Qualcuno

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QUALCUNO

QUALCUNO

Commedia in tre atti

Di FERENC MOLNAR

PERSONAGGI

CORTIN

EDITH

ROBERTO

GIULIA

UN AVVOCATO

UNA POVERA DONNA

UN GIOVANETTO

UN ALBERGATORE

UN IMPIEGATO

IL DIRETTORE DELL’ALBERGO

IL PORTIERE

PRIMO CAMERIERE

SECONDO CAMERIERE

IL DOMESTICO

Commedia formattata da

Di questa commedia, rappresen­tata la sera dei 24 febbraio al Tea­tro Manzoni di Milano, dalia Com­pagnia Lupi . Borboni . Pescatori, RENATO SIMONI ha scritto nel CORRIERE DELLA SERA: « E' una commedia deliziosa, tra le più leggiadre e spiritose rap­presentate negli ultimi anni. Fa parte di una specie di ciclo che il Molnar ha cominciato con « Uno, due, tre », e che si può chiamare « dei giochi di prestigio »,' giochi per i quali un personaggio lesto e sorridente prende un uomo da nulla e, in quattro e quatti-'otto, lo fa diventare un pezzo grosso, cosi come l'illusionista lascia ca­dere un fazzoletto di seta entro il cappello a cilindro, e ne trae poi una dozzina di conigli e una va­schetta colma di acqua, coi pesci rossi. Ma finora, a questa specie di mago, per fare la lepre in sal­mi, una lepre occorreva, in « Uno, due, tre », un grande affarista prendeva un giovinetto povero e scalcagnato e, con l'aiuto pronto, anzi turbinoso, di camiciai, sarti, calzolai, cappellai, azionisti di banche, nobili decaduti e disposti a vendere il blasone, nel giro di pochi minuti, lo faceva diventare il direttore festoso e autorevole di un importante stabilimento indu­striale. Nella bella commedia di ieri sera, per costruire un marito, il protagonista non ha avuto bi­sogno d'un uomo. Gli son bastati un nome, un pigiama, un tubino, un paio di ritratti, alcuni docu­menti, un fascio di giornali: e il giooo fu fatto; e fatto cosi bene, che quel marito incorporeo e ine­sistente s'è messo ad operare, a comandare, a spendere come se esistesse davvero. La commedia ha una tale grazia fragile d'inven­zione, che, a raccontarla, la si al. tera e la si sciupa. I fatti in que­sta commedia non si precisano. Hanno un'inconsistenza umoristi­ca, passano davanti ai nostri oc­chi, aerei, trasparenti, iridescen­ti, come bolle di sapone. Se il pri. mo atto, di preparazione, è un po' freddo, gli altri sono svelti e le-pidi e assumono una gravità bur­lesca, uno stile comico raffinatis­simo. Danno un piacere elegante, perchè si sente che il gioco è dif­ficile, ohe la commedia è un pic­colo miracolo di equilibri com­plicati, una filigrana di fantasie

preziose e brillanti. Se ne è avuta una vivace e diver­tente rappresentazione. Paola Bor-boni ha interpretato Edith con un misto graziosissimo di spregiudi­catezza e di affettuosità; il Lupi, solenne e irridente faccendiere, ironico ed esilarante ».

ATTO PRIMO

 

Sera d'estate. La terrazza di un albergo di lusso, con tavolinetti e sedie. In fondo, balau­strata di pietra; dietro a questa, mare e cielo stellato. Edith, in vestito da sera, siede sola e ascolta la musica che suona nell'interno: vio­lino con accompagnamento di pianoforte. Du­rante il pezzo musicale entra Roberto, in mar­sina.

Edith (trattenendolo con un cenno) Sssst!

(La musica continua. I due attendono, muti, che sia finita).

Edith                             - Ora potete venire. (Roberto le si avvicina). Bella musica. L'ho ordinata io. E' stata suonata proprio per me. Il piccolo bar è ancora vuoto. Hanno lasciato la porta aperta perchè udissi meglio. (Grida verso l'interno) Grazie!

Roberto                         - E io vi cerco invano dappertutto. Non avrei immaginato che foste qui. Sola sola?

Edith                             - Ora non più, purtroppo.

Roberto                         - Mi sembra abbastanza esplicito. Devo andar via?

Edith                             - Di nuovo offeso?

Roberto                         - Ma è proprio una gioia, per voi, respingermi in ogni occasione?

Edith                             - Non siate così permaloso. Sedete.

Roberto                         - Siete una creatura straordinaria. Questi vostri improvvisi mutamenti d'umore! Poc'anzi eravate nel salone da pranzo, alla gran­de tavola, ridente, raggiante, festeggiata... Vi osservavo furtivamente dalla mia tavola, come sempre... da quando siete arrivata. E a un tratto il vostro posto è rimasto vuoto. E siete qui. Malinconica. Fate eseguire per voi della musica sentimentale. Nessuno può compren­dervi.

Edith                             - Per fortuna, non è necessario.

Roberto                         - Io vorrei comprendervi. Cono­scervi. Ma non vi conosco. Sapete che qui in albergo nessuno sa chi siate? Sapete come vi chiamano? La signora dai gioielli favolosi.

Edith                             - Mi pare che abbiate bevuto un po' troppo. Siete così corretto, di solito!

Roberto                         - Purtroppo questo mezzo di ad­dormentare il dolore mi è estraneo. Non bevo mai. Quando am© soffra.

 Edith                            - Ricominciate?

Roberto                         - Un momento oiete gentile; l'at­timo dopo siete aspra e scostante. Cinque mi­nuti di sfrenata allegria; cinque di cupa me­stizia. Ditemi, chi siete in verità?

Edith                             - Mi conoscete da dieci giorni. Lo chiedete adesso?

Roberto                         - Ve lo chiedo forse per la cente­sima volta. E voi rispondente sempre...

Edith                             - Indovinatelo!

Roberto                         - Abbiamo, qui un maestro di tennis che vi ha già vista in tre grandi alberghi in­ternazionali. A Cannes, a Biarritz e a Venezia. E dice che mai, in nessuno di questi luoghi si è saputo qualche cosa sul conto vostro. Una creatura solitaria, taciturna. La signora dai gio­ielli favolosi. Si è fatto l'ipotesi che apparte-niate al teatro... forse cantante...

Edith                             - Perchè negli alberghi do il mio nome d'arte.

Roberto                         - Non ho mai udito questo nome prima d'ora.

Edith                             - Il paese sui palcoscenici del quale sono apparsa con questo nome è lontano  L'America del Sud... Molti, molti anni fa. Non sorridete. Ero giovanissima allora.

Roberto                         - Avete marito? Lo avete avuto? Lo avrete?

Edith                             - Siete troppo curioso.

Roberto                         - Perchè sono troppo innamorato. Coloro che conoscono la vita affermano che quando un uomo incontra la donna che avrà grande influenza sulla sua vita, ne ha la sen­sazione inequivocabile.

Edith                             - Ebbene...?

Roberto                         - Io ho questa sensazione. Da quan­do vi ho conosciuta. E voi vi prendete gioco di me.

Edith                             - Non è vero. Piuttosto è vero il contrario. Mi piacete.

Roberto                         - Ma...

Edith                             - Ma non sempre. Siete insopporta­bile quando vi mostrate languido, sentimentale, amante del chiaro di luna... Con questo sistema non riuscirete mai a sedurrmi

Roberto                         - Io non sono uno dei soliti Don Giovanni d'albergo. Appartengo a una grande famiglia e ho avuto un'educazione...

Edith                             - Questo è proprio quello che mi pia­ce in voi. (Sorridendo) Il beniamino della nonna.

Roberto                         - Nel nostro mondo ciò non sem­bra ridicolo. Io amo e venero la mia nonna.

Edith                             - Commovente. Quanti anni ha?

Roberto                         - Settantotto. La considero come mia madre. Ero piccino quando perdetti i ge­nitori. E non ilo altri amici che le mie due so­relle. Sono tutt'e due laureate in filosofia. Mi scrivono ogni giorno una lettera di dieci pagine. Mi impediscono di far delle sciocchezze. Le mie sorelle son signorine; non sono più giova­nissime e non sono mai state belle.

Edith                             - Lo avevo immaginato.

Roberto                         - Le amo e le venero entrambe.

Edith                             - Simpatici, questi sentimenti così puri. Soltanto... non molto interessanti.

Roberto                         - E che cosa sarebbe interessante?

Edith                             - Mah... forse un po' meno di buona educazione. Sicuro, beniamino della nonna.

Roberto                         - Ditemi, ma sul serio: in linea di massima, non potreste amarmi?

Edith                             - Per il momento, appena appena.

Roberto                         - Ecco... questa risposta... siete tutta voi! Vi avvicinate... e subito dopo vi ri­traete. « Per il momento »... « appena appe­na ». Ma lasciamo andare. Devo soffrire... (So­spira) Perchè siete venuta qui fuori?

Edith                             - Il pranzo di gala di duecento perso­ne annoia. Tutto annoia. Le duecento persone, i discorsi, la compagnia riunita a casaccio, il ballo, la musica fragorosa. Qui c'è il mare. E non c'è nessuno. E' bello. Le stelle non parlano. E la musica sommessa, come io l'amo, giunge a me pian piano.

Roberto                         - Come l'uomo sommesso che non amate.

Edith                             - Proprio perchè è sommesso.

(Una pausa).

Roberto                         - (deciso) Via, smettiamo queste chiacchiere... ipocrite. Parliamo sinceramente. Voi aspettate qualcuno qui.

Edith                             - Sì.

Roberto                         - Finalmente. So anche chi.

Edith                             - Possibile.

Roberto                         - Aspettate quel vecchio signore col quale avete parlato dianzi per un minuto nella hall. Eravate molto agitata. Il vecchio signore era appena arrivato, con delle magni­fiche valigie - bisogna convenirne.

Edith                             - Mi spiate?

Roberto                         - Sicuro. Il vecchio signore indossa un abito da viaggio oltremodo elegante. Im­magino che ora sia andato a cambiar vestito. A mettere una marsina altrettanto elegante.

Edith                             - E' probabile.

Roberto                         - Sia pure... Ma trovo... La diffe­renza d'età mi sembra troppo grande..

Edith                             - Non vi debbo in alcun modo conto di ciò che faccio. Come vi permettete simili os­servazioni?

Roberto                         - Perdonatemi: sono giovane e in­namorato.

Edith                             - Queste son frasi che mi danno noia, caro Roberto.

Roberto                         - Lo avete udite sovente?

Edith                             - Sì. Tanto sovente che ne ho pro­prio abbastanza. (Si alza).

Roberto                         - Chiaro. Mi mandate via?

Edith                             - (nervosa) Ma vi prego...

Roberto                         - Siete impaziente. L'attesa vi ren­de nervosa. Chi conosce i vostri segreti? Perchè guardate sempre da quella parte?

Edith                             - Cominciate a rendermi nervosa davvero.

Roberto                         - (guarda verso l'interno) Ali! Ec­co il vecchio. Elegante bisogna riconoscerlo. Allora vado. E proprio in. direzione opposta. (Via. Entra Cortin, in marsina).

Cortin                            - E' un pezzo che aspetti?

Edith                             - Mezz'ora.

Cortin                            - Scusami: ti avevo detto alle dieci. (Guarda il suo orologio).

Edith                             - Ma ero tanta agitata. Sono venuta mezz'ora prima. Non ho potuto mangiare: non sopportavo lo stare a tavola. Siedi. Lasciati guardare. Sei straordinariamente « in forma ». Quanto tempo è che non ti vedo?

Cortin                            - Sei anni.

Edith                             - Allora ne avevo venti.

Cortin                            - Sicché adesso...

Edith                             - Venticinque.

Cortin                            - Non ventisei?

Edith                             - No.

Cortin                            - Come vuoi. Venticinque. E come sei bella! Affascinante!

Edith                             - Che cosa beviamo?

Cortin                            - Come sempre, Irroy. Secco.

Edith                             - Cameriere! (Entra il camenere) Per favore, portate...

Cortin                            - (interrompendola) Scusa. Per fa­vore, portate una bottiglia di Irroy. Secco.

(Il cameriere si allontana. Edith dà un'oc­chiata a Cortin).

Cortin                            - Nessuna differenza; solo una sfu­matura. Sono io che ordino. (La osserva) Mi guardi affettuosamente. Questo mi fa bene.

Edith                             - Sono commossa.

Cortin                            - Anch'io.

Edith                             - Io lo sono molto.

Cortin                            - Io anche di più.

Edith                             - Non hai mai pensato a me?

Cortin                            - Oh sì.

Edith                             - Tanta anni... E non un segno di vita: non una lettera, un telegramma.

Cortin                            - Non ho voluto. Mi ero acconciato all'idea di non vederti mai più.

Edith                             - Mai più?

Cortin                            - Sì. A cagione di tuo marito.

Edith                             - Ma... non era mio marito.

Cortin                            - A maggior ragione allora. Sei qui con lui?

Edith                             - No. Da due anni sono sola. Non ho nessuno. Soltanto una cameriera. E' l'unica per-sona amica che ho al mondo. (Pausa) Per tanto tempo non ho saputo più nulla di te! Ora ci racconteremo tutto. E' stato abbastanza diffi­cile avere questo incontro. Non dobbiamo per­dere neanche un minuto. Dio mio: sei anni! Scambiamoci le nostre biografie... vuoi?

Cortin                            - Ora, subito?

Edith                             - Sono tanto curiosa. Mio caro, mio buon papà. (Gli bacia la mano).

Cortin                            - Oh, non credo che tu ne sia orgo­gliosa, di questo genitore.

Edith                             - Non ho fatto che constatarlo.

Cortin                            - Neanche questo era necessario.

Edith                             - Ma mi fa piacere. E' tanto tempo che non dico « papà ».. Il mio caro, il mio buon papà.

Cortin                            - Bene, figliola. Ma ora lasciamo andare. Come hai detto? Dobbiamo scambiarci le nostre biografie.

Edith                             - Sì. Rapide, brevi, esatte. 1926.

Cortin                            - In quell'anno divorziasti da tuo marito.

Edith                             - In quell'anno mio marito divorziò da me.

Cortin                            - Per causa mia. Lo so.

Edith                             - Non è per questo che ho corretto la frase.

Cortin                            - Lasciamo andare. Il fatto esiste: io ti ho resa infelice. Due ragazzi giovani e belli vivono in stato di felice matrimonio...

Edith                             - Ma babbo!

Cortin                            - Sì, sì; era così. Vivono in stato di felice matrimonio. Il padre della donna vien condannato per truffa e messo in prigione. E perciò il marito pianta la moglie. Un vigliacco.

Edith                             - Non infierire sui disgraziati, babbo. Quell'uomo ha sofferto tremendamente.

Cortin                            - Avrebbe dovuto tenere a te.

Edith                             - La sua famiglia... lo costrinse... su­scitando in lui un vero terrore.

Cortin                            - Non si può dar torto a quella gente! Un suocero condannato in tutte le re­gole! (Ride amaro).

Edith                             - Papà!

Cortin                            - Bene. Occupiamoci di un passato più recente. 1927.

Edith                             - Ho vissuto a Rio de Janeiro. Can­tante di second'ordine. In un cabaret di terz'ordine. Il wiio nome di allora: Ida Idalina.

Cortin                            - 1928?

Edith                             - Avevo già la mia villa. Gioielli de­positati alla banca. In un sa/e. Un... miliardario della marina mercantile. Favolosamente ricco... Mi ha adorata. E tu? Nel 27?

Cortin                            - 27? Non ero in circolazione.

Edith                             - Eri forse...

Cortin                            - Sicuro.

Edith                             - Povero babbo. In pri... (Ammuto. lisce).

Cortin                            - Ero tranquillamente al coperto, senza pensare al pane quotidiano...

Edith                             - E nel 1928?

Cortin                            - Ancora.

Edith                             - Due anni.

Cortin                            - Diciotto mesi.

Edith                             - Dove... ti hanno fatto questo...?

Cortin                            - A Berlino.

Edith                             - E perchè?

Cortin                            - Volevamo finanziare una scoperta. Una cosa correttissima. Avevamo bisogno di molto denaro. C'erano difficoltà. Io intervenni, presentandomi... come un banchiere olandese. Tutto andava a gonfie vele, quando una donna commise un errore. In breve, la cosa andò a finir male.

Edith                             - Col tuo ingegno! Con le tue tro­vate!

Cortin                            - Dio mio... Siamo uomini. Ci si de­streggia fra i paragrafi del codice. Ma il codice va diventando sempre più opprimente. Quella donna si trovò a giocare... a carambola con un paragrafo. E la sventura piombò per la seconda volta sopra di me. La prima volta, dopo il tuo matrimonio. E poi nel 1927. Per la seconda, ma anche per l'ultima volta.

Edith                             - Adesso...

Cortin                            - Niente. Mi sono ritirato. Vivo dei miei risparmi.

Edith                             - Ne hai a sufficienza?

Cortin                            - Ho quanto mi occorre. E non ho l'intenzione di far più nulla. Sono un vecchio signore solo che gira da un albergo all'altro, senza far dei lunghi soggiorni. Oggi qua, do­mani là. Al mare, a Londra, a Montecarlo...

Edith                             - E... sopporti di star in ozio?

Cortin                            - Come mi conosci bene!

Edith                             - Lo sopporti malvolentieri...

Cortin                            - A volte... quando vedo una buona occasione... allora si ridesta in me lo spiri­tello... Per notti e notti si agita in me, mi. at­tanaglia, mi tormenta... ma lo reprimo. E al­lora mi dà pace.

(Pausa).

Edith                             - Non vuoi andare al Casino?

Cortin                            - No, è meglio restare qui, dove non ci vede nessuno. Non voglio compromet­terti.

Edith                             - Ma papà! (Si alza) Ora verrai là dentro con ine!

Cortin                            - Siediti. Non occorre che tu faccia nulla per me. Poi ti vergogneresti. (Edith vuol dire qualche cosa) Non parlare. Andiamo avanti. Dov'eravamo rimasti? Al 1929. Ebbene?

Edith                             - Rimasi sola. Molto ricca.

Cortin                            - Il Creso... morto?

Edith                             - No. In tal caso non avrei nulla. Si ammogliò.

Cortin                            - 1930?

Edith                             - Nulla. Vagabondaggio per il mondo.

Cortin                            - 1931?

Edith                             - Nulla. Ancora viaggi senza scopo. Infelicità. (Si asciuga con calma le lagrime).

Cortin                            - E... cosa si potrebbe fare per te?

Edith                             - Assolutamente nulla.

Cortin                            - Forse potrei... almeno darti un con­siglio?

Edith                             - Non avertene a male, babbo... tu hai una fantasia straordinaria, la quale però... lavora in tutt'altro campo. Potresti darmi un solo buon consiglio: suicidarmi. Ma anche que­sto non serve a nulla. Ho già tentato due volle...

(Pausa).

Cortin                            - Hai bisogno di un uomo.

Edith                             - Non ho bisogno di nessuno.

Cortin                            - Ho visto qui, in tua compagnia... un bel ragazzo...

Edith                             - Come si deve, corretto, tiepido... Il beniamino della nonna. E quello dovrebbe farmi perdere il senno? Se almeno fosse un uomo ap­passionato, ardente!... Ma non ho bisogno nean­che di quello. Ora inorridirai per la banalità che mi uscirà di bocca.

Cortin                            - Cioè?

Edith                             - Ho bisogno di un marito. Un bravo marito.

Cortin                            - Ebbene?

Edith                             - Babbo! Non posso tacerti la verità... non riesco a sopportare l'idea di sposare un uomo onesto, nascondendogli chi sono... treman. do s«rgpr« che possa venire a saperlo... Non posso!

 Cortin                           - Dunque, non c'è che il matrimonio per te? Non vedi altra soluzione?

Edith                             - Nessun'altra. Un nome, un bel nome sonante! Sostegno, protezione, sicurezza! Vo­glio finalmente respirare liberamente, dopo tante paure e tanti sotterfugi! Relazioni confessabili, vita tranquilla. Non posso più tollerare questo andare in giro per gli alberghi di tutto il mondo sotto un nome falso... E' cosa che snerva in modo incredibile.

Cortin                            - E...

Edith                             - E non posso essere una cocotte. Ba­sta. Ascoltami. Il mio avvocato sta trattando l'acquisto di un delizioso castello. Su una col­lina presso al Danubio. Sovrasta una graziosa borgata. « Borgo sul Danubio » : questo è il suo nome.

Cortin                            - Dov'è?

Edith                             - Non so. In uno dei paesi bagnati dal Danubio.

Cortin                            - Germania, Austria?

Edith                             - O forse Ungheria o Cecoslovacchia. Ho visto soltanto la fotografia. C'è un barone di laggiù che sta brigando per averlo, ma noi faremo un'offerta superiore. Figurati: la castel­lana che vive in un piccolo villaggio, lontano dal mondo, fuggendo l'orribile epoca che è la nostra, beneficando tutta la contrada e prepa­rando i regali di Natale per i bambini poveri... Tutti la chiamano « la buona contessa ». Mi pa­re un sogno onesto, non è vero?

Cortin                            - E che cosa manca alla sua realiz­zazione?

Edith                             - Il conte.

Cortin                            - Conti puoi averne quanti ne vuoi. Corrono le strade in gran numero.

Edith                             - Di quelli, non ne voglio. Puah. Comprarmi un gigolò? No. Dev'essere un uo­mo dabbene, serio, che abbia rango, tìtolo, buon aspetto.

Cortin                            - Cercheremo.

Edith                             - E anche se lo trovassi... Pensiero atroce... vivere con lui... senza amore... col suo carattere, i suoi mille difetti, i suoi disturbi... Il suo sguardo inquieto, la sua tosse, i suoi pa­renti... e la paura che un giorno o l'altro ven­ga a sapere chi sono io! E soprattutto il suo torto sarebbe di essere al mondo. Si può sopportare una cosa simile? Babbo! (Una pausa). Pensa... sono figlia di mio padre. Il desiderio di appa­rire moglie dì un uomo come si deve era in me così forte che una volta a Vienna mi son fatta passare per una contessa... Ma sono stata male per la paura... In strada non avevo il coraggio di guardare i poliziotti... E allora me la sono svignata e non l'ho mai più fatto... Ma per quei pochi giorni che la cosa è durata, mi è piaciu­ta immensamente.

Cortin                            - Penoso, udire tutto ciò quando sì ea di averne la colpa.

Edith                             - Visto che ne parliamo, babbo, sa­rebbe stupido non esser sìnceri. Ma non ti fac­cio alcun rimprovero. Ti racconto la mia vita.

Coktin                           - Eppure... bisogna rimediare.

Edith                             - Non si può.

Cortin                            - Si può.

Edith                             - Credo che sia troppo tardi, babbo.

Cortin                            - No, no; si deve rimediare. Vedere cosi la mia unica figliola!

Edith                             - Perchè? Vedi che sopporto con la più tranquilla filosofìa. Parlo con tutta calma.

Cortin                            - Calma... ma dietro alla tua cal­ma... sento... No, non posso sopportarlo! (Sii alza).

Edith                             - Ma babbo... non ti tormentare.

Cortin                            - Un vecchio farabutto, una canaglia senza coscienza, se ne va tranquillamente in gi­ro per il mondo e si gode la cosidetta vita... e per sua colpa una povera creatura soffre...

Edith                             - Babbo, se avessi saputo...

Cortin                            - (con subita fermezza) Voglio aiu­tarti. E lo farò'.

Edith                             - Come puoi? In che modo?

Cortin                            - Forse... coi mezzi nei quali sono maestro.

Edith                             - (lo guarda spaventata) Babbo.

Cortin                            - Sì, sì. Posso ancora fare qualche cosa. Meglio di tutti gli altri. Mi ero ritirato dalla vita attiva... ma ora che per amor della mia figliola posso fare ancora qualche cosa, pos­so effettuare...

Edith                             - (preoccupata) Che vuoi dire, bab­bo?

Cortin                            - Non aver paura. La cosa è sempli­cissima. Ascoltami. (Beve).

Edith                             - Straordinario... come ti brillano gli occhi... come sei diventato a un tratto giovane e sveglio.

Cortin                            - La vecchia storia del decrepito ca­vallo di battaglia che ode squillare le trombe. Ancora una volta, per l'ultima volta, in cam­po! Sarà il mio capolavoro. Per riparare al mal fatto. E per amore della mia infelice figlioletta! Però qualche cosa! Creerò! (Ammutolisce, ri­flette).

Edith                             - Parla, babbo:

Cortin                            - Io... ti devo un marito, per surrogare quello che hai perduto per mia colpa. E' così?

Edith                             - Parla ancora.

Cortin                            - Vorrei... pagarti questo debito. A modo mio.

Edith                             - Come?

Cortin                            - Conosco un marito per te.

Edith                             - Chi è?

Cortin                            - Un conte. Ti va?

Edith                             - E come!

Cortin                            - Ricco. Simpatico. Quarant'anni.

Edith                             - Ottimamente.

Cortin                            - Gentiluomo. Colto. Cacciatore. So­cio dei circoli più distinti.

Edith                             - Magnifico.

Cortin                            - Viaggiatore appassionato. Esplora­tore. Anche adesso, compie un viaggio di esplo­razione nel Sudamerica. Perciò viene raramen­te in Europa.

Edith                             - Meraviglioso. Finora è splendido... Vi sono molti uomini di questo genere, babbo. Soltanto... nessuno di essi mi sposa.

Cortin                            - Questo ti sposerà. In qualunque momento tu voglia. Te lo assicuro.

Edith                             - E' uno scherzo?

Cortin                            - No, parlo sul serio.

Edith                             - Allora, deve avere qualche enorme difetto.

CortIn                           - Ascoltami, bimba mia. Poc'anzi hai detto una frase, « Ed oltre a tutto, avrebbe il torto di essere al mondo ».

Edith                             - Sì. Ebbene?

Cortin                            - Ebbene, presso di te non avrà neanche questo torto.

Edith                             - Babbo, babbo, temo di cominciare a comprendere.

Cortin                            - Ascolta. Mi hai dato un'idea. Hai ragione: un marito è qualche cosa di intollera­bile. In realtà, oggigiorno è una colpa imperdo­nabile, l'essere al mondo. Cerchiamone dunque uno ehe non abbia questa colpa. Per questo occorre fantasia. E la fantasia è sempre stata il mio forte. Quando è che ho avuto i maggiori successi? Quando mi son fatto passare per un altro. Sono stato conte, lord, diplomatico, se­condo che il compito del momento lo richie­deva. Ho sempre creato un individuo con no-me, documenti,.pettinatura, modo di parlare e altri particolari. In breve, ho fabbricato la pel­le di. un uomo e vi sono entrato dentro. Una volta è stata la pelle di. un lord, un'altra volta quella di un soldato, o quella di un banchiere o... di un conte. Vi sono sempre entrato e mi è andata a pennello, come fatta per me. Ora vorrei... Hai capito, non è vero, ciò che ho detto?

Edith                             - Sicuro,

Cortin                            - (si lascia trascinare dal fervore) Ora vorrei fare per te... una di queste pelli... con la maggior cura possibile. Ma questa volta non vi entrerò dentro. E nessun altro vi entre­rà. Te la regalo, vuota. La pelle di un conte. Sarà tuo marito. Non occorrerà che tu ti dia nelle braccia del primo venuto. E non menti­rai più quando dirai che sei una con lessa. Per tutti, avrai tutte le prove occorrenti. E perfet­te, come io so confezionarle, e proprio per te. Come hai detto: nome, i:»osizione, protezione, sostegno, senza che vi sia... annesso corpo al­cuno.

Edith                             - Documenti falsi?

Cortin                            - Mai. Quei pochi che sono neces­sari, saranno autentici. Più economici e più ef­ficaci che se fossero falsi. Ma non si tratta di documenti. Azioni, oggetti, legami formano un uomo in modo più plastico ed evidente che non possa fare la volgare falsificazione dei docu­menti. Lascia fare a me. So che cos'è un ma­rito ideale. Impiegherò per questo lavoro tutte le mie cognizioni. Le cognizioni di un vec­chio... diciamo « virtuoso del matrimonio ».

Edith                             - Hai già... una pratica in materia?

Cortin                            - (mettendosi la mano sulla bocca) Oh, mi è sfuggito...

Edith                             - Non ne ho mai saputo nulla.

Cortin                            - Sono passati vent'anni. Lasciamo andare. In conclusione...

Edith                             - In conclusione?

Cortin                            - Avrai il tuo castello con un conte. La signora contessa. Ti piace?

Edith                             - Così... di primo acchito... devo confessare... è straordinariamente eccitante. Ma...

Cortin                            - (interrompendo) Lo so. Ma... se qualcuno chiede del conte. Dio mio. « In que­sto momento non c'è ». Partito. Quando torna? Fra sei mesi. E poi? Poi riparte. Fa dei lun­ghissimi viaggi. E' tanto ricco.,.

Edith                             - Come mai?

Cortin                            - Coi tuoi denari. Così, almeno, non hai bisogno di spiegare da dove ti vengono i quattrini e il castello.

Edith                             - E se, malgrado tutto, qualcuno in­sistesse?

Cortin                            - Nessuno insisterà. Chi ha bisogno di un uomo, oggigiorno? Si ha bisogno soltan­to delle sue emanazioni. Egli paga le tasse; dunque è. Ha un conto in banca; dunque è. Scrive delle lettere, esprime delle opinioni, fa magari anche qualche cosa di buono, dunque è. Chi può esser curioso di vedere i suoi 60 o 70 chili di carne e di ossa? Chi ne ha bisogno? Un solo essere al mondo potrebbe desiderarlo: una moglie innamorata. E in questo caso...

Edith                             - La moglie innamorata vi rinuncia. E... e... Dio, quante altre cose vorrei chiedere!

Cortin                            - Ti interessa?

Edith                             - Sì. (Osserva suo padre). Com'è bel­lo vederti così entusiasta! Sei fremente come un artista nell' impeto della creazione. Un poeta.

Cortin                            - Senti un po' di simpatia per quel­lo stravagante di tuo padre?

Edith                             - E lo domandi? Chi altri può cima­re, una donna giovine, se non un abile... fat­tucchiere?

Cortin                            - Potresti esprimerti con più dolcez­za... Per esempio: avventuriero.

Edith                             - Babbo, sei il solo essere al mondo presso al quale io mi senta bene. (Bevono). Domani a mezzogiorno...

Cortin                            - (interrompendo) Non sarò più qui.

Edith                             - Perchè?

Cortin                            - Parto domattina.

Edith                             - Di già? Ma perchè?

Cortin                            - Nulla può più trattenermi. Nean­che un minuto. Tutto si agita e bolle nel mio cervello...

Edith                             - E dove vai?

Cortin                            - Non lo so. Via, via... per il mon­do. Ora siamo d'estate. In autunno tuo mari­to sarà pronto. Dio mio, che uomo distinto ed elegante sarà quello che ti fabbricherò! Te ne innamorerai. (Si tasta il polso). Ora il mio pol­so batte di nuovo. Finalmente. I medici mi avevano prescritto la caffeina, perchè era trop­po fiacco. Già, la vita calma... Ma ecco che*rin­giovanisco!

Edith                             - Il mio caro vecchietto.

Cortin                            - Te Io porterò in autunno. In una bella giornata d'ottobre. Come mi rallegra il pensiero di quell'ora. Fino allora non saprai nulla di me. Ma un giorno riceverai un tele­gramma e verrai dove io ti. chiamerò; e trove­rai tutto in perfetta regola.

Edith                             - Mio marito mi aspetterà.

Cortin                            - Proprio così.

Edith                             - (ride) Con che sicurezza lo dici!

Cortin                            - Non ridere. Vedrai. (Si alza). E fino ad allora, fammi sempre avere il tuo in­dirizzo, dirigendo al Grand Hotel, Parigi.

Edith                             - Bene, Come ti chiami?

Cortin                            - Fred Cortili. E tu?

Edith                             - Oly Ingrid.

Cortin                            - Grazie. (Prende nota).

(Entra Roberto).

Edith                             - Venite, venite, non abbiate timore. Come siete timido. Venite, che vi presenti. Il signor Roberto...

Cortin                            - (la interrompe, presentandosi) Fred Cortin, l'avvocato di questa bella signora e della sua 'famiglia. E se mi è permesso dirlo : un suo vecchio amico.

(Edith sorride confusa, e china la testa).

Roberto                         - Molto lieto. Il signor avvocato è giunto da poco?

Cortin                            - Sì. E purtroppo devo ripartire do­mattina.

Roberto                         - Ali! Così presto?

Cortin                            - Sì. Son venuto soltanto per por­tare un messaggio.

Roberto                         - Un messaggio?

Edith                             - Di mio marito.

Roberto                         - Ora comprendo perchè aspetta­vate con tanta agitazione. (A Cortin). Posso ri­velarvi che la signora vi attendeva con vera im­pazienza.

Cortin                            - Davvero?

Edith                             - Sì. Ed ora che è qui, sono agitata più che mai.

Roberto                         - Vedendovi qui insieme, mi vien fatto di pensare... Se indovinassi qual'è il mes­saggio che l'avvocato ha recato?

Edith                             - Dite pure.

Roberto                         - Siete in procinto di divorziare.

Cortin                            - (ride) Proprio il contrario.

Roberto                         - Si riconciliano?

Cortin                            - Sì. Cioè... lo spero. E spero che saranno felici. (Bacia la mano di Edith). State bene. Vado a dormire. E a rivederci.

Edith                             - A rivederci.

Cortin                            - Devo dire qualche cosa a vostro marito?

Edith                             - Oh sì! Che gli mando tanti tanti baci. E che desidero vederlo presto.

Cortin                            - Riferirò. (Si inchina ai due ed esce).

Edith                             - (lo segue con lo sguardo, un /x>' com­mossa) Non è un vecchio simpatico e di­stinto?

Roberto                         - (anche lui lo segue con lo sguardo) Avvocato, avvocato... ne ha tutto l'aspetto... ma lo sguardo col quale si è... accomiatato era... più che da avvocato.

Edith                             - Come siete sospettoso.

Roberto                         - Avete ragione. Che me ne importa ora? Ora che la mia infelicità è confermata?

Edith                             - Che altro vi è successo?

Roberto                         - Questo riguarda me... Dunque, vi riconciliate.

Edith                             - Sì.

Roberto                         - E « desiderate vederlo presto ».

Edith                             - Sì.

Roberto                         - E con che entusiasmo lo avete detto. Con che sensualità.

Edith                             - Cosa?

Roberto                         - Sì, sì, con sensualità! Ah.,  sarei capace... di uccidere!

Edith                             - Chi?

Roberto                         - (con ardore) Voi!

Edith                             - Ah, finalmente.! Finalmente! Finalmente parlate come un uomo che ha sangue nelle vene.

Roberto                         - Non permetterò questa riconci­liazione. La farò vedere io, a voi e a quest'uo­mo e a tutto il mondo.

Edith                             - Che volete dire? Che avete?

Roberto                         - Son preso dalla disperazione... dalla paura di perdervi. Ora parlerò in altro tono, signora.

Edith                             - Finalmente arrivo a veder questo. L'avete finita di essere dolce e sentimentale.

Roberto                         - In tal modo non sono riuscito a nulla. Ora mi conoscerete. Fino ad oggi vi ho amata in silenzio; ma ora sono attanagliato da una tremenda gelosia, un sentimento tormen­toso che mi spinge agli estremi. Ora...

Edith                             - (sorride, tranquilla) Ora mi pia­cete, per la prima volta. (Si accende una siga­retta). Una piacevole sorpresa. Ah, come è bel­lo un amore così... attivo. Questi lampi di ge­losia negli occhi di un giovine... masnadiero.

Roberto                         - (è stupito. Si siede) Mi guardate per la prima volta con tenerezza. Perchè? Vi piace udir questo?

Edith                             - Solo questo. Perchè mi guardate così stupito? Finalmente avete trovato la nota giusta. Solo questo mi piace. Che deliziosa sen­sazione. (Si appoggia alla spalliera della pol­trona in cui siede, con aria di benessere. Piano e tranquilla). ...Dopo tanto tanto tempo... fi­nalmente, il dolce suono della voce di un uomo geloso... E di questo devo essere grata...

Roberto                         - A ine...

Edith                             - No. A mio... marito. (Fuma). (Roberto, deluso, si appoggia lentamente alla spalliera della poltrona in cui è seduto).

FINE PRIMO ATTO

ATTO SECONDO

Il salotto di un appartamento nell’ « Albergo della Corona » a Borgo sul Danubio. A destra una finestra. A sinistra, porta che mette nella stanza accanito. In fondo, porta che mette nel corridoio. In mezzo, una tavola. E' sera. Al le­var del sipario la stanza è vuota. Dopo pochi secondi Edith entra dalla stanza accanto, in abito da casa, e va al telefono.

Edith                             - Pronto? Centralino?... Vi prego di mettermi in comunicazione con la camera del signor Cortin... Papà... Ti abbraccio. Volevo soltanto avvertirti che sono arrivata e che sono qui in albergo... Da un'ora. Ho fatto il bagno e disfatto qualche valigia... Alle sei e venti, ma tu non c'eri; cioè, eri andato a spasso... Sicu­ro: ho qui il tuo telegramma. (Legge). « Tutto in regola fissato camere albergo Corona a Bor­go sul Danubio. Tuo padre e tuo marito »... Vieni subito?... Sì, dirò ohe non ci disturbino. Come stai? Da quando sei qui?... Sì, sì, mi di­rai tutto... Sicuro, son curiosa. Da quattro mesi non ho tue notizie... Che dici? «Veniamo da te?». Come, veniamo? »... Ah, capisco. Tu e mio marito. Dunque non è uno scherzo?... Senti, sei davvero un uomo sorprendente... Sì, lo hai detto, ma non credevo che l'avresti pre­sa così sul serio... Figurati la curiosità che ho di lui. Ho immaginato qualche cosa quando qui in albergo mi hanno chiamata «contessa»... Sicuro che mi è piaciuto... Bene; ti aspetto. Sono ansiosa. (Riattacca il ricevitore. Chiama). Giulia.

Giulia                            - (entra da sinistra).

Edith                             - Sentite, Giulia: il signor Cortin sta .per venire.. Mentre è qui, non lascerete entrare nessuno. Dite alla telefonista che se qualcuno chiama, dia la comunicazione a voi. Che cos'è! quello? (Indica un biglietto che Giulia ha in mano).

Giulia                            - Un biglietto per le regate, per ili pomeriggio di domani. L'ha mandato su il por­tiere. Sono regate che fanno gli studenti. Come quelle che si fanno ad Oxford.

Edith                             - E il signor Roberto?

Giulia                            - E' arrivato.

Edith                             - Col treno seguente al nostro?

Giulia                            - Come sempre... Ha la stanza qui sopra. E' molto nervoso.

Edith                             - Bene, figliuola. Se viene giù, dite­gli che torni più tardi; ho visite. Ora... potete andare.

Giulia                            - Scusi, signora... non potrebbe dar­mi una piccola spiegazione? Quando siamo ar­rivate il portiere l'ha interpellata come « si­gnora contessa ». E sul libro dei forestieri era! già segnato c< contessa Ghuyé ».

Edith                             - Avete, ragione, Giulia. Siete con me da un anno e non potete saper molto della mia vita. Finché ho avuto l'intenzione di di­vorziare, ho preferito servirmi del mio nome d'arte. Ma ora mio marito e io ci siamo ricon­ciliati, Giulia. Non divorziamo più. Perciò por-to nuovamente il suo nome. Ecco tutto.

Giulia                            - Grazie, signora contessa. Dio, co­me son contenta che la signora contessa sia mio. vamente felice. (Le bacia la mano). Devo disfa­ro tutti i bagagli?

Edith                             - Solo l'occorrente per un paio di giorni. Domattina visiteremo il castello per ve­dere a che punto sono i lavori di riattamento. Finora l'ho soltanto visto da qui. (Guarda fuo­ri). Una magnifica posizione. Sono molto con­tenta che si sia riusciti a portarglielo via sotto al naso, a quel barone. Ma ad ogni modo, ci vorranno ancora due o tre rnesi, prima di poterlo abitare. Allora, però... avrete una promo­zione, Giulia. La ricompensa della vostra fe­deltà. Da cameriera, passerete a essere gover­nante del castello.

Giulia                            - (le bacia nuovamente la mano) Grazie, signora.

(Bussano).

Edith                             - Potete andare, figliola. (Giulia esce a sinistra). Avanti.

Cortin                            - (entra. Ha in mano una bella valigia di cuoio giallo, di gran formato. Sulla valigia, monogramma e corona di conte. Posa la vali­gia) Buona sera.

Edith                             - (lo bacia) Buona sera, babbo. Dove eri alle sei, quando sono arrivata?

Cortin                            - Ero andato a vedere il tuo castel­lo. Muratori e imbianchini sono a metà del loro lavoro. Fra un paio di mesi potrai abitarlo. Non prima. Ma sarà veramente bello.

Edith                             - Guarda com'è romantico, visto da qui.

Cortin                            - Magnifico.

(Entrambi guardano il castello dalla finestra).

Edith                             - Prendi una tazza di tè?

Cortin                            - Più tardi, più tardi, figlia mia, Grazie. Ho dunque pensato che la miglior cosa sia cominciare la nuova vita proprio qui dove vivrai con tuo marito. (Prende la valigia).

Edith                             - Che cos'è quello?

Cortin                            - E' qui.

Edith                             - Chi? Lui?

Cortin                            - Tuo maritò, mia cara figliola. Co­me lo vedi. Né più ne meno. E' tutto qui.

Edith                             - Parli sul serio?

Cortin                            - E come! Ho promesso e mantengo la mia promessa. Qui c'è il marito di cui ti son debitore.

Edith                             - Non capisco. Una valigia?

Cortin                            - Lui adesso è in viaggio - diciamo - con una spedizione venatoria e cinematogra­fica nell'America deL Sud. Naturalmente, non porta seco nelle foreste vergini le carte a cui tiene, i ricordi, le carabattole preferite. Le man­da per mio mezzo a sua moglie, perchè le tenga in custodia. E' tutto qui. H risultato del mio lavoro. Tutto l'uomo. In persona. (Indica la valigia).

Edith                             - Mi fai quasi paura.

Cortin                            - E' qui. Il conte. Il marito.

Edith                             - Dio mio... Fammi vedere, presto!

Cortin                            - (solleva la valigia) Aspetta: la cosa non è tanto semplice. Prima posiamo Sua Eccellenza sulla tavola.

Edith                             - Eccellenza?

Cortin                            - Sì.

Edith                             - Perchè?

Cortin                            - E' stato Ambasciatore.

Edith                             - Dove?

Cortin                            - Aspetta, aspetta: non essere impa­ziente. (Va alla porta).

Edith                             - Che fai?

Cortin                            - Chiudo la porta. (Indica l'altra porta) Da qui non può venire nessuno?

Edith                             - No.

Cortin                            - (ha chiuso a chiave la porta; va alla valigia e la apre solennemente con una chiave).

Edith                             - Vi è qualche cosa che non capi­sco. Il direttore dell'albergo mi ha detto che prima di sera sarebbe stata libera anche la stan­za per mio marito. Che significa questo?

Cortin                            - Questo, figliola mia, rappresenta la prima base di tuo marito. La costruzione del conte. Ieri ho fissato telegraficamente una stan­za per lui. Deve cominciare a esistere in que­sta piccola città. Domani disdiremo la sua ca­mera. « Non può più venire ». Ma fino a quel momento, tutti avranno saputo della sua esi­stenza. (Prende dalla valigia una piccola busta da documenti e la posa sulla tavola).

Edith                             - (guarda nella valigia) Quante cose misteriose... Comincio ad avere il batticuore; son così agitata... In quella busta sono i suoi documenti?

Cortin                            - Qualche cosa del genere. E qui c'è un suo pigiama. (Tira fuori un pigiama, lo mo­stra).

Edith                             - Un bel colore, e ottima stoffa. Mio marito ha buon gusto.

Cortin                            - Gli ho consigliato io di comprarlo. (Posa il pigiama sulla tavola).

Edith                             - Non mi hai ancora detto come si chiama.

Cortin                            - Conte Ghuyé. G, H, U, Y, E'!

Edith                             - Perchè ha un nome così complicato?

Cortin                            - Perchè non si possa pronunciarlo facilmente. Senza dubbio, occorre che tu ti ci eserciti.

Edith                             - Ghuyé, Ghuyé... Dove hai trovato questo nome?

Cortin                            - Ho gettato in un cappello un certo numero di lettere dell'alfabeto e ne ho tirate fuori cinque. Con queste ho messo assieme il nome. Mi pare abbastanza buono.

Edith                             - Anche a me. Ghuyé, Ghuyé.

Cortin                            - Ecco i suoi più cari ricordi. Il suo ritratto in una cornice d'oro. (Lo mostra).

Edith                             - Lattante?

Cortin                            - Dì sei mesi. A quell'età tutti i bambini ei assomigliano.

Edith                             - Bellino! Che aspetto vivace!

Cortin                            - Anche adesso è molto vivace. (Po­sa il ritratto).

Edith                             - E questo?

Cortin                            - Piccoli modesti, ricordi familiari. La sua prima scarpina, inargentata per farla conservare. (La mostra).

Edith                             - Dio, che cosa carina! Commovente!

Cortin                            - Trattieni le tue lagrime, figliola. (Posa la scarpina, prende dalla valigia un altro oggetto) Questi sono...

Edith                             - Perle!

Cortin                            - No, figliola. Guarda: si possono portare come ciondolo a un braccialetto* o alla catena dell'orologio. I suoi due primi dentini, montati in oro.

Edith                             - Deliziosi! E questo?

Cortin                            - Un bubbolino; anche questo, ri­cordo delia prima infanzia. Andiamo avanti.

Edith                             - E a che scopo tutto ciò?

Cortin                            - Sono tutti cosidetti oggetti perso­nali. Intimi. Ricordi. Le piccole prove di una vita. Esistenza! Esistenza! Non occorrono sol­tanto i documenti. Non puoi, dire continuamen­te: « Questo è l'atto di nascita di mio marito »; ma puoi sempre dire ai' tuoi ospiti : « Guardate, i primi dentini del mio diletto consorte! ». A ogni modo, però, c'è anche Fatto di nascita. (Lo posa sulla tavola) Nato a Rio de Janeiro., dove la sua famiglia si è stabilita da moltissimi anni.

Edith                             - Nato quando?

Cortin                            - Quando vuoi.

Edith                             - Documento falso?

Cortin                            - No. Composto a Rio de Janeiro e debitamente autenticato. Senza data. Dunque, abbiamo visto la sua infanzia. Andiamo avanti. Questi sono i suoi capelli : (mostrando) cioè, il suo pettine e la spazzola. D'argento, col mo­nogramma. Nella stanza da bagno del signore devono esservi il suo pettine, la sua spazzola, tutti i suoi oggetti di teletta. Mostrando il ca­stello agli ospiti, tu dici. leggermente... «. Questa è la stanza da bagno di mio marito... i suoi og­getti... ». (Mostra altre cose) E questo è il suo volto: sapone da barba, rasoio, crema, pennel­lo, un pezzo di allume, cipria e lozione per il viso.

Edith                             - E' vanitoso?

Cortin                            - No; ma dà importanza al fisico. All'unica cosa che non ha.

 Edith                            - In breve, è un pedante.

Cortin                            - Lo giudichi con spirito critico.

Edith                             - E dimmi: geloso?

Cortin                            - Straordinario, come lo conosci be­ne! Molto geloso!

Edith                             - E' quello di cui fio bisogno.

Cortin                            - Sempre per quel figlio di famiglia... educato così severamente?

Edith                             - Sempre.

Cortin                            - Ami quel ragazzo?

Edith                             - Purtroppo, sì.

Cortin                            - E non sei felice?

Edith                             - No. Abbiamo... quella che si chia­ma una relazione platonica. Egli ha una conce­zione dell'amore e del matrimonio straordina-' riamente ingenua. Ne ho molto riso... e... que­sto è buffo... ne ho anche uri pochino pianto. Non voglio amarlo così... come una cocotte. Da quando sa di mio marito, è come pazzo. Mi è eorso dietro anche qui.

Cortin                            - Sì? Allora oggi stesso tuo marito farà vedere ohe cosa significa esser geloso!

Edith                             - (contenta) Sì? E come? In che mo­do?

Cortin                            - Pazienza: è stato provveduto; a tut­to. (Mostra altri oggetti) Queste sono le sue decorazioni. (Le posa sulla tavola) La Gran Cro­ce di Spagna. La Commenda italiana. L'Ordine di San Sava di Serbia. Tutte da mettere in una vetrina, proprio sul davanti, perchè si vedano bene. Quando qualcuno le ammira, tu dici con lieve orgoglio: « Queste, caro barone   - o cara baronessa      - sono le decorazioni di mio ma­rito ».

Edith                             - Belle. E... il conte ha anche uno] stemma?

Cortin                            - Sì, l'ho già ordinato.

Edith                             - Com'è?

Cortin                            - Campo azzurro... sul quale c'è un vecchio che mentisce... (Prende un pacchetto) Questa è la sua raccolta di spuntature di sigaro. Ogni aristocratico ha una qualche mania, racco­glie qualche cosa di idiota. Lui : spuntature. (Po­sa il pacchetto; mostra una scatoletta). Questi sono bottoni da polso e da petto per la marsi­na. Il cameriere deve pulirli. (Mostrando) Que­sta è la sua testa. Il suo tubino. Per appenderlo in anticamera. Perchè il cameriere abbia qual­che altra cosa da pulire e... perchè quando gli ospiti se ne vanno e tu li accompagni, possa mostrare... così, di sfuggita... il eappello e dire scherzando: «Già, nelle foreste vergini non ha bisogno del cappello duro ». Non è molto spiritoso, ma... ha il sapore della vita. Questi (mo­stra) sono i suoi piedi.

Edith                             - Pantofole di pelle lucida. Molto buon gusto. (Le accarezza).

 Cortin                           - (mostra un pacchetto) Queste sono carte. Le guarderai con comodo. Te ne mostro solo qualcuna. Copie di lettere che egli ha scrit­to a personalità eminenti. Per esempio: una lettera a Briand. (Mostra la lettera) « Mio caro Aristide ». Una lettera a Bronislaw Huber-mann: « Caro Broni ». Una preghiera a Hin-denburg: «Caro zio Paolo». Le lettere origi­nali sono veramente state spedite. Raccomanda­te: ecco le ricevute della posta. (Le mostra).

Edith                             - E che cosa ne hanno detto quei signori?

Cortin                            - Non mi sono curato di saperlo.

Edith                             - E questa rivista?

Cortin                            - C'è dentro un suo articolo. (Mostra alcune pagine).

Edith                             - Naturalmente, lo hai scritto tu.

Cortin                            - Infatti. Ho fatto pubblicare l'arti­colo con la sua firma in questa, che è una rivi­sta sportiva molto diffusa. « I nuovi metodi per la caccia grossa ». Un articolo simpatico, pieno di indulgenza e di un senso di protezione per gli animali. Pacifista nel vero senso della paro­la. In esso si bandisce un nuovo concetto per la caccia: il pacifismo zoologico. Che ha scate­nato vive discussioni nei giornali del ramo.

Edith                             - E a che scopo?

Cortin                            - Questa è la sua anima. Perchè egli ha anche un'anima. Non occorrono soltanto pet­tine, spazzola e decorazioni. Questa qui è anima e cultura. Snobismo. Cretinerie culturali. Senza di queste, non esiste un vero nobile. Eccotene alcune copie.

Edith                             - Si possono prestare al parroco.

Cortin                            - Giustissimo. Dunque: cominci a ve­dere i contorni del conte?

Edith                             - Distintamente.

Cortin                            - (mostra delle carte) Questa è roba dei tempi della scuola. (Mostra una, foto) Un gruppo: gli allievi del primo anno di liceo.

Edith                             - Qual'è?

Cortin                            - Uno qualunque. Perciò ve ne sono 60. (Un altro foglio) Questo è il verbale di un duello che ha avuto in Francia. Alla sciabola, con uno schermitore. Lo ha ferito al viso. (Fo­to) Questi sono i suoi due cavalli, da corsa che si trovano in Inghilterra, nella scuderia di un allevatore.

Edith                             - Veri?

Cortin                            - Veri. Li ho comprati e li ho messi lì in pensione; alla fine del mese avrai il conto e lo pagherai, (Un pacchetto di lettere) Lettere di donne. Questo è il suo cuore. Perchè ha an­che un cuore. Lettere d'amore. Le ho ricevute io trent'anni fa. Gliele cedo. Sono così ardenti clie tutta la valigia ne brucia. Naturalmente, in quell'epoca non ti conosceva.

Edith                             - Lo spero anch'io.

Cortin                            - (móstra delle tessere) Tessere di Associazioni diverse. Automobil Club di quattro paesi. Kennel Club di Francofone. Circolo di Alta Coltura di Vienna. Pen Club di Londra. E così via. Bada di pagare regolarmente le quote sociali. (Mostra un ritratto) Una fotografia della Massary. Con dedica autografa a te. « Alla bella contessa Ghuyé ».

Edith                             - Come mi conosce?

Cortin                            - Non ti conosce affatto. Sono andato da lei, mi son presentato, l'ho pregata gentil­mente; non ha potuto dirmi di no. La metterai sulla tua scrivania. O sul pianoforte. (Un car­toncino) Delega generale per te, per poter riti­rare invìi raccomandati alla posta. Non si sa mai. (Un giornale) Un giornale tedesco che si pubblica in Brasile: in prima pagina la lunga narrazione di una disputa che ha avuto luogo in un locale notturno; il conte ha picchiato in ma­lo modo un pugilatore professionista. Ho por­tato io stesso il « fatto di cronaca » al giornale. E poiché si trattava di un fatto sensazionale, mi hanno anche dato dei quattrini.

Edith                             - A che scopo?

Cortin                            - Perchè sia temuto. Questi sono i suoi muscoli. Così si sa che con lui c'è poco da scherzare.

Edith                             - Quanti anni?

Cortin                            - Cinquanta.

Edith -                           - Non mi piace.

Cortin                            - Mi pare che la cosa non abbia im­portanza.

Edith                             - Non è vero. Se Dio mi dà lunga vita, che cosa farò quando avrò 60 anni? Non potrò mica dire che lui ne ha 110.

Cortin                            - Hai ragione. (Prende nota) Trenta-cinque anni. Va bene?

Edith                             - Va bene. (Prende un ritratto nella valigia) Di chi è questo ritratto?

Cortin                            - Metterai anche questo sulla tua scri­vania. Sua madre. Tua suocera. Con dedica: « Alla mia carissima nuora. Mamma Ghuyé ».

Edith                             - Una bella vecchia. Distinta.

Cortin                            - Non te la ricordi? Era cuoca in casa nostra, quando tu eri piccola. (Carte) Que­sti sono due conti in banca. Ha depositato qual­che centinaio di franchi in due banche svizzere. E questa è la sua firma.

Edith                             - Denaro in banca? Perchè?

Cortin                            - Diamine! Conto corrente! Esisten­za! Stampati che arrivano! Conti di liquidazio­ne, avvisi! Posta! Lavoro per il procaccia! Mol­ta corrispondenza in un piccolo ufficio postale. Chiacchiere, commenti, pettegolezzi! L'impie­gata dirà « il signor conte riceve centinaia di lettere! ». Il vicino lo racconterà al CircolOj al caffè... Posta, lettere, esistenza! E il cameriere, in casa, verrà col vassoio d'argento: « La posta del signor conte! ». E all'ora di colazione c'è la posta del mattino! E la sera c'è l'altra distri­buzione! Tutte queste cose isolatamente sem­brano niente; ma messe insieme sono centinaia e centinaia di piccole radici con le quali una persona si abbarbica ai suolo di questo paese e qui germoglia e fiorisce. (Un foglio) E questo è il suo testamento. Con qualche simpatico le­gato di beneficenza. (Indicando la valigia) Là dentro sono ancora parecchie cose; ma per il momento credo che basti.

Edith                             - Fantastico.

Cortin                            - Sei contenta?

Edith                             - Contenta? Sono sbalordita, babbo!

Cortin                            - Ora rimane però una questione im­portante ma penosa.

Edith                             - Penosa?

Cortin                            - Per me. Parliamo con sincerità. Devo metterti al sicuro per il caso che io ti tra­disca.

Edith                             - Tu... tradirmi?

Cortin                            - E chi altri lo potrebbe? Io sono il solo che conosce questo segreto.

Edith                             - Un pensiero terribile. Sei pazzo?

Cortin                            - No. Ma sono molto pratico e so che non bisogna fidarsi di nessuno al mondo.

 Edith                            - Ma babbo...

Cortin                            - Taci, figlia mia. (Mostra un foglio) Prendi questo documento. Esso ti protegge contro di me.

Edith                             - (legge) « Manicomio Provinciale della città di Parigi ».

Cortin                            - Il mese scorso, a Parigi, ho simulato la pazzia e mi son fatto chiudere nel manicomio. Là per due settimane non ho fatto altro che urlare continuamente : « Il marito di mia figlia, il conte Ghuyé, non esiste; l'ho inventato io! ».

Edith                             - Perchè hai fatto questo?

Cortin                            - Quando sono stato dimesso, mi han­no dato un certificato nel quale si dichiara che sono ammalato di mente e ossessionato dall'idea fissa che tuo marito non esiste. Certificato uffi­ciale. Lo conserverai. Se un giorno io tentassi di tradirti, non avrai che da mostrare questo documento.

Edith                             - Babbo, so che non farai una cosa simile... ma ora avrei una voglia matta di ba­ciarti le mani.

Cortin                            - Fa' pure. Ma non perdere il certi- F ficaio. Dunque, sta' attenta. (Indica gli oggetti che sono sulla tavola) Qui abbiamo quest'essere vivente. Se non ti piace, gettiamo tutto via e il conte Ghuyé cessa di esistere. Ma se ti piace, eccolo : è tuo, ti appartiene, puoi sposarlo. Dunque? Lo vuoi?

Edith                             - Sicuro che lo voglio! Caro babbo! (Gli getta le braccia al collo) Come potrei non volerlo?

Cortin                            - Allora, se lo vuoi (trae di tasca um carta) ecco il tuo certificato di matrimonio. Ef per non dimenticar nulla, l'anello nuziale. (Le infila al dito un anello) Siate felici.

Edith                             - (ride).

Cortin                            - (la guarda in viso) Cos'è? Una la­grima?

Edith                             - (ridendo) In quest'occasione si piange sempre, caro babbo. (Si asciuga gli occhi).

Cortin                            - (va élla porta, la riapre) Ho terminato il mio lavoro. Ora può venire chiunque. (Volgendosi verso la tavola) E tu, mio caro genero, conte Ghuyé, puoi cominciare a vivere.»!! (Siede, si accende una sigaretta. Bussano fortem alla porta) Avanti! (Entra il portiere).

Il portiere                      - Un telegramma per la signora contessa. (Via).

Edith                             - (legge) « So che civetti con tale Roberto. Bada bene onore tuo marito se mi tradisci ti uccido stop - Affezionato marito Ghuyé ».

Cortin                            - Incomincia già a vivere!

Edith                             - E con che energia!

Cortin                            - Ho dato altre disposizioni di que­sto genere; vedrai come sono utili. (Bussano).

Edith                             - Speriamo che non sia di nuovo lui. Avanti!

Il cameriere                   - (entrando) Il signor direttore dell'albergo prega la signora Contessa di avere la bontà di riceverlo.

Edith                             - Si accomodi. (Il cameriere apre la porta; il direttore entra. Il cameriere esce).

Il direttore                     - I miei rispetti, signora con­tessa.

Edith                             - Buona sera. Accomodatevi, vi prego.

Il direttore                     - Grazie; mi trattengo solo un minuto. (Molto agitato) Siamo nella massima agitazione, signora contessa.

Edith                             - Perchè?

Il direttore                     - A causa del signor conte...

Edith                             - Che diamine dite!?

Il direttore                     - Veramente è colpa mia. A-vendomi il signor conte telegrafato di fissargli una stanza, ho riservato per lui il salone n. 4, la migliore, benché questo sia da anni riservato al signor Weselowsky, presidente della Banca. Ora, qual'è la disdetta? Che il signor Weselow­sky è arrivato or ora ed esige la sua stanza. (Si sente gridare nel corridoio) Sente, signora contessa? Un signore vecchio, piccolo, magro, ed urla in questo modo. Come una donna iste­rica. Per avere la sua stanza.

Edith                             - E' terribile! (Balza in piedi).

Cortin                            - Calma, contessa. (Altre grida in corridoio).

Il direttore                     - Son disperato. Sente, signora contessa? Che cosa posso fare? Minaccia di ac­copparmi!

Edith                             - (agitata) Oh! Accopparvi?

Il direttore                     - La prego, contessa, non si agiti... (Va alla porta. Presta ascolto).

La voce che urla            - (di dentro) Che me ne importa! Conte o non conte, voglio la mia ca­mera!

Un'altra voce                 - Ma signor presidente! Qui, in corridoio!

La voce di prima           - Non me ne importa nien­te! E' una bella impertinenza!

Edith                             - Ah, questo non possiamo soppor­tarlo!

Il direttore                     - (apre la porta, rimane al di fuo­ri della soglia, ma sempre visibile) La prego, signor presidente... Almeno qui, dinanzi al sa­lotto della contessa... abbia la compiacenza...

La voce                         - Non ho nessuna compiacenza! Gliela farò veders e questo conte! Se lo trovo nella mia stanza, lo caccio a pedate!

Edith                             - (molto agitata) Ma questo è...

Cortin                            - Calma! (Prende dalla valigia un paio di enormi guanti da pugilato; va a parlare col direttore uscendo nel corridoio ma rima­nendo visibile) Ecco, direttore... i guanti da pu­gilato del conte... da far riparare, come vi ho già detto... (Dà i guanti. Toma indietro. Ascol­ta),

(/» corridoio, silenzio improvviso),

Cortin                            - (piano) Ebbene?

Il direttore                     - (da fuori) E' andato via.

Cortin                            - Ora potete ridarmeli. (Chiude la porta, getta i guanti nuovamente nella valigia).

Edith                             - E' stata una cosa poco piacevole.

Cortin                            - Capiteranno ancora parecchie cose poco piacevoli, figlia mia. Tuo marito non è un angelo. E' un uomo. Ma vedi, intanto, come vive? Sono orgoglioso di lui. E' già uomo, poi­ché ha già un nemico. (Entra Giulia da sini­strai.

Giulia                            - E' permesso?

Edith                             - Venite pure. Che c'è?

Giulia                            - La posta, Riviste per il signor con­te, (Le posa).

Edith                             - Il signor Roberto non è venuto?

Giulia                            - Oh sì. E' già venuto due volte. Più tardi tenterà nuovamente. (// telefono tril­la. Prenda il ricevitore) Pronto?... (Ascolta; poi a Edith) Il portiere dice... ha già dato un biglietto per le regate di domani e vuol sapere se deve riservarne uno anche per il signor conte.

Cortin                            - Meglio di. sì, per ogni caso. E in linea di massima: riservare sempre!

Giulia                            - (al telefono) Sì. Riservatelo. (Via).

Cortin                            - Bene! Ha dei biglietti, ha una buona reputazione, ha un nemico!

Edith                             - Due nemici!

Cortin                            - Chi è il secondo?

Edith                             - Non te l'ho detto, per paura che tu ti arrabbiassi... ma visto che ti fa tanto piacere che egli abbia dei nemici...

Cortin                            - Si capisce! Sono la prova che è un uomo importante.

Edith                             - CJn certo barone Amary, che abita in questo paese, voleva comprare il castello. Te l'ho già raccontato. Ma il mio avvocato ha of­ferto di più. E il barone adesso è furente.

Cortin                            - Bravo! Evviva il barone Amary, il secondo nemico! Presidente Weselowsky, ba­rone Amary! Son due! E ben presto avremo anche il terzo!

Edith                             - Un terzo? Chi?

Cortin                            - Il più grande di tutti: il gigno»; Roberto, il tuo adoratore. Quello che ti segue dovunque.

Edith                             - Anche adesso è qui. E' arrivalo col treno seguente al mio.

Cortin                            - Perchè non con lo stesso?

Edith                             - Perchè non gliel'ho permesso. Iera dovevo ancora aver cura della mia reputazione  perchè non ero maritata. (Bussano).

Il cameriere                   - (entra, spingendo un tavolino: da tè a rotelle) Il tè.

Cortin                            - Perchè tre tazze?

Il cameriere                   - La signora contessa, il signor  avvocato e il signor conte.

Cortin                            - Giustissimo. Lo sapevo, ma ho domandato così, per dire. Siete un bravo cameriere. (Il cameriere esce).

Edith                             - Ora ha anche una tazza. Sai, babbo, ne hai fatto proprio un essere vivente. (Prendet L lu teiera) Sai che cosa penso? Versiamogli anche un (po' di tè; chi sa che non lo beva!

Cortin                            - Ora la prima cosa...

Edith                             - Scusa se ti interrompo. La prima; cosa è... (riempie un assegno, lo stacca dal libretto) consegnare al borgomastro un assegno di 1000 dollari per i poveri della città, a nome del conte. Insieme all'assegno, il conte manderà una bella lettera, che dirà press'a poco così « Da studente ho preso parte parecchie volte alle regate che si svolgono in estate in questa graziosa città. Ora che mi ritiro insieme a mia moglie nella nostra nuova casa come in una patria di elezione, invio ai poveri questa somma ecc. ecc. ». Non è vero che il conte è un uomo furbo?

Cortin                            - (prendendo nota) No. Ha una mo­glie furba, di cui segue i consigli. Questo è simpatico e umano. (Contento) Il conte vive! E come vive! Sua moglie se lo rigira già come vuole...

Edith                             - Non me lo « rigiro » affatto. La­scio che si rigiri, da sé. Tu hai cominciato a farlo, io continuo. Ecco l'assegno. (Glielo dà).

Cortin                            - (lo prende) A proposito di assegni... Devi riempirne un altro. Di 24.000 fran-fl chi.

Edith                             - Perchè?

Cortin                            - (trae di tasca alcune carte) Ecco il conti della banca... son tutti... Il conte Ghuyé... ha perso alla Borsa di Parigi 24.000 franchi.

Edith                             - Ha giocato in Borsa?

Cortin                            - Sì. Ha incaricato me. Ho eseguito i suoi ordini. Ecco tutti i conti della banca...  tutti intestati a lui.

Edith                             - (scrìve un altro assegno) Vìva trop­po, vive troppo. Per favore, babbo... non vo­glio che egli giochi più in borsa. Glielo proibi­sco severamente. (Porge l'assegno a Cortin. Os­serva in silenzio gli oggetti che sono sulla tavola).

Cortin                            - (ripone l'assegno) Hai ragione: in fatto di quattrini l'amico è un po' leggero... Beh, lo vedi dinanzi a te?

Edith                             - Lo vedo distintamente. Alto, mol­to magro…

Cortin                            - Precisamente. Un cacciatore di belve!

Edith                             - Capelli neri, volto ossuto, carnagio­ne scura, da creolo, occhi che brillano selvag­giamente...

Cortin                            - Assolutamente... il suo ritratto!

Giulia                            - (entrando, annuncia) Il signor Ro­berto.

Edith                             - Fate entrare. (Giulia via).

Roberto                         - (entrando) I miei omaggi. (A Cortin, ironico) Siete nuovamente qui, caro si­gnore?

Cortin                            - Sono nuovamente qui, sebbene - a quanto pare - ciò non abbia il vostro con­senso entusiastico.

Edith                             - Se non vi piace trovarvi insieme, vi pregherò di venire a farmi visita domani nel pomeriggio. (A Cortin che si dispone ad andar via) Dove andate?

Cortin                            - A sistemare la faccenda della ca­mera numero 4. Bisogna che quando il conte arriva, tutto sia in regola. (Via).

Edith                             - (a Roberto) Si può sapere che dia­mine avete?

Roberto                         - Non posso sopportarlo. Non pos­so resistere. Ho saputo che vostro marito sta per giungere. Domani. O forse stasera.

Edith                             - Ebbene?

Roberto                         - Perchè viene?

Edith                             - Viene per un sol giorno, per salu­tarmi prima di intraprendere il suo viaggio nel­l'America del Sud.

Roberto                         - Vuol dire che vi siete definitiva­mente riconciliati. Infatti, portate nuovamente il suo nome. E ora, ecco che il signor conte arriva. Per prender commiato. Di giorno. E di notte.

Edith                             - Vi prego...!

Roberto                         - E ieri... ancora ieri, alla stazione, mi avete detto che incominciate ad amarmi.

Edith                             - Una cosa esclude l'altra?

Roberto                         - In fin dei conti, che cosa vi lega a quest'uomo? Se non loamate! Il suo denaro?

 Ebith                            - No davvero! Ma egli mi ama….

Roberto                         - Ed è un legame, questo?

Edith                             - Mi ama e non vuol divorziare. Aspetta di avermi riconquistata.

Roberto                         - Finchè vivo, non vi riconquisterà. (Guarda gli oggetti sulla tavola) A chi appar­tiene questa roba?

Edith                             - E' una valigia di mio marito. Pic­colezze alle quali tiene... Mi ha mandato le sue cose e suoi documenti. Ne avrò cura fino al suo ritorno dalla spedizione.

Roberto                         - Anche la valigia ha portato quel maledetto avvocato!

Edith                             - Che razza di espressioni son queste?

Roberto                         - (prende la giacca del pigiama) Finalmente posso conoscere il felice mortale... (Spiega la giacca con le due mani) Il felice mor­tale è piccolo e grosso... Guardate! Grasso, toz­zo... (prende i calzoni) e con le gambe corte.

Cortin                            - (rientrando) Ricostruite dagli abiti il proprietario?

Roberto                         - Faccio conoscenza con lui. (Con la spazzola in mano) Un capello biondo. Dunque non solo è corpulento, ma anche biondo. Un uomo piccolo, grasso, biondo. E un capello gri­gio. Dunque è già brizzolato. (Si mette il tubi­no, gli arriva alle orecchie) Ha un cranio enor­me. (Prende le pantofole) E dei piedini da don­na! Vernice nera con fodera di velluto rosso. L'uomo piccolo grasso e biondo è anche vani­toso. (Prende la boccetta di profumo) Profumo! Molle ed effeminato. Certo un viso tondo e ro­seo... Com'è caratteristica questa valigia! Vedo quest'uomo dinanzi a me... I suoi occhi acquo­si, d'un azzurro chiaro; sento la sua mano gras­soccia e inconsistente...

Cortin                            - (gli dà un giornale) Leggete il ti-tolo.

Roberto                         - (legge) ce II Conte Ghuyé dopo uno scambio di parole vivaci atterra con un pu­gno il campione pugilista Z., nel Bar del Cigno verde ».

Cortin                            - C'è un sottotitolo.

Roberto                         - « Le condizioni del campione so­no gravissime ».

Cortin                            - Ecco. Grazie. (Riprende il gior­nale).

Edith                             - (dall'altra parte, gli porge il telegram­ma) E ora leggete questo.

Roberto                         - (legge) « So che civetti con iale Roberto, Bada bene onore tuo marito se mi tradisci ti uccido stop ».

Edith                             -  Grazie. (Gli riprende il telegramma).

Cortin                            - (prende nuovamente i guanti da pugilato dalla valigia e li posa uno accanto all'altro sulla tavola) Piccolo, grasso, biondo, effeminato.

Roeerto                         - Io... non ho paura di nessuno al mondo.

Cortin                            - Ma neanche lui, mio caro ragazzo! (Prende la valigia, la porta fuori. Sulla tavola rimangono gli oggetti mostrati prima).

Roberto                         - (deciso) Ho da rivolgervi un'ulti­ma domanda. Le mie sorelle mi scrivono...

Edith                             - Di nuovo la famiglia?

Roberto                         - Sì. Sempre. Non ridete di me. Dove dovrei rifugiarmi? Gli altri vanno nei bar e si ubbriacano. Io scrivo delle lunghe let­tere alle miesorelle.

Edith                             - Bravo bambino. Beh, e le sorelle?

Roberto                         - Mi chiedono per quanto tempo mi lascerò ancora tormentare da voi.

Edith                             - E la nonnina che cosa scrive?

Roberto                         - Scrive... (Trae una lettera di ta­sca, legge:)... « Questa donna non sa che farse­ne di te. Gioca con te e col tuo amore; questo le serve per stimolare suo marito ». (La sua voce si spezza; si curva a baciarle la mano).

Edith                             - Non è vero. Il vostro amore mi pia­ce. Siete un buon ragazzo; tenero e commoven­te. (Si curva su lui; le loro labbra si uniscono in un bacio) E ora va'! Va'!

Roberto                         - S.on felice... felice! (Molto ecci­tato) Edith, divento pazzo al pensiero che a questo primo bacio... ne seguiranno milioni... senza respiro... Quando ti vedo?

Edith                             - (piano) Ora va'... e vieni a pren­dermi alle dieci... Portami lontano, in automo­bile... lontano, lontano... Mangeremo in qual­che luogo... E poi verrò da te... con te... dove vorrai! Ma ora va'! Va'! (Gli porge la mano).

Roberto                         - Ma se durante la notte... arriva tuo marito?

Edith                             - (mette il dito in croce sulle labbra, indica gli oggetti sulla tavola) Ssst! Potrebbe udirci! (Mormorando) Non ti preoccupare di lui. Gli inventerò qualche cosa. Va', amore!

Roberto                         - Dio, che cosa faccio fino alle dieci?

Edith                             - Scrivi alle sorelline.

Roberto                         - Ora? No, no. Manderò un tele­gramma. (Le bacia la mano ed esce con impeto).

(Una pausa. Entra Cortin).

Cortin                            - Dunque… a rivederci figliuola.

Edith                             - Parti?

Cortin                            - Si. Il mio lavoro è terminato. Il conte è entrato nel cammino della vita. Ora continuerà da solo. Non c'è più bisogno di guidarlo. Ha già perfino il terzo nemico. Per il primo giorno, mi pare che basti.

Edith                             - Mi fa tanta pena quel giovanotto. Ma fino a ora non potevo dargli nessuna spe- E ranza. Nel mio interesse, non potevo. Finalmente, ora mi sento libera. Sono una donna maritata. (Pausa) Dov'è il conte?

Cortin                            - Una metà è nella tua camera da letto. Ora porto dentro anche l'altra metà. Sente di essere superfluo: quindi si ritira. E' un marito ideale.

Edith                             - Non ancora. Ma lo sarà. Stasera stessa sarà... un vero marito.

Cortin                            - Come? Che cosa? Mi fai paura!

Edith                             - Un vero marito!... Senti, mio caro... a te, mio vecchio amico e camerata, posso ben dirlo... sarà un vero marito... perchè stasera lo tradirò. (Una pausa) In fondo, è terribile il modo in cui abusiamo di lui. Lo sfruttiamo, lo umiliamo, lo inganniamo... Non sii arrabbierà, una volta o l'altra?

Cortin                            - Sei superstiziosa?

Edith                             - Ho l'idea che da un momento all'altro possa adirarsi e vendicarsi. Comincio ad aver paura di lui. E' già talmente vivo, che non mi stupirebbe se in un dato momento... (A mmutolisce).

Cortin                            - So ciò che vuoi dire: che può bussare alla porta.

Edith                             - No, non proprio questo...

(Si sente bussare energicamente. I due scambiano uno sguardo spaventato. Piccola pausa).

Cortin                            - Avanti!

Il Portiere                      - (entra, portando un fascio di fiori in un vaso) Manda il fioraio. (Posa il vaso) Ordinati telegraficamente dal Conte GIiuyé. (Dà un telegramma ed esce).

Edith                             - (legge il telegramma) « Alla mia cara mogliettina fedele! ». No, babbo. Non c'è da aver paura di lui. Hai ragione: un marito ideale! (Accarezza i fiori con ambo le mani, teneramente).

Cortin                            - (prende su i quattro angoli del tap­peto con le cose che vi son dentro, raccoglien­dole come un fardello, che si mette sulla spalla) E come tale sa benissimo che cosa deve fare adesso. Ti dice buona notte e va a dormire. (Esce da, sinistra col fardelletto).

FINE DEL SECONDO ATTO

TERZO ATTO

La piccola hall del castello. Alle pareti alcuni ritratti di antenati. Edith prende il tè. Dinanzi a lei è Giulia che la serve.

Edith                             - Son venuti tutti quelli che ho chia­mato per oggi?

Giulia                            - Credo ohe vi siano tutti. Finora ne son venuti cinque.

Edith                             - Dove aspettano?

Giulia                            - Nel salottino. A che ora può esser qui il signor avvocato?

Edith                             - Il treno dovrebbe arrivare circa a quest'ora... Il signor Cortili scende all'albergo. Telefonate, per ogni caso, che prego il dottore di venire qui appena arrivato. Che cos'è que­sto? Un giornale? Vi è ancora qualche cosa?

Giulia                            - Un'altro ignobile attacco contro il signor conte. (Legge) « ...questo libertino in­ternazionale che grazie al suo denaro... viene a insinuarsi nella nostra cittadina... ».

Edith                             - Lasciate, non voglio ascoltare. Ora viene il signor avvocato e metterà le cose a posto.

Giulia                            - E' veramente ora di farlo, signora contessa. Da due settimane che siamo in questo castello, non abbiamo avuto un giorno di tranquiilità. Ed è sempre peggio. Nelle notti acorsa hanno sparato due volto contro il nostro cane.

Edith                             - Chi è stato?

Giulia                            - Il cameriere ha fatto la guardia stanotte in giardino. Dice che è stato un servo del barone Amary. Si dice, in giro, che il ba­rone ha dichiarato che non ci lascerà in pace finche il conte non avrà nuovamente venduto il castello.

Edith                             - Si capisce! Perchè voleva comprar­lo lui. (Si. sente rumore di vetri rotti).

Giulia                            - Sente, signora contessa?

Edith                             - (beve tranquillamente il tè) Sì. Lo sento ogni giorno.

Giulia                            - Ogni giorno, appena fa buio, co­minciando a tirar sassi contro le finestre. Perchè la signora non vuole che avvertiamo' la polizia?

Edith                             - Perchè non voglio far nulla prima dell'arrivo dell'avvocato. (Piano, confidenziale) Che notizie del signor Roberto?

Giulia                            - (misteriosa) La mia amica lo ha visto di nuovo a Vienna con quella famiglia inglese. La famiglia Jeffers.

Edith                             - Lo so.

Giulia                            - Mercoledì ni pomeriggio è andato in una pasticceria solo con la signorina Jeffers. Ora, da mezzogiorno, è qui in città, all'albergo; e un quarto d'ora fa ha telefonato' a Vienna.

Edith                             - Alla signorina Jeffers?

Giulia                            - Senza dubbio.

Edith                             - Grazie, Giulia. Siete la mia sola amica. Dov'è il domestico? Poco fa ho suonato per chiamarlo e non è venuto.

Giulia                            - Sta pulendo la raccolta di spunta­ture di sigari del signor conte.

Edith                             - Ditegli che smetta subito!

Giulia                            - Come posso fare? Quest'uomo è innamorato del signor conte. Sta tutto il giorno a pulire la sua roba.

Edith                             - Molto bello. Ma adesso ho bisogno di lui. E' qui da due settimane e non l'ho quasi visto. E' inutile che pulisca la roba del .«ignor conte. Il conte è in America e per causa sua io non ho domestico.

Il Domestico                 - (entra portando vii vassoio ca­rico di lettere, giornali, ecc.) C'è il signor Roberto.

Edith                             - Fate entrare. E poi... non dovete occuparvi del conte, ma di me. Il conte è in America. Lasciate dunque le sue spuntature di sigaro, quando vi sono visite.

Il Domestico                 - Perdoni, signora contessa, ma mi fa male al cuore trascurare tutte le belle cose del mio padrone.

Edith                             - Che cos’avete portato?

Domestico                   -  La posta della sera del signor conte. (La posa su un tavolino).

Edith                           - Va bene. Andate e introducete il signor Roberto. (Il domestico esce. A Giulia) Quest'uomo è commovente.

Giulia                          - Non può soffrire il signor Roberto, che è veramente simpatico.

Edith                           - E' abbastanza concepibile, mia ca­ra Giulia.

Roberto                       - (entrando) Buon giorno, signora.

Edith                           - Buon giorno, Roberto. Giulia, un'al­tra tazza di tè.

Giulia                          - (con esagerata cordialità) Subito!

Roberto                       - Vi ringrazio molto, Giulia. (Giu­lia esce). Ditemi, per favore, che cos'è quella strana accozzaglia di persone nel salottino?

Edith                           - Sono persone che ho convocato io. Diversi affari, che sbrigo tutti insieme. Aspetto l'avvocato Cortin; perciò li ho fatti venire. Li sbrigherà « in blocco ». Voi come state? Che c'è di nuovo a Vienna?

Roberto                       - Edith, ho fatto una brutta sco­perta. Mi spiate.

Edith                           - Io?

Roberto                       - Sì. Voi. E Giulia. E l'autista. Tutti. Una quantità di persone che mi sorve­gliano. Non oso neanche più telefonare dall'al­bergo, perchè le mie conversazioni vengono ascoltate.

Edith                           - (si asciuga le lagrime)

Roberto                       - Perchè piangete?

Edith                           - Sono molto nervosa. Scusatemi. Ma non posso più sopportare questa caccia orga­nizzata contro mio marito!

Roberto                       - Davvero è sorprendente. Sono tutti furibondi contro di lui. I giornali sollevano l'intera città. Perchè?

Edith                           - Dio mio. Egli non ha fatto che del bene, qui; e anch'io... E ora offendono per­sino me...

Roberto                       - Senti, se proprio debbo dirtelo... non posso più tollerare tutto ciò. Non sopporto più la vita che entrambi conduciamo. Questi nascondigli, questi sotterfugi umilianti sono un tormento per me. Noi ci amiamo e... così non si può andare avanti. Adattarsi a dover pene­trare di notte, attraverso la finestra, nella ca­mera di una donna alla quale mi son legato per tutta la vita! E' intollerabile!

Edith                           - Non facciamo frasi, Roberto. (Bre­ve pausa) Voi volete ammogliarvi. Vi occupate seriamente della signorina Jeffers. Ora siete sta­to per tre giorni a Vienna, sempre in com­pagnia di quella famiglia.

 Roberto                      - Ve l'ho detto che mi spiate!

Edith                           - Sì, ora sono io che vi spio. Così tutto è mutato.

GIULIA                      - (entra col tè) L'avvocato Cortin è arrivato all'albergo. E' già in cammino per venire qui. (Esce).

Edith                           - Dimmi... perchè vai sempre in giro  con quella ragazza?

Roberto                       - « Non vado in giro » con lei. Si tratta di una grande famiglia inglese, molto distinta.

Edith                           - Approvata dalla nonna.

Roberto                       - Sicuro. E la ragazza è una signorina molto seria e bene educata.

Edith                           - Carina?

Roberto                       - Molto seria.

Edith                           - ...Brutta?

Roberto                       - ...Piuttosto. Edith, bisogna che io faccia uno sforzo, altrimenti mi sento sprofondare... Sono diventato un essere debole... diciamo pure la parola, corrotto, depravato... e non vedo una via di salvezza, non una speranza. Il giorno del ritorno di vostro marito si fa sempre più vicino. Non aspetterò questa catastrofe. Brucio i ponti dietro di me. Mi... sposo... Edith, senza amore... per fuggirvi. Non riesco a figurarmi altro, con una donna, che una pura e onesta vita di famiglia. E questa... forse... la troverò... un giorno o l'altro... con la fanciulla inglese. (Breve pausa}.

Edith                           - Un discorso elevato, morale e crudele. Il discorso di un ragazzo.

(Entra Giulia).

Giulia                          - L'avvocato Cortin.

(Cortin entra, bacia la mano a Edith, salutai Roberto).

Giulia                          - Il signor avvocato prende il tè?

Cortin                          - No per ora, grazie.

(Giulia via).

Edith                           - Venite direttamente da Parigi?

Cortin                          - Sì, contessa. Appena ricevuto lai vostra lettera mi sono precipitato alla stazione. La lettera mi ha veramente spaventato. Parlate di fastidi, di contrarietà...

Edith                           - Ora vi racconterò tutto.

Cortin                          - Sembrate nervosa. Avete gli occhi...!

Edith                           - Di chi ha pianto. Potete dirlo francamente. (Cortin lancia un'occhiata a Roberto)! Sì, mio vecchio amico. E' per colpa sua.

Roberto                       - La contessa oggi è sincera in modo sbalorditivo, e forse...

Edith                           - Non ho segreti per il mio vecchio e caro amico.

no                                - Putroppo io non sono nello stesso grado di intimità col signor avvocato, Perdo. natemi... ao che avete da parlare di parecchie cose. Tornerò verso sera, se permettete. (Fa per andare).

Edith                             - Vi aspetto senz'altro. Cenerete con noi.

Roberto                         - Grazie. A rivederci, (S'inchina ed esce).

(Breve pausa)

Cortin                            - Hai pianto per lui?

Edith                             - Sì.

Cortin                            - Dunque: grande amore.

Edith                             - E nostalgia... di una vita che non mi è dato di poter vivere.

Cortin                            - E lui?

Edith                             - Vuole ammogliarsi.

Cortin                            - E' un po' forte. E che ne dice... tuo marito?

Edith                             - Per quanto concerne mio marito... (Rumore di verti rotti).

Cortin                            - Che cos'è?

Edith                             - Appunto questo. E' il mio passatem­elo di ogni sera. Tirano sassi contro le finestre. E' cosa che riguarda mio marito. Io non posso più rimanere qui.

Cortin                            - Santo Dio! Che cosa è successo?

Edith                             - Non ho voluto scrivertelo, per pau­ra di amareggiarti... Sei così orgoglioso di lui...

Cortin                            - Di chi?

Edith                             - Di lui... del conte.

Cortin                            - Ebbene? Che c'è? Non si conduce bene, forse?

Edith                             - Si conduce in modo abbominevole. Non posso più vivere con lui.

Cortin                            - Dopo tre mesi di matrimonio... non andate già più d'accordo?

Edith                             - Il conte ha commesso un'infinità di errori.

Cortin                            - Che diamine ha fatto?

Edith                             - Per esempio... ha dato 1000 dollari per i poveri della città.

Cortin                            - Ma lo ha fatto...

Edith                             - Per mio consiglio, è vero. Ma come potevo sapere, io, che qui si era alla vigilia delle elezioni?

Cortin                            - Che c'entrano le elezioni?

Edith                             - Il giornale radicale ha subito ini­ziato una campagna contro di lui, dicendo che egli faceva della beneficenza solo perchè aveva l'intenzione di portarsi candidato. Ha detto che è un libertino internazionale, un mascalzone, un cacciatore, un nobile fannullone... Tutti gli insulti possibili... Come conclusione, diceva che bisognava fare in modo che se ne andasse all’Inferno, al più presto, con tutti i suoi quat­trini. Ho smentito le calunnie, ma non è ser­vito a nulla. (Rumoredi vetri rotti. Entra Giulia),

Giulia                            - (prende un fascio di giornali) Ho segnato in tutti, con la matita rossa, quello che è detto contro il signor conte.

Cortin                            - (legge) « Il conte avventuriero sud» americano... Dio sa con quali mezzi, è riuscito ad avere un patrimonio... ». L'Osservatore. Che giornale è?

Edith                             - Partito conservatore.

Cortin                            - Anche quelli di destra gli danno addosso?

Edith                             - Sì, perchè anche loro hanno il ioio candidato. Inoltre sono capeggiati dal barone Amary... quello che...

Cortin                            - Che voleva comprare questo, ca­stello.

Edith                             - E al quale l'ho portato via facendo un'offerta maggiore. In cambio, ifa sparare la notte contro i mìei cani. Non è vero, Giulia?

Giulia                            - Si afferma che sia il suo giardiniere che spara.

Edith                             - I suoi nemici lottano con ogni mez­zo contro di lui. E purtroppo con successo.

Cortin                            - (legge) « Il conte costringe sua mo­glie - che sarebbe altrimenti simpatica - a gesti di dubbia popolarità a buon mercato ». A che cosa si riferisce questo?

Edith                             - Ho comprato scarpe e calze per tutti i bimbi dell'orfanotrofio. Una grande colpa, non è vero?

Cortin                            - (legge) « Il conte Ghuyé, nelle cui vene scorre senza dubbio anche sangue giudai­co... ». (Irritato) Questo poi no. E tutto ciò, perchè ha regalato quei mille dollari?

Edith                             - Non solo per questo. Ma perchè io faccio della beneficenza ed egli ha dei ne­mici. Credo che contro di me non abbiano nulla.

Cortin                            - Hanno già fracassato molte finestre?

Edith                             - Molte? Il vetraio ha potuto dar marito a sua figlia.

Cortin                            - Brutta storia. Molto brutta.

Edith                             - Perciò vi ho scritto. Perchè veniste ad aiutarmi. Da quando son qui, sono infasti­dita da una quantità di persone, le quali vo­gliono assolutamente parlare col conte per mo­tivi di somma importanza. Non ho voluto avere alcun rapporto con costoro. Appena sono stata sicura del vostro arrivo, li ho tutti convocati per oggi... e aspettano tutti nel salottino.

Cortin                            - Che cosa, vogliono?

Edith                             - Non lo so. Lo diranno adesso. Giu­lia, portate via il vassoio del tè e dite al do­mestico che può fare entrare le persone nel­l'ordine in cui sono arrivate.

Giulia                            - Sì, signora contessa. (Via col tè).

Cortin                            - (legge) « Può dar la caccia ai leoni, non al mandato ». Terribile! Ah, le città pic­cole! (Prende un altro giornale) « Non abbia­mo bisogno che vengano degli intrusi nel ca­stello, nel quale preferiremmo vedere un'antica famiglia del luogo ». Questo è certamente il barone Amary. E il tuo adoratore? Perchè è così di cattivo umore?

Edith                             - Ce l'ha con mio marito. Poc'anzi mi ha fatto un ultimatum: o il conte o lui.

Cortin                            - Tuo marito è riuscito molto bene a fare innamorare di te il ragazzo.

Edith                             - E fare innamorare me di lui. Come risolverò il problema? Non è facile!

(Entra il domestico).

Il Domestico                 - Può entrare il primo?

Edith                             - Sì.

(Il domestico introduce l'albergatore ed esce).

L'Albergatore                - (è un vecchio) Buona sera.

Cortin                            - Buona sera. Posso chiedervi come vi chiamate?

L'Albergatore                - Mi chiamo Bauer e sono il proprietario dell'albergo del « Cacciatore verde». Già da quarant'anni.

Cortin                            - In che posso servirvi?

L'Albergatore                - Volevo parlare col signor conte.

CortìN                           - Il conte è in Brasile. Io sono il suo avvocato. Munito di procura generale. Par­late dunque, vi prego.

L'Albergatore                - Ecco... io conosco il signor conte.

Cortin                            - Che dite mai!

Edith                             - Lo conoscete personalmente?

L'Albergatore                - Senza dubbio. Quando ho letto nei giornali che ha dato 1000 dollari ai poveri e che da studente ha passato qualche volta l'estate qui... prendendo parte alle re­gate... mi sono ricordato di lui!... Gli studenti venivano sempre da me a bere la birra. Il si­gnor conte era un giovanotto svelto e vivace. Sono passati quindici anni.

Cortin                            - Avete buona memoria.

L'Albergatore                - Mi ricordo di tutti i miei ospiti, da quarant'anni in qua.

Cortin                            - E che cosa desiderate, adesso?

L'Albergatore                - Scusate... il signor conte ha lasciato un debito da me!

Cortin                            - Come mai?

 L'Albergatore               - Gli studenti diedero uni cena d'addio nel mio giardino; a un tratto venne un gran temporalone e il conte andò via senza pagare. (Dà un foglio) 21 corone e 70.

Cortin                            - Interessante. E chiedete il denari adesso, dopo 15 anni?

L'Albergatore                - Che volete, chi fa credito agli studenti, accorda sempre scadenze lunghissime!

Cortin                            - Ma, caro signor... (lo guarda inter­rogativo.)

L'Albergatore                - Bauer.

Cortin                            - ...signor Bauer, come potete pro­vare che proprio il conte è rimasto vostro àVJ bitore?

L'Albergatore                - Come? Chiedete delle prò. ve? Da un uomo che è invecchiato esercitando; la sua professione onestamente? In questo pe­riodo di crisi commerciale?

Cortin                            - Sicuro; ci permettiamo di chieder-vele.

L'Albergatore                - Dei signori così ricchi? Che ricevono mucchi di lettere dalle banche? L'ufficio postale ne è pieno!

Cortin                            - Questa è un'altra questione. Voi dovete provare il vostro credito.

L'Albergatore                - Ah, si vede che non siete di questi luoghi! Osate dubitare del vecchio albergatore Bauer! Del resto, se vi occorrono delle prove, posso fornirvele.

Cortin                            - Son curioso di vederle.

L'Albergatore                - La prova è semplicissima. Alla cena d'addio erano in venti; e poiché! nessuno dei venti ha pagato, è certo che non ha pagato neanche il conte.

Cortin                            - Questa sì che è nuova! E perchè chiedete proprio 21 corone e 70?

L'Albergatore                - Perchè fra tutti i conti! ora il più elevato. Ritengo che un conte abbia preso la sbornia più grossa. E' logico. Ma per­chè la faccio tanto lunga? Lasciamo andare. Andrò in Tribunale e vi farò citare. Sicuro; voi e il signor conte, per 21 corone e 70. Il giudice conosce il vecchio Bauer e farà valere il mio buon diritto. Se non volete pagare, cil vedremo in Tribunale. Buon giorno.

Cortin                            - Alt, alt! Dove correte?

L'Albergatore                - Vado a casa.

Cortin                            - Aspettate. (Gli dà del denaro) Mi avete convinto. Eccovi il denaro. 21,70. Con la valuta odierna, 32,50.

L'Albergatore                - (prende il denaro) E gli interessi per 15 anni?

Cortin                            - Bravo, signor Bauer. Al 6% : 19,50. (Glieli dà) Ecco.

L'Albergatore                - Veramente bisognerebbe... (Ammutolisce).

Cortin                            - Che cosa bisognerebbe?

L'Albergatore                - Che un signore così ricco, un cavaliere come il signor conte, considerasse i suoi compagni come suoi ospiti. Gli altri 19 studenti. Certamente il signor conte lo avrebbe fatto, se non fosse venuto il temporale.

Cortin                            - Quanto fa in tutto?

L'Albergatore                - Centoventi.

Cortin                            - (paga) Il signor conte invita alla cena d'addio i suoi 19 compagni, con effetto retroattivo. Non dobbiamo altro?

L'Albergatore                - Non credo.

Cortin                            - Mi dispiace. Ma se per caso quan­do tornate a casa vi venisse in mente qualche altra cosa, venite pure domani. Anzi: venite più spesso che potete. (Suona).

L'Albergatore                - Se pretendo qualche cosa, posso anche assicurarvi che sono un uomo one­sto, che non ha mai chiesto a nessuno un cen­tesimo di più di quello che gli è dovuto! Dio benedetto!

(Entra il domestico).

Cortin                            - Un altro.

L'Albergatore                - Buona notte. (Via. Il do­mestico esce).

Cortin                            - Abbiamo fatto Ghuyé troppo vi­vo. Non avrebbe dovuto prender parte alle re­gate, qui, da studente. Troppo plastico; sgra­devolmente plastico. (Entra il domestico).

Il domestico                  - Mi permetto di portare a conoscenza dei signori che l'uomo che è uscito or ora di qui ha pronunciato là fuori un'e­spressione offensiva per il signor conte. Ho ri­tenuto mio dovere rendere immediatamente la pariglia.

Cortin                            - Come?

Il domestico                  - Con un ceffone.

Cortin                            - Bravo! Non ci. mancava altro! A chi tocca adesso?

Il domestico                  - Ci sono tre persone che vo­gliono entrare insieme.

Cortin                            - Entrino.

(// domestico apre la porta; le tre persone entrano, il domestico esce. I tre sono; una donna, vestita semplicemente, sulla quarantina, di aspetto piacente; suo figlio, un ragazzo di 15 anni; VAvvocato).

La donna                       - Felice sera. (Al figlio) Saluta, figlio mio.

Il figlio                          - Buona sera.

Cortin                            - Buona sera.

L'Avvocato                   - (energico, alla donna e al figlio) Sedetevi!

Cortin                            - Come? Che tono è questo? Siete in casa vostra?

L'Avvocato                   - (aggressivo) No; ma se nes­sun altro offre loro di sedersi, glielo dico io. Sono l'avvocato Mueller, avvocato di queste due persone e redattore di un settimanale lo­cale.

Cortin                            - Posso chiedere il nome della pub­blicazione?

L'Avvocato                   - « Scandali sul Danubio ».

Cortin                            - Dev'essere un grosso fascicolo. Il Danubio è lungo.

L'Avvocato                   - Ma la settimana è breve. (Ai due che sono rimasti in piedi) Sedetevi! Non avete sentito? (/ due si siedono) Non siate così timidi: ci sono io.

Cortìn                            - Me ne accorgo.

L'Avvocato                   - Non riuscirete a confonder­mi, con le vostre belle maniere.

Cortin                            - Non ne ho affatto l'intenzione.

L'Avvocato                   - E non vi consiglierei di tentarlo. Dunque, Prima di tutto, con chi ho il piacere...?

Cortin                            - Mi chiamo Fred Cortin e sono amico e avvocato del conte.

L'Avvocato                   - Molto lieto. Questa donna è la signorina Maria Esmer e il ragazzo è suo figlio, Rodolfo Esmer.

Cortin                            - Molto lieto.

L'Avvocato                   - Rodolfo ha adesso 15 anni. Sua madre si è elevata, dalla condizione di serva, a quella di merciaia ambulante e coi più igr.avi sacrifici riesce a dare "a suo figlio una certa educazione, e a fargli frequentare le scuole medie. Rodolfo è intelligente e sua ma­dre ha bisogno, data la modestia della sua con­dizione, di denaro per fargli continuare gli studi.

Edith                             - Sarei felice se potessi contribuire a questo con una piccola somma. Vogliate ri­volgervi...

L'Avvocato                   - Pardon, non mi « rivolgo » a nessun altri che a voi.

Cortin                            - Ma perchè siete cosi aggressivo, se venite a chiederò qualche cosa?

L'Avvocato                   - Non chiedo. Questo è l'errore. Pretendo. Non si tratta di un soccorso; questo lo respingerei senz'altro.

Cortin                            - Caro collega, cominciate a urtar­mi i nervi.

L'Avvocato                   - Aspettate; il bello viene adesso. Non so se avete badato alla presentazio­ne che ho fatto. La « signorina » Esmer e suo figlio Rodolfo Esmer. Da questo potete com­prendere che Rodolfo è un figlio naturale. E' il figlio illegittimo di un padre senza coscien­za, il quale non provvede né a lui né alla ma­dre abbandonata.

Cortin                            - E' un contegno abbominevole.

L'Avvocato                   - Ne convenite. E perciò sia­mo qui.

Cortin                            - Volevamo parlare col padre del ragazzo; ma poiché voi siete il suo avvocato e avete la sua procura generale...

Cortin                            - Di chi?

L'Avvocato                   - Del padre. Del conte. (Cor­tin si alza e passeggia nervosamente su e giù. Edith si nasconde il viso, ridendo) Non piange­te, contessa. Comprendo quanto ciò sia penoso per voi. Ma sono avvocato e giornalista e quin­di per due motivi difensore del buon diritto.-Chiedo gli alimenti per il ragazzo. Sono venu­to qui per fare assegnare in via amichevole alla mia cliente quanto le compete e perchè rogito evitare che la persona del conte, già abbastanza poco popolare, venga trascinata in uno scandaloso processo di ricerca di paternità che, naturalmente, la stampa non potrebbe passare sotto silenzio.

Cortin                            - (torna a sedere al suo posto. Alla donna) Vi prego, fate uscire il ragazzo. Vo­glio rivolgervi qualche domanda.

La donna                       -  (al ragazzo) Va' fuori, Rodolfo.

(// ragazzo si volge per andare).

Edith                             - Un momento. Vieni qui, ragazzo mio. Fatti guardare. (Rodolfo le si avvicina; Edith lo osserva, lo accarezza) Bel ragazzo, robusto. Quanti anni ha?

La donna                       - Quindici. Non è vero che so­miglia a suo padre?

Edith                             - Non trovo. Va bene, Rodolfo. Puoi andare di là. (Rodolfo esce).

Cortin                            - Avete avuto una relazione col si­gnor conte?

L’Avvocato                  - (molto energico) Sì.

Cortin                            - Veramente non ho rivolto a vois questa domanda.

L’Avvocato                  - (alla donna) Rispondete! II conte è il padre di Rodolfo?

La donna                       - Sì.

Cortin                            - Quale conte?

L'Avvocato                   - Il conte Ghuyé. Il padrone di questo castello. Egli stesso ha ammesso dij aver passato qui parecchie estati quindici, anni fa, quando era studente.

Cortin                            - E questo è un motivo sufficiente per...

L'Avvocato                   - Anche per lui fu un motivo sufficiente per sedurre questa donna - che era allora un'innocente servetta - e renderla madre.

Cortin                            - Ed è certo?

L'Avvocato                   - Che questa donna sia madre?

Cortin                            - No. Che il conte sia il padre.

L'Avvocato                   - Scusate. Le vacanze - e re­lative regate - cadon sempre nel mese di lu­glio; e il ragazzo è venuto al mondo in aprile, cioè esattamente nove mesi dopo. Posso dimostrarvelo con l'atto di nascita. Ma non ho alcuna voglia di produrre adesso, privatamente e dinanzi alla madre angosciata, i documenti d'appoggio: è cosa che farò dinanzi alla Corte di Giustizia, durante il processo che intentere­mo. Se vi interessa, potete leggere la relazione nel mio giornale. Venite, signorina; qui non abbiamo altro da fare.

Cortin                            - Aspettate, signorina. (All'avvo­cato) Perchè vi risentite in questo modo? Non ho ancora parlato, (Alla donna) Quanto pre­tendete?

La donna                       - Il eignor avvocato ha fatto il conto.

L’Avvocato                  - (posando una carta) Eccolo. Gli alimenti arretrati per 15 anni. E poi, l'impegno per il pagamento degli alimenti in av­venire o una somma una volta tanto come tran­sazione.

Cortin                            - (indicando una cifra) E questo che cos'è?

L'Avvocato                   - Il mio onorario.

Cortin                            - Domattina il segretario della con­tessa pagherà tutto. Per l'avvenire, il conte farà una transazione.

La donna                       - Bacio le mani, signore.

L'Avvocato                   - Non vi abbassate. Perchè gli baciate le mani? Non vi si fa alcuna elemo­sina. Vi danno semplicemente ciò che vi spetta. Rimpiango soltanto che abbiamo chiesto cosi poco.

Cortin                            - Siete ancora in collera?

L'Avvocato                   - Sicuro! Non c'è scopo, a ri­sparmiare un mascalzone aristocratico che ha sedotto una povera ragazza e che dopo quindi­ci anni bisogna cercare nell'America del Sud...

Cortin                            - Grazie, signor collega. Ora, gra­zie a Dio, siamo d'accordo. Vorrei prender commiato...

La donna                       - Bacìo le mani, signora contes­sa. Riverisco, signor avvocato. Rodolfo deve venire a salutare?

Cortin                            - Rodolfo non deve venire a salu­tare.

L'Avvocato                   - Andiamo. (Spinge la donna verso la porta, se ne va senza salutare. Cortin suona, il domestico entra subito).

Cortin                            - Voglio soltanto pregarvi di non picchiare questi qui, anche se fanno delle os­servazioni.

Il domestico                  - Sissignore.

Cortin                            - C'è ancora qualcuno fuori?

Il domestico                  - Nossignore.

CORTIN                       - Grazie. (// domestico esce. Cortili cammina per un poco avanti e indietro. Edith è rimasta seduta e sorride. Cortin si ferma) Ne ho viste tante, ma non mi è mai capitato di vedere una simile impudenza. Spero che ti renderai conto che bisogna pagare.

Edith                             - Naturalmente.

Cortin                            - Ho fatto il conte vivente e pieno di temperamento. Ma... non lo avrei creduto capace di fare un figlio. E' una cosa spaventosa.

Edith                             - Non è tanto spaventosa.

Cortin                            - Come, difendi quella donna?

Edith                             - Si capisce! Bisogna bene che ab­bia avuto il bimbo da qualcuno!

Cortin                            - Una cosa è certa, però: che non l'ha avuto da tuo marito.

Edith                             - Perchè è così certo?

Cortin                            - Sentila! Vuoi, farmi arrabbiare?

Edith                             - Allora, se vuoi proprio sapere... mio marito non ha soltanto quel figlio.

Cortin                            - Come?

Edith                             - Ne ha un altro.

Cortin                            - E... chi è la madre?

Edith                             - Una piccola sorpresa... Io.

Cortin                            - Cosa?... Chi è la madre?

Edith                             - Io. Devo confessartelo... aspetto un bambino. E siccome sono la moglie del con­te, il bimbo è suo.

Cortin                            - (la fissa sbalordito).

Edith                             - Vedi dunque che la cosa non è tanto impossibile. Ho sempre desiderato di a-vere un figlio. Ma... (Ammutolisce).

Cortin                            - Ma?

Edith                             - Finché non ero maritata, non avrei potuto averlo.

Cortin                            - Io... io... dov'è il mio cappello?

Edith                             - Il tuo cappello?

Cortin                            - Sì. Mi levo il cappello dinanzi al conte Ghuyé. Che canaglia! Una perfetta canaglia!

Edith                             - Infatti. (Pausa) E ora, mio caro, dopo tutto questo, veniamo al fatto. Non ho ragione nel dire che la situazione è insoste­nibile?

Cortin                            - Devo dire che raramente ne ho vista una così insostenibile.

Edith                             - Dunque, mio caro papà, che biso­gna fare?

Cortin                            - Purtroppo... (Gesto di rassegnazione).

Edith                             - Una cosa è sicura. Che devo libe­rarmi di mio marito.

Cortin                            - Triste ma vero.

Edith                             - E... come si fa?

Cortin                            - Molto semplice.

Edith                             - Divorzio?

Cortin                            - Ma che! Non si può.

Edith                             - Perchè?

Cortin                            - E dopo il divorzio che cosa ne fai di lui? Lo tieni ancora in piedi? Dobbiamo affannarci per lui sino alla fine della nostra vita? Pagare quote di associazioni, scuderie da corsa e cento altre cose che abbiamo impian­tate? Il solo pensiero fa paura.

Edith                             - E allora? (Breve pausa).

Cortin                            - C'è un mezzo.

Edith                             - Quale?

Cortin                            - L'unico.

Edith                             - Quale, dunque? Parla!

Cortin                            - Bisogna... (Ammutolisce).

Edith                             - Che cosa bisogna?

Cortin                            - Bisogna... ammazzarlo. Non ti spa­ventare. Non c'è altro mezzo.

Edith                             - Ammazzarlo?

Cortin                            - Sì. Ucciderlo.

Edith                             - Atroce! E... chi... lo ucciderà?

Cortin                            - Chi lo ha messo al mondo. Io.

Edith                             - Come farai? In che modo?

Cortin                            - (mette la mano nella tasca dove si porta la rivoltella) Con questo. (Edith rac­capriccia) Non ti spaventare. Non è una rivol­tella. E' un'arma più sicura. (Trae di tasca) E' un cablogramma. Appena letta la tua lette­ra disperata, l'ho commissionato in Brasile e l'ho ricevuto. Sii folte, figlia mia. Ti preparo a poco a poco. Tuo marito è gravemente ammalato. Tuo marito sta peggio. Tuo marito non si può salvare. Tuo marito è morto, (le porge il telegramma), F Corti?

Edith                             - (legge) « Conte Arturo Ghuyé…» febbre dei tropici... morto dopo due giorni di sofferenze stop. Lo abbiamo seppellito nella foresta. Innalzato pietra tombale. Autorità già informate. Segue lettera relazione particolareggiata. Conducente della spedizione colonnello Wills ». (China la testa. Pausa). Questo

Cortin                            - Ho provveduto anche alle conseguenze sociali.

Edith                             - Sono triste, babbo, come se avessi perduto qualcuno.

Cortin                            - Non è morto che tuo marito. (Breve pausa).

Edith                             - E ora... che cosa debbo fare?

Cortin                            - (le riprende il telegramma) Per il momento, devi ritirarti col tuo dolore. (Edith, col capo chino, se ne va lentamente. Cortin suona. Entra Giulia) Giulia, fate venire quii anche il servitore. (Giulia va a chiamare alla porta; entra il servitore) Cara Giulia, caro...! come vi chiamate?

Il domestico                  - Aristide.

Cortin                            - ...caro Aristide. Devo informare! anche voialtri, come fedeli servitori della casa che il vostro padrone, il proprietario di questo castello, il marito della signora contessa, il conte Arturo Ghuyé... durante una spedizione attraverso le foreste paludose del Brasile è caduto vittima della sua passione per le ricerche scientifiche. Ne siamo informati da questo telegramma. E' stato colpito da grave malattia e... è morto. (Giulia scoppia in singhiozzi, Il domestico si volge altrove, si asciuga le lagrime muto) Il sincero dolore dei fedeli servitori è un lieve conforto per noi. Non molto... ma è sempre qualche cosa.

Giulia                            - La... la signora contessa... lo ha già saputo?

Cortin                            - Ho lungamente esitato prima di informarla... ma non potevo continuare a tacerglielo.

Giulia                            - Povera signora! Scusatemi, ma non posso lasciarla sola. (Si affretta alla porta dalla quale è uscita Edith).

Il domestico                  - (molto commosso) Non ho conosciuto il signor conte... ma chi, come me, ha tenuto in ordine tutta la sua roba... sa che era un signore e un vero gentiluomo. Gli ho voluto bene attraverso gli eleganti accessori della sua persona. Ho anche letto molte volte i suoi articoli. Aveva dei nobili sentimenti, il mio buon padrone. Gentiluomo dalla testa ai piedi.

Cortin                            - Volete dire: dal tubino alle panto­fole. E' vero.

Il domestico                  - Chiedo il permesso di an­ulo a piangere in solitudine.

Cortin                            - Prego. (Il domestico, con le la­grime agli occhi, esce) Almeno uno che gli ha voluto bene. (Prende un giornale, legge) a Questo cacciatore di belve, che crede di cal­pestare gli uomini più meritori di questa cit­tà, non è che un fantoccio insignificante... que­sto conte è una nullità ». Finalmente una paro­la vera. (Getta via il giornale. Entra il dome­stico).

Il domestico                  - (asciugandosi le lagrime) Il signor Roberto. (Via).

(Roberto entra; muio, commosso, guarda Cortin, gli stringe solennemente la mano. Tac­ciono entrambi. Cortin trae un, fazzoletto e si asciuga una lagrima).

Roberto                         - L'ho saputo dalla servitù.

Cortin                            - (annuisce senza parlare).

Roberto                         - (piano, con profondo rispetto) Quando è accaduto?

Cortin                            - Ho ricevuto ieri il telegramma. Prima che quelli della spedizione siano giunti alla più vicina stazione telegrafica... devono es­ser passati dieci o dodici giorni. Un colpo ter­ribile.

Roberto                         - Dobbiamo accettare i decreti del destino.

Cortin                            - (offrendo) Una sigaretta?

Roberto                         - Grazie... ora no.

Cortin                            - Allora... neanch'io. (Ripone lo staccio).

(Entra Edith, tutta vestita di nero).

Roberto                         - Edith! (Le va incontro e le bacia la mano con profondo rispetto) Accogliete accogliete... non trovo le parole...

Edith                             - Grazie, Roberto. (Pausa. Stanno imbarazzati uno di fronte all'altro).

Roberto                         - Edith, credo che ora sia meglio e più gentile che io vi lasci sola col vostro dolore. Col vostro passato. Perchè il vostro av­venire - in questo minuto solenne ve lo dico solennemente - il vostro avvenire ormai ap­partiene interamente a me.

Edith                             - Roberto! (Si stringono la mano con ardore).

Roberto                         - Verrò a vedervi domattina. A ri­vederci, avvocato. (Si inchina. Cortin risponde con altro inchino. Roberto esce).

Cortin                            - (siede, si accende una sigaretta) Siediti, figlia mia. E' un momento veramente straordinario. Ti confesso che sono commosso.

Edith                             - Anch'io. (Siede. Breve pausa).

Cortin                            - Il mio errore è stato di aver fatto un essere veramente umano. Un uomo con un'anima amara... Non avrei potuto creare un individuo più dolce, più popolare. Questo però prova che sono un artista.

Edith                             - Ammiro la tua opera così com'è.

Cortin                            - Era un uomo, perciò soggetto a sbagliare.

Edith                             - Non si può dir nulla in sua lode. Anche prima di essere sotto la nostra influen­za...

Cortin                            - Questa è stata la sua debolezza. Ma è cosa di tutti i giorni: un uomo debole che è dominato da sua moglie. Del resto, non in tut­to ha seguito i nostri consigli. Per esempio, vedi la sua smania di giocare in Borsa. Dopo quella prima perdita di 24.000 franchi, gli dissi chiaro e netto che tu proibivi assoluta­mente che egli continuasse a giocare. Invece... ha giocato ancora. (Trae di tasca alcune carte) Ecco i conti.

Edith                             - E... ha perduto?

Cortin                            - Poveretto. Trentatremila franchi. (Poiché Edith non si muove) Non te ne occu­pare adesso, cara. Faremo i conti domani. Bi­sogna però dire... che la vita del conte è costa­ta un'infinità di quattrini. Eppure è morto così giovane...

Edith                             - Ha vissuto in tutto tre mesi.

Cortin                            - Mi dispiace per lui.

Edith                             - Io... ti ringrazio per la sua vita. Mi ha salvato. E' stato per me un ottimo ma­rito. E gli son grata anche della mia felicità avvenire. Il primo uomo che mi ha fatta felice. E forse anche l'ultimo.

Cortin                            - Onore alla sua memoria. Lo conosco. Ci perdonerà. (Si sente rumore di vetri rotti. I due non si scompongono) E perdonerà anche ai suoi nemici.

(Il domestico entra portando un vassoio con dei telegrammi).

Cortin                            - (con un sorriso) I primi telegram­mi di condoglianza! (Apre, legge) ci Riceva, contessa, le condoglianze più vive - Presidente Hoover ». (Lo dà a lei. Ne apre un altro, leg­ge) Con profondo cordoglio - Greta Gar­bo ». (Apre, legge) « Profondamente colpito -Briand»... (Glielo porge).

(Il domestico ascolta, orgoglioso).

FINE