Putiferio

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PUTIFERIO

Commedia in tre atti

Di RAFFAELE VIVIANI

PERSONAGGI

’A VACCARA -’O PEZZENTE ’E MESTIERE

CARULINA, ORFANA - DON LORENZO, PADRONE DEL PRIMO CAFFÈ

PEPPINO, CAMERIERE DEL PRIMO CAFFÈ

CAVALIERE GIGINO SCLÀFANI, CORTEGGIATORE DI PINA CANETTI

PINA CANETTI, CANZONETTISTA DELL’EDEN - CARLINO, CALZOLAIO

DON ALFONSO, ’O CHIANCHIERE - GIACCHINO, CAMERIERE DEL SECONDO CAFFÈ

DONNA FRANCESCA, PADRONA DEL SECONDO CAFFÈ

BIASIELLO, PADRONE DEL SECONDO CAFFÈ

RUSINA, SUA FIGLIA –

DON VINCENZINO DETTO PUTIFERIO, GUAPPO “SCARTELLATO”

RACHELE, POPOLANA DI CASAL DI PRINCIPE

GENNARINO, SEGRETARIO DI PUTIFERIO

PALLINO, IL SEDUTTORE DELLA FIGLIA DI DON ALFONSO

DONNA MARIA, SUA MADRE

’O PRUFESSORE DELLE SCUOLE ELEMENTARI - PASCALE ’O STALLIERE

PRIMO MAZZUNARO

SECONDO MAZZUNARO I FRATELLI SATURNO DI CASAL DI PRINCIPE

TERZO MAZZUNARO - FEDERICO ’O FRATO ’E NANNINA

PEPPE ’O CURTO TRE GUAPPI DI CARTONE

CICCIO ’O CAFONE -’O PERZIANARO

UNA VOCE DI DONNA -’NGIULINA, ’A RIVETTATRICE

PETRUCCIO, LAVORANTE CALZOLAIO - PASCALINO, LAVORANTE CALZOLAIO

I SUONATORI DELL’ORCHESTRA - AGENTE DI PUBBLICA SICUREZZA

La scena si svolge a Napoli. 1927

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Tela. La scena. Il vicolo dove abitualmente “se la fa” Putiferio. Un caffettuccio all’angolo di destra in prima quinta, un secondo caffettuccio, a sinistra sempre in quinta, e in un corpo avanzato in fondo, quasi al centro della scena, un terzo caffettuccio. Tutti e tre i caffè sono praticabili. Quello di destra, ha fuori, messi lungo il fianco, tre tavolinetti, quello di sinistra, ne ha uno e quello in fondo anche uno. Intorno a tutti i tavoli, sedie, qualche pianta per adornare le rispettive mostre. Al lato destro del caffè, di prospetto, vi è un falso mendicante, che ha una gamba un po’ tirata, si poggia ad un grezzo bastone e ha movenze un po’ facete. È il pomeriggio di un giorno d’estate.

’A Vaccara                    -  (dalla sinistra, seguita da Carulina che porta i secchi contenenti il latte, si dirige verso il caffè di Don Lorenzo).

’O Pezzente                  - (vedendo le due donne, stende la mano verso di loro) ’O pezzente! ’O pezzente!

Carulina                        -  (verso l’interno del caffè) Don Lore’, duie litre! (Entra).

Don Lorenzo                 -  (uscendo, alla vaccara) Quante so’?

’A Vaccara                    -  Otto litri in tutto!

Don Lorenzo                 -  (cava il portafogli e paga con soldi di carta, allora la vaccara fa un breve calcolo mentale, mette la mano alla tasca del grembiule, e prende monete spicciole).

’A Vaccara                    -  Siedece e quatto, vinte! (E consegna il danaro a Don Lorenzo).

Don Lorenzo                 -  (guardando Carulina che è ancora nel caffè, compiaciuto, alla vaccara) Carulina, eh?… s’è fatta na signurina!

’A Vaccara                    -  E chisto è ’o guaio… Ca pecché s’è fatta na signurina, io nun ’a pozzo tene’ cchiú cu me! Eh, io tengo ’e figlie giuvene, chi s’ ’a piglia sta responsabilità?

Don Lorenzo                 -  Anze, vuie già troppo avite fatto pe’ essa!

’A Vaccara                    -  V’ ’a ricurdate?

Don Lorenzo                 -  Si nun fosse stato pe’ vuie! Na guagliona sola, senza genitori, ’mmiez’a na via… chi sa a chest’ora che fine avarria fatta!

Peppino                         -  (il cameriere del caffè, uscendo guardando Carulina) Neh, e quanno ’a mmaretammo a chesta?

Carulina                        -  Eh, me sposo? Chi me piglia a me? Aneme comm’ a sta santa ccà (indica la vaccara) ce ne stanno poche!

’A Vaccara                    -  (guarda Lorenzo) Stateve buono… (Andando) Stateve buono… (Ed esce con Carulina, mentre anche Don Lorenzo torna nel suo caffè).

Gigino                           -  (tipo di fannullone pulito, dalla sinistra, entra con la canzonettista Pina Canetti. Si dirigono al caffè di Don Lorenzo).

’O Pezzente                  - (avvicinandosi a loro) ’O pezzente, sta ccà, chi vò ’o pezzente?

Gigino                           -  (che lo ha schivato, sorpreso, a Peppino) Peppi’, hai visto a Putiferio?

Peppino                         -  (indicando il caffè che nel vassoio si trova sul primo tavolino) Steva ccà, ha urdinato pur’ ’o cafè!

Gigino                           -  ’A quantu tiempo?

Peppino                         -  Quacche quarte d’ora!

Gigino                           -  E stu cafè aspetta a isso ’a nu quarto d’ora?

Peppino                         -  (sorridendo) Gnorsí!

Gigino                           -  (sarcastico) S’ ’o piglia bullente!

Peppino                         -  E già ce l’aggio riscaldato na vota, ce l’aggio purtato e se n’è turnato a gghi’.

Gigino                           -  E mo che vene?

Peppino                         -  Ce ’o torno a scarfa’! (Sorridono).

Pina                               - È molto ricercato?

Peppino                         -  Avete voglia. Nun succede na cosa che nun chiammano a isso! Aiere, na tazza ’e cafè ce l’avett’a riscalda’ sei vote? E all’ultimo se lamentaie ch’era addeventato nu dito ’e rrobba!

Pina                               - Pe’ forza…

Peppino                         -  A furia ‘e scarfa’!

Gigino                           -  (spiegando) Pina, è uno c’ ’a vita nun ’a cura. Pe’ difende a qualche debole s’appiceca cu diece, dudece perzone. Pecchesto ’o chiammano Putiferio. Figurate, ca na sera dint’a l’Eden, solo perché fischiarono na povera canzonettista che si era raccomandata a lui… vulaieno pultrone, se rumpetteno spiecchie, s’abbuccaieno tavuline. S’appicecaie cu tutt’ ’o pubblico! Tre carabiniere e sette agenti in borghese, nun erano capace d’ ’o caccia’ fore!

Pina                               - È un Ercole?!

Peppino                         -  Addo’, è nu scartellato!

Gigino                           -  (spiegando) Un gobbo!

Peppino                         -  Ma dint’appicceco è nu terramoto!

Pina                               - È ammogliato?

Peppino                         -  È scapolo, sta sotto ’a quarantina, ma sí e no avrà accucchiato dieci, dodici anni ’a fore!

Pina                               - Tutto il resto è stato sempre carcerato?!

Peppino                         -  (approvando) E l’ummedo d’ ’o carcere l’ha fatto asci’ ’o scartiello! ’O princepale mio s’ ’o ricorda guaglione, teneva sulo na piccola cosa ccà (indica il petto), mo, si ’o vedite, è nu tremmone d’acquaiuolo!

Pina                               - Oh, ma perché poi si piglia tutti questi grattacapi, a rischio di compromettersi?

Gigino                           -  Per niente, per bontà d’animo!

Peppino                         -  (approvando) Isso po’ fa ’o scarparo. È un artista finito. Na settimana ca fatica, sta buono pe’ nu mese. Embè, ’o vedite, nun se fida ’e vede’ sopruse.

Gigino                           -  Nu signore dispensa denare? E chillo dispensa protezione.

Peppino                         -  Appena vede na cosa storta addeventa nu lione! ’A povera mamma, nun ce pò, fa ’a Maria appriesso a isso. Sulo a chillo sconciglio tene, e ’o vede sempre ’n pericolo!

’O Pezzente                  - (vedendo Carlino, tipo di guappo-macchietta, amareggiato, che attraversa la scena per recarsi al caffè di Don Lorenzo, con voce infastidita) Neh, ca ccà ce sta ’o pezzente! (E ancora più forte verso Carlino) Ca ccà ce sta ’o pezzente!

Carlino                          -  (lo guarda male e a Peppino che ride) Jh, che atu modo ’e fa’ ’o pezzente… ’e vò pe’ forza! (E accostandosi a Peppino) Peppi’, hê visto a Putiferio?

Peppino                         -  No, ce stanno pure chiste signure ca l’aspettano! (Indica i due, e vedendo che Carlino è turbato) Ma ch’è stato? Che v’è succieso?

Carlino                          -  Aggio avuto n’aggravio!

Peppino                         -  ’A chi?

Carlino                          -  D’ ’o frato ’e Nannina.

Peppino                         -  ’A ’nnammurata vosta?

Carlino                          -  (cenno di sí con la testa) Aunite cu n’ati duie!

Peppino                         -  E pecché?

Carlino                          -  Pecché nun aggi’a fa’ ’ammore cu ’a sora!

Peppino                         -  E che v’hanno fatto?

Carlino                          -  M’hanno purtato ’a casa ’e Nannina e ’n presenza a essa, m’hanno sputato ’n faccia…

Peppino                         -  Tutt’ ’e tre?

Carlino                          -  Uno pedo’!

Peppino                         -  E mo che penzate ’e fa’?

Carlino                          -  Ce vaco cu Putiferio. M’ha dda leva’ ’e sputazze ’a faccia.

Gigino                           -  (che ha seguito con Pina il dialogo dei due, a lei) Hai capito? Stasera all’Eden nun cantarrà nisciuno cchiú. Faciarraie ’o spettacolo tu sola!

Peppino                         -  (che ha sentito) Ma chi è Fregoli? (A Carlino) Porto ’o cafè?

Carlino                          -  Sí… (E va a sedersi al terzo tavolo).

Peppino                         -  (a Gigino) Pure a vuie!

Gigino                           -  (dopo aver avuto un cenno affermativo da Pina, a Peppino) Puorte ’o cafè. (Vanno verso il caffè).

Peppino                         -  (indicando a Gigino il secondo tavolo) Assettàteve! (Esce mentre i due si siedono).

’O Pezzente                  - (come sopra) Neh! Nun ve scurdate d’ ’o pezzente! (Nessuno lo sente. Entra Don Alfonso, ’o chianchiere, dalla sinistra, scruta il caffè, dove «suole farsela» Putiferio).

Gigino                           -  (infastidito) Ah!

Carlino                          -  (verso il pezzente) Embè, chillo me tocca ’e nierve!

Pina                               - (come sopra) Oh, ma sai che è un bel tipo! (Ride con Gigino).

’O Pezzente                  - (rivolgendosi a Don Alfonso) Neh, piss… vuie cercasseve ’o pezzente?

Don Alfonso                 -  È pazzo! (I presenti ridono).

Gigino                           -  E cumme sta pronto!

Peppino                         -  (esce con due cabaret, che serve ai due tavoli, e rivolgendosi a Don Alfonso) A chi cercate?

Don Alfonso                 -  A nu certo chiammato Putiferio. (I presenti si guardano).

Pina                               - (ammirata) Ma è un ministro!

Gigino                           -  (rapido a lei) Stasera te sfastidie ’e canta’!

Peppino                         -  (vedendo che Don Alfonso si amareggia) Che so’, sputazze?

Don Alfonso                 -  Qua’ sputazze?

Peppino                         -  (che è stato redarguito da Carlino, sorride, poi a Don Alfonso) E pecché ’o vulite?

Don Alfonso                 -  Pe’ n’affare d’ ’o mio!

Peppino                         -  E aspettatelo. Sti signure (indica Gigino, Pina e Carlino) pure a isso aspettano! Metto ’o cafè?

Don Alfonso                 -  No, portame l’anneso.

Peppino                         -  (accomodando una sedia al terzo tavolo, a Carlino) Permettete? (E a Don Alfonso) Accomodatevi. (Don Alfonso siede, verso dentro) Un’anice! (Esce).

’O Pezzente                  - (verso i seduti) Neh, ca io faccio ’o pezzente!

Tutti                              -  (seccati) Aaah!

Giacchino                      -  (è il cameriere del caffè di sinistra, quello di Donna Francesca, entra ed indicando alla padrona la gente seduta al caffè di destra) Guardate!

Donna Francesca          - Cos’ ’e pazze!

Giacchino                      -  Donna France’, si nun levate a Putiferio ’a llà, è meglio ca ’o chiudite… (Indica il caffè) ’E vedite, aspettano tutte quante a Putiferio, e mentre aspettano consumano. D’ ’a matina ’a sera è nu pellegrinaggio.

Donna Francesca          - E comme faccio p’ ’o leva’ ’a llà vicino?

Giacchino                      -  Giesù, mo che vene chiammatelo.

Donna Francesca          - Pare brutto.

Giacchino                      -  Che «pare brutto»? Chillo primma ’e se fa’ ’o nomme nun era cliente vuosto?

Donna Francesca          - Sí!

Giacchino                      -  E appena arriva, parlatece!

Donna Francesca          - E io ce parlo!

Giacchino                      -  Oh! Ma quanno avite assettato a Putiferio ccà vicino, ce vonno dudece tavuline e n’ati quatto cammariere. (E con Donna Francesca, rientra discutendo nel caffè).

Carlino                          -  (a Don Alfonso) ’O cunuscite vuie a Putiferio?

Don Alfonso                 -  No!

Peppino                         -  (entrando col cabaret, a Don Alfonso) Anice!

’O Pezzente                  - (con voce di rimprovero) Ma comme è possibile… (Si rivolge ai seduti) ca quatto ’e vuie, nun accucchiate nu soldo pe’ me!

Pina                               - (meravigliata) Oh, ma sentite!

Carlino                          -  E c’ ’o vulite dicere?

Gigino                           -  ’O vò pe’ forza!

Biasiello                        -  (entra, è il padrone del caffè di fondo, e guarda malinconico il caffè di Lorenzo, pieno di gente, e a Peppino, con voce sospirosa) Sta chiuvenno dint’ ’a terra toia, eh?

Peppino                         -  È overo, eh?

Biasiello                        -  (a Giacchino, che pure è ricomparso) Embè, ce vulesse nu Putiferio pure pe’ nuie. Vuie sempe chin’ ’e gente e nuie sempe senza nisciuno!

Peppino                         -  Va buono, pe’ chillo (indica il caffè di Donna Francesca) avite ragione, ma pe’ vuie nun ve putite lamenta’!

Biasiello                        -  E a chi tengo io?… A chisto? (indica il pezzente) E si nun se ne va chisto, ’a vicino a stu cafè!

’O Pezzente                  - (dandosi un tono) Io, eh?

Biasiello                        -  Eh, tu! Chisto era disgraziato, ’a che ce sì venuto tu, po’ ce hê aizata ’a coscia ’o cane niro! E ce ne stanno tre ’e cafè a uno posto, chillo addo’ s’ha dda mettere? Ccà!

’O Pezzente                  - (concedendosi) E io ’a dimane faccio a turno. Nu juorno pe’ parte! (indica i tre caffè).

Peppino                         -  (a lui, rapido) Vide addo’ hê ’a i’!

Giacchino                      -  E tu sulo ce manche ccà vicino!

Pina                               - (che ha seguito, guardandosi intorno) Già, strano: tre caffè allo stesso posto. Chi sa che concorrenza si faranno!

Gigino                           -  Addo’?! L’unico che fa affari è chisto, perché s’ ’a fa’ Putiferio!

Peppino                         -  (additando gli altri due caffè, a Pina) ’E vedite, quanta gente? Sempe accussí! RUSINA (figlia di Biasello è una bella ragazza, entra e, al padre, indicando quelli che sono seduti) Vide llà vì…

Biasiello                        -  Tutta gente ’e Putiferio. Figlia mia, nuie avimm’a vede’ comme Putiferio ha dda addeventa’ accunto nuosto, si no è notte!

Rusina                           -  Papà, ma cumme ’o levate ’a llà vicino?

Biasiello                        -  Parlece tu… falle quacche surriso!

Rusina                           -  Papà, ma che pazziate? Sia fatta ’a vuluntà ’e Ddio! A chillu scatobbio?

Biasiello                        -  E tu pare che te l’hê ’a spusa’! Quatto cerimonie che te costano a te? Io già me songo accorto ca chillo mena l’uocchie ’a ccà dinto, quanno passa p’ ’o cafè!

Rusina                           -  Ma chillo nun s’ ’o crede. Po’ maie penza’ ca io me songo ’nnammurata d’isso, cu chella figura?

Biasiello                        -  Chi? Fattelo sentere ’e dicere. Chillo aiere s’allisciava chilli tre pelille ca tene ’ncopp’ ’o musso e diceva a chillu pizzo: Io songo ’o meglio ommo ’e Napule! Io songo ’o cchiú bello!

Rusina                           -  Overo?

Biasiello                        -  (affermando) Eh, chillo hê ’a vede’ comme s’ ’o ppenza!

Rusina                           -  Uh, c’ ’o pozzano accidere! E allora lassate fa’ a mme! Cacciate ’e tavule.

Biasiello                        -  (guardando verso sinistra, alla figlia) ’O vì lloco: cuntemplatillo!

Carlino                          -  (guardando anche lui a sinistra) Sta venendo Putiferio… (E fa cenno a tutti di alzarsi).

Don Alfonso                 -  (che guarda a sinistra, a Carlino) Addo’ sta?

Carlino                          -  Chisto che sta venenno. (Entra Putiferio: tipo elegante, ma grezzo. Doppia gobba. Cammina con la testa fra le ascelle. Crede fermamente, oltre alla sua guapperia, al suo fascino e alla sua distinzione. Piccoli baffetti biondi, cappello con la spaccata sulle ventitré, scarpe di colore, giacchetta cortissima. Ostenta l’italiano. Si dirige verso il caffè).

Don Alfonso                 -  (continuando a guardare a sinistra) Io nun veco a nisciuno!

Carlino                          -  (additandolo) Chisto ccà, ’o vedite?!

Don Alfonso                 -  Stu scartellato?

Carlino                          -  (facendolo zittire) P’ammore d’ ’a Madonna!

Peppino                         -  (salutando con deferenza, mentre tutti si alzano) Don Vincenzino!

Putiferio                        -  (a lui) ’O ccafè!

Peppino                         -  Sta ccà ’a nu quarto d’ora!

Putiferio                        -  Allora s’è fatto freddo. Riscaldalo!

Peppino                         -  (guardando Gigino) E so’ ddoie! (Prende il vassoio e a Putiferio) Ce sta sta gente c’aspetta a vuie! (La indica).

Putiferio                        -  (senza voltarsi) Chi è ’o primmo?

Peppino                         -  (indicando Pina) Chella signurina llà, cu chillo signore. (E, piano, a Putiferio) È na canzunettista. (Esce).

Putiferio                        -  (siede al suo tavolo, poi) Venghino avanti, venghino avanti… (E a Carlino e Alfonso, che pure si sono avvicinati con Pina e Gigino) Per gentilezza, si scostino un momento! (I due tornano ai loro posti, e alla coppia) Accomodatevi! (I due si siedono al tavolino di Putiferio) Dunque?

Gigino                           -  (presentando) Pina Canetti, canzonettista…

Putiferio                        -  (stendendo la mano) Potiferio, a servirla.

Gigino                           -  (stendendo la mano) Gigino Sclàfani!

Putiferio                        -  Piacere. In che posso servirvi?

Gigino                           -  Favorirci, prego. La signorina (la indica) ieri sera è stata fischiata all’Eden!

Putiferio                        -  Fischiata o pernacchiata? (E a Pina, che fa un piccolo cenno di diniego) Bisogna distinguere.

Pina                               - Fischiata solamente.

Putiferio                        -  E vorrebbe essere applaudita? Benissimo. Ma è stato perché non è piaciuta, o perché gli hanno messo un partito contrario?

Pina                               - No, perché io non ho voluto accettare l’invito a cena offertomi da un signore della barcaccia, e questo si è vendicato!

Putiferio                        -  E questo signore lo conoscete?

Gigino                           -  (con una certa importanza e gravità) Sí, è nu masto.

Putiferio                        -  Ah, ah, e chi è?

Gigino                           -  ’O chiammano ’o figlio d’ ’a zetella.

Putiferio                        -  Ah! (E sorride compassionevolmente).

Gigino                           -  ’O cunuscite?

Putiferio                        -  Sí, sí, ’o conosco.

Gigino                           -  Dice ca è guappo…

Putiferio                        -  Vi hanno male informato. ’E guappo a Napoli ce ne sta uno, al massimo due, quanno io me ’mmiro dint’ ’o specchio! Stasera facite mettere vicino ’e manifeste e sotto ’e programme che la signorina appartiene a Putiferio.

Pina                               - No. (Ritenendo eccessiva la proposta) Non è possibile.

Putiferio                        -  Pecché?

Gigino                           -  Nun ce ’o mettono…

Putiferio                        -  E allora ce ’o faccio sape’ io! (Alla canzonettista) Voi stasera canterete doie ore e nu quarto. Va bene?!

Pina                               - (ridendo) Eh!

Gigino                           -  E chella schiatta!

Putiferio                        -  Stasera vengo io all’Eden!

Pina                               - Grazie. (E rivolta a Gigino, discute con lui della cosa).

Putiferio                        -  (verso gli altri due) Chi è appresso?

Carlino                          -  (alzandosi) Io!

Putiferio                        -  (ai due rimasti seduti a discutere, senza avere l’idea di andarsene) Loro possono andare… possono andare. Se vi ho messo a tacere.

Gigino                           -  (alzandosi) Buongiorno! (E va via con la canzonettista).

’O Pezzente                  - (alla coppia che passa) Neh, ca io cerco ’a lemmosena!

Gigino                           -  (a lui) Ma sì scucciante buono, sah! (E vanno via a sinistra. Entra Rachele, popolana di Casal di Principe).

’O Pezzente                  - (gridandogli dietro) E ’mparateve a fa’ ’e signure! (E a Putiferio che guarda) Tre ore ’nnanze ’a nu pezzente senza darle nu sorde!

Putiferio                        -  (a Don Alfonso, che si è seduto al secondo tavolo) Faciteme ’o favore, date nu sordo a chillo, nun m’ ’o facite senti’!

’O Pezzente                  - (premuroso, stende la mano a Don Alfonso, che gli dà qualche soldo, con santa pazienza) Grazie!

Peppino                         -  (venendo fuori col caffè che pone davanti a Putiferio) Caffè ben caldo!

Rachele                         -  (che è rimasta sul fondo guardandosi intorno, volgendosi a Biasiello, indicando il suo caffè) Scusate, ccà è ’o cafè addo’ s’ ’a fa nu certo Putiferio?

Biasiello                        -  Momentaneamente è chillo là, ma tra poche minute sarrà chisto!

Rachele                         -  Io ce avess’a parla’!

Biasiello                        -  Cu Putiferio? E assettateve, chillo mo vene. (Rachele siede) Vulite coccosa?

Rachele                         -  Eh, portame na tazza ’e cafè!

Biasiello                        -  Subito! (Fa per avviarsi).

Giacchino                      -  (che ha seguito la scena, al pezzente) Ma a chi vò?

’O Pezzente                  - A Putiferio!

Giacchino                      -  Ah! (A Rachele) Bella gio’, cercate a Putiferio? E ’o vedite llà. (Lo indica).

Rachele                         -  (alzandosi di scatto, a Biasiello) E me faie assetta’ ccà? (Scostandosi) Sia fatta ’a vuluntà ’e Ddio! (E si avvicina al caffè di destra).

Biasiello                        -  (scattando, a Giacchino) Oh, e tu c’hê ’a fa’ fa’, embè?

Giacchino                      -  Ma chella va truvanno a Putiferio, tu ’a faie assetta’ lloco!

Putiferio                        -  (che ha parlato con Carlino, a Rachele, che è rimasta a fissarlo) Cercate a me, accomodatevi!

Rachele                         -  (sedendosi al tavolo, davanti a Don Alfonso) Permettete?

Don Alfonso                 -  (alzandosi dal suo posto e sedendosi sulla sedia che voleva Rachele) Sí, ma jateve ’assetta’ llà, pecché io so’ primmo ’e vuie… (Sedendo) Avimm’a rispetta’ ’o turno!

Peppino                         -  (A Rachele, che siede al terzo tavolo) Caffè?! (Ed ad un rapido cenno affermativo di Rachele) Benissimo. (Entrando, raggiante) Nu «mezzo»!

’O Pezzente                  - (a Biasiello) Veramente avit’a truva’ nu mezzo pe’ leva’ a chillo (indica Putiferio) ’a llà vicino. Si no, nun facite niente vuie, e nun me facite fa’ niente a me!

Biasiello                        -  Mo l’aggi’a da’ pure ’o riesto a chisto…

’O Pezzente                  - Io pe’ nun fa’ n’offesa a vuie, si no ’a quantu tiempo me sarria juto a mettere llà!

Biasiello                        -  E quanno? (Seccato, entra nel suo caffè).

Putiferio                        -  (che ha interrotto il suo discorso, al pezzente) Oh, ma te vuo’ sta zitto, ce vuo’ fa’ parla’? (E seccato mette la mano in tasca per dargli qualche cosa, per farlo tacere e non trovando spiccioli, rapido, a Don Alfonso) Per gentilezza, datele n’ati duie sorde, abbasta c’ ’a fernesce!

’O Pezzente                  - (come prima, si piazza al suo fianco, allungando la mano, e ad Alfonso, che, seccatissimo, gli porge il danaro) Grazie! (Ritorna al suo posto).

Putiferio                        -  (come per continuare un discorso) E t’hanno dato tre sputazze ’n faccia?

Carlino                          -  (precisando) Doie ’n faccia e una ’ncopp’ ’o bavero!

Putiferio                        -  Chi so’ state ll’ati duie?

Carlino                          -  Ciccio ’o cafone e Peppe ’o curto!

Putiferio                        -  Ma ’a guagliona te vò?

Carlino                          -  Vuie pazziate? Doppo ’a siconda sputazza è svenuta!

Putiferio                        -  ’O frato ’e Nannina tene pure nu cuntariello ’aggiusta’ cu mmico, pe’ na parola ca me dicette.

Carlino                          -  Che parola?

Putiferio                        -  Piezzo ’e carogna. Me chiammaie Rigoletto… scartellato!

Carlino                          -  (ad arte, stranito) Giesù, addo’ l’ha visto ’o scartiello?

Putiferio                        -  Chillo è nu vulìo ’e mellone. Durante ’a gravidanza a mammema lle venette ’o vulìo d’ ’o mellone, ’a bon’anema ’e patemo scese di notte, ce ne purtaie na fella: «No, ’o voglio sano, ’o voglio sano…». Dicenno chesto se grattaie ’mpietto e addereto ’e rine… e io nascette cu nu mellune ’nnanze e n’ato areto. E pecchesto… so’ scartellato? Ma io mo ’o ’mparo a fa’ l’ommo e me piglio ’a rivincita. (Deciso) Quanno è stato stu fatto?

Carlino                          -  Mezz’ora fa, ’a casa ’e Nannina!

Putiferio                        -  E tu là l’hê lassate?

Carlino                          -  Gnorsí.

Putiferio                        -  Mo sento chist’ate che vonno e po’ jammo assieme ’a casa ’e Nannina. Appripàrate sei sputazze… doie pero’… Scostate nu mumento. (E a Don Alfonso) Appresso!

Don Alfonso                 -  (alzandosi) Pronto! (Si accosta, mentre Carlino si allontana e incomincia ad attendere in piedi, accendendo una sigaretta).

Rachele                         -  (alzandosi fulminea e tirando Don Alfonso per un braccio) E ma scusatemi, io ddoie parole l’aggi’a dicere, po’ io aggi’a parti’! (Si pone davanti a Don Alfonso).

Putiferio                        -  (a Don Alfonso) Nu minuto minuto, per gentilezza… (Scusandosi) È femmina! (E a Rachele) Assettateve! (Ed inizia con questa mimica il colloquio, mentre Don Alfonso torna seccato al suo posto).

’O Pezzente                  - (con cantilena) Ca io nun m’ ’o pozzo fatica’!

Putiferio                        -  (infastidito, con la stessa cantilena) E io nun pozzo senti’ a chesta si tu nun ’a fernisce e te staie zitto!

’O Pezzente                  - (scusandosi) Eh, ma io aggi’a fa’ ’o pezzente!

Putiferio                        -  (a Don Alfonso) Mannaggia! Per favore, datele na lira, accussí ’a fernesce e se ne va.

Don Alfonso                 -  (al pezzente, che, al solito, si avvicina a lui) Chist’è nu guaio passato!

Peppino                         -  (porta il caffè a Rachele) È servito!

Putiferio                        -  (assaggia il suo caffè e, deponendo la tazza) È friddo, scarfammillo! (E lo scosta).

Peppino                         -  (portando via il cabaret, a Carlino che lo guarda) E so’ tre!

Putiferio                        -  (a Rachele) Che v’aggi’a servi’?

Rachele                         -  Io me chiammo Rachele Basile e songo ’e Casale ’e Princepe.

Putiferio                        -  ’A copp’ ’Aversa?

Rachele                         -  Sissignore, e so’ venuta apposta a Napule pe’ parla’ cu vuie.

Putiferio                        -  (compiacendosi) Cu mme? Scende pure ’a Provincia! Me so’ fatto nu nomme. Beh, che vi è successo?

Rachele                         -  Ci sta nu prepotente, che approfittando ca maritemo è partuto p’ ’a America, nun me vò lassa’ cuieta. Capite, io so’ na femmena onesta e ce l’aggio ditto ’e tutte manere, ma tutto è stato inutile. E allora io aggio pensato ’e veni’ addu vuie p’ ’o fa mettere a duvere.

Putiferio                        -  (lisciandosi i baffi, come sopra) E comme me sapiveve a me?

Rachele                         -  Me l’ha ditto nu certo Pascalino ca ve cunosce: «Sora mia, l’unico che te pò fa’ sta grazia è Putiferio. Curre a Napule e va’ te ce mine ’e piede». M’ha ditto addo’ v’ ’a faciveve, io mme so’ misa dint’ ’o tram e so’ venuta.

Putiferio                        -  Ma chi è st’individuo?

Rachele                         -  È nu mazzunaro!

Putiferio                        -  Nu mazzunaro?!

Rachele                         -  È guardiano ’e terra!

Putiferio                        -  Già, chille accussí ’e chiammano: ’e mazzunare!

Rachele                         -  So’ tre frate, tre delinquenti, vanno sempe a cavallo, con fucili e pugnale, ’e chiammano: «Chille ’e Saturno», pe’ nu niente sparano e so’ tre!

Putiferio                        -  (che durante la descrizione si è turbato) Ojne’, fallo p’ ’a Madonna, v’ ’arricchisce a n’ato.

Rachele                         -  Pecché?

Putiferio                        -  Chille so’ tre, ’mmiez’ ’e terre lloro, a cavallo, cu pugnale e fucile, appena ’e vaco pe’ di’ na parola m’ ’e scarrecano ’ncuollo, e mammema ce ha dda refonnere pure ’e solde p’ ’o trasporto d’ ’a salma.

Rachele                         -  Embè, vuie che site fatto nu chiachiello ’e chiste? A Casale ’e Princepe, ’o nomme vuosto è purtato accussí ! (E fa il gesto).

Putiferio                        -  (solleticato nella sua vanità) Va bene, sora mia, ma chille so’ tre, e tre cavalli e so’ seie, e tre fucili e so’ nove e tre pugnali e so’ dudece… e io so’ io sulo!

Rachele                         -  E dimane che se sape che ve site miso appaura ’e veni’ pe’ Casale ’e Princepe, che figura facite?

Putiferio                        -  Ma qua non si tratta che mi metto paura, ma falle veni’ a Napule a sta gente, ma dint’ ’o paese lloro ognuno ’e chille va’ pe’ seie, e io me trovo cu diciotto perzune ’nnanze? Si ’e voglio dicere na malaparola pedo’ aggi’a fa’ na conferenza!

Rachele                         -  Ma vuie che dicite? A Casale ’e Princepe non se parla che ’e vuie! E io perché sono venuta a Napoli? Voi non sapete ’o nomme ca tenite là, basta ’a presenza vosta!

Putiferio                        -  E io d’ ’a presenza mia, me metto paura. Chille nun me sanno, appena me vedono, me ridono ’n faccia, perché m’aggi’a compromettere?

Donna Francesca          - (venendo fuori e chiamando Putiferio) Don Vicenzi’!

Putiferio                        -  A me?

Donna Francesca          - (supplichevole) Don Vicenzi’, quanno avite fatto, na preghiera!

Putiferio                        -  (alzandosi) Subito! (A Rachele) Ojne’, nun è cosa! (E a Carlino che si accosta) Ancora nu momento!

Carlino                          -  Facite ampressa!

Putiferio                        -  (a Don Alfonso, che si è alzato ed ha pagato) Sono subito a voi! (E si accosta a Donna Francesca, mentre Alfonso e Carlino attendono in piedi, seguiti da Rachele) Dite.

Giacchino                      -  (è apparso e incita Francesca a parlare).

Donna Francesca          - Don Vicenzi’… vuie avit’a riturna’ accunto d’ ’o cafè mio!

Putiferio                        -  (confuso) Giesù, ma voi…

Donna Francesca          - Nun parlammo d’ ’o passato, m’avit’a di’ sulo quanta cafè ve fidate ’e vevere, vinte, trenta’o juorno?!

Putiferio                        -  Io po’ me scuoto cu ’a nervatura!

Donna Francesca          - Liquore, sigarette, vulite mangia’? Voi non dovete che ordinare e sarete servito.

Putiferio                        -  Ma io non volevo…

Donna Francesca          - Nun vuliveve paga’? E chi vò essere pagato! M’hann’ ’accidere si ’arapo cchiú ’a vocca. Ma vuie v’avit’a assetta’ ccà. ’O cafè vuosto è chisto, sempe chisto è stato, e sempe chisto ha dda essere! Pecché aggi’a vede’ c’avit’a i’ ’a n’ata parte?

Putiferio                        -  (dandole la mano) Volete cosí…

Donna Francesca          - (a Giacchino) Caccia ’e tavuline! (Entra soddisfatta).

Giacchino                      -  (con enfasi, guardando il locale di Peppino) Subito! (Ed esegue).

Putiferio                        -  (con ostentatezza, fa pulire scrupolosamente il tavolo e, con superiorità, sedendo) Porta ’o cafè!

Giacchino                      -  (uscendo, forte verso dentro) Un fatto fresco! (Ed esce con Donna Francesca).

Carlino                          -  (a Putiferio) Mo v’assettate n’ata vota?

Putiferio                        -  Nu mumento!

Peppino                         -  (uscendo con il caffè bollente, resta di stucco e a Putiferio) Ched è, neh? Vuie avite cambiata abitazione?

Putiferio                        -  (pigliando la palla al balzo) Ah, e quanno nun se pò ave’ na tazza ’e cafè cavuro, io vaco ’a n’atu cafè! Vuo’ vede’ ca cu ’e solde mieie nun putesse i’ addo’ me pare e piace?

Peppino                         -  Ma io l’aggio scarfato tre vote, vuie nun v’ ’o pigliate. (Alterandosi) Allora che faccio? Vaco e vengo?

Putiferio                        -  E me l’aveva piglia’ afforza? Il caffè doveva essere bollente e doveva aspettare a me. E lloco nun ce vengo cchiú! (Giacchino, che è rientrato, segue e sorride. Putiferio, irritato dal comportamento di Peppino, va verso di lui e col piede getta in aria il tavolo e la sedia dove lui prima era seduto. Peppino, fatto segno ai presenti di svignarsela, spaventato, esce).

Rachele                         -  (a Putiferio che torna verso il caffè di Donna Francesca) E allora?

Putiferio                        -  Ojne’, agge pacienza, ce aggi’a penza’, assettate. (Le indica l’altro tavolo e siede anche lui. A Don Alfonso, indicandogli la sedia al suo tavolo) Accomodatevi!

Don Alfonso                 -  (sedendo, felice di essere ascoltato) Oh!

Putiferio                        -  (a Carlino, che è rimasto leggermente discosto) Carli’, assettate, mo ce ne jammo!

Carlino                          -  Nuie nun ’e truvammo cchiú!

Putiferio                        -  Quanto sento a chisto… (indica Don Alfonso) e me piglio ’o ccafè!

Giacchino                      -  (a Rachele e Carlino, che si sono seduti) Caffè?

Don Alfonso                 -  (a malincuore) Caffè. (Gli altri due con un cenno della testa, approvano).

Giacchino                      -  (brillante, uscendo) Macchina tre! (Rusina esce dal caffè e siede fuori di esso).

’O Pezzente                  - (con voce pietosa, ma forte) Chella bella Madonna d’ ’o Carmene…

Putiferio                        -  (continuando con la stessa cantilena) M’ha dda fa’ ’a grazia ’e te ne fa’ i’ ’a lloco vicino…

’O Pezzente                  - Ma io aggi’a fa’ ’o pezzente!

Putiferio                        -  Mannaggia! (E mette mano in tasca e, non trovando spiccioli, guarda rapidamente Don Alfonso) Te pozzano spara’!

Don Alfonso                 -  (subito) Datele nu centenaro ’e lire.

Putiferio                        -  No!

Don Alfonso                 -  Mo ce truvammo. (Il pezzente va via).

Putiferio                        -  (ad Alfonso) Dunque?

Don Alfonso                 -  Mia figlia se n’è fuiuta con l’innamorato!

Putiferio                        -  E voi la vorreste far ritornare zitella!

Don Alfonso                 -  Zitella? E come è possibile?

Putiferio                        -  (chiarendo) Zitella, mo, la vorreste far ritornare a casa vostra come quando era signorina.

Don Alfonso                 -  E già, ma comme sta mo, io, che me ne faccio?

Putiferio                        -  E allora?

Don Alfonso                 -  ’E vulesse fa’ spusa’!

Putiferio                        -  E lui è disposto?

Don Alfonso                 -  Pare di no.

Putiferio                        -  Da quanto tempo la rottura?

Don Alfonso                 -  La rottura?

Putiferio                        -  La rottura dei vostri rapporti con «lui».

Don Alfonso                 -  Ah… ’a una quindicina di giorni fa.

Putiferio                        -  E l’evasione?

Don Alfonso                 -  L’evasione?

Putiferio                        -  Quanno s’ ’a fuiette?

Don Alfonso                 -  Nu paro d’anne fa!

Putiferio                        -  C’è prole?

Don Alfonso                 -  (che non capisce) Prole?

Putiferio                        -  (seccato) Ah! Figlie, ne hanno fatte?

Don Alfonso                 -  Na piccerella!

Putiferio                        -  E voi vorreste adesso che io lo inducessi a farlo legalizzare la tresca? (E restano fuori a discorrere).

Don Lorenzo                 -  (precipitandosi fuori dal suo caffè, guarda amareggiato Putiferio, seduto al caffè di fronte e verso l’interno del suo locale, nervoso) Chillu carogna! (E resta a tormentarsi).

Biasiello                        -  (entra e alla figlia indicando Putiferio) C’hê parlato?

Rusina                           -  Non ancora. (Alludendo a quelli seduti al caffè di Donna Francesca) Ma comm’e ghiuto stu cambiamento?

Biasiello                        -  E chi ’o ssape.

Rusina                           -  (vedendo Lorenzo livido) Guardate Don Lorenzo comme sta!

Biasiello                        -  (scherzoso) Ched è, Don Lore’… s’e cagnata ’a scena?

Don Lorenzo                 -  (forte, per farsi sentire da Putiferio) Ma che ce vulite fa’? Quann’io tengo nu cammariere ca nun va niente!

Putiferio                        -  (uscendo, con voce forte) Ma pecché?

Don Lorenzo                 -  Quanno tu sapive ca ’o signurino (indica Putiferio che si pavoneggia) ’o cafè ’o pigliava cavuro, ce ’o dive cavuro!

Peppino                         -  E sempe cavuro ce l’aggio purtato, chillo s’ ’o beveva doppo mezz’ora e se capisce che ’o truvava friddo!

Don Lorenzo                 -  E ce ’o purtave ’ncopp’ ’a spiritiera.

Giacchino                      -  (che è uscito per curiosare, ascolta e scappa nel caffè e a Putiferio, con tono dimesso) Don Vicenzi’, scusate tanto!

Putiferio                        -  Don Lore’, parlatemi di tutto, ma io quanno veco ’o giovane vuosto, veco a patemo muorto ’mmiez’ ’a casa.

Don Lorenzo                 -  (desolato, a Peppino) Va buono, io mo che t’avess’a fa’? (Ed esce).

Peppino                         -  (a Biasiello, che lo guarda ridendo) Ma so’ cose ’e passa’ guaie?

Gennarino                     -  (segretario di Putiferio, dalla sinistra, si dirige al caffè di Lorenzo) Peppi’, hê visto a Putiferio?

Peppino                         -  (seccato) Io saccio a Putiferio!

Putiferio                        -  (vedendolo) Gennari’, sto ccà, siedi.

Giacchino                      -  (entra e chiede a Gennarino) Caffè?

Gennarino                     -  (sedendo) Caffè.

Giacchino                      -  Ancora uno. (Esce).

Don Lorenzo                 -  (come un bolide consegna la giacchetta a Peppino) Pigliate ’a giacchetta e vattenne!

Peppino                         -  Ma pecché?

Don Lorenzo                 -  Pecché nun sierve! (Esce).

Peppino                         -  Mo ve ne site accorto? (Esce dietro di lui).

Giacchino                      -  (riappare. Sul cabaret c’e la tazza, la spiritiera con caffettiera sopra. porgendo a Putiferio) Caffè bollente! (Esce per rientrare poco dopo a servire gli altri tre).

Putiferio                        -  Dove sta questo genero vostro?

Don Alfonso                 -  ’O mercato, a chi domandate, se chiamma Pallino.

Putiferio                        -  Va bene, potete andare che io domani ci andrò a parlare!

Don Alfonso                 -  Grazie!

Putiferio                        -  Voi vi chiamate?

Don Alfonso                 -  Alfonso ’o chianchiere a chi spiate ’mmiez’ ’o mercato!

Putiferio                        -  Dimane stesso ’e faccio spusa’!

Don Alfonso                 -  (trovando esagerata l’affermazione) Eh!

Putiferio                        -  Quanno isso ’mpresenza mia v’ha ditto: Io m’ ’a sposo, pe’ me so’ legalizzate!

Don Alfonso                 -  Stateve attiento che chillo è nu tipo nu poco scurbutico…

Putiferio                        -  Cchiú scurbutico ’e me? Io songo ’o Ddio d’ ’e scurbutiche!

Don Alfonso                 -  Ah, chesto è overo!

Putiferio                        -  E dunque?

Don Alfonso                 -  (alzandosi) Disponete di me! (Va via per la sinistra).

Carlino                          -  (alzandosi, a Putiferio che è rimasto seduto) E manco ce ne jammo?

Putiferio                        -  (che si è fissato a guardare Rusina) Aspetta… (E indicando intorno) ’O vì ca tengo gente?!

Biasiello                        -  (accorgendosi che Putiferio guarda Rusina, a questa) Chisto è ’o mumento!

Rusina                           -  (dolcissima, a Putiferio) Buongiorno.

Putiferio                        -  Buongiorno, bella!

Biasiello                        -  (incitando la figlia) Dalle… dalle!

Rusina                           -  Eh, bella… Site bello vuie!

Putiferio                        -  (lisciandosi i baffetti) È una nomina che m’hanno cacciato, ma non è cosi!

Biasiello                        -  (come sopra) E quanno?

Rusina                           -  (seccato a lui) E si nun ve ne jate! (Biasiello esce).

Rachele                         -  (a Putiferio che è rimasto a guardare Rusina, che lavora di seduzione) Che me dicite?

Putiferio                        -  (guardando con insistenza Rusina) Che t’aggi’a di’, sora mia…

Rusina                           -  (Inizia a canticchiare sottovoce, con voce melliflua) Carmela bella! Vita d’ ’a vita mia sta malatia sultanto tu m’ ’a puo’ sana’! M’ ’a puo’ sana'!

Rachele                         -  (contemporaneamente) Vuie me facite na vera opera ’e carità, ca io so’ sola!

Putiferio                        -  E ca pur’io so’ sulo, fosse accumpagnato. Stanno a cavallo, si ’e voglio da’ nu schiaffo, nun ce arrivo manco! (E a Rusina, che ha finito di cantare, amorevolmente) Sta bene! Pure ’a voce è bella!

Rusina                           -  Ve piace?

Putiferio                        -  Assaie!

Rusina                           -  Quanno avite fatto, v’aggi’a parla’!

Putiferio                        -  (alzandosi rapido) Subito! (E si accosta a lei).

Carlino                          -  (fermandolo) Me state facenno assecca’ ’a vocca. Comm’ ’e sputo ’n faccia cchiú?

Putiferio                        -  Nooo, mo m’hê ’a fa fa’! (Gennarino, pagato il caffè, si alza e si avvicina a Putiferio, per parlare con lui. Rachele si avvicina, anche lei, al caffè in fondo per conoscere la decisione. Carlino, come pietrificato, guarda Putiferio. Prima che inizi a parlare con Rusina, rivolgendosi a quelli che sono lì in attesa) Assettateve!

Carlino                          -  Me piglio ’o terzo cafè?

Rusina                           -  (chiamando verso dentro) Papà! (E a lui che appare) Cacciate n’atu tavulo!

Biasiello                        -  (prontamente gaio) Pronti! (Guarda dentro, vede che i suoi, di marmo, pesano e con mossa fulminea prende un tavolino dal caffè di sinistra e lo accosta al suo).

Rusina                           -  (al padre) Che state facenno?

Biasiello                        -  E chille ’e marmo pesano! (Accostando le sedie, a quelli che sono i piedi) Se si vogliono accomodare!

Tutti                              -  Chi? (E aspettano in piedi).

Carlino                          -  (seccato) Che ne parlammo a fa’? (Biasiello resta in osservazione).

Rusina                           -  Don Vincenzi’, pecché nun me putite vede’?

Putiferio                        -  N’ata dichiarazione ’e chesta, me mannate ’n galera!

Rusina                           -  E allora perché vi fate desiderare?

Putiferio                        -  Io?

Rusina                           -  Pe’ ve guarda’ aggi’a asci’ afforza for’ ’o cafè?

Putiferio                        -  Pe’ guarda’ a mme?

Rusina                           -  A vuie! Nun pozzo ave’ maie ’o piacere ’e ve vede’ assettato ccà ’nnanze… (Indica il suo caffè) ’E ve tene’ vicino… Sto facenno ’a pazza e vuie nun ve n’accurgite?

Putiferio                        -  (ringalluzzito) Rusine’, ma vuie overo dicite?

Rusina                           -  E allora che pazziavo? Se n’è accorto pure papà ca io m’appengo addereto ’o bancone pe’ guardarve, tanto ca nun me vò fa’ scennere cchiú abbascio ’o cafè!

Putiferio                        -  (sicuro di sé) Povera figlia! E ’a quantu tiempo avite pigliato sta cotta pe’ me?

Rusina                           - (con un sospiro) D’ ’o primmo juorno ca v’aggio visto!

Putiferio                        -  Accussí ’e subbeto? (E ad un cenno affermativo di Rusina) Eh, lo so, mi succede sempre cosí. Io sono un tipo un po’ fatale, e pure voi, giacché stiamo a questo, mi avete sempre incatenato, ma non avevo mai osato, non mi ero mai spinto, per paura di qualche rifiuto.

Rusina                           -  E pecché, che site brutto?

Putiferio                        -  Per amor di Dio, non dico questo!

Rusina                           -  Allora non site nu buonu gioveno?

Putiferio                        -  Non dico il contrario!

Rusina                           -  Tenite n’arte d’oro ’e mmane!

Putiferio                        -  E chillo è ’o difetto mio, ca quanno aggi’a fatica’ me sturzello tutto quanto, mi deformo! (E voltandosi verso i tre che sono ancora in piedi) E a chi aspettate pe’ v’assetta’? Da questo momento il caffè mio è chisto! (Indica il caffè di Biasiello)

Biasiello                        -  (che è comparso un istante prima ed ha sentito, piglia un tavolo dall’altro caffè e lo accoda ai suoi) È stata ’a Madonna!

Rusina                           -  (rimproverandolo) Papà!

Biasiello                        -  (non dandole ascolto) E tanto chille che n’hann’a fa’ cchiù d’ ’e tavuline! ’O cafè ’e Putiferio è chisto! (Ed attende ordini dai tre).

Rusina                           -  Mo siente a chille là! (Indica i due caffè).

Putiferio                        -  (a quelli in piedi, che esitano ancora) Assettateve!

Carlino                          -  Ma chille se ne vanno!?

Putiferio                        -  E io saccio addo’ s’ ’a fanno. (A Rachele) Ojne’, assettateve, me sto capacitanno!

Rachele                         -  Ah… puzzate essere beneditto!

Gennarino                     -  (a Rachele) Te l’aggio ditto!

Putiferio                        -  (a Gennarino, mentre Rachele siede) Gennari’, songo subito a te! (E mentre gli altri due siedono, a Rusina) Sì cuntenta?

Rusina                           -  Tanto!

Putiferio                        -  (a Rusina) Rusi’, tu m’hê miso ’o fuoco dint’ ’e vene, io me voglio ’nzura’. Mo parlo cu pateto.

Biasiello                        -  (a quelli seduti) ’O cafè già ve l’avite pigliato? (I tre approvano) Cioccolato?

Gennarino                     -  Chi? Qua’ cioccolato!

Rachele                         -  Jh, comme va ’e leva chisto!

Putiferio                        -  (a Rusina) Quanno stu cafè sarà venuto ’mmano a me, nu poco ca so’ buon’augurio, nu poco per la nomea, chill’ati duie falliscene e ne facimmo doie succursale!

Peppino                         -  (rientra, trasecola) N’atu cambiamento? (E accorgendosi dei tavoli) Ma c’avite cumbinato! (E rimettendo il suo tavolo a posto, chiama) Neh, Giacchi’… (E a lui) Chillo s’ha pigliato ’e tavuline!

Giacchino                      -  (rimettendo anche lui il suo a posto) Ma che site pazzo?

Biasiello                        -  Va buono, po’ v’ ’e dammo, tanto mo nun ve servono cchiú! (Trionfante, indicando la mostra del negozio) Mo ce ’o scrivo ’ncopp’ ’a mostra: Caffè Putiferio!

Donna Francesca          - (che da dentro ha sentito, entra stizzita) E si capisce… Donna Rusina ha menata ’a rezza…

Biasiello                        -  (tra i denti) E ha pigliato nu scorfano!

Rusina                           -  Nisciuna rezza, Donna France’!

Putiferio                        -  Io nun songo arrezzabile!

Biasiello                        -  Che vulite dicere c’ha menata ’a rezza?

Donna Francesca          - E pecché Don Vincenzino steva ccà, (indica il tavolo del suo caffè) e cu ’a cantatella, v’ ’o site chiammato lloco vicino!

Rusina                           -  Io? Badate comme parlate!

Putiferio                        -  Io non sono stato chiamato!

Donna Francesca          - Eh? E allora pecché ve ne site juto?

Putiferio                        -  Pecché ’o cafè era friddo!

Giacchino                      -  (intervenendo) Uh, friddo? Io ve l’aggio portato ’ncopp’ ’a spiritiera!

Putiferio                        -  (scattando, al che Giacchino si spaventa) Eh, e che vuo’? Io songo nevrastenico, ’o miedeco ha ditto c’aggi’a cagna’ tre cafè ’o juorno!

Donna Francesca          - (riferendosi a Biasiello) Si è cosa che ce avimm’a fa’ chesta cuncurrenza!

Don Lorenzo                 -  (entrando come un bolide) La concorrenza l’avete cominciata voi. Tre caffè a uno pizzo!

Rachele                         -  Ma chi è che steva primmo?

Don Lorenzo                 -  (gridando) Chistu ccà! (Indica il suo) Nuie eramo soci tutti e tre (indica Biasiello e Donna Francesca), e a stiento magnavemo. Nu bello juorno essa (indica Donna Francesca), ’a vedite, vulette rompere ’a società pe’ s’arapi’ nu cafè ’e rimpietto!

Donna Francesca          - E se sape… io solde nun ne vedevo mai!

Don Lorenzo                 -  (punto sull’amor proprio) Maie eh?

Biasiello                        -  (spiegando) E nuie po’ ch’eramo rimaste ’a fore, che fa? Lassaveme ’a clientela nosta ’mmano a loro? E m’arapetto ’o cafè pur’io! (Lo indica).

Carlino                          -  E tutt’ ’e tre ccà?

Biasiello                        -  Pe’ vede’ ’a clientela a chi prefereva!

Rachele                         -  E a chi hanno preferito?

Biasiello                        -  (sarcastico) A nisciuno!

Putiferio                        -  Pe’ forza! Tre cafè, e uno Putiferio! Ll’ati dduie hann’i’ ’a lemmosena!

Don Lorenzo                 -  E ’a lemmosena jarrammo a ferni’!

Donna Francesca          - E fernimme ’a lemmosena; fa tanto impressione?

Don Lorenzo                 -  No.

Biasiello                        -  Abbasta c’ ’a cercammo tutt’ ’e tre! (E uniscono le voci che salgono).

Pallino                           -  (il seduttore della figlia di Don Alfonso, tipo risoluto. Entra dalla sinistra, e a Putiferio) Vuie site Putiferio?

Putiferio                        -  Per servirvi!

Pallino                           -  Io so’ Pallino! (Tutti seguono con apprensione).

Putiferio                        -  Quello di cui…

Pallino                           -  …Vi ha parlato poco fa Don Alfonso ’o chianchiere! (Indica il caffè) Io stevo ’e rimpetto (indica l’interno della scena) e l’ho affrontato appena vi ha lasciato, e l’aggiu ditto per l’ultima volta c’ ’a figlia io nun m’ ’a sposo, e siccome lui mi ha detto: «T’ ’o vide cu Putiferio!» Sono venuto pe’ m’ ’a vede’ cu vuie!

Tutti                              -  (prevedendo il finimondo) Ah Madonna…

Putiferio                        -  (mentre tutti intorno sono preoccupati della piega che prende il discorso) Ma questa ragazza vi ha mancato?

Pallino                           -  Nonsignore!

Putiferio                        -  Riconoscete che siete stato voi a…

Pallino                           -  Sissignore!

Putiferio                        - Embè, e perché adesso nun ’a volete più?

Pallino                           -  E pecché nun ’a voglio! (È risoluto).

Putiferio                        -  (assestandogli un solennissmo ceffone) Tu sì na carogna! (Pallino cade per terra; la gente tenta di dividere i due, qualche tavolino cade, le donne strillano e avviene il putiferio. Pallino si rialza, tutti i presenti lo circondano, per far si che non reagisca, e, mentre lo calmano con parole diverse, Putiferio ne approfitta) Vicino a Putiferio dice che nun t’ ’a piglie! (Continua a schiaffeggiarlo).

Pallino                           -  (a quelli che lo tengono stretto per le braccia) E lassate! Vuie me tenite e chillo me dà ’e schiaffe! (E fa forza per svincolarsi).

Putiferio                        -  (Appena lo vede imprigionato nelle braccia degli astanti, gli si accosta ancora e, con un terzo ceffone) Vattenne! Va’ caccia ’e carte subito! E si doppo dimane nun date parola, so’ schiaffe! So’ schiaffe! (E si pavoneggia con aria di trionfatore).

Pallino                           -  (riavutosi dallo sbalordimento, a quelli che ancora lo tengono stretto) E lassate! Aggio abbuscato e manco me lassate? (Mentre i presenti lo lasciano, rivolto a Putiferio, mentre si ricompone) Ce ’o vedimmo!

Putiferio                        -  (di scatto, mette la mano dietro; tutti gridano, i tavolini che erano stati rialzati, cadono di nuovo, accade il finimondo, mentre Pallino se la squaglia).

Donna Maria                 - (madre di Putiferio, donna del popolo un po’ antiquata, da sinistra, accorrendo per le grida e per la folla) Ch’è stato? Madonna! (Al figlio) Ch’hê fatto?

Putiferio                        -  (seccato) C’aggio fatto? Niente! E vide si mammema nun me vede sempe ’n pericolo!

Donna Maria                 - Io sento ’e strille ’a luntano, veco nu sacco ’e gente!

Putiferio                        -  E quanno maie io nun tengo ’a folla attuorno!

Donna Maria                 - E se sape, tu faie sempe guaie!

Putiferio                        -  Io faccio sempe guaie?

Donna Maria                 - Ma quanno ’a miette ’a capa? (Si dispera).

Putiferio                        -  (a lei) Ma pecché faie sta robba? Chi sta facenno niente!

Rusina                           -  Donna Mari’, calmateve, mo overo nun steva facenno niente.

Donna Maria                 - Figlia mia, io nun me ne fido cchiú! Chisto m’abbrevia ’e juorne mieie! Tutta na vita ’e schiante me fa fa’. Io nun saccio comme nun esco pazza! E ma pecché? Chillo tene n’arte d’oro ’e mmane, putesse fa’ ’o signore dint’ ’a casa soia, no! S’ha dda i’ truvanno ’e guaie cu ’a lanternella! E n’avesse nu prufitto! Addo’?! Trascura ’a fatica c’ ’o fa magna’, e nun me fa fatica’ manco a mme, pe’ ghi’ currenno appriesso a isso!

Putiferio                        -  E chi t’ ’o dice: curre! S’è messa a fa’ ’a podista!

Donna Maria                 - (scattando) E te so’ mamma, o te so’ n’estranea? ’A primma ’e nascere m’accuminciaste a fa’ suffri’! (Ai presenti) Na gravidanza accussí terribele, ca sulo p’ ’o caccia’ ce stevo apezzanno ’a pelle! (Ridono).

Biasiello                        -  (piano, ai vicini) Sulo p’asci’ chillo baule! (Indica la gobba).

Donna Maria                 - (al figlio) Ma ’e chi hê pigliato?

Putiferio                        -  (a lei) ’A vuo’ ferni’?

Donna Maria                 - Pateto era chill’ommo, e tu t’hê fatto mettere a nomme Putiferio! Vedite Putiferio! Me so’ ’mparato ca quanno veco n’ammuina ’a luntano, dico: «Llà ce sta figliemo!» Pataterno, io corro, e te trovo!

Putiferio                        -  Ma che ce pozzo fa’ si io so’ importante! Chiste (indica i tre) nun se steveno appicecanno pe’ vede’ chi m’aveva tene’ comme cliente? E pecché? Pecché addo’ accosto io, comme si arrivasse nu treno, sbarcasse nu transatlantico!

Donna Maria                 - ’O ssaie dicere?!

Putiferio                        -  E che è malamente? Sa’ quanto ’o pavarrieno, ll’ate, nu poco ’e nomea!

Donna Maria                 - Se sape, tu chissà quanto avarrie ’a spennere d’ ’a matina a sera pe’ te e pe’ sti quatto magnafranche ca puorte appriesso! (Li indica, mentre quelli si ribellano).

Donna Francesca          - (seccatissima) Chi spennere, bella fe’!

Giacchino                      -  Chillo tene na mano!

Donna Maria                 - Embè e nun spenne, e facite a chi s’ ’o piglia?

Don Lorenzo                 -  Chillo tene ’e caurare ’e cafè ’n cuorpo e nun ha spiso maie nu cientesimo!

Donna Maria                 - (al figlio) ’E ssiente, e nun te miette scuorno ’e fa’ ’a figura d’ ’o sbafatore?

Putiferio                        -  E io pirciò, pe’ nun ’e da’ cchiù fastidio (indica i due caffè, a proscenio) me ne so’ venuto ccà! (A Biasiello) Voi mi volete per cliente?

Biasiello                        -  Sempre!

Rusina                           -  Vuie site ’o padrone d’ ’o cafè!

Putiferio                        -  (alla madre, trionfante) Hê visto? Assettate! (A Biasiello) Vedite che vvò!

Donna Maria                 - (a Biasiello che si pianta in attesa di ordini) C’aggi’a vule’? Niente! (Disperandosi) Ma chisto quanno ’o mette ’o scuorno?

Carlino                          -  (a Putiferio) Don Vicenzi’, allora ce vaco io sulo?

Putiferio                        -  Nonsignore, sto venenno. (Alla madre) Pigliateve na cosa!

Donna Maria                 - (sempre più irritata) Nun voglio niente! Jammuncenne ’a casa!

Putiferio                        -  Avviate, ca mo vengo. ’E vvì ca tengo sta gente che m’aspettano!

Donna Maria                 - (preoccupata) E ch’hê ’a fa’?

Putiferio                        -  (indicando Carlino) A chillo, l’aggi’a i’ a leva’ ’e sputazze ’a faccia, e sta femmena, è robba ’e Casale ’e Princepe e m’è venuta a di’ ca cierte guardiane ’e terra ’e llà, a cavallo, cu fucile e pugnale, nun ’a vonno lassa’ sta cuieta! E io mo vaco a Casale ’e Princepe p’ ’e mettere a duvere!

Donna Maria                 - (sbarrando gli occhi) E tu vaie llà pe’ te fa’ accidere? (A Rachele) Gué, cafo’! Vattenne addo’ sì venuta!

Rachele                         -  (seccata) Nun alluccate!

Donna Maria                 - (continuando) Ca chillo è figlio a mme! E chi poco tene, caro tene!

Putiferio                        -  (seccato, alla madre) E chi t’ha ditto ca io so’ poco?

Rachele                         -  Si fosse poco, nun faciarrìano tanto a gara pe’ ll’ave’!

Biasiello                        -  (a Donna Maria) D’ ’o figlio vuosto, ne fanno na stima, abbasta ca ’o vedono.

Donna Maria                 - E nun l’hann’a vede’, si no fernesce a resate!

Putiferio                        -  (seccato, alla madre vedendo che Lorenzo e Donna Francesca con i camerieri ridono) ’A vuo’ ferni’?

Donna Maria                 - Chillo s’ha dda veni’ a mettere vicino ’o bancariello, ca quanno vene nu dulore ’e capa a isso, ’a casa mia se squinterna! (Al figlio) Jammo ’a casa!

Putiferio                        -  Avvìate, mo nun pozzo veni’! Io aggio dato pure n’appuntamento a nu certo Don Alfonso ’o chianchiere: aggi’a i’ a vattere a nu delinquente che l’ha ’nguaiata ’a figlia! Stasera aggi’a i’ all’Eden pe’ vattere ’o figlio ’a zetella ca nun vò fa’ canta’ a na canzunettista… Aggio che fa’!

Donna Maria                 - Insomma tu nun te vuo’ retira’ a casa toia? E io me metto ’allucca’, faccio correre ’e guardie. (Grida) Guardie!

Putiferio                        -  Guééé!

Donna Maria                 - Meglio che t’arrestano n’ata vota, ca te fernesceno ’e sturcia’!

Putiferio                        -  Ma pecché, io so’ già nu mezzo sturcio? Ma vedite comme parla?!

Rusina                           -  (intervenendo, mentre quelli intorno fanno segno all’interno e alle finestre, come dire che non è niente) Meh, Vincenzi’, nun facite piglia’ collera a mamma vosta, jatevenne a casa! Nun date retta a tutte sti pasticce, mettiteve a fatica’, che n’avit’a fa’?

Putiferio                        -  Ma che figura faccio?

Donna Maria                 - Vedite, chillo penza ’a figura, e nun penza ’a salute!

Putiferio                        -  Che centra ’a salute?

Donna Maria                 - Chillo nun t’accideno pecché nisciuno ’o passa nu guaio cu te! Ma te fanno quacche straviso p’ ’a faccia e addeviente cchiú bello!

Rusina                           -  (a Donna Maria, visto che intorno ridono) Meh, e nun ’e dicite sti ccose!

Putiferio                        -  Ma vedite si na mamma me fa chist’apprezzamento?! Se sape ca gli estranei attuorno hann’a ridere. (E guarda male quelli intorno) Io cu vuie nun pozzo sfuga’ pecché me site mamma, ma m’ ’a piglio cu chille attuorno! (E con mossa fulminea dà calci ai tavoli di Don Lorenzo) Io ce metto poco e scasso tutte cose!

Donna Maria                 - (tirandolo) Jammo a casa!

Putiferio                        -  (risoluto) Nun pe’ niente so’ Putiferio! (Alla madre) Nun ce voglio veni’!

Donna Maria                 - Eh! E io chiammo ’e gguardie! (Grida) Guardie! (Tutti si affollano intorno a lei, per calmarla).

Putiferio                        -  Zitta! Mannaggia! Ma vedite si se po’ fa’ ’o guappo cu ’a mamma appriesso!

Donna Maria                 - Songo stufa ’e i’ currenno pe’ tutt’ ’e carcere e pe’ copp’ ’e spitale. E fino a che ce staranno l’uocchie ’e mammeta apierte, tu nun n’hê passa’ cchiú guaie!

Donna Francesca          - (a Putiferio, commossa) E ghiate, mo ’a facite veni’ nu moto!

Biasiello                        -  (a Donna Maria) Meh, chillo mo vene!

Peppino                         -  (come sopra) Purtatavillo… (Ognuno ha una parola di solidarietà).

Rusina                           -  (dolce a Putiferio) Facitela cuntenta! (Indica Donna Maria) Venarrate cchiú tarde, facitelo pe’ mme! (Sorride).

Putiferio                        -  (dopo aver sorriso a Rusina, alla madre) Jammuncenne. (Tutti si rallegrano).

Donna Maria                 - Mado’, te ringrazio! (E prende sotto il braccio il figlio).

Putiferio                        -  (a Rusina) Ce vedimmo! Facimmo ’a primma uscita!

Carlino                          -  (fermando Putiferio, con Gennarino e Rachele) E allora?

Putiferio                        -  E c’aggi’a fa’? Chella fa correre ’e gguardie, m’arrestano, manco pozzo veni’… (Spavaldo) Fancello sape’ ’o frato ’e Nannina, a Peppe ’o curto e a Ciccio ’o cafone c’hanno obbligazione ca è venuta mammema. Ca loro vanno tre sorde e nun servono e ca si vonno suddisfazione, sanno io addo’ stongo.

Donna Maria                 - Nonsignore, nun fa’ guaie!

Putiferio                        -  (a Carlino) T’abbasta chesto?

Carlino                          -  M’abbasta! (Saluta e va via).

Donna Maria                 - Pataterno!

Rachele                         -  E io?

Putiferio                        -  «E io»? Si me putevo movere, venevo a Casale ’e Princepe e te devo suddisfazione. Mo c’aggi’a fa’? Quanno vaie ’o paese, e chiste te ’ncuitassero ancora, dille ca staie sott’ ’a protezione mia, e si chiste se vonno appicceca’, veneno a Napule e ce appiccecammo!

Rachele                         -  Va buono. (Va via).

Donna Maria                 - Eh, se sta facenno ’a pruvvista!

Gennarino                     -  (facendosi avanti) Don Vicenzi’!

Putiferio                        -  ’E solde te l’ha dato?

Gennarino                     -  Nun m’ha vuluto da’ niente!

Putiferio                        -  E ce l’hê ditto: Io faccio veni’ a Putiferio?

Gennarino                     -  Eh… e m’ha risposto: «M’ ’o metto appiso ’a catena!».

Putiferio                        -  (mentre i presenti ridono) Cumme a port-bonneheur?! Mo vach’io!

Donna Maria                 - (grido di schianto) Guardie! (Tutti gridano).

Putiferio                        -  (a Gennarino, mentre la madre lo trascina via) Ha ditto che so’ nu ciondolo? E domani faremo i conti! (Tutti commentano; Putiferio esce, dopo aver guardato amorevolmente Rusina, la madre lo segue).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Tela. La scena. Il pomeriggio del giorno seguente. La casa bottega di Putiferio. Ambiente rustico e caratteristico. Addossata alla fiancata destra, una scalinata in legno porta ad un ammezzato con porta praticabile; in prima quinta alla finestra di sinistra, la porta d’ingresso. In mezzo alla parete frontale, un’ampia finestra che guarda il cortile. Attaccate alla porta d’ingresso, messe perpendicolarmente, sono appese scarpe vecchie e nuove. In scena a sinistra, al di sopra dell’ingresso, una macchina revettatrice messa per lungo, di modo che l’artista, sedendovisi, si trovi con la faccia al pubblico. Un grezzo tavolo da lavoro è messo anche per lungo, di fronte, per potervi lavorare dietro. Davanti all’accesso della scalinata, che è di fronte al pubblico, il deschetto da calzolaio di Putiferio, con sopra gli attrezzi. A terra, intorno al deschetto, forme di scarpe da uomo e da donna, e scarpe che attendono di essere riparate. In fondo a sinistra, nell’angolo, il piccolo focolaio e sopra una pignatta coperta da un piatto che fa da coperchio. All’alzarsi della tela Putiferio, vestito col caratteristico «mantesino» di pelle di capra, proprio dei calzolai, con le spalle alla parete di destra, siede vicino al suo «bancariello», sopra una sedia di paglia senza spalliera. Di fronte a lui, pure vicino al deschetto, su di una sedia migliore, ’O Prufessore, maestro di scuola elementare in pensione. Ha un piede calzato e uno no, che poggia a terra sul giornale. La sua scarpa è nelle mani di Putiferio, per una cucitura alla suola. Donna Maria è seduta alla macchina, cuce delle tomaie.

Putiferio                        -  (mentre lavora, canta) Ella mi disse: ho perduto il portamonete. Io mi soffiai forte il naso per non sentir, e prima ancor che replicava aveo allungato il pie’ e mi portai con quattro passi sull’altro marciapie’. Ella passando pei bar, guardava dentro mentre io distratto guardavo dall’altra parte! Sett’ore a camminar, son stanca di girar. Qui c’è un sedile ci possiamo riposar! Casca, la neve casca, ella mi disse: andiamo a cena al restaurant; io le risposi: tiene ’a freva! Casca la neve! E ghiammece a cucca’!

Donna Maria                 - (durante la canzone avrà detto al figlio) Gué, statte zitto, ca ’o prufessore nun se fida ’e sentere!

’O Prufessore                - No, anzi!

Donna Maria                 - (al finale, vedendo che Putiferio riprende) ’A fernisce o no?

Putiferio                        -  (dopo una guardataccia alla madre, rivolgendosi al professore) Non canto bene?

’O Prufessore                - Al contrario!

Putiferio                        -  E per mia madre, tutto quello che faccio io, nun serve!

Donna Maria                 - No, pecché quanno staie vicino ’o bancariello chi te dice niente? E pecché tu vuo’ fa’ sempe chelli cose ca nun puo’ fa’!

Putiferio                        -  (per farla finire, riprende il refrain) Casca, la neve casca! (Interrompendo) Ma pecché, si me metto a canta’, nun magno? (E guarda il professore che non esprime la sua opinione).

Donna Maria                 - Comme! Tu ’o tenarrisse ’o curaggio d’asci’ pure ’ncopp’ ’o palcuscenico!

Putiferio                        -  Me decidesse io!

’O Prufessore                - La vocina è graziosa!

Putiferio                        -  E cu ’o nomme ca tengo! (Alla madre) Vedarrisse ’e carabiniere fore ’o triato!

Donna Maria                 - Pe’ t’arresta’ appena ascisse!

Putiferio                        -  Pe’ m’arresta’? (E torce la scarpa del professore).

’O Prufessore                - (supplichevole a Donna Maria) E zitta, nun ’o facite arraggia’, chillo tene ’a scarpa mia!

Donna Maria                 - E chillo parla ’e i’ pure ’ncopp’ ’o triato, cu chella figura!

Putiferio                        -  (sempre più torcendo la scarpa) Cu chella figura, eh?

’O Prufessore                - (ammonendo Donna Maria) Signo’!

Putiferio                        -  E, ’a figura, aggio ubblicazione a te, ca te faciste veni’ ’o gulìo d’ ’o mellone, si no, cu ’a capacità mia, mo nun stesse jettato vicino a nu bancariello.

Donna Maria                 - E ringrazia Dio, fa’ ’o scarparo, c’ ’a guapparia nun è pe’ te!

Putiferio                        -  (come sopra) Mo ’ngigne n’ata votte?

’O Prufessore                - (preoccupato per la scarpa, a Putiferio) Vogliamo lasciare stare adesso, la facciamo domani?

Putiferio                        -  Aggio fernuto!

’O Prufessore                - No, perché voi adesso state un po’ agitato!

Putiferio                        -  E vuie ’a sentite? (E lavora).

’O Prufessore                - (vedendo che Donna Maria piange in silenzio, e con le forbici taglia una tomaia, paterno a Puitiferio, ma autoritario) Vedete Don Vincenzi’, mamma vostra non ha tutti i torti. Che utile vi porta tutta questa guapperia? Fastidi, pericoli e niente altro!

Putiferio                        -  Fastidie e pericule? E ’e suddisfazione nun c’ ’e mettite?

Donna Maria                 - (con voce di pianto) Qua’ suddisfazione?

Putiferio                        -  Comme, gente ca me va truvanno d’ ’a matina ’a sera, ca se raccumanna a me per avere protezione. Io m’aggio passata meza vita carcerato!

Donna Maria                 - E cheste songo suddisfazione?

Putiferio                        -  E ’o nommo: Putiferio! Me l’hê miso tu? Nun me l’aggio fatt’ io?

Donna Maria                 - E ti fai chiamare Putiferio? E chi perzona seria se facesse chiamma’ Putiferio? Sulo nu pagliaccio comm’a te!

Putiferio                        -  (scattando) Mo m’hê ’a fa’ ruvina’ ’a scarpa d’ ’o professore?

’O Prufessore                - (fermandolo) No, per amor di Dio!

Putiferio                        -  E chella me stuzzica! Si nun ’a dongo ’n capa, accummencia ’o Rusario mo, e ’a fernesce dimane!

Donna Maria                 - (con cantilena di pianto) Ogne minuto n’appicceco, ogne minuto nu schianto. ’A fatica ca dorme ’n terra, ’e guaie s’accavallano. Me desidero ’a morte! (E con il grembiule si soffia il naso).

Putiferio                        -  (smontato, alla madre) E c’ ’a facite a fa’ sta robba?

’O Prufessore                - (serio, a Putiferio) Certo, sono cose spiacevoli, ma mamma vostra parla per il vostro bene.

Putiferio                        -  Ma pecché chiagne?

Donna Maria                 - E nun so’ cose ’a chiagnere, cheste?

’O Prufessore                - Quanto sarebbe più bello che voi lasciaste certe amicizie e le gesta eroiche di Orlando e Rinaldo al teatro delle marionette! (Donna Maria, durante il discorso del professore, lo incita a parlare, dandogli dei colpi col suo gomito al braccio, al che il professore si tasta dal dolore) Una persona dabbene non si ficca in faccende che non gli riguardano, per la sola velleità di affrontare e superare un rischio che a volte si chiude con carceri, e a volte, Dio non voglia, in qualche letto di ospedale.

Donna Maria                 - (come sopra) Dicitincello… dicitincello… puzzate essere beneditto! (E si asciuga gli occhi col grembiule).

’O Prufessore                - (incoraggiato) Voi avete ben altri doveri da compiere nella vita. Avete una madre, dovete pensare alla sua esistenza (Donna Maria ripete lo stesso gesto di prima), al vostro avvenire, e a crearvi una famiglia, una pace domestica, per quando Iddio vorrà che vostra madre non ci sarà più!

Putiferio                        -  L’affare della sistemazione è una cosa che verrà più tardi.

Donna Maria                 - Che più tardi? Tu mo tiene quarant’anne e quanto ce vuo’ penza’? Quanno nun sì bbuono a ffa’ niente cchiú?

’O Prufessore                - Eh! E che farete voi solo, senza un affetto, senza una guida, senza un appoggio morale, senza una compagna che pensi alla vostra cura, alla vostra salute, che vi sappia, nei brutti momenti, amalgamare con una parola di pace, una parola di amore?

Putiferio                        -  (come per confessarsi) La cosa di ammogliarmi e mettere una famiglia, direi, sta quasi per la strada, ho già qualche proposta!

’O Prufessore                - Oh! (Donna Maria riprende a dare qualche colpo con il gomito al professore) E come riuscirete a dare garanzia di serietà e di buoni propositi ad una ragazza, se non smettete di fare il Putiferio e dedicarvi completamente al lavoro? Domani n’ato appicceco e nella migliore delle ipotesi vi arrestano, e allora addio matrimonio, addio famiglia, addio tutto!

Donna Maria                 - (alzandosi e avvicinandosi al figlio) Hê visto che belli parole che t’ha ditto ’o prufessore? Pecché nun cirche ’e ne fa’ prufitto? (Lo accarezza) Sarrà stato l’anema ’e chillo pato tuio, che ’all’ato munno, t’ha mannato stu sant’ommo! (Piange dalla gioia).

Putiferio                        -  (al colmo della commozione) Pecché songo stato accussí carogna pe’ tant’anne? (E nello spasimo della frase, strappa la suola completamente dalla scarpa del professore e guardando le due parti staccate, resta allibito).

’O Prufessore                - Buonanotte!

Donna Maria                 - (al figlio) C’hê cumbinato?

Putiferio                        -  E che era ’e ricotta?

’O Prufessore                - (urtato) Che ricotta? Vuie l’avite tirata ’e chella razza di maniera!

Putiferio                        -  (guardandola) Embè, comme se fa? Chesta s’ha dda cuci’ a macchina!

’O Prufessore                - E io comme me ne vado? Scalzo?

Putiferio                        -  (al professore, guardando la scarpa) Eh, ma io ve l’aggi’a cosere a macchina. Io ’o servizio ve l’aggi’a fa’ buono!

’O Prufessore                - No… m’ha fatto ’o servizio! (E si mette la scarpa, alzandosi). Se sapevo non vi convertivo!

Putiferio                        -  Venite doppo dimane ca v’ ’o faccio nuovo nu paro ’e scarpe e v’ ’o regalo!

’O Prufessore                - Grazie! (Saluta Donna Maria che lo accompagna alla porta, ringraziandolo con molto trasporto ed ella gli dà, inoltre, delle piccole spinte, al che il professore, giunto vicino alla porta, scappa ossequiando).

Donna Maria                 - (avvicinandosi al figlio) È overo cor’ ’e mamma ca cagnarraie vita e te sistemarraie?

Putiferio                        -  Sí, quanta vote se parla!

Donna Maria                 - (lasciandolo) Ah!

Putiferio                        -  Anze, giacché ’o vvuo’ sape’, è pronta pure ’a mugliera.

Donna Maria                 - (che si è seduta al suo posto) Sí?

Putiferio                        -  ’A mugliera ce sta e me vò nu cuofano ’e bene!

Donna Maria                 - ’A saccio io?

Putiferio                        -  ’A saie!

Donna Maria                 - (dopo aver pensato un attimo) Chi è?

Putiferio                        -  Rusina, ’a figlia ’e Biasiello ’o cafettiere!

Donna Maria                 - (fredda) Figlio mio, e chella nun è pe’ te!

Putiferio                        -  È tanto na bona guagliona…

Donna Maria                 - ’O saccio, ma chella chisà che idee tenarrà!

Putiferio                        -  Che idee? Io già ce faccio ’ammore!

Donna Maria                 - Con Rusina? E essa ne sape niente?

Putiferio                        -  Uh, Giesù, si te dico ca ce faccio ’ammore! «Essa ne sape niente?» Allora facevo ’ammore io sulo?

Donna Maria                 - No, dico, ’e stu fatto, ce n’hê parlato a essa?

Putiferio                        -  E comme! Fuie essa ca me facette ’a ’mmasciata!

Donna Maria                 - (sorpresa e compiaciuta) Ah!

Putiferio                        -  Aiere a n’atu ppoco me cadeva ’mbraccio! E pecché veniste tu, si no io parlavo pure c’ ’o pato!

Donna Maria                 - (con il tono del presagio) Statte attiento, figlio mio!

Putiferio                        -  Statte attiento ’e che?

Donna Maria                 - No, dico ’e nun ce mettere ’o pensiero. Vide apprimma si pò essere!

Putiferio                        -  E chesto dipende da me. Anze, va’ tu stesso mo ’nnanz’ ’o cafè, t’ ’a chiamme cu na scusa e ce parle. Accussí, quanno nun ce starrà niente in contrario, come vedrai, io ogge stesso me chiammo a Biasiello. (Spingendola).

Donna Maria                 - (depone il lavoro sul tavolo nel fondo, prende lo scialle e sotto l’uscio, al figlio) Nun me mannarraie a fa’ na brutta figura?

Putiferio                        -  Va’! Vuo’ vede’ ca fosse ’a primma femmena che s’annammora ’e me? Ca Dio ’o ssape che c’è voluto pe’ me mantene’ scapolo fino a mo’! Va’! (Donna Maria esce).

’O Stalliere                    - (appare, dietro alla finestra, Pasquale ’o stalliere che, con tono deciso, esclama) Putife’!

Putiferio                        -  Pasca’, io me chiammo Vicienzo, anze chiammame mastu Vicienzo. Putiferio nun ce sta cchiú. Ce simmo capite?

’O Stalliere                    - (sorpreso) Sissignore!

Putiferio                        -  Che vuo’?

’O Stalliere                    - Fore ce stanno tre piezze d’uommene, me pareno tre gigante, si ’e vide te miette paura!

Putiferio                        -  E ch’aggi’a fa’?

’O Stalliere                    - Vanno truvanno a te!

Putiferio                        -  (impressionato) Eh!

’O Stalliere                    - Io stavo sott’ ’o palazzo, m’hanno spiato tu addo’ stive ’e casa.

Putiferio                        -  E tu che ll’hê ditto?

’O Stalliere                    - ’O vascio appriesso, ’a puteca ’e scarpare!

Putiferio                        -  So’ gente ’e Napule?

’O Stalliere                    - No, hann’a essere robba d’ ’a provincia! Ma ’a comme vanno vestute, me pareno tre brigante!

Putiferio                        -  (che ha capito chi sono) Stanno a cavallo?

’O Stalliere                    - (meravigliato dalla domanda e sorridendo) No.

Putiferio                        -  Teneno fucile, pugnale?

’O Stalliere                    - Fucile no, pugnale, po’, chi ’o ssa…

Putiferio                        -  Va’ chiamma a mammema, sta ’nnanz’ ’o cafè ’e Biasiello, dincello ca venesse subito ccà. (Fermandolo con la mano) Addo’ stanno mo?

’O Stalliere                    - ’O marciapiede ’e rimpetto e guardano lloco dinto.

Putiferio                        -  Ricordate ca Putiferio è sparito e ca io me chiammo Mastu Vicienzo.

’O Stalliere                    - Aggio capito!

Putiferio                        -  (a lui) Va’! (’O stalliere esce. Avvicinandosi a piccoli passi all'ingresso per guardare fuori, gli compaiono davanti i tre mazzunari di Casale di Principe, i fratelli Saturno. Sono tre uomini alti, grossi, facce patibolari, indossano giacche di velluto, larghi cappelli, scarpacce e gambali, camicie colorate di fustagno, hanno i baffi. Alla loro vista, Putiferio indietreggia e quando quelli saranno entrati) Desiderano?

Primo Mazzunaro          - Vogliamo a Putiferio!

Secondo Mazzunaro     - Ce sta?

Putiferio                        -  E voi chi siete?

Primo Mazzunaro          - I fratelli Saturno di Casale di Principe!

Putiferio                        -  ’E mazzunare?!

Terzo Mazzunaro          - ’E mazzunare!

Primo Mazzunaro          - Addo’ sta?

Putiferio                        -  Lui è uscito, ma se gli dovete dire qualche cosa potete parlare con me.

Secondo Mazzunaro     - E voi chi siete?

Putiferio                        -  ’O gioveno suio! (Indica il deschetto).

Terzo Mazzunaro          - Fa ’o solachianiello?

Putiferio                        -  (correggendolo) Il calzolaio, ed è un artista!

Primo Mazzunaro          - Sapite addo’ ’o putimmo truva’ a stu princepale vuosto?

Putiferio                        -  Ma ripeto, parlate con me ch’è l’istesso, e appena verrà gli farò io l’imbasciata.

Secondo Mazzunaro     - E non è imbasciata che gli dobbiamo fare!

Primo Mazzunaro          - L’avimm’a da’ cierti schiaffe, ’e putimme da’ a vuie?

Putiferio                        -  (rapido) È meglio ca parlate cu isso!

Secondo Mazzunaro     - E tu nun saie addo’ è ghiuto?

Putiferio                        -  E no, quello esce per commissioni.

Primo Mazzunaro          - (ironico) Sarrà juto a ffa’ quacche dichiaramento!

Putiferio                        -  Può darsi!

Terzo Mazzunaro          - Ma è guappo assaie?

Putiferio                        -  Avite voglia!

Primo Mazzunaro          - E bravo!

Putiferio                        -  Ma mo se ritira a vita privata, pecché ha dda mettere famiglia, s’ha dda ’nzura’!

Primo Mazzunaro          - (sarcasticamente compiaciuto) Ah, sta bene! Justo justo. Se retira a vita privata? E noi gli faremo chiudere la carriera con una brillante figura: ’o faciarrammo nu sulennissimo mazziatone! Accussí, facenno ’a storia ’e stu guappo, se saparrà ca Putiferio nun è ghiuto maie niente. Facimmo buono?

Putiferio                        -  (prudente, come di una cosa a lui estranea) Eh, sempe cu isso avit’a parla’!

Secondo Mazzunaro     - E se sape! Aspettammo che vene isso. Ce mettimmo a discutere cu ’o scartellato? (Indica Putiferio).

Putiferio                        -  (seccato) Prego, chillo nun è scartiello.

Terzo Mazzunaro          - E ched è?

Secondo Mazzunaro     - Nu puorro?

Putiferio                        -  È nu gulìo ’e mellone!

Primo Mazzunaro          - (non potendosi dare pace) Piezz’ ’e carogna. Isso era buono ’e me manna’ a dicere pe’ na femmena ca io voglio bene e ca me fa ’a sostenuta: «Dincello ca staie sott’ ’a pruteziona mia e ca si se vonno appicceca’ venesseno a Napule e ce appiccecammo». Sta femmena se n’ha fatto nu vanto, se n’è ghincuto nu paese, e che figura faciarrammo nuie dimane pe’ Casale ’e Princepe si ’e primme giurnale c’arrivano ’a Napule nun portano già ’o fatto ca Putiferio giace ferito all’ospedale?

Putiferio                        -  (dopo una pausa) È giusto, ma sti cose ce l’avit’a dicere sempe a isso!

Primo Mazzunaro          - E a isso aspetto. S’ha dda retira’!

Secondo Mazzunaro     - E doppo c’ ’o lassa isso, m’ ’o piglio io!

Terzo Mazzunaro          - E po’ m’ ’o passa a me!

Putiferio                        -  (comico) Eh, mo ce truvammo!

Primo Mazzunaro          - Cu me sulo nun s’ ’e spurcava ’e mmane, eh! Tre frate a tutte e tre! Venesseno a Napule!

Secondo Mazzunaro     - A tre a tre!

Terzo Mazzunaro          - Cumme a mazze ’e rafanielle!

Donna Maria                 - (ansante, dalla comune vede i tre) Madonna! Ch’è stato? ’E brigante ’a casa mia! (Al figlio) Ch’è succieso?

Putiferio                        -  Niente. Aspettano a Putiferio… (La madre lo guarda e non si raccapezza) ’o princepale mio, e ce l’aggio ditto ca è asciuto e ca nun saccio quanno se retira. (Per far capire alla madre) Così stanno le cose!

Donna Maria                 - (che ha capito) Ah… (Ai tre) E io songo ’a mamma parlate cu mmico, chello c’avit’a dicere a isso, dicitelo a me!

Putiferio                        -  Levateve ’a miezo, chille so’ schiaffe. E si no ’a ’mmasciata m’ ’a pigliavo io!

Donna Maria                 - So’ schiaffe? E c’ha fatto?

Putiferio                        -  Chisti ccà, songo ’e tre guardiane ’e terra ’e Casale ’e Princepe ca ’o figlio vuosto mannaie a sfida’, e so’ venute p’ave’ suddisfazione!

Donna Maria                 - (disperandosi, al figlio) Uh, che te pozzano accidere! ’E vì ’e cunseguenze?! (I mazzunari guardano Putiferio).

Putiferio                        -  (preoccupato, tra i denti) Eh, fancello accapi’, accussí overo m’accideno! (Alla madre) Quanno ’o figlio vuosto le prore ’a capa!

Donna Maria                 - Ma tu nun ce l’hê ditto ca chillo mo nun fa cchiú ’o guappo? È ove’?

Putiferio                        -  Ce l’aggio ditto ca ’o princepale se retira a vita privata, pecché s’ha dda ’nzura’! (Indicando i tre) E hanno ditto ca ’o vonno fa’ chiudere ’a carriera cu nu solennissimo mazziatone!

Donna Maria                 - E fosse sulo ’o mazziatone, io ce ’o facesse fa’, pecché chillo s’ ’o mereta! (Ai mazzunari, in tono supplichevole) Meh, aggiate pacienza, belli figliule, chillo chisà quanno venarrà!

Primo Mazzunaro          - (risoluto a lei) ’O figlio vuosto ce ha mannato a dicere: «Si se vonno appicceca’» (Marcando) «Si se vonno… venessero a Napule e ce appiccecammo»!

Secondo Mazzunaro     - (spiegando) A tutt’ ’e tre, capite?

Primo Mazzunaro          - E stu fatto se sape pe’ tutto Casale ’e Princepe e p’ ’o decoro nuosto, nun ce putimmo sta’ zitte, avimm’a reagi’ pe’ fforza!

Putiferio                        -  (alla madre) Dimane ’e primme giurnale c’arrivano a Casale ’e Princepe hann’a purta’ ’a nutizia ca Putiferio sta ’o spitale! (Gesto come dire: che credi?).

Donna Maria                 - (tra sé) E cunsolate!

Putiferio                        -  (alla madre) L’hanno ditto lloro! (Indica i tre).

Primo Mazzunaro          - E si no nun ce putimmo retira’, chille so’ piccoli centre!

Secondo Mazzunaro     - Io me mettarrie scuorno ’e cammena’!

Terzo Mazzunaro          - E chi esce ’a dint’ ’a casa?

Donna Maria                 - (al fìglio) ’O ssiente?!

Putiferio                        -  (vistosi guardato dai mazzunari) E m’ ’o dicite a me? L’avite dicere ’o figlio vuosto!

Donna Maria                 - (fissando Putiferio) ’O pozzano benedicere a mio figlio! (E ai tre) Ma chillo mo, chisà quanno venarrà!

Putiferio                        -  A me, me pare ca è partuto!

Primo Mazzunaro          - Mo è partuto, mo?! (Si guarda intorno come per cercare qualche cosa, vede il gesso sul deschetto, lo prende e passandolo al terzo fratello) Tie’, scrive cu ’o gesso for’ ’a puteca: Putiferio nun va niente! (Il terzo mazzunnaro va).

Putiferio                        -  (sforzandosi di apparire scherzoso) Ma pecché avit’a fa’ sape’ ’e fatte suoi ’a gente?

Donna Maria                 - Embè, se fa, po’, chesto?

Putiferio                        -  Chillo s’ha dda ’nzura’, ’o facite fa’ sta bella figura!

Donna Maria                 - Eh, ma scusateme, chesto nun è da perzone serie!

Putiferio                        -  Non si offende ad un assente. Si chillo steva ccà, rimandava ’o matremonio e ve scassava ’e facce!

Primo Mazzunaro          - Chi? (Avanzando) Mo accummencio ’a te!

Secondo Mazzunaro     - Ce scassave ’e facce!

Donna Maria                 - (a Putiferio) Gué, pierde ’a lengua!

Primo Mazzunaro          - (al terzo che rientra) Hê scritto?

Terzo Mazzunaro          - (guardando fuori) Già ’o stanno leggenno!

Secondo Mazzunaro     - Accussí se sape p’ ’o quartiere, ca Putiferio è nu pagliaccio!

Primo Mazzunaro          - (guardandosi intorno) E c’ato putimmo fa’?

Secondo Mazzunaro     - E che vuo’ fa’? Chille già l’avranno avvisato!

Terzo Mazzunaro          - (ai fratelli) Jammuncenne, venimmo dimane!

Primo Mazzunaro          - (avvicinandosi a Donna Maria, disarmato dal suo silenzioso pianto) Dicitincello a ’o figlio vuosto c’ave ubblicazione a vuie, ma sempe na sputazza ’n faccia ha dda ave’!

Carlino                          -  (entrando, amareggiato) Chi è c’ha scritto ca Putiferio nun va niente? (E fissa i tre).

Donna Maria                 - (piangendo, va verso di lui) Figliu mio! Figliu mio!

Secondo Mazzunaro     - (al primo) Chisto è ’o figlio?

Primo Mazzunaro          - (avvicinandosi, rapido a Carlino) E tu ire buono pe’ tutt’ ’e tre? Puth! (E via con i fratelli).

Putiferio                        -  (a Carlino, che è rimasto allibito) Buono, buono, buono, t’hanno pigliato pe’ me!

Carlino                          -  (scattando) Ma insomma è destinato ca io aggi’a ave’ sempe sputazze ’n faccia! (E si pulisce con il fazzoletto).

Donna Maria                 - (a Carlino, amorevolmente) Aggie pacienza figlio mio, è stata ’a Madonna ca sì venuto a tiempo, si no nun ferneva accussí.

Putiferio                        -  (alla madre) Vide, se ne so’ ghiute?

Donna Maria                 - (assicurandosi) Sissignore!

Putiferio                        -  (alla madre, consegnandole il fazzoletto) Va’, scassa chella dicitura ’a llà ffore! (Donna Maria esce).

Carlino                          -  (ancora stordito per l’offesa subita) Ma chi so’?

Putiferio                        -  Chilli tre ’e Casale ’e Princepe ca io mannaie a sfida’ pe’ chella femmena d’aiere. So’ venute ccà p’ave’ suddisfazione!

Carlino                          -  Embè, e tu pecché nun ce l’hê ditto ca Putiferio ire e ce ’a dive ’a suddisfazione?

Putiferio                        -  (gesto come dire: chi?) Io nun voglio fa’ niente cchiú! Putiferio è partuto! (Forte) M’aggi’a ’nzura’!

Carlino                          -  Chillo mo vene ccà ’o frato ’e Nannina, Ciccio ’o cafone e Peppe ’o curto!

Putiferio                        -  (preoccupato e scosso) Io te faccio pazzo! Dincello ca nun venesseno. Io nun faccio cchiú ’o guappo, faccio ’o scarparo. E torna a fa’ ’o scarparo pure tu, ca sulo ’e scarpe ce danno a magna’!

Carlino                          -  Allora io resto cu tre sputazze ’n faccia e una ’a quatto?

Putiferio                        -  E che vuo’? Io aggi’a mettere famiglia! (E alla madre che riappare abbattuta) S’è levato tutte cosa?

Donna Maria                 - Gnorsí. Madonna nun me fido manco ’e sta all’erta! (E sedendosi al figlio) Ih che mazziatone ch’hê sparagnato. È stata l’anema ’e pateto che t’ha mannato a chisto! (Indica Carlino).

Carlino                          -  (sardonico) È ove’?

Putiferio                        -  Si no chella sputazza l’avevo io!

Carlino                          -  (risoluto) E allora?

Donna Maria                 - (al figlio) Che vò?

Putiferio                        -  (con una lieve reticenza) M’è venuto a dicere ca mo veneno pure tre perzone soie.

Donna Maria                 - (a Carlino) E che vanno truvanno?

Carlino                          -  E nun ce stiveve vuie ’nnanze, aiere, quanno isso (indica Putiferio) me dicette: «Fancello a ssape’ ’o frate ’e Nannina, a Peppe ’o curto e a Ciccio ’o cafone, ca lloro vanno tre sorde e nun servono, e ca si vonno suddisfazione, sanno io addo’ stongo?» Io sta robba ce l’aggio mannato a dicere a chille, mo venarranno ccà.

Donna Maria                 - (rialzandosi con le mani in aria) Chiii? Mo me facite fa’ ’a pazza!

Putiferio                        -  (a Carlino) P’ ’a stessa perzona che l’hê mannato a fa’ ’a ’mmasciata, le faie sape’ ca io nun faccio cchiú parte d’ ’a guapparia…

Carlino                          -  (a Putiferio) Va bene!

Donna Maria                 - (a Carlino) Eh, cercate d’appara’ c’ ’a Madonna v’ ’o pava!

Carlino                          -  (fa per andare, poi, tornando sui suoi passi) Ma comme, te ’nzure?

Putiferio                        -  Eh, miettete a fatica’ tu pure, e quanno te decide, te ne viene cu me! (Torna al deschetto).

Carlino                          -  Arrivederci!

Putiferio                        -  Grazie!

Carlino                          -  Prego! (Esce).

Putiferio                        -  (ansioso, alla madre) C’hê parlato?

Donna Maria                 - E tu m’hê mannato a chiamma’ ’e pressa. L’aggio ditto c’appena teneva nu mumento ’e tiempo, fosse venuta essa a ddu me.

Carulina                        -  (dalla finestra del cortile a Donna Maria) Donna Mari’, ve serve niente?

Donna Maria                 - Sí, trase nu mumento! (E le fa cenno con la mano, per indicarle di passare dalla porta d’ingresso, e mentre Carulina si avvia, al figlio) Povera figlia! Senza mamma e senza pato!

Putiferio                        -  Ma che fa?

Donna Maria                 - Va facenno servizie!

Putiferio                        -  E che specie ’e servizie va facenno? (Ha frainteso).

Donna Maria                 - (convinta, difende l’onestà della ragazza) Le’! …è tanto na bona piccerella e pecchesto tutte n’hanno pietà e le danno ’o piattiello e quacche petaccia pe’ s’ ’a mettere ’ncuollo.

Carulina                        -  (entrando) Pozzo trasi’?

Donna Maria                 - Trase, Caruli’.

Carulina                        -  (abbozza, timida, un leggero inchino a Putiferio, poi, a Donna Maria) Che v’aggi’a servi’?

Donna Maria                 - Voglio essere pigliato nu chilo ’e pane, e po’ viene ’ncoppo cu mme, t’aggi’a da’ na bella camicetta chiara d’ ’a mia ca nun m’ ’a metto cchiú.

Carulina                        -  (commossa) Grazie!

Putiferio                        -  (ironico a Carulina) Cu ’a camicetta ’e mammema ’ncuollo, taglio moderno, faie ’o muorzo ’e vita!

Donna Maria                 - E chella ’a vita nun l’ha dda fa’! (Si è alzata e salendo per la scalinata che conduce alla stanza superiore) Addo’ duorme mo?

Carulina                        -  (nel passare per salire, viene tirata alla gonna da Putiferio, e sorridendo, si svincola; salendo e parlando, non stacca gli occhi da lui) Ancora a dd’ ’a vaccara, ma già m’ha ditto ca m’aggi’a truva’, pecché tene ’e figlie gruosse e nun me pò tene’!

Donna Maria                 - (con un leggero sospiro) Ah, Giesucri’! Miettece ’a mano toia! (Entra nell’ammezzato).

Putiferio                        -  (continuando a lavorare, riprende a canticchiare come prima).

’O Stalliere                    - (dalla finestra) Putife’!

Putiferio                        -  (smettendo di colpo di cantare e lavorare) Pasca’, Mastu Vicienzo. E quanno uno ti prega! Anche per forma, si no ’a piglio ’a terra na forma e t’arapo tutto chesto! (Indica la fronte).

’O Stalliere                    - (scusandosi) E uno, abituato, pe’ tant’anne…

Putiferio                        -  E t’ hê ’a sbitua’. Che vuo’?

’O Stalliere                    - Ce stanno n’ati tre perzune ca te vonno!

Putiferio                        -  A tre a tre… E chi so?

’O Stalliere                    - A uno ’o cunosco: ’o frato ’e Nannina ’a capera. (E guarda fuori).

Putiferio                        -  Ll’ati dduie so’ Ciccio ’o cafone e Peppe ’o curto!

’O Stalliere                    - Ma c’avite fatto chiacchiere?

Putiferio                        -  Pecché?

’O Stalliere                    - Stanno tutt’ ’e tre cu ’e mazze ’mmano! (Putiferio si alza rapido, rimanendo però al suo posto) Uno ha ditto: «Io l’aggi’a rompere ’a faccia!». N’ato: «Io l’aggi’a ’mmacca’ ’o scartiello!». ’O frato ’e Nannina s’ ’e vò purta’, ma chille nun se ne vonno i’!

Putiferio                        -  (in un’ondata di collera) Ma nun have ragione mammema ca io vaco truvanno ’e guaie cu ’a lanternella? (Alludendo alla madre) Cu chille ’e primma già ha avuto nu schianto, si mo che scenne se piglia n’ata paura, nun le vene n’insulto? (Disperato) Ah, menu male ca mo me sposo, accussí me levo ’a miezo a tutte sti pasticce!

’O Stalliere                    - Chiammo ’e gguardie?

Putiferio                        -  Nun chiamma’ a nisciuno, m’ ’o veco io! (’O stalliere esce. Prende la giacca che ha a portata di mano, si fascia il piede, maschera tutto con la tovaglia che la madre ha deposto sul tavolo, e si rimette a sedere vicino al deschetto con la gamba appoggiata sull’altra sedia. Si sentono le voci indistinte dei tre ed egli grida verso l’uscio, con il tono di chi parla sul dolore) Chi è? Avanti, avanti! (Federico,’o frato ’e Nannina, Ciccio ’o cafone e Peppe ’o curto, tipi di finti guappi, tutti e tre con grossi bastoni poggiati sul braccio, entrano nella bottega con facce amarissime. Putiferio ostentando cordialità) Ah… Don Federi’, entrate, perdonate come mi trovate! (Mostra il piede fasciato. I tre si guardano, mentre Putiferio si sforza di fare un movimento e tira un lamento) Ah!

Federico                        - Vi siete fatto male?

Putiferio                        -  So’ gghiuto cu ’o pede sott’a n’automobile!

Federico                        - (raffreddandosi) Mi dispiace!

Putiferio                        -  Embè, che ci volete fare?! (Premuroso) Accomodatevi, nun ve pozzo piglia’ manco na seggia!

Federico                        - Fa lo stesso, grazie!

Putiferio                        -  A che debbo tanto onore?

Peppe                            -  Per carità, l’onore è nostro!

Federico                        - Ma quando è stato questo incidente?

Ciccio                            -  Voi ieri stavate bene!

Peppe                            -  Tanto che ci mandaste a fare quell’imbasciata per Carlino…

Ciccio                            -  E noi eravamo venuti appunto per avere spiegazioni!

Peppe                            -  E soddisfazione! (E fa per avanzarsi, trattenuto dagli altri).

Putiferio                        -  (tergiversando) Quando è stato? Stammatina, ’mmiezo ’Piazza Municipio!

Federico                        - E quelle frasi: (marcando) «fancello assape’ a ’o frato ’e Nannina!…».

Ciccio                            -  A Ciccio ’o cafone…

Peppe                            -  A Peppe ’o curto…

Federico                        - Ca lloro vanno tre sorde e nun servono…

Ciccio                            -  E ca si vonno suddisfazione…

Peppe                            -  Sanno io addo’ stongo…

Putiferio                        -  (come sopra) ’O sciafferro m’ha portato a ’o spitale cu l’istessa macchina. Na folla!

Federico                        - (nuovamente marcando per evitare che Putiferio tergiversi) E noi adesso eravamo venuti appunto per averla questa spiegazione…

Peppe                            -  E soddisfazione! (E, come sopra, fa per avanzarsi, trattenuto dai due).

Putiferio                        -  (come sopra) ’O piede me l’hanno ingessato. «Lussazione alla clavicola, venti giorni, a dir poco, senza potermi muovere. Così, come Cristo in croce».

Federico                        - (rassegnato, guardando gli altri) Allora ce ne jammo?

Peppe                            -  Pe’ forza, chillo sta cu ’o piede ingessato!

Federico                        - Pe’ na ventina ’e giorni, a dire poco, senza potersi muovere…

Ciccio                            -  Comme a Cristo in croce!

Federico                        - Avimm’a aspetta’ ca se sana!

Putiferio                        -  (pronto) Io credo ca primma ’e tre o quatto mise nun guarisco!

Federico                        - Ah? E come fate voi poi? State tre o quatto mise senza fa’ niente?

Ciccio                            -  E il nome vostro?

Peppe                            -  Putiferio?

Putiferio                        -  S’ha dda scurda’. M’hann’a chiamma’ Mastu Vicienzo! Da oggi in poi, faccio ’o scarparo e basta. Comme guappo songo io stesso ca ce tengo a fa’ sape’ ca nun vaco niente! Si veniveve poche minute fa, ’o ttruvaveve scritto pure for’ ’a puteca: «Putiferio nun va niente!»

Federico                        - Seh, scritto cu ’o gesso!

Putiferio                        -  Sissignore!

Federico                        - L’aggio letto vicino a na puteca in via Tribunali.

Peppe                            -  Io vicino add’ ’o tabbaccaro sotto Porta Capuana.

Ciccio                            -  Io vicino ’o tram d’Aversa.

Putiferio                        -  Vedete? Ho fatto uscire pure la reclame! Da oggi in poi, niente Putiferio. Io me chiammo Masto Vicienzo! E ce tengo a chillo «Masto», pecché, vicino ’e scarpe, overo so’ nu masto!

Federico                        - Ma come va questo mutamento?

Putiferio                        -  Me sposo.

Ciccio                            -  Ah!

Peppe                            -  Mo se spiega!

Putiferio                        -  Me metto a fatica’ sul serio, pecché sulo cu ’a pace e cu ’a fatica, n’ommo pò pruspera’. Fore na bella mostra ’e cristallo: «Calzoleria». Là, (indica la parete dell’uscio) la vetrina per l’esposizione. Qui sviluppo la lavorazione. (Indica il posto dove siede) Quatto operai finiti sotto la mia diretta sorveglianza, ’ncoppa (indica l’ammezzato) muglierema e mammema ca priparano ’o pranzo. (Convinto) È la vita che ci vuole pe’ n’ommo ca vò campa’ tranquillamente, rispettato, e cu l’ossa sane!

Federico                        - (ammirandolo) Sta bene!

Ciccio                            -  Auguri!

Putiferio                        -  (alludendo alle scarpe) Per qualunque cosa, tenetemi presente. Sempre una scarpa fine e a prezzi modesti.

Peppe                            -  (confuso) Grazie!

Federico                        - (tirandolo per il braccio) Cammina! Si no chillo ce piglia pure ’a mesura e vò pure ’o caparro. (Vanno via).

Putiferio                        -  (con un sospiro di gioia) Ah! (Guardando su) Madonna mia te ringrazio! (Si leva, si assicura che i tre se ne vanno e si sfascia rapidamente, mettendo la roba al suo posto).

’O Stalliere                    - (ritornando alla finestra) Putife’! (E ad un’occhiata di lui, correggendosi) Mastu Vicie’!

Putiferio                        -  Chi è, ata gente?

’O Stalliere                    - No, se ne stanno jenno! (Putiferio gli fa cenno di andare e torna al suo desehetto, mentre ’o stalliere va via).

Rusina                           -  (dalla comune) Permesso? (E rimane sotto la porta).

Putiferio                        -  (sorridendo a lei) Ched è, site rimasta sott’ ’a porta? Vene ’o tarramoto?

Rusina                           -  Mamma vosta nun ce sta?

Putiferio                        -  Mo scenne. È gghiuta a fa’ n’opera bona.

Rusina                           -  M’ha ditto ca m’ha dda parla’.

Putiferio                        -  Lo so… (Fa il seducente) Assèttate. (Le offre una sedia).

Rusina                           -  Grazie. (Siede),

Putiferio                        -  (mettendosi vicino a lei, appoggiato alla spalliera della sedia) E chesta, mo nce vò, overo è casa toia.

Rusina                           -  (fredda) Troppo buono.

Putiferio                        -  Hê visto addo’ m’hê truvato?

Rusina                           -  Faticanno.

Putiferio                        -  E chesto che significa? Ca metto ’a capa a fatica’!

Rusina                           -  Meglio pe’ vuie.

Putiferio                        -  Meglio pe’ me… e pe’ tte!

Rusina                           -  (fingendo di non capire) E pe’ me? E che c’entro io?

Putiferio                        -  Giesù, vò dicere ca sarraggio nu buono marito, faticatore, cuieto. Comme: «Che c’entro io?». Si continuavo a ffa’ ’o Putiferio, è capace c’ ’a sera d’ ’o matremmonio, ’e gguardie dint’ ’o meglio, me venevano a tira’ ’a dint’ ’o lietto, e addio mio bene! Mentre invece, facenneme ’e fatte mieie, pozzo campa’ pe’ te, e pe’ chella scorteca ’e mammema, ca nun ha fatto che chiagnere tutta na vita pe’ mme! (E con la mano le cinge le spalle).

Rusina                           -  (scostando la mano, seccata) Don Vicenzi’, chiammate ’a mamma vosta, e levate sta mano ca ’a ggente passano e guardano.

Donna Maria                 - (dal sommo della scala, seguita da Carulina) Gué, Rusi’! (Rusina si alza, Putiferio si liscia i baffetti)

Rusina                           -  Io sto aspettanno a vvuie, che m’avit’a di’?

Donna Maria                 - (dando il panno della spesa a Carulina) Va’, e viene ampressa. (E la avvia).

Carulina                        -  (passando, piano a Putiferio, indicando Rusina) ’A fidanzata vosta?

Putiferio                        -  (sorridendo) Forse! (Piano alla madre, infilando la giacca) Io vaco a piglia’ nu paro ’e paste e quanno cchiú ampressa putimmo da’ parola! (E postosi il cappello, va all’uscio, dove, guardando a destra e a sinistra per vedere se c’è nessuno che lo attende, esce).

Donna Maria                 - (a Rusina) Assettate.

Rusina                           -  Vaco ’e pressa Donna Mari’! (Siede).

Donna Maria                 - Figliemo m’ha parlato!

Rusina                           -  ’E che?

Donna Maria                 - Comme «’e che»? M’ha ditto ca ve vulite bbene, ca facite ’ammore e ca ve vulite spusa’!

Rusina                           -  Nun pazziate, Donna Mari’!

Donna Maria                 - Figlia mia, io tengo ’e capille janche, me mettevo a pazzia’! Chillo m’ha ditto ca v’irevo mise d’accordo, e ca ogge stesso vuleva parla’ cu pateto!

Rusina                           -  (raccogliendo tutto il suo sangue freddo) Donna Mari’, me dispiace, ma nun pò essere.

Donna Maria                 - Ma chillo mo se mette a fatica’, e quanno Vicenzino fatica, pò da’ ’a magna’ a quatto mugliere!

Rusina                           -  Donna Mari’, ma sti mugliere hann’a magna’ sulamente?

Donna Maria                 - (che ha capito) E pecché hann’a magna’ sulo? Tu magnarraie e ringrazianno a Ddio, e cu ’a bbona salute, faciarraie tutt’ ’o riesto!

Rusina                           -  Cu ’o figlio vuosto?

Donna Maria                 - (risentita) Ma pecché nun fosse ommo?

Rusina                           -  E chi ve dice ca nun è ommo?

Donna Maria                 - E allora?

Rusina                           -  Donna Mari’, nun me custringite a di’ cierti cose ca a na mamma fanno sempe dispiacere. Ma io ’o figlio vuosto nun m’ ’o piglio.

Donna Maria                 - Ma chillo addeventarrà n’ato ommo, Vicenzino se cagnarrà!

Rusina                           -  Cumme se cagna Donna Mari’, sempe chillo sarrà! (E con la mano fa il gesto: è piccolo).

Donna Maria                 - (che finalmente ha capito) Ah? Si po’ vuo’ ’a bellezza… è n’ata cosa.

Rusina                           -  Io nun dico ’a bellezza, ma manco a nu deforme!

Donna Maria                 - (ingoiando la pillola) È giusto!

Rusina                           -  (gelida) Vulite niente cchiú?

Donna Maria                 - Scusatemi si v’aggio incomodata.

Rusina                           -  Figurateve!

Donna Maria                 - ’A Madonna v’accumpagne! (Rusina va via).

’O Perzianaro                - (comparendo con una persiana sulla spalla e fermandosi dietro la finestra, visibile al pubblico) Perzi-ana… na bona perzi-ana!

Donna Maria                 - (voce interna) Bell’o’!

’O Perzianaro                - (guardando su) Ngnò!

Donna Maria                 - (come sopra) Saglie! (’O Perzianaro esce dalla parte opposta all’ingresso).

Putiferio                        -  (dalla comune con un mazzo di garofani ed un pacco di dolci, affannando per la corsa fatta, alla madre, che è rimasta muta e visibilmente angustiata) Addo’ sta? Se n’è gghiuta? (E ad un cenno di consenso della madre, contrariato) E ’a facive aspetta’ n’ati dduie minute! Te l’avevo ditto ca jevo a piglia’ ddoie paste! (Dando il pacchetto alla madre) Tie’, stammatina mangiammo cu ’o dolce! (Passandole anche i garofani) Chiste ’e miette dint’ ’a nu poco d’acqua, c’ ’e porto stasera! (Donna Maria rimane immobile con le due cose in mano) Comme site rimaste?

Donna Maria                 - (come dire: non capisci?) Rimaste ’e che?

Putiferio                        -  Pe’ da’ parola?

Donna Maria                 - Pecché, tu ce facive ’ammore… eh?

Putiferio                        -  Eh!

Donna Maria                 - Era pazza pe’ tte?!

Putiferio                        -  M’ ’o dicette essa aiere…

Donna Maria                 - E ogge ha ditto ca nun te vò!

Putiferio                        -  (fissa la madre negli occhi, poi convinto) Cumm’è pussibbile?

Donna Maria                 - Eppure! (Ha un leggero sospiro di amarezza).

Putiferio                        -  (pensando quali possono essere le cause del rapido cambiamento) Ma ce l’avite ditto ca io aggio smesso ’e fa’ ’o guappo?

Donna Maria                 - Sine!

Putiferio                        -  Ca nun me faciarraggio chiamma’ cchiú Putiferio, ca da oggi in poi sarraggio n’ato ommo, tutto casa e fatica?

Donna Maria                 - Ce l’aggio ditto.

Putiferio                        -  E ca io so’ buono da da’ a magna’?

Donna Maria                 - Gnorsí, e m’ha risposto ca na mugliera nun ha dda magna’ sulo, comme pe’ dicere ca nun se pò cuntenta’ sulo d’ ’o magna’.

Putiferio                        -  Embè, e io po’ le devo sulo ’o magna’? Nun le devo niente cchiú? E che ne sape essa d’ ’e fatte mieie?

Donna Maria                 - (piegandosi nelle spalle) Che me dice a me?

Putiferio                        -  Embè e pecché aiere m’ha chiammato vicino ’o cafè e m’ha fatto ’a pruposta? Pe’ me ’ncuita’?

Donna Maria                 - Te l’avevo ditto: chella nun è pe’ tte!

Putiferio                        -  Pecché l’aggio truvata volubile.

Donna Maria                 - E si no, manco pe’ tte era!

Putiferio                        -  Ma pecché, io so’ brutto? E ll’ommo c’ha dda essere bello? P’ ’o fatto d’ ’o… (Allude alla gobba e con un sospiro) Embè, quanno ’o Pataterno ha vuluto accussí! (Donna Maria piange in silenzio) E che c’intre tu?! (La carezza) Tu po’ me sì mamma, e me vulive fa’ accussí? Nun fa niente, nun era destinato… (Donna Maria piange più forte) ’A mugliera ’a tengo, tengo a sta mugliera ccà! (La carezza sempre più) ’A putarria truva’ maie cchiú fedele ’e te? E Dio me te faciarrà campa’ cient’anne, accussí l’uocchie mieie m’ ’e chiudarraie tu! (Consegnandole i garofani) Tie’, chiste erano p’ ’a sposa mia, e ’a sposa mia sì tu! (E aprendo il cartoccio dei dolci) E mangiammoce pure ’e dolce! (L’apre e ne offre uno alla madre) .

Carulina                        -  (tornando) Ccà sta ’o pane!

Donna Maria                 - Miette llà. (Le indica un posto).

Putiferio                        -  (chiama Carulina con la mano e quando si sarà avvicinata, le mette in bocca una pasta che piglierà dal cartoccio e, mentre Carulina mangia, alla madre. dolcemente) ’O vì, tenimmo pure gli invitati!

’O Perzianaro                - (da dentro in lontananza) Perziana… na bona perziana! (Cade lentamente la tela, mentre madre e figlio si cibano come due piccioni).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Tela. La scena. La scena del secondo atto, ma ordinata e abbellita. È sera. Un mese dopo. Dalla camera superiore viene sufficiente luce, che illumina il ballatoio della scalinata che scende alla bottega, illuminata da una lampadina normale pendente dal soffitto. La macchina è disposta trasversalmente, sempre al di sopra dell’ingresso, in modo che ’Ngiulina ’a revettatrice che vi lavora, volge le spalle alla parete. Alla parete frontale, a sinistra della finestra, vi è un deschetto da calzolaio sul quale lavora Pietruccio, altri due deschetti sono disposti l’uno accanto all’altro, davanti al tavolo, in modo che i lavoranti Carlino e Pasqualino guardino il pubblico. Su tutti e tre i deschetti vi sono dei lumi elettrici con le caratteristiche abat-jours di carta verde. I lumi sono accesi. Il deschetto di Putiferio è abolito. Appare evidente un senso di benessere e di ordine.

Carlino                          -  (canticchia mentre lavora; Pasqualino e Pietruccio lavorano, ’Ngiulina cuce alla macchina. Tutti con Carlino fanno un coro tipico ed armonioso) M’ho comprato stu mandolino e me metto fore ’o balcone quanno passa na signurina le cumbino n’accordo in fa!

Putiferio                        -  (dalla comune, vestito di scuro, più serio, con un vestito avvolto in una carta della Rinascente. Tra le mani una lampada da 500 candele. Si ferma, sente quelli che cantano lavorando, e sono perciò a testa bassa, non si sono accorti della presenza di Putiferio, e nel momento giusto ad essi con uno strillo) Gué! (Tutti zittiscono e balzano) Che avimmo apierto ’o cafè chantant?

’NGiulina                      -  Qua’ cafè chantant?

Putiferio                        -  Vuie state facenno nu piezzo concertato! (Poggia con cura l’abito sopra una sedia. Scartoccia la lampadina, piglia una sedia, la mette sotto la lampada che pende dal soffitto, monta su per sostituire la lampadina, ma visto che non ci arriva, ai giovani) Eh, susiteve, mettite chillo tavolo ccà sotto. (Poi, pensando al fastidio che avrà a levarlo e a rimetterlo, ad essi fermandoli) Aspettate, venite a ccà, facimmo cchiú ampressa, facimmo ’a piramide! (I tre si dispongono come su un treppiedi, uniscono le braccia formando un’unica base. Putiferio monta sulla sedia, poi sulle spalle dei tre, svita la lampadina da 25 candele, poi a ’Ngiulina che ha tra le mani quella da 500) Damme ccà, fa’ ampressa, ca… chiste pesano.

Pietruccio                      -  No, pesate voi! (Sostituisce la lampada. L’ambiente naturalmente si rischiara, compiaciuto) Oh! (guardandola) Mo, sí!

Carlino                          -  (a Putiferio) Eh, e scennite!

Putiferio                        -  M’ ’a sto contemplando!

Pascalino                       -  V’ ’a cuntemplate ’a terra! (Putiferio scende).

Carlino                          -  (con gli altri, a testa per aria) Sta bene!

Pascalino                       -  Pare miezo juorno!

Pietruccio                      -  E nun cunsuma assaie chesta?

Putiferio                        -  Dio per prima cosa che creò?

Pietruccio                      -  La luce!

Putiferio                        -  Oh, e io d’ ’a luce accummencio per ricreare tutto a nuovo!

’NGiulina                      -  (curiosa) E pecché?

Putiferio                        -  ’O saparrate cchiú tarde! (I tre si guardano, e ad essi) Levate mano vuie. Ogge è festa… festa completa! Chella mez’ora ca ce manca, jateve a vesti’, faciteve na bella tulettella, ’e meglie panne ca tenite, e venite ccà. Stanotte facimmo baldoria! Cantante, sunature, dolce, fasule c’ ’a pasta.

Carlino                          -  Ma pecché?

Putiferio                        -  Dongo parola!

’NGiulina                      -  Ve spusate? (Putiferio accenna di sí).

Tutti                              -  Sta bene! (Applaudono).

Pietruccio                      -  E nuie nun sapevamo niente?

Putiferio                        -  Io doie ore fa aggio cumbinato!

Pascalino                       -  E doie ore doppo date parola?

Putiferio                        -  E c’aggi’a aspetta’, ca me cresce ’o dentillo?

’NGiulina                      -  Princepa’, chi è?

Tutti                              -  Chi è? Chi è?

Putiferio                        -  Che n’avit’a fa’? Cchiú tarde ’a vedite! (Ai giovani che si interrogano con lo sguardo) Arrunzate chilli bancarielle sott’ ’o muro! (I giovani smorzano i lumi ed eseguono, a Ngiulina) Tu piglia ’a scopa e fa’ na bella arricettata!

’NGiulina                      -  (scoppiando) Avite capito? E se steva zitto!

Putiferio                        -  Embè, primma me ne facevo chiacchiere d’ ’a vita mia, mo faccio ’e fatte!

Carlino                          -  Princepa’, ma chi è?

Putiferio                        -  Ah! Cchiú tarde ’a vide!

Carlino                          -  ’A figlia ’e Biasiello ’o cafettiere?

’NGiulina                      -  Rusina?

Putiferio                        -  Che site pazze? (Dandosi tono) Biasiello entrerà stasera in casa mia, ma non come suocero, come gelatiere!

Carlino                          -  ’E gelate ll’avite urdinate addu isso?

Putiferio                        -  Se capisce! Anze l’aggio fatto l’invito formale ca purtasse pure ’a figlia! Chella piezz’ ’e carogna me refiutaie pecché io tenevo ’o… e stasera se magnarrà ’o limone!

Pietruccio                      -  Ma chella nun ce venarrà!

Putiferio                        -  Vene! Chella è na capa allerta. Sape ca se sona, se balla, se magna… ce rinuncia?

Carlino                          -  (che nel frattempo avrà presa la giacca e si sarà messo il cappello della fatica) Allora io vaco?

Putiferio                        -  Va’, anze passece pe’ Biasiello e dille che alle nove precise ha dda sta’ ccà cu ’a stufa d’ ’e gelate. Tu po’, senza fa’ capi’, le ricuorde ca purtasse ’a figlia.

Carlino                          -  (fa cenno di sí) Permesso? (E va via).

Putiferio                        -  (agli altri, che avranno tutto rassettato) Fatto? Jateve a vesti’, ’mpunto ’e nnove ccà!

’NGiulina                      -  (maggiormente incuriosita) Princepa’, ma a chi ve pigliate? Se po’ sape?

Putiferio                        -  Cchiú tarde ’o vvedite.

Pietruccio                      -  È nu secreto?

Putiferio                        -  Nu secreto ca tra mez’ora sarà svelato! Anze, faciteme nu favore, ’mmiez’ ’a piazza d’ ’e tre cafè, a donna Francesca ’a cafettera, ’o cafè ’e sinistra, (a ’Ngiulina) dincello a nomme mio: ’O principale mio dà parola, e vi manda per me, l’invito offigiale. (A Pascalino) Tu, Pascali’, ’o cafè ’e rimpetto, a ddu Don Lorenzo, falle l’istesso invito. ’A festa comincia alle nove. Lloro appena chiudono venesseno ccà.

Pascalino                       -  Ma pecché tutte st’invite?

Putiferio                        -  Pecché aggi’a fa’ schiatta’ d’arraggio a tutt’ ’e nemice mieie, a tutte chille c’avranno saputo d’ ’o rifiuto d’ ’a figlia ’e Biasiello. Hann’a vede’ ca io sposo e ca me piglio a na bella e bona guagliona. Hann’a vede’ ca io so’ cuntento… ca so’ felice! Accussí, ’e sta felicità mia, stanotte stessa, se ne jencarra’ tutt’ ’o quartiere, e chelle so’ gente ca stanno in piazza! Jate e m’arraccumanno! (I tre escono. A Carulina, che scorge dall’alto della scalinata) Scinne!

Carulina                        -  (vestita meno dimessa) Avimmo appicciato tutt’ ’e cannele ’nnanz’ ’a Madonna! Viene vide comme fanno bello! (Si ferma al primo gradino).

Putiferio                        -  Mo ’e veco! Scinne! (Mentre Carulina scende, va a chiudere la bottega, poi avvicinandosi a lei, con voce ferma) Caruli’, nuie stasera damme parola. Guardame buono. Vide mo tutt’ ’e difiette. Rifliette bbuono. ’O marito, quanto ’a mugliera, nun è n’oggetto ca uno se stufa d’ ’o purta’ e ’o jetta. ’O matremmonio t’aunisce a me pe’ tutt’ ’a vita. E si tu nun sarraie felice, sarrà na vita d’inferno… pe’ te e pe’ me!

Carulina                        -  (affettuosissima) Che me dice?

Putiferio                        -  Guardame buono. Me vuo’ vede’ annudo comme songo?

Carulina                        -  Che staie dicenno?

Putiferio                        -  Annudo, mo! Chello ’e coppa. M’avviss’a vede’ ’o vulìo ’e mellone po’ e t’aviss’a impressiona’?

Carulina                        -  (dolcissima) Io me sposo all’anema toia… e l’anema toia è bella. M’hê dato prova che me vuo’ bene! Io chi ero? Na puverella che campava facenno ’e servizie… cercanno quase ’a carità. Capisce? ’A carità, pure essendo guagliona e forse non brutta. E nun me mancaie uno… ca me vuleva leva’ ’e stracce ’a cuollo, vestenneme ’a capo ’o pede, cazett’ ’e seta, ’e pare ’e scarpine, ’o vestito ’e lana p’ ’a stata e p’ ’o vierno… Tu sulo m’hê parlato seriamente… e io t’aggio aperte ’e braccia. (Abbassa la testa verso di lui, come per nascondere la sua commozione).

Putiferio                        -  (abbracciandola, in un’esplosione d’affetto) Core mio!

Carulina                        -  (compunta) E tu? Nun me rinfacciarraie maie ca io aggio cercato ’a lemmosena?

Putiferio                        -  (stringendola forte a sé; poi in atteggiamento comico) E tu nun me rinfacciarraie maie ca io tengo ’a voglia ’e mellone. Eh? (Si abbracciano).

Donna Maria                 - (compare sul pianerottolo della scala) Gué, cu ’a porta aperta?

Carulina                        -  (si ritrae mortificata).

Putiferio                        -  L’aggio chiusa! (E va ad aprire, mentre Donna Maria scende per la scala e si avvicina a loro)

Donna Maria                 - Che v’aggi’a di’? Puzzate essere beneditte! Essa senza nisciuno, ’mmiez’a na via. Tu accussí! (Allude alla deformità, al che Putiferio resta contrariato) Avit’a fatte tutt’ ’e duie n’opera ’e carità, però!

Carulina                        -  Che dicite Donna Mari’?! Io sarraggio na femmena felice, a Vicenzino le sarraggio mugliera affezziunata e nun ’o cagnarraggio pe’ tutto l’oro d’ ’o munno!

Putiferio                        -  Guardame buono!

Carulina                        -  (infastidita) ’A fernisce?

Putiferio                        -  No, pecché doppo aviss’a dicere…

’O Prufessore                - (dalla comune, diversamente abbigliato, perché è trascorso un mese) Permesso?

Putiferio                        -  Uh, maestro, favorite, a tiempo a tiempo!

Donna Maria                 - È stata ’a Madonna che v’ha mannato!

’O Prufessore                - E voi mi diceste: venite dopo domani, per l’affare delle scarpe. Io poi sono stato raffreddato e se n’è passato un mese!

Putiferio                        -  Sono in lavorazione. Ancora un paio di giorni. (Le indica).

’O Prufessore                - (guardandasi intorno) Ma bravo, vi state rinnovando?

Donna Maria                 - Sí, ringrazianno a Dio, chelli parole voste fuieno nu balzamo!

Putiferio                        -  ’E parole voste e una forte disillusione mi hanno deciso a guarda’ in faccia all’esistenza. Dint’ a nu mese aggio fatto cchiú cammino ca in tutta una vita!

Donna Maria                 - Sí, professo’. ’A chillo juorno beneditto è n’at’ommo!

Putiferio                        -  Tengo già tre giuvene sott’a me, uno dei quali, n’ato guappo sbagliato, che in origine pure era scarparo e io l’ho indotto a lavorare. L’orlatrice alla macchina. Ho già scontato tre rate!

’O Prufessore                - Questi sono dettagli.

Putiferio                        -  Una vasta clientela che mi da fatica, ordinazioni che non arrivo a portare a termine e come uomo, poi: la famiglia, la compagna… (Indica Carulina) ’a vedite ccà!

’O Prufessore                - Vi sposate?

Putiferio                        -  Fra quindici giorni, ’o tiempo ca caccio ’e carte e tra pochi minuti, dongo parola.

’O Prufessore                - Magnifico!

Putiferio                        -  E voi dovete essere a capo degli invitati. Si io so’ n’at’ommo, il merito in gran parte è vostro!

’O Prufessore                - Ah! (A Donna Maria) Siete contenta adesso?

Donna Maria                 - Tanto! ’A cammarella mia tutt’accunciata comme steva ’mmano ’a bon’anema ’e maritemo e ’o ppoco ’e biancheria ’e quann’ero figliola, nu crespo e nu lazzetto ce l’aggio dato a essa. A isso po’ ’o rialo ce l’ha fatto ’o Signore, ca l’ha mannato a nu sciurillo! (Indica Carulina che abbassa gli occhi) Mo nun spero niente cchiú, pozzo muri’ cuntenta!

’O Prufessore                - Voi vivrete ancora tanti anni! (A Carulina) E voi lo sposate con piacere?

Putiferio                        -  (mentre essa accenna di sí) Eh, ce aggio parlato chiaro, ce l’aggio ditto: vidatello buono ca po’, nun t’ ’o pozzo mudifica’!

’O Prufessore                - A che ora è la festa?

Putiferio                        -  Alle nove precise!

’O Prufessore                - Allora ho il tempo di avvertire mia moglie che stesse senza pensiero, e sarò di ritorno.

Putiferio                        -  Qua una cosa alla buona facciamo, tanto ’a signora vosta nun magnarrà assai, è così? (Carulina lo guarda).

’O Prufessore                - Che dite?

Donna Maria                 - Chillo pazzea.

Putiferio                        -  Jate a piglia’ ’a signora e venite ccà!

’O Prufessore                - Con permesso.

Putiferio                        -  Prego!

Donna Maria                 - Accumudateve!

’O Prufessore                - (a Carulina) Auguri!

Carulina                        -  Grazie! (Il professore va via allegrissimo).

Donna Maria                 - (al figlio) Ch’hê fatto?

Putiferio                        -  Tutto. Chiammàte ’e musicisti, fatte l’invite!

Donna Maria                 - E a chi hê invitato?

Putiferio                        -  ’O primmo è stato Biasiello cu ’a figlia.

Donna Maria                 - Ma guardate!

Carulina                        -  (risentita) A Rusina?

Putiferio                        -  Eh, p’ ’a fa’ schiatta’. Io ’e gelate l’aggio urdinate addu isso e accussí l’aggio ditto ca si vuleva purta’ pure ’a figlia pe’ nun ’a lassa’ sola a casa l’avesse purtata pure. . . tanto chella canta, ’a mettimmo a canta’!

Donna Maria                 - Doppo chello che c’è stato?

Carulina                        -  Chella ha dda penza’ a suffri’, penza a canta’?

Putiferio                        -  Chi suffri’, chella nun m’ha maie pututo vede’! (Pigliando lo scatolo, a Carulina) Tie’, va’ te vieste!

Carulina                        -  (tirando fuori il vestito, ammirata) Quant’è bella!

Donna Maria                 - (notando il fiore che è sul lato) All’anema d’ ’a carcioffola! Addo’ l’hê pigliato?

Putiferio                        -  ’A Rinascente! (A Carulina) Te piace?

Carulina                        -  Assaie!

Putiferio                        -  Scarpe, cazette, tiene tutto cosa ’ncoppa, va’, va’ te vieste!

Donna Maria                 - E nun è ampressa?

Putiferio                        -  Nonsignore. (A Carulina) Va’, fatte bella, accussí hann’a jetta’ ’o sango.

Donna Maria                 - Nun sape ancora niente nisciuno?

Putiferio                        -  Nisciuno. Hann’a ave’ nu colpo, quanno vedarranno a chesta tantu bello vestuta!

Donna Maria                 - Mado’, nun ’o fa’ asci’ pazzo!

Putiferio                        -  Jate, accunciàte a chesta, ha dda pare’ na pupata! (Donna Maria e Carulina vanno sopra).

’A Vaccara                    -  (vestita a festa entra dalla comune) Permesso?

Putiferio                        -  Favurite!

’A Vaccara                    -  Carulina m’ha ditto ca stasera dà parola cu vuie?

Putiferio                        -  Sissignore.

’A Vaccara                    -  M’aggio vuluto veni’ a ’nfurma’.

Putiferio                        -  E vuie chi site?

’A Vaccara                    -  Carmela ’a vaccara!

Putiferio                        -  Addo’ Carulina steva a durmi’?

’A Vaccara                    -  Gnorsí.

Putiferio                        -  Io nun v’abbasto a ringrazia’ pe’ tutto chello c’avite fatto a Carulina!

’A Vaccara                    -  Simmo nuie, tutte chille d’ ’o quartiere, ca ringraziammo a vuie c’avite levato a na povera scurfanella ’a miez’ ’a via. Dio ve n’accrisciarrà salute p’ ’a bona azione che avite fatto. E vedarrate che riuscita Carulina ve farrà!

Putiferio                        -  ’O ssaccio, tene nu core d’oro.

’A Vaccara                    -  Meglio accussí! Che n’avev’a fa’ essa d’ ’o bello giovene? Una strignuta ’e diente… ma po’ s’ha pigliato a uno c’ ’a pò da’ a magna’!

Putiferio                        -  (che è rimasto male) Una strignuta ’e diente, chiude l’uocchie, s’appila ’o naso, na tazza ’e cafè pronto, nu poco ’e limone pe’ se sciacqua’ ’a vocca… me n’avite fatta na munnezza!

’A Vaccara                    -  (mortificata, giustificando) No, pe’ l’età, chella te pò essere figlia!

Putiferio                        -  E a sorece tenneriello, zoccola cu ’o scartello!

’A Vaccara                    -  Uuuh!

Putiferio                        -  (sorride, e alla madre che appare con Carulina alla ringhiera) Mammà, ’a vaccara!

Carulina                        -  (andandole incontro) Ah, saglite!

Donna Maria                 - Favurite… favurite! (La vaccara sale, si bacia con Carulina ed entra con le donne nell’ammezzato).

Putiferio                        -  (chiama lo stalliere dalla finestra) Pasca’! (E a lui che appare) Viestete pulito, ’e meglio panne ca tiene!

’O Stalliere                    - Pecché?

Putiferio                        -  Pecché io cchiú tarde dongo parola!

’O Stalliere                    - E che me ne ’mporta?

Putiferio                        -  Comme che te ne ’mporta? Se balla, se canta, se magna!

’O Stalliere                    - Ah! E se tu non ti spieghi! E a chi te spuse?

Putiferio                        -  A mammeta. Cchiú tarde ’a vide. Tiene tre, quatto segge pulite?

’O Stalliere                    - ’E scengo ’a copp’ ’a casa mia?

Putiferio                        -  Va’! (Lo stalliere va via di corsa).

’O Suonatore                - (porta la chitarra, entra con gli altri, che portano il mandolino e il violino) Permesso?

Putiferio                        -  Chi è? (Vedendoli) Ah, ’e sunature. Favorite… favorite!

’O Suonatore                - Ci manda il maestro Amendola.

Putiferio                        -  (ai tre che hanno i cappelli in testa) Ci piove? No, non ci piove! (E a loro che non capiscono) E toglietevi il cappello! (I tre, mortificati, eseguono) Sapete suonare è vero?

’O Suonatore                - E se questo facciamo!

Putiferio                        -  No, perché dovete accompagnare dei cantanti a musica!

’O Suonatore                - E va bene.

Putiferio                        -  (dopo averli scrutati) Vuie fusseve…? (E fa un gesto con l’indice toccandosi l’orecchio)

’O Suonatore                - (fraintendendo) Come sarebbe a dire? (Ripete il gesto).

Putiferio                        -  (mentre i tre si guardano) Fusseve orecchianti?

’O Suonatore                - (che finalmente ha capito) Ah!

Putiferio                        -  Avite leggere ’a carta.

’O Suonatore                - E dite orecchianti, benedetto Iddio, voi mi dite: vuie fusseve… (e ripete il gesto) e mi fate un gesto… che ha un altro significato!

Putiferio                        -  (guardandosi intorno) Eh, addo’ v’aggi’a jetta’ mo?

’O Suonatore                - Eh, jettatece a quacche parte!

Putiferio                        -  (dopo aver nuovamente guardato intorno, indicando la scalinata) Eh, vuie afforza là avit’a i’ a ferni’: ’n terr’ ’e ggrade!

’O Suonatore                - ’E na cchiesa!

Putiferio                        -  Sugli scalini, là.

’O Suonatore                - (seccato) Sugli scalini?

Putiferio                        -  Quelli saranno posti distinti.

’O Suonatore                - Ma no, daremo fastidio quando si deve salire e scendere, Mo ci metteremo all’impiedi in fondo. (I suonatori vanno in fondo e posano gli strumenti).

Biasiello                        -  (seguito da un ragazzo che porta la «stufarella dei gelati») Miette ccà. (E fa deporre a terra, dandogli degli spiccioli) Tie’! (Il ragazzo ringrazia e va via).

Putiferio                        -  (vedendolo, soddisfatto) Oh!

Biasiello                        -  Io sto qua!

Putiferio                        -  (premuroso) E vostra figlia?

Biasiello                        -  È andata a prendere due fiori!

Putiferio                        -  Grazie!

Biasiello                        -  (a Putiferio, indicando la «stufarella») Addo’ me metto?

Putiferio                        -  (dopo aver scrutato) Starrisseve buono adderet’ ’o tavulo.

Biasiello                        -  Seh, così servo al banco!

Putiferio                        -  (ai suonatori) Prufesso’, pe’ gentilezza scustate stu tavulo ’a vicino ’o muro. (I suonatori si guardano ed eseguono) Eh, mettite stu bancariello nell’angolo. (I suonatori come sopra depongono il deschetto nell’angolo di destra) St’ati duie mettitele sott’ ’o muro d’ ’a scalinata.

’O Suonatore                - (piano, agli altri che lo guardano) Ma che ce ha miso a fa’ ’e servizie?! (Ed eseguono).

Putiferio                        -  (a Biasiello, che fa per prendere la stufa) Lasciate stare!

’O Suonatore                - Lasciate stare, stiamo noi qua!

Putiferio                        -  (ai suonatori) Pigliate chella stufa cu ’e gelate e mettitela ’ncopp’ ’o bancariello. (Indica quello messo dietro al tavolo).

’O Suonatore                - (ironico, a Putiferio) Appresso?

’O Stalliere                    - (dalla finestra, alzando una sedia) ’E segge!

Putiferio                        -  (ai suonatori) Prufesso’! (E a questi che hanno visto e non si muovono) Pigliate ’e segge!

’O Suonatore                - (scattando, sommesso) Eh, ma noi siamo venuti per suonare, non per fare i facchini! (Pigliano le sedie. Lo stalliere passate le sedie, va via).

Putiferio                        -  (ad essi) Date a me! (E dispone le sedie in circolo) Biasie’ ccà, tanto ’e gelate se servono all’ultimo, vuie me facite ’o favore ’e ve mettere vicino ’a porta.

Biasiello                        -  (che ha subito capito) Per ricevere gli invitati.

Putiferio                        -  ’E facite assetta’ mano mano che veneno!

Biasiello                        -  Faccio il maestro di sala!

Putiferio                        -  Benissimo. (Ai suonatori, avvicinandosi al tavolo, dove i professori hanno deposto le custodie degli strumenti) ’E cupierchie d’ ’e strumente l’avit’a leva’!

’O Suonatore                - ’E cupierchie? I foderi!

Putiferio                        -  ’E fodere!

’O Suonatore                - E dove li mettiamo?

Putiferio                        -  ’N terra, ’o tavulo serve… questo funge da buffet! (I suonatori con santa pazienza eseguono).

Biasiello                        -  (guardando sulla strada, annunzia) Mia figlia!

Rusina                           -  (entrando) Permesso?

Putiferio                        -  (andandole incontro) Favurite, Donna Rusi’!

Rusina                           -  (offrendo i fiori che ha nelle mani) Auguri!

Putiferio                        -  (a lei) Grazie, perché vi siete voluta incomodare?

Rusina                           -  Era un dovere!

Putiferio                        -  Prego! (E stende dietro di sé la mano, per consegnare i fiori al suonatore, che non comprende).

Rusina                           -  (guardando intorno) Vedete, sono stata la prima a darvi gli auguri!

Putiferio                        -  (marcando la voce, mentre con la mano fa cenno al suonatore, sempre dietro di sé, perché si prenda il mazzo) Non ho mai dubitato della vostra squisitezza!

’O Suonatore                - (che vede il gesto di Putiferio, a Biasiello che gli fa cenno) Che vuole?

Putiferio                        -  (infastidito al suonatore) M’ ’e levate ’a mano o no? (E glieli porge sgarbatamente).

’O Suonatore                - (agli altri che ridono) Chillo se ’nquarta pure! (E li depone sul tavolo).

Putiferio                        -  (facendo sedere Rusina alla prima sedia a sinistra, lato ingresso) Accomodatevi qua!

Rusina                           -  (con intenzione) E la vostra promessa sposa, nun è venuta ancora?

Putiferio                        -  Sí, sta ’ncoppo cu mammà, sta facenno tuletta!

Rusina                           -  Eh, e cumm’è, cumm’è? Anzianotta?

Putiferio                        -  È cchiú guagliona ’e vuie!

Rusina                           -  Eh? È bella?

Putiferio                        -  A me me piace assaie, mo che scenne ’a vedite!

Rusina                           -  Ma è robba d’ ’o quartiere?

Putiferio                        -  Sí!

Rusina                           -  ’A saccio io?

Putiferio                        -  Forse. (Alludendo al suo passato) Ma mo nun have bisogno ’e nisciuno cchiú, tene ’o marito che ’a fa fa’ ’a signora!

Rusina                           -  Auguri!

Putiferio                        -  (voltandosi, vede i professori che si sono seduti a destra, facendoli alzare, annoiato) Nu mumento, professo’! ’E segge so’ poche, vedimmo primma addo’ arrivammo! Avite visto ca quatto me l’aggio fatte presta’!

’O Suonatore                - E stiamo una serata in piedi? (Si infastidisce).

Biasiello                        -  ’E pusteggiature abbascio Santa Lucia nun sonano all’erta? (E mentre quelli vanno al fondo, vedendo comparire ’o Prufessore, fermandolo) Don Vicenzi’?

Putiferio                        -  (voltandosi, vede il professore ed ossequioso) Avanti! (E a lui che avanza) Solo? E la vostra signora?

’O Prufessore                - Ha preferito di rimanere a casa.

Putiferio                        -  E perché?

’O Prufessore                - (chinandosi, all’orecchio di Putiferio) Dice che non aveva un abito da sera!

Putiferio                        -  E si metteva un abito da giorno! Stateve attiento all’etichetta! (A Biasiello). Un posto distinto al professore!

’O Prufessore                - (lusingato) Grazie!

Biasiello                        -  (accompagnando il professore dove è seduta sua figlia) Posto distinto, là! (Il professore siede, Biasiello torna alla porta, guarda fuori, e poi annunzia) Donna Francesca!

Donna Francesca          - (vestita per la circostanza) Auguri!

Putiferio                        -  Grazie, grazie, favurite!

Biasiello                        -  (a Putiferio) La mettiamo nei distinti? (Indica il posto vicino al Prufessore, il quale aveva precedentemente sistemato il suo cappello sulla sedia vuota, accanto alla sua)

Putiferio                        -  Eh, arapitele nu palco!

Donna Francesca          - (scorgendo Biasiello) Voi state ccà?

Biasiello                        -  (dandosi arie) Gelatiere e maestro di sala!

Donna Francesca          - E bravo!

Rusina                           -  (a Donna Francesca) Ccà, vicino a me!

Donna Francesca          - Tutti dei nostri! (E siede pesantemente, senza accorgersi del cappello del professore).

’O Prufessore                - (rapido) Il cappello… il cappello!

Donna Francesca          - (alzandosi, sorridendo a Rusina) Io me sentevo na cosa tosta sotto! (E al professore, che, con rammarico, guarda il cappello) S’è ammaccato?

’O Prufessore                - Ammaccato? Vuie ce avite miso sta pressa sopra. Nun s’aveva ammacca’?

’NGiulina                      -  (vestita anch’essa per la circostanza, a Biasiello, che ostruisce il passaggio) Faciteme passa’!

Putiferio                        -  (a Biasiello che lo guarda) Sí, ’a revettatrice mia!

Biasiello                        -  Galleria su… (e a ’Ngiulina che lo guarda) Prima gradinata! (’Ngiulina, sorpresa, va a mettersi sulla scala).

Pascalino                       -  (come sopra) Permesso?

Putiferio                        -  ’O gioveno mio!

Biasiello                        -  Platea! (Indica in fondo. All’ingresso si affollano Carlino e Pietruccio; prima di questi, Pina Canetti).

Putiferio                        -  (andandole incontro) La signorina, mia cliente!

Biasiello                        -  (indicando la sedia, a destra) Poltrona, là!

Pina                               - (attraversando, a Putiferio) Felicitazioni e auguri!

Putiferio                        -  (stringendole la mano) Troppo buona, grazie! (Pina siede. E vedendo Pietruccio e Carlino che vengono) I giovani miei.

Biasiello                        -  Altre due platee, là. (Indica il fondo).

Putiferio                        -  (vedendo lo stalliere, vestito a festa) ’O stalliere.

Biasiello                        -  Un anfiteatro… (E a lui che lo guarda male) Posti in piedi! (’O stalliere guarda i giovani che sono seccati e si abbatte anche lui).

Putiferio                        -  (a Biasiello) ’A fernite?! Ma che state ’nnanz’ ’a porta ’e nu triato? Anfiteatro, poltrone, platea!

Biasiello                        -  Ma io a seconda dell’importanza della persona, destino il posto.

’NGiulina                      -  (che è sul pianerottolo della scala, come una vipera) Eh, ma allora scusateme, nun se manna na femmena ’ncopp’ ’a galleria cu ’e pultrone vacante! (Indica le sedie a destra).

’O Stalliere                    - (alzando a testa) Io aggio purtato quatto seggie, posto all’impiedi!

’O Suonatore                - (giustificandosi) Ccà stammo all’impiedi tutta l’orchestra!

Carlino                          -  Embè! Mettiteve ’e meglio panne ca tenite…

Pascalino                       -  Po’ simme jute dint’ ’e platee!

Pietruccio                      -  Ma chi l’ha miso a chillo llà vicino?

Putiferio                        -  (vedendo il malcontento, a Biasiello) Mi fate una cortesia? Levateve ’a lloco, avite fatto nascere ’a rivoluzione! (A tutti) Mettiteve addo’ vulite vuie!

Tutti                              -  Oh! (’Ngiulina scende la gradinata e va a mettersi presso Pina; Carlino, Pascalino e Pietruccio, con parole diverse, avanzano migliorando i loro posti).

Putiferio                        -  (ai suonatori) Professo’, meh, incominciate a rallegrare l’ambiente! (Ai giovani) Accendete! (Fa accendere le luci del fondo. La musica comincia a suonare una polchettina tipica, sottovoce, in modo da non coprire i dialoghi che si svolgono nel frattempo).

Donna Francesca          - (a Rusina) Ma quanno scenne sta ’nnammurata?

Rusina                           -  (mordace) Sta facenno tuletta!

Donna Francesca          - Chisà che guaie c’ha dda essere, e che vecchia scuffata che sarrà!

Rusina                           -  Chi? M’ha ditto ch’è cchiú giovane ’e me, e ch’è na bella guagliona!

Donna Francesca          - Eh… e s’ ’o scenne a chill’aceno ’e vummetivo? (E indica Putiferio, che nota l’azione) Nun l’ha vista ’a spurgenza? (Indica la gobba e guarda ancora).

Putiferio                        -  (avendo capito che si parla di lui, si avvicina a Donna Francesca) Che dite?

Donna Francesca          - (facendo finta di non capire) Di che?

Putiferio                        -  Veco ca guardate a me e facite accussí! (Ripete il gesto di lei).

Donna Francesca          - (sorpresa, riparando) ’E guaie pe’ sbaglio! (E guarda Rusina) Sto dicenno ca me so’ fatta secca… ca primma tenevo nu pietto accussí! (Ripete il gesto).

Putiferio                        -  (sarcastico) Comme ’o mio!

Rusina                           -  No! (E per deviare il discorso) Oh, e ’a putimmo vede’ a sta ’nnamurata vosta? Ce ’a state facenno spanteca’!

Carlino                          -  (avanzando di qualche passo) Princepa’, ma ’a sposa quanno vene?

Rusina                           -  Sta ’ncoppa, sta ’ncoppa!

’NGiulina                      -  E facit’ ’a scennere!

Pina                               - La dobbiamo conoscere!

Pascalino                       -  Avremo l’onore di farle le congratulazioni!

Pietruccio                      -  Fuori la sposa! (Incalzando).

Tutti                              -  Fuori la sposa! (Applaudono, e chiedono che la promessa sposa di Putiferio si affacci alla ringhiera della scalinata, e mentre tutti gli occhi sono rivolti verso l’alto, e l’applauso si fa più intenso, compare dall’alto ’a vaccara come per dire qualche cosa, ma un mal celato scoppio di ilarità la investe. Putiferio, che ha capito l’equivoco, lo agevola per godersi i pareri e poi scoppia a ridere).

’A Vaccara                    -  (che non ha capito l’equivoco, seccata dall’accoglienza) Eh, e pecché redite, sia fatta ’a vuluntà ’e Dio! (E rientra; da giù altre proteste ma contenute, mentre il professore tenta di chiarire l’equivoco, ma e trattenuto da Putiferio che vuole sfruttare la panzana).

Rusina                           -  (ferocemente sarcastica) Don Vicenzi’, complimenti!

Donna Francesca          - (a lei) Eh, ma chillo a chi se puteva piglia’?!

Rusina                           -  Ma maie ’a vaccara! E essa? A chella età se torna a mmareta’?

’NGiulina                      -  (avvicinandosi a Putiferio, che ride) Princepa’, nun me piace! (E si accompagna col gesto).

Carlino                          -  (con Pietruccio, Pascale e ’o Stalliere, a lui con tono confidenziale) Facite nu guaio gruosso!

Putiferio                        -  (sorridendo) Credete?

Pascalino                       -  Uh, credete? Chella ve pò essere nonna!

Putiferio                        -  Nun ha fatto ancora sissant’anne!

Pascalino                       -  Eh, mo s’è svezzata!

Pina                               - Potevate trovare di meglio!

Biasiello                        -  E va buono, mo l’avvilite, per lui è una questione d’onore, perché l’ha disonorata e deve riparare il fallo! (Tutti ridono, e con gli altri, ride anche Putiferio).

’O Prufessore                - Nonsignore, non vedete che ride e vi piglia in giro. La sua sposa non è quella. (Tutti si guardano) È una bella ragazza! (Tutti si ricredono e commentano).

Tutti                              -  Aaah!

Pietruccio                      -  Io vulevo dicere…

Pascalino                       -  S’era ’mbarcato pe’ Civitavecchia!

Carlino                          -  (curioso) E allora ’a vulimmo vede’! (Tutti si associano, applaudono, come prima, per farla uscire).

Putiferio                        -  Mammà! (E a lei che appare) È pronta? E scennite!

Donna Maria                 - Eh! E che ce sta ’a vede’? (Tirando fuori Carulina per una mano) ’A vedite ccà! (Carulina entra con il vestito portatole da Putifero, rossa per l’emozione. Ammirazione generale) Ve piace?

Tutti                              -  Oooh! (Di soddisfazione).

Carlino                          -  Oh, sta bene!

’NGiulina                      -  Mo sí! (E mentre Donna Maria, Carulina e la vaccara scendono, per sedersi presso Pina, tutti hanno parole di lode).

’O Suonatore                - (ai suoi) L’inno di Garibaldi! (L’orchestrina incomincia).

Putiferio                        -  (sorpreso) Stateve zitte, che c’entra l’inno di Garibaldi!

’O Suonatore                - (ai suoi, che alle parole di Putiferio hanno smesso) L’inno di Mameli! (L’orchestrina esegue).

Putiferio                        -  Nonsignore! Afforza! La marcia reale semmai!

’O Suonatore                - La marcia reale è per quando uno si sposa, ma per la «parola», sempre un inno minore

Putiferio                        -  Uh! (E si avvicina a Carulina, mentre gli astanti già le si sono avvicinati, per complimentarsi).

Donna Francesca          - (a Rusina, indicando Carulina) Overo è na bella piccerella!

Rusina                           -  (sprezzante) Sí, chella ca chiedeva l’elemosina!

Carlino                          -  (a Putiferio) Sie’ ma’, complimenti!

Pietruccio                      -  Veramente è una bella ragazza!

’NGiulina                      -  (avvicinandosi a Putiferio e indicandolo) Perciò redeva quanno s’è affacciata ’a vecchia! (Indica la vaccara).

’A Vaccara                    -  (seccata) Ched è ’a vecchia!

’NGiulina                      -  (riparando) ’A giovena!

Putiferio                        -  (piglia i fiori e consegnandoli a Carulina) Tie’, questo è stato un pensiero delicato di Donna Rusina!

Carulina                        -  (con un sorriso affettato) Grazie!

Rusina                           -  Dovere!

Biasiello                        -  (alzandosi ed avvicinandosi alla figlia) Neh, Rusi’, ma è chella guagliona che ghieve facenno ’e servizie?

Rusina                           -  Eh!

Biasiello                        -  Nun se riconosce cchiú! (E sedendosi sbaglia e si poggia sulle mani del professore che reggono il suo cappello).

Putiferio                        -  (levandoglielo di mano) Lo mettiamo là, vicino al mio. (Lo depone sulla macchina).

Donna Maria                 - (quando tutti si sono seduti) Biasie’, chesta era ’a mugliera che ce vuleva pe’ figliemo, e primma che ’o diceno l’ate, ce ’o dico io! Figliemo se piglia a sta guagliona ca è stata cresciuta senza geniture, cu ’o sciato ’e Dio: ma se piglia a na bona guagliona!

’A Vaccara                    -  (intervenendo) E ne pozzo fa’ fede io, che l’aggio tenuta cchiú ’e duie anne ’a casa mia comm’a na figlia, e nun ne pozzo chiudere vocca! Faticatora, sape fa’ uno ’e tutto, e pe’ serietà, fa nummero uno!

Carulina                        -  (diventa una lampa di fuoco) Eh!

Putiferio                        -  Mo m’ ’a facite fa’ rossa! (Battendo le mani) A sedere! (Tutti tornano ai loro posti, Donna Maria, ’A vaccara e Carulina seggono nelle cosiddette poltrone. Le due donne fanno sedere Carulina in mezzo a loro).

’O Pezzente                  - (dalla finestra) Neh, ccà ce sta ’o pezzente!

Tutti                              -  Uuuh!

Carlino                          -  Puteva manca’!

’O Pezzente                  - Ih, che bell’accoglienza!

Putiferio                        -  Pure ccà sì venuto?

’O Pezzente                  - Aggio saputo ca vuie diveve parola e ve so’ venuto a dda’ gli auguri!

Putiferio                        -  Grazie tanto!

’O Pezzente                  - Permettete che me sento nu poco ’e musica?

Putiferio                        -  Sí, ma statte zitto! (Il pezzente si appoggia al davanzale della finestra con le braccia piegate).

Biasiello                        -  Se so’ esauriti pure ’e palche!

Putiferio                        -  Meh, a chi tocca? Prufesso’, iniziate voi con una bella poesia!

’O Prufessore                - (si alza e a Putiferio) Per farvi contento, dirò in omaggio qualche cosa di Edmondo De Amicis.

Tutti                              -  Bene, bravo!

’O Prufessore                - (facendo un inchino) «La mamma ammalata» (segni di scontento da parte di tutti).

Putiferio                        -  (mentre il professore fa per incominciare, accompagnandolo al suo posto) Facciamola guarire prima, e poi… (Il professore siede).

Putiferio                        -  (batte le mani, per stabilire il silenzio) Meh, a chi tocca?

Biasiello                        -  (alla figlia) Gué… (Rusina fa cenno di no).

Donna Francesca          - Rusi’, cantate na cosa!

Rusina                           -  Site pazza?

Putiferio                        -  (scrutando intorno) A chi tocca? (E visto che nessuno si muove) Nun tocca a nisciuno? Allora tocca a me! (Si avvicina ai suonatori e volge le spalle ad essi, per cantare con la faccia alla sala, e ai musicanti) Prufesso’: «Buonanotte signora»! (Prende la posa).

Donna Maria                 - (al figlio, seccata) Gué, levate ’a lloco!

Carlino                          -  (a lei) Princepa’, facit’ ’o canta’!

Donna Maria                 - Ma pecché t’hê ’a fa’ ridere ’n faccia?

Putiferio                        -  Accumminciammo, chella m’ha dda senti’ pure comme canto, si no, stammo ancora a tiempo!

Donna Maria                 - Pecché, tu nun ne puo’ fa’ a mmeno?

Putiferio                        -  No. (Ai suonatori) «Buonanotte signora». (L’orchestrina attacca l’introduzione).

’O Prufessore                - Il canto è un altro suo debole!

Donna Maria                 - E c’ ’o tiempo, pure chisto s’ha dda leva’!

Putiferio                        -  (canta, nella massima attenzione dell’uditorio) Voi siete la più bella del villaggio, con quel visino mesto che innammora… (E le due mani hanno inavvertitamente un movimento simile a quello del calzolaio, quando passa la pece allo spago).

Biasiello                        -  (ripetendo il gesto, alla figlia) Comme ce pare ca fa’ ’o scarparo, sta ’mpicianno ’o spago! (Si ride).

Putiferio                        -  (canta) Voi siete bella come un fior di maggio, come un bocciuolo non dischiuso ancora… (vorrebbe battere il tempo con la mano, ma sembra che inchiodi una suola).

Carlino                          -  (come sopra) Mo sta ’nchiuvanno!

Putiferio                        -  (canta) Voi siete bella, con quel visino mesto che innammora… (Porta i pugni chiusi alla bocca e, nell’acuto, stringe i denti e porta le mani in giù. Apparirà chiaro, come se stendesse una cosa tra i denti e le due mani, tra le risate dei presenti, soprattutto di Donna Francesca e Rusina, che ridono apertamente).

Putiferio                        -  (canta) Buonanotte signora.

I suonatori                     -  (facendogli il coro per alcune volte). Buonanotte!

Putiferio                        -  (la terza volta, però, manda in aria il suonatore) Basta! (ed avanzando emette l’acuto) Buonanotte!

Tutti                              -  Bravo! Bene! (Et similia, meno Carulina, Rusina, Donna Maria e ’A vaccara, che hanno risatine sarcastiche).

Donna Francesca          - (a Rusina) Sia fatta ’a vuluntà ’e Dio!

Rusina                           -  Ma so’ cose ’a ridere!

Carulina                        -  (guarda Rusina e si turba e a Donna Maria) Dicitincello ca se stesse zitto!

Donna Maria                 - (al figlio) Gué, ferniscela!

Putiferio                        -  Aspettate, nun è fernuta ancora, so’ cinche parti!

Donna Maria                 - E tutt’ ’e cinche ’e vuo’ canta’?!

Putiferio                        -  E allora non si canta?

Donna Maria                 - (che ha capito) E non si canta! S’ha dda canta’ afforza?

’O Prufessore                - Don Vicenzi’, smettetela. Le altre parti ce le farete sentire un’altra volta.

Putiferio                        -  (contrariato, a quelli dell’orchestrina) Allora prufesso’, vuie nun servite!

’O Suonatore                - Comme nun servimmo?

Putiferio                        -  E dal momento ca ccà nun se canta cchiú, ’nfuderate ’e strumente e ghiatevenne! (I suonatori sbarrano gli occhi) E na vota che ne facimmo a meno d’ ’e suone, ne facimmo a meno ’e tutto ’o riesto! (A Biasiello) Pigliateve ’a stufarella d’ ’e gelate e ghiatevenne… (A tutti) ’O fatto ca io me sposo a chella (indica Carulina) l’avite saputo… (A ’O stalliere) Pigliate ’e quatto segge e ’a festa è fernuta! (Tutti fanno segni di protesta).

Biasiello                        -  (prima, trattiene Putiferio, poi alla figlia) Canta tu na canzona!

Rusina                           -  Papà, c’aggi’a canta’?

Biasiello                        -  Na cosa qualunque, si no m’ ’e metto ’ncopp’ ’o stommaco ’e gelate!

Carlino                          -  Meh, Donna Rusi’, doppo canto na cosa pur’io!

’O Suonatore                - Volete che canti io una cosa? (e agli sguardi diffidenti che lo fissano) M’ama e non m’ama di Mascagni! (Quelli più vicini a lui acconsentono, e avvicinandosi a Carulina) Permette? (Prende una margherita dal mazzo di fiori) Mi occorre una margherita! (Si mette al posto di Putiferio, la musica incomincia e sfogliando la margherita, canta) M’ama… non m’ama… M’ama… non m’ama… M’ama… non m’ama…

Putiferio                        -  (dandogli uno spintone) Prufesso’, facitelo p’ ’a Madonna, a chi vulite affliggere?

’O Suonatore                - Dovevo spennare tutta la margherita.

’O Pezzente                  - Nun ce vò niente cchiú… (E poi ai suonatori) ’A sapite chella canzone «Chiara stella»? (A Putiferio) Voi permettete? (Canta) Te cerco nu favore Chiara ste’! Comme ’o pezzente cerca ’a carità!

Tutti                              -  Uuuh! (Putiferio gli chiude i battenti della finestra in faccia. Il pezzente va via).

Carlino                          -  Princepa’, permettete ca canto na cosa pur’i’? (Ai suonatori) Prufesso’: «’A scola d’ammore» (Canta. Musica) So’ gghiuto ’a scola addo’ se ’mpara ’ammore, e aggio truvato a na maesta pazza! Durante ’a lezione cu na mazza, me fa senti’ nu cuofeno ’e dulore! Le dico sempe: aggiatece pacienza, e chella me responne: Picceri’, l’ammore è fatto tutto ’e sufferenza, e chi nun soffre… nun ’o pò capi’! Ammore, ammore, sì ’o leggere e scrivere d’ ’o core, che muorze amare pe’ te studia’! Dico: ma buono buono, che ne vene, s’io ’mponto e nun me ’mparo chist’ammore? Che fa ca vene ciuccio chistu core? Che fa caio nun ’o ’mparo a vule’ bene? E ’a maistrina mia ca me cunsiglia: senza l’ammore nun se pò campa’… ma trase e resta ’n core? Cumme piglia, ’e vote resta, e ’e vote se ne va! Ammore, ammore, sì ’o leggere e scrivere d’ ’o core, campavo meglio primma ’e te ’mpara’! Mo songo asciuto ’e studie, e voglio bene pur’a chi m’ha abbandunato e se n’è gghiuta. Primma, p’ave’ ’a licenza tanta pene, e mo jastemmo ’o juorno c’ ’aggio avuta! Che smania, dint’ ’o core, c’è na fiamma… Ammore, ammore mio, sì stato tu! Ma comme faccio, che le dico a mamma quanno me spia pecché n’ ’a vaso cchiú? Ammore, ammore, sì ’o leggere e ’o scrivere d’ ’o core… ma dint’ ’o core è scritto ’nfamita’!

Putiferio                        -  (mentre Carlino canta, fra il consenso generale, guarda verso l’uscio, vede qualche cosa che lo spaventa, diventa bianco, si guarda intorno, non è notato da nessuno, perché gli astanti sono attenti a seguire il cantante o a parlare tra loro e, a passi lenti, si avvia verso l’uscio e sparisce. Appena Carlino avrà finito la prima parte o anche prima che questa avrà termine, a seconda del momento buono che si presenterà all’attore, rientra seguito dall’agente di P.S.) Signori, la festa è finita! (L’atmosfera improvvisamente diventa di ghiaccio, Carlino smette di cantare, mentre tutti si affollano intorno a Putiferio e all’agente).

Donna Maria                 - (si alza, spaventata e al figlio) Ch’è succieso?

Carulina                        -  (si spaventa anch’essa) Madonna!

Putiferio                        -  E che saccio, l’Agente dice che devo andare con lui ’ncopp’ ’a sezione!

Donna Maria                 - (all’agente) E pecché?

Agente                          -  Mah… (Come dire: non so) Per interrogarlo!

Putiferio                        -  (all’agente) Ma nun pozzo veni’ dimane? ’O vedite, stammo in festa. Io sto dando parola pecché me sposo!

Agente                          -  Ve l’ho detto anche fuori, ho l’ordine di condurvi con me…

Putiferio                        -  Ma allora è un mandato di cattura…

Agente                          -  Nonsignore, ma vi devo accompagnare io stesso dal Commissario.

Putiferio                        -  E io domani ci andrò.

Agente                          -  Stasera, ed in questo momento, e vi ci devo accompagnare io. Capirete, sono ordini tassativi!

Putiferio                        -  (dopo aver rassicurato la madre e la fidanzata, battendo le mani) Signori, si chiude, uscita! (Mormorio generale).

Biasiello                        -  (piano agli altri) È fernuto ’o cinematografo!

Putiferio                        -  (ai suonatori) Prufesso’, pigliateve ’e strumente, la festa è rimandata! Per il nuovo appuntamento passerò io dal Maestro Amendola. (I suonatori, riposti gli strumenti nella custodia, vanno via. A Biasiello) Biasie’, purtateve ’a stufarella… (E a lui che lo guarda) È mumento ’e piglia’ gelate? Per la spesa passerò io da voi. (E mentre Biasiello si porta dietro il banco per prendere la stufa, alla signorina Pina) Signuri’, scusate tanto!

Pina                               - Prego, mi dispiace più per voi!

Putiferio                        -  Embè, che ci volete fare, l’Agente ha ordini tassativi! (E mentre questa esce, a Donna Francesca, che si avvicina) Donna France’, perdonate se vi ho incomodato inutilmente!

Donna Francesca          - Anze, sperammo che fosse niente!

Rusina                           -  (che si è accostata) E vedrete che niente sarà!

Putiferio                        -  Mi è seccato più che si è guastata la festa! Ci stavamo divertendo così bene!

Rusina                           -  (a Donna Maria che è rimasta senza parole) Faciteve curaggio e lassate fa’ a Dio! (E uscendo, a Donna Francesca) Stu fatto aveva succedere a me! (Escono).

Biasiello                        -  (uscendo con la stufa dei gelati) ’E pigliasse e ’e menasse llà mmiezo! (Esce anche lui).

Donna Maria                 - (all’agente) Sentite, è na mamma che ve parla, che vonno ’a figliemo?

Agente                          -  Ma, pare… (Volge lo sguardo intorno).

Putiferio                        -  (rassicurandolo) Putite parla’, so’ tutte gente meie!

Agente                          -  (a Putiferio) Voi siete nella lista di quelli che devono essere interrogati sulla loro attività. Quelli che possono giustificare che vivono unicamente di lavoro, tornano a casa, quelli che invece risultano elementi equivoci, saranno spediti senz’altro al confine!

Putiferio                        -  (sollevando lo spirito della madre e dell’innamorata) Ah, e allora niente paura, quanno io avarraggio dimostrato che songo n’at’ommo, ca Putiferio nun esiste cchiú, che so’ n’operaio rispettato, ca sto danno parola cu na bona figliola, ca tengo quatto giuvene, ca nun m’appicceco cchiú, ca nun faccio parla’ cchiú ’e me, e ca campo comme aggio campato sempe, cu ’a fatica, stongo a posto! (Sicuro, ai giovani) Dimane ampressa, eh?! (Al professore) Professo’, cheste songo l’ultime conseguenze ’e tutta na vita sbagliata!

’O Prufessore                - (annuendo) Certamente!

Putiferio                        -  (alla vaccara, indicando Carulina) M’arraccumanno, questa si chiama Putiferio! (Raccomanda anche la madre).

’A Vaccara                    -  State senza pensiero!

’O Prufessore                - (a Putiferio) Vi accompagno!

Putiferio                        -  (scuotendo la madre) Gué, io nun vaco a morte! Mettite ’a tavula e mangiate… (Alla madre, incaraggiandola) Cacciate ’e fasule… ’e mieie m’ ’e cummigliate! E che chiagne a fa’? (All’Agente) Eccomi! (E si avvia, seguito dal professore, seguendo l’Agente, mentre la madre avanza di qualche passo, per accompagnarlo e Carulina scoppia a piangere tra le braccia della vaccara. La tela cala, tra il mormorio dei presenti).

FINE