altro.

MATTEO       -  Certo.

MARCO         -  Un momento. Credo di cominciare a capire.

MATTEO       - Ma sì. E' semplicissimo. Noi sposiamo Evelina ad un Tizio qualunque, poi  liquidiamo il Tizio ed Evelina resta con noi.

MARCO         - Ci sono. Capito. Formidabile.

EVELINA      -  Ma io non voglio sposare un Tizio. Non voglio tradirvi con nessun Tizio.

MATTEO       -  Ma no. E' un matrimonio per burla.

EVELINA      -  Dunque, non lo sposo.

MARCO         -  Ma sì, lo sposi. Ma è come se non lo sposassi. (A Matteo) E' così?

MATTEO       -  Bravo. (A Evelina) Si tratta di un ma­trimonio fittizio. Dopo le nozze lo sposo se ne va. E tu torni con noi. Ma sposata : quest'è il punto. Capisci? Sposata.

EVELINA      - Ma io dovrei con questo mio marito... Sì, insomma... Mi vergogno.

MARCO         -  Ma nemmeno per idea. Credi che noi permetteremmo una cosa simile?

MATTEO       - Nient'affatto. Il tuo caro sposo, subito dopo la cerimonia nuziale, ci farà il piacere di to­gliersi di mezzo. E per sempre.

EVELINA      - E se non volesse?

MATTEO       - Oh, ci penseremo noi.

EVELINA      - (con orrore)   Un delitto?

MATTEO       - Macché. Da vedova, torneresti come ora. E staremmo al punto di prima. No. Gli daremo del danaro. Tutto il danaro che vuole. Vero, Marco?

MARCO         -  Naturale. Certi servizi si pagano.

EVELINA      -  E se non volesse danaro?

MATTEO       - Oh, sta' tranquilla, lo prenderà. Perché noi sceglieremo un miserabile. Un disgraziato. Un morto di fame.

MARCO         - (infervorandosi volta nel progetto)  Un disoccupato. Ce ne sono tanti.

MATTEO       -  Certo. Ma un disoccupato cronico.

MARCO         -  Che ha perduto ogni speranza.

MATTEO       -  E ha tentato tutte le vie.

MARCO         -  Senza fortuna.

MATTEO       - Naturalmente.

(I due parlano fra di loro, dimenticando completamente Evelina che li osserva sempre più preoccupata)

MARCO         -  Io non lo vedo tanto vecchio.

MATTEO       -  Vecchio? Affatto. I vecchi non capi­scono. Mettono avanti i « se » i « ma » . No, giovane ci vuole. I giovani sono audaci. Sono di mente più aperta. Afferrano subito le situazioni. I giovani mi piacciono.

MARCO         -  Anche a me. L'avvenire è dei giovani.

MATTEO       -  E poi con un vecchio sarebbe rischioso. Ha pochi anni da vivere. E noi invece vogliamo che il marito di Evelina viva il più a lungo possi­bile. Perché auguriamo a noi stessi vita lunga e serena.

MARCO         -  Hai ragione. I giovani hanno tutta la vita davanti. E una volta maritata Evelina, noi tre (indica sé, Matteo ed Evelina) potremo finalmente vivere insieme tranquilli e felici.

(Evelina scoppia in pianto)

Evelina, cos'hai?

MATTEO       -  Evelina, perché piangi?

(Evelina sin­ghiozza più forte)

MARCO         -  Oh, povera cara!

MATTEO       -  Su, Evelina: non piangere. (L'acca­rezza).

EVELINA                 -  (fra i singhiozzi)    Non voglio lasciarvi.

MARCO         -   Ma tu non ci lasci.

MATTEO       -  Vivremo sempre insieme.

EVELINA      -  (c. s.) Non mi voglio sposare.

MARCO         -  Ma è per il tuo bene.

MATTEO       -  Per il bene di tutti.

MARCO         -  Per non litigare più.

MATTEO       -  Cos'è un marito? Niente.

MARCO         -  Naturale. Tutte le donne si sposano.

EVELINA      -  (c. s.) Non mi voglio sposare.

MATTEO       -  Su, asciugati gli occhi. Marco, il faz­zoletto.

MARCO         -  Subito. (Gli dà i1 fazzoletto).

MATTEO       - Soffiati il naso. Su. Forte. (L'aiuta a soffiarsi il naso) Ancora, soffia bene. Ecco. (Ridà il fazzoletto a Marco).

MARCO          - Adesso ti fa impressione. Ma a poco a poco ti abituerai all'idea.

MATTEO       -  Ma certo. Tutte le donne sono emo­zionate quando stanno per sposarsi.

EVELINA      -  (un po' più debolmente)   Non mi voglio sposare.

MATTEO       -  Allora non ci vuoi più bene, Evelina?

MARCO         -  Non vuoi la nostra felicità?

MATTEO       -  Ci vuoi vedere litigare?

MARCO         -  Picchiarci?

MATTEO       -  Come poco fa?

MARCO         -  Sai che l'ho colpito?

MATTEO       -  Sì. Emi ha fatto male.

MARCO         -  E un giorno potrei anche ucciderla.

MATTEO       -  (pronto, a Marco)    O ucciderti io.

MARCO         -  Perché no? Potresti uccidermi tu.

MATTEO       -  (a Evelina)   Vuoi questo, dunque?

MARCO         -  Rispondi. Vuoi vederci morti?

EVELINA      -  No.

MATTEO       -  E allora sii buona.

MARCO         -  Accetta.

MATTEO       - Che ti costa, infine?

MARCO         - Dopo tutto si tratta di un « si ».

MATTEO       - Già.  Cos'è un « sì » ?

MARCO         - Se ne dicono tanti!

MATTEO       - (accarezzandola, a destra)    Su, Evelina.

MARCO         - (accarezzandola, a sinistra)  Sii buona.

MATTEO                   - (coccolandola a destra, guancia contro guancia)   Fallo per il tuo Matteo.

MARCO         - (stessa scena a sinistra)   Fallo per me, Evelina.

MATTEO       - (come ignorando la presenza di Marco, un po' sottovoce, abbracciandosi a lei) Ti ricordiquando mi chiami Momò?

MARCO         -  (stessa scena, anch'egli sottovoce)    Non vuoi più bene al tuo Rarò?

MAI LEO       -  Ascolta. (L'attira a se e le mormora qualcosa all'orecchio).

EVELINA      - (sorridendo, sottovoce)   Sta' zitto. C'è Marco.

(Marco attirandola a sua volta, le parla all'orecchio. Evelina a Marco, sottovoce) Rorò, ma c'è Matteo.

(Matteo stessa scena, le parla ancora all'orecchio. Evelina scoppiando in una risata) Momò, certe cose non si dicono.

(Marco stessa scena, dall'altra parte all'orecchio di Evelina. Evelina a Marco, ridendo) MaRorò, sei pazzo?

(Matteo l'at­tira ancora e la bacia sulla guancia destra. Marco stesso bacio a sinistra. Evelina ridendo) Su. Bravi. Un po' di contegno.

(Matteo  le parla ancora all'orecchio. Evelina scop­pia in una risata. Ride ancora più forte. Il suo riso si comunica prima a Matteo poi a Marco. I tre adesso ridono irrefrenabilmente l'uno accanto all'al­tro sul divano, le tre teste quasi unite)

     

EVELINA      - (ri­dendo sempre più forte)  Momò, Rorò.

MATTEO       - (ridendo a  crepapelle)     Rorò.  (Ed indica Marco).

MARCO         - (indicando Matteo e ridendo più forte)   Momò.

(I tre ormai ridono all'unisono, quasi con­torcendosi  sul divano. Sulla loro risorta cala rapida la tela).

FINE PRIMO ATTO


ATTO SECONDO

Quadro primo

(La stessa scena del primo atto. Dieci giorni dopo. Mattino. Sono in scena Evelina, Marco e Matteo. I tre seduti, l'uno lontano dagli altri, tacciono in atteggiamento abbattuto. una lunga pausa.  Matteo si muove nella poltrona).

MARCO         -  Eh?

MATTEO       -  Cosa c'è?

MARCO         -  Dicevi qualcosa?

MATTEO       -  Io non ho parlato.

MARCO         -  Credevo.

MATTEO       -  Sei  in errore.

MARCO         -  Scusa.

MATTEO       -  Prego. (I tre ritornano immobili e silen­ziosi. Lunga pausa) Possibile che non si trovi un marito per Evelina?

MARCO         -  Ne abbiamo trovati anche troppi in que­sti giorni.

MATTEO       -  Già. Ma nessuno accettabile.

EVELINA      -  E quello che è venuto ieri?

MARCO         -  Per carità. Mi sono Informato. E' stato appena dimesso dal manicomio.

EVELINA      -  E quell'altro alto e biondo? Mi pareva un buon ragazzo.

MATTEO       -  Alla larga. Ha più condanne sulla fe­dina penale che capelli in testa.

EVELINA      - (spaventata)  Così giovane?

MARCO         - Si vede che ha iniziato subito la carriera. (Traendo dalla tasca un foglio) Ecco qua.Quel tale Michele Bianchetti andrebbe bene.

EVELINA      -  Ah, il ragioniere?

MARCO         -  Già. Sano. Robusto. Simpatico. Ma ha cinque figli.

MATTEO       -  Cinque?

EVELINA      -  E’ vedovo?

MARCO         -  No. Questo è il punto. Cinque figli con cinque donne diverse.

MATTEO       -  Alla grazia. (Dando a Marco una ma­tita) Cancella subito.

MARCO         -  (traccia cove la matita un frego sul foglio) Ecco fatto. (Leggendo) Ci sarebbe  

                           quell'Antonio Crispini. Le informazioni sono buone.

EVELINA      -  Meno male.

MARCO         -  Tranne un punto.

MATTEO       -  Ahi!

MARCO         -  Ha ucciso la propria moglie.

MATTEO       -  Cancella. Cancella.

MARCO         - (esegue)   Fatto.   (Leggendo ancora) Annibale Dorbetto. Questi ha fatto tutti i mestieri. Non ha mai concluso nulla. Disoccupato stabile.

MATTEO       -  Benissimo. E' quello che ci vuole.

MARCO         -  Un momento. L'altro giorno s'è presen­tato deputato. E ha vinto.

MATTEO       -  Peccato. Cancella.

MARCO         - (esegue)  Ecco. Restano : Giorgio Batti­locchi. Ma è zoppo. Dieci centimetri di differenza fra una gamba e l'altra.

MATTEO       -  Dieci? No. Non si può fare quest'af­fronto a Evelina.

MARCO         -  Cancellato.  (Leggendo ancora)  Tito Manlio Rovellini. Tutto regolare. Ma è

                            ipnotizzatore.

EVELINA      -  Ipnotizzatore? Che vuol dire?

MARCO         - (a Evelina)   Ipnotizzatore. Prima t'addor­menta e poi ti fa fare quello che vuole.

MATTEO       -  Sei pazzo? Cancella subito. Ce n'è più?

MARCO         -  No. La lista è finita. (Straccia il foglio. Una pausa) Oggi non s'è presentato nessuno, vero, Evelina?

EVELINA      - Nessuno.

MATTEO       - Non capisco. Eppure l'annuncio è ap­parso anche stamane. (Prende un giornale da un tavolo e legge) «Parenti sposerebbero giovane, pia­cente, casalinga, ricchissima dote a distinto nullafa­cente purché disoccupato, sanissimo, moralità inec­cepibile. Avvertesi: sposa piccolo difetto ». Con un annunzio simile dovrebbero salire a centinaia que­ste scale.

MARCO         - No. L'errore è lì, in quell'inciso : « Spo­sa, piccolo difetto ». La gente crede che per lo meno le manchi una gamba o abbia la gobba.

MATTEO       -  Eppure qualcuno è venuto.

MARCO         -  Già. I disperati. I rifiuti della società.

EVELINA      -  Aspettiamo ancora. Non c'è poi fretta.

MARCO         - (irritato)   E invece sì. C'è fretta. Ora che abbiamo deciso, voglio uscire da questo equi­voco.

MATTEO       -  E allora sbrigatela un po' tu.

EVELINA      -  Calma. Non litigate.

(Una pausa. Entra Claretta)

CLARETTA  -  C'è un signore.

MATTEO       -  Ah.

MARCO         - (a Claretta)     Com'è?  

(Claretta si stringe nelle spalle)

MATTEO       -  Ha un giornale in mano?

CLARETTA   - Sì.

MATTEO       - (a Marco)    Eccone uno.   (A Claretta)   Fallo aspettare un momento.

 

(Claretta esce)

EVELINA      -  Volete restar soli?

MARCO         -  Come preferisci.

EVELINA      - (alzandosi)  Bene. E' meglio che parliate liberamente. Quando mi volete, chiamatemi.

MATTEO       -  Prega il cielo che sia il nostro uomo.

EVELINA      - (con un sorriso)   Se piace a voi, pia­cerà anche a me.  

(Esce).

MARCO         - (a Matteo)  Fallo passare.

MATTEO       - (a sinistra)   Claretta, fa' entrare. (Tor­nando verso Marco) Tiprego, non                           impressionarlo con troppe domande.

MARCO         - Dobbiamo accettarlo ad occhi chiusi.?

MATTEO       - Non dico questo.  Non spaventia­molo. Non vedi che ne vengono sempre meno?

GIOVANNI  -  (d. d.)   Permesso?

MARCO E MATTEO  - Avanti.  

(Entra Giovanni. E' un uomo sui trentacinque anni, di aspetto                                  distinto, ma vestito molto dimessamente)

GIOVANNI  -  Sono venuto per l'annuncio. (Mostra il giornale).

MATTEO       -  Prego. S'accomodi.

GIOVANNI  -  (restando in piedi)   Se permettono, mi presento. Giovanni Ratti.

MARCO         -  Professione?

GIOVANNI              - (smontato)  Veramente, sono disoccu­pato. Com'è scritto qui. (Indica il giornale).

MATTEO       -  Il mio amico vuol dire: ha mai lavorato ?

GIOVANNI  - (rinfrancato)  Beh, ho fatto un po' tutti i mestieri, ma non ho mai avuto fortuna. Sono stato esattore del gas, usciere, rappresentante di commer­cio, guardiano notturno, cuoco, e maschera in un circo equestre. Ultimamente facevo il degustatore.

MARCO         - (diffidente)  Sarebbe?

GIOVANNI  -  Assaggiatore. Assaggiavo i vini in una distilleria. Ero sempre ubriaco.

MARCO         - (impressionato)  Le piace bere?

GIOVANNI   - Affatto. Perciò dopo due bicchieri non distinguevo più la gradazione degli alcolici.

MATTEO       -  Ha un mestiere fisso? Dico, un'attitu­dine particolare?

GIOVANNI   -  La mia professione vera sarebbe agen­te librario. Vendere i libri. Ma i libri costano troppo e la gente legge poco. Scusino, ma perché, qui, per caso si tratta di lavorare?

MATTEO       - Oh, non si preoccupi. Desideriamo informarci, prima di presentarla alla signorina.

GIOVANNI  -  Loro sarebbero i parenti?

MARCO         - (pronto)    Gli zii.

GIOVANNI              -  La signorina è forse orfana?

MATTEO       -  Completamente.

GIOVANNI  - (non sapendo che dire)  Poveretta. 

(Una pausa)

MARCO         -  Dunque signor...

GIOVANI      -  Ratti. Giovanni Ratti.

MARCO         -  Signor Ratti, lei ha intenzioni serie?

GIOVANNI   -  Serissime! E’ tanto che desidero for­marmi una famiglia.

MARCO         -  Ah, una famiglia. (Guarda Matteo)

GIOVANNI  - (Con calore)  Eh,  sì….Una famiglia, dei bambini... Una brava ragazza a cui voler bene. C'è nulla di più bello, forse?

MARCO         - (smontato)   Già. (Una pausa di silenzio imbarazzante) .

GIOVANNI   - (temendo di aver fatto una cattiva im­pressione)   Lo so, mi presento male, vestito così. Ma credano, ho studiato. Ho la licenza liceale. Se avessi potuto continuare, forse sarei medico.., ma ho dovuto lavorare... quattro sorelline da mantenere... e si scende un po' per volta, signori... non ci si riduce di colpo, così.

(Matteo siede sfiduciato e guarda Marco, perplesso. Un'altra pausa)

Possono assumere informazioni. Dovunque sono stato, nes­suno ha mai avuto a lamentarsi dirne. Lavorare mi piace. Solo che ho perduto un po', come dire, fede nella vita, perché non me ne è andata mai una bene. Ma se mi si fa un po' di credito, oh, allora s'accorgeranno presto che io non chiedo altro che di far felice una brava ragazza. (Una pausa) E del resto, la signorina ha un piccolo difetto.

MARCO         - (brusco, come per liquidarlo)    Già. Ma sa cos'è questo piccolo difetto?

GIOVANNI  - (esitante)  Immagino, un'imperfezione fisica. Non so, una gamba.

MARCO         - (piú forte)   No.

GIOVANNI              -  Non saprei... gobba...

MARCO         - (c. s.)   E' la nostra amica...

GIOVANNI   - Non capisco... La loro...

MATTEO       -  (dolce)   Amica. E' meglio parlar chiaro, giovanotto. Non credo che lei sia lo sposo  per la signorina.

GIOVANNI  - (abbattuto)   No? Faccio dunque così cattiva impressione?

MATTEO        - Al contrario. Lei sembra proprio quello che è: una brava persona. Ma appunto per questo non fa al caso nostro.

GIOVANNI  -  Non cercano un bravo marito per la loro... parente?

MARCO         -  No. Quelli che sono venuti prima erano pessimi. Lei è troppo buono. Non                crediamo che lei possa accettare.

GIOVANNI   - Se ci sono delle condizioni è difficile che io possa rifiutare, perché sono ridotto proprio a... zero. Basta dire che alloggio al campo sfollati. Di giorno cerco lavoro. Ma è inutile: non trovo. Dicano pure : il piccolo difetto è forse un bambino?

MATTEO       -  Un bambino?

GIOVANNI    - Ma sì. La signorina aspetta un bam­bino e io dovrei...

MARCO         -  No. E' peggio.

MATTEO       - Lei certo rifiuterà. Ma giacché vuoi saperlo, ecco: lei dovrebbe sposare la signorina e poi sparire il giorno stesso delle nozze. Per sempre. E non fare mai valere i suoi diritti di marito. Perché in tal caso cesserebbe d'incassare l'assegno men­sile che noi le passeremo e dovrebbe per di più provvedere al mantenimento di sua moglie, come  vuole la legge. Infatti la signorina non possiede nulla di suo.

GIOVANNI  - (debolmente)   E la dote?  La dote del  giornale?

MARCO         - Noi. Sempre noi. Finché lei, signor Ratti, se ne starà buono e lontano, riceverà da noi direttamente quanto le permetterà di vivere non bene. ma benissimo. Altrimenti perderà tutto.  Rifiu­ta, vero?

GIOVANNI  - Un momento. Voglio pensarci. La mia coscienza rifiuta un tale mercato, questo è certo. Ma la mia coscienza non mangia. Io sì. (Siede con la testa fra le mani riflettendo) Non ho pro­prio fortuna. Quando trovo da sposarmi, non posso farlo sul serio. E magari la signorina non è brutta né storpia.

MARCO         - Ciò non le riguarda.

GIOVANNI  - Naturalmente. Solo riflettevo.

MARCO         - E non ci chieda perché facciamo tutto questo.

GIOVANNI   - Oh, non m'importa. A me interessa quello che faccio io. E quello che me ne viene. Pro e contro. Ecco tutto. Sono ridotto a questo, ormai. A discutere un'offerta infamante.

MATTEO       - Nessuno l'obbliga.

GIOVANNI   - La fame, m'obbliga. Lei evidentemen­te non ha mai alloggiato in un dormitorio  pubblico.

MATTEO       -  (sorridendo)  No,davvero.

GIOVANNI  -  Le credo sulla parola. (Una pausa)   Potrei conoscere la signorina?

MARCO         - (sospettoso)   Le interessa?

GIOVANNI   - Sì. Vorrei rendermi  conto di quello che perdo.

MARCO         -  Se non è che questo, l'accontentiamo subito.

GIOVANNI  - La signorina è al corrente della... cosa?

MARCO         - Naturalmente.

GIOVANNI   -  Capisco.

MARCO         -  Ora che sa, vuoi conoscere ancora la signorina prima di darci la sua risposta?

GIOVANNI              - Sì.

MARCO         -  Sta bene.  (Chiamando)   Evelina.

GIOVANNI   - (come fra sé)    Evelina: un bel nome.

EVELINA      - (entrando)   Miavete chiamata?

MARCO         - Vogliamo  presentarti il tuo probabile marito.

EVELINA      - Probabile?

MATTEO       - Già. Stiamo ancora trattando.

GIOVANNI  - (presentandosi)   Giovanni Ratti.

EVELINA      - Molto lieta. (Gli porge la mano).

GIOVANNI   - (è confuso)  Ci conosciamo in circostanze eccezionali per due, come dire, fidanzati.

EVELINA      - (candida)  Sì. Eccezionali. Ma s'acco­modi. (Gli indica la poltrona).

GIOVANNI   - (sedendo)  Grazie. 

(Seggono anche Marco e Matteo. I quattro ora sono disposti come in una riunione di famiglia)

EVELINA      - (a Giovanni)    Prende qualcosa?

GIOVANNI   -   Grazie, no.

EVELINA      - (andando verso il bar)  Un aperitivo?

(Matteo guarda Marco e poi i due guardano  signifi­cativamente Giovanni)

GIOVANNI   - (con intenzione)    Un aperitivo? Preferisco di no.

MATTEO       - (rimediando)   No, Evelina. Il signore non gradisce alcolici.

EVELINA      - (tornando a sedere)   Come vuole.  

(Una pausa)

MARCO         - (a Giovanni)   Se ha da fare domande, le faccia pure, liberamente.

GIOVANI      - (guardando Evelina)  Mirendo per­fettamente conto della situazione. Anch'io fossi in loro, non rinunzierei alla signorina.

MATTEO       -  Lei è un uomo intelligente.

GIOVANNI  - La miseria, signore. Ho imparato di più dacché sono povero che su tutti i libri                a scuola.

MARCO         - (a Giovanni)    Lei certo disapprova tutto questo?

GIOVANNI   - Disapprovare? Signori, il giudizio sulle nostre azioni spetta solamente a Dio. E dicono che Dio è buono e misericordioso.

EVELINA      - Già. Ma se lei accetta, l'azione di cui dovrà rendere conto un giorno, è sua.

GIOVANNI  - Oh, io non sono in condizioni di sce­gliere fra il bene e il male. Spero che il buon Dio ne terrà conto.

MARCO         - Allora, è « sì »?

GIOVANNI              -  Se loro mi garantiscono il necessario per vivere. Vivere bene, intendo.

MATTEO       -  L'avrà.

GIOVANNI   - (un po' abbandonandosi alla poltrona)   Vorrei viaggiare.

MARCO         -  Viaggerà.

GIOVANNI   - (c. s.)   Andare a teatro. Adoro l'opera.

MATTEO       -  Andrà all'opera.

GIOVANNI   -  In frac. Un frac su misura.

MATTEO       - (sorridendo)   Il frac è sempre su misura.

GIOVANNI   -  Non sempre. Veda i camerieri.

EVELINA      -  Ha fatto il cameriere?

GIOVANNI              -  Cosa non ho fatto?  (Una breve pau­sa)  Avrò libertà d'azione?

MATTEO       -  Naturalmente.

GIOVANNI   -  Se volessi, potrei, per esempio, pren­dermi un'amante?

MARCO         -  Non vedo chi potrebbe proibirglielo.

GIOVANNI   -  La legge. Mia moglie.  (Indica Eve­lina).

MATTEO       - (ridendo)   Sua moglie avrà altro a cui pensare.

GIOVANNI   - Già. Due. (Indica Matteo e Marco) Scusino se sono pignolo. Ma non vorrei sorprese.

MATTEO       - E’ il suo diritto.

MARCO         -  C'è altro?

GIOVANNI              - (riflettendo)   No. Non credo. I fidan­zati hanno un periodo per conoscersi. Ma non mi sembra il caso.

MARCO         -  Evidentemente.

GIOVANNI  - (c. s.)   La condotta della mia promessa sposa riguarda loro, non me.

MATTEO       -  Naturalmente.

GIOVANNI   - Non credo ci sia altro, Ah, un mo­mento. Posso esprimere a mia volta, un piccolo  desiderio?  Oh, nulla di importante.

MATTEO       - Dica pure.

GIOVANNI   - Vorrei un organo.

MARCO         -  Un organo? Che organo?

GIOVANNI   -  Ma sì. Il giorno delle nozze, alla fun­zione, vorrei che suonasse l'organo.

EVELINA      - La musica?

MATTEO       - E che dovrebbe suonare?

GIOVANNI   - Quello che si suona in tutti i matri­moni: la marcia nuziale.

MARCO         - (irritato)   Non mi sembra il caso.

GIOVANNI              - Scusi, Perché? Per la validità delle nozze, occorre una regolare celebrazione. E allora, visto che si deve fare, perché non celebrare il rito con tutta solennità,                 l'organo, i fiori?

(Marco e Matteo si guardano stupiti)

MATTEO       -  Scusi, ma si rende conto che dopo le nozze lei deve andarsene?

GIOVANNI   -  Certo. E questo che cambia? Si met­tano un po' nei miei panni, per favore. Per loro questo matrimonio è una semplice formalità, dicia­molo pure, una seccatura, di cui purtroppo non pos­sono fare a meno e di cui vogliono liberarsi al più presto per tornare a vivere subito dopo qui, come prima. Ma per me è diverso: è tutto. Ho sempre pensato al giorno del mio matrimonio. Fui anche fidanzato una volta. Poi tutto andò a monte... suc­cede. Da noi, in provincia, le feste delle nozze du­rano tre giorni.

MARCO         - (spaventato)    E che? per caso lei vor­rebbe...

GIOVANNI   - Oh, no. Non si preoccupi. Non dico questo. Ma almeno lo stretto indispensabile; la musica, i fiori, l'atmosfera, insomma.

EVELINA      - Ci tiene proprio tanto?

GIOVANNI              - Signorina, è vero, può meravigliare che un uomo come me che ha perduto ormai ogni dignità - e la prova è che sono qui a discutere questo mercato - si ostini a cercare un po’ di luce in questa finzione alla quale mi presto. Ma per quanto si scenda giù, ci sono sentimenti più forti delle nostre sciagure, mi creda... Ecco perché io che non ho mai potuto celebrare « per me » il mio ma­trimonio, oggi che mi sposo per  « loro tre », vorrei almeno in  quei  pochi minuti dimenticare d'essere il protagonista di una ignobile commedia, come se per un miracolo  il  mio sogno si fosse realizzato e quella musica, quei fiori, quella festa, fossero pro­prio nel me. Che importa poi se all'uscita lei top nera con questi due gentili signori ed io me ne andrò per i fatti miei? Ci sono minuti che valgono un'esistenza e in fondo, sono quelli che contano. Mi scusino: ho finito.

(I tre si guardano perplessi)

EVELINA    - Mi pare che se il signore ci tiene pro­prio tanto, non possiamo negargli questa piccola soddisfazione.

MATTEO       - Se a te, Evelina, non dispiace.

EVELINA      - Dispiacermi? E perché? Anzi la musica dell'organo mi commuove. E penso anch'io che se deve esserci una celebrazione è meglio che sia so­lenne. E' più bello. Più romantico. Ai matrimoni delle mie amiche ho sempre pianto.

GIOVANNI   - Ha ragione. Son funzioni che com­muovono sempre. (Altro tono) Bisognerà pensare al vestito. Non ho che questo. E non vorrei che i miei amici del    «campo sfollati » mi vedessero così.

MARCO         - (preoccupato) Pensa di invitare degli amici?

GIOVANNI  - Oh, tre o quattro. Lo stretto indispen­sabile. Ho degli amici che hanno diviso con me per mesi il giaciglio e la minestra degli spacci d'as­sistenza. Basterà per loro un piccolo rinfresco.

MARCO          - (c. s.)   C'è altro?

GIOVANNI   - Oh, no. Nient'altro. Grazie.

(Una breve pausa)

EVELINA      - (a Giovanni)  Per il mio vestito ha qualche preferenza?

GIOVANNI   - (pronto, come cosa ovvia)   In bianco, naturalmente.

MATTEO       - (credendo di non aver  sentito bene)   Come ha detto?

MARCO        - (aggressivo)  Lei parla sul serio?

GIOVANNI   - (sinceramente stupito)   Perché? Ho detto qualcosa di sconveniente?

MATTEO      - Ma certo. Non si rende conto della situazione della signorina?

GIOVANNI   - Anzi, mi pare che proprio per un riguardo alla signorina si debba fingere di fronte agli altri che tutto è regolare. E se il mondo, per far credito a una sposa, esige l'abito bianco e i fiori d'arancio, perché dobbiamo proprio noi deludere l'attesa? E poi, per un riguardo a me stesso, ai miei amici. No!  Si convincano: abito bianco e velo nu­ziale. Vedranno come riusciremo in fotografia.

MATTEO       - Chi?

GIOVANNI   - La signorina ed io.

MARCO         -  Chi le ha detto che si faranno fotografie?

GIOVANNI   - Ma in tutti i matrimoni c'è almeno un fotografo. Sono ricordi che ci accompagnano tutta la vita.

MARCO         - Lei non ha bisogno di ricordare nulla.

GIOVANNI   - (dolce)  Al contrario. E' l'unico ri­cordo che mi rimarrà quello della cerimonia nu­ziale. E ci terrei proprio tanto a una bella fotografia in abito da cerimonia da inviare al paese.

EVELINA      - Quale paese?

GIOVANNI   - Il mio paesino.  Sono nato in  provincia. E le mie sorelle conservano l'album di famiglia con tutte le nostre fotografie e dacché era­vamo piccini così.

MARCO         - (perplesso)   Mi pare che lei ponga troppe condizioni.

GIOVANNI   - Condizioni? Oh, no. Non potrei. Solo desideri. Desideri, direi, più che legittimi. Me ne appello alla signorina.

MATTEO       - (a Evelina)    Cosa ne pensi tu?

EVELINA      - Veramente, non credo che i desideri del signore possano offendere nessuno. E dal suo punto di vista, forse, non ha torto.

MARCO        -  Va bene. Ma tu, che pensi tu delle sue proposte?

EVELINA      - (confusa)  Beh, io trovo che se le cose si devono fare, tanto vale farle bene. E' una  sua piccola soddisfazione.

MATTEO       - (ridendo)  Ma sì. Contenta tu, contenti tutti. (A Marco) In fondo, cosa ci chiede il nostro amico?

GIOVANNI   - (intervenendo, pronto)  Piccole for­malità. esteriorità che non intaccano la sostanza dei nostri patti.

MARCO         - (conclusivo, a Matteo) Beh, sbrigatela un po' tu. (Prende a passeggiare nervoso).

MATTEO       - (a Giovanni) Bene. Siamo d'accordo su tutto.

GIOVANNI   - I testimoni. Chi saranno i testimoni?

MATTEO       - Ah, già. Occorrono i testimoni.

GIOVANNI   - Io credo che per la sposa, i più indicati siano loro due. (Indica Marco e Matteo)

MARCO         - (fermandosi)   Noi?

GIOVANNI   -  Chi meglio di loro due?

MATTEO       - (ridendo)    Non le dà fastidio?

GIOVANNI   -  Affatto.

MATTEO       - E i suoi?

GIOVANNI   - Due miei amici andranno benissimo.

MARCO         - Due del... dormitorio?

GIOVANNI   - E' brava gente. Uno è pittore. Un pittore passato di moda perché dipinge ritratti so­miglianti ai modelli. Il secondo, un industriale ro­vinato dall'inflazione. Faranno un figurone.

MATTEO       - (divertito)      Speriamo.

GIOVANNI   - (alzandosi)   Mi pare che ci siamo detto tutto.

MARCO         - Pare anche a me.

GIOVANNI   -  (con un sorriso)  Ed ora che siamo promessi sposi, se la signorina mi offrisse l'aperitivo di poco fa, non lo rifiuterei.

EVELINA      - Volentieri. (Va verso il bar e mesce l'aperitivo).

GIOVANNI   - (spiegando)   Perché credo che oggi,grazie a lor signori, potrò rinunziare alla

   minestra dell'Ente assistenziale.

MATTEO       -  (Cordiale)   Ci conti.

GIOVANNI  - Grazie.

EVELINA      - (tornando coi bicchieri)   Prego. 

(I quat­tro prendono i bicchieri)

GIOVANNI   - (a Marco)       Scusi, che ora è?

MARCO         - (guardando l'orologio) Le undici e mez­zo. Perché?

GIOVANNI   - In questo momento i miei amici co­minciano a disporsi in fila innanzi alla porta della mensa. Ognuno stringe in pugno la sua ciotola. C'è chi non possiede nemmeno quella e si arrangia con vecchie scatolette di latta. A poco a poco la fila si ingrossa, si allunga, gira intorno allo stabile. Si urla, si litiga, spesso ci si picchia.

EVELINA      - Addirittura?

GIOVANNI   - Eh, sì, perché agli ultimi della fila la minestra arriva sempre fredda. E allora i primi posti sono contesi.

EVELINA      -  E' almeno buona la minestra?

GIOVANNI   - (tecnico)  Oh, sì, perché è varia. C'è di tutto. Broccoli, patate, ceci. Talvolta, persino pezzi di carne.

MARCO         - (con disgusto)   Tutto insieme?

GIOVANNI   - Naturalmente. Ma è questoche la fa sopportabile. Ogni cibo, preso a sé, sarebbe pes­simo. Il segreto è tutto lì: nel mescolare. Lavorare di gomito, come diciamo noi. (Fa il gesto e gli cade un po' di liquore) Oh, scusino.

EVELINA      - Non si preoccupi. Porta bene. Anzi, ne metta un pochino sulla nuca. Per scaramanzia.

GIOVANNI  - Subito. (Esegue)

EVELINA      - (a Marco e Matteo)   Anche voi.

MARCO         - (superiore)  Sciocchezze.

GIOVANNI  - Non lo dica. Bisogna credere a que­ste cose. Accadono certi fatti.

EVELINA      - (a Marco)  Hai sentito?

MATTEO       - Beh, io ci credo. (Bagna un dito e se lo passa sulla nuca, imitato poi da Marco e da Evelina).

GIOVANNI   - (brindando)   Cin. Cin.

MATTEO       - (brindando)   Agli sposi! 

(Tutti brin­dano)

MARCO         - Abbiamo dimenticato un particolare. E' forte?

GIOVANNI   - ( equivocando, assaggia il liquore)   Beh, un ventidue gradi.

MARCO         - Ma no! Voglio dire: lei è forte, è sano?

GIOVANNI   -  Sano?

MATTEO       -  Ma sì.  È robusto?  Se la sente di vivere a lungo?

GIOVANNI   -  Oh, sì. Stiamo tranquilli. Sono forte come un toro.

(La risposta di Giovanni colpisce pia­cevolmente Marco)

MARCO         - (ridendo)    Come un toro?

GIOVANNI   -  (che ora capisce l'equivoco)  Già... come... quell'animale lì.

                      

(I quattro scoppiano in una risata.  Sulla risata  cala rapida la tela).

         

Quadro secondo

(Stessa scena. Mattina. Alcuni giorni dopo, Scena vuota. Si ode da sinistra la voce di Evelina alla quale risponde, da destra, la voce di Claretta)

 EVELINA     - (d. d.)  Claretta! (Una pausa. Poi più forte) Claretta!

CLARETTA   - (d. d. a destra)   Eccomi, signorina.

EVELINA      - (d. d.)  Ma cosa fai? Sbrigati.

CLAREITA  - (d. d.)  Vengo! (Claretta entra ed at-traversa la scena portando un lungo velo nuziale con l'acconciatura di fiori d'arancio) Il velo è pronto. (Esce a sinistra).

EVELINA      - (d. d.)  Sbrigati, allora (Una pausa).

CLARETTA   - (d. d.)  Oh, come sta bene, signorina.

EVELINA      - (d. d.)  Credi?

CLARETTA   - (d. d.)  Una meraviglia. Il bianco le dona.

EVELINA      - (d. d.)  Meglio così.

CLARETTA  - (d. d.)  Ci vorrebbero due paggetti per lo strascico.

EVELINA      - (d. d.)  Addirittura!

CLARETTA   - (d. d.)  Certo. Fa più effetto.

EVELINA      - (d. d.)  Ne faremo a meno.

CLARETTA   - (d. d.)  Peccato.

(Una pausa. Evelina entra in scena, seguita da Claretta. E' in abito bian­co da sposa, col velo, elegantissima)   

La signorina Farà morire d'invidia tutto il vicinato.

EVELINA      -  Oh, non me ne importa nulla.

CLARETTA  -  Staranno tutti alla finestra. II por­tiere ha addobbato i1 portone e le scale. Fiori e piante ovunque. Un sogno.

EVELINA      -  (sorridendo)    Claretta, sembra che sia tu a sposarti.

CLARETTA  - Oh, signorina, sì. Sono tanto felice per lei.

EVELINA      - (affettuosa)  Anche tu ti sposerai un giorno.

CLARETTA   - (triste)  Oh, no. Nessuno mi vuole.

EVELINA      -  Sciocchezze.

CLARETTA   -  E' così. Sono stata fidanzata tre volte.

EVELINA      - Ebbene?

CLARETTA   - Tutto andava bene. Finché non an­dammo a fare una passeggiata al parco municipale. Quando uscimmo dal parco, tutte tre le volte i miei fidanzati non vollero più saperne di me.

EVELINA      - E tu, a prossima volta, rifiutati di andare al parco.

CLARETTA   - Non posso. È più forte di me. Il verde, gli alberi, la natura…..Ho, che bello! Il guaio che quando sono sui prati non capisco più nulla.

EVELINA      - Ma Claretta, così non ti sposerai mai.

CLARETTA  - Lo so, signorina; perciò sono triste.

EVELINA      - Via, oggi non devi esserlo.

CLARETTA  - (di nuovo allegra)  Certo. Non vorrei mai rattristare la signorina in una giornata come questa.

EVELINA      -  Brava! Sei così giovane.

CLARETTA   -  La gioventù non serve. Ci vuole fortuna. Lei, per esempio, ne ha tanta.

EVELINA      -  Chi te l'ha detto?

CLARETTA   -  Tutti.

EVELINA      -  (colpita)  Ah, e cosa dicono?

CLARETTA   -  (esitante)   Veramente...

EVELINA      -  Parla. Parla pure. A me piace la verità.

CLARETTA  -  Che è stata proprio una bella fortuna, nella sua situazione, trovare ancora un

                           marito.

EVELINA      -  Dicono questo?

CLARETTA   - Sì. Ma è tutta invidia. Perché lei si mette a posto e sposa anche un bravo giovane.

EVELINA      -  E lo pensi anche tu?

CLARETTA   - (imbarazzata)  Certo, la mia opinione non conta. Ma anch'io penso che fa bene a siste­marsi.

EVELINA      -  Già. Hai ragione, Claretta.

CLARETTA   -  Lei e il signor Giovanni formano pro­prio una bella coppia.

EVELINA      -  Ti pare?

CLARETTA  -  Ma sì. Bellissima. Scusi. Hanno suonato.

(Esce a destra. Evelina va a guardarsi in uno specchio e si rassetta il velo. Claretta, rientrando) 

 C'è il cerimoniere.

EVELINA      -  Cosa?

CLARETTA   -  Ha detto così. E' tutto chic.

(Entra subito il cerimoniere. E' in frac)

IL CERIMONIERE – Mi scusi. Sono il cerimoniere inviato dall'agenzia a prendere gli accordi per la cerimonia.

EVELINA      -  Chi la manda?

IL CERIMONIERE  - (preoccupato)  Lo sposo. Perché c'è qualche contrattempo? Accade, a volte.

EVELINA      - Nessuno, dica pure.

IL CERIMONIERE  - Ecco. (Trae un foglio dalla tasca) Lo sposo propone: Marcia di Mendelssohn, nell'andare. (Accennando le note musicali)  Ta-ta-ta­tà.  E Bach, al ritorno: Tararà-tarà. Sta bene per lei?

EVELINA      - (divertita)    Tatatà? Benissimo.

IL CERIMONIERE  - (scrivendo sul foglio)    Bach. Baritono o tenore?

EVELINA      -  Cosa?

IL CERIMONIERE  - Preferisce che a cantare con l'organo sia un baritono o un tenore?

EVELINA      - Ma... c'è differenza?

IL CERIMONIERE - (didascalico)   Sfumature. Il ba­ritono commuove di più, per via delle note basse. (Canta due o tre note con voce baritonale)   Il tenore impressiona di più per via degli acuti. (Accenna una nota).

EVELINA      -  Lei, cosa suggerisce?

IL CERIMONIERE - (freddezza professionale)  Ba­ritono. Prende al cuore. Impossibile  resistere.

EVELINA      - Vada per il baritono.

IL CERIMONIERE -Pardon. (Con gesto improv­viso e rapido rassetta il velo sul capo di Evelina)  Voilà. Charmante.  (Altro tono)  E i paggetti?

CLARETTA     - Lo dicevo, io.

IL CERIMONIERE  - Non ci sono i paggetti?

CLARETTA  - No, signore.

IL CERIMONIERE  - Bene. Provvederemo noi. Ne abbiamo sempre un paio sottomano. (Scrivendo)  Due paggetti per sposa. Vestiti da angeli.

EVELINA      -  Angeli?  Con le ali?

IL CERIMONIERE  - Naturalmente. Trenta centi­metri di ali. Così. (Fa il gesto) E' la misura classica. Per misure più grandi si paga un supplemento.

EVELINA      - Senta. Non si potrebbe fare a meno... degli angioletti?

IL CERIMONIERE - Ha una pregiudiziale contro gli angeli? Capisco. Noi rispettiamo tutte le opi­nioni. Diciamo allora: due paggetti vestiti da scu­dieri. Spadino ò parrucca bianca.  Costume anonimo, e poco impegnativo.

EVELINA      - Ecco, è meglio.

IL CERIMONIERE  - Fatto. (Scrive) Ha preferenze per il mazziere?

EVELINA -     Per cosa?

IL CERIMONIERE  - Il mazziere, in uniforme, che apre il corteo. Regge in mano una lunga canna che agita con dolcezza. La canna può essere di ebano, avorio o malacca, come preferisce. Ce n'è di tutte le epoche. Secondo impero. Liberty. Luigi XV. O Rococò. Con lo stile della mazza varia naturalmente il costume.

CLARETTA   - Che bello! Anche la mazza.

EVELINA      -  Ma, dico, è proprio necessario?

IL CERIMONIERE  - Sì. Perché  il suo promesso sposo esige un matrimonio di prima classe. La nostra a­genzia è la migliore.

EVELINA      - (un po' seccata)   C'è altro?

IL CERIMONIERE - Sì. Le nozze di prima classe hanno diritto al coro.

EVELINA      - Il coro?

IL CERIMONIERE - E' una nostra gentile innova­zione. Si tratta di questo: per tutta la durata della cerimonia, dalla strada un piccolo coro di voci ro­buste grida ad intervalli regolari: « Viva gli sposi! ». Oppure : «Felicità » o anche « Figli maschi » a piacere.

EVELINA      - Figli maschi?

IL CERIMONIERE  - Se la signorina preferisce frasi, ecco l'elenco. (Trae di tasca un foglio). EVELINA         - Basta. Basta. Niente coro.

IL CERIMONIERE  - (deluso)    La signorina rinunzia al coro?

EVELINA      -  Sì.

IL CERIMONIERE -   Non crede sia meglio consultarsi col suo prossimo sposo?

EVELINA      - Mio marito non potrà che approvare.

IL CERIMONIERE - In tal caso... (S'inchina e fa per uscire).

CLARETTA   - (allegra)   Ecco lo sposo.

(Entra Gio­vanni. Elegantissimo, in tight, gardenia all'occhiello. Porta in mano, avvolti in tulle bianco, dei gigli)

GIOVANNI  - (ad Evelina.)      Buon giorno, cara.

EVELINA      -  Buon giorno.

CLARETTA   -  Tanti auguri, signore. Oh, come sta bene vestito così!

GIOVANNI   - (con superiorità)   Grazie, piccola. (Al cerimoniere) E' tutto pronto?

IL CERIMONIERE  -  Sì, signore. Soltanto la signo­rina non vuole il coro.

GIOVANNI   -  Se la signorina non vuole, abolite il coro. (Ad Evelina)   La tua volontà è legge, mia cara.

IL CERIMONIERE  - Peccato. Un coro così bene addestrato.

GIOVANNI              -   (secco)   Abolite il coro.

IL CERIMONIERE  - Sì, Signore.

GIOVANNI  - (ad Evelina)   Hai altri desideri?

EVELINA      - (intimidita)   No. Grazie.

GIOVANI      - Benissimo. (Al cerimoniere) Potete andare. E mi raccomando: la cerimonia deve riu­scire perfetta. Ve ne tengo responsabile.

IL CERIMONIERE  - Signore, la nostra agenzia ha sempre soddisfatto i suoi clienti.

GIOVANNI   -  E' quel che vedremo. Andate.

(Il ce­rimoniere esce)

CLARETTA   - (a Giovanni)  Oh, signore, com'è bravo lei. Sembra che si sia sempre sposato.

EVELINA      - Claretta, va' di là.

CLARETTA   - Sì, signorina.  (Sulla soglia, prima di uscire) Formano proprio una bella coppia.

                   

(Esce. Rimasti. soli, Giovanni ed Evelina si guardano con lieve imbarazzo)

GIOVANNI              - Mi scusi se poco fa le ho dato del « tu ».

EVELINA      - Oh, non si preoccupi.

GIOVANNI              - L'ho fatto perché non vorrei che Ia gente sospettasse la verità.

EVELINA       - (ridendo) Lei tiene molto al giudizio della gente?

GIOVANNI  -  Oh, sì.

EVELINA      -  Anche nel nostro caso?  Non siamo forse due disonesti?

GIOVANNI              - Oh, certo. Disonestissimi. Ma appunto per questo dobbiamo spargere sul nostro matrimonio un po' di belletto. Non avendo più virtù, dobbia­mo avere almeno il pudore, che è il colore della virtù.

EVELINA      -  E la gente crederà?

GIOVANNI  -  Oh, sì. Perché la virtù Interessa la morale. Cioè, quello che non si vede. Ma il

pudore interessa l'estetica. E tutti hanno occhi per vedere. Ecco perché ho voluto che lei si mettesse in bianco. E dovendo portarle i fiori che tutte le spose strin­gono in mano durante la cerimonia, ho scelto dei gigli. (Indicandoli) Ecco qua. Gigli. Capisce? Un po' di pudore.

EVELINA      - (prendendo i fiori)  Bellissimi. (Se li appunta al petto) Sì. Stanno molto bene.

                        Anch'io sto bene così vestita, vero?

GIOVANNI   -  Bellissima.

EVELINA      -  Anche se non sono un modello di ca­stità.

GIOVANNI   -  Ma lei dev'essere pudica, non casta. Chi le chiede di essere casta? Nessuno può preten­dere tanto dalle donne.

EVELINA      - Sa che lei parla molto bene?

GIOVANNI   -  Per carità, non prenda gusto a questa commedia. Non commetta l'errore che rovina tanta gente.

EVELINA      -  Quale?

GIOVANNI   -  D'innamorarsi della virtù. No, non si affezioni a codesto vestito. Io e lei                            recitiamo soltanto una parte. Una bella parte, se vuole. Ma tutto finisce qui.

EVELINA      - (romantica)  Certo che è una parte molto bella. (Va dinanzi a uno specchio ad

ammi­rarsi) Quando stornane Claretta mi vestiva, io sen­tivo che le sue mani                          toccavano quest'abito con una delicatezza insolita, una delicatezza trepida e affet­tuosa che mai le sue mani avevano avuto con tutti gli altri miei vestiti. E sì, che ne ho di bellissimi. Eppure Claretta conosce da mia situazione, sa che mi son divisa finora tra Marco e Matteo. Non im­porta. Oggi mi guardava con orchi nuovi. Ho letto benissimo in quegli occhi che per lei quest'abito nuziale cancella il mio passato. Capisce? Per Claretta io oggi « mi redimo ».

GIOVANNI  - Santo cielo! Ma Claretta è una serva. A cosa è riuscita nella vita, Claretta? A far la serva. Dunque, è squalificata per dare giudizi.

EVELINA      - Ma guardi su quel tavolo. Vede quel fascio di telegrammi? Tutti auguri e                          rallegramenti. Mi hanno scritto persino le mie amiche di collegio che da anni non mi scrivevano più. Lettere bellis­sime. Qualcuna persino commovente.

GIOVANNI  - E' stata in collegio? Vuol dire in « ga­lera »?

EVELINA      - Oh, no. Perché?

GIOVANNI   - Mi scusi. Ma, fra noi derelitti. il col­legio è la prigione.

EVELINA      - Sono stata in collegio. Dalle Orsoline. Il primo della città... una educazione rigida e perfetta. Eravamo molto ricchi un tempo. Poi mio padre fallì perché s'eraunito a un socio disonesto. Mori di dolore e di vergogna. E per mia madre comincio una vita di stenti. Dovetti lavorare an­ch’io. Oh, ne hanno cuciti di corredi queste povere dita! Mi sembra di avere ancora dinanzi agli occhi il riverbero del lume che divideva la mia testa da quella della povera mamma, mentre si cuciva fino a notte alta. E una vecchia pendola di famiglia rimava la nostra angoscia col suo eterno tic-tac. Finché un giorno non conobbi Marco e Matteo. Giunsero Insieme, come sempre. Erano venuti per cinque minuti. Si trattennero un'ora... la d cosa nacque così... Il giorno in cui aia madre scoprì la verità non ebbe nemmeno il tempo di rimproverarmi. Silenziosamente, discretamente com'era nel suo ca­rattere, se ne andò. Mi lasciò sola con tante camicie da rammendare.

(Una pausa)

GIOVANNI   - (allegro)   Lei, dunque, è povera come me. Ecco la più bella scoperta che abbia fatto finora.

EVELINA      -  Sì. Poverissima. Altrimenti come avrei potuto accettare una situazione simile?

GIOVANNI   -  Esatto. I poveri non possono discu­tere. Ecco perché ho accettato questa matrimonio assurdo. Ma lei, lei simile a me, questo non me l'aspettavo davvero. Mi dia la mano.

EVELINA      -  Che vuoi farne?

GIOVANNI   - Stringergliela. Stringergliela. I poveri devono salutarsi dovunque s'incontrino.

(Stringendo la mano di Evelina con calore) Salve, sorella. Eccoci qua, vestiti, truccati, imbellettati come i ricchi hanno voluto, disposti a tutte le finzioni, i compromessi, le viltà, per salvare questa nostra povera carne che ha bisogno di nutrirsi, di mangiare  ogni giorno, anzi due volte al giorno.

EVELINA      - (con pietà)   Ma lei soffre.

GIOVANNI  - (con uno sberleffo)   Soffrire? Ci man­cherebbe anche questo: che mi facessi prendere al laccio dal sentimento proprio adesso che sto per risolvere il mio problema quotidiano. No. La pietà, la tenerezza, le illusioni, sono trappole di cui i ricchi si servono per tenere buoni noi, i poveri. Grazie, no. Ho scoperto il trucco ormai; perciò, eccomi qua, vestito e parato a festa. E non ho voluto dimenti­care nulla. Guardi. fiori all'occhiello, guanti bian­chi, perla alla cravatta... ecco... (trae di tasca due anelli) ...gli anelli.

EVELINA      -  (un po' commossa)    Gli anelli.

GIOVANNI   -   Per carità, non s'intenerisca adesso su questi due aggeggi. Sono due pezzetti d'oro. Vede? Nulla più.

EVELINA      - (prendendoli e guadandoli)    Vi ha fatto incidere la data?

GIOVANNI  - Sì. Con i nostri nomi. Usa così, no?

EVELINA      - (leggendo i nomi degli anelli)   Giovanni.

GIOVANNI   - (leggendo a sua volta)    Evelina.

(Una pausa. I due si guardano : sono commossi. Ma Giovanniè il primo a scuotersi. Riprendendo gli anelli)

Per amore del cielo, non si commuova. Si asciughi gli occhi. (Prende dal taschino del tight il fazzoletto)

                       Ecco. Faccia presto, prima che arrivi gente.

EVELINA      - (si asciuga gli occhi e restituisce il fazzo­letto)   Grazie.

GIOVANNI  - (rimettendolo in tasca)   Là.   (Un po' commosso)   Le prometto di non usarlo più affinché conservi il più a lungo possibile la traccia di que­ste piccole lacrime. (Altro tono, beffardo)   Ed ora, per favore, mi aiuti.

EVELINA      - (con un certo abbandono)   Cosa devo fare?

GIOVANNI  - Si faccia un volto di circostanza. Sia­mo due sposi felici nel giorno in cui realizzano il loro sogno d'amore. Così deve vederci la gente. Su. (Evelina si erge sulla persona, rassettandosi il velo) Brava, così. Sente? Arrivano. (Spostandosi a sinistra) Ecco. Siamo pronti.

(Rimangono tutti e due in posa, immobili. Subito dopo entrano                        Marco e Matteo).

MARCO         - Buon giorno. Siete pronti?

GIOVANNI  - (immobile)   Prontissimi.

MATTEO       -  Ciao, Evelina. Come va?

EVELINA      -  Bene, caro.

MATTEO       -  E lei, signor Giovanni? Emozionato?

GIOVANNI  -  (impassibile)    Affatto.

MARCO         -  (a Giovanni)   Lei permette?

GIOVANNI  -  Prego.

MARCO         - (bacia sulla gota Evelina)    Tanti auguri,  cara. (Le dà un astuccio).

EVELINA      -  (sempre più. imbarazzata)    Grazie, Marco.

MARCO         -  Una sciocchezzuola. Tanto per festeg­giare l'avvenimento.

EVELINA      -  Voi mi confondete.

MARCO         - Via. Via. Non è il caso. Piuttosto fa' vedere come state insieme, tu e Giovanni. Su, Gio­vanni, si metta lì.

(Evelina e Giovanni si avvicinano, mettendosi in posa come per una  fotografia)

Benis­simo, che ne dici, Matteo?

MATTEO       - Un figurone.

(Una pausa quasi di im­barazzo. I tre uomini, immobili, guardano Evelina)

GIOVANNI    -  (improvvisamente)   Se preferiscono che io vada di là.

EVELINA      -  (pronta)   No.Perché?

GIOVANNI  -  I signori forse vogliono essere soli...

MARCO         -  Oh, no. Non occorre.

MATTEO       -  E poi, abbiamo tanto tempo.

EVELINA      -  (riprendendolo)    Matteo!

MATTEO       -  Che ho detto di male?

GIOVANNI  -  Il signor Matteo ha ragione. Io non conto. Facciano pure.

EVELINA      -  (con una lievissima irritazione) Ma lei oggi fa lo sposo. E si comporti, dunque, da sposo!

MARCO         -  (riprendendola)   Evelina!

EVELINA      -  Scusatemi: Forse sono nervosa.

MARCO         -  Anch'io sono nervoso. Per forza. In un giorno come questo. E tu, Matteo?

MATTEO       -  Beh, se vuoi saperlo, lo sono anch'io. Non vedo l'ora che tutto sia finito.

GIOVANNI   -  Un po' di pazienza, signori. Ogni cosa a suo tempo.

MATTEO       -  Ma quando si comincia?

MARCO         -  (a Giovanni)    Si aspettano i suoi testi­moni.

MATTEO       -  Dica, non c'è pericolo che non ven­gano?

GIOVANNNI           - Impossibile. Qui c'è da mangiare bene... non capita tutti i giorni. (Un movimento verso destra. Giovanni guardando fra le quinte) Che vi dicevo?  Eccoli. 

(Entrano i due testimoni, corret­tamente vestiti di nero)

PRIMO TESTIMONE - (ad Evelina)   Signorina, in questo giorno felice, accolga, la prego...

SECONDO TESTIMONE - (continuando)  ...l'espressione più sincera delle nostre felicitazioni.

EVELINA      -  Grazie, signori.

PRIMO TESTIMONE  - Anche a te, Giovanni.

GIOVANNI  - Grazie, amici.  (Presentando Marco e Matteo)   I testimoni della sposa.

PRIMO TESTIMONE  - Piacere.

SECONDO TESTIMONE  - Piacere.

MARCO         - Piacere.

MATTEO       -  Piacere. 

(I quattro testimoni si inchi­nano e si stringono le mani tornando poi                             ai loro posti come in una quadriglia. Una pausa. Entra il cerimoniere in frac)

IL CERIMONIERE  -  I signori sono pronti?

GIOVANNI  -   Sì.

IL CERIMONIERE  - Allora, cominciamo.

(Batte le mani come ad un segnale di scena ed entra un gio­vane vestito di scuro. Indicandolo)   Il mio aiuto. 

(Il giovane s'inchina rigido e muto. Il cerimoniere ora da i comandi secchi come un colonnello alle grandi manovre).  

Corteo!  

(L'aiuto silenziosamente dispone i due sposi innanzi, a braccetto)   Testimoni della sposa. 

(L'aiuto colloca Marco e Matteo dietro gli sposi)  Testimoni dello sposo. 

(L'aiuto colloca gli altri due testimoni ancora dietro. Il cerimoniere batte tre volte le mani)  

I paggetti!  

(Entrano due paggetti vestiti da cavalieri del Settecento. L'aiuto li colloca dietro la sposa, porgendo ai due bimbi il velo nuziale di Evelina).

CLARETTA  -  Che bello!

IL CERIMONIERE - (secco)  Silenzio.

(Batte ancora le mani. Entra l'organista, un omettino che si inchina) Mendelssohn.

(L'organista si inchina ancora. ed esce. Il cerimoniere batte ancora le mani)   Il mazziere!  

(Entra un omone vestito da palafreniere, in polpe e  parrucca bianca con una vistosa divisa rossa e feluca.. E' il mazziere, stringe in pugno un lungo bastone riccamente bardato. Va a disporsi, silenzio­samente, innanzi agli sposi)   Pronti? Avanti.  

(Il maz­ziere batte tre volte con il bastone per terra e poi lentamente si muove, seguito dal corteo. Contempo­raneamente dall'interno un  suono di organo. E' la « Marcia nuziale » di Mendelssohn. Il corteo si muove e gira per la scena).

                        

GIOVANNI  - (un po' sottovoce ad Evelina)    Forza, sorella.

EVELINA      -  (stesso gioco)     Sì, forza.

MARCO         -  (ad Evelina)    Dicevi qualche cosa?

EVELINA      - Nulla, caro. Che è proprio un bel ma­trimonio.

(Il corteo esce di scena. Sul suono dell'organo cala la tela).

FINE SECONDO ATTO

ATTO TERZO

Quadro primo

(Stessa scena. Un'ora dopo. Al levarsi del sipario, scena vuota. Poi si odono da dentro, a destra, ap­plausi e grida di « evviva». Poco dopo entrano in scena Marco e Matteo in tight. Ogni tanto si udran­no, a destra, d. d. applausi e grida festose).

MATTEO       -  E' riuscito proprio tutto bene.

MARCO         -  Sì, una funzione bellissima.

MATTEO       -  E commovente, quasi.

MARCO         -  Quasi? Di' pure che a me è venuto da piangere.

MATTEO       -  Beh, allora se vuoi saperlo: anche a me.

MARCO         -  Lo vedi?

MATTEO       -  Sì. Non mi vergogno a confessarlo. Io, ai matrimoni, mi commuovo sempre. Questa vol­ta poi che si tratta di Evelina.

MARCO         -  Sfido, con quella musica! E i cori, i fiori, le candele, ah, son cose che ti prendono qui. (Indica lo stomaco).

MATTEO       -  Ad un certo momento ho quasi pen­sato che si sposassero veramente. E ne ho provato gelosia.

MARCO         -  Cosa vai a pensare.

MATTEO       -  Il fatto è che anche Evelina m'è parsa commossa.

MARCO         -  Sfido! Per una donna questa è la gior­nata più importante della sua vita.

MATTEO       -  Di', Marco, non ce ne vorrà, per Caso?

MARCO         -  Chi, Evelina? Figurati! Hai visto come si è voltata a sorriderci poco prima di dire il suo «sì »?

MATTEO       -  (perplesso)    Adir la verità non me ne sono accorto. (Una pausa. Inquieto) E adesso perché non se ne va tutta quella gente di là?

MARCO         -  Lascia che festeggino l'avvenimento e facciano onore al buffet. I matrimoni sono fatti anche per questo.

MATTEO       -  Sì, ma il matrimonio è una cosa seria e mi pare ... che abbiamo esagerato un po' noi due.

MARCO         - Ma se abbiamo fatto le cosetutti d'ac­cordo. No, sai cos'hai tu? Sei nervoso. Ecco tutto.

MATTEO       -  Forse hai ragione.

(Una pausa; d. d. anche silenzio)

MARCO         -   E adesso che succede? Perché stanno zitti?

MATTEO       -  Staranno mangiando.

(Una voce forte, d.d., col tono di un discorso).

IL TESTIMONE - In questo giorno solenne in cui i due sposi coronano finalmente il loro                           sogno d'amore...

MARCO         - (ridendo)   Ah; questa sì che è bella.

MATTEO       - Zitto, sentiamo...

(Stanno in ascolto)

IL TESTIMONE (d. d.) -...io voglio porgere alla coppia felice il mio saluto augurale e dire tutta l'espressione sincera dell'animo mio perché la frec­cia di Cupido...

MARCO         -  (risalendo la scena, ridendo)   Anche la freccia! E' troppo. Non resisto.

MATTEO       - Sì, effettivamente è un po' troppo. (Continua a parlare con Marco, mentre di tanto intanto si odono frasi staccate del testimonio).

MARCO         -  Però mi pare che siamo capitati bene con quel Giovanni.

MATTEO       - Sì, non c'è male. Io l'avrei preferito meno intelligente.

MARCO         - No. Uno sciocco, con idee ristrette, non si sarebbe mai adattato alla situazione e prima o poi avrebbe dato dei fastidi.

MATTEO       -  Sai che pensavo durante la cerimonia?

MARCO         -  Un'altra sciocchezza, certamente.

MATTEO       -  Che Evelina e Giovanni  formano pro­prio una bella coppia.

MARCO         -  E con questo?

MATTEO       -  Niente... Ma la constatazione mi ha turbato. Ecco.

MARCO         -  Sei nervoso. Te l'ho detto.

MARCO         -  Zitto. Mi par che venga gente.

MARCO         - (guardando a destra)    No. Son loro due.

MATTEO       - (can sollievo)   Ah, vuol dire che tutto è finito.

MARCO         -  Sì. Gli invitati stanno andandosene.

MATTEO       -  Meglio così.

(Entrano Evelina e Gio­vanni. Lei ancora in abito da sposa ma senza il                            velo. Lui in tight)

GIOVANNI   -  Scusateci. Ma proprio pareva che non se ne andassero più.

MATTEO       -  Si figuri, faccia pure concomodo!

MARCO         -  Piuttosto ci scusi lei, se ad un certo momento ci siamo allontanati.

GIOVANNI   -  Per carità. Sono in casa loro.

MARCO         -  Ebbene, Evelina, come va? Emozionata?

EVELINA      -   No. Solo un po' stanca.

MATTEO       -   Naturale. E' stata una giornata abba­stanza movimentata!

MARCO         -  Oh, sì. Sono cerimonie che stancano sempre.

MATTEO       -  Adesso ti metti a letto e fai una bella dormita.

MARCO         -  E domani ti alzi fresca e riposata.

GIOVANNI   -  Giusto.  Io intanto tolgo il disturbo.

MATTTEO     -  (con tono confidenziale)   Di già?

GIOVANNI              - Sì... la signorina... anzi, la signora è stanca... e... poi io devo andare. Devo prendere il rapido delle quattro. Ho già il biglietto. (Mostra il biglietto, traendolo dal taschino  del gilet)   Eccolo.

MATTEO       -  (guardandolo)   Linea Genova-Venti­miglia. Va in riviera?

GIOVANNI  -  Sì. Per qualche giorno.Poi mi sposto.

MARCO         - Senta, se passa da Alassio, scenda al « Principe ». Si sta benissimo. Una posizione in­cantevole.

MATTEO       -  Proprio sul mare.

GIOVANNI   -  (traendo di tasca un piccolo notes)   Prendo nota. « Principe ».

MARCO         -  Sì. Ci stemmo due anni fa con Evelina. E ci trovammo benissimo. Vero, cara?

EVELINA      -  Sì.

GIOVANNI  - (riponendo impassibile il notes)    Grazie dell'informazione. E se loro hanno bisogno di qualcosa, lettere da portare, commissioni da eseguire, di­spongano pure. Tanto, non ho nulla da fare.

MATTEO       - No, no. Si diverta. E non pensi ad altro.

GIOVANNI   - Come credono. E adesso, se permet­tono, vorrei proprio salutarli.

MATTEO       - (euforico)   Ma prima di lasciarci, dia­moci almeno del « tu ». In fondo, si può dire che siamo mezzo parenti.

GIOVANNI  - Molto onorato. Non osavo proporlo.

MARCO         - Ma sì, bravo Giovanni. Ti sei compor­tato benissimo. (Porgendogli la mano) Fa' buon viaggio e dimentica i guai.

GIOVANNI   -  Farò il possibile. (Stringe calorosamente la mano di Marco).

MATTEO       - (porgendogli a sua volta la mano)    E qualunque cosa ti accada, ricordati che qui hai sempre due amici.

GIOVANNI  - Grazie.

MARCO         -  Due? Ed Evelina non la conti?

MATTEO       -  E' vero. C'è Evelina. Beh, e tu, Eve­lina, non dici nulla a tuo marito prima che parta?

EVELINA      - (porgendo la mano a Giovanni)    Faccia, buon viaggio, signor Giovanni.

GIOVANNI   - Grazie, signora. (E si inchina a ba­ciare la mano).

MATTEO       -  Signora! Signore! Cos'è questa distan­za? Mi pare che vi potete dare anche del « tu ».

GIOVANNI - (a Matteo)   Tu permetti?

MATTEO       -   Ma sì.

GIOVANNI  - Anche tu, Marco?

MARCO         - Ma certo.

GIOVANNI   -  (con lieve imbarazzo)   Anche lei, Evelina?

MATTEO       - Tu, tu, capisci?

EVELINA      -  Sì, Giovanni, anche io ti faccio tanti auguri.

GIOVANNI   - Grazie. E... te li contraccambio.

MATTEO       - (ad Evelina)    Beh, se vuoi puoi dargli anche un bacio.

EVELINA      - (scandalizzata)   Matteo!

MARCO         - Ma sì. Chissà quando lo rivedrai. Hai ragione, Matteo.

MATTEO       - Un bacio d'addio. Su, Giovanni, ba­ciala.

GIOVANNI  - Non oso.

MATTEO       - Osa. Osa.

MARCO         - Se te lo diciamo noi!

MATTEO       - Sì. Bacialo, Evelina.

MARCO         -  Coraggio. Su.

(Giovanni si avvicina ad Evelina. I due si fermano l'uno di                             fronte all'altra mentre Marco e Matteo osservano divertiti il loro imbarazzo.                            Poi, Evelina porge timidamente la guan­cia a Giovanni che la sfiora con un bacio)

MATTEO        - Oh, ecco fatto.

MARCO         -  Benissimo.

MATTEO       -  Ed ora possiamo salutarci davvero.

GIOVANNI   -  Sì... allora... addio... (Si avvia verso la porta)

(Evelina, Marco e Matteo salutano contem­poraneamente).

MATTEO       -  Addio, Giovanni.

MARCO         -  Addio, Giovanni.

EVELINA      -  Addio, Giovanni.

MATTEO       -  E scrivici, qualche volta.

MARCO         -  Magari una cartolina.

GIOVANNI   - Sì, scriverò. (Ormai è sulla porta) Grazie, ancora di tutto. E di nuovo... addio.

                       

(I tre con intonazioni diverse)

MATTEO       -  Addio!

MARCO         -  Addio!

EVELINA      -  Addio!

(Giovanni scompare)

MATTEO       -  Simpatico.

MARCO         -  Proprio un bravo ragazzo. Vero, Evelina?

EVELINA      -  (riservata)   Sì.

MATTEO       -  E adesso... finalmente soli.

(D'improv­viso un gran rumore. Poi un urlo, di nuovo il ru­more di qualcuno che cade. Voci concitate di gente che accorre)

 

                         Che succede?

MARCO         - E' caduto.

EVELINA      - Giovanni!

(Marco e Matteo escono a destra, correndo. Evelina resta in                            scena, immobile, sconvolta, come incapace di muovere un passo. Di dentro                            si odono le voci concitate di Marco e di Matteo)

MARCO E MATTEO  -  E' caduto. E' ferito Presto. Bisogna chiamare un medico... Dev’essersi rotto la gamba... No, il femore... Evelina, Evelina, dove sei?

EVELINA      - (in scena, quasi a se stessa, come un fosco presagio)  Sposo che cade porta male!

Quadro secondo

(La stessa scena degli atti precedenti. Quindici giorni dopo. In scena è Giovanni, solo, seduto in una poltrona. Fuma e legge comodamente. Intorno a lui, un po' dovunque, libri e giornali. Una lunga pausa. Poi entra silenziosamente Claretta, la cameriera. E' vestita per uscire e stringe in mano una valigetta. Giovanni che è di spalle, non si accorge del suo ingresso e continua, assorto, la lettura. Cla­retta sta un po' a guardare silenziosamente, con espressione triste. Poi posa la valigetta, trae di ta­sca un fazzoletto e comincia a singhiozzare. Gio­vanni si volta di scatto, sorpreso).

GIOVANNI             -  Chi è? Ah, sei tu, Claretta?

(Cla­retta fa segno di sì, continuando a singhiozzare)

Perché piangi? 

(Claretta singhiozza più forte)

Eche significa quella  valigetta? Parti?

(Claretta fa segno di sì)

Edove vai?  

(Claretta fa segno con la mano che andrà molto lontano)

Insomma, vuoi ri­spondere? Lasci il servizio? 

(Claretta fa segno di sì)

Non sei contenta? Non ti trovi bene, qui?

(Cla­retta fa segno di sì)

E allora cos'è successo?  (Gri­dando)  Si può saperlo?

CLARETTA             -  (fra i singhiozzi)    E'tutta colpa sua.

GIOVANNI             -  (stupito)  Colpa mia? Ma di che?

CLARETTA             -  (c. s.)   Di tutto.

GIOVANNI             -  (esasperato)   Ma di tutto che cosa?

GLARETTA -  Di quello che è accaduto.

GIOVANNI -  Perdinci, ti vuoi spiegare? Cos'è accaduto?

CLARETTA             -  La signora m'ha scacciata.

GIOVANNI             -  Mi dispiace. Ma che c'entro io?

CLARETTA             -  E’ colpa sua. Dal giorno in cui s'è sposata, la signora è cambiata da così a così.

GIOVANNI             -  Non me ne sono accorto.

CLARETTA             -  Già. Lei se ne sta tutto il giorno lì, a leggere, o a giocare a carte. Ma me ne                           sono accorta io. E come! La signora trovava da ridire su tutto quello che                           facevo, mi rimproverava sempre, insomma sfogava su di me tutti i suoi nervi.                           E per finire, oggi, m'ha scacciata.

GIOVANNI             -  Sei sicura di non averlo meritato?

CLARETTA -  No, so quel che dico. Perciò prima di andarmene, voglio darle un consiglio.

GIOVANNI -  A me?

CLARETTA -  A lei, sì. (Confidenziale) Non trascuri la signora!

GIOVANNI -  Che intendi dire?

CLARETTA -  Cosa crede, che non mi sia accorta che dormite in camere separate? E che                           quando siete soli non vi scambiate nemmeno un bacio?

GIOVANNI             -  Brava. Tu ci spiavi.

CLARETTA -  Ma no. Voglio bene alla signora, anche se ora mi manda via, perciò l'ho                           osservata in queste due settimane. Perciò le dico: non la lasci sola, sia affettuoso                            con lei, la coccoli...

GIOVANNI   - (stupito)   Coccolarla?

CLARETTA   -  Ma sì. Le faccia delle tenerezze, sia carino, insomma non devo insegnarle io come ci si comporta con una sposina. Capisco che quella sua gamba la tiene immobile tutto il giorno su quella poltrona, ma santo cielo, c'è un limite a tutto e la notte nessuno la obbliga a dormire nel suo letto!

GIOVANNI   - (quasi divertito)    Claretta!

CLARETTA   - Claretta! Claretta. Sa cosa farei io, se fossi sua moglie e mi trascurasse così?

GIOVANNI   - (c. s.)   Cosa faresti?

GLARETTA -  Le caverei gli occhi.

GIOVANNI   -  Faresti questo?

CLARETTA   -  Certo. Piuttosto che star li tutte le notti come la povera signora a gelarmi sola

                       sola nel letto a ripetere : verrà o non verrà?

(Giovanni ride. Claretta si avvia  con la valigetta e giunta sulla soglia, dice) 

E un'altra cosa. Perché permette  che il signor Marco e Matteo vengano ancora in casa?

GIOVANNI  - Ma questa è casa loro!

GLARETTA  -  Ma lo sposo è lei!  (Prima di uscire) Perciò li cacci via. Tutt'e due. 

(Esce).

GIOVANNI   - (ride. Poi resta a guardare la porta dalla quale è uscita Claretta, e a poco a poco si oscura in viso, come colto da un pensiero. Volgendosi alla porta di sinistra che conduce alle camere interne chiama)  

Signorina. 

(Una pausa. Poi più forte)

                         Signorina!         

(Entra una graziosa ragazza in abito da infermiera)

LAURA         -  Ha chiamato?

GIOVANNI   -  Chiamato? Ho urlato. Dov'era lei?

LAURA         -  Di là. Vuole la medicina?

GIOVANNI  -  Me ne infischio.

LAURA         -  Tanto meglio. (Comincia a togliersi il camice da infermiera).

GIOVANNI   -  E adesso, cosa fa?

LAURA         -  Non vede? Mi spoglio.

GIOVANNI   -  Si spoglia? Dinanzi a me? E non si vergogna?

LAURA         -  (calma, continuando a togliersi il grem­biule)   No.

GIOVANNI   -  (gridando) Inaudito. E cos'ha intenzione di fare?

LAURA         -  (c.s.) Semplicissimo. Andarmene.(Ha finito di togliersi il grembiule e di sotto appare vestita in abito da passeggio)

GIOVANNI   -  (altro tono)   Ah, è vestita, di sotto!

LAURA         -  (stupita) E cosa credeva? Sono una ragazza onesta.

GIOVANNI   - (indifferente) Sonoaffari suoi. (Riprende le lettura disinteressandosi di Laura)

LAURA         -  (gli va vicino e gli butta grembiule sulle gambe)  Ecco. Tenga. Buon giorno.

                        (Fa per av­viarsi)

GIOVANNI   -  Ehi, un momento.

LAURA         -  (fermandosi)   Desidera?

GIOVANNI   -  Dove va?

LAURA         -  A casa.

GIOVANNI   -  E quando torna?

LAURA          -  Mai. D’ora innanzi, se vuole, si cerchi un’altra infermiera.

GIOVANNI   -  Lei non vuole assistermi più?

LAURA         -  No.

GIOVANNI   - (di nuovo gridando)  Santo cielo, avrò pure il diritto ad una spiegazione. Non è stata forse regolarmente pagata in questi quindici giorni?

LAURA         -  Sì.

GIOVANNI   -  Le ho forse usato qualche sgarbo?

LAURA         -  No.

GIOVANNI   - E allora, che significa tutto questo?

LAURA         - Lo chieda a sua moglie.

GIOVANNI   - Ah, si tratta di lei, dunque?

LAURA         - Sì.

GIOVANNI   - (divertendosi)  E che cosa le ha fatto?

LAURA         -  Che cosa non m'ha fatto, piuttosto. (Gio­vanni ride) C'è poco da ridere. Lei è il mio tren­tasettesimo malato, ma in nessuna casa sono stata trattata come qui.

GIOVANNI   - (bonario)   Si spieghi.

LAURA         -  Dispetti, insinuazioni, sgarberie. Sua moglie non m'ha potuto vedere dal primo momento. E tutto perché? Perché è gelosa come una gatta.

GIOVANNI  -  Gelosa, di chi?

LAURA         -  Di lei. Di chi dovrebbe esserlo?

GIOVANNI   -  Andiamo, signorina: lei è una ra­gazza di buon senso.

LAURA         - Non sono una stupida. E capisco benis­simo quando una donna mi odia.                            Osservi bene quel camice.

GIIOVANNI - (guarda il camice che ha sulle ginocchia)    Cos'ha di strano questo camice?

LAURA         -  Lì. Sul collo. E' tutto tagliuzzato.

GIOVANNI   -  Toh, è vero.

LAURA         -  (furente)  E' il secondo che trovo ridotto così. La signora si diverte con i miei

                          grembiuli. E non basta. Guardi questo. (Trae di tasca un faz­zoletto).

GIOVANNI   -  E' un fazzoletto. Grazioso.

LAURA         -  Già. I1 mio fazzoletto. Ma prima questo ricamo non c'era.

GIOVANNI   -  Cos'è?

LAURA         -  Un serpente. Capisce l'allusione? Il serpente sarei io che mi insinuo nelle case per sedurre i mariti.

GIOVANNI   -  Via. Lei è suscettibile.

LAURA         -  Ah, sì? E ieri sera sa cos'ho trovato nel mio letto?

GIOVANNI   -  (ornai divertito)   Un uomo?

LAURA         -  Lei ha voglia di scherzare. Un ferro da stiro. Proprio così.

GIVAANNI  -  Caldo?

LAURA         -  Ma no. Freddo. Come un pezzo di ghiaccio. Ho preso tanta rabbia che non    m'è riu­scito più di chiudere occhio tutta la notte.

GIOVANNI   -  Mi dispiace.

LAURA         -  Ah, le dispiace? Soltanto? Bene. Presenti i miei ossequi alla sua signora. E le

                          dica che se io sono un serpe, lei è una vipera. Buon giorno. (Si avvia).

GIOVANNI   -  Signorina, aspetti.

LAURA         - (fermandosi sulla soglia)  Una vipera. (Esce)                    

(Giovanni resta sorridendo a considerare il grembiule, pensando a qualche cosa. Entra Evelina)

EVELINA      - Buongiorno. Come va la gamba stamattina? (E si pone con indifferenza a                          rassettare i mobili, a raccattare le riviste da terra)

GIOVANNI   -  Meglio. Credo proprio meglio.

EVELINA      -  Può muoverla?

GIOVANNI   - Un po' più di ieri. Se continua così, domani o dopodomani spero di togliere

  il disturbo.

EVELINA      - (si ferma, capita. Una pausa. Poi riprende a lavorare) — Non bisogna fidarsi.

GIOVANNI   - Di che?

EVELINA      -  Dei miglioramenti. Le ricadute sono fatali.

GIOVANNI   -  E' una frattura. Non è una polmonite.

EVELINA      -  (volutamente. indifferente)  Non si sa mai. Per me può andarsene anche subito. Ma non glielo consiglio. Lei ha fatto una brutta caduta.

GIOVANNI   -  Sì. Ma ora sono guarito.

EVELINA      -  Non si sa mai. E poi qui non dà nes­sun fastidio.

GIOVANNI   -  Non vorrei che Marco e Matteo...

EVELINA      -  Chi? Loro? Ma se sono contentissimi.

GIOVANNI   -  Davvero?

EVELINA      - Ma sì. Prima che lei arrivasse non trovavamo mai il quarto per giocare a bridge. E certe sere, le assicuro, ci annoiavamo. (Adesso si è accorta del camice bianco che Giovanni ha sulle gambe) Cos'è quella roba?

GIOVANNI   -  L'infermiera se n'è andata.

EVELINA      -  Ah, come mai?

GIOVANNI   -  Lei non ne sa nulla?

EVELINA      -  Affatto. Comunque era una sciocca, smorfiosa, intrigante. Non si preoccupi. D'ora in­nanzi la curerò io. (Subito dandosi da fare)  Ecco, distenda bene le gambe. Aspetti. Le metto sotto un cuscino.

GIOVANNI  - (tentando di protestare)   Ma io...

EVELINA      -  Zitto. Lei faccia il malato.  Sa che ha bisogno di riposo? Ecco: le gambe qui.

                         Sta meglio adesso?

GIOVANNI   -  Ma io...

EVELINA      -  Niente. Niente. Parlare l'affatica Adesso le preparo la medicina. Aspetti, da quella finestra viene uno spiffero. E' meglio chiuderla. (Ese­gue) Ecco.                            Ed ora qualunque cosa le serve, non ha che da chiederla. No, non si faccia                            riguardi. A me piace curare la gente. Mio padre quando era malato, non                           voleva nessuno in camera, tranne me. Anche Marco e Matteo sono felici                           quando hanno la feb­bre perché ci sono io.

GIOVANNI   -  Evelina.

EVELINA      -  No. No. Non parli.

GIOVANNI   - (più forte) Evelina. Lei deve ascol­tarmi. Bisogna venir fuori da questa situazione.

EVELINA      - Quale situazione?

GIOVANNI   - La nostra. Lei mi intende benissimo.

EVELINA      - Le assicuro che non capisco.

GIOVANNI   - Davvero? E allora sarò chiaro. Tra noi è accaduto quello che io temevo.

EVELINA      - (categorica)   Fra noi due non è acca­duto nulla.

GIOVANNI  - Esteriormente, no. Infatti i nostri rapporti sono più che corretti. Ma dentro di noi c'è « qualche cosa » di nuovo.

EVELINA      - (indifferente)    Cosa?

GIOVANNI   -  Lei mi ama.

EVELINA      - (con eccessiva precipitazione)  No. Af­fatto. Cosa le salta in mente?

GIOVANNI   - E' così. E il male è che anche io le voglio bene, ora.

EVELINA      -  Lei? Non me ne sono accorta.

GIOVANNI   -  Evelina, non giochi con le parole. La realtà è questa: noi ci amiamo. Ed è un

                           grosso pa­sticcio.

EVELINA      -  (candida)  Perché?

GIOVANNI   -  Come, perché? Ma si rende conto che io sono un poveraccio?

EVELINA      -  (cambiando)   Che importa?

GIOVANNI   -  Eh, no. Importa a me. Tutta la vita ho atteso l'occasione per sistemarmi. Non me ne è andata mai bene una. Ed una volta che l'occa­sione è venuta, ecco che quella disgraziata caduta m'ha inchiodato su questa poltrona. Se non fossi caduto, a quest'ora sarei a Capri o sulla Costa Az­zurra. in un grande albergo a godermi in pace i quattrini di Marco e Matteo.

EVELINA      -  Lei è un cinico.

GIOVANNI   -  Non lo nego.

EVELINA      -  Un amorale.

GIOVANNI   -  Lo ammetto.

EVELINA      -  Un dissoluto.

GIOVANNI   -  E' vero.

 EVELINA      -  Ed io la detesto. La disprezzo. La odio.

GIOVANNI   -  No. Lei mi ama. Ed è questo i guaio. Perciò bisogna provvedere prima che sia troppo tardi, e accada quello che temo.

EVELLVA     -   Cioè?

GIOVANNI   - Che io  e lei finiamo a lesto insieme e Marco e Matteo ci buttino fuori a calci. EVELINA         -  Stia tranquillo, non tradirò mai i miei uomini.

GIOVANNI   -  Parole. La carne è debole, Evelina. E troppo tempo quei due ci lasciano soli

                         durante il  giorno.

EVELINA      -  Hanno i loro affari, l'ufficio. E poi si Fidano di noi.

GIOVANNI   -  Ma non mi fido io, ecco. E adesso che lei si è liberata anche dell'infermiera,

                          io ho proprio paura.

EVELINA      -  Le dispiaccio dunque tanto?

 GIOVANNI - Lei mi piace troppo. Questo è il pe­ricolo.

EVELINA      -  E cosa vuoi fare?

GIOVANNI   -  Scappare. Mettere fra me e lei almeno venti ore di treno.

EVELINA      - (con tono di leggero trionfo)   Lei non può ancora camminare. Non può andarsene.

GIOVANNI   -  Sì. Me ne andrò. Oggi stesso. In ba­rella, in lettiga, in ambulanza, comunque sia. Faccio sempre quello che voglio.

EVELINA      - (calma)   No. Lei non può muoversi. Deve restare qui.

GIOVANNI   - (supplice)   Evelina, rifletta. Da que­sta storia non ci venia nulla di buono.                         Lei si rovina e rovina me.

EVELINA      -  (allegra)   Davvero?

GIOVANNI   -  (c. s.)   Lei non conosce i dormitori pubblici. Non sa come si datine male in                            quei letti di tavole.

EVELINA      - Ci sono letti a due piazze?

GIOVANNI   - (gridando ancora di più)   No. Gli uo­mini sono divisi dalle donne.

                          Nessuna promiscuità.

EVELINA      -  Beh, andremo in albergo. Ho qualche soldo da parte.

GIOVANNI  - (furente)   Non accetto danaro dalle donne.

EVELINA      - (calma)   Sciocchezze! Quello che è della moglie è del marito.

GIOVANNI   - (c. s.)   Non siamo marito e moglie.

EVELINA      - (c. s.)   Come? E la funzione, l'organo,  Bach, i testimoni?

GIOVANNI   -  Falso. Falso. Lei lo sa. E' un matri­monio non consumato.

EVELLNA     -  Beh, lo consumeremo!

GIOVANNI   -  No. No. E poi no. Non mi lascio intrappolare. Non ci conti. Io sto ai patti.

                          Non vo­glio tornare a mendicare una minestra.

EVELINA      -  Non ce ne sarà bisogno. La minestra se la guadagnerà.

GIOVANNI   -  Come?

EVELINA      -  Lavorando.

GIOVANNI   -  Non voglio la­vorare. Non mi piace lavorare.

EVELINA      - ( dolce)   Lavorerai, caro. Lavorerai.

GIOVANNI   - E adesso perché mi dà del «tu »? Non le permetto.

EVELINA      -  Me venuto spontaneo. Forse perché litighiamo proprio come marito e moglie. GIOVANNI     -  No, non c'è stato nulla fra di noi che l'autorizzi a dare del tu.

EVELINA      - Non gridare. Possono sentirti.

GIOVANNI  - Basta. Me ne vado. Subito. (Tentando di alzarsi)  Ahi!  (E' quasi in piedi ma non riesce a camminare)  Mi aiuti. Mi dia il braccio.

EVELINA      - (senza muoversi)    No.

GIOVANNI  -  Almeno fino alla porta.

EVELINA      -  No.

GIOVANNI   -  Chiami la portiera!

EVELINA      -  No.

GIOVANNI   - Mi dia il telefono!

EVELINA      -  No.

GIOVANNI   -  Canaglia.

EVELINA      -  Sì.

GIOVANN    -  Vipera.

EVELINA      -  Sì.

GIOVANNI   -  Criminale.

EVELINA      -  Sì.

GIOVANNI   -  (ricade a sedere)  Eccomi qua. Prigioniero.

EVELINA      -  Non agitarti, caro. Può farti male.

GIOVANNI   -  Va' al diavolo.

EVELINA      -  Oh, mi hai dato del tu u finalmente!

GIOVANNI   -  Tu credi di giocarmi. Ti sbagli. Non finirà come tu pensi.

EVELINA      -  E' quel che vedremo.   

(Con calma pren­de zen ricamo, siede in una poltrona distante da Giovanni e comincia a cucire.  Una lunga pausa.  Evelina, banale, senza alzare gli occhi dal ri­camo)     

Se vuoi saperlo, dal giorno che ci siamo spo­sati. non sono più stata né con Marco né con Matteo.

GIOVANNI   - (è colpito, ma simula indifferenza)   Eh? Non m'interessa.

EVELINA      - (con tono leggero)   Certo, non è stato facile. Marco e Matteo sono esigenti.                           Ma ogni volta no saputo trovare delle buone scuse. Ora l'emicra­nia, ora la                          stanchezza. Una donna sa, se non vuole. Finalmente ho detto loro che non mi                          pareva bello finché tu eri qui sotto lo stesso tetto.   Ed essi, po­veri cari, si sono rassegnati.

GIOVANNI  - (divertito e sorpreso)  Ah, è così?

EVELINA      -  Proprio come ti dico.

GIOVANNI   - (altro tono)   Non m'importa nulla dei vostri rapporti. Non mi riguardano.

EVELINA      -  Al contrario. Riguardano proprio te. Sei o non sei mio marito?

GIOVANNI  - No.

EVELINA      -  Sì che lo sei. Almeno io, mi sento tua moglie. Sei stato tu a volere. che il nostro matri­monio Fosse Festeggiato con tanta solennità. Non è dunque colpa mia se la poesia di quel giorno ha svegliato qualcosa dentro di me. Qualcosa che non mi dà più pace... Ma adesso non so più che scusa mettere per respingere Marco e Matteo... Capisci?

GIOVANNI   - Ed è per questo che non vuoi che me ne vada?

EVELINA      - Anche per questo. (Pausa).

GIOVANNI  -  (con un sospiro)   Forse è destino che io debba finire i miei giorni in un dormitorio.

EVELINA      -  Non preoccuparti. Lascia fare a me.

GIOVANNI -  Per carità. Cosa vuoi fare?

EVELINA     - Ho una mezza idea.

GIOVANNI   -  Non completarla, ti prego. Lascia le cose così come stanno.

EVELINA      -  Non passo.

GIOVANNI   -  Perché?

EVELINA      -  Ti amo. Lo hai detto tu.

GIOVANNI   -  Accidenti!

EVELINA      -  Attento. Ci son loro.

(E indica verso la porta a destra. I due assumono un atteggiamento indifferente. Evelina butta un giornale a Giovanni)

 Fingi di leggere.

(Giovanni si immerge nella lettura del giornale. Evelina riprende ci cucire. Una pausa. Entrano Marco e Matteo. Hanno entrambi dei pacchettini)

MARCO         -  Buongiorno. Come va il nostro malato? (Si avvicina per dare un bacio ad Evelina, ma que­sta con grazia, volta la faccia sì che il bacio finisce sulla gota)

MATTEO       -  Salve, Giovanni. Come va? (Stessa sce­na e stesso bacio casto con Evelina)

GIOVANNI   -  Abbastanza bene.

EVELINA      -  Non è vero. Sta sempre lo stesso.

MARCO         -  Ah; Giovanni! Giovanni, non è bello mentire!

MATTEO       -  Già. Perché vuoi farci credere che stai meglio?

EVELINA      -  Perché vuole andarsene.

MARCO         -  Davvero?

EVELINA      -  Sì. Teme di dar fastidio.

MATTEO       -  Ma non dirlo nemmeno per scherzo. Non ci dài nessun fastidio, vero Marco?

MARCO         -  Nessunissimo.

MATTEO       -  Hai sentito? Guarisci pure con comodo. Le fratture sono lunghe e noiose.

MARCO         -  E pericolose per le ricadute, se l'osso non è ben saldato.

EVELINA      -  E' quello che gli dicevo anch'io.

MATTEO       -  Ascolta Evelina. Lei ha un sesto senso che la guida.

MARCO         -  E' vero. Dai retta ad Evelina. E poi ti manca forse qualcosa qui? Non hai

                           tutta l'assistenza e le cure di cui hai bisogno?

GIOVANNI   -  (controvoglia)   Sì.

MATTEO       -  Ti è forse stato usato qualche sgarbo?

MARCO         -  Ci siamo forse lamentati?

GIOVANNI   -  (c. s.)   No.

MATTEO       -  E allora!

MARCO         -  E dunque!

EVELINA      -  Cos'avete in quei pacchetti?

MATTEO       -  (sorridendo)  Nulla che ti riguardi.

MARCO         -  E' tutta roba per Giovanni.

GIOVANNI   -  Per me?

EVELINA      -  Tutto per lui?

MATTEO       -  Certo. Il malato è lui.

MARCO         -  E' lui che bisogna distrarre.

MATTEO       -  (aprendo i pacchettini, a Giovanni)   Ecco qua: i romanzi che hai chiesto, il rasoio, le sigarette..

MARCO         - (aprendo a sua volta i propri pacchetti)  L'accendisigaro, i cioccolatini, le cravatte.

GIOVANNI   -  (esplodendo)  E' troppo. Basta!

MATTEO       -  (stupito)   Che c'è?

MARCO         -  Cos'hai?

GIIOVANNI             -  (c. s.)  Io voglio dirvi...

EVELINA      -  (intervenendo)    Vuoldirvi che vi è molto grato. E voi lo confondete con le vostre at­tenzioni.

MATTEO      - Sciocchezze.

MARCO         -  Cosucce.

MATTEO       -  Siamo noi che dobbiamo ringraziarti...

MARCO         -  (continuando) ... della buona compagnia che ci hai fatto in  questi quindici giorni.

MATTEO       -  Sì, abbiamo trascorso delle belle ore, insieme, vero, Evelina?

EVELINA      -  Sì, Matteo.

MARCO         -  Giovanni, dovresti scrivere quello che racconti. Avresti un grande successo.

MATTEO       - (a Marco)  E poi, come gioca a carte! Si direbbe che non abbia fatto altro in vita sua!

MARCO         - (a Matteo)  E le storielle, le storielle che conosce? Com'era quella dei due sposini?

MATTEO       -  Ah. I due sposini! Formidabile. (Ride) C'era in una camera d'albergo...

EVELINA      - (rimproverandolo)   Matteo!

MATTEO       - (a Evelina)   Sì. Hai ragione. Detta da Giovanni è un'altra cosa. (A Marco)

                          E quella degli ebrei a Hollywood?

MARCO         - (ride forte)  Ah, quella! Straordinaria. (Marco e Matteo ridono insieme sempre di più) 

                        Sei Grande, Giovanni.

MATTEO       -  E stasera, che ci racconti di bello?

GIOVANNI   -  Scusatemi, ma sono un po' stanco.

MATTEO       -  Peccato. Oggi, in ufficio, pensavo : « Passasse presto il tempo! Almeno vado a casa e Giovanni mi diverte un po’ ».

MARCO         -  Toh, proprio quello che pensavo io!

GIOVANNI   -  Siete gentili. Ma stasera non ne ho voglia.

MARCO         -  Non importa. Domani.  

(I quattro sono seduti ora in circolo come in un quadro familiare,

GIOVANNI   - Domani non sarò più qui.

MATTEO       -  No?

GIOVANNI   - (conclusivo)  No.

MATTEO       - (timidamente)    Te ne vuoi proprio andare?

GIOVANNI   -  Sì.

MARCO         -  Come vola il tempo!

MATTEO       -  Ci scriverai almeno qualche volta?

GIOVANNI   -  Credo di sì.

MARCO         -  Se ti trovi a passare da queste parti, verrai a farci una visita?

GIOVANNI   -  Naturalmente. Ma non so quando tornerò. Ho tanti posti da vedere!

MARCO         -  Già. Hai diritto di divertirti per tutto il tuo tempo!

MATTEO       -  Già.

(Una pausa. I quattro si guardano malinconicamente. Matteo per dissipare                       l'atmosfera)  

                        Beh, se è proprio l'ultima sera, stiamo allegri.

MARCO         -  Giusto. Sturiamo una bottiglia.

MATTEO       -  E' un'idea. E brindiamo ad nostro quar­tetto.

MARCO         - (va al bar e prende una bottiglia) Chissà quando potremo stare ancora insieme.

MATTEO       -  (a Giovanni)  Non dubitare: ti ricor­deremo spesso con Evelina.

EVELINA      -  (calma)  Non ce ne sarà bisogno. Lo ricorderete voi.

MARCO         -  (stupito)  E tu, no?

EVELINA      -  No. Perché non ci sarò.

MATTEO       -  E dove sarai?

EVELINA      -  Andrò via con lui domani.

MATTEO       -  Non capisco.

MARCO         -  Evelina, cosa dici?

GIOVANNI   -  Non le badate. Scherza.

MARCO         -  Ah, è un gioco, Giovanni?

MATTEO   - Una nuova storiella? (Come chi si accinge a un divertimento inatteso) Benissimo. Come si gioca? Che significa?

EVELINA       - (sempre calma)  Significa che Giovanni  è il mio amante.

MATTEO       -  Evelina!...

MARCO         -  I1 tuo?...

GIOVANNI   -  Non  le date retta. Vuol dire marito.

MATTEO       -  Ah, già, tu sei il marito.

MARCO         -  Spiritoso. Giovanni il marito che... (Ride) Bellissimo. Divertentissimo.

EVELINA      -  (calma)  Perché ridi?

MARCO         - (tornando serio)  Non si tratta di una battuta di spirito?

EVELINA      - No.

MARCO         - Allora, se vuoi spiegarmela, perché questa proprio non la capisco.

EVELINA       - (sillabando)   Lui è ilmio amante. Marito e amante.

GIOVANNI   -  Signorina Evelina, non le permetto...

MATTEO       - (bonario)   Un momento, Giovanni. Lascia che Evelina si spieghi.

EVELINA      - (irritata) Insomma, come devo dirvelo? Io e lui... siamo andati a letto insieme.

GIOVANNI    -  Non è  vero. Non è vero. Mente.

EVELINA      - (dolce)   Perché vuoi negarlo, caro? Tanto, prima o poi verrebbero a scoprirlo.

GIOVANNI   -  Non è vero. E' un suo trucco. Una trovata. Protesto.

MATTEO       -  Marco, hai sentito?

MARCO         -  Ho sentito, Matteo.

(Giovanni spia an­siosamente ora Marco ora Matteo)

MATTEO       -  E ci credi?

MARCO         -  Che vuoi che ti dica? Mi sembra enorme.

GIOVANNI  -  Ecco. Proprio così. Enorme. Assurdo. Non è vero.

EVELINA      -  Volete i particolari? Benissimo. E' andata così. Tre sere fa, quando tardaste                            a rincasare...

MARCO         -  E' vero, siamo tornati tardi.

GIOVANNI   -  C'era l'infermiera. C'era l'infermiera. Ci avrebbe visti.

EVELINA      -  Lo sai benissimo, caro, che l'infermiera era andata già a dormire, dopo averti messo a letto. Poi tu mi chiamasti, e quando mi sono avvicinata, tu hai cominciato  col prendermi una mano... poi...

GIOVANNI   - (gridando)    Inventa... inventa... non è vero.

EVELINA      - (imperturbabile, continuando) — ... mi hai attirato verso di te e hai cominciato a  baciarmi...

GIOVANNI  -  Tutto falso. Tutta falso. Mente.

EVELINA      -  (c. s.) … Mentre mi ripetevi : Evelina, Evelina, ti amo e devi essere mia.

MARCO         -  (ad Evelina)    E tu?

EVELINA      -  Cosa volete? Era così supplichevole, così insistente…

MARCO         -  Giovanni, tu hai fatto questo?

GIOVANNI  -  No.

MATTEO       -  Evelina, tu hai fatto questo?

EVELINA      -  Sì.

MARCO         -  A chi devo credere?

GIOVANNI   -  A me. A me. Diamine!

EVELINA      -  A me, Marco. Vi ho forse mai mentito?

MARCO         -  E' vero. Non ha mai mentito.

MATTEO       -  (perplesso)   Sarebbe la prima volta.

EVELINA      -  E poi, perché lo farei?

MARCO         -  Già. Perché?

EVELINA      -  Voi, certo non mi perdonereste di aver tradito la vostra fiducia.

MATTEO       -  (poco convinto)    E' vero. Non ti perdoneremmo.

EVELINA      -  E mi scaccereste di casa.

MARCO         - (anche lui perplesso)  Già. Se fosse vero, dovremmo scacciarti di casa. E anche lui. Tu e lui.

GIOVANNI  - Ed è proprio questo che vuole. Non capite? Non lasciatevi prendere a1 suo                           gioco: Marco, Matteo, voi siete uomini, siete intelligenti. Non fa­tevi mettere nel sacco.

MARCO         -  Un momento. Tu, Evelina, insisti nel dire che tu e lui...

EVELINA      -  Sì.

MATTEO       -  Lo giureresti?

EVELINA      -  Lo giuro.

MARCO         -  (esplodendo)   Ma allora è vero.

EVELINA      -  Ma se è un'ora che ve lo dico.

MATTEO       -  Ma allora Giovanni sarebbe un ma­scalzone!

GIOVANNI   - (rassegnato) Ci siamo. Dormitorio, ti rivedo!

MARCO         -  Zitto, tu, Con te faremo i conti dopo. (A Evelina) E perché non ti sei ribellata,

                            perché non lo hai respinto? Perché? Parla.

EVELINA      -  (candida)   Mi faceva così pena.  A letto, malato, solo.

MARCO         -  Questo non basta. Non ti giustifica.

EVELINA      -  (c. s.)   E poi, diceva certe parole...

MATTEO       -  (furioso)  Che parole?

EVELINA      -  « Evelina, con me non è peccato! Siamo marito e moglie ».

GIOVANNI  -  Io?

MARCO         -  Ah, siete marito e moglie?

EVELINA      - (innocente)   Non è forse vero?

MATTEO       -  Ma se una donna non vuole, l'uomo non può. Perché non sei fuggita?

MARCO         -  Perché non hai gridato?  Chiamato l'in­fermiera?

EVELINA      -  Non potevo.

MARCO         -  Ti ha usato violenza?

EVELINA      -  Non potevo.., perché anch'io volevo.

MARCO         -  Cosa, volevi?

EVELLNA     -  Stare con lui.

MATTEO       -  Tu? E perché?

EVELINA      -  Perché gli voglio bene.

MARCO         -  A lui?

EVELINA      -  A lui.

GIOVANNI   -  Addio.

MARCO         -  Insomma, adesso vorresti farci credere che non è stato solo per pietà, ma per affetto.

EVELINA      -  No.

MARCO         -  Ah, no?

EVELINA      -  Per amore.

MATTEO       -  Inaudito. Adesso ti sei messa anche a volergli bene?

EVELINA      -  No. Lo amo.

MARCO         -  Anche lui? Come noi due?

EVELINA      -  No.

MATTEO       -  No?

EVELINA      -  No. Adesso a voi due voglio bene soltanto. Lui lo amo.

MARCO         -  Lo ami?

EVELINA      -  Sì. Tanto.

GIOVANNI   -  Ho sentito.

MATTEO       -  E cosa rispondi?

GIOVANNI   -  Fate voi.

MARCO         -  Eh?

GIOVANNI   -  Buttatemi fuori. Picchiatemi; denun­ciatemi. Fate quello che volete. Tanto io                             so quello che m'aspetta. E so già quello che diranno gli amici nel vedermi                            riprendere  il mio posto nella fila. Oh, era troppo bello perché durasse.

EVELINA      -  Al dormitorio tu non ci torni.

MARCO         -  E gli dai anche del « tu »?

EVELINA      -  Sì. Lo amo. Non ve l'ho detto?

MATTEO       - (ad Evelina) Adesso capisco perché dal giorno che l'hai sposato, ogni volta che io... mi di­cevi che avevi l'emicrania.

EVELINA      -  Sì. E' per questo.

MARCO         - (a Matteo)  E con me? Anche con me.

MATTEO       - (a Marco)   Mal di capo?

MARCO         -  No. Mal di denti.

MATTEO       - (a Evelina)   Insomma ci hai preso in giro. Anzi ci avete preso in giro tutti due.

GIOVANNI  - (rassegnato) Per me, ve l'ho detto; fate come credete. Se preferite, picchiatemi. O vi piace più buttarmi fuori a calci?

MARCO         -  Certo che ti buttiamo fuori. E subito.

EVELINA      -  Bene. Se buttate fuori lui, cacciate anche me. Perché io vado dove va lui.

GIOVANNI   - (a Evelina)   No. Te l'ho già detto. Con me non vieni. Povero, ma solo, almeno.

EVELINA      -  Non puoi respingermi. Sono tua mo­glie. Ti farò arrestare.

GIOVANNI  -  (a Marco e Matteo)   La sentite? E' questa la vostra Evelina?

MATTEO       -  Evelina, non ti riconosciamo più.

MARCO         -  Come puoi parlare a noi, così, tu?

EVELINA      -  Non è colpa mia. Non sono stata io a voler tutto questo. Siete stati voi due ad                                                     organiz­zare tutto.

MATTEO       - Ma tu eri d'accordo.

EVELINA      -  La so, Matteo. Ed io ho accettato ap­punto perché vi volevo bene. E quel che più mi rattrista oggi è proprio il dover dare un dispiacere a voi due. Per nulla ai mondo  avrei valuto farvi del male. Forse se Giovanni fosse partito subito, il giorno stesso che l'ho sposato, adesso non saremmo a questo punto, Ma lui è caduto per le scale.

GIOVANNI   -  Sta a vedere che adesso la colpa è mia se son caduto.

EVELINA      -  No, Giovanni. E' stato il destino a darti la spinta. Proprio per fermarti qui.                            E far ri­flettere me.

MATTEO       -  Finiamola con queste storie.

MARCO         -  Sì. Tu, Evelina, resterai con noi. E. lui se ne andrà.

MATTEO       -  Farse, col tempo. potremo anche perdonarti. Vero, Marco?

MARCO         -  Sì. Col tempo. E se sarai buona.

EVELINA      -  Mi dispiace proprio, Marco e Matteo. Ma se lui se ne va io non posso restare.                           La  « cosa»  è cominciata quel giorno in chiesa. Quella musica, quei fiori, il mio abito bianco, la gente che ci guardava commossa... Vicino a me, all'uscita, una vecchietta disse: «Una bella coppia. Stanno bene in­sieme».

MATTEO       -  Non l'ho sentita.

EVELINA      -  L'ho udita io, Matteo... Io uscii fuori a1 suo braccio, già turbata.., e tuttavia,

                          forse tutto sarebbe finito lì... ma dopo lui è caduto... e allora...

MARCO         -  Allora,un corno! Tutti possiamo cadere per le scale.

EVELINA      -  E' vero, Marco. Ma io sono supersti­ziosa. E lo sposo che cade porta male.

MATTEO       -  Insomma, dovremmo rinunciare a te?

EVELINA      - (dolce)   Sì,Matteo. Siete ricchi e vi sarà facile sostituirmi. Lui, invece, è di nuovo po­vero e chi volete che si occupi di lui, se non sua moglie?

GIOVANNI   - (ostinato)   Son sempre vissuto solo. Non ho bisogno di nessuno.

EVELINA      -  Vedete? E' proprio un bimbo ostinato. Non vi fa pena?

MATTEO       -  No.

MARCO         -  No.

EVELINA      -  A me, sì. Tanta. E tenerezza anche. Perciò bisogna proprio che lo segua.   Naturalmente non porto via nulla di vostro. Mi bastano questi cinque anni felici passati insieme. Non li dimen­ticherò mai.

MATTEO       - (a Marco)   Insomma, è proprio un benservito!

MARCO         -  Mi pare di sì.

MATTEO       - E ce lo siamo combinato proprio con le nostre mani.

MARCO         - Veramente l'idea del matrimonio è ve­nuta a te.

MATTEO       - Ma tu l'hai accettata.

MARCO         -  Sì, ma tu...

EVELINA      -  Adesso non litigate. A che servirebbe?

MARCO         - (scoppiando) Ma io ce l'ho con lui... (Indica Giovanni) E' stato lui a sedurre Evelina, lui a tradire la nostra fiducia, a mancare ai patti. Non so chi mi tenga dal picchiarlo.

GIOVANNI   -  Sfogatevi pure. Picchiatemi.

MARCO         -  (gli va incontro furioso)    Ah, sì?

EVELINA      -  (gridando)   Marco! Non picchiarlo. E' malato.

MARCO         -  (fermandosi)   E chi lo picchia?

GIOVANNI   -  Matteo, picchiami tu anche per Marco.

MATTEO       - (a Giovanni)  Detesto la violenza, io! E poi non potrei perché, nonostante tutto, non mi sei antipatico.  Ed è questo che mi fa più rabbia: ti guardo, immagino te ed Evelina insieme, vorrei odiarti e invece penso : adesso se ne andranno e ricomincerà la noia delle serate vuote quando io Marco prima di conoscere Evelina, sedevamo per lunghe ore a guardarci in faccia senza scambiar una parola.

MARCO         - (arrabbiandosi) Che c'entra questo, ora?

MATTEO       -  E' la verità, Marco. Non ricordi? E a Idra eravamo più giovani, almeno. Ci piaceva uscire, divertirci... Che sarà di noi adesso che Evelina c ha dato il gusto della casa, dell'intimità domestica e le ore più belle le abbiamo passate qui?

EVELINA      -  Mi dispiace, Matteo. Perché non ti sposi?

MATTEO       - (scattando)   Non parlarmi di matrimonio

EVELINA      - (c. s.)   Sbagli. Saresti un ottimo marito.  E anche tu, Marco.

MARCO         -  (anche lui arrabbiato)  Vuoi prendermi in giro? Smettila.

EVELINA      -  E allora non so proprio cosa suggerire  (Deponendo il lavoro che sta cucendo) E adesso bisogna che mi prepari. Faccio presto.

MATTEO       -  Che vuoi fare?

EVELINA      -  Se bisogna andare, è meglio stasera che domani. Gli addii sono sempre penosi.  E passeremmo tutti quattro una notte agitata, pensando a quo che ci attende domani. No, meglio subito.

MATTEO       -  Perché tanta fretta? Lui non si può muovere ancora! (Indica Giovanni).

EVELINA      -  Telefonerò per un'automobile. E fin giù c'è l'ascensore.

GIOVANNI  -  Sì. Ha ragione Evelina. Basta che voi due mi portiate fino all'ascensore.

                           Poi ci arrangeremo.  Evelina... di là c'è il mio cappotto e il cappello.

EVELINA      -  Sì. Penso io. Intanto telefono per un  auto. (Va verso il telefono).

MATTEO       - (che intanto è andato incerto verso la finestra)    Piove!Sta piovendo a dirotto!

MARCO         - (quasi  allegro, andando anche lui verso la  finestra)    E' vero. Piove.

MATTEO       -  E' proprio un acquazzone. E non ha l'aria di smettere per un pezzo.

MARCO         - (indicando fuori la finestra a Matteo)  E' vero. Vedi laggiù tutte quelle nuvole

                       che avanzano? Eh, no, questa è pioggia che dura!

MATTEO       -  (voltandosi verso Evelina)    Portarlo fuori in quelle condizioni sarebbe un                             vero rischio.

MARCO         - Oh, sì. Sarebbe una vera imprudenza

EVELINA      -  Beh, un po' di pioggia non può nuocergli.

MATTEO       -  Ma la sua gamba ne risentirà. Vuoi rovinarlo?

MARCO         -  Aspetta, Evelina. Aspetta almeno che finisca.

MATTEO       -  Ma sì, un'ora prima o un'ora dopo no cambia nulla.

MARCO          -  Sì... E' vero. L'ho letto.

EVELINA      -  Non possiamo far tardi. Dobbiamo an­cora cercarci l'albergo.

MARCO         -  L'albergo?

EVELINA     -  Ma sì. Per stanotte. Domani poi  cercheremo una pensioncina economica.

MATTEO       -  E ti pare facile? Di questi tempi! Vero, Marco?

MARCO         -  Figurati. Vi strozzeranno. E chissà come vi tratteranno male.

MATTEO       - Tu poi che sei così delicata di stomaco. A mangiare la robaccia delle pensioni.

                       (A Giovanni)  Sai che anni fa è stata molto male?

GIOVANNI  -  Davvero?

MATTEO       - Sì. Tifo. Perdette anche i capelli. Da allora deve usarsi molti riguardi.

MARCO         - (a Giovanni)   Ed è anche debolina di fe­gato. Le occorre una dieta speciale.

EVELINA      -  Beh, mi curerò.

MATTEO       -  Son cose che si dicono. Ma lo sai che non sei costante.

MARCO         - (spiegando a Giovanni) Sì. Inizia una  cura e poi non la continua.

GIOVANNI  -  Davvero?

MATTEO       -  E' così. (A Evelina)  Oggi, per esempio, le hai preso le gocce?

EVELINA      -  Quali gocce?

MARCO         -  (a Giovanni)   Vedi, non se ne ricorda  già più.

GIOVANNI  -  Ah, Evelina, Evelina!

MATTEO       -  Ti dico io: è proprio una ragazzina sbadata. Bisogna starle dietro come can i bambini. Prendi la medicina. Prendi la medicina.

EVELINA      - (ridendo)   Questa, poi!

MARCO         - (ridendo anche lui)   Sì. Se prendi la  medicina ti diamo la caramella.

GIOVANNI  - (ridendo più forte)  La caramella? Eh, questo mi ricorda una storiella.

MATTEO       - (allegro)   Una storiella? Sentiamo.

GIOVANNI   -  Quella della bimba che passa davanti alla pasticceria... la conoscete?

MARCO         -  No... No... racconta.

GIOVANNI              - Ecco. Una volta una bimba...

MATTEO       - (a Giovanni)    Senti, perché mentre ce la racconti non facciamo una partitina?

MARCO         -  Ottima idea. Bravo, Matteo! (A Evelina)  Dove sono le carte?

EVELINA      -  Dovrebbero essere qui. (Le cerca in un mobile)   No. Non ci sono. Forse sono di là.

MATTEO       - (pronto)   Non disturbarti. Vado a cer­carle io.

MARCO         - Vengo anch'io. Quattr'occhi vedono meglio di due.

(Escono tutti due quasi in fretta)

(Appena sono usciti Giovanni si alza dalla poltrona muove alcuni passettini  veloci per la stanza ed ese­gue alcune flessioni sulle gambe fra l'attonito stupore di Evelina)

EVELINA      - (con un grido subito soffocato)   Gio­vanni, ma tu...

GIOVANNI  -  Sì, io...

EVELINA      -  E la gamba? Il femore?

GIOVANNI   -  Mai rotti.

EVELINA      -  E la caduta?

GIOVANNI  -  Ho lavorato in un circo equestre.

EVELINA      -  E il medico?

GIOVANNI   -  Siamo d'accordo. L'ho pagato.

EVELINA      -  Canaglia!

GIOVANNI   -  Sì.

EVELINA      -  Ma allora tu...

GIOVANNI  -  Sì. Ti amo.

EVELINA      -  E adesso?

GIOVANNI  -  (rassegnato)   Lavorerò.

EVELINA      - Attento. Eccoli!

(Giovanni torna rapi­damente sulla poltrona. Prima di entrare                          Marco e Matteo bussano alla porta)  

Avanti.

MATTEO       - (entrando)   Ecco le carte.

EVELINA      -  Perché avete bussato?

MATTEO       - (imbarazzato)   Non so. M'è venuto così...

MARCO         -  Sì... Anch'io, così.... senza pensare.

MATTEO       -  E adesso giochiamo. (Prendendo posto)  Siedi, Evelina.

EVELINA      -  No. Intanto che distribuite le carte vi preparo un buon cocktail.

MARCO         -  Brava.

MATTEO       -  Allora, a te le carte, Giovanni.

MARCO         -  Com'era quella storiella?

GIOVANNI  -  Ah, subito.

EVELINA      -  (che è andata verso la finestra)   E piove ancora!

MARCO         -  (senza alzarsi, dai suo posto)   Oh, questa è pioggia che dura un giorno. Due. Forse tre.

MATTEO       -  (d. rincalzo)   Oh, puoi dire anche settimana.

MARCO         -  E chissà? Forse anche più.

MATTEO       -  E se non piove, sarà freddo.

MARCO         -  O nevicherà.

MATTEO       -  Oh, sì. Avremo  un brutto inverno. Lo dicono anche i giornali.

MARCO         -  Sì... E' vero. L'ho letto anch’io. 

(Evelina torna  con i bicchieri)

Allora, Giovanni, questa storiella?

GIOVANNI   - (con un impercettibile sorriso verso Evelina che glielo ricambia)  Ecco.

(E mentre conti­nua a dare le carte comincia a raccontare)   

C'era una volta una bimba... una bimba molto golosa...

(Lentamente, mentre i quattro sono seduti in circolo,  cade la tela).

F I N E

 

Alla prima rappresentazione all’« ODEON » di Milano il 27 ottobre 1954 le parti furono così distribuite: Evelina – Andreina Paul; Giovanni – Giuseppe Porelli; Matteo – Gualtiero Rizzi; Marco – Giovanni Conforti; Il cerimoniere – Federico Collino; Claretta – Lina Consoli; Un’infermiera – Giulia Gentili.

* Copyright 1954, by Nicola Manzari.