Quando amor comanda

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QUANDO AMOR COMANDA

OvveroL’AMANTE INTRAPRENDENTE

Canovaccio  in  cinque  atti della  Commedia  dell'Arte 

nella  realizzazione di Tiberio  Fiorelli 

detto SCARAMUCCIA

Ridotto  per le  scene  moderne  da GIAN  MARIA COMINETTI

PERSONAGGI

LEANDRO , Giovane cavaliere innamorato di Lucinda

LUCINDA , Pupilla di Capitan Spavento

CAPITAN SPAVENTO

MESSER BABIO , Notare, altro tutore di Lucinda

MASCARILLO , Soldato  a spasso servo di Capitan Spavento

PIEROTTO , Servo  di Leandro

PASQUELLA, Giovane contadina che viene a servire  in casa  Spavento

MAROTTA , Nutrice di Lucinda e madre di  Pasquella

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Piazzetta  di,  città. Isolata  da  un  giar­dino v’è la casa di Capitati Spavento.

SCENA  1

(Mascarillo solo)

Mascarillo                      - (esce dalla casa di Capitan Spavento e viene avanti con lazzi di furba intesa verso il pubblico) Che spasso m'è di udirli i due vecchi ch'or ora vedrete uscire da quella porta. Essi sempre si bisticciano. Sono i tu­tori della mia padroncina Lucinda, un'ardente damigella rimasta orfana ancor bambina, e, che il padre capi­tano di ventura, morendo in batta­glia, ha affidata con una vistosa for­tuna al compagno capitano Spaven­to, mio padrone, e al notar Messer Babio che, più furbo, s'è presa cura del capitale aureo lasciando al pri­mo il capitale corporeo da crescere e disciplinare austeramente alla mi­litare. Onde succede che mentre la mia padroncina Lucinda è invaghita del bel giovane cavaliere Leandro e vorrebbe parlargli e vederloogni gior­no, capitan Spavento non le permet­te neppure di metter fuori il naso dal­la porta o dalle finestre, e monta sem­pre egli stesso o fa da me montar la guardia affinché nulla succeda fra i due innamorati. Segretamente, forse, il vecchio rodomonte ambisce impal­marla lui la pupilla, ora che è in età da  marito. A farci vendette della giovane op­pressa v'è però l'altro tutore, il notaro Babio, un avaraccio che a sua volta nega al capitano il danaro per condurre avanti la casa, o almeno glie lo misura  a  goccia  a  goccia. Ma è inutile ch'io vi parli ormai: eccoli: li udrete voi stessi nelle loro querele. Ogni di si pigliano a dire e in una sola cosa vanno d'accordo: nel non lasciar maritare la ragazza poiché una volta sposata tutto passa per testamento nelle mani del marito, e i due tutori perderebbero le loro grasse prebende.

SCENA 2

(Capitan Spavento e  messer. Babio) (Mascarillo se  ne va mentre Capitan Spavento e messer Babio escono di casa) 

Capitan Spavento          - (con lazzi  di dispet­to) Per Marte, messer Babio, voi sie­te troppo stitico. E' più facile far ti­rare  una  ventosità  a  un  cavalier  di bronzo  che  convincere  voi  di  quanto bisogna a un galantuomo per man­tenere  una  casa  nel  decoro di  gente per bene.

 

Messer Babio                 - (con lazzi dì ira) Galan­tuomo, un corno! Alla casa provvedo largamente; ma voi, capitano, amate un po' troppo le taverne e con esse le donne cui date troppo spesso la borsa degli zecchini non potendo dare al­tro.

Capitan Spavento          - (con lazzi d'uomo of­feso, terribile) Oibò! io non posso dar altro?! Che?.,. Vi ho incaricato forse di tenere i conti dei miei capi­tali amorosi, mescer notaro, che cre­dete di trovarmi in deficit? (Spaccone) Orbene, quanto mettete in palio? Vo­lete che andiamo insieme da una bel­la cortigiana a vedere chi si fa più onore di noi due?

Messer Babio                 - (con lazzi di rassegnazio­ne) Io ormai cerco di farmi onore in altre faccende, mio bel capitano, e sarebbe ora che anche voi mi imi­taste che di età, su per giù, dobbia­mo essere alla pari.

Capitan Spavento          - (con lazzi di orgoglio) Tanto peggio per voi se vi sentite vecchio; io, per me, sono uomo di spa­ da  'e mi stento ancora gagliardo e pronto  ad ogni battaglia.  Anzi vi di­rò, messer Babio, ch'avrei pensato di prendere moglie,  e giovane anche,

Messer Babio                 - (con lazzi di canzonatura) Per  raccontarle  delle favole o per avere in testa tutte e due le eredità: paterna e materna. (Fa con la mano il gesto delle corna)

Capitan Spavento          - (spaccone) Ah! per Giove Pluvio, messere, se voi non mi foste compagno di tutela di Lucilia, io avrei già snudata la spada per far­vi veder chi sono.

Messer Babio                 - (con flemma) Eh! la vo­stra spada ormai è come una fanciul­la onesta: la si vergogna a farsi ve­der nuda... la prima volta...

Capitan Spavento          - (sempre più spaccone) Voi giocate a farmi perdere la pa­zienza... finché un giorno non m'indu­ca in tentazione di rompervi le ossa o farvi mille spacchi sulla groppa o la testa in pezzi.

Messer Babio                 - (coti lazzi di finto spaven­to) Oh! povero me! Son morto... La­sciatemi correre al riparo da questa terribile gragnuola.

Capitan Spavento          - (tutto albagia) Veh! non fate per fìnta che vi costringerò a far sul serio. Non crediate di prendermi a gabbo, vecchia talpa, e da­temi piuttosto quel denaro che vi ho chiesto senza tante cerimonie, e pre­sto che non si tratta già di roba vo­stra, ma di Lucinda, alla cui salute corporale, dignità e decoro devo prov­vedere io senza dar tanti conti alla vostra petulanza...

Messer Babio                 - (timido, sottile) Oibò! i conti dovete pur darmeli, capitano Spavento, poiché sono io che devo te­nerli...

Capitan Spavento          - (con lazzi di uno che si gonfia mentre l’altro si fa piccolo piccolo) E teneteveli pure i conti. Che volete che me ne faccia dei conti? Io esigo che mi consegniate dei buoni zecchini...

Messer Babio                 - (con lazzi di sotto in su) ...solo quelli necessari, con vostra li­cenza.

Capitan Spavento          - (tonante) Necessari o no... Sono io che devo giudicare quan­ti sono necessari. Appunto. Ogni gior­no vi sono spese nuove... Non sapete che devo far montare la guardia a Lucinda se vogliamo che la colombel­la non prenda il volo? Quel malaugu­rato cavalier Leandro sempre giron-zola qui intorno come i moscerini sul­la botte del mosto, e tuba e fa la ruo­ta e manda bigliettini profumati...

Messer Babio                 - (preoccupato, dimentico di ogni altra cosa) Davvero? Insistei Ah! manigoldo! Non s'è ancora stancato di tener l'assedio?! Per carità, amico, vigilate, vigilate. Mi risulta che questo cavalier Leandro è un poco d; buono... Vigilate, vigilate, non lascia tela sola un istante. Gli innamora­ti son capaci delle più diaboliche invenzioni... Rimanete, prego... Ora torno io stesso a portarvi il denaro. Non disturbatevi,  capitano...

Capitan Spavento          - (con lazzi di furboni gran stratega) Posso benissimo venir io da voi. Qui ho da lungo tempo tutto disposto perché l'assediante trovi pan pei suoi denti. Al mio servo Mascarillo, che, come  ben sapete, soldato, no passato ordini precisi, una ferrea consegna e i mezzi adatti.  Die­ci  uomini armati, ha  al suo coman­do, che fan la sentinella in ogni ango­lo della casa e del giardino. Ah ah!

Messer  Babio                -  Bravo! Bravo!...

Capitan Spavento          - (felice della sua tro­vata) Vedete dove se  ne va  il de­naro?

Messer Babio                 - (in brodo di giuggiole) Vedo... vedo... (sospettoso) ...Ma dove sono tutte queste guardie... che non vedo nessuno?

Capitan Spavento          - (con lazzi dì schiac­ciante superiorità) Nessuno?! Come è chiaro che voi siete persona pacifica e non v'intendete di cose di guerra! Nessuno si deve vedere, se si vuoi prendere in trappola il nemico e dar­gli una lezione esemplare... Tattica, amico, tattica e strategia, grande stra­tegia: scienza militare!

Messer Babio                 - (rischiarato)  Ah! già: avete ragione. Non ci pensavo... Capitan Spavento (chiama)  Mascarillo, io me  ne  vado  un  poco in  città. Sta all'erta.

Mascarillo                      - (appare dal giardino) A­ll'erta sto, capitano (i due vecchi se ne vanno)

SCENA  3                    

 (Mascarillo, solo)

Mascarillo                      - (con lazzi di gioia) Final­mente se ne sono andati! e potrò star un poco davvero all'erta qui all'oste­ria a fare una partitina di carte o di dadi, e a dare qualche pizzicotto alla fantesca Cristina che è... è un gran bel pezzo di figliola, un gran bel pez­zo... (fa lazzi di ampia rotondita) ...an­zi un pezzo intero e come! Dio sia lo­dato! (se ne va)

SCENA 4

(Leandro e Pierotto)

(Leandro sbuca di  dietro al muro del giardino seguito dal suo servo Pierot­to che porta con se una chitarra) 

Leandro                         -  Se ne sono andati  tutti.  Vie­ni, vieni qui  più sotto  alla  finestra; e, mentre suoni guarda qua e là: sta attento se  vien gente. Io avrò altro da fare. Su: attacca, e, intesi? Se vien qualcuno  continui tu  la  mia  canzone mentre  io  me la batto.

Pierotto                          - (rassegnato) Ed io sto qui a buscarle.

Leandro                         - ...a cantare senza scomporti, devono credere che sei tu che fai lo svenevole.

Pierotto                          - (con sospiri) Finiranno per svenarmi davvero uno di questi gior­ni, per infilarmi come un tordo! Leandro         - (si dispone a cantare) Avan­ti pensa per ora a far ì'usignolo   - (can­ta appassionatamente una canzone d'amore) O  finestra  del mio  cuore... (Pierotto  accompagna  con la chitarra e sussurrandone le parole)

SCENA 5

(Leandro, Pierotto e Lucinda)

(Quasi subito appare al balcone la bella Lucinda che,  furbetta,  porta con se un lungo tappeto  e  un  battipanni per  far credere che si affaccia per altri motivi) 

Leandro                         - (spasima) Oh!  Lucinda,  amor mio! (e butta una scala di corda che Lu­cinda afferra e aggancia  svelta alla ringhiera del balcone) 

Lucinda                         - (mentre si affanna ad  aggan­ciare la scala) O me poveretta! Lean­dro, fuggite  subito;  fuggite  che  se vi scorge il capitano fa una strage di me e di voi. Oggi poi è cosi irato che non si sa come prenderlo.

Leandro                         - (mentre sale) L'ho veduto an­dare in città con il notaro, ed avremo certo il tempo di stare un poco a par­lare insieme  prima  che sia  di  ritor­no

 Lucinda                        - (lasciandosi abbracciare) Ma c'è Mascarillo che ronza qui intorno e spia.

Leandro                         - Macché! è all'osteria. Non tre­mate, Lucinda, dolce capinera, mio gi­glio, fidatevi di me che vi adoro.

Lucinda                         - (sì nasconde fra le braccia di Leandro) Mi fido di voi, lo sapete bene; ma ho paura che  ci scoprano.

Leandro                         - II mio servo Pierotto fa buona guardia (a Pierotto) Pierotto, va là presso il crocicchio e, se vedi venir qualcuno, avvisaci mettendoti a can­tare. (Pierotto si allontana)

SCENA 6                     

(Leandro e Lucinda)

Lucinda                         - (pudica) Oh! Dio mio! il vostro servo ci vedeva. Che vergogna! (Si co­pre gli occhi con le mani)

Leandro                         - (supplichevole) Non nasconde­te il mio  sole dietro le nuvole,  Lucinda bella. Lasciate che vi contempli, che veda i vostri occhi la vostra boc­ca, e parlate elle oda la vostra voce ch'è musica di angeli. E' così raro ch'io possa avere questa gioia che cerco e sogno ad ogni istante e che, pur­troppo, sebbene io ricorra a tutte le trame e a tutte le astuzie, quasi sem­pre mi vien negata o troppo misurata.

Lucinda                         - (commossa) O mio bène, voi mi farete piangere. Noti è colpa mia se non posso farmi vedere più soven­te... Anch'io tanto lo desidero, e in ogni istante cerco l'occasione o alme­no la sogno; inutilmente, ahimè! che le porte son sempre serrate e le fine­stre inchiodate oppure guardate con ferocia da cani mastini; e nessuno mi aiuta in questa casa ove dovrei esse­re la padrona e sono invece la schiava. Non comprendo come mai i miei tutori sono così cattivi con me che non faccio alcun male e vivo come una tortorella nel nido, cattivi e gelosi di ogni buona fortuna che mi possa ral­legrare.

Leandro                         - Lucinda, il vostro corruccio mi rattrista profondamente, eppure, an­che così adombrata, quant'è dolce la vostra voce e soave La vostra bocca odorosa di arancio. Lasciate che mi ìnefori di questo vostro giardino di delizie! Vi giuro che vi libererò da questa vostra prigione, Lucinda mia adorata... (Si  ode  Pierotto cantare)

Lucinda                         - (spaventata) Poveri noi! Vie­ne qualcuno. Ecco finita la mia feli­cità. Scendete, scendete... (il canto di Pienotto si fa più forte) Oh! Dio! non c'è più tempo. No. E' il mio tutore. State qui rannicchiato, coperto col tap­peto. Tirate su la scala, e non fia­tate. Non vi vedrà. (Affannata copre Leandro con il tappeto e comincia a picchiarvi sopra col battipanni men­tre appare di corsa Pierotto seguito da presso da Capitaci Spavento che lo minaccia con la spada) 

SCENA 7

(Leandro  Lucinda  e Capitan Spavento)

Capitan Spavento          - (Senza fiato, a Pierot­to) Ah! se ti raggiungo ti buco il deretano, te lo faccio diventare un colabrodo (si arresta affannato)  Ha. la gamba svelta quel saltabecco. (A Lu­cinda, severo) E voi che fate lassù? Perché siete venuta fuori sul balco­ne?

Lucinda                         - (picchiando sul tappeto) Per sbattere il tappeto.

Capitan Spavento          - (con lazzi di chi non la beve) O per sentire la serenata di quel farfallino da strapazzo che mi pareva si e no un garzone mugnaio con quella sua faccia pallida da pe­sce infarinato?!

Lucinda                   - (pronta, sostenuta) E se an­che  fosse  che  ci  sarebbe  di  male? E' forse uno svago proibito? Vi dan fastidio anche quelli che van cantando per le strade per rallegrare la gente' Mi farete morire d'inedia con questi vostre  fìsime.

Capitan Spavento          - (con lazzi di chi vuol veder meglio) So ben io perché parlo. Ho l'intelletto sveglio e la vista lunga, e vedo benissimo anche ciò che mi si vuoi nascondere. Rientrate subito in camera vostra e portate dentro il tappeto che certi lavori non sono affar vostri ma delle fantesche.

Lucinda                         - (spaventata cerca di coprir meglio Leandro con il tappeto) Delle fantesche, già... ma voi sapete benissimo, padrino, che per il momento no non abbiamo fantesche, e questo tappeto, per vostra norma, puzza di chiù so e ha bisogno di prendere un poco di aria.

Capitan Spavento          - (con lazzi di autorità E pure voi sapete, figlia mia, chi la fantesca deve giungere oggi stesso e si poteva dunque bene attendere. Or su, Lucinda, ubbidite: ho detto che rientriate subito e portiate dentro i tappeto. Non ammetto che mi si contraddica.

Lucinda                         - (esasperata, stizzosa) Rientro se volete, ma il tappeto venite voi i ritirarlo. Questi vostri son capricci di donnette (Con lazzi di disperazioni e finto pianto)  E mi offende questo vostro sgridarmi sempre. Finirò per buttarmi giù da questo balcone se continuate a sgridarmi così (ed entra in camera sbattendo la porta)

Capitan Spavento          - Ah! per Marte! quanta pazienza occorre con le donne! (entra in casa)

SCENA 8                              

(Lucinda e Leandro)

(Subito Lucinda riappare sul balcone  scopre  Leandro  togliendo il tappeto),

Llcinda                          - (a Leandro) Presto, scendere fuggite. Il mio tutore è entrato e sta salendo le scale.

Leandro                         - (abbracciandola) Amore.

Lucinda                         -  Presto, presto, andate...

Leandro                         - (con lazzi di minaccia) Ah se cedessi alla mia rabbia! l'aspetterei qui, lo strozzerei e lo getterei ne pozzo così almeno sarebbe finita un; buona volta con questo sciocco carceriere.

Lucinda                         - (ansiosa) Che diavolo bestemmiate?! Scappate, per carità, se ne sarà troppo tardi. (Leandro l’abbraccia ancora e infine si decide a scendere. Lucinda sgancia la scala e glieli butta dietro. Leandro ha appena tempo a raccoglierla e a nasconderla sotto il mantello, mentre Lucinda rientra nella sua camera, quando appare Pasquella, una giovane contadina coi un canestro sotto il braccio e un fagotto in mano)

SCENA  9                    

 (Leandro e Pasquella)

Pasquella                       - (a Leandro) Gentile cavaliere, sapreste dirmi per favore se questa è la casa di capitan Spavento?

Leandro                         - Certo che lo so. Questa è li casa di capitan Spavento; ma tu eh cerchi

Pasquella                       - (sempliciona) Cerco dì lui Voi io conoscete?

Leandro                         - Uh! Sono suo grande amico.

Pasquella                       - Vero? e che uomo è? Io l'ho visto qualche volta; ma ero ancora una bambina ed avevo di lui una gran paura. Mi sembrava un signore terribile con quei suoi grossi speroni e la lunga spada e i mustacci a punta e gli occhi che pareva sprizzassero fuoco e fiamme. Mia mamma dice che sembra così, ma che ò un brav'uomo. E' vero?

Leandro                         - Forse, ma a te che t'importa?

Pasqlella                        - M'importa si: devo fare la fantesca in casa sua.

Leandro                         - (squadrandola]            - Ah! tu sei la nuova fantesca?!

Pasquella                 - Si, sono Pasquella. Vengo al posto di quella vecchia ch'è morta. Sono qui dei nostri monti e mi man­da mia mamma, la Marotta, ch'è sta­ta la nutrice della padroncina, dami­gella Lucinda.  che io dovrò servire.

Leandro                         - (illuminato da un'idea improv­visa, trascina con lazzi di terrore Pa­squella lontano dalla casa) Vieni di qua, lontano da quella casa, per ca­rità.

Pasquella                       - (diffidente) E perché, signo­re?

Leandro                         - (cupo) Perché c'è la peste là dentro.

Pasquella                       - (sbigottita) La peste?!

Leandro                         - (con lazzi di profonda emozio­ne) Si, Pasquella. e son morti tutti: la vecchia fantesca prima e poi il capitan Spavento e il servo Mascarillo.  Madamigella Lucinda, affranta, inor­ridita, si è ritirata in casa di gente amica del padre sua. Ora io ho chiuso la casa e proprio aspettavo che tu arrivassi per compensarti e rimandar­ti al  villaggio.

Pasquella                       - (tremando si fa il segno della Croce) La peste! che flagello! O Dio misericordioso, guardaci!

Leandro                         - Torna subito a casa e non fer­marti un minuto di più in questi pa­raggi e nemmeno in città che la peste è un male terribile e si attacca in un momento.

Pasquella                       - (terrorizzata lascia cadere il canestro e il fagotto) Oh! Dio! Dav­vero? Si attacca così?! Non l'avrò mi­ca già,  presa stando qui  vicino?

Leandro                         - Finora, no, ma bisogna guar­darsi. Cosa c'è in quel fagotto?

Pasquella                       - (chinandosi per raccoglierlo) Un mio vestilo da festa, un bel faz­zoletto grande e un po' di biancheria e le pianelle nuove: tutta la mia ro­ba per cambiarmi.

Leandro                         - (dando  un calcio al  fagotto) Cosa fai? Sei pazza? Toccandola.,po­tresti buscarti la peste. Butta via quella roba, che ormai si è sporcata in questa polvere infera, - (le da una bor­sa dì monete piena)  To', prendi. Te ne comprerai dell'altra più bella... li va, va, corri, e passa per i prati per rum incontrar gente. Non si sa mai. Po­tresti imbatterti con qualche  malato.

Pasquella                       - (agitata, riconoscane) Oh! grazie, signore. Voi siete molto buono. Vi sono molto grata.

Leandro                         - (spicciativo) Va, va, non fare cerimonie. E buona fortuna, Pasquel­la,  a  te e  a mamma  Marotta.

Pasquella                       - (andando) Buona fortuna a voi che state in questo inforno. Io me la filo di corsa. (Scompare)

Leandro                         - ('sì guarda intorno e raccoglie, svelto canestro e fagotto) Ed ora a noi. Chissà dove si è ficca'o Pierotto? Ah! certo si è nascosto in quel bo­schetto. (Scompare dì corsa verso  è fuggito Pierotto)

TELA

 

ATTO SECONDO

 SCENA 1                             

(Mascarillo e Capitan Spavento)

(Mascarillo arriva  un po' alticcio can­tando una grossolana  canzone d'amore.

Fra una strofa e l’altra incunea qualche osservazione filosofica sottolineata, da lazzi di  beatitudine)

Mascarillo                      - Olì olì olì olà! Ohimè! Mi pare d'aver le gambe come i mesi dell'anno: uno ne ha trenta l'altro tren­tuno... Non c'è verso di poter star drit­ti. Olì olì olà... Il mio cuore  si strug­ge...

(Mascarillo è già presso la porta quando questa sì apre e guardingo vi sbuca fuori Capitan Spavento con un bastone che lascia svelto cadere sulla schiena di Mascarillo senza neppure guardare chi è)

Capitan Spavento          - Te le do io le sere­nate...

Mascarillo                      - (fuggendo) Olà! mi ucci­dete! (Mascarillo, che ha scantonato al di là del muro, torna circospetto sui suoi passi, ma capitan Spavento lo attende al varco dietro lo spigolo a bastone alzato e. appena egli spun­ta lascia cadere il colpo con gran for­za. Senonchè il colpo immancabilmen­te finisce a vuoto e capitan Spaven­to, sempre irato, invano si affanna a ripetere la manovra che riesce sempre più sbagliata e fuori tempo)

Capitan Spavento          - (al colmo dell'ira) Ah! moscone dannato, te la do io ron­zare qui attorno a questo miele! (Ma stavolta rimane col bastone alzato ri­conoscendo infine Mascarillo che, per non prendere le legnate sulla testa, avanzava col  retro)

Mascarillo                      - Ohiai! padrone, perché mi volete ammazzare? Io, io stavo qui all'erta secondo  i  vostri  ordini.

Capitan Spaventò          - (stupito)  All'erta, già... Maledetto!  Ti ho scambiato per un furfantello  che poc'anzi  stava  qui a  far  serenate mentre  tu  eri chissà dove...

Mascarillo                      - (confuso, imbarazzato) Io?... Capitano, io ero di guardia... dall'altra parte... capite? Perché... è di là die­tro che vien sempre quel damerino in­traprendente... Come potevo sapere io che ha cambiato tattica?

Capitan Spavento          - Tu non sai mai niente. Ma, per Marte, sento un odor di vino che consola. (Come se scoprisse l’America) Tu sei stato all'osteria, ma­nigoldo.

Mascarillo                      - No, capitano, ve lo giuro. Certamente è la vostra bocca che vi porta un tal profumo  al naso.

Capitan Spavento          - La mia bocca? Ahi­mè! Non ha ancora baciato il bocca­le, stamattina, purtroppo... la tua in­vece...

Mascarillo                      - Me la sono appena bagnata con un goccio. E' passato di qui l'o­ste con un barilotto in spalla di quel­lo nuovo... Mentre s'è riposato un po' ha voluto farmelo  assaggiare.

Capitan Spavento          - (incredulo) Già: gli mancava il tuo parere. E vorresti dar­mela ad intendere? Un fracco di le­gnate oggi non te le toglie nessuno    - (ed alza dì nuovo il bastone, ma Mascaril­lo scappa e va a scontrarsi con Lean­dro che appare vestito da contadintta con i vestiti del fagotto di Pasquella e le pianelle con le quali risulta evi­dente che non sa camminare perden­dole  ad ogni istante)

SCENA  2

(Mascarillo, Spavento e Leandro vestito da  donna)

Leandro                  - (con urla e lazzi di dispetto e di collera, e dando uno spintone a Mascarillo che cade ventre all'aria) Ubriacone malnato! Guarda dove metti i piedi. Ho le uova nel canestro: vuoi farmi far la frittata nel mezzo della strada? (Vedendo capitan Spavento col randello alzato fa lazzi di finto esagerato terrore e, battendo i denti, balbetta) Oh! Dio! proteggimi! e tu Sant'Antonio! Pietà, signor generale, o chi siate, non so se San Giorgio o il Re di bastoni... Pietà! Io non ho fatto male ad una mosca... (Finge di pian­gere) Sono una povera fantesca che viene dal villaggio per servire il gran­de illustrissimo Capitano Spavento e la  sua pupilla  madamigella  Lucinda.

Capitan Spavento          - (gonfiandosi all’illu­strissimo come un tacchino che faccia la ruota) Ah! tu sei la fantesca che aspettavo? Non piangere, non aver paura. Stavo dando qualche legnata sul groppone a questo malaugurato poltrone del mio servo. Non temere: vieni qui,  fatti vedere.

Leandro                         - (fingendosi ancora paurosa e ad ogni modo, dì non osare ad alzare gli occhi  su tanta  luce) Illustrissimo...

Capitan Spavento          - (tenero) Avvicinati, avvicinati. Vediamo un po' \la guarda e la squadra) Non c'è male. Dunque tu sei?

Leandro                         - (con gli occhi a terra) Pasquel­la, la figlia di Marotta; nutrice di ma­damigella  Lucinda.

Capitan Spavento          - Bene! E sai chi sono io? Alza  la testa: guardami.

Leandro                         - (guardandolo timidamente e poi imbambolandosi in una esagerata me­raviglia) Oh! illustrissimo! così bello e terribile, voi siete certo il Capitan Spavento in persona?

Capitan Spavento          - (con entusiasmo) Brava! hai indovinato.

Leandro                         - (inchinandosi) Bacio la mano, illustrissimo;' E questa allora sareb­be la vostra casa, e questo simpati­cone il vostro, soldato signor Masca­rillo?

Mascarillo                      - (alzandosi finalmente da ter­ra e facendo un inchino a Leandro) Per servirvi.

Capitan Spavento          - (a Mascarillo) Alla cuccia tu (a Leandro) Brava, sai tutto.

Leandro                  - (con lazzi infantili di gioia) Oh! come sono contenda, illustrissimo signor capitano,di  essere  stata mandata a servizio, qui in casa vostra! Da quando ero bambina e vi ho ve­duto la prima volta non ho sognato altro. Oh! si, sono proprio felice. Mam­ma Marotta vi prega di gradire suoi omaggi. Ha voluto che vi portassi delle uova, dei capponi e delle caciottelle fresche: roba nostra genuina di campagna.  .

Capitan Spavento          - (sempre più entusia­sta) Ma brava, brava, brava! Hai la lingua sciolta eh? Bene, bene; ma e la cucina, la cucina sai farla? e governa­re la casa, sai governare? e cucire, sai cucire?

Leandro                         - (con candore) Eh! non volete che sappia cucire e far cucina? e go­vernare la casa? Ci mancherebbe altro. E  allora che donna sarei?!

Capitan Spavento          - (contemplandola) Eh già! Sei in gamba. Mi piaci. Sei an­che carina… pulitina e ben piantata... (le fa  un  ganascino) 

Leandro                         - (con lazzi di pudicizia) La fa­tica non mi fa paura...

Capitan Spavento          -  Bene,  bene.  Sei anche intelligente e bene educata,  vedo.

Leandro                         - (con lazzi di modestia) _ Faccio quel poco che posso, illustrissimo. In quei miei monti benedetti non si in­segnano tante cose...

Capitan Spavento          - Meglio, meglio, ed o-ra vieni a conoscere la tua padronci-na  (entra a casa)

SCENA 3

  (Leandro e  Mascarillo)

Leandro                         - (fa per seguire il Capitano, ma Mascarillo  le sbarra il passo)

Mascarillo                      - (galante) Pasquella bella, dammi il canestro, te lo porto io.

Leandro                         - (cedendo il canestro) Oh! bra­vo, grazie; era ora, mi fa già male il braccio.

Mascarillo                      - (con intenzione dandole un pizzicotto sul fianco) Non avrai che da comandare: sarò sempre ai tuoi ordini.

Leandro                         - (tirandosi indietro) Comincia a tenere le mani in tasca, se no saran ceffoni.

Mascarillo                      - (incredulo, tornando all'as­salto) Come? Non ti fa piacere? Via, stupidona!

Leandro                         - (dandogli uno schiaffo) E uno!

Mascarillo                      - (stupito, ma non ancora con­vinto) Guarda guardai Proprio non ti piace che ti si faccia il solletico? Ma va! Così grande e grossa!... E che donna sei?!

Leandro                         - Te lo farò vedere io.

Mascarillo                      - (finto tonto, con intenzione) Fammelo veder subito... Sei bianca e rossa come una mela.

Leandro                         - (togliendosi una pianella e mi­nacciandolo con quella) Sta atten­to che non ti cada sul naso questa di mele,  Mascarillo!

Mascarillo                      - (imitando i lazzi gradassi del padrone) Eh! vuoi che un solda­to abbia paura? (e le da un'altro piz­zicotto al quale Leandro reagisce pic­chiandolo con la pianella. Mascarillo scappa. Tua Leandro lo insegue e gli sferra un calcio nel' sedere proprio mentre capitan Spavento e Lucinda appaiono sulla porca) 

SCENA 4

(Leandro, Mas carillo, Spavento e Lucinda)

Capitan Spavento          -  Che  succede?

Leandro                         - Niente, padrone, scacciavo un calabrone noioso.

Capitan Spavento          - (divertito) Ah! ah! bene. Hai subito imparato che biso­gna trattarlo a calci e a legnate? Be­ne, (a Lucinda) Che energia eh? Ah ah ah! (e ride ancora mentre Lucinda, riconosciuto Leandro nei panni di Pa­squella, rimane senza fiato a bocca aperta)

LticiNDA                      - (strabiliata) Ah! eh! Hihihihih! (e ride anch'ella tanto per darsi un contegno)

Capitan Spavento          - (ridendo sempre) Ohooohooohohoh!

Mascarillo                      - (ridendo anche lui) Uh uuhuhuh!

Leandro                         - (inginocchiandosi ai piedi di Lu­cinda) Madamigella, padroncina mia cara, sono  Pasquella e sono  qui  per

 servirvi.

Lucinda                         - (prendendolo per il braccio) Alzati cara, alzati e vieni pure in casa, (le fa una carezza) Ti sei fatta gran­de e bella, Pasquella. Mi fa piacere di vederti  così. Vieni,  vieni...

Capitan Spavento          - (sentenzioso) Sa far­si rispettare. Così va bene. Mi piace, mi piace molto (l’accarezza anche lui e voi. senza accorgersi, le da due q tre colpetti sulle spalle sulla schie­na e poi sulle natiche. Leandro sta quasi per reagire: ma poi si limita ad abbassare gli occhi tutta vergognosel­la schivando con destrezza le manesche indagini del padrone)

Leandro                         - (mainarda) Oh! signor padro­ne,  mi  confondete.

Capitan Spavento          - (a Lucinda) Sapete, Lucinda, cosa ho pensato? Questa ra-gazzona è vostra sorella di latte e pos­siamo dunque fidarci completamente di lei, non vi pare?

Lucinda                         - (con entusiasmo) Certamente, padrino, di Pasquella possiamo fidar­ci pienamente.

Capitan Spavento          - Non dubitavo di que­sta vostra risposta. E allora fatele pre­parare il suo letto nella vostra came­ra. Voglio che vi dorma vicino. Così almeno potrò stare tranquillo di fron­te a qualunque sorpresa. Non poteva­mo, mi sembra, sperare di trovai e una guardia migliore.

Lucinda                         - (sbigottita) Ma, padrino, pensate: è la mia fantesca... Mi pare che per il decoro...

Capitan .Spavento         - (testardo) E che im­porta? Il vostro decoro non ne rima­ne affatto menomato. Quanto all'inti­mità eravate bambine insieme...

Lucinda                         - (imbarazzata) Già: eravamo bambine insieme,  ma...

Capitan Spavento          - (autoritario) Non c'è « ma » che tenga. Così ordino e co­mando  (Lucinda rientra in casa)

SCENA  5                     - (Leandro, Spavento e Mascarillo)

Capitan Spavento          - (con sussiego) Quan­to a te, Pasquella, ora poi ti spieghe­rò per filo e per segno come devi comportarti. E ti darò una consegna pre­cisa perché in questa casa bisogna sta­re molto all'erta.

Leandro                         - (zelante) Starò all'erta, illu­strissimo, e seguirò a puntino i vo­stri ordini e anche gli ordini di ma­damigella.

Capitan Spavento          - Bene bene... ma pia­no con gli ordini di madamigella. Gli ordini di madamigella per quanto ri­guarda il cucire e la cucina sta bene, ma per il restante non bisogna fare confusione e ubbidire soltanto ai miei ordini, capito?

Leandro                         -  Ho  capito,  illustrissimo.

Capitan Spavento          - Mi spiego: tu dovrai fare insomma... si, ecco: tu dovrai fa­re la sentinella. Sai cos'è una sento nella?

Leandro                         - (pronta) Sono quelle che stan­no con una alabarda in piedi vicino alle  garitte.

Capitan Spavento          - Precisamente. Ma qui non è il caso di stare proprio con l'a­labarda né, come si dice, in piedi: basta stare con un occhio aperto magari con tutti e due... e vigilare... vigilare...

Leandro                         - (ingenuo) Tutta la notte?

Capitan Spavento          - (categorico) Notte  giorno,  sempre.

Leandro                         - Ah! Senza mai dormire?

Capiian Spavento          - Senza mai dormire Beh! dormire, si capisce, è necessario ma ti darai il cambio con Mascarillo Ad ogni modo tu dormirai nella camera della  tua  padroncina.

Leandro                         - (inorridita)  Con Mascarillo?

Capi an Spavento          - Ma no, per carità Lui  monta la guardia fuori.

Leandro                         - Meno male, illustrissimo, oer ciiè quello, detto fra noi. ha le mani lunghe ed io non lo voglio troppo vicino.

Capitan Spavento          - (con lazzi di gioia in fantile) Ha le mani lunghe, eh? Ahhali Come sei divertente, Pasquella! Ha ragione. Ma tu sei capace di farti rispettare! Ahahaah! Ho visto, ho visto Ahahaah! Che calci! Ahahaah! (a Ma Svariilo, severo) A proposito, Mascara lo, vieni qua; è mio dovere insegnar ti come ci si deve comportare.

Mascarillo                      - (avvicinandosi) Sono qui padron mio.

Capitan Spavento          - (prendendo un basto ne dietro la porta) Allunga un po' lf mani,  fammele  vedere.

Mascarillo                      - (che ha capito  l’ antifona) Padron mio,  capitano...

Capitan Spavento          - Su via assaggiare la bacchetta, proprio- sulla punti delle dita; così ti ricorderai di teneri, in tasca.

Mascarillo                      - (facendo vedere che in ma no ha il canestro) Vedete, non posso

Capitan Spavento          - (inflessibile) Posa i terra, subito (Mascarillo di muta vo ghia posa a terra il canestro e tendi le mani al castigo con lazzi di otto re)

Leandro                         - (con tenerezza infantile, al ca pitano) Padrone, siete tanto genero so! Vogliate perdonarlo! E' un servito re fedele, Mascarillo, e se fa l'intraprendente con le ragazze gli è pereto è giovane. Che volete farci? Ci penso io a metterlo a posto (accenna ai calci di poco prima e scappa in casa)

SCENA  6                    

(Capitan Spavento  e  Mascarillo)

Capitan Spavento          - (ridendo) Hai ragione. Ahahaahah! Ma guarda che demonio  è mai  questa ragazza!

Mascarillo                      - (contento, riconoscente coi lazzi di tenerezza e rapimento estatico) Ah! padron mio, è un demoni cosi ben fatto e con tanta grazia d Dio che, se me la date, me la spose senza pensarci sopra.

Capitan Spavento          - (stupito, e poi seccato) Ehi! Mascarillo, non correr troppo...  e...  all'erta, giovanotto.

Mascarillo                      - (gradasso) All'erta sto,  capitano.

Fine del 2° atto Primo intermezzo

ATTO TERZO

 Nello stesso luogo, di sera...

SCENA  1                    

 (Pierotto  solo)

Pierotto                          - (gironzolando davanti alla ca­sa) II mio padrone mi ha detto che appena notte vestissi i suoi panni e mi facessi vedere qui intorno perché pote­va aver bisogno di me, e che, ad ogni minuto  a un primo momento, avessi cantato la sua solita canzone. Finora egli non si è fatto vivo ed io non so come comportarmi La sua faccenda però deve essere andata a gonfie vele; era ,così bello vestito da donna che si po­teva giurar di tutto meno che fosse maschio. E poi. piuttosto che serva pareva una damina tant'è delicato, moinardo e pieno di garbo (gli pare dì udire dei passi) Oh Dio! esce qualcu­no(corre a nascondersi dietro al mu­ro del giardino) Bisogna stare sul chi vive ad ogni istante. Avrei meno da preoccuparmi se fossi venuto per ru­bare (lazzi di paura per la sua stessa ombra che ad un tratta vede muover­si sul muro. Infine s'accorge dell'erro­re,  ma inquieto continua a guardarsi attorno sospettoso)  E' meglio farla fi­nita: cantare la serenata e darsela a gambe. Se non mi stenderanno qui morto con un fracco di bastonate tor­nerò domattina all'alba a vedere come vanno le cose. Alla luce del sole po­trò almeno essere sicuro di quello che vedo. Con questo maledetto buio non si è sicuri di nulla. (E comincia la se­renata cantando la stessa canzone can­tata da Leandro. Quanti?è verso la fi­ne si vede giungere guardinga guar­dinga della gente sul balcone e alla porta di casa che si apre adagio ada­gio con gran  precauzione)

SCENA 2

(Pierotto, Leandro, Lucinda, Capitan Spavento, Mascarillo e Messer Babio)

 (Dalla porta escono Mascarillo, messer Babio  e  Capitan Spavento  che pare  di­rigere le loro mosse. Sono Qutli e tre ar­mati di bastoni e fanno quasi a carboni un giro un  po' largo per accerchiare Pierotlo. Dai balcone intanto si sotlo protesi bene in vista Lucinda e Leandro sempre  vestito  da Pasquella)

 Leandro                        - (a Pierotto) La  mia padrona madamigella Lucinda è così felice e commossa  dai vostro canto appassio­nato e dolce che vuoi darvi un segno della sua attenzione inviandovi questo pegno d'amore. (Lucinda si nasconde e Leandro vuota, tradendolo di  sotto la ringhiera, un enoitfie orinale pieno di liquido giallo dorato; ma badando  be­ne che la, pioggia vada a finire sul ca­po del notaio e non su quello di Pierotto che.  impaurito,  se la da. a gam­be proprio mentre il. Capitano e Ma­scarillo già alzavano i loro bastoni su di lui.'I due. bastoni mancato il bersa­glio, cadono invece reciprocamente sul­le leste di Mascarillo e di Capitan Spavento, i  quali, intontiti  dal  colpo non vedono più niente e si mettono  a picchiare all'impazzata  su ciò che si trovano d'innanzi, e cioè il groppone di messer Babio che strilla geme e s: scrolla  come  un pulcino bagnato  fra. le matte risate di Leandro e Lucinda.

Capitan Spavento          - (picchiando) Questo per  le  serenate! Questo  per  i  sospiri.

Mascarillo                      - (picchiando)  E questo  per accordarti la chitarra.

Capitan  Spavento         - (che infine si  accorge di picchiare  messer Babio) Alto  là, ferma, basta, per carità! Non è lui!

Mascarillo                      - Non è  lui?!

Messer Babio                 - Ohiahi! Ohiaihi!

Capitan Spavento          - (irato, a messer  Ba­bio) Ma come diavolo mai  avete po­tuto fare,  messer Babio,  per venire a mettervi qui in mezzo al posto del ca-valier  Leandro?

Messer Babio                 - (con buffi lazzi di dolore) Ahiaiaihi! Io mi ci son messo?! Siete voi che mi siete venuti addosso come due dannati. Ahiaiaihi! (con lazzi di disgusto, scuotendosi) Bé!... E voi, là, cosa mi avete buttato in testa? Povero me!

Leandro                         - (con impagabile candore) Co­me? E' venuto a cadere sul vostro ca­po? Oh! che peccato! Sono desolata. Credevo di aver dato una buona le­zione a quel vagheggino e invece... Ep­pure ho mirato bene e posso garantir­vi, messere, che se è toccato a voi è per sola vostra colpa. Nella furia di farvi sotto non avete badato a quello che giungeva dall'alto. Ma consolatevi, messer notaio; non si tratta di umori femminili bensì di quelli del signor capitano. Avevo preso il suo orinale. Non vi deve dunque far schifo: è ro­ba del vostro sesso. (Leandro e Lucin­da rientrano ridendo) 

SCENA 3

(Capitan Spavento,  Messer Babio  e  Mascarillo)

 Messer Babio                - (avvilito) Peggio. Nella disgrazia speravo almeno fosse ambro­sia di quelle due figliole! Che sciagura! Ah! povero me! Mi sento soffocare dal fetore... Ahimè! Sono tutto inzuppato... e ho tutte le ossa rotte! Ahiaih! non ho nemmeno la  forza di parlare...

Capitan Spavento          - Bé, ora esagerate, ca­ro amico. Tanto chiasso per qualche spruzzo di...  di acqua benedetta.

Messer Babio                 - (irato) La chiamate uno spruzzo quella lavata di testa? E le legnate? come le chiamate le legnate?

Capitan Spavento          - Le legnate, le legna­te. .. ve le siete meritate le legnate. Quando non si ha la più lontana no­zione di scherma, di tattica, di stra­tegia non si va alla guerra. Che dia­volo v'è venuto in mente di voler ve­nire anche voi a suonare il tamburo sulla schiena del cavalier spasimante? Dovevate lasciar fare a me e a Ma­scarillo ed accontentarvi di assistere allo spettacolo. Non avreste avuto né battesimo né botte e, quel che è peg­gio, non avreste fatto scappare l'usignolo, in quanto ché, a voler essere sin­ceri, se il damerino ha potuto prende­re il volo è proprio soltanto per colpa vostra.

Messer Bario                 - Ahimè! Bastonato, mal­trattato e beffato per giunta! Ecco co­sa mi tocca.

Capitan Spavento          - Quante volte ve l'ho a dire che non avete che a recitare il me a culpa.

Messer Babio                 - Ali! è un'indegnità, è co­sa che grida vendetta.

Capitan Spavento          - (conciliante) Rientrate piuttosto in casa. Prendete qualcosa per rimettervi un po'. In fondo in fon­do non si tratta che di un tantino di paura.

Messer Babio                 - (indispettito) Paura? So­no mezzo morto e. voi parlate di pau­ra! Vi prendete ancora giuoco di me, voi! Bell'amico, in verità. Mi date il danno e la baia. Comincio a credere che  l'abbiate fatto apposta.

Capitan Spavento          - (offeso) Ed io comin­cio a credere che voi siate ingrullito. Siete un vecchio rognoso e non meri­tate alcun riguardo.

Messer Babto                - (sempre più' alterato) Li meritate voi i riguardi!

Capitan Spavento          - Non ve n'ho mai chiesti.

Messer Babio                 - Oh! quanto a questo, poi! Non passa settimana che non bussia­te alla mia porta.

Capitan Spavento          - Sapete benissimo che non vengo a bussare per conto mio. (con lazzi d'importanza e voce di tuo­no)  Io sono Capitan Spavento e non ho bisogno di alcuno. Presto sarò, sen­za, dubbio, nominato governatore o co­mandante di qualche cittadella, e tutti dovranno inchinarsi fino a terra al mio passaggio. E quanto a Voi, notarucolo maestro d'imbrogli, vi darò tal lezione che vi vada via per sempre ogni fregola di truffare il vostro prossimo e derubare i  vostri amministrati in barba alla legge.

Messer Babio                 - (fuori di se) Ohò da qual pulpito viene la predica!

Capitan Spavento          - E saprò pure trovare il verso di far spulciare i conti della nostra pupilla Lucinda e di denunciar­vi alla giustizia che certo non tarderà a capire il vostro latino e a darvi il castigo meritato che se non sarà pro­prio la forca poco ci mancherà. Ah! poffarbacco! è ora di finirla! La vostra tirannia mi ha condotto all'estremo li­mite della sopportazione.

Messer Babio                 - Ah, la prendete su que­sto tono? Ed è proprio a me che vor-rfisip H n ria ad ini end ere. pccpilent.issi- mo galantuomo? Come se non vi conoscessi e di fuori e di dentro e non sapessi che di rendite avete solo que altrui... per dirvela chiara, quella d la vostra pupilla; e che volete vive da gran signore e scialacquare a vostro  piacimento  dilapidandola.

Capitan Spavento          - (avventandosi come 1 galletto) A me voi avete l'ardire parlare a questo modo? Badate!

Messer Babio                 - (anche lui impennato come un gallo) Oh non mi fate paura signor ammazzasette.

Capitan Spavento          - E voi mi fate pietà signor ladrone.

Messer Babio                 - E voi mi fate ridere, signor scroccone.

Capitan Spavento          - Sono contento e senza volerlo vi ho vergata la schiena a suon di legnate.

Messer Bario                 - Lo sapevo bene che l’avete fatto apposta. Sprizzate veleno come un serpe.

Capttan Spavento          - E voi acqua fetida ogni poro come un rospo. (Mascarillo  dopo aver seguito in ogni passo il padrone ed aver rifatto  tutti i suoi U zi, entra in casa proprio mentre Leandro sempre  vestito da Pasauella. esce)

SCENA  4

(Capitan Spavento, messer Babio e Leandro)

Leandro                         - ('intromettendosi fra i due) O signori, vi prego... Non vi pare che sarebbe ora di finirla con queste litania. E' un'ora che vi giulebbate a dir ste l'un dell'altro e a far sapere a tutti i fatti vostri. O perché non ve li lavate in casa, almeno, i vostri panni se sono così sporchi? Vi par bello e degno di voi, e siete gente di onore, il tenere sin discorsi come Ferbivendole al merito? Perdonatemi se m'impiccio, sigu padrone, ma io ho per voi grande stima e mi spiacerebbe assai che il vicinato potesse credersi in diritto di non averne. E voi, messer Babio, siete voi più uomo tenuto in gran conto, e vqrri ora dunque diventare la favola di tutti? Se voi stessi vi accusate l’un l’altro di derubare a man salva la vostra t pilla come volete che gli altri non credano, e ch'ella poi, vi abbia ancora  amore e  rispetto? Non fatevi saltare la muffa al naso ed invece di guardarvi in cagnesco e tevi di buon gradò la mano e fate pace scordando tutte le brutte cose che vi siete dette. Io per me, l'ho già scordate, e id speriamo dì questa brava gente che è affacciata alle finestre al canto de vostre serenate. (Fa cenno al pubblico. I due, invece di darsi la mano girano il dorso e si allontanano l’uno dall'altro)

Capitan Spavento          - (cupo) Non potrò più dimenticare.

Messer Babio                 - (torvo) Non potrò più perdonargli  un tale affronto.

Leandro                         - (al capitano) Eh! via! eccellentissimo padrone, si tratta del vostro migliore amico.

Capitan  Spavento         -  Lasciami  fare.

Leandro                         - (correndo da messer Babio) E messere, considerate che l'ira, sovente fa dir cose che non sì pensano.

Messer Babio                 - Può darsi, ma io penso tutto ciò che ho detto ed anche peggio.

Leandro                         - Ah! bene (torna dal capitan Sapete, padrone? Messer Babio dice che è pentito  di quanto vi ha detto.

Capitan  Spavento         - Ah! si? E allora mi chieda scusa.

Leandro                         - Si capisce. Ora glielo dico   (va di nuovo da Messer Babio) Messere, il mio padrone è sinceramente mortifi­cato di essersi lasciato trasportare dal­la collera.

Messer Babio                 - Può darsi. In questo ca­so esigo delle scuse.

Leandro                         - Ben detto, avete ragione da vendere (torna ancora dal Capitano) II notaro è pronto a chiedervi scusa; ma, capirete, non sa come fare: è più anziano di voi. Potreste accontentarvi che vi  stenda per primo la mano?

Capitan Spavento          - E ti pare che basti?

Leandro                         - A me parrebbe. Gli dico che accertate? (corre da messer Babio) Mio buon messere, il capitano è ben lieto di presentarvi le sue scuse; ma, inten­dete, è un uomo d'armi, rude, e non sa trovare le parole adatte.

Messer Bario                 - Tanto peggio per lui.

Leandro                         - Ecco, io ho pensato che potreb­be, in segno di pentimento, stendervi per primo la mano. Che ne dite?

Messer Babio                 -  Già,  per lo meno.

Leandro                         - Appunto (di bel nuovo dal ca­pitano) E' fatta. Vi stenderà la mano per primo; ma voi dovrete almeno sor­ridergli .per mostrargli subito il vostro gradimento.

Capitan Spavento          - Vada! Tanto per far­la finita sorriderò.

Leandro                         - (a messer Babio) Finalmente l’accordo è raggiunto. Per .primo vi offrirà la mano com'è, del resto, suo dovere. Io poi, mi permetto, per conto mio, di rivolgervi una preghiera. Ac­coglietelo con un bel sorriso: sarà la prova lampante che non gli serbate rancore.

Messer Basto                 - Questo è un po' troppo, ma...

Leandro                         - Suvvia!... (gli prende la mano e lo conduce un po' verso il capitano e, presolo a sua volta per mano, lo trascina verso il naturo):

Leandro                         - (sottovoce a Capitan Spavento) E' diventato  un  agnellino.

Capitan Spavento          - (con disprezzo) Già lo sapevo.  E'  un vigliacco.

Leandro                         - (giunto vicino a, messer Babio gli prende la mano) Ebbene, signori, stiamo ai patti, mi raccomando. Su, giratevi e andatevi incontro (mentre i due vergognosi si girano a stento Lean­dro congiunge le loro mani, poi sof­fia nell'orecchio dell'uno e dell’altro. Il sorriso Sorridete. (Sorriso  forzato dei due brontoloni che si trovano con le mani strette senza comprendere co­me)

Messer Babio                 - (accorgendosi del trucco) Ah! non ci sto: doveva esser lui il primo.

Capitan Spavento          - Questa poi! Toccava a voi,  scimmiotto.

Leandro                         - (perdendo la pazienza) Uffa! signori! Che? Vorreste forse ricomin­ciare? m'avete fatto sudare due cami­cie per mettervi d'accordo e siamo da capo? Non vi basta ancora?

Messer Babio                 - Si era intesi che...

Capitan Spavento          - Appunto era deciso...

Leandro                         - (sbuffando) Oh! poi, dopo tut­to, vorrei sapere perché me la prendo tanto a cuore. Volete litigare? Acco­modatevi. Impiccatevi, magari, se vi garba. Anzi, volete che vi prepari la corda? che ci dia un po' di sapone per farla scorrer meglio? Avanti, su: cos'aspettate per graffiarvi, tirarvi la barba, addentarvi il naso? Non vai proprio la pena affannarsi per voi, desiderare il vostro bene... Hihihihi! (piange dirotto con lazzi di disperazio­ne)

Capitan Spavento          - (cuor tenero) Ma, Pasquella. perché piangi?

 Leandro                        - (più disperata ancora) Hihihihi Lasciatemi stare

Messer Babio                 - (con dolcezza) Piccina mia, ma non  disperarli...

Leandro                         - (pestando i piedi) Hihihih! vo­glio piangere,  si,  voglio piangere.

Capitan Spavento          - Ma insomma, Pa-squelia!

Leandro                         - Hihihihihihihìiiiii!

Messer Babio                 - Ma cos'hai? Ti senti male?

Leandro                         - Hihihiìiih!

Capìtan Spavento          - Mi si spacca il cuore.

Messer Babio                 - Mi commuove fino alle lagrime.

Leandro                         - Hiihihih!

Capitan Spavento          - Su, cara...

Messer Babio                 - Via, bella...

Leandro                         - No no no! Oh! Se voi avete gusto a gridare perché non devo io aver gusto a piangere? A ognuno il suo. Hihihihih! Finché non smetterete di gridare io non smetierò di piangere. Hihibi

Capitan Spavento          - Ma noi non gridiamo -più...

Messer Babio                 - Non osiamo neanche più fiatare...

Leandro                         - Davvero?

Messer  Babio                -  Davverissimo.

Capitan Spavento          - Come no?

Leandro                         - Va bene. E allora dal momen­to che non avete più nulla da dirvi abbracciatevi, datevi la buona notte e, ciascuno  per la sua  strada, se ne vada a letto.

Capitan Spavento          - (ridendo) Che bricconcella, eh? Ne sa una più del demo­nio.

Messer Babio                 - (ridendo) E7 una furbona di due cotte. Siete sempre fortunato voi, mio caro capitano. Una donnina di questa fatta in una casa significa poter dormir  tranquilli.

Capìtan Spavento          - (felice) Lo credo be­ne.

Leandro                         - Se devo essere schietta con­fesserò che sono veramente lieta di trovarmi fra gente di così alto compren­donio come voi, signori. Io non ne so­no degna, ma mi sforzo di fare del mio meglio. Così stimo che quando un padrone non riflette a quello che fa una serva di giudizio ha il dovere di rimetterlo  in  carreggiata.

Messer Babio           - (entusiasta) O guarda un po', ma sta dicendo di gran belle cose! Brava   (trattenendo il capitano che ha finalmente capito e sta facen­do lazzi d'indignazione) No, egregio amico, lasciatela dire, vi prego. Que­sta ragazza è un pozzo di buon senso, è un acquisto prezioso.

Capitan Spavento          - Non dico di no, ma...

Messer Babio                 - (al colmo della, felicità) E per la nostra pupilla, poi, è proprio una manna. Non avremo più da sta­re in ansia. Con una guardia simile! vero, Pasquella?

Leandro                         - Potete star sicuri. Fidatevi di me. Vi garantisco che calabroni qui intorno  non  ne  vedrete  più ronzare.

Capitan Spavento          - Non ne dubito. Ed è anche solida, se per caso dovrà me­nar le mani.

Leandro                         - Non c'è male. Sentite che mu­scoli.

Messer Babio                 -  E  astuta.

Leandro                         - Un pochino.

Capitan Spavento          - E coraggiosa.

Leandro                         - Si, insomma, le ombre non mi fanno paura.

Messer Babio                 - E nemmeno le persone vi­ve,  credo.

Capitan Spavento          - (ridendo) Le tratta. con certi argomenti. Non avete visto poco fa col  canterino? Ahahahaah!

Messer Babio                 - (ripreso dalla 'malinconia) Purtroppo, non ho solo veduto, ho anche  sentito.

 Leandro                        - (coti molto miele in bocca) Ma ora non pensateci più, messer notaro, altrimenti mi farete morire dai ri­morso. Non è stata colpa mia, eppu­re, credetemi, non posso perdonarmi quell'errore involontario.

Capitan Spavento          - (sentenzioso) Non è stato un errore, è stata una sostituzio­ne dì bersaglio.

Messer Babio                 - (in brodo di giuggiole) Sei così buona e cara,  Pasquella.

Capitan Spavento          - Accorta, premurosa, diligente...

Messer Babio                 - (estatico) Ha degli oc­chioni... assassini...

Capitan Spavento          - E si: sono belli e... (riprendendosi) Olà, adagio, messer Babio,  che dite?

Messer Bario                 -  (confuso) Eh eh! come si fa?-..

Leandro                         - (a messer Babio) Vi conviene rincasare ora, messere, e in tutta fretta per togliervi  di dosso questi panni bagnati. Se tardate ancora potreste prendervi un malanno.

Messer Babio                 - Si, si… ma è stato un bagno superficiale. Non ci penso nean­che più.

Leandro                         - Tuttavia è meglio essere pru­denti.

Messer Babio                 - Oh! cara, quanta curai Quanto affetto!

Leandro                         - (sulla porta, chiama) Mascarillo, vieni fuori con una lanterna, e accompagna messer il notaro che non abbia a inciampare.

Messer Babio                 - Oh! mi intenerisci il cuore con le tue attenzioni, Pasquella. Che angelo,  che angelo.

Capitan Spavento          - (seccato con lazzi d'im­pazienza) Già... già... andiamo, an­diamo...

Messer Babio                 - Sono proprio contento.

Capitan Spavento          - (con uno sbuffo) Ed io arcicontentissimo.

Leandro                         - (mentre Mascarillo esce con una lanterna in mano) Eccovi servito, messer Babio. Andate con Dio e buo­na  notte.

SCENA 5

(Leandro, Spavento, Messer Babio e Ma­scarillo),

Messer Babio                 - (a Leandro, toccandole le braccia) Oh, cara,  grazie,  cara...

Mascarillo                      - (a messer Babio) Sono ai vostri  ordini, messere.

Messer Babio                 - (a Capitan Spavento che lo sospinge) Caro amico, vi sono grato della serata e vi tolgo l'incomodo.

Capitan Spavento          - lo, vi son grato. Buo­na notte.

Messer Babio                 - (andando dietro a Masca­rillo)  Buona notte.

Leandro                         - Buona notte.

SCENA  6                    

(Leandro- e  Capitan Spavento)

Capitan Spavento          - Ah! finalmente quell'impiastro si è staccato! Ce n'è volu­to! E'  un po' noioso, vero,  Pasquella?

Leandro                         - No Perché? Povero messer Babio!

Capitan Spavento          - (indagatore) Tu lo compatisci un po' troppo. Quello è una canaglia matricolata.

Leandro                  - L'ho già sentito dire, ma Io si dice di tante persone. Io credo che in fondo in fondo sia come le borse degli avari che son brutte e sporche di fuori, ma dentro hanno magari dei tesori.

Capitan Spavento          - Non mi dirai che quel babbione ti va a genio?!

Leandro                         - (ridendo) Oh! vi pare. Che dite mai? Mi fate ridere, posso compatirlo perché sono una ragazza che ha buon cuore; ma che mi vada a genio poi! Quel babbeo! Figuriamoci! Bella roba!

Capitan Spavento          - (rinfrancato) Volevo ben dire. E di me, Pasquella, che ti pare?  Ma  Rii  sincera lied!

Leandro                         - (adulatore) Eh!  voi...

Capitan Spavento          - Non tener conto che sono il tuo padrone. Non voglio com­plimenti.

Leandro                         - (con gli occhi a terra) Padro­ne o non padrone, voi siete un bell'uo­mo, capperi.

Capitan Spavento          - (pavoneggiandosi) Ti pare?

Leandro                         - (con lazzi di vergogna) Oli! cosa mi  fate  dire!

Capitan Spavento          - (in- posa) Che ne di­ci del mio portamento?

Leandro                         - (ammirato con calore) Fiero, libero, sciolto come quello di un giovanotto. Voltatevi  un  po' di  grazia, e fate qualche passo. Oh! non si può dar di meglio. Che fierezza che ele­ganza! Siete stupendo. La vostra figu­ra è degna di s'are a modello. Siete una meraviglia.

 Capitan Spavento         - Credi che possa pia­cere?

Leandro                         - E come! Questo si, che si chia­ma esser uomo! C'è da riempirsi gli occhi a guardarvi.

Capitan Spavento          - (gonfio come un otre) Vedo che te ne intendi, Pasquella... (malizioso) ..-e penso che c'intenderemo.

Leandro                         - (candidamente) Non faticate­vi a pensare. State  così bene  così!

Capitan Spavento          - (allusivo ringalluzzi­to) Già... ma... volevo dire... (ma è preso dalla  tosse)

Leandro                         - Tossite con calma; non preoc­cupatevi.

Capitan Spavento          - ('seccato) Ho un po' di catarro in questi giorni.

Leandro                  - E' un nonnulla. Non vi sta mica ma'e, sapete? Tossite con tanto garbo! (giunge di ritorno Mascarillo che rimane contrariato vedendo an­cora fuori Pasquella con il capitano: accenna meianconìco atta sua Lanterna COii. io, yuuie i u, niinj.

SCENA  7

 (Leandro, Spavento  e  Mascarillo)

Leandro                         - (trascinando affettuosa il ca­pitano) Venite, venite, vi farò bere una buona tisana prima di mandarvi a letto.

Capìtan Spavento          - (seguendo Pasquella in casa) Ah! sei proprio un tesoro, Pasquelluccia...

SCENA  8                     -

 (Mascarillo  solo)

Mascarillo                      - (con lazzi di dispetto) Quante smancerie! Maledizione! Quan­to è bella questa Pasquella! Quanto mi piace!... Che disdetta!... Sta a ve­dere che anche questa se la becca il padrone, ed a me toccherà restare sempre a bocca asciutta. Maledizione! Che voglia avrei di farle una sere­nata' Ah! Pasquella, Pasquelìa miai

TELA

ATTO QUARTO

 Scena tagliata in tre. Al centro camera di Lucinda, da un lato un corridoio e dall'altro un balcone esterno che sfon­da sul cielo e le cime degli alberi del giardino.  È  notte...

SCENA  1

(Lucinda e Leandro)

(Nella camera di Lucinda Leandro, tut­tora vestito da Pasquella, chiude a chia­ve la porta che comunica con il corri­doio e poi stringe con calore fra le braccia Lucinda)

Leandro                         - (traboccante di tenerezza, sin­cera) Lucinda, cuor mio, finalmen­te! Ah! che gioia potervi stringere fra le braccia senza paura che ci sorpren­dano!

Lucinda                         - (tremante di emozione) Lean­dro, amor mio, mi stringete tanto che mi togliete il respiro, eppure è un in­canto, una delizia stare così chiusa fra le vostre braccia. Che bell'inven­zione è stata questa vostra di metter­vi nei panni di Pasquella!

Leandro                         - (ridendo) E' l'amore che ren­de intraprendenti.

Lucinda                         - Mi viene ancor da ridere. Co­me se la son bevuta! Oh! che timore avevo appena vi ho veduto così tra­vestito: avevo paura che vi scopris­sero tanto a me non pareva vero che Vi potessero credere donna. Invece! Anzi, vi facevan persino le moine. Ahah! E tu foggi, e stasera ancora! Ahah! (in contemplazione di Leandro) Ma le meritate però: siete veramente bello.

Leandro                         - (scherzando)  Davvero? Sono una bella donna?

Lucinda                         - Si,  si, siete bello. Guardatevi nello specchio se non credete.

Leandro                         - (guardandosi allo specchio e ri­dendo) Già, non c'è male. Questa veste sgargiante di giovane campagno­la e questo fazzoletto che mi incornicia il viso mi danno in verità una fisio­nomia di gattina fascinosa. Ah ah! che graziosa bimba! Come ci son ca­scati! (togliendosi il fazzoletto e slac­ciandosi la veste) Ma ora basta: via! alla malora queste cianfrusaglie, e torni ai vostri occhi e ai miei il viso sfacciato di Leandro, certo meno bel­lo, ma più schietto, (buttando in un canto due fìnti seni  fra le risate di Tn;ns*nAs, •■Im i.,; rnwp nT-ì archi Tftldì- camente)  E alla malora questa im­bottitura. Che sudata! Che duro me­stiere è fare la donna! (si toglie an­che la gonna) Vi piaccio ancora?

Lucinda                         - (divertita) Amore!

Leandro                         - Ah! Lucinda mia, che mira­bolante idea ha avuto il capitano di volere che io venissi assolutamente a dormire qui nella vostra camera! Ahaah! E proprio per impedire a quell'ostinato del cavalier Leandro di po­ter battere alle vostre finestre. Ahahali! (Risate di entrambi e loro lazzi di gioia che si mutano tosto in danza e poi in un nuovo allacciamento e in un'estasi di reciproco rapimento) 

Lucinda                         - Ahah! Temeva le vostre sere­nate.

Leandro                         - E non immagina mai più che ora posso cantarvele addirittura all'o­recchio, e senza che nessun altro pos­sa udirle. (Viso contro viso Leandro canta sottovoce la strofa di una can­zone dì amore, e poi le chiede): Pre­ferite udirle così da vicino oppure dal balcone o dietro la finestra?

Lucinda                   - Da vicino o da lontano mi fanno sempre ballare il cuore in pet­to; ma ora mi sento nientemeno che in estasi per la gran felicità.

Leandro                         - (riabbracciandola) Lucinda, anima mia! (e riprende a cantar un'al­tra strofa viso  contro viso)

SCENA 2

(Lucinda, Le andrò e  Mascarillo)

(Ad un tratto Leandro si arresta e sta in ascolto.  Infatti di  là,  nel corridoio, appare guardingo Mascarillo che. si av­vicina alta porta della camera e si met­te, a guardare dal buco della serratura) 

Leandro                         - (sottovoce a Lucinda) Ssssst. Mi pare di sentire qualcuno di là. De­v'essere  quel  marrano di Mascarillo che viene ad  origliare 

Lucinda                         -  (istintivamente allarmata, in un soffio) Oh!  Dio mio!

Leandro                         -  Non  temete. Ora  gli  do  una di quelle lezioni...

Mascarillo                      - (di là, tra sé) Che stupida idea mandare la serva a dormire con la padrona. Per fortuna c'è ancora ]a luce. Ah! se almeno potessi vedere Pasquella in camicia! (e colla l’occhio contro il buco della serratura) 

Leandro                         - (giunto presso la porta dice con voce grossa arcana terribile) Mascarilloooo! ti Vedooooo! (sorpresa e laz­zi di errore di Mascarillo) 

Leandro                         - ...e ti dico che se non fili su­bito a letto ti buschi tante legnate che rimani stecchito dove ti troviiiii. (Fuga precipitosa di Mascarillo. Leandro ride soddisfatto)

SCENA 3                              

(Leandro e Lucinda)

Lucinda                         - (allarmata) Ci spiano, Lean­dro. Che abbiano sospettato qualche cosa? 

Leandro                         - Non preoccupatevi. E' appun­to perché non hanno sospettato nulla che quello sciocco veniva qui a fic­car l'occhio nel buco della serratura-

Luctnda                         - Oh! Leandro, io non sono tranquilla.

Leandro                         - (prendendole le mani) Come? perche? Rinfrancatevi, cara, potete sta­re sicura. Siamo qui soli e proprio senza alcun sospetto, protetti da quat­tro mura e da una solida porta con serratura doppia, e sotto gli sguardi benigni di Cupido che ci sussurra: amatevi.

Lucinda                         - (abbracciando Leandro) Avete ragione, Leandro.  Vi  amo  tanto, ep­pure,  non so come né capisco perché, mi ha  preso di un tratto  una  vaga paura... Ne  tremo  tutta.

Leandro                         - (accarezzandola) Lucinda ado­rata, ho tante cose da dirvi e tante desidero udirne dalla vostra bocca soave. Vi amo e vorrei che voi foste la mia sposa se, come credo, bramate? la  stessa  cosa.

Lucinda                         - (con trasporto) Se lo bramo? Altro sogno non ho che di esser vo­stra. Udendo battere il vostro cuore mi sento scioglier tutta l'anima in un grido di gioia e letizia... Tuttavia un certo timore mi. pesa sul capo, mi con­fonde e mi rimescola tutta, uno sbigottimento m'invade.

Leandro                         - Appoggiatevi sul mio petto e vi acquieterete... (La fa sedere e le si - siede accanto sul letto facendole poi appoggiare il capo sul suo petto) _ Que­sta commedia non potrà certo conti­nuare, o presto- o tardi'non può man­care di venire scoperta. E' dunque ne­cessario, prima che questo avvenga, che noi due abbiamo deciso a punti­no quanto dobbiamo fare per la no­stra felicità.

 

Lucinda                         - (trasognata) Cosa si potrebbe fare?

Leandro                         - Forse fuggire insieme sposan­doci prima di nascosto?

Lucinda                         - E come potremo sposarci di nascosto?

Leandro                         - In verità non sono troppo pra­tico di matrimoni. Fin'ora non mi so­no mai sposato.

Lucinda                         - Nemmeno io... Come faremo allora? E come potremo fuggire? e do­ve andremo?

Leandro                         - Quanto a questo non sono troppo in pensiero: saprò ben io co­me fare e dove andare, ma certo pri­ma bisogna aver tutto predisposto per le nostre  nozze.

Lucinda                   - Amor mio, e non sarà male che io mi lasci rapire? E tu, portan­domi via, non sarai poi perseguitato dall'ira dei miei tutori? Ci faranno in­seguire e forse non potremo mai tro­var luogo  sicuro  dove  sostare.

Leandro                         - Ci basterà la sicurezza dei no­stri cuori legati l'uno all'altro con il dolce nodo dell'amore; quanto al resto nulla ci. deve importare. Vicino n voi mi sento capace di affrontare l'uni­verso  intero.

Lucinda                         - Ei io fra le vostre braccia sto così bene che mi lascerei portare in capo al mondo.

Leandro                       - (pensoso) Qui ci vuole un ge­sto dì coraggio, Lucinda.

Lucinda                         - O Leandro, non chiedetemi di aver coraggio. Mi sentivo molto più ardita da lontano. Allora per voi mi aveste detto di saltar giù dalla finestra nelle vostro braccia l'avrei fatto senza nemmeno pensarci sopra un istante. Ora invece, non so, ve l'ho già detto, mi sento così timida, così smarrita. Fno strano timor panico mi stringo il cuore, mi fa'tremare le gambe. Più vi sto vicina e più mi abbracciate mi accarezzate, mi baciate, e più mi pare di dover svenire, per morire. Non comprendo... Forse è perché sono troppo felice...

Leandro                         - Anch'io  sono  tanto  felice!

Lucinda                         - Leandro mio caro, non tene­temi così stretta mi fate male Oh! non so. Leandro, non so... (si alza re-svnqpndolo con un'ingenuità Quasi selvaggia) Non so... ma credo che sia meglio che andiate nella camera qui accanto,  a, dormire.

Leandro                         - (baciando le mani che lo re­spingono) Perché, tesoro, perché mi scacciate?

Lucinda                         - Non vi scaccio. Leandro... Non pò capire ma, vi prego, non fate­mi disperare, siate buono, ascoltate­mi, andate via, di là... Domattina pre­sto  verrete a svesciarmi...

Leandro                         - (appassionato) Ma.  Lucinda...

Lucinda                         - No, non smaniatemi a questo modo, Leandro... Ho paura...

Leandro                       - Non è paura, Lucinda, è amo­re... Non allarmatevi, cara... Non sen­tite che delìzia mi date solo lasciando­mi  la vostra mano?

Lucinda                         - Ho paura, vi dico, andate, Leandro, andate non mi reggo  più...

Leandro                  - Si, ecco, me ne vado. Starò qui discosto presso il mio lettino; qui, vedete?

Luctnda                         - No, andate fuori.

Leandro                         - Ma può accorgersi Mascarillo o il vostro padrino, e allora tutto è finito.

Lucinda                         - (allarmata, corrucciata) Già, è vero: come si fa? Ecco, qui, venite qui sul balcone. Vi do coperte e cu­scini; vi aggiusto un lettino qui sul balcone. (Felice della sua  trovata apre la porta del balcone e butta fuo­ri qualche cuscino e dette coperte)

Leandro                         - Tesoraccio mio, perché volete farmi fare questa penitenza?

Lucinda                         - (trascinandolo al balcone) Perché si, Ma non sarà affatto una pe­nitenza;  starete  benissimo.

Leandro                         - Mia dolce tiranna, lasciatemi qui, vorrei  poter guardarvi  almeno...

Lucinda                         - (aggiustando cuscini e coperte) No, no, ma vi starò vicino ugual­mente.

Leandro                         -  E' una  pazzia.

Lucinda                         - (cercan&o di chiudere la porta oeira^a) Starò qui vicino... dietro la porta.

Leandro                         - io voglio vedervi, parlarvi...

Lucinda                         - Possiamo vederci e parlarci an­che così... (con sforzo vuol chiudere la porta contro la quale poi si mette in­ginocchiata picchiando sul vetro per invitare Leandro a fare altrettanto)

Leandro                         - (ponendosi in ginocchio di fron­te a Lucinda col viso diviso dal suo solianio dal vetro della porta) Siete una cattivona.

Lucinda                         - (civetta) State bene, mio si­gnore?

Leandro                         - ((immusonito) Mi sembra di es­sere in gabbia.

Lucinda                         - Io invece sto comodissima; mi pare quasi di essere in carrozza... e non ho più paura di niente. Mi inten­dete, amore mio? E: una cuccagna!

Leandro                         - Non intendo niente. (Lucinda risponde dando un bacio sul vetro)

Leandro                         - (baciando il vetro anche lui) Perfida torturatile.

Lucinda                         - (ribaciando il  vetro)  Amore.

Leandro                         - (dando un secondo bacio al ve­tro) Mi fate soffrire il supplizio di Tantalo.

Lucinda                         - Amore.

Leandro                         -  Despota inesorabile,  apritemi.

Lucinda                         - Amore.

Leandro                         - Volete farmi esalare l'ultimo respiro  contro questa porta?

Lucinda                         - Amore.

Leandro                         - Misericordia, mia bella carce­ri era.

Lucinda                         - Amore dolcissimo.

Leandro                         - Se perdo la pazienza butto tutto  all'aria.

Lucinda                         - Lucifero.

Leandro                         - Oh!  come sono  infelice!

Lucinda                         - Piagnucolone!

Leandro                         - Sono  ridotto all'estremo.

Lucinda                         - Piagnucolone!

Leandro                         - 0 me sventurato!

Lucinda                         - Piagnucolone!

Leandro                         - Non ne posso più!

Lucinda                         - Piagnucolone!

Leandro                         - Mi sento morire.

Lucinda                         - Piagnucolone!

Leandro                         - Disperazione,  soccorrimi tu!

Lucinda                         - Piagnucolone!

Leandro                         - Sono sui carboni ardenti!

Lucinda                         - Badate di non dar fuoco alla casa.

Leandro                         - (in un formidabile starnuto) Ah...  Ah...  eh! eh! Eccì!

Lucinda                         - (allarmata) Ssssst. "Fate più piano.

Leandro                         - Eccì! Eccì!

Lucinda                         - Demonio, svegliate tutti.

Leandro                         - Ehe...  eccì!

Lucinda                         - (furente) Smettetela se no mi arrabbio.

Leandro                         - Ehe... eccì! Eh... e come posso smettere? Eh...  eccì!

Lucinda                         - (severa) Ora basta con questo scherzo.

Leandro                         - Eccì

Lucinda                         - (tenera) Vi supplico: fatela fi­nita.

Leandro                         - Eccì.

Lucinda                         - (Severa) Vi pianto in asso e va­do a letto.

Leandro                         - Eccì.

Lucinda                         - (tenera) Siate buono, caro!

 

Leandro                         - Eh... eccì!

Lucinda                         - (furente) Eh no! è troppo! (si allontana dalla porta)

Leandro                         - Ah! povero me! Ecccccì!

Lucinda                         - Che birbante!

Leandro                         - Eh... e... eccì! Ho preso fred­do: apritemi per  carità.

Lucinda                         - (riavvicinandosi) Bugiardone.

Leandro                         - E... e... eccì!

Lucinda                         -  Cocciutone!

Leandro                         - Eccì

Lucinda                         - Testandone.

Leandro                         - Ah! datermi almeno... eh eli... un fazzoletto.  Eccì.

Lucinda                         - Fintone!

Leandro                         - Eccì!

SCENA 4

(Leandro, Lucinda e  Capitan Spavento)

(Di là nel corridoio spunta il Capitano, in camicia e  berretto da notte con una lampada in mano)

Capitan Spavento          - (picchiando alta por­ta) Pasquella, cosa  succede?

Leandro                                   - Eccì!

Lucinda                         - (impressionata corre subito ad aprire' a Leandro e gli dice sottovoce) Zitto!  c'è  il capitano.

Leandro                         - (entrando) Eh...  e...  eccì!

Capitan Spavento          - Pasquella!

Lucinda                         - (sottovoce a Leandro) Aspetta­te. Non aprite. State attento, mettete­vi la camicia da notte. Fingete di al­zarvi dal letto,     - (gli porge la camicia, un fazzoletto per il capo, delle babbuc­ce, poi chiude la porta del balcone e corre a ficcarsi tutta vestita sotto le coperte del  letto)

Leandro                         - Maledizione! Eh... eccì!

Capitan Spavento          - Ebbene, Pasquella, che diavolo c'è?

Leandro                         - Eh... e... e…. Chi è? (Lucinda ha un soprassalto di stupore e lazzi di rimorso comprendendo infine che il raffreddore era vero. Si alza e va a legare un fazzoletto sul capo di Lean­dro)

Capitan Spavento          - Sono io,  ìl  padrone.

Leandro                         - (infilandosi una lunga camicia da, notte) Ma... eh eh... e e... Cosa volete? Eccì.

Capitan Spavento          - Come? sei tu che starnuti? Ah! per Marte! Avrei giurato che c'era qualcuno in giardino, anzi addirittura sul balcone.

Leandro                         - (con lazzi di minaccia all'indi­rizzo di Lucinda che nasconde la, te­sta sotto le coperte) Eheccì! Sono io, purtroppo... In questo letto c'era tanta muffa che appena entrata sotto le co­perte ne ho avuto il naso pieno. Eh ec cì. (Leandro si slega il fazzoletto per pulirsi il naso, ma Lucinda, accorre subito e glielo lega di nuovo sul capo)

Lucinda                   - State attento per carità.

Capitan  Spavento         -  Che  fai, Pasquella?

Leandro                         - Niente. Cerco le pianelle... Vo­lete che, vi apra? (apre la porta e sta sull'uscio) Quanto mi rincresce di aver­vi svegliato... Eheccì. Che ne dite? for­se è meglio che io vada in un'altra ca­mera a dormire?

Capitan  Spavento         - E  perché?

Leandro                         - (avanzando) Dicevo cosi, per lasciare riposare in pace madamigella Lucinda...  Eh! ef... et...

Capitan Spavento          - (respingendola) Nem­meno per sogno! Sei matta? Sta pure li. Mi sento più tranquillo. Anche se di tanto in tanto la svegli con uno starnuto  non  c'è  nulla  di  male.

Leandro                         - (insistendo) Ma non vi pare che...

Capitan Spavento          - Mi pare, mi pare un corno, per Giove Tonante, e fila a let­to.

Leandro                         - (salutando a cenni) Eh... ef... ef e e e... Eccì! (Chiude la porta e gira  la chiave nella serratura)

Capitan Spavento          - (fra se) Povera Pa­squella!    - (sopra  pensiero con  lazzi  di

 dispetto) Povero me, piuttosto! Che diavolo mi sia successo? Non faccio altro che pensare a questa... a questa... (ride) ...a questa cavallona e non mi riesce di prender sonno, stanotte. (medita) Ah! e quell'altro babbione. anche, con tutti gli anni che ha sulla groppa! Come sbavava! Ah come sia­mo fragili noi poveri uomini! Per una gonna quanti lagni, quanti sgambetti, quanti sospiri! (se ne va adagio adagio sospirando)

SCENA 5

(Leandro e Lucinda)

Leandro                         - (in ascolto con l'orecchio incol­lar alla, porta) Se n'è andato ef.., ef... e e (riesce a troncare lo  sternuto)  

Lucinda                         - (esce svelta di sotto le coperta e accorre amorosa versa Leandro) Oh! Amor mio, come sono stata puni­ta! Sono io  la causa del  vostro  malanno. Eppure Dio sa se io  lo volevo!

Leandro                         -  Eh ef ef...  Eccì!

Lucinda                         - Cosa si potrà mai fare? Ah si, venite, venite qui, piccolo caro... (lo trascina vicino al letto) Scendetevi qui nel mio letto che è più soffice e più caldo. Vi coprirò bene bene con queste buone coperte e poi con dei cuscini  di  piuma  per farvi  sudare...

Leandro                         - (sdraiandosi e lasciandosi coc­colare con evidente compiacenza) Eh... e... ef  ef  ef  eh!

Lucinda                         - (come la mamma ad un bim-bo) ^Sdraiatevi ammodo :. così. Ora aspettate; vi aggiusto i guanciali. Al­zatevi un paco, amore, che vi metto questo sotto la schiena, ecco, e quest'altro per tenere alto il capo, e que­sto ancora perche la testa non penda dall'altra parte. State bene così?

Leandro                  - (con lazzi di languida piati-zia) Eh...  ef ef ecci eh! ah!

 

Lucinda                         - (si inginocchia presso il letto) Ora vi passo le dita sopra la fronte: dicono che sia molto efficace per cal­mare l'irritazione quando si sternuta. E' vero? vi fa bene?

Leandro                         - (inondato di dolcezza, in un sof­fio) Si, cara, oh! Come vi sono gra­to!

LiciNoa                         - Non preoccupatevi, non agita­tevi, tesoro mio. State tranquillo. Sto qui io a vegliare... Scellerata che so­no! Ho fatto ammalare l'angelo mio! Caro, cosa volete?

Leandro                         - Nulla, dolcezza mia. Ora sto bene, ma voi, voi prendete freddo? (la copre, con pare delle sue stesse co­perte) Ecco: copritevi un poco anche vuoi ìiuu giai'uiuu di denzie. Così, qui vicina a me, amor mio.

Lucinda                         -  (stringendosi contro) Amore...

Fine dell’atto

Secondo intermezza

ATTO QUINTO

Davanti alla casa di  Capitan Spavento

SCENA  1

(Marotta e Pasquella)

Pasquella                       - (con lazzi di paura trattenen­do la vecchia mamma Maretta) Vi dico, mamma, che ho paura di avvici­narmi a quella casa. Voi non ci cre­dete perché non avete parlato con quel giovane che mi ha dato tutto quel de­naro dicendomi di tornare subito al villaggio. Se. voi aveste visto com'era spaventato!

Maro ita                         - (incredula) Puah! Non è chia­ra questa faccenda. Io ci vo' veder be­ne dentro. Il boscaiolo mi ha detto che ha incontrato i! capitano: segno dun­que che non è morto.

Pasquella                       - Sarà il suo fantasma, mamma.

Marotta                          - Sempliciona. E la peste? che non c'è mai stata al dire di tutti. Co­me vuoi che te la canti che sei stata burlata?

Pasquella                       - Ne vorrei una ogni giorno di queste burle a suon di borse piene di  spezzoni di argento.

Marotta                          - Lo creda bene. Anch'io! Ma il gaglioffo avrà ben avuto il suo tor­naconto, sta pur certa. Ora sapremo tutto picchiando alla porta.

Pasquella                       - Andate voi, io per me non mi ci accosto.

Marotta                          - (con lazzi da gradasso, ma non osando toccare la porta) Come sei scimunita, figlia mia.

Pasquella                       - Io non tocco quella porta; non voglio già appestarmi.

Marotta                          (presa anch'egli, dalla paura si scosta con lazzi di timore che tuttavia vuoi nascondere) Oh Dio! per toccare una porta vuoi che si prenda la peste?

Pasquella                       - Se credete che non sia così, toccatela voi. Su, perché non picchia­te?

Marotta                          - Quando vorrò, lo farò... ora guardavo se...

Pasquella                       - Eh! ciance! So ben io cosa guardate. Guardate se-non passa per caso qualcuno che sia così sciocco da farlo in vece vostra.

Marotta                          - Mocciosa, non far troppo la furba.

Pasquella                       - Voi, piuttosto, mamma ca­ra, vorreste darmela a intendere.

Marotta                          - Ora ti do io a intendere... due ceffoni che ti facciano mordere la lin­gua.

Pasquella                       - (ridendo) Picchiate piutto­sto sulla corta,  se vi bruciano le ma-

 

Marotta                          - (sì avvicina per colpirla, ma Pasquella scappa) Ah! è questo il rispetto che hai per tua madre? im­pertinente.

Pasquella                       - Ho tanto rispetto, mamma mia, per la vostra persona che mi pre­me la vostra salute e vi ripeto: non toccate  quella  porta  che  è  appestata.

Marotta                          - (testarda) E io la toccherò.

Pasqlella                        - Non lo credo.

Marotta                          - La toccherò,  ti  dico.

Pasquella                       - Non io farete, ne sono certa.

Marotta                          - Ah sì! ed allora vedrai.

Pasquella                       - Sicuro.

Marotta                          - Cos'hai detto?

Pasquella                       - Ho detto:  sicuro.

Marotta                          - Come sarebbe a dire?

Pasquella                       - Ho bella! sicuro, che vor­rei vedere.

Marotta                          - Che cosa?

Pasquella                       - Beh! non so... siete voi che volete toccare quella porta.

Marotta                          - Se credi che io abbia paura delle tue fole.

Pasquella                       - La è chiara.

Marotta                          - Oh, per questo, si, la è chiaris­sima: non ci penso neanche.

Pasqlella                        - Lo vedo, vedo benissimo che non ci pensate più affatto.

Marotta                          -  Senza  dubbio!

Pasquella                       -  Avete  ragione.

Marotta                          - Era ora!

Pasquella                       - Già; ma intanto non pic­chiate.

Marotta                          - (esacerbata) Aspettavo pro­prio ì tuoi comandi.

Pasquella                 - Dio me ne guardi! Io se mai vi pregherei del contrario.

Marotta                          - (che non sa più che pesci pi­gliare, si rischiara ad un tratto veden­do in terra -un bastone, lo raccatta rag­giante e, con lazzi di soddisfazione e di sfida alla figlia, va con quello a pic­chiare alla porta stando cautamente il più lontano possibile) Ecco, vedi?

Pasquella                       - Meno male, che avete tra­vato un bastone. Ma credo che non ver­rà nessuno ad aprirvi. (Marotta tre­mando di terrore batte ancora alla porta che ha dei rintocchi quasi fune­bri,  nessuno s’affretta ad aprire)

SCENA 2

(Marotta, Pasquella  e  Mascarillo)

(Finalmente,  quando le due donne stan­no già quasi per fuggire spaventale,  ap­pare alla porta Mascarillo  che, vedendo mamma Marotta, le va incontro tutto fe­stoso) 

Mascarillo                      - (con lazzi e salti di gioia)  Benvenuta. mamma Marotta, e che Dio vi benedica per quel bei tocco di figlioia che avete messo ai mondo.

Marotta                          - (sorpresa e consenta) Ah! Ma­scarillo,  ma allora  siete vivo?!

Mascarillo                      - (tacendo con te mani gli scon­giuri) E son domande da fare? Dia­mine, non son mai stato tanto vivo co­me  adesso.

Marotta                          - E tutti gli altri sono vivi? il capitano? Madamigella Lucinda?

Mascarillo                      - (cadendo dalle nuvole) Ma che vi piglia? son vivi, si, tutti quan­ti. Si crepa di salute qui. Anzi, vi di­rò, mamma Marotta, che son tanto vivo da aver paura di morire di pas­sione se voi non mi date subito subito la medicina che mi occorre.

Marotta                          - (che non capisce) Non sono né medico, né speziale, io, che  sappia...

Mascarillo                      - (ridendo) In questo genere di medicine non ha da metter becco né l'uno né l'altro-. Per il male mio il rimedio ce l'avete voi... Voi sapete ch'io son sempre stato come il cane del ferraio che dorme anche al tempe­stare dei colpi sull’incudine; ma ora, mamma marotta, non mi riesce più di chiudere occhio, da quando è venuta, qui la vostra Pasquella.

Marotta                          - (dando un'occhiataccia sospet­tosa atta figlia che guarda sbalordita stando in disparte) E cosa vi ha mai fatto questa sciattona?

Mascarillo                      - Che dite mai, mamma Marotta! La vostra Pasquella è tanto fine e bella e cara e garbata!

Pasquella                       - (fra se, pavoneggiandosi) Ma quando mai ho visto questo gio­vane?

Mascarillo                      - Ah! mamma Marotta, quan­ti sospiri, lacrime, singhiozzi, smanie mi ha già fatto fare al solo pensarla! Tutte le dimostrazioni che la passione, degli innamorati suggerisce io le Voglio già messe in opera per svelarle il mio amore, ma...

Pasquella                       - (raggiante) Oh! caro!

Marotta                          -  Ma come? e  quando?

Mascarillo                      - Ad ogni momento. (Con laz­zi d( grande importanza) Ora vi prego di credere, mamma Marotta, che io sono un giovane da prendere in se­ria considerazione. Sono per il momen­to servo di capitan Spavento, e que­sta è già una situazione tutt’altro che disprezzabile; ma vi farò vedere due dozzine almeno di certificati di genera­li ed altrettanti di capitani che ho ser­vito con onore per cui posso preten­dere  per l'avvenire  qualche  buon  impiego in cittadelle o piazzeforti che dir si voglia. Dunque vi manifesto che son degno d'impalmare la vostra Pasquella se voi mi concedete la grazia di dar­mela come sposa.

Marotta                          - (più che mai sorpresa e conten­ta) Oh beh! questa è bella! Ma io, se la volete, caro giovanotto, son ben con­tenta di darvela. (strizzando l'occhio a Pasquella) Ah! era questa la peste? Ora ho capito (a Mascarillo) Di quel­la borsa di denaro ne faccio la sua dote.

Mascaru.lo                     - (con lazzi pazzi d'allegria, saltando e ballando) Davvero, mam­ma Marotta? me la date? e ci mettete per giunta anche la dote?... Ah! che bel dì, che bel piacere, che bell'amore! Ma, oh? facciamo presto, perché qui corre dei brutti rischi Pasquella. D'o­gni parte c'è chi allunga le mani... Io ho fatto fin'ora il cane dell'ortolano: non ho mangiato io, i cavoli, ma, guardia vigilante, non ho permesso che neppur altri s'accostasse troppo... tuttavia... m'intendete?...

Marotta                          - Non intendo un bel nulla. Ec­cetto quel giorno1 Pasquella è sempre' stata sotto ai miei occhi e...

Mascarillo                      - (con un profondo inchino) Oh! non mi fraintendete, mamma- Cer­to Pasquella è pura e fresca come un giglio... e per questo, appunto maggior­mente la desidero.

Pasqlella                        - (a Mascarillo avvicinandolo) Grazie, mio bel Mascarillo.

Mascarillo                      - (che solo allora guarda la ragazza piacevolmente sorpreso) Me lo dicono tutte che son bello. (Con, laz­zi gradassi, brutta copia di quei del padrone) In verità posso vantarmi di avere un bel portamento elegante;  se aggiungete poi che sono coraggioso  e forte e nero e che ho quell'aria guerresca che tanto piace alle donne, si può bene affermare che sono un campione di qualità. Non credete?

Pasquella                       - (tutta, rapita, a Mascarillo) Credo di si.

Marotta                          - (a Pasquella) Beh? Ti piace?

Pasquella                       - (timida) Credo di si.

Marotta                          - Hai voglia di maritarti? ,

Pasquella                       - (pudica) Ho vergogna.

Marotta                          - Non devi averla perché man-. giare e sposare son due cose che devo­no esser fatte.

Pasquella                       - (guardando Mascarillo di sot­tecchi) Ed allora dico di si. (Mascarillo guarda l’una e l'altra divertito facendo  lazzi di non capir niente)

Marotta                          - (a Mascarillo) E così, Masca­rillo, altro non resta da fare che la cerimonia del matrimonio se il vostro padrone capitan Spavento vi consen­te.

Mascarillo                      - (contrariato a quell’accenno del padrone, e timotoso a suo riguardo) Già, il padrone, già... è un uomo scorbutico... Ora, però glielo diremo... al momento propizio.

SCENA  3

(Marotta, Pasquella, Mascarillo e capi­tali Spavento)

Capitan Spavento          - (di dentro) Mascaril­lo, Mascarillo! (appare sulla porta) Mascarillo, dove diavolo sei? Sempre a ciarlare con questa o con quella?

Mascarillo                      - Son qui, padrone.

Capitan Spavento          - (non guardando nes­suno) Su, poltrone, agganciami la spada che devo- fare la mia passeggia­ta mattutina.

Mascarillo                      - (correndo ad agganciare la spada al Capitano) Ecco, padrone. Ero qui che parlavo con mamma Marotta che è venuta a trovarci.

Marotta                          - (inchinandosi) Bacio la mano, capitano.

Capitan Spavento          - (contento) Oh! brava comare! Qual  buon vento vi mena? Sono molto  contento  di  voi, brava. Quella  vostra  Pasquella  è  un... è  un tesoro.

Makotta                         - Siete troppo buono, messer capitano. Sono contenta che al primo vederla ne state subito rimasto sod­disfatto.

Capitan Spavento          - E1 un incanto.

Marotta                   - Ed ora spero che anche del suo modo di servirvi abbiate ad essere appagato.

Capitan Spavento          - (entusiasta) Appagatissimo sono... anche se l'arrosto era un po' bruciato e la zuppa un po' troppo salata. Oh, dico così per dire, tanto per cercare il pel ©nell'uovo. La vostra Pasquella ha un tal garbo tut­to suo che ripaga largamente d'ogni piccola menda.

Marotta                          - Sono veramente felice. Capi­sco che voi scherzate.

Capitan Spavento          - Come?

Marotta                          - (timida, ridendo) Si,... voglio dire, sull'arrosto e  la  zuppa.

Capitan Spavento          - (sorridendo compiaciu­to) Oh, dio! Poiché siete qui se le date qualche lezione di cucina non sa­rà male affatto. Ma per il resto è peretta.

Marotta                          - Allora ve la posso senz'altro lasciare?

Capitan Spavento          - Lasciare? lo credo bene. Che? Intendevate forse portarvela  via?

Mabotta                         - Oh! no,  ma...  dico...

Capitan Spavento          - Neanche se veniste a prenderla con due gendarmi ve la la­scerei! Andate pure in casa. (A Masca­rillo) Che fai li imbambolato? Chiama Pasquella.

Pasquella                       - (svelta, facendosi avanti) So­no qua, signor padrone.

Capitan Spavento          - (squadrandola con una certa compiacenza) E chi è questa ra­gazza,  Marotta?

MaBOtta                       - Ahah! che burlone! Ahah!

Mascarillo                      - (intanto giunto sull'uscio chiama verso l'interno della casa) -. Pasquella, Pasquella, venite: c'è vo­stra madre (ed entra in casa) 

SCENA  X

(Capitan Spavento, Pasquella e Marotta)

Pasquella                       - (gridando a sua volta) Ma se sono qua, sono qua, sono qua,

Capitan Spavento          - (schernendola) Qua qua qua qua... E chi è questa papera/

Marotta                          - E dagliela! Padrone, avete proprio voglia di ridere. Me la vantate tanto e non la riconoscete più? Ahahahah!

Capitan Spavento          - E chi?

Marotta                          - To  chi? Pasquella.

Capitan Spavento          - Che centra Pasquel­la? Io chiedo chi è questa scioccona.

Marotta                          - Oh bella! ma è Pasquella,

Pasquella                       - (timida) Sono Pasquelìa, si­gnor Padrone.

Capitan Spaventa          - E quale Pasquella?

Pasquella                       - (sbalordita) Pasqueila!

Capitan Spavento          - (credendo di capire fi­nalmente qualcosa) Ah! ti chiami Pa-Pasquella anche tu?

Marotta                          - E già! E’ Pasquella, mia figlia.

Capitan Spavento          - Ah! un'altra figlia?

Marotta                   - (ridendo) Un'altra? Ahah. Ch'io sappia non ho che questa.

Capitan Spavento          - (non comprende e sta sopra pensiero) E. anche questa si chiama Pasquella?... Pasquella, Pa­squella, tutte Pasquelle.

Marotta                          - (ridendo)  Eh! già: chissà quante ce ne saranno di Pasquelle!

Capitan Spavento          - (ridendo anche lui, non convinto però) Si capisce... eheh! appunto...

SCENA 5

(Capitan Spavento. Marotta, Pasquella e Lucinda)

(Esce di casa Lucinda  e si  dirige  subito verso Marotta)

Lucinda                         -  Buon  dì,  cara nutrice.

Marotta                          - (con un inchino affettuoso) Madamigella Lucinda,  che Dio vi benedica! Siete  sempre  più  bella.

Lucinda                         - (tirandola da parte, sottovoce) Nutrice, secondatemi... Poi vi spiegherò... Dite sempre di sì, dite sempre d sì...

Marotta                          - (confusa, docile) Si,  si...

SCENA  6

(Capitan Spavento, Marotta. Pasquella Lucinda, Leandro e Mascarillo)

(Seguito da Mascarillo esce di casa Lean­dro vestito da Pasquella Egli corre su­bito incontro a Marotta)

Leandro                         - (abbracciando Marotta) Oh. cara mamma!

Marotta                          - (cade dalle nuvole e guarda Lu-cìnda con lazzi d'implorazione di qual che suggerimento. Ad un suo cenno dì abbracciare serra fraje braccia Lean­dro) Si, si,  si...

Lucinda                         - (sottovoce) Chiamatela Pa­squella.

Marotta                          - (confusa) Pasquella, Pastel­la, si, si?... Pasquella

Pasquella                       - (accorre e guarda stupita le vesti di Leandro) Oh! ma guarda! Ma questo è il mio vestito da festa?!

Lucinda                         - (correndo ai ripari e intromet­tendosi fra Pasquella e Leandro) Vi son tanti vestiti che si assomigliano.

Pasqì'ella                        - (guardando sempre, più fissa­mente Leandro) Vi dico' che e il mio, e questo fazzoletto anche, e questo... Ohoo oohoh! (ride rumorosamente),

Marotta                          - (sempre più confusa balbetta) Si, si,  Pasquella. si, si...

Capìtan Spavento          - (chiama) Pasquella.

Pasquella                       - (pronta) e Leandro-     - (contem­poraneamente) Dite, padrone.

Capitan Spavento          - (a Pasquella) Zitta, tu, mocciosa. Che c'entri?

Pasquella                       - (offesa candidamente) Que­sto, ora lo riconosco bene, è quei gio­vane burlone che mi ha preso i miei vestiti e mi ha mandata via dicendomi che qui c'era la peste. E’ lui.

Capitan  Spavento         - (sorpreso)  Come?

Mascabielo                    - (stupito)  Cosa?

Marotta                          - (ripete smarrita, la solita solfa)

                                      - Si, si, si!...

Pasquella                       - (simpertinente) Lo riconosco bene,me lo sono persino sognato!

Lucinda                   - (affannata) Tu sei pazza.

Pasquella                       - Ve lo giuro.

Lucinda                         - Taci. (A Marotta)  Dite voi, nutrice, non è questa vostra figlia Pasquella? (e accenna a Leandro)

Marotta                   - Si, si,  si si!

Pasquella                       - Ma...

Marotta                          - (dando uno schiaffo a Pasquel­la) Taci tu. (Pasquella si mette a piangere mentre il Capitano e Masca­rillo sospettosi si avvicinano a fissare bene in viso  Leandro)

Leandro                         - (togliendosi il fazzoletto e la ve­ste e apparendo impeccabile con il suo elegante abito da -cavaliere) Signori, la commedia è finita. La voce dell'in­nocenza ha rotto l'incantesimo. (Il Ca­pitano, Mascarillo e Marotta rimango­no a bocca aperta a guardarlo) .

Leandro                         - (facendo una carezza a Pasquel­la) Questa brava ragazza ha detto la verità. Io sono il cavalier Leandro, fe­lice amante riamato di madamigella Lucinda, ed ho avuto la fortunata in­venzione di travestirmi da Pasquella soltanto per aver agio di poter prende­re con la mia amata gli accordi per la nostra futura felicità. Ora tutto è fat­to...

Capitan Spavento          - (rimessosi dallo stupo­re, espresso in infiniti monosillabi, scatta finalmente con violenza) Tutto è fatto? Ve lo farò vedere io cosa c'è di fatto, se vi basta l'animo di misurarvi con me, giovine bellimbusto. (E pone mano alla spada che per non esce dal fodero)

Lucinda                         - (supplicandolo) Oh! padrino, padrino caro, siate buono! Perdonale al cavalier Leandro ch'è solo stato spinto dall'amore che mi porta.

Capitan Spavento          - (smargiasso a Lucin­da) Voi entrate in casa che non vo­glio udire strilli di donnette se dove scorrer sangue. Poi, per voi ci sarà il convento.

Leandro                         - Per ora vi consiglio di pensa­re a voi, capitan Spavento. (Sguaina la sua spada e si mette in guardia) Ec­comi pronto ai vostri voleri. Accetto la vostra sfida. (Nel veder, rotear la spa­da Marotta e Pasquella urlano e si coprono gli occhi con le mani)

Capitan Spavento          - (cercando di cavar la spada) Sono a voi (a Mascarillo) Mascarillo, che hai fatto a questa spa­da  che non esce  dal fodero?

Mascarillo                      - (con lazzi d'intesa, sottovo­ce) Capitano, ben sapete che la spada non c'è più. Ve la siete giocata l'al­tra  notte, c'è  solo l'impugnatura.

Leandro                         - (provocante)  Ebbene, capitano?

Capitan Spavento          - (balbettando) Gli è che questa spada... questo fodero... non so capire come...

Leandro                         - (cavalieresco) Va bene, non crucciatevi, capitano ; prendete la mia, date a me la vostra.

Capitan Spavento          - (prende, la spada di Leandro, la guarda, la soppesa con fa-. re da intenditore e intanto fa cenno a Mascarillo di dare la sua a Lean.dr.oi . Si, si, non c'è male; ha una lama di­screta.

LeaNdbo                       - (a Mascarillo che non osa con­segnargli la spada del Capitano) Mascarillo, ho capito; non perdiamo tem­po, va in cucina a prendere lo spiedo, così potrò proprio dire di averlo infila­to come un tordo. (Mascarillo ubbidisce di corsa)

Lucinda                         - (con lazzi di orrore) Ah! me sventurata! dovrò dunque assistere ad un duello a morte fra il mio sposo e il mio padrino? Non avrete pietà di me?

Capitan Spavento          - (roteando la spada e contemplandola fiero) In casa, ho det­to, e bando ai piagnistei. (Altre grida e lazzi di orrore di Marotta e Pasquel­ la mentre 'Mascarillo consegna lo spie­ do a Leandro)  _

Leandro                         - (maneggiandolo con disinvoltu­ra) Ecco questo va benissimo. Ca­pitano, avanti, ci  siete?

Capitan Spavento          - (rotea sempre la spa­da in aria come se dovesse battersi con delle ombre) Oplà! oplà! là là là.

Leandro                         - (toccandogli la spada con io spiedo) Ma io sono qui sapete?

Capitan Spavento          - (con candore) E che ci fate lì?

Leandro                         - Aspetto che vi decidiate a ri­solvere questa nastra questione con l'onore delle armi

Capitan Spavento          - E" ciò che aspetto anch' io.

Leandro                         - (facendosi sotto) Quanta pa­zienza!

Capitan Spavento          - Non vorrete mica far credere che chi scappa sono io? E' un ora che vi attendo a più fermo.

Leandro                         - (duellando comicamente col ca­pitano che dalla gran paura comincia a tremare) Ho deciso di essere gene­roso, ma credo che purtroppo sarà in­dispensabile farvi un piccolo salasso per costringervi a diventare ragionevole. I medici d'altronde, dicono che i sa­lassi sono molto salutari per uomini troppo forti e violenti come voi. (Altre urla delle tre donne)

Capitan Spavento          - Ma se voi vi movete sempre, allora è inutile.

Leandro,                        - Se scappate, bisogna pure che vi venga dietro.

Capitan Spavento          - (tremando sempre più) Per Giove tonante, mi si sono slac­ciati i calzoni... e... non posso... non...

Leandro                         - (satanico) Vedo, vedo. (Gli da un colpo sulla spada e gliela fa ca­dere di mano. Altro urlo delle donne)

Capitan Spavento          - (retrocedendo finché cade seduto a terra) Alto là... alto là... un momento...  così non vale...

Leandro                         - (raccogliendo la spada e ridan­dogliela) Alzatevi, capitano. Mi do per vinto e vi regalo anche la mia spa­da in omaggio al vostro grande valore.

Capitan Spavento          - (dopo lazzi di timore e di incredulità riprende in mano la spada e balbetta) Ah! meno male che riconoscete...

Leandro                         - ...riconosco i vostri meriti, e come amico del nostro principe, mi im­pegno di ottenere per voi un qualche comando...  onorifico,

Capitan Spavento          - (si alza, si gonfia co­me un tacchino e riacquista in pieno il suo fare gradasso) Mi pare, ap­punto, che mi sarebbe dovuto.

Leandro                         - (sempre più cerimonioso) In cambio, eccellentissimo, vi chiedo l'al­ta concessione della mano "della vo­stra pupilla Lucinda.

Capitan Spavento          - (con importanza) -Già, capisco, si  può  vedere... Un  co­mando, avete detto, già...

SCENA 7

(Leandro, Lucinda, Capitan  Spavento,  Marotta,  Mascarillo e Messer Babio)

Messer Babio                 - (arrivando tutto ilare)  Buongiorno a tutti. E Pasquella,' Pa­squella dov'è? cosa fa la nostra cara Pasquella? (Risata generale. Lazzi di sorpresa  di  messer  Babio)

Capitan Spavento          - Eccolo qui arrivate fresco fresco per veder Pasquella! Con tutti gli anni che ha sulla groppa que­sto vecchio babbeo vorrebbe ancora toccare il polso alle ragazze!

Messer Babio                 - (inviperito) Siete voi, piut­tosto...

Mascarillo                      - (a messer Babio) Olà! liti­gherete dopo. Ora sappiate piuttosto che è venuto il momento di dare i conti della dote di madamigella Lu­cinda che si sposa col cavalier Lean­dro.

Messer Babio                 - Eh!  E chi ha deciso que­sto?

Capitan Spavento          - (con grande autorità) Io l'ho deciso.  E son io che comando qui. (a Lucinda) Venite, figlia mia, orsù;  prendete  la mano  del  cavaliere Leandro e dategli la vostra  fede di moglie.

LrciNDA                       - (raggiante prendendo la mano di Leandro e inchinandosi al capita­no) Oh! caro padrino, vi sono mol­to grata.

Messer Babio                 - (guardando fisso Leandro) Ma  questo  bel cavaliere assomiglia straordinariamente  a  Pasquella (tut­ti ridono)

Mascarillo                      - Bella scoperta. Era lui che sì era travestito  da  donna.

Messer Babio                 - (sbalordito) No! Davve­ro?

Leandro                         -  Eh! quando  amor comanda!

Capitan Spavento          - Su, su, messer nota-ro, bando alle ciarle. Bisogna prepa­rare l'atto di nozze, (a tutti) Entria­mo in casa,  signori.

Marotta                          - (a capitan Spavento mentre tut­ti entrano in casa) E poiché siamo in ballo, padrone, facciamo anche quel­lo di Mascarillo con la mia Pasquella, se  permettete.

Capitan Spavento          - (entrando in casa) Ma si, concesso! oggi voglio che tutti siano felici.

SCENA 8                     

 (Marotta e Mascarillo)

Mascarillo                      - (a Marotta) Ma io intende­vo l'altra Pasquella!

Marotta                          - (indignata) Ah! questa poi! Non è forse meglio la mia Pasquella?

Mascarillo                      - Non dico di no, ma... sta­volta, proprio, prima di impegnarvi voglio toccar con mano. Non vorrei che la fosse anche questa un maschio!

FINE