Quando i pulcini cantano

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Capostazione
ARNALDO BOSCOLO


QUANDO I PULCINI CANTANO

Commedia in tre atti

P  E  R  S  O  N  A  G   G  I

AVV. SANDRO BRUNI

MARIA

LYDIA

EUGENIO

TONI

CONTESSA PASQUETTI

ORTICA

DOTT. FARESI

CESIRA

SIGNORA FANTINI

BEPPINA

O G G I


A T T O    P R I M O

LA SCENA

Stanza di soggiorno in casa dell’Avv. Sandro Bruni. Controsala al fondo. Porta a destra e a sinistra. Telefono. Mobiletto bar. Consolle con specchio. Mobilio vario.

Cesira              – (donna di servizio di mezza età, pulisce con l’aspirapolvere)

Sandro             – (appare al fondo; 50 anni, aria dolce e stanca, per quanto un’intima amarezza traspaia dalla piega delle labbra.) Allora? Non hai ancora finito con quell’affare?

Cesira              – Bisogna lustrare ogni cosa, no? Se oggi arrivano i padroncini!

Sandro             – Già! Arrivano con gli scarponi da montagna! Con tutto il tuo lustrare, stasera sarà più sporco di prima.

Cesira              – Io direi piuttosto che lei abbia furia di mandarmi via! Dico bene?

Sandro             – Magari!

Cesira              – Ma non ci va allo studio, stamane?

Sandro             – E se mi piace per una mattina di non aver seccature e di stare un po’ tranquillo qui in casa mia? Sarò padrone, no?

Cesira              Vergine Santa! Sempre coi nervi tesi!… Pare impossibile…

Sandro             E tu con i discorsi inutili! Insomma; ti ho detto di farla finita; e allora finiscila!

Cesira              – Per poi sentire la musica della signorina!…

Sandro             – Tanto, la senti lo stesso! Vai! Spicciati!

Cesira              – E vado, vado!… La debbo fare un po’ di spesa per il desinare?

Sandro             – Ma ti sembra che la Lydia, appena arrivata, abbia voglia di mettersi intorno ai fornelli? Bisognerebbe proprio che nei ristoranti ci fosse lo sciopero dei camerieri!

Cesira              – Non lo dica due volte! (campanello interno. Cesira s’avvia) Apro?

Sandro             – Apri.

Cesira              – Finisco di mettere in ordine le camere di là e poi me ne vado. A che ora debbo tornare oggi?

Sandro             – Il telegramma dice che arrivano col diretto delle sei. Quando sei qui alle cinque e mezzo, basta. (Cesira esce dal fondo. Sandro s’aggira nervoso per la stanza; guarda l’orologio a polso.)

Cesira              – (rientrando) C’è un uomo.

Sandro             – Che uomo?

Cesira              – Un uomo!… E’ stato anche ieri a cercare del padroncino.

Sandro             – Gli potevi almeno domandare il nome!

Cesira              – Dice che ha bisogno di parlarle.

Sandro             – A me?

Cesira              – Dal momento che il padroncino non c’è…

Sandro             – (fa un gesto di noia, guarda ancora l’orologio) Fallo passare.

Cesira              – (al fondo) Passi. (poi esce dal fondo dopo aver introdotto l’uomo)

Ortica              – (sul fondo rigirando il cappello tra le mani) Riverito, signor avvocato.

Sandro             – Buon giorno.

Ortica              – Mi scusi il disturbo; son passato prima dal suo studio… ma mi hanno detto che in questi giorni è in ferie; e che se proprio non ne potevo fare a meno, l’avrei trovato a casa…

Sandro             – Ah!…

Ortica              – Lei non mi conosce, vero? Io son Michele Ortica; ho un’oreficeria in Borgo Ognissanti… e son venuto da lei…

Sandro             – Una causa?

Ortica              – No, affari. Siccome anche suo figlio è in ferie, a quanto m’ha detto la sua donna…

Sandro             – Infatti…

Ortica              – Sa, siccome si tratta di una cosa urgente che non si può prorogare e che riguarda suo figlio… Lei ne saprà certamente qualcosa…

Sandro             – No, per dirle la verità degli affari di mio figlio io non so proprio nulla.

Ortica              – Davvero?! Allora mi dispiace proprio di darle una seccatura, ma come vede… (estrae una cambiale dal portafoglio e la depone sul tavolo)

Sandro             – Una cambiale?

Ortica              – Scaduta fin da ieri, sissignore; e prima di presentarla in banca… sa, per delicatezza… 78 mila lire, guardi. Rinnovata di già quattro volte… Ma siccome ora ho anch’io i miei impegni…

Sandro             – (prende in mano l’effetto) 78 mila lire?… E, si può sapere a che titolo?

Ortica              – Titolo 18 carati! Niente imbrogli nel mio negozio! Un braccialetto d’oro con 12 rubini!… Glielo ho dato proprio per un boccone di pane… Rinnova, rinnova, con la lira che va a rotoli sempre più, ora costa almeno tre volte tanto!

Sandro             – Già, già! Rinnova e rinnova… e lei gli ha consegnato un gioiello di questo valore e si è accontentato di rinnovi, così… senza un’ombra di garanzia? Per un uomo scaltro come lei, mi pare un po’ poco…

Ortica              – Conoscevo bene la famiglia! E per un riguardo speciale a lei… e al suo nome…

Sandro             – Male! Si poteva, allora, scomodare e venire da me; o farmi una telefonata. Dal momento che parla di riguardi al mio nome!…

Ortica              – Non credo di avere esagerato: il nome di un avvocato principe… di una illustrazione del foro…

Sandro             – Non mi lustri tanto. A ogni modo, credo che la mia donna le avrà detto che mio figlio arriva stasera. Dunque può ripassare domani mattina prima di mezzogiorno…

Ortica              – Mi dispiace; ma se pi mi facesse delle difficoltà?! Prima di mezzogiorno bisogna che la presenti, se non scadono i termini…

Sandro             – Per il protesto, lo so. La vuol lasciare a me?

Ortica              – Volentieri! Dal momento che ne risponde lei…

Sandro             – No, ho detto questo: depositata nello studio Bruni. Se poi preferisce presentarla all’incasso…

Ortica              – Ma le sembra?! Mi fido; diamine!… Mi farà una ricevutina…

Sandro             – A proposito di fiducia, vero! (scrive rapidamente la ricevuta) A lei!

Ortica              – Quando posso ripassare?

Sandro             – Domani nel pomeriggio; così avrò già sentito mio figlio.

Ortica              – Basta la parola! Allora arrivederla, signor avvocato. I miei rispetti e tante scuse. (suoneria interna)

Sandro             – Salute! (Cesira attraversa) Accompagnalo. (escono Cesira e Ortica. Sandro prende in mano la cambiale e la esamina; ha un gesto di disgusto e la getta sul tavolo)

Cesira              – C’è un altro uomo.

Sandro             – Ancora?… E… gli hai detto che ci sono?

Cesira              – Capirà…: se ha visto uscire quell’altro…

Sandro             – Zuccona!

Cesira              – Bravo! Incominci anche lei, ora! Come non bastassero i suoi figlioli a dirmelo dalla mattina alla sera!

Sandro             – Beh, che tipo è?

Cesira              – Un uomo; un contadino. Io ho finito di là. Allora, alle cinque e mezzo, va bene? (esce lasciando il passo a Toni)

Toni                 – (sul fondo; tipo di contadino furbo e intelligente; con grossi baffi spioventi; stessa età di Sandro. Porta una sporta rigonfia. Con molta espansività) Signor Capitano!

Sandro             – (con altrettanta espansività) Toni Menarel? Tu?!…

Toni                 – (comicamente sull’attenti) Presente! Dopo tanto tempo… il suo vecio atendente…; sempre a so ordini!…

Sandro             – (stringendogli le mani) Caro, caro Toni!

Toni                 – Morivo proprio da la vogia de vedarlo! L’ultima volta è stato…

Sandro             – Per i funerali della mia povera moglie; eh, ricordo! Ma tu stai benone!…

Toni                 – Ma anca lei, signor capitano!

Sandro             – Per carità; non mi piace che tu mi chiami ancora capitano! Mi pare di vederti ancora sull’attenti… Chiamami avvocato, piuttosto.

Toni                 – Questo peraltro, no me piace a me.

Sandro             – Per che ragione?

Toni                 – Perché?… Senza che’l se ofenda… Al mio paese se dice che i avocati vivono d’imbroggi; sui e de li altri, se capisse.

Sandro             – Non hanno tutti i torti al tuo paese. E allora chiamami per nome. In fondo son quasi una creatura tua: non potrò mai dimenticare che ti debbo la pelle perché mi hai portato tu a spalle fuori da quell’inferno!

Toni                 – Ventritre luglio; conca d’Oslavia. Classe 91, signor Insandro! Classe di ferro, tanto io quanto lei!

Sandro             Ma non parlarmi in italiano, che ti costa fatica. Esprimiti pure nella tua bella parlata veneta, che tutti capiscono…

Toni                 Sa… per educazione…

Sandro             Ma che educazione!:.. Dopo la nostra lunga comunanza in trincea… Ti ricordi?

Toni                 Ostrega! Quanto fango!… E quanti pàltegani!…

Sandro             Pàltegani?

Toni                 Ah, queli el se li ganno desmentegati! Paltegani!… Sorzi! Grossi come gati.

Sandro             Ah! Li ricordo benissimo. Ma vieni avanti. Posa codesta sporta e mettiti a sedere.

Toni                 – (sedendo) Grazie. (dopo poco) E i so puteli? Sì, puteli per modo di dire, perché oramai saranno grandi e grossi eh?

Sandro             – Lydia ha 23 anni; Eugenio quasi 25.

Toni                 – Avocato de sicuro anca lui…

Sandro             – Dovrebbe esserlo da due anni. Ma per diventarlo ci vuole almeno una piccola dose di voglia di studiare. E lui invece…

Toni                 – Gli piace divertirsi, eh? Lo go capìo…

Sandro             – Infatti… Anche ora è a Cortina con sua sorella. Tornano stasera.

Toni                 – E qua, lei?… Sì, digo… solo?

Sandro             – E che vuoi fare?

Toni                 – No, sa… credeva che’l se fusse tornà a maridar….

Sandro             – Con i figliuoli in età da sposarsi loro?

Toni                 – Mi lo go za fato tre volte; l’ultima co gera za nono. Cussì go messo su un musero de muger e un campionario de fioi. Da l’ultima ghe n’ho avudo quatro.

Sandro             – E che dicono quelli delle due prime?

Toni                 – Cossa ghe entràli lori? Ci mancarave altro che i se intrigassero dei fati mii!… Se no ci comoda, quela xe la porta. Ma a casa mia chi canta da galo sono me. Se se vol che le famegie staga in pie, guai se se lassano cantare i petussi… I pulcini, come che dicono loro!… (e poiché Sandro scuote tristemente la testa) Perché lu invece?… El me scusa…

Sandro             – Non me la perdonerebbero. Se tu sapessi la mentalità dei giovani d’oggi!… Non capiscono… e gli fa comodo di non capire. Colpa mia del resto, che fin da piccini gli ho accontentati in tutto e per tutto!

Toni                 – Come me: polenta e sberlòti!

Sandro             – Da quando hanno l’uso della ragione, pretendono che i genitori vivano solamente per loro. Di fronte alla loro giovinezza, la nostra esperienza non conta un fico secco; anche se si avessero solo 40 anni, per loro siamo sempre dei vecchi rimbambiti. Noi non si deve aver più diritto ad una vita intima, nostra, indipendente… a un desiderio, a un sentimento nostro… Non so se tu ci arrivi…

Toni                 – Ghe rivo, ghe rivo… Perché no’l creda mica che sta gramegna no gabia tacato anca da nualtri in campagna… E come! Ma ne l’orto de chi no ga brassi per tirarla fora co le raise e tuto!… El me scolta mi, sior Insandro: i fioi va bene, posto che’l Signor ci ganno fato sto regalo… Ma prima dei fioi, nualtri! Che co semo veci no ci mettono de sicuro sulle piume! Perché lei invesse?…

Sandro             – Come teoria… non si può negare che c’è tutto il sale che tu hai nella zucca….; ma in pratica… Bisogna essere qui, in questa bolgia, soli, senza che nessuno ti capisca… (squilla il telefono; Sandro vi accorre) Scusa… (all’apparecchio) Pronto!… (si illumina) Ah!… Sì, aspettavo… sì… (un po’ esitante) Ma… veramente… (poi deciso) Ma sì!… Sì…Subito; vieni subito… Arrivano stasera… Hai fatto buon viaggio cara?… Meno male… Sì, mi racconterai subito tutto… T’aspetto… Ciao, cara!… (depone il microfono; a Toni) Sai chi era? Ecco… vedi, forse a te solo lo posso confessare. Se fosse stato presente qualcun altro, avrei dovuto ricorrere alle bugie, a mescolare le parole a frasi professionali, per farle capire che non ero solo…

Toni                 – Una doneta?

Sandro             – No, una donna, piuttosto! Una creatura che vorrei portare in palma di mano davanti a tutti… E che devo invece tenere nascosta come una vergogna.

Toni                 – (imbarazzato) Me despiace… me despiace proprio de essare capitato…

Sandro             – Perché?!… Anzi; è uno sfogo. Tu, forse; tu sei l’unico che mi puoi capire… Hai sentito? Le ho detto di venire qui; e se non hai fretta di scappare, fra qualche minuto tu la vedrai. Per dei mesi sono stato per lei solamente un buon amico e basta. Poi dopo… si sa… Tu mi capisci…

Toni                 – Eh, capisso…

Sandro             – Ma un uomo della nostra età, resta sempre un poco il babbo della donna che ha in cuore. Le ho messo la bambina in collegio dalle suore…

Toni                 – Ah… c’è anca una bambina?

Sandro             – Oh… mica mia… Magari! Le ho dato una casa, del lavoro… una dignità di vita insomma. E lei che ha capito tutto questo, a poco a poco si è mostrata quella che in fondo era veramente: un tesoro di sensibilità e di tenerezza… Ma loro, appena se ne sono accorti… Apriti cielo! Hanno travisato ogni sentimento: io, per loro, non ero altro che un vecchio libertino in cerca dell’avventura… Figurati che sono arrivati fino al punto di parlare d’interdizione.

Toni                 – E lei ne’l xe stato buono de ciaparli a legnate?

Sandro             – Per la mia dignità, dicevano. Ma in fondo non era che per il loro egoismo!

Toni                 – Ma lori, el me scusa, la conoscili sta dona?

Sandro             – Con la vita che fa? Si può dire che non la conoscono nemmeno nella strada dove sta di casa.

Toni                 – Male!

Sandro             – Male perché?

Toni                 – Perché el doveva metarghela soto el naso!

Sandro             – Io?

Toni                 – Lei, sicuro: Perché no ghe xe de pezo che conossar la zente atraverso le ciacole che va in giro… Me xe tocato a me una volta… Ghe gera in paese un mio compare che gaveva una cavala saura; a curto de soldi el voleva vendarla… Ma gerano corse in giro le vosi che la fusse un diavolo descatenato; tuti ghe ne dicevano peste e vituperio: - La ga la rogna! La morsega! La tira pere!… Io  ce go dito: - Compare; el prezo xe andarebe en; io non ce credo a le ciacole de la gente. Ma vogio prima vedar co i mii oci. Màndamela disse giorni ne la mia stala e te la mantegno gratis. Ma se la me acomoda, me la tegno e ti verso el tantunque. E lui me ci la mandata. –  La rogna?… Un poco de riscaldo. I morsegoni? El morso che ci rosegava in boca. E cussì me la sono messa a posto e ho fato un afarone! E tuti me dicono adesso in paese: - Ma che bela bestia! Che drita! Che sana! Che belezza! E quando che passo col birocio, che la va come un otomobile, tuti me cavano tanto di capelo! El me scolta a mi, sior Insandro; ce la meta soto al naso!

Sandro             – Una parola! Mi pare già un’imprudenza averle detto di venire qui stamane… Sai, è tornata ora dopo una quindicina di giorni di campagna. Ma ho dovuto sudare sette camicie per persuaderla ad andare in un alberghetto su in collina a respirare un po’ d’aria buona… Perché non ha certo salute da buttar via. E ora, approfittando dell’assenza dei figlioli, vorrei farle vedere almeno dove vivo, dove respiro. Ma se venissero a saperlo, figurati che finimondo.

Toni                 – E lei el mondo lo rovesci, prima che i lo fassi lori! El se ricordi del proverbio:  “Chi si fanno fecora, el lupo la mangiano!”

Sandro             – Ma tu ancora non mi hai detto… Che vuol dire che ti si rivede qui?

Toni                 – Stago par deventar un mezo sioreto, sior Insandro. Xe morto un mio vecio barba… zio, come che i ghe dise lori…; a San Mauro, qua poco distante; e ghe xe trenta campi, un fià de bestiame e quatro camion da spartir co i me zermani. Se xe davanti al notaro… Dovarò fermarme qualche setimana per le division. Bisogna dunque che me trova qua in cità una camareta da distirar i ossi… Lu forse podarìa consigliarme….

Sandro             – Il consiglio più bello sarebbe quello d’ospitarti qui in casa mia. Ma sono di partenza, Toni. Posdomani devo essere a Roma per una causa in Cassazione e qui non ci resterà che la baraonda dei figlioli.

Toni                 – No’l lo diga gnanca per scherzo; no vorìa darghe disturbo a nissun. E po’ son el solito rospo, el lo sa. Ma un tiron de campanela, sì. Ge vossuto darghelo!…

Sandro             – E mi hai fatto un gran piacere! Quanto tempo è passato, Toni!

Toni                 – Per tirarse fora dal paese ghe c’è poco da stare alegri; D’inverno se va soto fino a meza gamba; e co la bona stagion bisogna darghe soto co i lavori… E cussì passa li anni e ci pesano sul groppone! (campanello interno)

Sandro             – E’ lei! ( e poiché Toni accenna ad alzarsi) Resta, resta pure a sedere. (esce dal fondo e rientra con Maria; esile, di un’eleganza sobria; niente belletti)  Vieni, vieni, cara.

Maria               – (si avvede di Toni che si è alzato; imbarazzata) Oh! Ha gente, avvocato…

Sandro             – Non aver paura, piccola. E dammi pure del tu. Con questo signore, non c’è bisogno di maschere. E non mi chiamare avvocato, per l’amor di Dio, perché ti faresti un nemico. Dice che gli avvocati sono tutti imbroglioni.

Toni                 – No, non me imbrogi lei le parole, adesso. Go deto che vivono d’imbrogi, sui e dei altri. E poi questo se dice al mio paese: non me.

Sandro             – Non indovini? Questo è il famoso Toni Menarel.

Toni                 – Famoso, poi… AnToni Menarel deto Spacatuto!

Maria               – (con espansione) Menarel?! Come so contenta di conoscerlo di persona… Che per il resto lo conosco benissimo. Sandro m’ha detto tutto di lei.

Sandro             – Vedi la rèclame che ti faccio?

Toni                 – Pecà che no sia anca me un avocato. (osservando Maria) Orpo, sior Insandro; salo che un fior de doneta come questa la me piacerebbe anca a me?!

Sandro             – Non vorrai mica farmi diventare geloso, spero?

Toni                 – Ghe par? co sto grugno e sta mustaciada?… E po’ mi son ormai de la teritoriale!… Co nove boche che magnano su la mia tola?…

Sandro             – Beh, dimmi Toni: sei contento d’averla conosciuta?

Toni                 – Tanto, signor Insandro! E se la gavesse bisogno de mi… (a Maria) Sono un’anema santa, sala, el mio vechio capitano!… Bisognarìa che la gavesse sentito tuti i soldati de la compagnia!… Fortunata ela a incontrarlo, ce lo dico me.

Maria               – Lo so, Toni.

Sandro             – Beh! Avete finito?

Toni                 – (mentre Sandro compone il numero al telefono) Sì, sì, ma la verità a costo de morir!

Sandro             – (al telefono) Pronto… un momento… (passa il microfono a Toni) Tieni; è l’albergo; digli tu.

Toni                 – (rigira il microfono tra le mani) Ma i parla qua dentro!…

Sandro             – Sì, rispondi. (gli mette il microfono all’orecchio)

Toni                 – Eh?… Sì, sì; son pronto. Xe tanto che son pronto… Sa, sono qui perché sono morto un mio zio de San Mauro e devo spartir coi me zermani… No’l capisse?… Ah! Cugini, insoma!

Sandro             – Digli della camera.

Toni                 – Una camera? Sissignor… No, no; a un leto solo. Cossa posso farcene de do leti?… Mia muger la go lassata a casa. Se’l vedesse che rocheton de dona…

Sandro             – (togliendogli il microfono) Dammi qua. (telefonando) Buon giorno signor Ugo… L’avvocato Bruni… No, era un mio amico… Sì, un bel tipo… Non saprei di preciso, ma per un paio di settimane di sicuro. Allora glielo mando a nome mio. Per mio conto, intesi? Grazie. Buon giorno signor Ugo. (riattacca)

Toni                 – Come per so conto?

Sandro             – Dal momento che non ti posso ospitare qui. (e poiché Toni vorrebbe protestare) E meno storie, se no ti sgnacco sull’attenti come una volta! Ma tu, non avevi mai telefonato in vita tua?

Toni                 – Una volta; quando mia muger gaveva i dolori del parto: Go ciamà la levatrice e xe vegnuto el veterinario.

Sandro             – Guarda: Vai al Giglio Rosso, appena svoltato la cantonata a destra. Sono due passi.

Toni                 – Mi non so proprio come ringraziarla…

Sandro             – Mi ringrazierai a tavola. Vai a posare la tua roba e poi torna qui da me. Andremo a desinare al “Grappolo d’oro”, noi tre. Si mangia da Padreterni e si beve un bicchiere di vino… so che a te non è mai piaciuto…

Toni                 – A biceri no; a fiaschi…

Sandro             – E allora spicciati.

Toni                 – Poso la valigia, me dago una sguatarada a le man, e son mi so ordini!( a Maria) Arivederla Capitana… (sulla porta si ferma, ritorna, trae dalla sporta quattro uova e le mette sul tavolo) Senza che la si ofenda… E co qua. Roba de le mie galine padovane…. Se la ga un poco de debolezza de stomego… (sul fondo) Arivederla (esce).

Maria               – Arrivederci, Toni. È proprio come tu me l’avevi descritto. Meglio anzi.

Sandro             – (attirandola a sé) E ora lascia che ti guardi un pochino.

Maria               – (con molta tenerezza) Caro!… (lo bacia sulla guancia)

Sandro             – (osservandola) Mi stai proprio bene. Hai il sangue a fior di pelle. Lo vedi se avevo ragione ad insistere?

Maria               – Sei tanto caro! Scusami se non ti ho telefonato subito. Appena arrivata sono corsa dalla bambina.

Sandro             – Si capisce; hai fatto benone!

Maria               – So che sei andato a trovarla diverse volte… (affettuosamente) il caro… zio Sandro!…

Sandro             – E’ un amore. Come la sua mamma.

Maria               – Per il collegio questa volta non ti preoccupare; ho provveduto io. Lassù ho potuto fare qualche economia.

Sandro             – Capisci? Son sicuro che non dirà altrettanto la mia figliola!

Maria               – I padroni della pensione, sono stati tanto carini con me!… Figurati: marito, moglie e quattro bambini… Mi consideravano come di casa. Il più delle volte, mi volevano a tavola con loro.

Sandro             – Molti villeggianti?

Maria               – Quando sono arrivata, no; in questi ultimi giorni, non sapevano dove metterli. Gente simpatica; più che altro famiglie. M’invitavano un po’ tutti. Ma quando potevo restare sola ero più contenta…; mi sentivo più vicina a te e alla bambina, aspettando che tu arrivassi…

Sandro             – E figurati che voglia avevo di venire! Sono stato tante volte in procinto di prendere la macchina… Ma poi, gli affari… lo scrupolo che qualcuno mi conoscesse…, che i ragazzi venissero a saperlo…; con tutta la loro comprensione… (mostrando la cambiale) Eccola la comprensione. E pazienza, se questi soldi fossero serviti per aiutare quella disgraziata, che ha messo nei pasticci… Macchè! Debiti di giuoco, compromessi…

Maria               – Bisogna essere indulgenti con i figlioli, Sandro, tu lo sai come sono i figlioli… Regali che i figli hanno sempre fatto ai genitori. (pausa) Parti proprio domani?

Sandro             – Sì, domani sera, te l’ho scritto anche. C’è quella benedetta causa Adimari in Cassazione che mi preoccupa e credo che non mi sbrigherò tanto presto. Così, bisognerà che tu abbia pazienza ancora per qualche giorno…

Maria               – T’aspetterò lavorando. Mi hai preparato?…

Sandro             – Qualche comparsa conclusionale, ma roba da poco; non voglio che tu ti affatichi appena arrivata; perderesti ogni beneficio acquistato; al resto provvederà la signorina di studio.

Maria               – Oh, lavorare per te, è un divertimento.

Sandro             – (dopo una pausa) Ti dispiace che abbia invitato Toni a colazione?

Maria               – Anzi. È tanto simpatico! E anche divertente.

Sandro             – Oggi, non voglio perdere neanche un minuto della tua compagnia. E con tanti di occhi addosso… Toni con quelle spalle ci farà un po’ da paravento. (in ascolto) Zitta!… Hanno aperto la porta di strada.

Lydia               – (d.d.) Cesira!… Cesira!…

Sandro             – (allarmato) Sono i ragazzi!

Maria               – Non dovevano arrivare stasera?

Sandro             – Così avevano telegrafato.

Maria               – Come hanno fatto a entrare in casa?

Sandro             – Hanno la chiave (con rapida decisione) Aspetta!… In camera mia non ci mettono piede di sicuro. Entra lì e non ti muovere. Poi, appena possibile… (Maria esce dalla porta di sinistra)

Pasquetti         – (d.d.) Oh, poveri ragazzi! Deserta è la magione!… No, no, Gengi; non sono cose per te, caro. Dì all’autista che te le porti su lui, le valigie. (Sandro molto nervoso si muove per la scena cercando una soluzione; poi si siede al tavolo sfogliando un giornale)

Lydia               – (d.d.) Cesira?!… (si affaccia a destra; è un calzoni e giacca da viaggio; guarda attorno; s’avvede del padre) Ah, sei qui tu? (fatua, come se lo avesse veduto un’ora prima) Ciao!

Sandro             – (sullo stesso tono) Ciao! E tuo fratello?

Lydia               – E’ di là con la contessa Pasquetti. Siamo tornati con la sua macchina.

Sandro             – Così avrete risparmiato i soldi del treno.

Lydia               – Macchè! I biglietti si erano bell’e comprati. (guardandosi attorno) Non c’è la donna?

Sandro             – No; aveva finito di sbrigare qui, e l’ho mandata via. Dicevate nel telegramma che sareste arrivati col diretto delle sei.

Lydia               – E tu non potevi prevedere?…

Sandro             – Ah! Perché io dovevo prevedere?

Lydia               – A quella poi, non le par vero che duri questa cuccagna! Ma stasera mi sente, non dubitare!

Sandro             – Io ti consiglierei di pigliarla con le buone: col vento che tira e la carestia di serve che c’è in giro…

Lydia               – Lo dici tu! Basta pagare…

Sandro             – No, cara, non basta più.

Lydia               – Sicchè in dispensa non ci sarà nulla per la colazione?

Sandro             – Credo di no.

Lydia               – Almeno per te avrà preparato qualche cosa?!…

Sandro             – No, perché è arrivato il mio vecchio ex attendente: Menarel.

Lydia               – (fa un’alzata di spalle e fa per uscire) Oh!…

Sandro             – (richiamandola) Lydia!

Lydia               – (volgendosi) Dimmi.

Sandro             – Grazie, eh?!

Lydia               – Di che?

Sandro             – D’esserti affacciata per dirmi “ciao”. Tuo fratello non è stato capace di tanto. Non faccio per dire, ma dopo un’assenza di quasi due mesi…

Lydia               – Dio mio! Sempre i soliti formalismi!…

Sandro             – Già! Hai ragione! Fammi un piacere: chiamalo.

Lydia               – Ora?

Sandro             – Sì, subito.

Lydia               – Ma non hai sentito che non siamo soli? I doveri dell’ospitalità prima di tutto, no?

Sandro             – Ce ne sono anche degli altri doveri! Bada, che non intendo parlare di quelli di venir a salutare! Mandamelo; ho delle cose urgenti da comunicargli.

Eugenio           – (bel ragazzo, molto elegante appare a destra con la contessa Pasquetti; donna anziana, ma con la pretenzione d’apparire giovane. Alla sorella) Ah… Sei qua? (al padre con la stessa fatuità) Ciao.

Sandro             – Ciao.

Pasquetti         – (con caricata espansività) Caro Sandro! Che fortuna poterle dare un salutino! Chi poteva immaginare che fosse in casa?!…

Sandro             – Buongiorno, contessa!

Eugenio           – (alla sorella) Ti s’aspettava di là.

Lydia               – Cercavo la Cesira. (indicando il padre) Guarda che deve parlarti.

Eugenio           – A me?

Sandro             – Una parola sola.

Pasquetti         – Allora, li lasciamo. (a Sandro) Ma guai a lei se me lo strapazza! È già abbastanza stanco del viaggio, povero Gengi!…

Lydia               – (ad Eugenio) Lo sai che in casa non c’è nulla per la colazione? Ha lasciato libera la Cesira.

Eugenio           – Era ora!

Lydia               – No licenziata; mandata a passeggio! Tanto a lui non serve!…

Pasquetti         – E vi preoccupate per così poco?! Un po’ di toilette e poi venite tutti a casa mia. Anche lei, Sandro!

Sandro             – Grazie, Contessa. Ma ho già un impegno.

Lydia               – (al fratello) Col suo ex attendente; sai… quel Menarel…

Eugenio           – Come? È sempre vivo?

Sandro             – Perché, dovrebbe essere morto?

Eugenio           – Dicevo…; siccome era sparito di circolazione…

Sandro             – Segno che è un uomo discreto.

Eugenio           – Se tu non hai altre compagnie…

Sandro             – Son quelle che preferisco!

Pasquetti         – Orso!… Andiamo Lydia. (a Sandro) Ma prima di andar via, passo a dargli un altro salutino. Basta che non mi brontoli, però! (esce dal fondo con Lydia)

Eugenio           – (sulla difensiva) Che c’è?

Sandro             – (porgendogli la cambiale) Guarda!

Eugenio           – (senza scomporsi) Ah!… L’hai pagata tu?

Sandro             – Me ne sono guardato bene. Prima di tutto per la tua dignità; poi perché è una cosa che non mi riguarda.

Eugenio           – Eh già, si capisce; non ti riguarda mai nulla di quello che riguarda i tuoi figli.

Sandro             – I debito no! E specialmente i debiti per capricci.

Eugenio           – Se i capricci fossero una nostra prerogativa… (con intenzione) per quanto, alla nostra età, i capricci si possono anche compatire…

Sandro             – Che intendi dire?

Eugenio           – Va là, che mi hai capito. Non ne parliamo, babbo. Se c’è qualcuno che fa una brutta figura qui in casa… e fuori… non siamo noi quelli. Come se non bastassero le chiacchiere che si sentivano qui in città, anche a Cortina, ora, i nostri amici… E’diventata come una condanna…

Sandro             – Tanto cari, quei vostri amici!… Ma sarebbe meglio che tu li chiamassi compagni piuttosto; compagni… Non si sa di che, ma compagni; perché l’amicizia è sempre una cosa più pulita.

Eugenio           – Lascia stare, ti ho detto; non sta a te farmi la morale.

Sandro             – Non ti faccio la morale; eppoi, non sarebbe questo il momento. Ti faccio solo l’esposizione dei fatti, dei debiti che, in virtù della mia professione, mi capitano fra le mani. Che ne hai fatto di quel braccialetto?

Eugenio           – Tanto curioso sei?! Quando si ha bisogno di realizzare… Qualche debito d’onore si potrà pure averlo, no?

Sandro             – Infatti, che io sappia, tu ne avevi uno, e grosso. Quattro rinnovi… dunque, per lo meno un anno e mezzo… Spero che tu avrai provveduto, almeno in parte, ai bisogni di quella disgraziata.

Eugenio           – (ironico) Ti pare?!…

Sandro             – Non ho detto che mi pare, ma dentro di me, lo speravo. Invece, si capisce che il vostro senso d’onore si rifugia solo nelle carte da gioco.

Eugenio           – Con la Gina io non ho nessun impegno.

Sandro             – Scritto, forse no! Oh, voialtri le sapete fare le cose senza compromettervi… (dopo un poco) Beh, e ora cosa intendi di fare?

Eugenio           – Cioè? A proposito di che?

Sandro             – (sventolando la cambiale) Di questa farfalla?

Eugenio           – Ah!… pagherò!

Sandro             – Sì, ma entro domani, però. Perché con questo genere d’affari non si scherza.

Eugenio           – (affermativo) Entro domani.

Sandro             – Con che soldi?

Eugenio           – Se non t’interessa il debito, non ti deve interessare neanche come intendo pagarlo.

Sandro             – Eh, come logica… (incisivo) Te li dà la vecchia?

Eugenio           – (quasi sfidandolo) E se fosse? Si sarebbe sullo stesso piano, mi pare.

Sandro             – Eh no! Perché se anche fosse vero quello che tu pensi, c’è sempre un abisso: io spenderei dei soldi per una giovinezza, e tu spenderesti la tua giovinezza per dei soldi!

Eugenio           – E tu lo dici qua dentro? Se non altro per rispetto alla povera mamma.

Sandro             – (scattando) Ma che vuoi parlare tu di rispetto, di sentimenti…. di mamma!… Lascialo a noi un tale linguaggio… Per rispettarla, avrei dovuto assecondare il vostro giuoco sposando i campi e le stalle della contessa Pasquetti, vero?

Eugenio           – Se anche fosse stato un sacrificio, per l’avvenire dei figlioli si può fare questo ed altro.

Sandro             – Lo dici tu! Eh, no, caro! Questi sacrifici non son di mio gusto.

Eugenio           – E allora non storcere la bocca se sono costretto io a sfruttare la situazione.

Sandro             – (amaro) Guasto fino a questo punto, sei?

Pasquetti         – (d.d.) Gengi! Avete detto una parola sola.

Eugenio           – (al padre) C’è altro?

Sandro             – Per ora no. (Eugenio esce dal fondo. Sandro ha un gesto di disgusto) Oh!… (dalla comune appare Toni)

Toni                 – Go fato presto? La porta gera averta… Ghe bela machina che c’è davanti al palazzo. Xela sua?

Sandro             – No, Toni; sono tornati i figlioli.

Toni                 – Che figlioli?

Sandro             – I miei.

Toni                 – Oh, la pèpa!…

Sandro             – Sono di là. (indica il fondo)

Toni                 – (osservandolo) Ma cossa galo, sior Insandro? El me par tuto scaturito! Eh, capisso… Questa non ci voleva…

Sandro             – (con intenzione) Non ci voleva nemmeno qualcos’altro…

Toni                 – Qualche altra grana?… (guardando intorno) E la signorina Maria? Gala tagiato la corda?

Sandro             – L’ho fatta entrare in camera mia, Toni.

Toni                 – Ecco, questo non me piace. Né per lei, né per la signorina.

Sandro             – E che dovevo fare?

Toni                 – Ma se per caso, ci ficcano el naso là dentro?…

Sandro             – No, questo pericolo non c’è. Non entreranno lì che una volta sola: quando io…

Toni                 – Non me piace! Non me piace, mondo ladro… Un momento! Un’idea: lori non la ganno mai vista, el ga dito?…

Sandro             – Mai.

Toni                 – Allora: entra in funzione l’atendente. (va a sinistra e chiama) Signorina Maria?

Sandro             – Ma che cosa vuoi fare?

Toni                 – El mi lassi el pensiero a me. (Alza la testa e si solleva i baffi sfilandoli fra il pollice e l’indice distesi; Maria appare sull’uscio) La vegna, la vegna avanti. E la sera quela porta. La saranno stufa, benedeta, de restare là dentro in pregione.

Maria               – (a Sandro) Sono andati via?

Toni                 – No, sono ancora de là. Ma calma… e sangue fredo! Ci penso me a versarci la gabia. Anca se la vedono con me… (s’avvia con Maria)

Pasquetti         – (dal fondo con Lydia ed Eugenio) Sandro!… (s’avvede di Toni e Maria) Oh! Ha gente? Abbiamo fatto una bella pensata: invece che a casa mia si va a colazione al Belvedere. Badi che glieli accompagno a casa tardi stanotte!

Sandro             – Ma non diceva che erano strapazzati dal viaggio?

Pasquetti         – Ah… ma l’aria di collina farà bene a tutti e due. Poi, al circolo. Un po’ di baccarà, rimette i nervi a posto.

Toni                 – (a sé) Cossa? I se rimate i nervi a posto col bacalà?

Sandro             – (ai figli) Questo è Toni! Ve lo ricordate, vero? (a Toni) La contessa Pasquetti; i miei figlioli; cresciuti, no?

Toni                 – (osservandoli) Ma … signor Insandro, el me scusa: una volta no’l ci aveva un maschio e una femena?

Sandro             – Infatti…

Toni                 – Perché… sì, digo…, vedo che i porta le braghe tuti do!

Pasquetti         – (a Maria che è rimasta in disparte un po’ impacciata) E… questa signorina?

Toni                 – (pronto) Mia figlia, siora Contessa. Con le sotane.

Pasquetti         – Complimenti! Non si direbbe… Con quell’aria cittadina…

Toni                 – Oggi, le ragazze fanno presto a imparare. Con tre anni de servizio in cità…

Pasquetti         – A servizio, lei?

Toni                 – Sì, ma no serva de grosso…., a tuto fare, come se dice… Cosa… Cameriera! Anzi governante!… In una de le prime famegie di Verona.

Pasquetti         – Carina! Carina veramente!…

Lydia               – E’ lui, (indica il padre) a dire che non si trovano più persone di servizio.

Pasquetti         – Allora, scappiamo, cari, se non si fa tardi. Non mi tenga il broncio, Sandro, se glieli porto via. (gli stringe la mano. Poi a Maria e Toni) Arrivederci. Gengi, prendi il pardessù, perché la notte fa fresco, caro. E anche tu Lydia, un golf, uno scialle… (uscendo con i ragazzi) Passeremo una serata deliziosa! (osservando ancora Maria con l’occhialetto) Carina…, carina…(escono)

Sandro             – Ma che cosa t’è venuto in mente, Toni? Cose da matti! Se per un momento tu avessi riflettuto…

Toni                 – Riflettuto de cossa? Mo’l ga visto? Tuto lisso come l’olio…(furbescamente, con una strizzatina d’occhio) Signor Sandro… la cavala saura!

S  I   P  A  R  I  O

A  T  T  O    S  E  C  O  N  D  O

Stessa scena. Mattino. Toni sta seduto davanti a un tavolino su cui Lydia che viene dal fondo, depone la colazione su un vassoio. Toni indossa ora un vestito di Sandro che gli sta un po’ stretto, una cravatta male annodata e un paio di scarpe decenti.

Lydia               – Ecco qua. Lo voglio servire io con le mie mani. Maria è fuori con la Beppina per la spesa.

Toni                 – Che cosa sono tuta questa roba, signorina?

Lydia               – Thè, latte, burro, marmellata, miele… Una modestissima colazione, insomma.

Toni                 – E lori, la matina, magnano tute ‘ste porcherie?

Lydia               – Mi dispiace che Maria non sia ancora ritornata con le brioches; ho rimediato alla meglio con qualche biscottino.

Toni                 – A me me gira la testa! A casa mia, apena me alzo…, una scodela de late apena munto co do sleppe de polenta brustolada. Se me se trata a biscotini, ce ne vorebe una sporta….

Lydia               – Ma si serva pure senza tanti complimenti.

Toni                 – Me no merito tanto. Anca el vestito de so papà; e la cravata e le scarpe… Capisso che par rispeto a la casa… Ma me pare de essere un pesse fora de l’acqua. Adesso po’, co tuto sto dolce… Eh, signorina…; ela la vol ciaparme da la parte del cuor par via de la Marieta; l’ho capito subito.

Lydia               – Le dispiace? Ma lo sa che per noi, è stata la salvezza?

Toni                 – Gala visto? Furba, lei! Gnanca che la fusse nata in campagna!…

Lydia               – Ma come avrei potuto fare? Pensare alla spesa, far da mangiare, tenere in ordine la casa e la cucina?… M’è bastato quella volta che s’ammalò la donna! Dopo aver adoperato tutti i piatti e le scodelle che c’erano in casa, i bicchieri, le posate, quando non ci fu altro, ci si ridusse a mangiare il tonno sulla carta oleata! Che orrore!

Toni                 – Eppure qua non ci dovarìa essere carestia de acqua!

Lydia               – Ma le mani! Le mani, Toni! Avrei dovuto spendere un patrimonio in creme e smalto per le unghie.

Toni                 – Giusto! Prima de tuto l’economia!… gala recevudo posta da so papà?

Lydia               – No, Toni.

Toni                 – Gnanca stamatina? Ma sala che scomincio a stare in pensiero anca me?

Lydia               – Oh, ci avrà ben altre preoccupazioni a Roma, per trovare il tempo di scrivere a casa…

Toni                 – Epur mi ci aveva deto che in oto o diese giorni al massimo! E me despiace de dover andar via senza vedarlo. (e poiché Lydia gli sta spalmando il miele sui biscotti) Basta, basta signorina, per l’amor di Dio! A mi el miel me smissia el stomego. E po’ me si impotolano i mustaci.

Lydia               – Non vorrà mica tornare al paese senza salutarlo, spero? In fine, cosa ci ha da fare a casa?

Toni                 – Cossa che ci go da fare? Se no altro imbevarare le bestie e tendaghe a quei nati de cani che me despogiano i fruteti!

Lydia               – Eh, capisco, ma in ogni caso, mi lascerà la sua figliola per un altro po’ di tempo?

Toni                 – Impossibile, signorina. Go dovuto inventare la cabala de la matrigna amalata, perché i so paroni me la lassassero libera per una quendecina de giorni.

Lydia               – Quella carogna di Cesira!… Piantarci così, la mattina dopo del nostro ritorno!… E se lei non avesse convinto sua figlia a levarci d’impiccio almeno per questi primi giorni…

Toni                 – Ma sala che fadiga? Pegio de portare un saco de panochie su le spale. Ma adesso i quendese giorni sono passati… E poi ho visto che quela ragazina che ganno tolto in prova, la scomincia a fare bene.

Lydia               – Oh Dio, sì! Non ci si può lagnare. Ma ho paura che appena via Maria… Almeno voglio sperare che nei momenti liberi, verrà a farci una visitina. Vede, a noi non ci riesce di considerarla come una dipendente; ormai la si considera come una di casa. Anche Gengi le si è tanto affezionato!… E perché s’affezioni lui…

Maria               – (dalla comune) Buon giorno signorina.

Lydia               – Oh Maria; già tornata?

Toni                 – (imbarazzato) Buon giorno Maria

Maria               – Oh! Signor Menarel.

Lydia               – Come? Lo chiama così?

Toni                 – E’ un’abitudine de famegia, signorina. Tuti cussì i me ragazzi!… Per rispeto al nome de la casata…

Maria               – Guardi, signorina, che giù ci sono gli uomini col carbone.

Lydia               – A quest’ora?

Maria               – Dicono che nel pomeriggio non potevano… Se vuole che vada io…

Lydia               – No, no; prima voglio sentire io… Ma che si è pensato il babbo di ordinare il carbone d’agosto?…

Toni                 – Perché adesso el costa manco!

Lydia               – Dio, che seccatura! (con disprezzo) Carbone! (avviandosi al fondo) E’ a desinare con noi anche oggi, vero Toni?

Toni                 – No xe possibile, signorina. Go da essar dal notaro per serar i pati. Dopo tante discussion…

Lydia               – Ma andrà a desinare anche il notaio, spero! Là, là, se ritarderà, vuol dire che ritarderemo a metterci a tavola (esce)

Toni                 – Una bela penitenza! Pezo de quela del Venere Santo! (a Maria) La mi facia un piacere: La porti via tuta questa roba. Questi pastizzi non sono fati per me.

Maria               – (un po’ amara) Può seguitare anche a darmi del tu, se no, prima o poi, quando c’è qualcuno, se ne dimentica.

Toni                 – No la ga mica tuti i torti… Ma, vèdela, bisognerebbe che la mi dasse del te anca lei.

Maria               – Se non ci fossero che queste difficoltà…

Toni                 – Ho capito: Lei sono inrabiata con me.

Maria               – Perché arrabbiata? Non penso mica che quello che ha fatto, lo abbia fatto per leggerezza o per cattiveria… Certo però, che mi son pentita subito appena rimesso piede qui dentro… La notte poi, non mi riesce di chiudere occhio… Mi sembra di essere in un letto di spine!

Toni                 – Capitana! Non la si desmenteghi che anca a Nostro Signore ci gavevano messo la corona de spine!… Ma poi el ga finto par svolare in Paradiso coi anzoleti…

Maria               – Non dica eresie, Toni! Io credevo che questa faccenda potesse durare tre o quattro giorni al massimo; e invece… Sono pasticci, Toni, pasticci grossi. Ma quello che mi dà più pensiero di tutto è che l’avvocato non scrive. Anche stamattina sono passata dalla posta. Nulla! Non posso credere che si sia dimenticato completamente di me!

Toni                 – Adesso sono lei che dicono eresie! Se vede che no lo conosse ancora abastanza. El gavarà avuto tanto da fare. Sa, a Roma, co tuti quei avocati, comendatori, ministri, presidenti… Maria Santa! Quanti presidenti che ci sono a Roma!

Maria               – Però, appena so che è in viaggio di ritorno, in questa casa, non ci resto nemmeno un minuto.

Toni                 – E io, che go finito i me afari za da tre giorni?!… Se mi fermo ancora un poco vado a ris-cio de farme  fora quel poco de eredità avanzada dai denti del notaio.

Maria               – Fa male allora non accettare gli inviti che gli si fanno qui.

Toni                 – Fusse mato! No, no; pasta e fagioli in ostarìa con un bel litro de clinto; a costo de restare co le scarlesse vode!

Lydia               – (d.d.) Mi scusi tanto, Toni; le spiacerebbe di dare un’occhiata lei agli uomini che stanno scaricando?… Sa, una persona fidata…

Toni                 – Se dice anca nualtri in campagna: l’ochio del padrone ingrassano la bestia! Vado, vado, signorina. (esce da destra)

Lydia               – Maria, non hai mica visto per caso, una delle mie scarpe nere di camoscio?

Maria               – No, signorina. Ha perso una scarpa? Se si trattasse di un guanto… capirei, ma…

Lydia               – Le devo aver messe una quindicina di giorni fa. Tornando a casa la notte tardi, le devo aver buttate così, sotto il letto… Sai, ero un pochino… Ora ne trovo una sola!…

Maria               – Si sarà infilata sotto qualche mobile, vedrà…

Lydia               – (dopo una pausa) Dunque, è proprio vero che ci vuoi lasciare?

Maria               – Tutto dipende dai miei padroni, signorina. Ma che debba lasciarla presto, questo è certo, signorina. Lo sa che della Beppina son molto contenta? Ormai credo che sia capace di sbrigarsela da sola. Ci vorrà da principio un po’ di pazienza da principio…

Lydia               – Non è la stessa cosa però. Si fa tanto presto ad abituarsi male! Con te, ci pareva che tu fossi come di famiglia e si poteva stare tranquilli. (squilla il telefono. Maria vi si reca)

Maria               – Pronto? Casa Bruni. Per lei, signorina. (passa a Lydia)

Lydia               – Pronto. Sì, sono io… Miranda?!… Tu?!… Come mai qui?… Ah, capisco! Noi siamo tornati da due settimane. S’aspettava anche te a Cortina… Divertiti?… Macchè! La solita vita. Ce la siamo passata alla meglio insomma. Ma anzi, mi farai un piacerone! Figurati! Ciao Miranda! Ti aspetto! (depone il microfono) Una mia compagna di collegio; tanto carina; è qui di passaggio. (toglie dal tavolo il vassoio della colazione di Toni)

Maria               – Lasci, lasci signorina. Porto io di là. (dopo averla osservata) Lei, da qualche giorno ha l’aria stanca. Oh, io l’ho osservata, sa.

Lydia               – Un po’ di esaurimento, passerà.

Maria               – Bisognerebbe che non facesse tanto tardi la sera.

Lydia               – Ormai è un’abitudine… Qualche partita di canasta dalla contessa Pasquetti… E poi c’è sempre qualcuno che salta fuori con una proposta: Montecatini… Fiesole… Viareggio!… (sordamente stringendo i pugni) Se stanotte fossi andata a finire in un burrone, quella macchina!…

Maria               – Allora non è solo stanchezza… Mi scusi; non so se merito la sua confidenza…

Lydia               – Oh, c’è poco da confidarsi… I nostri colpi di testa si scontano in pubblico… a sipario aperto. La bella storia in pasto all’onorata società!… E tutti hanno diritto di fischiare o di battere le mani… Poi, fuori di teatro, commenti e discussioni… Siamo la favola del giorno…

Maria               – Non so di che teatro intenda parlare…

Lydia               – Ieri sera, la sala del bar del Principe a Viareggio. A Cortina pareva che mi morisse accanto; e là invece, con una di quelle che chiamano di gran classe!… Bisognava aver avuto i nervi d’acciaio… E io invece… Con tutto quel wiski che m’avevano fatto bere…

Maria               – A volte, certe delusioni bruciano più del wiski…

Lydia               – Delusioni di che?… Pensi forse all’amore?… Oh!… non siamo di quelle noi!… Orgoglio offeso... questo sì, forse..; e allora…

Maria               – Lei, avrebbe bisogno d’appoggiarsi a qualcuno…

Lydia               – A chi? A mio fratello?…

Maria               – A suo padre.

Lydia               – (con una spallucciata) Oh! Tu sei capitata qui che lui era appena partito e non puoi farti un’idea della bella vita che qui si conduce in comune…

Maria               – (fingendosi stupita) Davvero? Strano… il suo babbo ha un’aria così buona…

Lydia               – L’idillio famigliare, vero? Babbino bello… Scimmiettina mia… quello insomma che avviene in ogni famiglia che si rispetti. Eh!… se si potesse vedere attraverso le facciate delle case!… Cara la mia Maria, per gli affetti, è come se lui parlasse turco e noi giapponese!

Maria               – Come me ne dispiace! Non avrei mai pensato che…

Lydia               – (lasciandosi andare alle confidenze) Quando un uomo della sua età casca in mano di certa gente… Ma sì! Forse ne avrai sentito parlare anche tu; ne parlano anche le pietre qui a Firenze! Per esempio, credi che sia solo ora a Roma?… Le cause (ride) Un pretesto: quindici giorni di baldoria con quella sciagurata, fuori vista da quelli che lo conoscono. Così, non ha neanche il disturbo di arrossire.

Maria               – Una donna?

Lydia               – Una bertuccia! E avesse almeno l’attenuante d’essere stato preso da un’avvenenza fisica!:..

Maria               – Ah!… Perché lei la conosce?

Lydia               – Io no; e nemmeno ho voglia di levarmi questa curiosità… Non ci penso nemmeno! Ma una nostra amica… la contessa Pasquetti…: un mezzo aborto, ci disse…; piccola, rachitica, coi segni del vizio sul viso intonacato di belletto. Però, quanto ad arte, ce ne deve avere da vendere: l’arte di alleggerirgli il portafoglio e de metterlo su contro noi figliuoli. D’innocente non ha che il nome; perché, guarda ironia del caso, si chiama Innocenti.

Maria               – (con disgusto) Quando si dice di certe donne!… Che miseria!…

Lydia               – Brava! Che miseria! E con noi fa il tirchio: anche quest’anno a Cortina, pretendeva che s’andasse in un albergo più modesto dopo essere stati per tre stagioni di seguito al Faloria. Roba da farsi rider dietro da tutti i nostri amici. (con altra spallucciata) Oh!… Meglio non parlarne. Cercami, se puoi, quella scarpa, vai…

Eugenio           – (dal fondo in vestaglia da camera, con una giacca fra le mani) Maria… (appena vede Lydia ha un moto di disappunto; ma si riprende subito) Ciao, Lydia…

Lydia               – Buongiorno Gengi.

Eugenio           – Sei già levata?

Lydia               – Anche tu, mi pare; non è nelle tue abitudini…

Eugenio           – Volevo studiare un pochino; se no anche questa sezione d’esami va a farsi benedire. (a Maria) Maria, mi fai il piacere d’attaccarmi questo bottone?

Maria               – Dia pure. (a Lydia) Se mi vuol lasciar fuori la roba, signorina, appena il ferro è caldo gliela posso stirare io. (Lydia toglie il vassoio).

Eugenio           – Chi è che ha fatto colazione?

Lydia               – Toni.

Eugenio           – Ah!… Quel simpaticone di Toni!… Brav’uomo quello! Mi prepari qualche cosa anche a me, Lydia?

Lydia               – Thè o caffelatte?

Eugenio           – Quello che vuoi. Fa lo stesso.

Lydia               – Va bene. (esce dal fondo col vassoio)

Eugenio           – (a Maria che fa per avviarsi con Lydia) Aspetta un momento.

Maria               – Bisogna che vada a prendere l’ago e il filo. (osservando) Ma qui, il filo è stato tagliato con le forbici.

Eugenio           – Davvero?… chi può essere stato?

Maria               – Chi vuole che venga a tagliarle i bottoni della giacca?

Eugenio           – Un pretesto, dunque?… Tu sei intelligente; perché vedo che hai capito. E allora fermati un momento. (dopo un poco) E’ vero che vuoi andar via?

Maria               – Non è una novità! Quando accettai di mettere un po’ di ordine qua in casa, non ho lasciato credere il contrario.

Eugenio           – E che cos’è che ti fa scappare?

Maria               – Nulla. Gli impegni che ho con un’altra famiglia. È già molto che sia potuta restare con loro più del previsto.

Eugenio           – Ti potresti licenziare.

Maria               – E la ragione?

Eugenio           – Perché qui ti si vuol bene.

Maria               – Anche i miei signori di Verona mi vogliono bene.

Eugenio           – Ma qui è un’altra cosa.

Maria               – Il bene è unico, mi pare. Tanto più quando si fa tutto il possibile per meritarselo.

Eugenio           – Ma perché sei così scontrosa?

Maria               – Scontrosa io?

Eugenio           – Sì… sostenuta, insomma, diffidente. (con intensità) Non andar via, Maria. Non hai capito che tu sei quasi una necessità?… Almeno per me… Non hai visto la vita che facevo i primi giorni che tu venisti qui. A casa ci venivo solamente per dormire e quando me ne ricordavo. Ora invece… Ma forse tu sei troppo semplice per capire.

Maria               – No; non sono semplice, signor Eugenio; e nemmeno quella puritana che lei mi crede. Ma appunto per questo ho imparato dalla vita. (dopo un poco, più semplice e più profondo ad un tempo) Lei è un alpinista, vero? Sa dunque che cosa vuol dire tirarsi fuori da un banco di nebbia per andare verso il sole. E quando si è raggiunta la vetta non c’è voglia di ritornare in mezzo alla nebbia che si vede sotto… Ecco, io non so perché; ma provo proprio questa impressione. E non voglio essere considerata al livello di certe donne; al livello ad esempio, di quella che è ora a Roma insieme a suo padre.

Eugenio           – Ah, lo sai anche tu? (stupito)

Maria               – Me ne ha parlato dianzi sua sorella in modo abbastanza pittoresco…

Eugenio           – Ah… Ma c’è un abisso! Quella è…

Maria               – E allora tanto meglio. Però, creda; non è bello , specie per un giovane, aver tanto disprezzo per una donna che forse non si conosce a fondo. È così facile buttare la croce addosso al prossimo dimenticandosi magari delle proprie debolezze. Le pare?

Eugenio           – Che intendi dire? Tu sai qualcosa di me! Eh sì; sento che lo sai…

Maria               – Ma no; che vuole che sappia? Parlo in generale. E penso anche, che la più bella virtù, è quella di riconoscere i propri sbagli; per non seguitare a farne degli altri! Ho qualche anno più di lei, signorino Eugenio; mi scusi se le parlo così, ma quando si ha la fortuna d’essere giovani e intelligenti come lei, bisogna far tesoro di questo dono; non bisogna buttar via così i propri sentimenti…

Pasquetti         – (d.d.) No,no, non è necessario, piccola ; sono di casa io !

Eugenio           – (da sé) Eccone un’altra che è caduta dal letto!

Pasquetti         – (facendo capolino) Oh, caro Gengi!

Eugenio           – Buon giorno, contessa.

Pasquetti         – Lo sai che stavo in pensiero? Ho telefonato due o tre volte anche ieri sera. Si sentiva staccare il microfono e poi più nulla; silenzio assoluto.

Eugenio           – (eludendo) Un guasto, forse.

Pasquetti         – (con sottigliezza) A meno che, il silenzio, non fosse provocato dalla mia voce.. E tua sorella? Ancora a letto?

Eugenio           – Deve essere di là in cucina.

Pasquetti         – Notizie di tuo padre?

Eugenio           – Nessuna finora.

Pasquetti         – Allora siete ancora voi due soli in casa? Anzi… voi tre soli. Che cosa significa questa diserzione? È quasi una settimana che non vi fate più vivi…

Eugenio           – Sono stato un po’ costipato…

Pasquetti         – Benedetto ragazzo! E giri così in vestaglia? Ma è un’imprudenza…

Eugenio           – Sono vestito quasi del tutto sotto; non mi manca che la giacca, guardi. (e indica la giacca che è tra le mani di Maria) Maria mi deve attaccare un bottone.

Paquetti           – Qua, faccio io… (a Maria) Basta che lei mi infili un ago e mi tenga fermo l’occhialetto davanti agli occhi…

Maria               – Allora, contessa, faccio più presto ad attaccarglierlo io.

Pasquetti         – (masticando amaro) Ma che brava figliuola! Quante premure!… Ma non doveva fermarsi soltanto pochi giorni?… A quanto mi avevano detto…

Maria               – Invece qui hanno insistito tanto…

Pasquetti         – Egoisti!… Tutti egoisti questi ragazzi! A rischio magari, di farle perdere il posto, quel posto d’oro che ha a Verona!

Maria               – Oh… Stia tranquilla contessa, col permesso sono in regola e il posto non lo perdo di sicuro.

Pasquetti         – (contenta) Brava, brava figliuola! Andate a trovarne una di uguale al giorno d’oggi! Tutte leggere, mai di parola! Oggi non pensano che al salario e a fare le stupide coi soldati! Fa piacere sentire che ce n’è qualcuna ancora affezionata ai vecchi padroni.

Maria               – (avviandosi al fondo) Con permesso, contessa; se no il signorino rischia di restare in vestaglia sino all’ora del desinare.

Pasquetti         – Ma faccia, faccia pure, cara! (Maria esce; a Eugenio ironica) Bravo, bravo davvero, il nostro Gengi! Lui non si fa più vedere… Lui non telefona… Lui non si lascia telefonare. E io che avevo preparato…

Eugenio           – Cosa, contessa?

Pasquetti         – Quei pasticcini che son sempre stati la tua passione; e poi… e poi… c’era una sorpresa per te. No, no, non voglio dirti di cosa si tratta! Per quanto non te lo meriti… La troverai sotto il tovagliolo stasera quando verrai a pranzo da me.

Eugenio           – Ma non so… Non sono proprio sicuro di poterci venire…

Pasquetti         – Che c’è Gengi? Che ti succede? Tu sfuggi la mia casa, vero? La mia compagnia?

Eugenio           – Ma no. Non gliel’ho detto anche prima che non mi sento troppo bene?

Pasquetti         – (osservandolo con l’occhialetto) Malattia di cuore, forse?

Eugenio           – (fingendo di non capire) Speriamo di no.

Pasquetti         – Lo vorrei sperare anch’io! Per non essere in due. (pausa) Allora non vuoi venire a pranzo da me?

Eugenio           – Non glielo posso promettere. Ci ho anche tanto da studiare. Bisogna pure che mi decida a darli questi benedetti esami.

Pasquetti         – Anche quella dello studio è una scusa trovata bene. E… dimmi… che cosa studi? Storia naturale dal vero, forse? Qualis patris, talis filis: Lui a zonzo per l’Italia con una poco di buono, e il figliuolo a casa a spassarsela con una serva.

Eugenio           – Serva? Chi?…

Pasquetti         – Sicuro. Serva. Non ti attacca i bottoni? Serva. Rifà i letti, va a far la spesa… Tutt’al più la si potrà chiamare serva… a tutto fare… E quel contadino di suo padre che fa le viste di non vedere e che ci mangia sopra.

Eugenio           – Non c’è che dire: ha fatto un quadro completo.

Pasquetti         – Eh, caro mio, noi donne abbiamo la vista lunga… (cambiando) Beh; via!… Accompagnami almeno a fare delle commissioni.

Eugenio           – Ma…

Pasquetti         – Non avrai mica paura di comprometterti, spero?

Eugenio           – No… Ma s’era detto con Lydia… Si sentirà lei. In ogni modo, bisognerà bene che mi metta la giacca. (escono dal fondo; scena vuota)

Toni                 – (fa capolino dalla comune, indi fa cenno d’avanzare verso l’interno. Entra con Sandro che è pallido e sofferente, e reca una valigia alla mano) El vegna pur, sior Insandro. Me pareva de sentir ciacolar, ma no ghe c’è nissuno. El xe arivà cussì senza avertir…

Sandro             – Non voglio che mi vedano, se prima non ho parlato con una persona. Gli ho telefonato ora dalla stazione. Ma tu, che facevi giù al portone?

Toni                 – Ghe dava un’ociada ai omeni del carbon. Salo che son de casa ormai? I fioi, qua, no i me varda più storto come el primo giorno…

Sandro             – A che punto sei con l’eredità (si lascia andare su di una sedia)

Toni                 – Go finito tuto, sior Insandro. Ma se’l savesse che vita!… I xe certi smanfari quei me cugini…

Sandro             – Mi dispiace di non essere stato qui. Avrei potuto assisterti.

Toni                 – No’l se avilissa. Me son assistito da par me. Apena che me sono incorto che i voleva metarme in saco, me sono tirato suso i mustaci, cussì (e ripete il gesto) Al mio paese tuti sa cossa che trema la tera! Ma lori se sono matuti a ridare… No lo savevano, povareti! Ma la seconda volta lo ganno capito e sono svolate certe svèntole!… A la terza xe bastato solo la mossa… E ce siamo messi d’acordo in quatro e quatro oto.

Sandro             – Meno male. E ora fammi un piacere. Torna giù e mettiti di guardia. Verrà quella tal persona che ti ho detto; anziano, con gli occhiali. Senza che i figliuoli lo vedano, tu me l’accompagni in camera mia.

Toni                 – Co no’l vol altro, sior Insandro…

Sandro             – Sì, voglio che tu mi faccia un salto poi a casa di Maria; ti darò l’indirizzo. Le dirai che sono arrivato e che m’aspetti nel pomeriggio.

Toni                 – (imbarazzato; grattandosi la testa) Eco…, questo xe un poco più deficile, sion Insandro…: go paura de aver combinato un bruto pastizzo. Megio che ce la sbari subito: La signorina Maria è qua!

Sandro             – Qui dove?

Toni                 – Qua in casa sua…

Sandro             – (alzandosi di scatto) Toni? Sei diventato matto?

Toni                 – Se go da dirghe la verità, no lo so gnanca mi, adesso, se go la testa a posto. Apena partito lei, anca la serva ga tagiato la corda. Alora i fioi, qua, me ganno scongiurato de lassarci Maria per qualche giorno. Ci ho detto che no gera possibile, che i suoi paroni a Verona i l’aspetava… “Scriveteghe che la xe amalata –  me dicono –  che se trata de qualche giorno fin che ce si trova”. E alora me.…

Sandro             – (trasecolato) E lei, ha accettato?

Toni                 – No la voleva a tuti i costi, creatura de Dio! Ma bati ogi, bati doman… La dise che co la guardo nei oci la magnetizo!!!…

Sandro             – (che non sa capacitarsi) Ah, beh!… Questa poi…

Toni                 – La andava tute le matine a la posta per vedar se lu scriveva. “Apena so che si mete in viagio –  la diseva –  no resto gnanca un minuto in questa casa”. Ma posta no ce ne arivava e ela povareta…

Sandro             – (in ascolto indicando il fondo) Guarda chi c’è.

Toni                 – (dopo essersi affacciato) Sono lei!

Sandro             – Vai, mandamela. E tu fai la guardia fra le scale e il salotto. Appena arriva quel signore, fallo passare. (Toni via dalla comune)

Maria               – (entra subito) Sandro?! Tu?! (osservandolo) Tu stai male, Sandro?!…

Sandro             – Nulla. Un po’ di stanchezza. Non ti preoccupare, cara. Ma tu?… Toni mi ha detto…

Maria               – Io non volevo, sai, e mi ero tanto pentita d’essermi lasciata convincere… (seguendo il suo pensiero) Ma ora credo che Toni abbia visto giusto. (con tanta umiltà) Ho potuto capire tante cose… Proprio come ti scrivevo io: Bisogna essere indulgenti, Sandro…

Sandro             – E ora dove sono?

Maria               – In salotto con la contessa Pasquetti. Discutono su un problema di bridge. Non credo che, per ora abbiano ad alzarsi.

Sandro             – Come sta la bambina?

Maria               – Bene. Sono stata anche ieri a trovarla. (preoccupata) Ma tu?!… Tu?!…

Toni                 – (dalla comune) Signor Insandro. È qua sulle scale.

Sandro             – Fallo passare. (a Maria) Lasciaci un momento soli, Maria. Scusa sai.

Maria               – Che c’è Sandro?

Sandro             – Non ti preoccupare, ti ho detto. E non dire a nessuno che son tornato. Non voglio che lo sappiano se prima… (Toni fa entrare il dott. Faresi) Vai, vai cara. (Maria esce)

Faresi               – Sandro?!…

Sandro             – Caro Piero!

Faresi               – Mi hai spaventato con quella telefonata.

Sandro             – Ho una lettera per te del Prof. Amato. (gliela porge) Sto male, Piero.

Faresi               – Che c’è?

Sandro             – Leggi; tu capirai meglio di me. Ma io mi son già fatto la diagnosi senza leggere. Non credo d’essere ancora rimbecillito del tutto. La seconda notte che ero a Roma mi prese un insulto. I medici dell’albergo e poi quelli della Clinica hanno cercato d’indorarmi la pillola. Ma volevano che avvertissi subito a casa.

Faresi               – Dovevi farlo.

Sandro             – A che scopo? I figliuoli? Tu li conosci… Avrei potuto avvertir Maria; ma non la volevo spaventare. (Faresi apre e legge la lettera) E’ quello che penso io, non è vero? Questo tremendo dolore qui in cima al petto e che gira dietro la scapola… Ci vuol poco a capire. Un altro colpetto come questo e…. Tanti saluti avvocato Bruni.

Toni                 – (spaventato) Sior Capitano!…

Sandro             – Tu sta buono, tieni la bocca chiusa! (a Faresi) E’ il mio vecchio attendente.

Faresi               – E tu non mi fare il catastrofico! Ora ti visiterò. Ci son tanti fenomeni di nevrosi cardiaca…

Toni                 – Eco: i felomeni…

Sandro             – Grazie Piero. Ma non è di me che mi preoccupo, sai? Ma di lei, tanto! T’ho telefonato subito per questo. Oltre che il mio medico tu sei anche il mio più caro amico e confidente.

Faresi               – Dimmi.

Sandro             – Di là, in camera mia, ho una cartella d’assicurazione sulla vita che feci a suo favore l’anno scorso. La terrai tu. E quando sarà il momento…

Faresi               – Vieni, vieni che ti do un’occhiata. Tu hai ancora i nervi scossi dal viaggio.

Sandro             – ( a Toni) Quando qui c’è via libera, mi avverti. E che non sappiano nulla…; intesi? Non bisogna spaventare Maria… E la pietà dei figli… no! Quella proprio non la voglio. (esce con Faresi  a sinistra).

Lydia               – (dal fondo) Toni? Toni?… Ah, è qui?!… (a Eugenio e a Pasquetti che le stanno alle spalle) E’ qui! (entrano Eugenio e la contessa. Eugenio è in giacca) S’era scesi a cercarlo.

Toni                 – Gli omeni del carbone gavevano finito e…

Lydia               – Ma cos’è questa storia, Toni? Maria vuol andar via subito, così su due piedi… E’ già andata a vestirsi…

Eugenio           – Eppure ci aveva fatto sperare… (campanello interno)

Toni                 – (imbarazzato) Quando la se ficca un ciodo in su la testa, quela là…

Lydia               – Allora, non è vero che lei ha ricevuto un telegramma dai suoi padroni?!…

Toni                 – (prendendo la palla al balzo) Sìì… Ecome! Go trovato el telegrama all’albergo. Ganno bisogno urgente de lei…

Eugenio           – E come si fa, ora? Non si saprà dove metter le mani…

Pasquetti         – (melliflua) Mi metterò in cerca io, ve ne troverò una io… Non è il caso di disperarsi così! Intanto, se mai, vi manderò una delle mie donne. Va bene?

Beppina          – (da destra) Signorina. C’è una signora che domanda di lei.

Lydia  –          – Una signora? Falla passare. (Toni si ritira discretamente in un angolo)

Miranda          – (entrando introdotta da Beppina che esce) Cara Lydia! Dopo tanto tempo. Gengi…

Lydia               – Oh, Miranda! Tu?… (si abbracciano) Ormai non t’aspettavo più. (presentando) La contessa Pasquetti, Miranda Fantini: una mia cara compagna di collegio.

Pasquetti         – Piacere.

Miranda           – Un momento solo. Scusami tanto se non mi posso fermare. Devo andare da mia sorella a Settignano, ma non ho voluto perdere l’occasione di venire a salutarti.

Lydia               – Ma da dove vieni? Si sperava di vederti a Cortina, quest’anno.

Miranda           – Mi son rifugiata in un alberguccio alla Consuma, in mezzo ai boschi. Quest’anno ho preferito così, per i ragazzi. Siamo rientrati proprio ora.

Lydia               – E dove sono i bambini?

Miranda           – Sono su al Piazzale con mio marito.

Lydia               – Ti posso offrire qualche cosa?

Miranda           – No, no, grazie. Ormai è tardi e voglio essere a Settignano prima di sera. E voialtri? Novità? Niente confetti in vista?

Eugenio           – (scherzoso) Sì, dal droghiere qui di faccia!

Lydia               – Spiritoso!…

Miranda           – Sono proprio contenta di trovarvi tutti bene. E muovetevi qualche volta, pigroni! Ci vuol molto con la macchina? So che ce l’avete… Via dunque…

Lydia               – L’avevamo; ma ora il babbo l’ha venduta…

Pasquetti         – E non c’è la mia? Basta che vi decidiate…

Miranda           – Gliene sarò tanto grata, contessa.

Maria               – (da destra vestita per uscire) Signorina Lydia… (s’avvede della nuova venuta) Oh!… Mi scusino…

Miranda           – (con grande espansione, riconoscendola) Signorina Maria!…

Maria               – (stupita) Oh, signora Fantini!…

Miranda           – Anche lei qui? Ma che bella sorpresa!…

Lydia               – Tu la conosci?

Miranda           – Eccome! La nostra più cara compagna di villeggiatura! Vicina di tavola, vicina di camera… Era l’idolo di tutte le signore! I ragazzi poi l’adoravano. (Toni sgattaiola dal fondo a sinistra) S’è sentiti tutti la sua mancanza quando è partita.

Maria               – (con molta compostezza) Come sta Bibi, signora Fantini?

Miranda           – Vedesse ora come è bello colorito!

Maria               – E Mariarosa?

Miranda           – E’ diventata un angelo! Ora la sera s’addormenta subito senza più bisogno di cullarla. Le basta la ninna-nanna della signorina Innocenti. Ma se non gliela canto, sentisse che strilli! Ma lo sa che anche ora al Piazzale mi ha fatto le bizze perché credeva che venissi da lei? (imitando) Anche io da cioina Nocenti… Anche Maiaosa da cioina Nocenti!… Non fa che nominarla!…

Pasquetti         – Signorina Innocenti? Maria Innocenti?…

Maria               – (con sottile ironia) Capisco quello che pensa, contessa: Maria Innocenti. Omonima di un’altra Maria Innocenti che ora è a Roma in buona compagnia. Ma non certo una sosia, a giudicare da come mi è stata descritta.

Miranda           – Oh Dio!… Che cosa ho detto?

Lydia               – Nulla, nulla…

Miranda           – Chi è quest’altra signorina Innocenti?…

Lydia               – (sottovoce) Un’amica del babbo.

Miranda           – Oh Dio! Mi scusi signorina Maria… (ripensandoci) Ah, no, che lei non c’entra… (agli altri) Mi scusino loro… cioè… anche loro non c’entrano… (guardando l’orologio) Ma ho fatto tardi… Bisogna che scappi!… (s’avvia) Scusatemi… ciao Lydia, contessa… Caro Gengi… Signorina Maria… (sull’uscio, a sé) Dio che gaffe! (esce a destra)

Pasquetti         – Strano; tutte queste Innocenti che conturbano la famiglia Bruni!

Lydia               – (per troncare) Gengi, offri un Martini alla contessa. (Eugenio eseguisce. A Maria) Te ne vai proprio subito?

Maria               – (che si è spostata verso Lydia) Manderò domani mattina a pigliare la mia roba. (s’avvia per uscire)

Lydia               – Fermati almeno per oggi.

Maria               – Non è più possibile; lo capisce anche lei, ora, che non è più possibile.

Lydia               – Ma domani passi tu a riprendere la tua roba. (con intenzione) Il nostro colloquio di dianzi, non è finito. So che se prometti, sai mantenere. Promettimelo. (le porge la mano)

Maria               – Come vuole, signorina.

Eugenio           – (avanzando e porgendo la mano) E allora… Arrivederci Maria.

Maria               – Mi scusino. (esce)

Lydia               – (a Toni che attraversa per sgattaiolare) Fermo lei! Dove scappa? E bravo Toni! Bravo davvero! (Toni si rialza i baffi in segno difensivo) No, no, dico proprio sul serio; senza seconde intenzioni. Lei sa giuocare bene le sue carte.

Toni                 – Gnanca a briscola, signorina! In paese tuti dicono che sono una schiappa.

Lydia               – Ma non lo dico io, però! Una schiappa?… Lei è un asso!

Pasquetti         – (eccitandosi) Ah, che bellezza! Che bellezza! Un vero colpo di scena! Maria Innocenti?… Lei?… Ma qui c’è da perdere la testa… E qualcuno ha avuto il coraggio d’insinuare che fosse a Roma in buona compagnia… E quel povero Sandro… Che peste, la gente!

Toni                 – Peste, contessa!…

Pasquetti         – (riflettendo) Un momento… Ma lei, Toni, non si chiama Menarel?

Toni                 – Sicuro: Toni Menarel, ai so comandi, singnora contessa. E con questo? Lei la crede che par essar fioi de qualcheduno ce sia bisogno de portare el nome del padre?

Pasquetti         – Noo!… Ah, una figlia naturale?!… Un peccato di gioventù, allora?

Toni                 – (allargando le braccia) El più belo de la mia vita, contessa!

Pasquetti         – Ah, Toni, Toni!… Mi dica! Se sapesse quanto questo mi diverte… Mi dica…: una nobile, forse?

Toni                 – No, contessa: una lavandèra!

S  I  P  A  R  I  O

A T T O    T E R Z O

La stessa scena. All’indomani. Lydia è all’apparecchio telefonico. Sul tavolino un pacco di lettere aperte.

Lydia               – (al telefono; osserva il biglietto che tiene fra le mani)… il tavolo n. 10, sì. Le devo rimandare il biglietto prima delle tre? E va bene. Intanto, se le capita, sa che ne può disporre. Buongiorno. Grazie.

Eugenio           – (che viene dal fondo) A chi telefonavi?

Lydia               – Alla Palma. Ho lasciato libero il tavolo per stassera.

Eugenio           – Il primo passatempo dopo il nostro ritorno.

Lydia               – Ma Gengi!… Dianzi ho parlato col dott. Farese. M’ha detto che non si può pronunciare; perché con l’elettrocardiografo si può capire poco. Una diagnosi sicura la si può fare soltanto al momento dell’attacco. Ad ogni modo, dice, non è prudente lasciarlo solo. Pensa Eugenio, se dovesse succedere…

Eugenio           – Credi che sia proprio una cosa seria?

Lydia               – Ho paura di sì. Ho telefonato anche alla contessa Pasquetti che non si va alla Palma. (seguendo il suo pensiero) Dio mio, che disastro sarebbe!… Per te, prima di tutto.

Eugenio           – Eh, lo so…

Lydia               – Un conto è mandare avanti uno studio già avviato; e un altro è metterlo su di sana pianta… Eppoi, lo studio chiuso perchissà quanto tempo… la clientela sviata… Bisogna essere realisti, caro mio. Bisogna che tu ti dia da fare. È anche un caso di coscienza…

Eugenio           – Alla sezione d’ottobre piglierò la laurea!

Lydia               – Speriamo che tu sia a tempo… Se si trattasse di quello che si pensa, potrebbe essere anche fra dieci anni, ma potrebbe essere anche d’ora in ora.

Eugenio           – Non mi fare la catastrofica! Anche stanotte ho studiato fino alle due. È quel benedetto diritto amministrativo che non mi vuole entrare in testa. Ma a furia di battere…

Lydia               – Ci pensi tu a restituire il biglietto?

Eugenio           – Mettilo lì (Lydia lo pone sul tavolo accanto alle lettere di cui Eugenio s’avvede) Cosa sono?

Lydia               – (mettendo una mano sopra il pacco di lettere) Nulla che ti riguardi.

Eugenio           – Riguardano forse te?

Lydia               – (dopo un po’: acre, ma con decisione improvvisa) Ma sì!… Meglio se tu vuoi vedere… Così saprai anche questa: Maria, ha una bambina.

Eugenio           – No!? … Chi te l’ha detto?

Lydia               – (appoggiandosi ancora la mano sulle lettere) Queste!… Anche fra me e te… l’uno vale l’altro: tu con la Pasquetti e io… Da ieri non sono più capace di vederla con gli occhi di prima; la Maria d’una volta… la bestia nera!… Stanotte poi, non m’è riuscito di chiudere occhio; mi vedevo sempre davanti due figure che si mischiavano fra loro: quella che ci s’era fabbricata col nostro astio e la nostra fantasia; e quella che abbiamo avuta qui con noi per due settimane. E così, al buio, mi son torturata tutta la notte con tante domande…; questa prima di tutte. Se è stata per un mese su in collina, qualche volta avrà pur scritto al babbo. E allora mi è venuta una smania di conoscerla a fondo, per quello che è veramente…; forse nella speranza, lo vedi, te lo confesso, di trovare in quelle lettere la donna che ci eravamo immaginata noi. Sapevo che il babbo tiene la sua corrispondenza privata nel terzo cassetto dell’armadio in camera sua; e stamattina ho lavorato con tutte le chiavi che ci sono in casa. Guarda qui. (e sfoglia le lettere) Una lettera tutti i giorni. Senti la bestia nera!… (legge) “Tu sei troppo severo, Sandro. Non sono i tuoi figliuoli, ma tutta la gioventù che è ammalata, sfiduciata, delusa… Come vuoi imputare a loro la colpa di questa aridità di sentimenti, se sono cresciuti in un clima di distruzione e di morte?…” Capito?… E quest’altra qui, senti: (legge) “Non giudicarli così severamente, Sandro. Sei tanto sereno con tutti… Perché con loro, proprio con i tuoi figli non vuoi esserlo?… Sei così dolce anche con la mia bambina… No, Sandro, credimi: dei figli non bisogna mai disperare; sarebbe come disperare di noi stessi… Pensa, Sandro, ai loro primi passi; alle loro manine che ti accarezzavano…” No, no!… Non è quella che ci credeva! La vera Maria, è questa. (dandogli le lettere) Vai avanti tu, vai… divertiti! (una pausa)

Eugenio           – Si può rimediare: perché non resta?

Lydia               – Perché ormai sa come la giudichiamo.

Eugenio           – Noi, non potremmo certo vergognarci di lei…; e il babbo, per lui potrebbe essere di grande sollievo. (seguendo il suo pensiero) Senza contare…

Lydia               – Senza contare?… Pare impossibile: sempre lo stesso tu!

Eugenio           – (fatuamente) Ma no!

Lydia               – Ma sì; dico io! Sono qui che mi rodo anch’io… ma ho almeno il coraggio di confessarlo. Senza contare, tu dici, che la sua presenza sarebbe un sollievo anche per noi: di altro genere, se vuoi, ma sempre un sollievo.

Eugenio           – Non bisogna farglielo capire.

Lydia               – Lo capisce lo stesso; credilo!

Eugenio           – Altro è capirlo e altro è sentirselo dire. Non doveva venire oggi a riprendersi la sua roba?

Lydia               – Me l’ha promesso; e credo che non manchi.

Eugenio           – Il babbo è andato solo dal dott. Farese?

Lydia               – S’è fatto accompagnare da Toni con un tassì. La Pasquetti gli voleva mandare la sua macchina, ma lui non ha voluto saperne. Oh, capiterà qui di sicuro!

Eugenio           – (seccato) Se viene, digli che sono andato al Polo Nord.

Lydia               – E come la rimedi, con lei?

Eugenio           – Rimediare cosa?

Lydia               – Tu gli devi dei quattrini.

Eugenio           – Glieli renderò. Glieli voglio rendere. Avrà un po’ di pazienza. Lo sai che ho visto la Gina?

Lydia               – Quando?

Eugenio           – Iersera. La chiamai e lei tirò dritto. Ma io non la lasciai e seguitai ad andarle dietro… Siamo arrivati al Ponte a Santa Trinità…. Allora: pianti, improperi… La più bella parola che mi disse è stata “vigliacco!” Ma poi, abbiamo finito per andare a cena assieme. Non credevo che avesse sofferto tanto, povera Gina!...

Lydia               – Certo non se lo meritava. Tu l’hai conosciuta che eravate bambini al ginnasio…

Eugenio           – Ci terrei che lo sapesse il babbo… Fu lui a ricordarmela ancora… Prima lui… e poi Maria.

Lydia               – Ci penserò io, lascia fare.

Beppina           – (sulla comune) Signorina; c’è la Maria.

Lydia               – Che Maria?

Beppina           – La Maria. In questa casa, io non ne ho conosciute altre. La donna di servizio che è andata via ieri.

Lydia               – Si può sapere chi t’ha insegnato l’educazione? Prima di tutto, per noi non è mai stata la donna di servizio; e poi… si dice: la signorina Maria.

Beppina           – Va bene. Allora, quest’altra settimana mi chiamerà anche me la signorina Beppina.

Lydia               – Come?

Beppina           – Sì, perché la mia mamma che è stata qui stamattina, m’ha detto di darle gli otto giorni. Mi vuol mettere ai tabacchi.

Lydia               – E tu ci vai?

Beppina           – Non mi par vero! Almeno, al giorno si chiacchiera e tutte le sere si può andare al cinematografo; e le domeniche si va a ballare fino a mezzanotte!

Lydia               – Begli ideali!

Beppina           – Non ho mica intenzione di farmi monaca, sa?

Lydia               – Dico: begli ideali per la tua mamma.

Beppina           – La mia mamma? Non ci mancherebbe altro che se ne dovesse impicciare… sono stata io che le ho detto che voglio entrare nei signari.

Lydia               – Beh, ora va di là; ne parleremo dopo. (seccata)

Beppina           – Uhmm!... Per me, ho parlato anche troppo! Debbo farla entrare?

Lydia               – Sì, spicciati. (Beppina via a destra) Tutte eguali. È appena nata e già pensa a essere libera la sera. E ballare tutta la domenica. (a Eugenio) Ora sarà meglio che tu mi lasci sola con lei.

Eugenio           – Se credi… Vado nello studio del babbo a consultare dei libri. In caso, chiamami. (s’avvia in fondo a sinistra mentre Maria appare a destra) Buongiorno, Maria.

Maria               – Buongiorno, signor Eugenio. Buongiorno signorina. (Eugenio esce)

Lydia               – Brava Maria, sei stata di parola!

Maria               – Procuro d’esserlo sempre, signorina…; ma alle volte, si cerca di fare un bene e si combina invece un male…

Lydia               – Non ti capisco.

Maria               – Se quindici giorni fa, me ne fossi andata via, credo che sarebbe stato molto meglio.

Lydia               – Perché dici così?

Maria               – Se sapesse come sono addolorata, signorina. Se avessi potuto prevedere… E’ stata una debolezza la mia; ma più che tutto è dipeso dalle circostanze.

Lydia               – (dopo un poco) Maria… come sta la bambina?

Maria               – (stupita) Come?!... Lei sa?...

Lydia               – Si sa tutto, ormai; anche quello che forse non era lecito sapere, perché apparteneva soltanto alla sua intimità. Ma è stato meglio così. (con significazione) Vuol restare, Maria?

Maria               – Ma che dice, signorina?

Lydia               – Te lo domando anche a nome di Eugenio. Sappiamo benissimo quello che le aveva offerto il babbo. E anche noi, oggi, si sarebbe felicissimi.

Maria               – (dopo un po’, profondamente) No, signorina.

Lydia               – Capisco. So benissimo che non le si offre il Paradiso; e non posso darle torto. Tutti abbiamo il nostro orgoglio…

Maria               – No, non si tratta di orgoglio. Ho detto di no anche al suo babbo. Forse, non mi so spiegare.

Lydia               – E se glielo domandassi per me? Lei lo sa; io ho sempre preso la vita così, alla leggera… Ma ora, comincio ad averne paura… Noi, capisce… qua dentro, siamo dei parenti… ma non siamo una famiglia… Siamo dei parenti…; due figliuoli e un padre.

Maria               – (con un fondo di struggente tenerezza) E’ tanto buono, sa, il suo babbo! Un santo; il solo che abbia avuto il coraggio di darmi una mano per aiutarmi a risalire… Se sapesse che cosa vuol dire non aver più i genitori… E quando li persi io… non ero più una bambina, ma nemmeno una donna; l’età più pericolosa, perché manca l’esperienza per sapersi difendere; e si comincia a interessare gli uomini. Io poi, per mia disgrazia, ho sempre suscitato negli uomini un desiderio prima di un sentimento. Lei, ormai, m’ha detto di saper tutto; anche che ho una bambina. Ma ora bisogna che sappia quello che ero per non crearsi di me un concetto sbagliato più di quello di prima. (acre, nauseata) Ce ne avevo tanti d’intorno, signorina! Aiuti, parole buone, rispetto per la mia creaturina? Macchè! Proposte; proposte, soltanto proposte! E perché un giorno dissi un no secco ad un vecchio funzionario; mi son trovata in Questura come una donna da strada qualunque. Fu allora che conobbi il suo babbo… in una stanza fredda dove le guardie mi davano del tu… E’ stato il mio Dio sulla terra!... La salvezza mia e della piccina… (con una reazione interiore) Ma ora, soltanto al pensiero che si voglia credere che io ne voglia approfittare… No, no, no! Ho avuto già abbastanza dalla Provvidenza! (poi vinte ed estenuata) Cerchi di capirmi, signorina Lydia.

Lydia               – Lasci stare quel “signorina”. È il primo passo per accorciare le distanze.

Maria               – Ora sì che lei assomiglia al suo babbo. E vorrei che fosse qui per potergli dare questo conforto…

Lydia               – Sa, Maria, dove è ora mio padre? Dal dottor Faresi per un esame. Gli ho telefonato ora. C’è sulla sua testa, come una spada di Damocle.

Maria               – (che ha dolorosamente peso dalle sue labbra) Noo!!... No! Non è possibile… Sarebbe un delitto troppo grande!

Lydia               – (con intenzione) Maria, non bisognerà lasciarlo un momento solo.

Maria               – (abbassando il capo) Capisco.

Lydia               – E’ per questo che le dicevo che non le si offriva il Paradiso.

Maria               – E lui… lo sa?

Lydia               – Si fa il possibile per illuderlo. E non è una cosa facile. È per questo che… la sua decisione può avere una grande importanza.

Maria               -(dopo un poco, come un assenso) Se egli ha bisogno di me… Io ho già deciso Lydia.

Lydia               -Zitta!... (in ascolto) S’è fermata una macchina. È qui… No, ora no. Gli potrebbe far male vederci così. Più tardi… (Lydia prende con sé il pacco delle lettere; s’avviano al fondo. Maria guarda verso l’uscio di destre con occhi spauriti. Escono.)

Sandro             – (entra da destra con Toni) Vieni, vieni… (si lascia andare sulla poltrona e si passa il fazzoletto sulla fronte)

Toni                 – Si sente stanco signor Insandro?

Sandro             – Sai! Tutti quegli strumenti… Ti fanno ammalare anche se non hai nulla. Bisognerà che tu passi a casa di Maria. Le avevo promesso… Certo sarà in pensiero.

Toni                 – Prima de ciapare el treno, ce passo, ce passo de sicuro.

Sandro             – Vuoi proprio partire stassera?

Toni                 – No ghe pare che me sia fermato abastanza? Chi lo sa che baraonda che trovarò a casa.

                        Lydia  – (entra fingendo la massima serenità) Ciao, babbo. E allora? Sarai tranquillo, spero. Ho telefonato a Farese e mi ha detto…

Sandro             – (amaro) Che son  fisime, vero? Però, almeno per qualche settimana, non mi devo muovere di casa. Poi, anche se le settimane si moltiplicano…

Lydia               – Che idee! (a Toni) Toni, le ho preparato tutto sulla tavola di cucina. Non vorrà mica partire a stomaco vuoto, spero?

Toni                 – In sta casa, quando me vogliono mandar via, mi sgonfiano come un’oca. A me basta una sciochezza… (a Sandro) Comparmesso… capitano (via dal fondo)

Lydia               – Eppure… c’è più cuore in quel contadino…

Sandro             – (stupito) Lydia? Ti senti male?...

Lydia               – No, babbo. Forse, da poche ore, comincio a sentirmi realmente bene.

Sandro             – (con molta calma) Sai, Lydia, con che proposito ero partito quindici giorni fa? Di tagliare i ponti con voialtri, una volta per sempre. Di stabilirmi a Roma. A dei vecchi amici che ho la, non sarebbe parso vero. Come avvocato di Cassazione ho sempre dimostrato di valere qualche cosa. E una volta laggiù… rifarmi una vita; questo straccio di vita che ancora mi resta… Ho fatto i conti senza l’oste. Ed eccomi qui, inchiodato fra queste quattro mura. Il dito di Dio! Si capisce che non ero nato per le evasioni. Sono stato preso subito per il coppino e giù! Su questa poltrona.

Lydia               – Fino a questo punto avevamo distrutto il tuo affetto?     

Sandro             – Lascia stare l’affetto: quello è nel sangue. Dì piuttosto comprensione. E per me, non ce n’è mai stata. Comprensione per quello che può essere senso d’umanità, di poesia… Questa maledetta poesia che è peggio della peste quando non si riesce a farsi capire… E magari anche pietà per la miseria della nostra carne che non si rassegna a morire… Niente… Solo parole agre, malignità… fango.

Lydia               – Ma si può anche sbagliare (a un moto di Sandro) Oh,… non ti aspettare delle parole di scusa… Tu lo sai che razza di bestia che sono. Ma ora credo di capirti molto meglio di prima, babbo.

Sandro             – E tuo fratello?

Lydia               – Forse comincia a capire anche lui. È di là nel tuo studio a consultare dei libri. Ieri sera ha fatto pace con la Gina.

Sandro             – (amaro, ma intimamente soddisfatto) Ah!... Notizie buone… Bisogna proprio che Faresi ve le abbia date proprio brutte!... Con me, invece, ha cercato di illudermi… Stanchezza… Esaurimento… Con poche iniezioni… (mostra la scatola) Guarda…Bisognerà chiamare un infermiere.

Lydia               – Ci abbiamo già pensato, babbo… C’è un’infermiera di là…

Sandro             – Oh… che pensiero gentile! Non vi siete dimenticati del mio debole…

Lydia               – Ancora, babbo?... Guarda… (va al fondo e fa un cenno) Vieni, vieni pure…

Maria               – (entrando) Sandro!

Sandro             – Maria!?...

Maria               – Sì, Sandro. E non avere diffidenze… Ti ricordi delle mie parole? Dei figli non bisogna mai disperare: sarebbe come disperare di noi stessi… Non mi sono sbagliata allora e non mi sbaglio adesso.

Pasquetti         – (d.d.) Sono di là?

Lydia               – C’è la Pasquetti!

Sandro             – Per l’amor di Dio! Meglio l’iniezione che le chiacchiere della contessa Pasquetti!

Lydia               – Andate, andate di là. Ci penso io alla siringa. (Sandro e Maria escono a sinistra)

Pasquetti         – (dalla comune) Cara Lydia!

Lydia               – Buonasera, contessa.

Pasquetti         – Dov’è? Dov’è tuo padre?

Lydia               – Di là, in camera sua.

Pasquetti         – Allora, niente di grave? Dio mio, che spavento! Ho sentito parlare di Clinica, di ferri…

Lydia               – No, no, niente di tutto questo, grazie a Dio! C’è stata un po’ d’esagerazione. Certo che ha bisogno di curarsi. Anzi, se mi permette, gli dovrei preparare la siringa per l’iniezione.

Pasquetti         – E Gengi c’è?...

Lydia               – Credo che sia fuori…

Pasquetti         – Quella bestia di Gastone!... (Lydia la guarda interrogativa) Sì… là… all’istituto di bellezza! M’ha fatto perdere due ore!... Cosmesi…, applicazioni calde… Sono tutta un fuoco!...

Lydia               – (a Toni che appare con un pezzo di pane e una mela in mano) Ah bravo, Toni; faccia un po’ di compagnia alla contessa, mentre io vado di là. Permesso. (via dal fondo; poco dopo riattraversa per recarsi con la siringa dal padre)

Toni                 – Oh, la me scusi, signora contessa! (mette il mangiare in tasca)

Pasquetti         – Ma no; faccia, faccia pure. Lei poi, qui è quasi a pensione…

Toni                 – Ho capito, sala?... Questa sarebbe, come dire, una botonata, come se dice da noi… ma go  finito de scrocare, sala. Sono de partenza… Go già pronto eil mio bagaglio in cusina.

Pasquetti         – Vuol bere qualcosa? Così, per buttar  giù il boccone. Tanto… siamo di casa… (va al mobiletto bar)

Toni                 – No, no, grazie contessa. Se se tratasse de un goto de vin vecio… ma quele porcherìe là…

Pasquetti         – Forse non ha tutti i torti. Ma provi, provi un goccino… Tutto sta nell’abituarsi. Io, a quest’ora, ne ho già bevuti una mezza dozzina. (gli porge il calice)

Toni                 – Peuh!... Non c’è gnanca malani. Ma al confronto del nostro raboso de Piave…”Vini tipichi” ce dicono. Quelo sì che ti tira suso i foli!... I mantici. Lo dice anca el proverbio: “El vin sono el late dei vechi”!

Pasquetti         – (guardandolo con l’occhialetto) Vecchio lei?... Ma scherza. Quanti anni ha, Toni?

Toni                 – Quanti anni ghe go?!... Sono del 91; la facia un fià el conto lei e poi la moltiplica per due… Perché nualtri en campagna ce se frusta el dopio de lori.

Pasquetti         – Ma cosa dice?... Se è ancora un bell’uomo, forte, sano… Se appena, appena si tagliasse i baffi…

Toni                 – Tagiarme i mustacci? Questi son la mia bandiera de combatimento!

Pasquetti         – Ah, certo, un segno di virilità. Non c’p che la campagna che conservi gli uomini forti… (lo osserva ancora) Come si trova, Toni, dov’è ora?...

Toni                 – Mah… se mi palpo me trovo; segno che de fame ancora no son morto…

Pasquetti         – Quanti campi ha?

Toni                 – Ventidue, signora contessa.

Pasquetti         – A mezzadria?

Toni                 – Sì, ma come che gosse al a terzo: fra le onoranze ai padroni e quello che sgranfigna el castaldo… Fiol de una bona dona! Che denti che’l ga!... Parcossa me domandela?

Pasquetti         – Così!... perché mi piacciono gli uomini del suo stampo! Ancora non posso dirle nulla. Ma forse, se mi resta libero un podere a Scandicci… Trenta campi, casa colonica, stalla, granaio… Lei così potrebbe venire spesso a Firenze e stare un po’ dietro a me; curare i miei interessi di casa. Non vorrei che faticasse troppo…

Toni                 – (furbescamente) Cossa vuole, contessa, non sono afari par me. Co mi cavano dai campi, dal sol, dal giasso, dal fango… E po’, non so se la sappia che son qua in questi giorni per un’eredità. I miei cugini fanno i camionisti, i se ne intendono de motori e no de vide e de gruti. Cussì me ghe lasso i camion e i bezzi e lori me lassano i campi. Me despiasse per lei, contessa. Ma cossa la ci vuol fare… (a sé) No ti me bèchi, vecia!

Pasquetti         – Uffah!... Ma che caldo! Bisogna proprio che vada. Mi son persa in chiacchiere… (va col bicchiere allo specchio; lo posa sul piano della consolle; passa un po’ di cipria sul viso, si osserva; con la punta delle dita si stira la pelle delle guance verso l’alto; fa una smorfia; con disgusto) Cosmesi?... Puah|… Sipario! (prendendo il bicchiere e vuotandolo) Questo! (indi avviandosi rapidamente a destra) Arrivederci, Toni.

Toni                 – Ai so comandi, signora contessa.

Pasquetti         – (uscendo) Ma che caldo, oggi! (esce sventolandosi)

Toni                 – Un’altra qua che vorìa fruarme del tuto!... (si liscia i baffi e se li caccia in bocca; si osserva; se li rialza) Tagiarme i mustaci? Mata la testa!

Lydia               – (da sinistra con circospezione) E’ andata via?

Toni                 – Sì, signorina. Vuole che la ciami indietro?

Lydia               – No, no, per carità! La lasci andare!

Toni                 – E alora, me dfà l’impression che posso andar via anca me; digo bene?

Lydia               – Toni, da quanto tempo è che lei conosce la signorina Maria?

Toni                 – Da un quarto d’ora prima che lori tornassero da la montagna.

Lydia               – E come mai, ha fatto… quello che ha fatto?

Toni                 – Mah!... E chi lo sa?... Per tante razon, vedèla… Prima de tuto io conosso so papà megio de lori…El capitano Bruni! Che omo! Che cuor! Che coragio!...Quelo no gaveva paura de gnente, alora… E adesso…a vedarlo cussì spaventato, e dei so fioi…, ma ha fato rabia, eco; e anca pena, capìssela?... E poi, sa… noialtri contadini se sente l’odor de la piova e del bel tempo… E quando se sente el temporal se metono in salvo le panocchie, capìssela? Credela, sì, che gabia salvato qualcossa?

 

Lydia               – Lei è un galantuomo, Toni; e noi lo ringraziamo tanto.

Toni                 – E invesse sono me che ringrazio lei… Ma sul serio, sala? E adesso vado via anca più contento… Vado a tor la mia valisa e… grazie… capitanina! (via dal fondo verso destra)

Eugenio           – (entrando e vedendo Lydia che molto commossa si è seduta sulla poltrona asciugandosi gli occhi) Sei raffreddata?

Lydia               – Sì.

Eugenio           – Novità?

Lydia               – La Pasquetti è andata via… E Maria, resta!

Eugenio           – Meno male!… E lui?

Lydia               – (violentissima) Chi lui?!…

Eugenio           – Beh?!… Lydia?…

Lydia               – Sì, sì… hai ragione… Ma che ti devo dire? Mi faccio schifo!

Eugenio           – Guarda il caso… Prima, di là nel suo studio… in mezzo a tutti quei libri… a tanti anni di lavoro, quasi, quasi… ho provato anch’io la stessa impressione!… Ma credi proprio che sia grave?

Lydia               – Speriamo di no.

Eugenio           – (quasi mormorato) Povero papà!…

Lydia               – Quanto amaro ha inghiottito in tutti questi mesi!

Eugenio           – E lei ci scusava!…

Lydia               – Andiamo… andiamo; mi pare che vengano di qua.

Eugenio           – Lo vorrei salutare.

Sandro             – (entra appoggiato a Maria. Appena vede i figli, quasi istintivamente, toglie il braccio dalle spalle di Maria. Lydia abbassa il capo mortificata ed esce dal fondo)

Eugenio           – (dopo un po’) Ciao papà!…

Sandro             – (lo guarda stupito e commosso) Ciao, figliuolo… (via Eugenio dal fondo)

Maria               – (sorridente) Sandro…, dimmi… sono proprio quell’illusa che dicevi?

Sandro             – Mi pare perfino impossibile… Sarebbe troppo bello andarsene così… senza paure… Sapendo tutti in pace, qui…

Maria               – (con la commozione in gola e molta intensità) Sandro!… Sandro!…Ma che razza di bugie m’ha raccontato Toni?… Su, su… Questo è il momento di lottare, non di abbattersi così! Mi ricordo che tu, proprio tu, l’altr’anno, mi hai detto che per ammalarsi bisogna avere il tempo e… la volontà di farlo; e che tu non avevi né il tempo né la volontà di farlo! Te ne ricordi? E ora?… Eh no Sandro. Ora sei proprio tu che ci devi aiutare… Tu devi aiutare me e i tuoi figliuoli a curarti e a guarirti… (quasi disperatamente) Tu non ci puoi lasciare soli! Capisci, Sandro?… tu non devi… Bisogna guarire!

Sandro             – Non far così, Maria…

Maria               – E allora giuramelo…

Sandro             – Cosa?

Maria               – Che tu ci aiuterai a salvarti. Giuralo, Sandro!…

Toni                 – (che è apparso dal fondo con la sporta del suo arrivo, pronto per la partenza) Eco! Brava signorina! La ce lo facia giurare!… Parché la xe l’unica maniera, sala. Anche lui, nel 15, ce fece giurare. Tuti in fila, là… E…giurate, ci ha deto. E noi gabiamo mantenuto! Vero sior Insandro?

Sandro             – Questo sì…

Toni                 – E alora; el giura anca lei, adesso, porca miseria! (marziale) Attenti! Giuri!…

Sandro             – (vinto e un po’ comico)E va bene: lo giuro!

Toni                 – Riposo! (avviandosi) E adesso, bisogna proprio che vada… Ma tornarò! Ai comandi de tuti due; e grazie de tuto… arrivederli…capitani! (fa il saluto militare e se ne va stirandosi i baffi col dorso della mano per nascondere la commozione; accennando a mezza voce la canzone degli alpini: “Sul cappello, sul cappello che noi portiamo…”)

S  I  P  A  R  I  O