Quando il marito va a caccia

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QUANDO IL MARITO VA A CACCIA

QUANDO IL MARITO VA A CACCIA

(Monsieur Chasse!)

Commedia in tre atti di FEYDEAU

Personaggi

MORICET

LEONTINE

DUCHOTEL

BABET

GONTRAN

CASSAGNE

MADAME LATORRE

BRIDOIS

AGENTE

Da una didascalia del primo atto:

Tutta questa scena, fin dal suo inizio, dev'essere recitata con la più assoluta convinzione ed il più sincero calore, poiché, più vera sarà, più comica sarà.

Nota del traduttore:

Prego di non dimenticare mai questa raccomandazione dell'autore che, in fatto di comicità, se ne intendeva.

ATTO PRIMO

Salotto a pannelli in casa Duchotel. La porta d'ingresso, in fondo, dà in anticamera. A sinistra, in primo piano, c'è un caminetto. Sopra di esso, una specchiera. Sul caminetto, oltre agli usuali soprammobili (un orologio a pendolo e candelabri), c'è un piccolo candeliere con fiammiferi. Alla sua destra pende il cordoncino del campanello. Alla sua sinistra, una porta a pannelli immette nel salone e nelle stanze di Leontine. A destra, in primo piano, c'è una porta che dà nella camera di Duchotel. Fra questa porta e il boccascena c'è un piccolo secrétaire privo di un piede che è stato sostituito da un libro in brossura che funge da base. In questo mobiletto c'è l'occorrente per scrivere. In mezzo alla scena c'è un tavolo ovale, con una poltroncina per ogni lato. Sul tavolo c'è uno stoppaccio per caricare le cartucce, una cartucciera, due ciotole contenenti, l'una dei piombini, l'altra cartucce e stoppacci; spostata sulla destra, vicina al secrétaire c'è una sedia. A sinistra, tra il caminetto e il tavolo, c'è un pouf. Ai due lati della porta in fondo, c'è una mensola, su cui è poggiata una corbeille di fiori; tra la mensola e gli angoli della scena c'è una poltroncina. Su quella di destra è poggiato un cappello da uomo; sulla mensola di sinistra è poggiato un bastone da passeggio. Nel caminetto è acceso il fuoco.

Scena prima ‑ Leontine, Moricet

Quando si apre il sipario sono seduti vicino al tavolo, Leontine a sinistra, Moricet a destra e stanno approntando delle cartucce. Un silenzio. Moricet alza gli occhi su Leontine, poi li riabbassa sulle calucce, con l'atteggiamento di chi esita a parlare, ma infine si decide

MORICET ‑    (Supplicante) Leontine!...

LEONTINE ‑   (Facendo segno di no con la testa e introducendo nella cartuccia che ha in mano una carica di piombini) No!... Occupiamoci delle cartucce (Dà la sua cartuccia a Moricet. Stessa azione muta di Moricet. Poi ... ).

MORICET ‑    La prego.

LEONTINE ‑   No, no e poi no. (Indica la cartuccia) La carichi, su!

MORICET ‑    (Caricandola con lo stoppaccio) La carico, la carico!... (Pausa) Tanto per lei cosa cambia, scusi...

LEONTINE ‑   (Spazientita) Oooh! (Categorica) No! No e poi no, ecco! E’ chiaro?

MORICET ‑    (Si alza, offeso) Va bene, va bene, d'accordo!... In fondo era la prima prova d'amore che le chiedevo...

LEONTINE ‑   (Sempre seduta. Beffardamente) La prima? Chiedo scusa, ma lei comincia dall'ultima...

MORICET ‑    (Sdegnato) Oh, beh, se lei si mette a far caso alle graduatorie, adesso ... (Molto convinto, alla sua destra) E che le avrò mai chiesto, dopo tutto? ... Una cosa così comune fra due persone che si piacciono!... Suo marito se ne va a caccia. lo sono amico suo. E’ normale che le chieda di dedicarmi la serata.

LEONTINE ‑   (Prendendolo in giro) E come no!... Magari fino a domattina...

MORICET ‑    (Assai convinto) Sì, ma domattina presto: alle otto devo trovarmi al lavoro...

LEONTINE ‑   Andiamo, insensato che non è altro... Ammesso che sia anch'io a volere... Quello che vuole lei, ma non si pone il problema che io ho una reputazione da salvaguardare?... Cosa direbbero i domestici, il portinaio, se si accorgessero che stasera non rincaso? Se l'immagina le malignità?

MORICET ‑    (Sdegnato) Lei vede le cose sempre dal loro lato più meschino. (Si risiede) Non mi dirà che una donna non sa trovare il modo di imbrogliare le carte in tavola.

LEONTINE ‑   Né carte, né cartucce... (Passa la cartuccia a Moricet) Ventinove.

MORICET ‑    (Prende la cartuccia e la carica) Ventinove. Non ce l'ha uno straccio di parente in campagna?

LEONTINE ‑   Sì, la mia madrina.

MORICET ‑    Vede? Suo marito si assenta e lei va dalla sua madrina.

LEONTINE ‑   E, cammin facendo, cambio strada, vero? E mi fermo a via degli Atenei 40, dove si trova il pied‑à‑terre di un certo signor Moricet.

MORICET ‑    (Appassionatamente) E perché no? E perché no?! E perché no?

LEONTINE ‑   (Sarcastica) Insomma, non ci sarebbe niente di male se io venissi nella sua garconniere...

MORICET ‑    (Convintissimo) Niente! Nientissimo!

LEONTINE ‑   (C.s.) Guardi, lei mi fa proprio ridere... (Ride).

MORICET ‑    (Sparando un argomento che non ammette repliche) Vorrei sapere che c'è di tanto comico! E’ qui a due passi...

LEONTINE ‑   Il che taglia la testa al toro, vero? (Seguita a ridere).

MORICET ‑    (Amaro) Ma allora perché, quando le ho confidato che avevo l'intenzione di prendere un pied‑à‑terre e che ero incerto fra diverse solu­zioni, lei mi ha detto: «prenda il più vicino»? (Con passione) Dopo quelle parole, non ho avuto tregua finché non l'ho preso! Ho travolto ogni osta­colo! La garconniere era occupata da una brava inquilina, la signorina Ur­baine des Voitures, che aveva il solo torto di non essere in regola con la pi­gione. L’ho fatta sfrattare! Le sembra forse il comportamento di un genti­luomo francese? No! Ma lei m'aveva detto: «prenda il più vicino»... E dunque, vede?!...

LEONTINE ‑   Che devo vedere? Il rapporto mi sfugge!...

MORICET ‑    (Amaro) Quando m'ha detto: «prenda il più vicino», io avevo capito... Quello!

LEONTINE ‑   Ah! Bene!... Lei ha una magnifica opinione di me, se crede che io frequenti le garconniere.

MORICET ‑    (Protestando) lo, credere una cosa del genere?

LEONTINE ‑   (Gli dà una cartuccia) Trenta.

MORICET ‑    (Prende la cartuccia e ripete meccanicamente) Trenta... E potrei stimarla se lo credessi? Se io le dico: «venga da me», è perché è "da me"... La cosa resta fra noi. Ma se la credessi capace di... No! Dio me ne guardi!...

LEONTINE ‑   Guardi che suppergiù è la stessa cosa.

MORICET ‑    (Protestando) Trova? Beh, si vede che lei non ha il senso del­le sfumature!

LEONTINE ‑   E sia. Ma dal momento che non ho il senso delle sfumature, non ne parliamo più, vuole?... Non ne parliamo più!

MORICET ‑    (Si alza e cavalca la scena) D'accordo. Non ne parliamo più! Anzi, mi dispiace solo di avergliene parlato.

LEONTINE ‑   Benissimo. Soffochi il suo dispiacere e andiamo avanti con le cartucce.

MORICET ‑    (Con sorda collera) Visto come sono fatte le donne?

LEONTINE -   (indica le cartucce) Allora, ci rinuncia?

MORICET ‑    (C.s.) Ah, si! Per sempre! Siete delle creature perverse!

LEONTINE ‑   Io parlavo delle cartucce.

MORICET ‑    (Con un sorriso amaro) Delle cartucce? Ebbene: a maggior ragione rinuncio alle cartucce! (Con collera contenuta) Suo marito le spara, le sue cartucce ed io gliele preparo? Eh, no!... Comunque, ringrazio il cielo che lei si è messa a nudo davanti a me.

LEONTINE ‑   (Protestando) Cosa?

MORICET ‑    (Si rimette a sedere) In senso figurato...

LEONTINE ‑   Ah, vorrei vedere...

Scena seconda ‑ Gli stessi, Duchotel

DUCHOTEL - (Entra, pulendo un fucile da caccia. Arriva dietro al tavolo, faccia al pubblico) Allora? Come la mettiamo? State facendo progressi?

MORICET ‑    (Tetro) Neanche per sogno!

DUCHOTEL - Perché, avete trovato qualche ostacolo?

MORICET ‑    (C.s.) Altro che ostacolo!

LEONTINE ‑   Ma no, nessuno...

MORICET ‑    Parli per sé. Ma per uno con la natura focosa come la mia non è certo piacevole ritrovarsi sempre al punto di prima, dopo tutti gli sforzi fatti per…..

DUCHOTEL ‑ Ma probabilmente tu vuoi concludere troppo in fretta. Ci vuole un po' di garbo, un po' di pazienza. Non stai mica facendo una gara (Viene avanti verso destra).

MORICET ‑    Ma quale gara!... Non sto nemmeno al nastro di partenza, io... Io sto ancora fermo al deposito.

DUCHOTEL - (Da bravo ragazzo) Se permetti ti do una mano io.

MORICET ‑    (Subito) Tu no. Meglio di no. Mi creeresti ulteriori complica­zioni.

DUCHOTEL - Vero? Ma sai che l'ho pensato anch'io?! " Se mi tengo lon­tano dai piedi, lui e mia moglie, di là, da soli, faranno prima.”

MORICET ‑    Direi!...

DUCHOTEL‑  (Cercando di tirarlo su) Coraggio, allora, non ti perdere d'animo, insisti...

MORICET ‑    (Espansivo) Ah, come sei buono, tu!... (A Leontine) Vero che lui è buono?

DUCHOTEL ‑ E’ stupido farsi il sangue cattivo per così poco. Guarda me: mi innervosisco, io? No!... Eppure non so neanche da dove s'incomincia a pulire sto' fucile.

MORICET ‑    (E’ distratto: non ha capito che Duchotel sta parlando del fui­cile) Si vede che non l'hai mai fatto...

DUCHOTEL ‑ Perché, tu, invece, l'hai fatto qualche volta?

MORICET ‑                Vorrei vedere.

DUCHOTEL - E perché non m’insegni come si fa?

MORICET ‑    Sono cose che non s'insegnano. Vengono spontanee...

DUCHOTEL ‑ Allora uno che vuole il fucile pulito che deve fare?

MORICET ‑    Lo manda dall'armaiolo.

DUCHOTEL ‑ Questo lo sapevo anch'io...

MORICET ‑    E allora, che vuoi da me?...

LEONTINE ‑   Trentadue!... Abbiamo finito.. (Si alza e porta la cartuccie­ra sulla mensola in fondo a destra).

MORICET ‑    (Si alza) Bah!... Ma come si fa ad amare la caccia?!!! ...

LEONTINE – Già.

MORICET ‑    (Venendo avanti a sinistra) Veder soffrire gli animali! ... Passi per un uomo...

DUCHOTEL- Ed è un medico che parla!...

MORICET ‑    (Con tono indifferente) Ed è dal tuo antico Cassagne che vai a fare queste carneficine?

DUCHOTEL - (Subito) Sì, sempre!

MORICET ‑    Non lo si vede spesso da queste parti, il tuo amico Cassagne.

LEONTINE ‑   (Avanzando verso destra) Vero? (Prende una matassa di la­na da un sacchetto da lavoro appeso a una sedia e comincia a dipanarla).

DUCHOTEL‑  (Con finta bonarietà) Non vuole lasciare la campagna quel benedetto uomo...

MORICET ‑    Già, cercherà di dimenticare le sue sciagure coniugali...

DUCHOTEL - Eeeh, sciagure, esagerato!... S'è separato dalla moglie, tutto qui...

MORICET ‑    Beh, insomma, la moglie l'ha tradito...

DUCHOTEL‑ Non ci sono prove!

MORICET ‑    Ma è di pubblico dominio, il che è lo stesso. Sia chiaro che io non la biasimo, eh? Determinate "sbandatine" possono essere più che ri­spettabili... (Con intenzione) “Quella degnissima signora aveva un amante, almeno"... (Leontine distoglie lo sguardo, mostrando di non capire).

DUCHOTEL‑  (Guarda Moricet, senza comprendere) Perché dici: un amante: "almeno"? Stai forse insinuando che ne avesse più d'uno?

MORICET ‑    (Mugugna come rispondendo a qualcuno che s'immischia in fatti che non lo riguardano) Ma no, io non ho detto: «aveva un amante 'al­meno'». Ho detto: « aveva un amante, virgola, almeno».

DUCHOTEL   (Tornando alla carica) Ma poi mi sembri matto. Dici che aveva un amante. Ma tu che ne sai?

LEONTINE ‑   Eh, già, lei che ne sa?

DUCHOTEL ‑ (Riscaldandosi) Perché lo afferma il marito? Capirai, per quello che ne può sapere... I mariti sono sempre gli ultimi a sapere... Sì, congetture tante, ma prove, niente... Ma è proprio questo che manda in be­stia quel povero Cassagne: non avere prove!... Se ne avesse, potrebbe chie­dere il divorzio; mentre senza prove ci vuole il consenso di tutti e due; e siccome la moglie non lo vuole...

LEONTINE ‑ . Da buona cattolica qual è.

DUCHOTEL ‑ (Approvando) Tanto più che, col divorzio, le toglierebbe gli alimenti.

MORICET ‑    Il che ridimensiona il cattolicesimo della moglie.

DUCHOTEL - (Che ha continuato a tentare di pulire il fucile) Sai che ti di­co? Lo mando dall'armaiolo. (Va verso il fondo) Babet? Senta, mandi que­sto fucile... (Esce dal fondo).

Scena terza ‑ Moricet, Leontine

Un momento di silenzio. Leontine viene a sedersi alla destra del tavolo e ri­pone la sua lana nel sacchetto. Moricet cammina in lungo e largo.

MORICET ‑    (Dopo una pausa, torna alla sua idea fissa) Allora io conto fi­no a tre, intesi? Uno... Due... e tre. Niente?

LEONTINE ‑   (Con un sospiro di stanchezza) Ancora!... Eh no, amico mio, adesso basta!...

MORICET ‑    (Passando a destra) Va bene! Basta!... Ma la prossima volta che mi dirà che mi ama... (Silenzio di Leontine. Lui va verso il fondo, poi torna dietro il tavolo, faccia al pubblico) Non negherà di avermelo detto, no?... (Fosco) Non si ricorda del suo pappagalletto?... Era defunto di fresco, quel povero pappagalletto che sapeva dire con voce così soave: (con le la­crime in gola) «Dammi un goccetto d'acquavite, figlio di ... ». La povera be­stiolina aveva appena esalato l'anima; e noi eravamo qua, tutti e tre insie­me: lei, il caro estinto ed io... (Profondo sospiro di Leontine) Suo marito era dipartito... insomma era uscito... (con lirismo) Non se la ricorda quella bel­la crisi di pianto?... Ed io che la consolavo, mentre singhiozzava sul mio petto?... Ah, quelle lacrime adorate... che mi hanno bagnato tutta la camicia e la maglietta... mentre la stringevo fra le braccia!... Ah, quegli adorati stringimenti!... Non avevo più coscienza di me... Le mie lacrime si mesco­lavano alla sue... (Con voce normale) Avevo posato la cara salma sul pouf!... (Di nuovo lirico) E fu in quel preciso momento che lei ebbe uno di quegli slanci di cuore che non mentono e si lasciò sfuggire quello storico: «io l'amo»! In quel momento entrò suo marito ed io ebbi appena il tempo di afferrare il cadaverino, tanto per darmi un contegno, e continuammo a piangere tutti e tre! Non vorrà negare di averlo detto quel: «Io l'amo».

LEONTINE ‑   Si sa forse quel che si dice in un momento di lutto?

MORICET ‑    (Taglia corto) Chiedo scusa, ma solo in quei rari e brevi istanti in cui la donna non pensa a quello che dice, si può essere sicuri che ella dice quello che pensa.

LEONTINE ‑   E con ciò? Quand'anche l'avessi detto quel 'Io l'amo"? Solo per questo sarei tenuta alle... conseguenze... che dice lei? Insomma, io non so proprio cosa ci abbia visto lei, in quelle parole! (Si alza).

MORICET ‑    (Spontaneamente) Io, veramente, ci ho visto... Le conseguen­ze... Che dico io.

LEONTINE ‑   (Scandalizzata) Ah!

MORICET ‑    E cioè un tacito patto che, tra persone onorate, ha lo stesso va­lore di un pagherò, la cui scadenza non è predeterminata, ma inesorabile... Una cambiale, sissignora! Con la sola differenza che non è trasferibile.

LEONTINE ‑   E ci mancherebbe...

MORICET ‑    E che caspita! Troppo facile andare in giro a dire alla gente: «io l'amo», senza provarglielo!... Ebbene, io glielo voglio provare. Anche lei sarebbe capace di tanto? Avanti, lo dica. No, non lo dice.

LEONTINE ‑   (Lo guarda un attimo beffarda, poi passa a sinistra) Preferi­sco farmi protestare la cambiale.

MORICET ‑    E andare incontro al fallimento? Che degna persona!...

                        (Tutta questa scena, fin dall'inizio, dev'essere recitata da Moricet con la più assoluta convinzione ed il più sincero calore, poiché, più sarà vera, più co­mica sarà).

LEONTINE ‑   (Va verso il tavolo e siede sulla poltroncina di sinistra) Fra noi c'è un grosso equivoco, amico mio!... Lei sostiene che io le ho detto che l'amo... E sia, le voglio credere e non la smentisco.

MORICET ‑    (Trionfante) Vede?

LEONTINE ‑   E con ciò? Perché il mio cuore non dovrebbe avere diritto al­la sue debolezze? In fin dei conti lei non è affatto male. Anzi, le dirò che è il migliore di tutti quelli che vedo, ora.

MORICET ‑    (Ingenuamente vanesio) Ma qui non c'è nessun altro.

LEONTINE ‑   (Ironica) Sarà per questo. (Riprende il discorso) Lei è galan­te, compone bei versi: cosa rara per un medico. Tutte le donne hanno nel cuore una corda che vibra a contatto con la poesia...

MORICET ‑    (Siede accanto al tavolo, con finta modestia) Troppo buona... (Con aria indifferente, da cui traspare, però, una certa vanità) A proposito, non ha ancora gustato il mio ultimo volumetto: “Le lacrime del cuore” ?

LEONTINE ‑   (Cambiando tono) No, non ancora, l'ha preso mio marito per leggerlo... (Col tono di prima) E dunque, in fede mia, non c'è da stupirsi se lei esercita sul mio pensiero, sulla mia anima, un ascendente più forte di quello degli altri comuni mortali! Nel cuore c'è posto per tutti gli affetti. Ma se la donna può disporre del proprio cuore, la moglie non può disporre della donna, poiché la moglie appartiene solo a suo marito (Viene avanti verso sinistra).

MORICET ‑    (Con un sorriso amaro) Suo marito!... Buono quello!...

LEONTINE ‑   (Tornando verso di lui. Molto sincera) Non ne parli male: è amico suo.

MORICET ‑    (Si alza) Certo che è amico mio! E io tengo più a lui che a lei, guardi! Lui si che si fida di me...

LEONTINE ‑   (Con un cenno del capo accompagnato da un ghignetto allu­sivo) Ed è in quel modo che vorrebbe ripagarlo?

MORICET ‑    (Convinto) Questo non c'entra niente! lo gli voglio bene! Amo anche lei. D'accordo, ma gli voglio bene, povero amico mio!...

LEONTINE ‑   (C.s.) Sicuro: però sopporterebbe che lo tradissi.

MORICET ‑    (Interdetto) Eh?... Questo è un altro discorso.

LEONTINE ‑   (Chiaramente) Senta, Moricet, quando ci si sposa, ci si giura fedeltà.

MORICET ‑    (Beffardo) Solo perché ve lo chiede il sindaco.

LEONTINE ‑   (C.s.) Il sindaco non c'entra. Finché sarò sicura che mio ma­rito rispetterà il suo giuramento, io onorerò il mio.

MORICET ‑    Ma naturale! «Signori inglesi, sparate il primo colpo!».

LEONTINE ‑   Pressappoco.… e se, per esempio, qualcuno, anche domani, mi desse la prova che mio marito mi tradisce, le giuro che sarei io a correre da lei per dirle: «Moricet, mi vendichi!».

MORICET ‑    (Con trasporto) Davvero? Ah, Leontine!

LEONTINE ‑   (Frenando il suo slancio) Ma... siccome so benissimo che è un'ipotesi assurda... (Va verso il caminetto).

MORICET ‑    Eh, già! Purtroppo!... (S'appoggia al tavolo, faccia al pubbli­co) Cos'è che piace a lui?... Lo scopone, le bocce, la caccia... Sono i soli esercizi fisici che si concede.

LEONTINE ‑   (Al caminetto) Lo so, lo so.

MORICET ‑    (Subdolamente) E, per di più, la caccia proprio quella vera. No, perché ci sono mariti che fanno finta di andare a cacciare, invece...

LEONTINE ‑   Eh si, succede, succede... ma non con lui.

MORICET ‑                Già, con lui, no!... No, perché qualche volta me lo sono chie­sto, sa? «Non sarà che il mio amico Duchotel? ... ». E invece no! Mi bastava guardarlo in faccia, quando tornava dalla caccia, per essere perfettamente sicuro che aveva la coscienza a posto.

LEONTINE ‑   Vero?

MORICET ‑    Verissimo!... Ma se ne vedono delle belle, sa?... Talmente bel­le che ho pensato: "Se Duchotel avesse davvero qualcosa da nascondere, beh, no!... certe castronerie non lo farebbe mai.

LEONTINIE ‑ (Gli si avvicina) Ma di che sta parlando? Che castronerie?

MORICET ‑    (Allontanandosi dal tavolo) Mah, non saprei... Un altro giorno, per esempio, ha portato a casa un cesto pieno di lepri e di conigli...

LEONTINE ‑   E allora?

MORICET ‑    E allora... lo sanno tutti che: (scandendo bene) dove ci sono conigli non ci sono lepri e dove ci sono lepri non ci sono conigli.

LEONTINE ‑   E come lo sa?

MORICET ‑    (Freddamente) Basta studiare la zoologia. (Cambia tono) Esi­ste un solo luogo in cui questi due roditori si incontrano.

LEONTINE ‑   E forse li ha trovati proprio li...

MORICET ‑    Può essere: il negozio del macellaio! (Va verso destra).

LEONTINE ‑   (Gli si avvicina) Oh, questo è troppo! E lei non me lo poteva dire prima? Lei che mi gratifica di tanta amicizia? Ha permesso che mi bloccassi con la mia ridicola fiducia!... Oh, ma Duchotel dovrà spiegarmi. (Va verso il fondo destra).

MORICET ‑    (Seguendola) Ma no, non faccia così! Avevo premesso che ero profondamente convinto dell'innocenza di Duchotel!... Oh, Santa Vergine degli innocenti, davvero!... Stia pur certa che se non ne fossi stato convinto, mai e poi mai mi sarei messo a raccontarle dei...

LEONTINE ‑   (è molto agitata. Avanza a sinistra) Mi lasci in pace, lei! Tanto, ormai, la frittata è fatta. Molto bene, arriva a proposito! Adesso vo­glio vederci chiaro

MORICET ‑    (Dietro di lei) Andiamo, Leontine, non vorrà mica dirgli...

LEONTINE ‑   Non ci metto certo la scala di seta!

MORICET ‑    Ma è pazzesco, io... (vedendo Duchotel che entra dalla de­stra) Va beh, io me ne vado!... (va verso la porta di fondo).

Scena quarta ‑ Gli stessi, Duchotel

DUCHOTEL   (Sulla soglia) Te ne vai?

MORICET ‑    (Imbarazzato) No!... Cioè si.. Come stai?

DUCHOTEL ‑ (Avvicinandosi a lui) Come sarebbe "come sto"? Non ci sia­mo visti poco fa?

MORICET ‑    Innegabile... Ma io dicevo: «come stai... da poco fa?»... Beh, arrivederci!... (Va a prendere il bastone appoggiato alla mensola).

DUCHOTEL - Ciao. Sta piovendo! Vuoi un ombrello?

MORICET ‑    No, grazie, ho il bastone (Ed esce, con la testa fra le nuvole).

DUCHOTEL   Andiamo bene!... (Viene avanti) Ma cos'ha? Sembra uno che ha preso una martellata in testa!... (Si accorge dell'atteggiamento soste­nuto di sua moglie) Anche tu !? ... Ma cosa c'è? Cos'è che vi ha preso a tutti e due?

LEONTINE ‑               (Acida) Ho che ... mi hanno appena impartito una lezione di zoologia molto istruttiva.

DUCHOTEL ‑ Davvero?

LEONTINE ‑   Una lezione che mi ha insegnato una nozione fondamentale che una donna sposata non dovrebbe mai ignorare.

DUCHOTEL ‑ Interessante! E cioè?

LEONTINE ‑               (Avvicinandoglisi) Che dove ci sono conigli non ci sono lepri e dove ci sono lepri non ci sono conigli.

DUCHOTEL ‑ (Beffardo) Ah! Bene a sapersi.

LEONTINE ‑   Infatti, se l'avessi saputo anche tu, non avresti riportato a ca­sa, dalla caccia, un cesto pieno di lepri e di conigli.

DUCHOTEL               Ah! E’ di me che sì trattava!...

LEONTINE ‑   Tanto io che ne potevo capire? Al collegio non t'insegnano mai niente che serva veramente... Fortuna che, qui con me, c'era un uomo istruito che mi ha aperto gli occhi!

DUCHOTEL ‑ Ma come! E’ stato Moricet a...

LEONTINE ‑   (Andando verso destra) Oh, senza volerlo, poveretto!...

DUCHOTEL ‑ Che pezzo d'imbecille!

LEONTINE ‑   Imbecille perché mi ha illuminato sul comportamento di mio marito?

DUCHOTEL   Ma no, che c'entra!... E’ che con quei suoi corsi di zoologia ti ficca in testa chissà che cosa, quando non ce n'è motivo, credimi. Nes­suno!

LEONTINE ‑   E allora, visto che ne sei così sicuro, dimostramelo. Avanti, dimostrami che hai ragione.

DUCHOTEL ‑ (Con calma disarmante) E bravo Moricet!...

LEONTINE ‑   (Siede alla destra del tavolo) Allora? Sto aspettando...

DUCHOTEL ‑ (Le si siede di fronte) Se non mi sbaglio, la tua amica signo­ra Chardet ha rotto con la signora De Fontenac?

LEONTINE ‑   (Imperiosa) Non cambiare discorso.

DUCHOTEL ‑ (Sempre molto calmo) Ti ho chiesto: la signora Chardet ha rotto con la signora De Fontenac?

LEONTINE ‑   (Seccamente) Sì.

DUCHOTEL   Perciò non si vedono più?

LEONTINE ‑   (C. s. ‑ Impaziente) Naturalmente.

DUCHOTEL   E quando le vuoi vedere, come fai?

LEONTINE ‑   Che domanda geniale. Vado a trovarle...

DUCHOTEL ‑ Vai a trovarle...

LEONTINE ‑   (Gridando) Torniamo ai conigli?

DUCHOTEL ‑ (C.s.) Non li ho mai lasciati... (Calmo) Dunque convieni che tu trovi la signora Chardet, là dove sai che vive la signora Chardet e la signora De Fontenac, là dove sai che vive la signora De Fontenac!?...

LEONTINE ‑   E con ciò?

DUCHOTEL   Le mie lepri sono la signora De Fontenac e i miei conigli so­no la signora Chardet.

LEONTINE ‑   (Non capisce) Ma che significa che i tuoi conigli sono la si­gnora Chardet?

DUCHOTEL   Proprio questo. In altre parole, quando voglio cacciare lepri, vado dove dimorano le lepri e quando voglio cacciare conigli...

LEONTINE ‑   Vai dalla signora Chardet.

DUCHOTEL   Perfetto.

LEONTINE ‑   (Un po' confusa) Ooohh, povero tesoro... Ed io che sospetta­vo di te...

DUCHOTEL   Eeeh, che testolina matta... (L'abbraccia) Ti meriteresti davvero un marito... sospettabile!

LEONTINE ‑   Scusami, tesoro...

DUCHOTEL ‑ (Con comica indignazione) Tu che non sospetteresti di un estraneo, sospetti di tuo marito!...

LEONTINE ‑   E’ tutta colpa di Moricet. E’ lui che m'ha ingarbugliato le idee con quei suoi roditori...

DUCHOTEL   Mi sbagliavo a chiamarlo imbecille?... Per questo se l'è svi­gnata tutto sottosopra... Ha pure dimenticato il cappello, guarda (Le indica il cappello dimenticato da Moricet).

LEONTINE ‑   Aveva perso la testa...

DUCHOTEL ‑ Allora il cappello non gli serviva... Prometti, almeno, che non ti farai più venire certe idee?... Su, su dammi un bacio (La bacia). E adesso, accendi una candela e accompagnami in guardaroba, che devo prendere il vestito da caccia.

Leontine accende la candela sul caminetto. Suonano alla porla

LEONTINE ‑   Hanno suonato, probabilmente è Moricet.

DUCHOTEL ‑             Avrà ritrovato la testa ma non il cappello.

Scena quinta ‑ Gli stessi, Moricet

MORICET ‑    (Imbarazzatissimo, si intrufola dalla porta di fondo e viene avanti alla sinistra del tavolo) Ero io. Avevo dimenticato il cappello.

DUCHOTEL ‑ Ah, te ne sei accorto?

MORICET ‑    Me l'ha fatto notare un passante che m'ha detto: «E il cappel­lo te lo sei impegnato?».

DUCHOTEL ‑ Molto premuroso quel passante... Ma ora abbiamo un conto da regolare io e te. Che cosa sei andato a raccontare a mia moglie?

MORICET –   Io?

DUCHOTEL ‑ Sì, di lepri e di conigli? Tanto che ha creduto che le mie partite di caccia fossero tutte frottole?

MORICET ‑    (Ingarbugliandosi e non sapendo a che santo votarsi) lo?... Ma no che dici?... Io stavo dicendo alla signora che ... Perché, se vogliamo le lepri non sono conigli e... i conigli non sono lepri ... Infatti, coi conigli si possano fare anche le pellicce che si trovano dal... (Non gli viene la pa­rola).

LEONTINE ‑   (Suggerendo) Macellaio...

DUCHOTEL ‑ E quelle di lepre dal fruttivendolo.

MORICET ‑    Sì dal... Cioè, volevo dire... Ah, Ah!... Carina questa... Vero si­gnora?... Ah, ah, ah,!... Eeeeh, ma se l'avessi vista, com'era infuriata!... Sì, ma io t'ho difeso, sai?

DUCHOTEL ‑                                  Troppo buono.

LEONTINE ‑   Adesso si tranquillizzi. Mio marito mi ha spiegato tutto.

MORICET ‑    (Si avvicina stravolto, prima all'uno, poi all'altra) Meglio, meglio... Sono contento... perché, sai, la signora... Eeeeh!!!... Lei s'imma­ginava chissà che cosa, solo perché... Ma gliel'ho detto chiaro: «cosa di­mostra il fatto che lepri e conigli non vanno a caccia insieme... Cioè, non vengono cacciati insieme?»... Ma sai, le donne... chi le convince è bravo...

LEONTINE ‑   E pensare che la spiegazione era così semplice: le lepri erano la signora De Fontenac.

MORICET ‑    Ma certo, è così evidente...

LEONTINE ‑   E i conigli erano la signora Chardet.

MORICET ‑    Lapalissiano! Le lepri erano la signora De...

LEONTINE ‑   Fontenac.

MORICET ‑    Fontenac. E i conigli erano la signora...

LEONTINE ‑   Chardot.

MORICET ‑    Oh, finalmente, tutto è chiarito, era ora! (Pausa) Ho fatto bene a ritornare...

DUCHOTEL ‑ Va bene, non ne parliamo più. Passami la candela. (Moricet va a prendere la candela sul caminetto) E un'altra volta cerca di evitare di gettare lo scompiglio a casa mia, per far mostra di endizione.

MORICET ‑    (Ha preso la candela e viene avanti per darla a Duchotel) Beh, se avessi potuto prevedere...

LEONTINE ‑   (A Duchotel, nel momento in cui lui tende il braccio per prendere la candela che gli passa Moricet) Tu non ce l'hai con me, vero, micione?

DUCHOTEL ‑ (Respingendo la candela) lo avercela con te, micina, ma dai?... (La stringe fra le braccia e la bacia) Ecco, vedi come sono arrabbiato? (La bacia di nuovo).

MORICET ‑    (Guardando i due che si baciano e guardando la candela) E io sto a guardare col moccolo in mano.

DUCHOTEL ‑ (A Moricet) Allora ti decidi a darmi questa candela?

MORICET ‑    Aspettavo che aveste finito.

DUCHOTEL ‑ Temevo che credevi di essere un candelabro (Prende il can­deliere).

Scena sesta ‑ Gli stessi, Babet

BABET ‑         (Entra dalfondo) Ilsarto ha mandato dei vestiti per il signore.

DUCHOTEL ‑             Ah, sì, faccia accomodare in camera mia.

BABET ‑         Sì, signore (Falsa uscita).

DUCHOTEL ‑ (Richiamandola) Senta, mi hanno riportato il fucile?

BABET ‑         Sì, signore (Esce).

DUCHOTEL ‑ Dovreste vedere i miei vestiti nuovi amici!... Adesso mi servo da un sarto che va di moda... Basti dire che mio nipote Gontran è suo cliente.

MORICET ‑    Gontran fa sicuramente più onore al suo sarto che al suo liceo.

DUCHOTEL ‑ (Con beffarda indulgenza) Quel ragazzo soffre di maturità ritardata... Però nulla vieta che un imbecille possa essere anche un puro.

MORICET ‑    Un imbecille allo stato puro.

DUCHOTEL ‑               (Ride).

LEONTINE ‑   Allora andiamo a vedere questi vestiti? (Esce dalla porta a destra, in primo piano, portandosi dietro la cartucciera).

DUCHOTEL ‑             (Seguendola) Ah, già!... Tu non te ne andare, eh? E se ti an­noi leggi un libro.

MORICET ‑    Va bene.

DUCHOTEL ‑ (Tornando verso Moricet) A proposito, grazie di avermi mandato il tuo ultimo volumetto... Come si chiama? "Cuore di carciofo"?

MORICET ‑    (Con un moto di sdegno) Le lacrime del cuore!

DUCHOTEL ‑ (Tipo bambinone) Ah, già! Ricordavo che c'era di mezzo un cuore... Sai che non l'ho ancora letto? Però me lo sono messo da parte.

MORICET –   E’ già qualcosa.

DUCHOTEL ‑ (Sulla porta) L’ho messo sul tavolo del salone, così chi vie­ne da me lo sfoglia e... insomma, sempre pubblicità è!

MORICET ‑    Sì, si. (Duchotel esce).

Scena settima – Moricet

MORICET ‑    (Solo. Alza le spalle) "Cuore di carciofo"! (Va verso il fondo a destra) Ecco quelli che poi ti giudicano! (Torna avanti. Una pausa) E que­sta Leontine? Andare a raccontare al marito di... lepri e di conigli!... (Si ap­poggia, parlando, al secrétaire che zoppica) Oh, oh! Niente solido questo mobiletto... (Ridendo) Guarda qua ha un piede di meno, ci hanno messo sotto un libro per tenerlo su! Ignoranti! (Prende il libro e ne legge il titolo) Le lacrime del cuore! (Offesissimo) Fantastico! L’ha preso per una zeppa!... Povero libro mio! (Legge con compiacimento) "Le lacrime del cuore. Ron­delli e sonetti di Gustave Moricet, ex interno ospedaliero. Ma dimmi tu! Un'edizione di lusso, in carta olandese, sotto questa cassapanca!... Roba da vandali!

Scena ottava ‑ Moricet, Duchotel, in gilet e con pantaloni nuovi.

DUCHOTEL ‑             (Entra da destra, parlando, si dirige verso lo specchio del caminetto) Che te ne pare, eh? Che mi dici di questi pantaloni?

MORICET ‑    (Con tono altezzoso, senza nemmeno guardare) Belli, belli...

DUCHOTEL ‑ Certo che sono belli... No, per dire, il sarto ne ha fatto uno identico a Gontran!...

MORICET ‑    Beh, allora!... A proposito, grazie per come hai sistemato il mio volumetto.

DUCHOTEL ‑ (Viene avanti a sinistra) Ah, l'hai trovato?

MORICET ‑    Sì, sotto quel mobile.

DUCHOTEL ‑ (Come fosse del tutto naturale) Ah, si, ce l'ho messo io per rimpiazzare quel piede, sai, è la prima cosa che mi era capitata sottomano... (Amabile) Ilche dimostra che anche un libro, qualche volta, può servire a qualcosa.

MORICET ‑    (Toccato) Non era certo per quell'uso che l'ho scritto! Pensare che m'ero dato la pena di dedicarti una delle mie pagine migliori! (Si siede alla destra del tavolo, faccia al caminetto).

DUCHOTEL ‑ Mi hai dedicato una pagina?

MORICET ‑    Se l'avessi almeno aperto, l'avresti vista. Ecco, pagina novan­tuno, titolo "Depressione".

DUCHOTEL ‑ Che?

MORICET ‑    Depressione! E’ il titolo del sonetto. (Legge) «Dedica: a Justi­nien Duchotel».

DUCHOTEL ‑ (Gli stringe la mano al disopra del tavolo) Grazie!

MORICET ‑    Prego! (Legge, scandendo bene i versi, con il compiacimento di un poeta che si ascolta) «Credimi amico, la vita è proprio una chimera. / Perciò, quando ti vedo felice prosperare / Io penso: "quel buon'uomo che giammai si dispera / Rammenti che in eterno non potrà ei campare!" ... »

DUCHOTEL ‑ (Facendo gli scongiuri) Però! Sono poesie piene d'ottimi­smo, eh?

MORICET –   Zitto!... «Ed è per me occasione di amara depressione ... ».

DUCHOTEL ‑ Depressione! Ecco il titolo...

MORICET ‑    Sssstt!!! «Ed è per me occasione di amara depressione / che af­fligge l'alma mia ..».

DUCHOTEL ‑ (A parte) E pure la mia!... «... pensar che tutto se ne va / che se ti guardo, mi dico: "quel che è non sarà" /che di te orbato, non avrò più consolazione!»

DUCHOTEL ‑ (Si allontana verso destra) Ohèeeeeeeee! Ma lo sai che m'hai scocciato?!... Portala altrove la tua depressione!...

MORICET ‑    (Vuole continuare la lettura) No!!!

DUCHOTEL ‑ (Fraintendendo) E invece si!

MORICET ‑    (C.s.) No!!!

DUCHOTEL ‑ (C.s.) T'ho detto di sì!

MORICET ‑    (Si alza) No!!!... E’ l'inizio del verso!... «No!!! Creder non vo­glio a questa fine eterna! / Che la nostra amicizia viva gaia e fratern, / Quant'anche sarà spenta la tua luce materna!».

DUCHOTEL ‑ (Seguitando gli scongiuri) E la tua no?!... E’ finito?

MORICET ‑    Dio mio! E’ solo un sonetto...

DUCHOTEL ‑ Si, sì, ma non mi dire che va ancora per le lunghe perché ho di là il sarto che m'aspetta.

MORICET ‑    (Ferito) E allora vai! Mai vorrei attardarti.

DUCHOTEL ‑ Scusa, sai, non ho tempo da perdere perché ma si è fatto tar­di, altrimenti... Ma ti ringrazio, eh?

MORICET ‑    Non c'è di che! (Falsa uscita di Duchotel).

DUCHOTEL ‑ (Tornando indietro) Allora, ti piacciono i pantaloni?

MORICET ‑    (Ironico) Sono un poema!

DUCHOTEL ‑ (Entrando in camera sua, parla verso la quinta) Le stavo dicendo che la manica sinistra della giacca... (esce).

MORICET ‑    Va, borghese non gentiluomo, va!

Scena nona ‑ Moricet, Poi Gontran, poi Babet

MORICET ‑    Torna ai tuoi pantaloni e alle tue maniche: è materia tua, orto­frutticolo! (Si ferma tetro, poi riprende la lettura, con emozione) «Ma nes­sun potrà mai penetrar questo mistero: /chi ormai il conosce, non poté più parlar sincero / e il segreto rimane con lui nel buio nero!». (Pausa) Belli!... Belli!... Sarebbero belli anche se non fossero miei!... (E’ andato verso sini­stra. Volta le pagine ancora intonse. Con un amaro sorriso) Non le ha nemmeno tagliate. Che vergogna! Non pretendo che le legga, ma poteva alme­no tagliare le pagine... (Va ad appoggiarsi al tavolo, faccia al pubblico, e taglia le pagine del libro con un tagliacarte).

GONTRAN ‑   (Compare dal fondo scena. A vestito all'ultima moda. I suoi pantaloni sono identici a quelli che si sta provando Duchotel) Chi si vede! li signor Moricet! (Posa il cappello sul tavolo).

MORICET ‑    (Senza allontanarsi dal tavolo) Gontran! Come mai? Sei in vacanza?

GONTRAN ‑   Sì, per la festa di tutti i santi. Il mio macina diplomi è a ri­poso.

MORICET ‑    Cosa?

GONTRAN ‑   Ho detto: il mio macina diplomi è in panne. In parole povere, il convitto è chiuso.

MORICET ‑    Ah, capisco! Che strano gergo! Ai miei tempi si diceva: «ab­biamo staccato la carretta».

GONTRAN ‑   (Si avvicina all'estrema sinistra) La lingua francese si evol­ve, per fortuna. (Torna verso Moricet) E’di là mio zio?

MORICET ‑    Sì è di là a provarsi i tuoi pantaloni.

GONTRAN ‑   Come sarebbe a provarsi i miei pantaloni?...

MORICET ‑    Sì, insomma, uguali a quelli lì.

GONTRAN ‑   Ah, ecco, mi copia! (Si batte le mani sulle ginocchia con un gesto da teppista) Ah!!! Che schianto!

MORICET ‑    (Scimmiottandolo) Che schianto! Se lo vuoi vedere, lo trovi di là col sarto.

GONTRAN ‑   Sì, gli voglio parlare ma non ho poi tutta questa fretta.

MORICET ‑    Ah!

GONTRAN ‑   No, no... Capirà, vengo per battere...

MORICET ‑    Tuo zio?

GONTRAN ‑   Ma no, che ha capito? Batto per un prestito di cinquecento franchi...

MORICET ‑    Ah! Tutto qui?

GONTRAN ‑   Ma il problema è che gliene debbo già seicento.

MORICET ‑    (Lo prende per l'orecchio e lo trascina in avanti) Adesso capi­sco: te li devi mangiare con qualche damigella...

GONTRAN ‑   (Una pausa. Risolleva la testa. Quasi sottovoce) Sì!

MORICET ‑    Non è possibile!

GONTRAN ‑   (Con tutta l'esuberanza della sua giovinezza) Ma uno splen­dorino, signor Moricet! Un soprammobile!... Giovane, fresca... pratica­mente intonsa.

MORICET ‑    Come il mio libro!...

GONTRAN – Il suo vecchio non lo calcolo, tanto... un vecchio che cos'è? Niente. Un'entità trascurabile!

MORICET ‑    Ma certo!

GONTRAN ‑   Voi vecchi servite a finanziare la baracca e basta! Infatti se mentre sto da lei, arriva il vecchio, io mi ficco nell'armadio. (Ride) Pare che quell'intruso ci tenga ad essere il solo!... Ma tanto a me che fastidio dà?

MORICET ‑    E dove l'hai conosciuta questa meraviglia?

GONTRAN ‑   Al Monte di Pietà! (Un po' complice) Stava impegnando dei gioielli di famiglia ed io, il mio orologio. Da questa prosaica coincidenza nacque il fatale incontro delle nostre anime!

MORICET ‑    Commovente! Giulietta e Romeo al Monte di Pietà!

GONTRAN ‑   La sera stessa mi dava la chiave del suo appartamento e del suo cuore e, da allora, vado da lei tutte le domeniche. Se non sono stato consegnato...

MORICET ‑    Ah! Ah!

GONTRAN ‑   ... Come domenica scorsa, per esempio. (Bruscamente) Acci­denti! Mi stavo dimenticando il telegramma per avvertirla che stasera ci va­do. (Fruga la tasca interna della giacca) Chissà come sarà contenta, dopo quindici giorni di astinenza... perché il vecchio, vero?... (Tira fuori il por­tafoglio e da esso un foglio) No, questo non è!... Questa, vede, è una garan­zia per mio zio, nel caso mi volesse prestare quei cinquecento franchi.

MORICET ‑    Dai anche delle garanzie?

GONTRAN ‑   (Con comica importanza) Ci mancherebbe! Nero su bianco, per la vita e per la morte!

MORICET ‑    (Prende la carta e la legge, mentre Gontran seguita ad esplo­rare il suo portafoglio) «Quando sarò maggiorenne pagherò a mio zio Du­chotel la somma di franchi cinquecento in contanti, in cambio di questa ri­cevuta». (Scuote la testa. Una pausa) E la garanzia sarebbe questa?

GONTRAN ‑   (Si riprende la carta, se la rimette nel portafoglio. Ha l'aria offesa) Vorrei vedere! Questo è denaro contante! (Si rimette il portafoglio nella tasca, da cui tira fuori un'altra carta) Ah, ecco il telegramma. Lo faccio spedire dalla cameriera. (Suona. A Moricet, con un cenno del capo e dopo una breve pausa) Senta, per me battere cassa con mio zio o con un al­tro è lo stesso, sa? (Mezzo serio e mezzo ridendo) Non le andrebbe per caso di prestarmeli lei i cinquecento franchi?

MORICET ‑    (Che continuava a scartabellare il suo libro) Io? No. Proprio no.

GONTRAN ‑   (Pausa. Silenzioso cenno del capo. Poi) Le avrei offerto la garanzia...

MORICET ‑    Sì, lo so, ma no, grazie! (Raggiunge l'estrema destra).

GONTRAN ‑   Tanto me l'immaginavo. Glielo avevo detto solo per scrupo­lo di coscienza.

BABET ‑         (Entrando) Ilsignore ha suonato?

GONTRAN ‑   Potrebbe far portare questo telegramma alla posta?

BABET ‑         (Prendendo il biglietto) Questo? (Legge) «Signora Urbaine des Voitures, via degli Atenei 40».

GONTRAN ‑   Non le ho chiesto di leggerlo, le ho chiesto di spedirlo.

BABET ‑         Va bene, signore.

GONTRAN ‑   Ecco qua venti soldi.

Scena decima ‑ Gli stessi, Leontine, Duchotel

DUCHOTEL ‑ (Indossa ancora i pantaloni che si stava provando prima) Ecco fatto, ho finito.

LEONTINE ‑   Gontran! (Moricet è vicino al caminetto, Gontran gli sta vi­cino, Leontine è oltre il tavolo, Duchotel alla destra del tavolo).

GONTRAN ‑   (Passa davanti al tavolo) Buongiorno zietta!... Zione!... Ma guarda, era vero: lei ha i miei pantaloni! (Alza la gamba per esibire i suoi pantaloni, accanto a quelli di Duchotel).

DUCHOTEL ‑ (Alza la gamba anche lui) Sembrerebbe, sembrerebbe, ami­co mio. Noi ci copiamo.

GONTRAN ‑   (A parte) Perché non parla per sé? (Durante quel che segue, Gontran, per impetrare la benevolenza dello zio, si complimenta con lui per i suoi pantaloni. A un certo punto, con mano esperta, si mette a correggere, di quando in quando, qualche piega difettosa, come fosse un sarto provetto impegnato a provare un vestito).

MORICET ‑    (Sottovoce a Leontine che è andata verso sinistra) Niente cari­no, da parte sua, sa? Andare a raccontare tutto a suo marito.

LEONTINE ‑   Lei trova?

MORICET ‑    Non le dirò mai più niente.

DUCHOTEL ‑ Accidenti, devo spedire un telegramma! (Va verso il secré­taire e si accorge che è inclinato) Non mi dire! Chi è che ha portato via... Ah, eccolo! (Va a prendere il libro di Moricet che si trova sul tavolo e se ne serve per rincalzare il mobiletto).

MORICET ‑    (Si è accorto del traffico) Ah, no, eh? Stavolta prendi Victor Hugo!

DUCHOTEL ‑ (Che si è già seduto per scrivere) Sì, si, un'altra volta... Ma che ora è, ragazzi?

MORICET ‑    (Guarda l'orologio) Le cinque e cinque.

DUCHOTEL ‑ (Si mette a scrivere e dice, con l'intenzione di farsi sentire bene da sua moglie) Accidenti! Devo affrettarmi, se voglio prendere il treno delle sei meno un quarto.

LEONTINE ‑   (Lo ha raggiunto) Stai telegrafando a Cassagne?

DUCHOTEL ‑ (Volta subito il telegramma che stava compilando, per non farlo leggere a sua moglie) Esatto. Per dirgli a che ora mi deve aspettare al­la stazione. Vuoi avvertire di là che mi portino giù la valigia?

LEONTINE ‑   Vado (Esce dal fondo).

DUCHOTEL ‑ (Si rimette a scrivere) «Signora Cassagne, via degli Ate­nei 40».

MORICET ‑    (A Gontran che gli sta accanto, vicino al caminetto) Allora, non gli chiedi quella cosa?

GONTRAN ‑   (Preferirebbe rimandare) Si,... Quando avrà finito di scrivere.

DUCHOTEL ‑ (Ha finito di scrivere) « ... allesette e mezza alla Casa D'O­ro. Sii puntuale. Ti aspetto fremente. Zizi». (Si alza) Mi firmo Zizi perché lei mi chiama Zizi! In quella casa mi conoscono solo con questo nome (Piega il foglio e se lo mette in tasca).

GONTRAN ‑   (Esortato da Moricet, si avvicina a Duchotel) Zione!

DUCHOTEL ‑ (Sobbalza) Chi è?! (Soprappensiero, a se stesso) Avrò preso i soldi? (Tira fuori dal portafoglio del denaro e lo conta).

MORICET ‑    (Sottovoce a Gantran) Coraggio. Sta per andarsene.

GONTRAN ‑   (Con uno sforzo su se stesso) Zione!!!...

DUCHOTEL ‑ (Di soprassalto) Chi è?

GONTRAN ‑   Vedo che, per combinazione, sta contando dei soldi e la informo che le sarei molto grato se volesse darmi cinquecento franchi...

DUCHOTEL ‑                                lo?!

MORICET ‑    (A parte) Va diritto al sodo, il ragazzo!

DUCHOTEL ‑ Non ci penso nemmeno! E scordati di chiedermi prestiti perché con me non attacca! Mi devi già seicento franchi!

GONTRAN ‑   Ma zione, non glieli chiedevo mica in prestito... Siccome ve­do che ha in mano tanti bei centoni, volevo sapere se mi darebbe cinque in cambio di un bel biglietto da cinquecento franchi.

DUCHOTEL ‑ Ah, volevi cambiare. Ho, beh! Con piacere. (Conta le ban­conote) Uno, due, tre, quattro, cinque. Eccoti cinquecento franchi (Li da a Gontran).

GONTRAN ‑   (Dopo aver riposto le banconote nel portafoglio) Grazie Zio­ne. Ed ecco il suo biglietto (Tira fuori il suo biglietto e lo consegna assai amabilmente a suo zio, dopodiché si allontana fulmineo dall'altra pane del tavolo).

DUCHOTEL ‑             Che sarebbe questa roba? (Legge) «Quando sarò maggio­renne. ... ».

GONTRAN ‑   Niente per niente!...

DUCHOTEL ‑ (Gli corre dietro) Ah, no eh?... Niente da fare!... Ridammi i miei soldi!

GONTRAN ‑   (Fuggendo in semicerchio intorno al tavolo, prima a sinistra, poi a destra, a seconda che Duchotel lo insegua dall'una o dall'altra parte e badando bene che ci sia sempre il tavolo fra loro) No zione! Quello che è fatto è fatto. Quel biglietto, ormai, è stato riciclato.

DUCHOTEL ‑             Riciclato un corno!... Vieni qua!... Non mi fare arrabbiare!...

GONTRAN ‑   Arrivederci zione e grazie mille!          (Esce di corsa dal fondo).

DUCHOTEL - (Lo insegue fino alla porta e si ferma sulla soglia) Gon­tran!... Beh, questo è troppo, veramente!... Hai visto che imbroglione? (Tor­na in avanti).

MORICET ‑    (Non ne può più dal ridere) Ah, vecchio mio, stavolta te l'ha proprio fatta!...

Scena undicesima ‑ Gli stessi meno Gontran, Leontine, poi Babet

LEONTINE ‑   (Entra dal fondo con il soprabito e il cappello di Duchotel. Guarda, ridendo, verso le quinte) Ma perché Gontran sta scappando come un pazzo? (Viene avanti).

DUCHOTEL ‑             Mi ha rapinato cinquecento franchi.

LEONTINE ‑   (Ridendo) No?!...

MORICET ‑    (Canzonandolo) Ma ti ha lasciato un titolo, in garanzia.

DUCHOTEL ‑             Che non vale una cicca. Tieni, te la vendo per quaranta sol­di... E ci rimetti di sicuro.

LEONTINE ‑   (Gli da il soprabito e il cappello) Tesoro, non è per mandarti via ma il treno non aspetta te...

DUCHOTEL ‑             (Prende soprabito e cappello) Giusto, Giusto (Suonano).

LEONTINE ‑   Hanno suonato.

DUCHOTEL ‑ (Andando verso il fondo) Proprio adesso? Chi può essere?

BABET ‑         (Entra dal fondo col fucile di Duchotel chiuso nella custodia e lo posa a terra) C'è di là un signore che ha chiesto di lei, signore.

DUCHOTEL ‑ Ah, non ho tempo di riceverlo.Chi è?

BABET ‑         Il nome non me l'ha detto.

DUCHOTEL ‑ Peggio per lui! Lo ricevi tu, Leontine, io me la svigno. (A Babet) Ha portato giù la mia valigia?

BABET ‑         Si, signore (Entra nel salone a sinistra, in secondo piano).

DUCHOTEL ‑ (Prende il fucile e se lo mette a tracolla) Ecco fatto! E allo­ra, a presto, mia dolce Leontine!

LEONTINE ‑ Ciao tesoro... Fai attenzione, eh? (Duchotel bacia Leontine. Moricet, infastidito dalla spettacolo, volta la testa, con una smorfia).

DUCHOTEL ‑ Moricet, tu scendi con me?

MORICET ‑    Sì. Ti accompagno alla vettura (Va a prendersi cappello e ba­stone).

DUCHOTEL‑ Allora io scappo e fra un'ora e mezza, Leontine, quandosuoneranno le sette, potrai pensare: "Mio marito è già a Liancourt, in campagna, dal suo amico Cassagne" (Le manda un bacio con la mano ed esce).

LEONTINE ‑   Ti penserò. Torna presto.

MORICET ‑    (Prima di uscire ci prova ancora) Leontine?

LEONTINE ‑   Che cosa c'è?

MORICET ‑    (Con gesto ammiccante) Hhmmmm?

LEONTINE ‑   Nònnònnònnònnò!

MORICET ‑    Aaah! (Un sospiro di rassegnazione ed esce).

BABET ‑         (Rientra da sinistra) Faccio entrare il signore che è di là?

LEONTINE ‑   (Che è rimasta sulla porta in fondo a contemplare il suo mondo che si dilegua, risponde a Babet) Lo faccia entrare.

BABET ‑         Sì, signora. (Si affaccia un istante alla porta del salone a sini­stra, senza uscire dalla vista del pubblico e torna indietro, annunciando) Il signor Cassagne!

LEONTINE ‑   (Sbalordita) Chiii?... Il signor Cassagne?...

Scena dodicesima ‑ Gli stessi, Cassagne (accento meridionale)

Babet si ritira dalla porta di fondo, subito dopo aver fatto entrare Cassagne.

CASSAGNE ‑ (E’ entrato con fare molto cordiale. Ha in mano un bastonci­no da passeggio e viene avanti verso sinistra, fino all'altezza del tavolo) Oh, signora, come sono contento di rivederla! Come sta Duchotel?

LEONTINE ‑   (A parte) Ma che significa? Sto impazzendo? (Si trova a de­stra, quasi oltre il tavolo).

CASSAGNE ‑ Non è in casa?

LEONTINE‑ ‑ (Ad alta voce, dissimulando il suo turbamento) No, no, non c'è... Desiderava parlare con lui?

CASSAGNE ‑ Con tutto il cuore, signora mia: è così tanto tempo che non lo vedo...

LEONTINE ‑   (A parte) Sì, si,sto diventando matta! (A Cassagne) Ah, dav­vero?... E’tanto che non lo... (Risale la scena in direzione del tavolo).

CASSAGNE ‑Sì, si e... Siccome volevo consultarlo su una questione per­sonale... D'altronde posso accennare anche a lei! (Leontine, nervosissima ma controllatissima, l'invita a sedersi. Siedono entrambi, lui a sinistra, lei a destra del tavolo. Cassagne posa il suo cappello, di forma piuttosto alta, sul tavolo, alla propria sinistra) Come lei certamente saprà, io vivo separa­to da mia moglie e il mio più grande desiderio sarebbe quello di divorziare.

LEONTINE ‑   (Vorrebbe arrivare al punto che le interessa) Sì, qualche cosa sapevo ma...

CASSAGNE ‑             (La interrompe) Però, per questo scopo, mi sarebbe servito coglierla sul fatto. Ebbene, sono venuto appunto ad annunciare all'amico Duchotel che, finalmente, la mia giusta causa ce l'ho (Posa il bastone sul tavolo) E che ho dato disposizioni per far cogliere mia moglie in flagrante delitto d'adulterio, stasera stessa! (gongolante) Ha un amante, signora... Ha un amante...

LEONTINE ‑   (Durante quel che precede non ha ascoltato una sola parola di Cassagne, occupata com'è a monologare interiormente e tesa a combat­tere con se stessa. Ha la testa altrove) Ah, sì? Mi congratulo con lei!...

CASSAGNE ‑ (Felicissimo) E’un certo signor Zizi.

LEONTINE ‑   (C.s.) Complimenti, bravo, complimenti!... Ma, mi stava di­cendo che... è tanto che non vede Duchotel?

CASSAGNE ‑             Eh, si... Sarà un bel pezzo... Almeno sei mesi.

LEONTINE ‑   Sei mesi?!

CASSAGNE ‑ E come no! E’ un traditore, vero signora?

LEONTINE ‑   Ma non vi siete visti qualche volta... cosi, per andare a caccia insieme?

CASSAGNE ‑ Escluso! lo non vado mai a caccia!

LEONTINE ‑   Lei non è cacciatore?

CASSAGNE ‑ Mai andato a caccia in vita mia!

LEONTINE ‑   Mai andato a... (Un silenzio dovuto al fatto che sta letteral­mente soffocando. Quindi esplode improvvisamente in una serie di grida scomposte che fanno fare altrettanti salti a Cassagne) Mai an... da... to a.. cac... cia! cia! cia!? Ohè! Ohè! Ohè! Ohè! Ohè!...

CASSAGNE ‑ (Schizza in piedi come fosse caricato a molla) Ohèeee!!!

LEONTINE ‑   (Come se ce l'avesse con Cassagne) Ah, mentitore! Ah, fara­butto! Ah, pezzo da forca!

CASSAGNE ‑             (Basito) Ma signora! (A parte) Ma che le succede? (Si rifu­gia verso l'estrema destra).

LEONTINE ‑   (Lo incalza) E adesso non mi verrà a raccontare che se ne è andato a caccia, vero? (E risale la scena verso il fondo a sinistra).

CASSAGNE ‑ (La segue) lo?! Ma quando mai?!

LEONTINE ‑   (Apre la porta di fondo e parla verso la direzione da cui è uscito il marito) Aaaah, mi si viene a fare la gatta morta, eh?... Mi si rigira come una marionetta, eh?!...

CASSAGNE ‑ (C.s.) Io?! (A parte) Oh, Santa madre degli Sperduti, è di­ventata matta! (Torna rapidamente in ribalta).

LEONTINE ‑   (Lo incalza obbligandolo a svicolare verso destra) Ma, gra­zie a Dio, la maschera è caduta e non può più nascondere la sua orrenda ne­fandezza! (Ha indicato, come esempio, la faccia di Cassagne. Ora Leon­tine è all'altezza del tavolo e alla sua sinistra).

CASSAGNE ‑             (Si appoggia al tavolo con le mani, di fronte a Leontine, vo­lendo cercare di ammansirla) Andiamo, signora, si calmi ...

LEONTINE ‑   (Prende il bastoncino che Cassagne aveva posato lì sopra e lo sbatte con violenza sul tavolo, cogliendo anche le dita di Cassagne) Sicalmi lei, si calmi!

CASSAGNE ‑             (Indietreggiando verso il fondo, soffiandosi sulle dita) Mamma che male.. Ohiohiohiohi!

LEONTINE ‑   (Gesticola ora col bastoncino, mentre si porta verso l'estre­ma sinistra) Eh, ma adesso so quello che volevo sapere!... Del resto, qual­che sospetto ce l'avevo già!...

CASSAGNE ‑ (A parte, avvicinandosi con cautela a lei, oltre il tavolo) Che triste spettacolo, una mente sconvolta dalla pazzia! (Ad alta voce e supplichevole) Signora!...

LEONTINE ‑   (Lo minaccia col bastoncino) Ah, mi si vuole infinocchiare, vero? Si vuole ridere alle mie spalle?!... (Passando davanti al tavolo va sul­la destra) Ebbene, riderà bene chi riderà ultimo! (Siede alla destra del ta­volo, su cui poggia nervosamente e seccamente il bastoncino).

CASSAGNE ‑             (vicino al caminetto. A parte) Se potessi riprendermi il ba­stone...

LEONTINE ‑   (Più calma) No! (Cassagne sobbalza) Quando penso che fi­no a poco fa non sospettavo di niente!...

CASSAGNE ‑             (Si avvicina dolcemente, condividendo in pieno) Sì, signora, la capisco...

LEONTINE ‑   ... Ero pacifica, tranquilla... (dicendo: "pacifica, tranquilla", sottolinea le parole schiacciando nervosamente il cappello di Cassagne, per due volte).

CASSAGNE ‑             Signora, la prego, è un Borsalino!... (Leontine fa rotolare il cappello in aria).

CASSAGNE ‑ (Protendendo le mani verso Leontine) No!...

LEONTINE ‑   (Afferra di nuovo il bastoncino e sbatte sul tavolo con forza) Ma che idiota!... Ero proprio pazza!

CASSAGNE ‑ (Ha ricevuto quest'ultimo colpo sulle dita e arretra verso il fondo destra) Poveretta, se n'è accorta!

LEONTINE ‑   (Si è alzata. Va verso sinistra. Ha sempre il bastoncino di Cassagne) E va bene! Ma la ruota gira! Adesso tocca a me! Finora sono stata scema, ma adesso applicherò la legge del taglione!

CASSAGNE ‑ (Ha raccolto il cappello e cerca di raddrizzarlo) Sì,signora, sì, applichi quello che vuole...

LEONTINE ‑   Si fa i suoi porci comodi, eh?... Ebbene, lo farò anch'io!... li matrimonio non gli basta più, vero?!... E allora nemmeno a me! (Suona il campanello) E, tanto per cominciare, scrivo a Moricet.

CASSAGNE ‑             Si, signora, scriva a Moricet. (A parte) Ma a me?

BABET ‑         (Entra dal fondo) La signora ha chiamato?

LEONTINE ‑   (A Babet) Mi prepari la borsa da viaggio. Passerò due giorni in compagnia della mia madrina. Vada pure. (Babet esce) Mi vendicherò!... (Per il furore, prende di nuovo il bastoncino e lo agita sotto il naso di Cas­sagne) Tutti porci, voi uomini!!!

CASSAGNE ‑             Ancora?!... Ah, no eh?... Adesso basta!... io non le ho fatto niente!!! (E così urlando, fugge dalla porta in fondo).

FINE DEL PRIMO ATTO

ATTO SECONDO

La garconniere di Moricet. Mobilio molto elegante, all'ultima moda. In primo piano a sinistra, addossato al muro, c'è un pianoforte verticale; sul leggio del pianoforte è appoggiato uno spartito musicale; sopra di esso, so­no sparsi ninnoli e partiture varie. In secondo piano, a sinistra, c'è una porta a pannelli a due battenti (di cui, quello di sinistra è fisso), che si apre dalla parte interna; la porta è munita di serratura a doppia mandata. In fondo a sinistra, di faccia al pubblico, c'è un'elegante alcova, tappezzata con drappeggi chiari e suggestivi, con la raffigurazione di un qualunque trionfo di Venere. Una cornice di seta e tendine della stessa stoffa, artistica­mente drappeggiate, inquadrano l'alcova. Dentro c'è un letto la cui coper­tura (composta da una sopra coperta, una coperta bianca e un len­zuolo), è già rimboccata, pronta per la none. La testata del letto è a sini­stra; vicino ad essa c'è un piccolo comodino; sul comodino c'è un cande­liere e dei fiammiferi; sotto il comodino, un paio di pantofole. Ai piedi del letto, c'è una poltroncina, rivolta verso la testata; per terra uno scendiletto, in pelle d'orso. Infondo, a destra del letto, c'è una finestra con incornicia­tura a tendaggi simili a quelli dell'alcova. Avvolgibili, l'uno più sollevato dell'altro, pendono sui due battenti della finestra. La finestra dà su un bal­cone, da cui si vede la strada, illuminata dal chiaro di luna. A destra c'è una porta a pannelli a due battenti; è munita di pomello e di un catenaccio e si apre dalla parte interna. A destra, in primo piano, una porta, quasi nascosta dalla tappezzeria, dà in un nero ripostiglio e si apre verso l'interno da destra a sinistra. Tra questa porta e quella a pannelli, in secondo piano, c'è un camino col fuoco acceso; sul camino c »è un candeliere, una scatola di fiammiferi, uno specchietto, due candelabri, una statuetta. Sopra il cami­no è appeso un artistico specchio ovale. A un metro dal camino, orientato verso il pubblico, c'è un piccolo canapè pieno di cuscini. Dall'altra parete, a sinistra della scena e un metro a destra del piano, c'è un tavolo apparec­chiato, con due coperti; una sedia è sistemata ai due lati del tavolo, sul quale, nel punto più lontano dal pubblico, c'è un lampada accesa in un grande abatjour in merletto; sulla parte destra del tavolo, la più vicina al pubblico, c'è una pernice, gamberi, una bottiglia di bordeaux nel suo cesti­no, etc, etc. Un po’ dappertutto, sono sistemati a piacere, soprammobili, quadri, statuette ed altri oggetti artistici.

Scena prima ‑ Madame Latorre, Duchotel

LATORRE -    (Ha un vaporizzatore in mano e sta spruzzando le tendine della finestra) Là! Su sulle tende può bastare! (Verso il canapè) Eadesso, tocca al divano! Il divano è essenziale! Di norma è il campo di battaglia do­ve si sferra il primo attacco!... La vittoria finale dipende quasi sempre da come si è impostata la prima scaramuccia!... Merita razione doppia! (Spruz­za coscienziosamente il divano) Ma che brava: sto dando delle spruzzatine strategiche (Va verso il letto che è già rifatto) Per scrupolo di coscienza, spruzzo persino te, guarda, anche se non vale la pena, perché, insomma, quando si arriva a questo punto, la spruzzatina preventiva è ininfluente... Conta solo quella conseguenziale. (Una leggera spruzzata sul letto e viene avanti sulla destra) Là! Speriamo che il nuovo inquilino, quel tale signor Moricet, sia soddisfatto. (Esibisce il vaporizzatore quasi vuoto) Ho vaporiz­zato per lui sedici franchi di "Notti d'oriente". (Dirigendosi verso il pia­noforte) Però, quanto mi piacciono gli uomini così, quelli che, in amore, non badano a spese. (Vaporizza se stessa) Del resto non esiste cosa al mon­do che sia troppo cara per la donna che si ama! Ah! Che sesso fortunato è il nostro!... (Posa il vaporizzatore sul pianoforte e, parlando, si sposta lenta­mente verso la destra) Certo che mi piacerebbe tanto sapere come mai io, la contessa Latorre Du Nord, quando ancora vivevo nell'aristocratico quartiere Saint Germain, non mi sono invischiata con un uomo come questo, invece che con un'attrazione del circo equestre!... (Siede sul divano) Mio marito non mi avrebbe beccata e adesso non starei qui a fare la portiera. (Si stende sul divano) Ah!... Come sono lontani quei tempi felici!... Oh Dio, queste es­senze... Mi colmano d'ebbrezza!... Ne sento tutta un languore!... Ma tanto che serve?... Vero è che un proverbio dice: «Non esiste dama talmente in al­to che il suo stalliere non trovi il sistema di arrampicarsi fino a lei»... Ma quando mai un proverbio ci azzecca... Stalliere? Dove sei?...

DUCHOTEL ‑ (Da fuori) Contessa Latorre?

LATORRE -    (Si drizza a sedere e sbatte le palpebre verginalmente) Sei lo stalliere?

DUCHOTEL ‑ (Entra. E’ vestito come nel primo atto, col fucile nella custo­dia a tracolla sulla spalla sinistra) Contessa Latorre?è qui?

LATORRE -    Signor Zizì!...

DUCHOTEL   (Sulla soglia della porta di sinistra) Sarà un quarto d'orache la cerco... Sacripante, che fetore!... Ma che c'è un gatto, qui?

LATORRE -    (Gli va incontro) Un gatto. Questo è "Notti d'oriente'1

DUCHOTEL ‑                         Pfffù! C'è da rimanere stecchiti. Senta un po': saranno dieci minuti che busso dalla signora Cassagne, alla porta di fronte, sarà uscita?

LATORRE -    (Con aria contrita) Non è in casa, signore.

DUCHOTEL ‑             Oh, che bellezza! L’o aspettata alla Casa d'Oro per una ce­na per due... che mi sono dovuto mangiare da solo. Ma non ha ricevuto il mio telegramma?

LATORRE -                Sì, signore. La signora Cassagne mi ha detto: «Mio zio Zizì... ».

DUCHOTEL ‑ Sono io...

LATORRE -    ... «Mio zio Zizì arriva oggi dalla provincia e, come al soli­to, viene a stare da me; gli dica che, se avessi ricevuto prima il suo tele­gramma, gli avrei dedicato la serata ma, purtroppo, adesso sono impegnata. Gli dia le chiavi e lo preghi di aspettarmi» tira fuori dalla tasca le chiavi).

DUCHOTEL ‑ Beh, se restava a casa era meglio.

LATORRE -    (Consegnandogli le chiavi) Ecco fatta la commissione. Là! (Viene davanti al divano) E, a parte questo, signor Zizì, che si dice a Lons‑le‑Saunier?

DUCHOTEL ‑             (Si blocca meravigliato, mentre se ne stava andando) Che si dice a Lons‑le‑Saunier?

M.LATORRE‑ Sì.

DUCHOTEL ‑ E che ne so?

LATORRE -    Come! Mi pareva che la signora Cassagne m'avesse det­to che lei, qualche volta, viene a stare a casa sua, perché abita a Lons‑le­Saunier.

DUCHOTEL ‑             (Torna indietro, davanti al tavolo) Ma chi? lo? ... Ah, sì, cer­to, non avevo capito!... E come no, perbacco ... io abito a Lons‑le‑Saunier.

LATORRE-    Chissà quanto si annoia lì !

DUCHOTEL ‑ Beh, no... I giardini pubblici ... La banda comunale...

LATORRE -    E poi, in fondo, viene spesso a Parigi... (Improvvisamente) Perché, quando viene a Parigi, si porta sempre il fucile?

DUCHOTEL ‑                         (Disinvolto) Questo... non è un fucile, è... un necessaire da viaggio. Si. A... Lons‑le‑Saunier li fanno così. (Passa a destra) Ma, contes­sa, non per dire... E’ piazzata bene la cocotte che abita qui.

LATORRE -    La cocotte? Di chi parla? Ah, della signorina Urbaine des Voitures? Ma non abita più qui, signor Zizì... l'abbiamo sfrattata.

DUCHOTEL ‑ Ah sì?

LATORRE -    Ma certo, e come potevamo tenerla un'inquilina come lei? Screditava tutta la casa! Specializzata nello svezzamento dei collegiali!

DUCHOTEL ‑ Una specie di nave scuola!

LATORRE -    A proposito, devo ricordarmi di farmi restituire la chiave di questo appartamento, dal suo ultimo poppante!... Una donna, signore mio, che non aspettava neanche che avessero la maturità per istruirli sui fondamentali del piacere! ... Quando mi toccava di farle qualche servizio, a quella li, (Si batte il petto con gesto altezzoso) ilmio sangue patrizio si ri­voltava!

DUCHOTEL ‑                         Lei è feroce, contessa.

LATORRE -                Con le cocotte sì! Ho in spregio gli amori venali! Ho ri­spetto solo per i traviamenti delle donne perbene. Per fortuna, da quando quella specie di balia se n'è andata, posso affermare ad alta voce che la casa è irreprensibile: solo gente sposata! In qualche caso, persino tra loro.

DUCHOTEL ‑             Magnifico! Acqua, gas e gente sposata in tutti i piani. Allo­ra, gli inquilini di qui sono sposati?

LATORRE -    Lui no ma lei certamente sì, se debbo giudicare dal mistero e dalle attenzioni di cui lui la circonda.

DUCHOTEL ‑                         Ah, bricconcello... e che fa?

LATORRE -    Il medico.

DUCHOTEL ‑                         E bravo il medico che si cura con una donna sposata... Ah! Ah! ... E intanto il marito se la dorme beato fra due guanciali. Che bab­beo! ... Beh, arrivederla, contessa, vado a vedere se la signora Cassagne è tomata (Si avvia).

LATORRE -                (Anche lei si è avviata verso l'ingresso) Va bene, signor Zizi. (Socchiude la porta poi bruscamente) No, aspetti, sta salendo qualcu­no. (Guarda ancora fuori) Ah, Dio mio! Sono gli inquilini di qui. Mi sgri­deranno per averla fatto entrare.

DUCHOTEL ‑ E allora me ne vado.

LATORRE -                (Lo ferma) No! V’incontrereste! (Lo prende per le brac­cia e lo conduce verso l'armadio a muro a destra, in primo piano. Apren­done la porta) Entri qui dentro, presto. Caso mai dirò loro che lei è un mio parente che ho fatto venire io per la pulizia dell'appartamento (Lo spinge dentro l'armadio).

DUCHOTEL ‑ Ma come sarebbe!

LATORRE -    E non esca se non vengo io a liberarla.

DUCHOTEL ‑             Accidenti! Che puzza di canfora!

LATORRE -    Così si conserva meglio... Entri! (Chiude la porta, proprio nel momento in cui stanno entrando Moricet e Leontine) Uff!Appena in tempo!... (Resta appoggiata alla porta dell'armadio).

Scena seconda – Latorre, Moricet, Leontine

MORICET ‑    (Introducendo Leontine velata) Ecco il tempio!... Entri, non abbia timore...

LEONTINE ‑   Oh, no! Non oso, non posso!...

MORICET ‑    (Attirandola dolcemente) Suvvia, coraggio... suvvvia, per lei è dunque così spaventoso?... Cosa mai le può far paura?

LEONTINE ‑   (Avanzando un po' timidamente) Che qualcuno possa ve­dermi...

LATORRE ‑    (A parte) Tutta me da giovane.

LEONTINE ‑   (Indietreggia) Una donna!

MORICET ‑    (Venendo avanti, vicino a Leontine) Eh? E dov'è? (Indica LATORRE) Ah, questa? No, niente! Non è niente...

LATORRE‑    Beh?!Come si permette?

MORICET ‑    (Presentando) La contessa Latorre du Nord...

LEONTINE ‑   (Saluta interdetta LATORRE che risponde con una riveren­za) Signora...

MORICET ‑    (Concludendo) La mia portiera.

LEONTINE ‑   (Sbalordita) La sua portiera?

LATORRE ‑    Ahimé, sì, signora, nonché un'autentica Latorre du Nord.

MORICET ‑    Insomma una torre precipitata nella guardiola di una portine­ria. Le racconterò dopo. (A LATORRE con un tono pieno di sottintesi) Contessa!... Non abbiamo più bisogno dei suoi servizi.  (LATORRE s'avvia per uscire, quando, d'un tratto, si ode un forte starnuto, proveniente dal­l'armadio a muro).

LEONTINE ‑   Che c'è? Cosa succede?!...

MORICET ‑    (Indicando l'armadio) Qualcuno là dentro ha starnutito!

LATORRE ‑    (Avanzando prontamente di qualche passo) Ah, sì, signore, me n'ero dimenticata: è un mio parente che ho fatto venire per le pulizie dell'appartamento.

MORICET ‑    (Con un moto di stizza) Doveva mandarlo via prima!

LATORRE ‑    (Premurosa) Se il signore desidera che non veda la signo­ra, non deve fare altro che accompagnarla un attimo di là. (Indica la porta a destra in secondo piano) Intanto, faccio uscire il mio parente.

MORICET ‑    (Fa passare Leontine dalla parte della porta di destra, in se­condo piano) Va bene, si sbrighi. (Introduce dolcemente Leontine a destra) Venga, venga... «Se è bella nel terrore che sarà mai nel riso?» (Escono).

Scena terza ‑ LATORRE, Duchotel

LATORRE ‑    (Corre ad aprire la porta dell'armadio) Presto, se ne vada, signor Zizì.

DUCHOTEL - (Esce dallo sgabuzzino tossendo e starnutendo e viene in ri­balta, passando davanti a LATORRE e al divano) Ah, si può? Era ora! So­no tutto canforato! (Pausa) Lei mi ha narcotizzato! E non è proprio il mo­mento giusto! (Risale verso il fondo).

LATORRE ‑    (Si è messa a seguirlo passo passo) Sì, va bene ma si sbri­ghi! (Gli indica la porta d'uscita).

DUCHOTEL ‑ (Si avvia per uscire) Vado, vado... (Si arresta all'altezza del letto. A Latorre, con aria maliziosa, indicando la porta dalla quale sono usciti Leontine e Moricet) No, per dire... dica un po'...

LATORRE ‑    Che c'è?

DUCHOTEL ‑ (C.s.) Sono di là?

LATORRE ‑    Chi?

DUCHOTEL ‑ Lui e... la bella adultera.

LATORRE ‑    (Ride con finto rimprovero) Sì, sono di là.

DUCHOTEL ‑ Ah, sono di là, eh? (Ride) Ah! Ah! Ah... Sono di là...

LATORRE ‑    E che c'è da ridere?

DUCHOTEL ‑ Niente, niente... Lei dice: "sono di là" e io dico... "fra poco saranno qua!" (Indica il letto) E penso a quel marito che è rimasto là... (In­dica fuori, con un gesto che descrive un uomo che dorme fra due guanciali).

LATORRE ‑    E allora?

DUCHOTEL ‑ E allora posso anche crepare dalle risate... (Ride).

LATORRE ‑    Ah, si? Beh, riderà bene chi riderà ultimo! Povera cara... scommetto che è la prima volta che cade sul campo...

DUCHOTEL - Davvero? (Con un gesto da gran signore) Bene! Uno di più sulla faccia della terra, contessa... Il benvenuto al nuovo arrivato! (Si scopre il capo con grande magniloquenza, poi, dopo essersi rimesso il cappello scatta sull'attenti, sbattendo i tacchi, con la mano sinistra che mima le coma, attac­cata al petto, mentre, con la destra, saluta militarmente. Dopo il doveroso sa­luto, si mette a inviare baci verso la porta che nasconde gli amanti) Baci per voi, Faust e Margherita... Che Cupido vi protegga... Da me che sono Mefisto­fele! (Riso diabolico, con le mani a coma, all'altezza della propria fronte) Ah! Ah! Ah!... Corro dalla signora Cassagne! (Corre verso la porta d'uscita).

LATORRE ‑    (Lo segue) Bravo! La porta di fronte!

DUCHOTEL ‑ (è uscito a metà) Sì, stesso piano! Conosco! Arrivederci! (Sparisce).

Scena quarta ‑ LATORRE, Leontine, Moricet

LATORRE ‑    (Chiude la porta) Finalmente! (Corre verso la stanza dove sono nascosti i due) Ho avuto paura che non se ne andasse più! (Apre la porta) Il campo è libero.

MORICET ‑    (Entra con Leontine) Era ora!

LATORRE ‑    (Oltre il tavolo) Non ha più bisogno di me, signor Mo­ricet?

MORICET ‑    No, grazie, contessa (E’ al centro della scena. Leontine è al di là del divano e, durante il dialogo tra Moricet e la portiera, si toglie la mantella e il cappello e posa tutto sul cuscino di destra del divano).

LATORRE ‑    (Vicino all'uscita) Allora, signori, sogni d'oro! (Falsa uscita).

MORICET ‑    Sì, si, va bene, anche a lei.

LATORRE ‑    Oh, io... sono finiti quei tempi... (Esce con un sospiro no­stalgico).

MORICET ‑    (Appena LATORRE è uscita) Leontine!

LATORRE ‑    (Riappare come un diavolo che schizza fuori a sorpresa da una scatola) Nel caso aveste bisogno, quel campanello lì arriva dritto dritto giù in guardiola (Indica, dalla porta, il cordoncino del campanello, di fian­co al camino).

MORICET ‑    E allora segua il campanello! (Va a chiudere a chiave la porla, poi fremente a Leontine) Leontine!...

LEONTINE ‑   Moricet!

MORICET ‑    (La stringe tra le braccia, in atteggiamento oleografico) Fi­nalmente soli!...

LEONTINE ‑   Ah, Moricet! Ma sono io, sono proprio io che mi trovo qui, tra le sue braccia?

MORICET ‑    (Le prende le mani) Leontine! Non oso crederci neanch'io, bi­sogna prima che la guardi, che la stringa al mio petto. (La stringe) Ho biso­gno di... (La vuol baciare).

LEONTINE ‑   (Gli mette la mano sulla bocca per impedirgli di baciar­la) No!

MORICET ‑    (Protestando) E invece si!... Per essere sicuro che è lei, lei!... Che ho desiderato per tanti giorni...

LEONTINE ‑   (Lasciando le braccia di Moricet) Tanti giorni?

MORICET ‑    E tante notti!

LEONTINE ‑   Ah, Moricet, mi dica che quello che sto facendo non è pura follia! (Avanza un poco)

MORICET ‑    Follia? Ma come? Perché?

LEONTINE ‑   Cosi, per tutto! (Siede sul divano) Non pensa che in questo momento io sono ancora una donna onesta e che domani...

MORICET ‑    (Superbamente convinto) Domani lo sarà ancora!

LEONTINE ‑   Lo pensa davvero?

MORICET ‑    (Sincero) Diamine! Basta che non lo racconti in giro.

LEONTINE ‑   (Con un senso di istintivo terrore) Oh, no!

MORICET ‑    (Con convinzione e calore) E’ così semplice... Ma cos'è mai, la prego, l'onestà delle donne? Nient'altro che la pubblica opinione. E dunque è sufficiente che la pubblica opinione non s'impicci degli affarucci nostri!...

LEONTINE ‑   Ma che bella morale!

MORICET ‑    (Con veemenza) E perché? Non vorrà certo sostenere che quella "certa" onestà non sia una convenzione sociale! Ma per quale ragione lei, dandosi all'uomo che ama, non sarebbe più una donna onesta? per­ché la società ha sentenziato: «Non amerai altro uomo all'infuori di tuo ma­rito, l'unico amante legale che ti concedo!». à la società che ha creato que­sto dicastero: "il marito" (Le siede vicino sul divano e la prende le mani) Ma l'unica realtà, Leontine, la legge di natura siamo noi! Il matrimonio non è forse l'unione di due cuori che si amano? E allora, il vero marito è l'a­mante. Lo sposo non è che il marito che vi ha affibbiato la società, mentre l'amante è il marito scelto dal cuore.

LEONTINE ‑   (Sintetizzando) Insomma, un marito supplente...

MORICET ‑    0 meglio: un 'facente funzione". (Si alza e si sposta verso si­nistra. A parte) Al quale sono sempre toccate le maggiori incombenze... (Torna verso Leontine) D'altronde non ci amiamo, no? (Prende la mano di Leontine, la fa alzare e la trascina dolcemente verso sinistra) E allora che c'importa di tutto il resto?!... Ha già obliato la lettera che m'ha scritto in uno slancio di generosità?

LEONTINE ‑   (Passa a sinistra) Macché generosità! Ero arrabbiatissima!

MORICET ‑    (Non demorde) In uno slancio di rabbia generosa?!?... Ah, quella lettera mi ha aperto le porte del Paradiso! Quella lettera...

LEONTINE ‑   Ce l'ha con sé?

MORICET ‑    Come sarebbe, "ce l'ha con sé ?”... La tengo sempre qui, stret­ta sul cuore (Si batte il petto all'altezza del cuore).

LEONTINE ‑   (Dubbiosa e civetta) Vorrei tanto vederla.

MORICET ‑    Eccola! (La tira fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni, detta anche "la tasca della pistola").

LEONTINE ‑   (Arrossisce e abbassa la testa per nascondere il suo riso) Oh!... (Pausa) Ha il cuore basso, lei!

MORICET ‑    (Pausa Con convinzione) Ilcuore sta dovunque! (Lirico) Ec­cola qui, la cara lettera, così come l'ha scritta.

LEONTINE ‑   E come sennò?...

MORICET ‑    Con quel linguaggio commosso, grande e semplice a un tem­po, che sgorga da qui... (Si batte il petto).

LEONTINE ‑   (Fra i denti) Come la lettera.

MORICET ‑    (Legge) «Amico mio» (Bacia commosso la lettera) «Amico mio, io ho una parola sola: a questo punto, non c'è più nessun ostacolo fra noi».(A Leontine) Conciso ed eloquente! (Lirico, ascoltando la cadenza delle proprie parole) L’eloquenza della concisione e la concisione...

LEONTINE ‑   (Sullo tesso tono) ... dell'eloquenza.

MORICET ‑    (Un po' interdetto) Già! (Legge) «Libera di me stessa, io mi consacro all'amore». (A Leontine) Ecco cosa mi ha scritto (Fa l'atto di pie­gare la lettera).

LEONTINE ‑   Sì, ma dopo? Cos'è che ho aggiunto dopo?

MORICET ‑    Dopo?... Ah, dopo?... cose senza importanza.

LEONTINE ‑   (Leggendo da sopra la spalla di lui) «Ma è bene che si sap­pia che sono arrivata a questa risoluzione solo perché l'ha voluto Lui!». (Insiste) «L’ha voluto Lui!»,

MORICET ‑    Sì, va beh, ma questa è una piccola concessione all'amor pro­prio femminile...

LEONTINE ‑   (Ironica) Ah, lei crede?

MORICET ‑    (Si mette la lettera in una tasca laterale dei pantaloni) E dopo avermi scritto una lettera come questa lei vorrebbe fare marcia indietro? (Con impeto) Leontine, non è forse un invito a Warnore tutto quanto ci circonda?... (L'ha presa alla vita con la sua mano destra e se la fa girare in­torno con dolcezza, raggiungendo così, insieme a lei, il fondo scena. Ora sono, tutti e due, di schiena al pubblico) Non si sente stordita da queste es­senze?... Rapita da un languore voluttuoso?...

LEONTINE ‑   (Annusa l'aria) "Notti d'Oriente!" Sedici franchi!

MORICET ‑    (La tiene sempre per la vita e la fa di nuovo girotondare dol­cemente, così a trovarsi. tutti e due, faccia al pubblico) Guardi: ci attende la cenetta, immancabile compagna dei teneri incontri...

LEONTINE ‑   (Battendo le mani come una bambina) Oh, le pernìci!... Gli scampi!... Mio marito ne va matto...

MORICET ‑    Sìììì? Ne farà a meno! (Se la passa dal braccio destro a quello sinistro. Con lirismo) Che luce pronuba e discreta!... Che mistero, che pro­messe si effondono da questa semioscurità che renderemo ancora più tre­mula, quanto basta per poterci amare ma non abbastanza da poterci vedere. (Abbassa un po' la fiamma della lampada con la sua mano destra che ora è libera).

LEONTM ‑      (Impaurita) Che sta facendo?

MORICET ‑    (Assai prosaico: deve risultare evidente il contrasto col liri­smo delle sue precedenti parole) Adeguo la luce alle esigenze della situa­zione! (Un superbo raggio di luna attraversa la finestra. Moricet ridiventa lirico) Guardi, anche la luna è nostra amica!... La luna, questa complice de­gli innamorati!...

LEONTINE ‑   (Va alla finestra) Oh, che bel chiaro di luna!...

MORICET ‑    (Con volo pindarico) La luna: l'astro della notte!

LEONTINE ‑   C'è un bel balconcino!

MORICET ‑    (Trascinato dalla sua stessa enfasi, sullo stesso livello di liri­smo) Quaranta metri quadrati scoperti!... Gira tutto intorno alla casa... (La prende tra le braccia) Siamo Romeo e Giulietta nella scena del balcone.

LEONTINE ‑   (Ironica) Vista, però, dall'interno.

MORICET ‑    Romeo e Giulietta in edizione invernale... (L'attira a sé con dolcezza verso il letto) E indovini che c'è qua?

LEONTINE ‑   (Alla vista del letto indietreggia) Oh!

MORICET ‑    Che c'è?

LEONTINE ‑   (Si getta sul divano, tutta vergognosa) Ah, no! Questo no! Questo no!

MORICET ‑    (Le si avvicina. Del tutto naturale) Come sarebbe? Ma è il...

LEONTINE ‑   Sì, l'avevo capito! No, no! Questo no!

MORICET ‑    (A parte, allontanandosi verso sinistra) E’ come dal dentista: guai a far vedere i ferri del mestiere prima dell'uso. (A Leontine) Andiamo, coraggio, Leontine (Torna verso di lei).

LEONTINE ‑   (Vergognosa, le mani sul viso) Oh, Moricet!

MORICET ‑    Ma che cosa vedo mai? Lei trema? Piange?

LEONTINE ‑   (Scoppia in singhiozzi) Ah, Moricet!... (Si alza) E’come se mi stessi risposando (Si getta tra le braccia di lui).

MORICET ‑    (Al colmo dello stupore) Cosa?

LEONTINE ‑   (Rifugiata tra le sue braccia) Anche lui, quella sera, era qui, vicino a me... eravamo soli...

MORICET ‑    (Sempre abbracciato e molto seccato) Mi pare ovvio!

LEONTINE ‑   (C.s.) E mi faceva proponimenti d'amore come lei... (D'un tratto, dà una spinta a Moricet e si libera dalle sue braccia) E poi, all'im­provviso... trac!... Ecco il letto! Come adesso. E allora, accecata dalla passione, travolta dai sensi...

MORICET ‑    (Si ribella) Eh, no! Basta! E’ disgustoso! (Va verso sinistra) Proprio col mio più caro amico!...

LEONTINE ‑   (Con le lacrime in gola) Oh, cos'è rimasto di quello che fu? lo adesso non sarei qui se...

MORICET ‑    (Perdendo la pazienza e avvicinandosi a lei) Ma per favore, smettiamola di parlare sempre di suo marito!... 0, se proprio non riesce a levarselo dalla testa, che questo le serva almeno per vederlo com'è diventa­to adesso.

LEONTINE ‑   (Passa a sinistra) No, non mi parli di queste cose!

MORICET ‑    Voglio parlarne, invece, perché, da allora, il suo comporta­mento è stato indegno! Ma non ci pensa che forse, in questo preciso istan­te, lui sta facendo ad un'altra tutti quei giuramenti che non ha mantenuto con lei?

LEONTINE ‑   (Stravolta da questo pensiero) E’ vero! Lurido porco!

MORICET ‑    E lei ha ancora degli scrupoli? Eh, no!

LEONTINE ‑   (Rabbiosa) No! Basta con gli scrupoli!

MORICET ‑    Ha una concubina!

LEONTINE ‑   (Passandogli le braccia intorno al collo) Ebbene anch'io ho un conc... amante

MORICET ‑    Certo! Non pensi che quell'infedele la sta baciando così? (La bacia) E che la stringe fra le braccia... così!...

LEONTINE ‑   (Si rannicchia rabbiosamente contro di lui) Stringa! Stringa!

MORICET ‑    (L'abbraccia) Lo sto facendo!... E la ribacia!...

LEONTINE ‑   Ribaci! Ribaci!

MORICET ‑    Ribaci, ribaci ... (La bacia) Se questa non è una cosa indegna!...

TUTTI E DUE -  (Con indignazione, l'uno simulata, l'altra vera) Che orrore!

MORICET ‑    (D'un tratto) E sai una cosa? Adesso è lei che restituisce i baci a lui.

LEONTINE ‑   Non me lo dica!

MORICET ‑    Te lo dico!

LEONTINE ‑   (Al colmo della disperazione) Davvero lei lo bacia? E allora tieni, tieni, tieni... (Bacia        Moricet per quanto le è possibile).

MORICET ‑    (Con trasporto) Ah! Il mio regno per un cavallo! (Oppure può intonare epicamente: "Allons enfants de la patrie").

LEONTINE ‑   (Cade seduta vicino al tavolo) Ah, soffoco, ho sete!

MORICET ‑                (Divora la scena a grandi falcate, compreso del fatto che lei possa aver sete) Ella aveva sete !... Ella aveva sete!... (A Leontine) Cos'è che vuoi da bere?

LEONTINE ‑   (Prende un bicchiere che lui le offre) Qualunque cosa... champagne!

MORICET ‑    (Guarda sul tavolo affannato e non vede lo champagne) Per­fetto! Champagne! E dov'è lo champagne? Non c'è lo champagne! La vec­chia s'è dimenticata lo champagne! (Traversa la scena a passi da gigante e va a suonare il campanello) Ma dove ce l'ha la testa?

LEONTINE ‑   E tu non hai sete?

MORICET ‑    (Torna verso di lei e l’abbraccia con passione. Proprio die­tro la sedia dove è seduta Leontine e tutto addossato su di lei, guancia con­tro guancia, nella posizione dell'innamorato che mormora parole d'amore all'orecchio della sua bella) lo no. Ho sete solo di te! Ho sete dei tuo amo­re. (Declama) «Ebbro dei tuo sorriso, di tua beltà che fugge / il mio amore infinito mi divora e mi strugge».

LEONTINE ‑   (Con gli occhi socchiusi, gli circonda la testa col suo braccio sinistro, così da incorniciargli il volto) Oh, si, dei versi... Ancora, verseggia ancora, mio poeta!...

MORICET ‑    (C.s.) «Sotto il tuo sguardo acceso, mi sento immantinenti friggere tutto il corpo di voluttade ardente! ».

LEONTINE ‑   (Stregata dalla poesia) Ancora! E poi? E poi?

MORICET ‑    (Come scusandosi) Ho fatto solo questi quattro versi, per ora...

LEONTINE ‑   (Estasiata) Ah, quando mi parli in versi, sento che non posso resisterti.

MORICET ‑    (Cade in ginocchio) Ella non poteva... Ella non poteva resi­stergli! (Per la gioia, si avvolge le testa con le mani di Leontine che lei te­neva aperte sulle ginocchia. Bussano alla porta. trasaliscono entrambi. Leontine allontana Moricet e va verso destra).

MORICET ‑    Chi è?

LATORRE ‑    (Da fuori) Sono io. La contessa Latorre.

MORICET ‑    (Rassicurandola) E’ la portiera. (Rialza la fiamma della lam­pada e va ad aprire) Prego (Leontine è vicina al caminetto).

Scena quinta ‑ Gli stessi, Latorre

MORICET ‑    E allora, contessa? Dove ce l'ha la testa? Mi prepara la cena senza champagne?

LATORRE ‑    (Naturalissima) Ma caro signore, a me lo champagne fa male allo stomaco...

MORICET ‑    (Viene avanti) Ah, beh, allora, se la mettiamo sul piano della salute... Si sono mai viste al mondo, secondo lei, delle effusioni al Bor­deaux?

LATORRE ‑    Al mio domatore bastava la birra! Ma se il signore vuole lo champagne, ce ne sono due bottiglie sull'ultimo ripiano della credenza, nel­la carriera accanto. Vado (Si avvia)

MORICET ‑    No, lasci stare! E’ troppo alto per lei. Faccio prima a prender­melo da me. Tenga compagnia alla signora.

LATORRE ‑    (Oltre il divano) Sì, signore.

MORICET ‑    (Andando) Ebbro del tuo sorriso, di tua beltà che fugge... (Lancia un bacio a Leontine ed esce a destra, in secondo piano. Leontine siede sul divano).

Scena sesta ‑ LATORRE, Leontine

LATORRE ‑    (Lo guarda uscire) Eproprio un uomo come si deve, quel Moricet.

LEONTINE ‑   Lei trova?

LATORRE ‑    (Viene avanti, tra il tavolo e il divano) Certo. Capisco che con un uomo così una bella donna del bel mondo possa concedersi un ca­priccio.

LEONTINE ‑   (Altera) Di chi sta parlando, scusi?

LATORRE ‑    (Prontamente) No, parlavo in generale... Se preferisce, al­ludevo a me stessa. A me che, un giorno, ebbi il grande torto di privilegiare un uomo che non era dei mio rango.

LEONTINE ‑   Davvero?

LATORRE ‑    (Con un sospiro d'amarezza) La qual cosa mi è costata la mia posizione sociale, signora mia! Guardi come sono ridotta!

LEONTINE ‑   Povera contessa. Ma che faceva quell'uomo?

LATORRE ‑    (Con ammirazione) Il domatore al circo Fernando!

LEONTINE ‑   (Con ripugnanza mal dissimulata) E’ mai possibile? Un do­matore?

LATORRE ‑    Ma quant'era bello! Non dimenticherò mai la prima volta che l'ho visto. Ero in poltrona di prima fila con mio marito. Mmmmmnìhh! Che torace superbo!

LATORRE ‑    Suomarito?

LATORRE ‑    Non scherziamo, per favore. Il suo era rientrante. No, il domatore!... Che maschio! Avrebbe dovuto vederlo strapazzare le sue bestie feroci!... Ah, che bestia anche lui!... mentre lo guardavo, pensavo, tutta sconvolta: "chissà come le brutalizza le donne!".

LEONTINE ‑   (Si alza e si allontana a sinistra) Ma che orrore! Se un uomo mi facesse una cosa simile, io...

LATORRE ‑    (Taglia corto con la perentorietà di chi se ne intende) Non parli mai senza sapere, signora! Quindici giorni dopo, il domatore aveva domato anche la bestia che ho nel petto e mi riceveva segretamente in una garconniere elegante e profumata come questa.

LEONTINE ‑   Se la passava bene il suo domatore.

LATORRE -    (Con una smorfia leggermente ironica) Ero io che pagavo!

LEONTINE ‑   Ah?! Bene! (Si siede sullo sgabello del pianoforte).

LATORRE -    Signora mia, non vada mai in giuggiole per un domatore del circo Fernando.

LATORRE ‑    Neanche del circo di Mosca (Sfoglia uno spartito di musi­ca aperto sul leggio del piano. Un silenzio. Leontine comincia a leggere a prima vista il brano musicale).

LATORRE ‑    (Dopo averla ascoltata un po') Brava!... Molto brava!... Piano in questo passaggio... (Come scusandosi) Rubinstein, qui, va in sordina.

LEONTINE ‑   (Si ferma e la guarda) Lei conosce Rubistein?

LATORRE ‑    (Con una punta di vanità) Abbiamo suonato spesso in­sieme.

LEONTINE ‑   (Stupita) Quando?

LATORRE ‑    Prima della caduta!

LEONTINE ‑   Ah, capisco.

LATORRE ‑    (Amareggiata) Devo dire che da quando faccio la portiera, il signor Rubinstein non ha più  messo piede in casa mia! (Leontine s'inchina leggermente come per fare le sue condoglianze, poi riprende a strimpellare a prima vista il brano musicale, cosa che sembra troppo penosa per le orec­chie di LATORRE) No. Scusi tanto ma il pezzo è a quattro mani. Permette?

LEONTINE ‑   (Sposta lo sgabello per farle posto) Con piacere, contessa.

LATORRE ‑    Grazie mille, signora. (Ha preso una sedia e si piazza al pianoforte, dalla parte dei toni bassi e si stringe gli occhiali sul naso) Pronti. Due battute a vuoto.

LEONTINE ‑   (Ripetendo) Due battute a vuoto.

TUTTE E DUE‑ (Contando insieme) Un, due, tre, quattro; Un, due, tre, quattro (Attaccano il brano a quattro mani).

Scena settima ‑ Gli stessi, Moricet

MORICET ‑    (Arriva con due bottiglie di champagne) Eccoho trovato lo... (Si blocca stupefatto) Leontine al piano con la portiera! (A parte) Non c'è più religione! (Alle due donne) Ma cosa fate?

LEONTINE ‑   (Senza smettere di suonare) Non vede? Stiamo suonando a quattro mani (LATORRE, per accentuare il ritmo, si mette a cantare la me­lodia del brano, continuando a suonare con Leontine).

MORICET ‑    (Le contempla ironico. A parte) Che quadretto di maniera! (Ad alta voce) Complimenti!... Contessa?... Senta... (Vedendo che la portie­ra continua a suonare senza rispondergli, sbatte sul tavolo le due bottiglie) Contessa! Dica contessa!...

LATORRE ‑    (Seguita a cantare, mezza voltata verso di lui, senza la­sciare la tastiera) La, la, la, la, la, la, dicaaaa?

MORICET ‑    (Scimmiottandola) Dicaaaaa? Ho trovato lo champagne. Ma dov'è il tira‑bouchon?

LATORRE ‑    (Gli risponde al di sopra della propria spalla, come a un seccatore) Nel cassetto, sotto i tovaglioli! (Si rimette a suonare).

MORICET ‑                (Sarcastico) Ah, va bene. E scusi il disturbo, sa? (Si avvia ver­so la camera a destra).

LATORRE ‑    (S'accorge della sua indelicatezza, si alza prontamente e va incontro a Moricet con la sedia in mano) Oh, mi scusi, glielo vado a prendere.

MORICET ‑    No, no, sarei desolato d'interromperla. Continui, continui, fac­cio da me! (Esce di nuovo dalla porta di destra, in secondo piano).

LATORRE ‑    (Con la sedia in mano) Grazie mille, signore, grazie mille! (A Leontine) Continuiamo?

LEONTINE ‑   No, è troppo difficile. (Rigirandosi sullo sgabello e, dopo un momento di silenzio, strimpellando leggermente sulla tastiera con la de­stra, si rivolge soprappensiero a LATORRE che sta rimettendo la sedia al suo posto, alla destra del tavolo) E’ tanto tempo, contessa, che ha avuto quella storia col domatore?

LATORRE –   Il giorno dell'Immacolata Concezione scocca il ven­tennale.

LEONTINE ‑   (Sempre seduta, con la schiena rivolta al piano) Per lei dev'essere stato un vero choc essere sorpresa in quella situazione.

LATORRE ‑    Non me ne parli, guardi... Ma la cosa più idiota è stata la banalità con cui mi sono lasciata intrappolare.

LEONTINE ‑   (Sorridendo) Davvero?

LATORRE ‑    (Si avvicina a Leontine) La finta partenza, signora. Il mari­to che dice di andare a caccia!

LEONTINE ‑   Eeeeh???

LATORRE ‑    Un trucchetto dei tempi di Noè.

LEONTINE ‑   (Con riso acre) A caccia?! Anche suo marito? Ah, sono vera­mente tutti uguali!

LATORRE ‑    (Viene avanti) Non c'è bisogno che aggiunga che a caccia non c'è andato affatto.

LEONTINE ‑   Ma certo! Era un pretesto per andare dall'amante.

LATORRE ‑    Ma no, che dice signora... quando un marito deve andare dall'amante dice che va al circolo: la prassi è questa. Ma quando dice che va a caccia...

LEONTINE ‑   Non significa che ha un amante?

LATORRE ‑    No. Significa che sospetta di sua moglie e che ha l'inten­zione di tornare per pizzicarla.

LEONTINE ‑   (Sobbalza) Ah, mio Dio!

LATORRE -    S i sente male?

LEONTINE ‑   (Si alza di scatto e viene in ribalta all'estrema sinistra) Ah, mio Dio! Non avevo considerato la cosa sotto questo aspetto! (A Latorre) Però se un marito ha usato questo pretesto, dicendo ogni volta che anda­va a caccia...

LATORRE ‑    In questo caso si deve arguire che le sue precedenti inchie­ste sono fallite e che ci riprova.

LEONTINE ‑   No!!! E’ spaventoso! E io che credevo!... (Passa velocemente davanti a Latorre e raggiunge la porta dalla quale è uscito Moricet: l'a­pre e chiama) Moricet! Moricet!

LATORRE ‑    (Meravigliatissima,va verso sinistra) Ma che le prende?

LEONTINE ‑   (Chiamando) Andiamo, Moricet, si sbrighi! (Torna sui suoi passi, fino a fermarsi davanti al divano).

Scena ottava ‑ Gli stessi, Moricet

MORICET ‑    (Ha in mano un tira‑bouchon. Aria gioviale) Ehilàaaaa! Che succede?

LEONTINE ‑   Cappello e mantello, presto!

MORICET ‑    (Basito) Eh?

LEONTINE ‑   Non voglio restare in questo posto un secondo di più.

MORICET ‑    (Le va incontro) Ma Leontine, che succede?

LEONTINE ‑   Succede che lei ha abusato della mia fiducia, facendomi cre­dere delle cose senza fondamento.

MORICET ‑    lo?!

LEONTINE ‑   Ma grazie a Dio, sono ancora fedele a mio marito.

MORICET ‑    Senti, senti! Questa è bella!

LEONTINE ‑   Sissignore! Così come lui è fedele a me, povero tesoro!

MORICET ‑    Beh, no, è veramente troppo! Ma come! Dice che va a caccia e invece se ne va dalla concubina!...

LEONTINE ‑   (Si mette il cappello) Ma non faccia l'ingenuo! Quando si va dall'amante, si dice che si va al circolo, non a caccia. La prassi è questa.

MORICET ‑    Ma che sta dicendo?... Il circolo, la caccia?...

LEONTINE ‑   Certo! La caccia significa che il marito sospetta, fa credere a sua moglie che è partito e invece torna e la pizzica!

MORICET ‑    Ma chi gliel'ha raccontato?

LEONTINE ‑   (Va allo specchio del camino per controllare se si è messa bene il cappello) Chieda alla contessa: glielo confermerà!

MORICET ‑    Eh? (Si volta feroce verso Latorre e la fissa. La contessa, avendo fiutato l'andazzo, stava già tentando di raggiungere l'uscita, co­steggiando, piano piano, la parete dov'è il pianoforte; come incontra lo sguardo minaccioso di Moricet, volta la testa dall'altra parte, imbarazzata da morire. Un silenzio) E lei che le ha raccontato queste storie?

LATORRE ‑    (Balbettando) lo, veramente, le ho detto che... qualche vol­ta... anzi spesso...

MORICET ‑    (Furioso) Ma insomma, di che s'impiccia lei?! Chi le ha chie­sto la sua opinione, eh?

LATORRE ‑    Oh, signore, se avessi potuto prevedere...

MORICET ‑    (Scoppia. Alza la mano come volesse picchiarla) Attenta, La­torre, sa?

LEONTINE ‑   (Al caminetto) Ma lasci in pace la contessa. Lei non centra per niente... Sono io che me ne voglio andare, chiaro? Me ne voglio andare, punto e basta! (Prende il mantello, sul divano, e comincia ad indossarlo).

MORICET ‑    Mai e poi mai! (Alla portiera) Via, via, lei, se ne vada! Sparisca!

LATORRE ‑    (Felice di andarsene) Sì, signor Moricet! Se hanno biso­gno, quel campanello arriva fino... Notte! (Esce).

Scena nona ‑ Gli stessi meno Latorre

MORICET ‑    (Sbatte la porta dietro a Latorre) Glielo lego intorno al collo il campanello!... E’ invadente come una portiera, questa contessa!..(a Leontine) Leontine, via, non farà sul serio?!

LEONTINE ‑   (Col mantello sulle spalle e con aria di sfida) No? Adesso lo vedrà se faccio sul serio!

MORICET ‑    (Costernato, non sa a che santo votarsi) Ma Santa Madonna di Lourdes, potrò sapere che è successo? La lascio calma e tranquilla e...

LEONTINE ‑   (Con le braccia incrociate, tamburella per terra col piede destro, evidenziando, così, la fretta di andarsene) Sììììì?

MORICET ‑    Dico, calma...

LEONTINE ‑   (C.s.) Sììììì?

MORICET ‑    Predisposta a ...

LEONTINE ‑   (C.s.) Sììììì? ... (Si corregge e protesta tutta la dignità del suo essere donna) Nooooo!

MORICET ‑    Ma come! Vado per il tira‑bouchon e quando tomo: patatrac! Dal giomo alla notte!... Lei scalpita per andarsene...

LEONTINE ‑   (C.s.) Certo!

MORICET -    Ci saranno delle ragioni?

LEONTINE ‑   No! Nessuna ragione! Me ne voglio andare e basta! Sono li­bera, suppongo! (Si avvia verso l'uscita).

MORICET ‑    (La ferma prontamente e la fa tornare indietro, davanti al di­vano) Libera un corno! lo ho la sua parola! E la parola è sacra, è...

LEONTINE ‑   Capirà, per quello che me ne importa... (Ha aggirato il diva­no sulla destra, e si slancia verso l'uscita).

MORICET ‑    (Indovinando la sua intenzione, è schizzato oltre il divano, ag­girandolo sulla sinistra e può così sbarrare il passo a Leontine e farla tor­nare indietro) Del resto, lei mi ha affidato una missione: quella di vendicar­la. E io onorerò il mio ministero fino in fondo!

LEONTINE ‑   Macché ministero! Non c'è ministero che tenga!

MORICET ‑    Al governo, forse! Ma qui è una cosa seria!

LEONTINE ‑   E allora le chiedo le dimissioni dal ministero! (Raggiunge di corsa l'estrema sinistra e cerca di raggiungere l'uscita, passando tra il pia­no e il tavolo).

MORICET ‑    (E’ subito corso per trovarsi sul suo passaggio, tra il piano e il tavolo) Leontine!... Andiamo, Leontine, questa è crudeltà! Io l'amo, lo sa!...

LEONTINE ‑   Ah!

MORICET ‑    «L'amo! L'amo! L'amo!» (Declama, estrema sua risorsa) «Ebbro del tuo sorriso, di tua beltà che fugge... » (Tentativo di fuga di Leontine, rintuzzato da Moricet) Ma dove fugge?!

LEONTINE ‑   No, amico mio, niente da fare...

MORICET ‑    (Sconcertato) Nooo?

LEONTINE ‑   Sono quattro versi in tutto, conosco! (Va verso destra).

MORICET ‑    (Avanza tra piano e tavolo e corre dietro a Leontine) E aveva il coraggio di dirmi che non sa resistermi quando le parlo in versi!

LEONTINE ‑   Ho detto questo? E invece adesso posso. Tant'è vero che me ne vado... (Riesce ad aggirarlo e si slancia verso la porta).

MORICET ‑    (La riacciuffa al volo per il polso destro, con la sua mano si­nistra e la fa piroettare, così da costringerla a piombare violentemente sul divano. Energicamente) No! Lei resta qui!

LEONTINE ‑   (Seduta sul divano) Mi fa violenza! (Si rialza furiosa).

MORICET ‑    (Risoluto) Ebbene sì, le faccio violenza, se è necessario!

LEONTINE ‑   (Esasperata, si da una pacca sul cappello, per conficcarselo bene sulla testa) Ah!!!

MORICET ‑    Non dimentichi che, entrando in questa casa, lei mi ha affidato di fatto la responsabilità della sua reputazione: ebbene, io la difenderò fino all'ultimo respiro, anche contro se stessa!

LEONTINE ‑   Contro me stessa?

MORICET ‑    Ma certo! Per la sua servitù, per tutti, lei è in campagna, dalla sua madrina! Ebbene ci deve rimanere! (Si batte il peno) Dalla sua madrina!

LEONTINE ‑   (Categorica) Uno!... Due!... Non mi lascia proprio andare?

MORICET ‑    No!

LEONTINE ‑   (Si toglie il mantello) Va bene! Passerò la notte sul divano. (Poggia il mantello sulla destra del divano e si siede rabbiosa).

MORICET ‑    Ma bene! Benone!... Ed io su questa sedia! (Siede, furioso an­che lui, sulla sedia a destra del tavolo).

LEONTINE ‑   Come vuole! (Sono seduti tutti e due e si voltano, quasi, le spalle. Lei, per calmare i nervi; si gira e rigira rabbiosamente un cuscino fra le mani e, ogni tanto, lo imbottisce con un pugno. Lui biascica delle pa­role incomprensibili e, avendo appoggiato il gomito sul tavolo, giocherella, senza accorgersene, con la mano destra, coi ravanelli che sono nel piatto. Si avvede poi che si è bagnato la mano con l'acqua del piatto, e si asciuga rabbiosamente con la tovaglia).

MORICET ‑    Questa me la ricorderò finché campo!

LEONTINE ‑   (Sempre voltandogli la schiena) E io anche dopo morta!

MORICET ‑    Una notte d'amore, ognuno seduto al posto suo!

LEONTINE ‑   (Senza voltarsi, parla al di sopra della spalla) Non si distur­bi per me, prego. Ha il suo letto, si corichi!

MORICET ‑    Magari! E lei?

LEONTINE ‑   (C.s.) Oh, io andrò nella stanza accanto. Ci sarà pure una poltrona, una sdraio...

MORICET ‑    (Si alza) No, non lo permetto. E’ lei che dormirà qui.

LEONTINE ‑   (Si alza) lo dormire nel suo letto? Non sia mai!

MORICET ‑    Senza di me, s'intende.

LEONTINE ‑   Tanto, con o senza di lei il risultato sarebbe lo stesso (Va al caminetto).

MORICET ‑    (Con un cenno del capo) Dipende dal punto di vista.

LEONTINE ‑   (Al caminetto, sfregando un fiammifero che non vuole accen­dersi e gettandolo) No, no. Mi sistemerò di là sulla sedia a sdraio e dor­mirò cosi, oppure non dormirò affatto! Sarà la mia punizione.

MORICET ‑    E tutto questo per quella portieraccia!

LEONTINE ‑   (E’ finalmente riuscita ad accendere un fiammifero e accen­de, con esso, il candeliere sul caminetto) Mi darebbe una coperta o qualco­sa del genere? (Prende il candeliere e si avvia verso la porta di destra).

MORICET ‑    (Si avvicina al letto) Ci mancherebbe... (Getta la sopracoper­ta ai piedi del letto. Dopo una piccola pausa, di pessimo umore) Comunque se ne pentirà, sa?

LEONTINE ‑   (Altezzosa) Di che?

MORICET ‑    Prima di tutto là dentro fa un freddo cane!

LEONTINE ‑   (Prende il mantello sul divano) Accenderò il fuoco.

MORICET ‑    (Furioso) Oh, quella portiera!!!

LEONTINE ‑   Ah, non ci casco più! Ma siamo matti? Si sta tanto bene a ca­sa propria! (Entra decisa nella camera a destra e chiude la porta).

Scena decima ‑ Moricet, poi LATORRE, poi Leontine

MORICET ‑    (Tira via la coperta di lana bianca e la trascina, prendendola per un lembo, fino alla ribalta, anzi sta anche per cadere, poiché i suoi pie­di incespicano nella coperta. A parte, mentre piega la coperta su se stessa per poterla tenere tutta tra le mani) Bello! Bello! Ma che scena penosa! Prima promette e poi... Eh, no! lo sono buono e caro ma insomma, se deve fare la preziosa!... Ce ne sono tante altre!... (Si avvicina al divano, poi si ri­volta, come a voler consolare la delusione) Perché, in fondo, non è nemme­no tanto bella questa qua!... Sì, stai fresco che mi ricapita un'altra volta. (Bussano alla porta) Chi è? (Ripone la coperta sulla spalliera del divano e va ad aprire).

LATORRE ‑    (Entra a metà, molto imbarazzata) Sono io, signor Mo­ricet...

MORICET ‑    (Tenendo la porta) Ancora lei? Eh, no, eh? Via, sciò, sciò! Ne ho abbastanza di lei! (Le fa fare un mezzo giro e sta per chiuderle la porla dietro le spalle).

LATORRE ‑    (Torna alla carica) Ma signore, mi manda il suo vicino, l'inquilino di fronte...

MORICET ‑    Me ne infischio. Non lo conosco! (Le fa fare un mezzo giro, volendo assolutamente mandarla via).

LATORRE‑    (C.s.) Questo lo so!... Il guaio è che sua nipote ha una crisi di nervi e lui sa che lei è medico...

MORICET ‑    Ebbene, gli dica che sono un medico notturno. E ora se ne va­da, chiaro? Non voglio che mi crei altre complicazioni (La spinge fuori).

LATORRE ‑    (Andandosene) Scusi tanto, signore e grazie. Glielo dirò.

MORICET ‑    (Dopo aver chiuso seccamente la porla dietro di lei, dà un gi­ro di chiave e siede sulla sedia a destra del tavolo per sbottonarsi gli stiva­letti, mettendo un piede dopo l'altro sulla sedia) Cose da pazzi! Bella fac­cia tosta, il dirimpettaio! Me ne infischio di sua nipote e delle sue crisi. (Leontine entra e sembra cercare qualcosa. Continuando a sbottonarsi gli stivaletti) Cos'è che cerca?

LEONTINE ‑   (Seccamente, andando diritta verso il caminetto) Fiammiferi per accendere il fuoco.

MORICET ‑    (C.s.) Sul caminetto.

LEONTINE ‑   Li vedo, non sono mica cieca (Prende la scatola e torna in camera dov'era prima).

MORICET ‑    (La guarda uscire sconcertato, poi viene avanti, sulla sinistra, con un amaro sogghigno) Mamma, che carattere!... E quel povero marito costretto a sopportarla?... Come lo compiango, pover'uomo! (Bussano alla porta) Ancora!... Ma chi è?

DUCHOTEL ‑ (Da fuori) Sono il suo vicino...

MORICET ‑    Beh, ma è proprio seccante! Adesso lo sistemo io! (Raggiunge la porta d'ingresso).

Scena undicesima ‑ Moricet, Duchotel

MORICET ‑    (Apre bruscamente la porta) Allora? Si può sapere che vuole da me?

DUCHOTEL ‑ (Senza vedere Moricet) Per favore, dottore...

MORICET ‑    (A parte) Duchotel! (Ad alta voce) Non si entra! (Dicendo ciò, chiude deciso la porta ma Duchotel è già quasi entrato e quindi resta in­castrato, fuori col corpo e dentro col braccio).

DUCHOTEL ‑             (Cercando di liberare il braccio) Ohiohiohiohio!... Ahi, il braccio!

MORICET ‑    (A parte) E sua moglie è di là! (S'addossa contro la porta).

DUCHOTEL ‑ (Dietro la porta) Mi sta spezzando il braccio!...

MORICET ‑    (C.s.) Le dico che qui non si entra!...

DUCHOTEL ‑ (Sferra un pesante spintone alla porta che catapulta Mo­ricet quasi in mezzo alla camera) Accidentaccio! La vuole smettere di spingere?

MORICET ‑    (Va a sbattere sul divano) Oooooh!

DUCHOTEL ‑             Moricet!!!

MORICET ‑    (Ostentando sorpresa) Duchotel!.. Ah, ah, ah... Eri tu!... Ma che divertente!...

DUCHOTEL ‑             (Si strofina il braccio dolorante) Ma allora eri tu il nuovo inquilino?!...

MORICET ‑    (Si sforza di assumere un'aria disinvolta) Come vedi. Perché? Non te l'avevo detto?

DUCHOTEL ‑ No!

MORICET ‑    No?... Sarà perché l'ho affittato stasera.

DUCHOTEL ‑             Aaah! Ma allora il medico eri tu?!

MORICET ‑    (Sforzandosi di ridere) Già, già, il... medico ero io... Ah, ah... Ero io. (A parte) Basta che Leontine...

DUCHOTEL ‑ Ma che hai?

MORICET ‑    (Più disinvolto che può) Io? Niente, niente... (Si sente il rumo­re di una valvola di ventilazione di un caminetto che viene manovrata nella stanza accanto, che fa sussultare Moricet. A parte) E ci voleva! Sta aprendo lo sfiatatoio del caminetto!

DUCHOTEL ‑             (Ha sentito. Indica la camera dove si trova sua moglie) Chi c'è di là?

MORICET ‑    (Ostentatamente indifferente) No, niente!... Lo spazzacamino!

DUCHOTEL ‑             (Ironico) A quest'ora?

MORICET ‑    (C.s.) Beh! E’ uno spazzacamino... notturno... Oggigiorno, lo spazzacamino, si usa di notte! (Corre alla porta di destra e chiude il cate­naccio. A parte) Uff !... Così, almeno, non esce più.

DUCHOTEL ‑             (Sempre fermo al suo posto. Tono canzonatorio) E perché hai messo il catenaccio?

MORICET ‑    (Al colmo dello smarrimento) Per la... fuliggine... Così non può più entrare.

DUCHOTEL ‑             Per favore, non raccontarmi frottole!... Confessa che sei in dolce compagnia.

MORICET ‑    lo?

DUCHOTEL ‑             Che c'è di male? Non ti vergognerai mica, no? Dei resto ba­sta vedere che la tavola è apparecchiata per due... Non sarà che hai invitato a cena lo spazzacamino, no?

MORICET ‑    Ma no, la cena era compresa nell'affitto.

DUCHOTEL ‑             Caspita! Non manca proprio niente, eh? Andiamo, pianta­la... Del resto, me l'avevano detto che avevi una relazione con una donna del bel mondo.

MORICET ‑    (Spaventato) Chi? Chi te l'ha detto?

DUCHOTEL ‑             La contessa portiera.

MORICET ‑    (Al colmo dello spavento) Oh, quella portieraccia!... (Cambio improvviso di tono) Ebbene si, lo ammetto, sono in compagnia.

DUCHOTEL ‑             Ah, ah!... Lo vedi?... Ho un fiuto io... (Lo prende per le braccia) E chi è la fortunata?

MORICET ‑    Un po' di discrezione, amico mio...

DUCHOTEL ‑             (Bonaccione) E via, proprio con me?

MORICET ‑    Toh!... Specie con te.

DUCHOTEL ‑             Hai paura che lo dica in giro?

MORICET ‑    No! Tu non lo diresti mai...

DUCHOTEL ‑             E allora? Dimmi, dimmi.

MORICET ‑    E’ ...

DUCHOTEL ‑ E’?...

MORICET ‑    (Non gli viene in mente nessun nome) Uffali!... (Con sussiego) E’ la signora Cassagne.

DUCHOTEL ‑             (Lascia le braccia di Moricet e, ridendo, gli dà una spinta­rella) Ah!... Burlone!

MORICET ‑    (Stupito, ma volendo sostenere l'affermazione) Parola!

DUCHOTEL ‑             (Alzando le spalle) Non mi dire!... (Dopo una pausetta che gli serve per preparare l'effetto) La signora Cassagne è di là con me.

MORICET ‑    Eeeeh?! (Indietreggia fin'oltre il divano e, per dissimulare il suo imbarazzo, stende meccanicamente la coperta sulla spalliera, ridendo di un riso forzato che gli dà un aria completamente stupida).

DUCHOTEL ‑             Insomma, se non ti fidi di me, fa come ti pare! Intanto mi fa molto piacere che il medico sia tu, perciò, vieni con me (Prende per mano Moricet, per portarselo via).

MORICET ‑    Dove mi porti? 

DUCHOTEL ‑             Ma dalla tua vicina che ha avuto un attacco isterico.

MORICET ‑    Dalla signora Cassagne? (A parte) E Leontine? come faccio a lasciarla lì dentro?

DUCHOTEL ‑             Vieni, vieni, è proprio qui di fronte... lo scendo un attimo dalla portiera per mandarla in farmacia e ti raggiungo (Nel momento in cui Duchotel si muove per uscire, si vede il pomello della porta, dietro la quale è chiusa Leontine, girare, prima lentamente, poi furiosamente e tutta la porta scuotersi rabbiosamente. Duchotel indietreggia).

MORICET ‑    (Agitato) E ti pareva?!... Visto? Si muove la porta, si muove...

DUCHOTEL ‑             E’ il tuo spazzacamino che vuole la libertà!

MORICET ‑    (Imbarazzatissimo) Sì, sì ma non fa niente! (La porta viene scossa con maggiore violenza e tempestata di pugni. A parte) E adesso si mette a gridare e lui riconosce la sua voce! (Ora i pugni si intensificano e vengono accompagnati da invocazioni) «Moricet! Moricet». (Moricet, scon­volto, si precipita sulla porta e, per coprire la voce di Leontine, canta a squarciagola l'aria del Faust: "Angeli puri ... ... con la speranza di far tace­re così Leontine. Canta) «Angeli puri, angeli radiosi, / portate l'alma mia in seno al cielo».

DUCHOTEL ‑ Ma ti piglia, spesso?

MORICET -    Mi piace tanto quest'aria... (Canta ancora a squarciagola, mentre continuano le grida di Leontine e la porta non smette di agitarsi) «Giusto Dio, a te io m'abbandono».

DUCHOTEL ‑ (Canta anche lui) «Oh, Dio buono, io sono tuo, perdono!».

MORICET ‑    (Andandogli vicino) Bravo, canta; canta che ti passa...

TUTTI E DUE ‑ (L'uno con un braccio sulla spalla dell'altro, faccia al pubblico, cantano all'unisono, mentre la porta continua a scuotersi) «An­geli puri, angeli radiosi... ».

DUCHOTEL ‑ (Mentre Moricet continua a cantare, ora in sordina, ora a piena voce, a seconda della necessità di coprire le grida intermittenti di Leontine) Eh, ma mi stai seccando, sai! Anzi mi hai proprio rotto con i tuoi canti. lo corro dalla portiera, tu vai dalla signora Cassagne! (Grida perché Moricet sta seguitando a cantare) Hai capito quello che ti ho detto? (Mori­cet, sempre cantando, fa segno dì sì) Allora, ci vediamo dopo! (Esce).

MORICET ‑    (Chiude precipitosamente la porta dietro a Duchotel e si ap­poggia allo stipite) Oddiooddiooddiooddioddio!... Che disastro!... (La por­ta di destra viene sempre scossa con furia).

LEONTINE ‑   (Da fuori. Feroce) Apra!... Apra la porta!!!

MORICET ‑    Ecco, ecco, subito! (Va ad aprirla).

Scena dodicesima ‑ Moricet, Leontine

LEONTINE ‑   (Entrando, fuori di sé) Ma insomma! Che razza di scherzi so­no questi? Che le è venuto in mente di mettere il catenaccio e di urlare in quel modo?

MORICET ‑    Come urlare! Stavo cantando il Faust! (Cambia tono. Agitatis­simo) Leontine, io mi allontano un momento: in nome del Cielo non si muova da qui! Non si faccia vedere! Ne va del suo onore!

LEONTINE ‑   Ma che sta dicendo?

MORICET ‑    Non posso spiegarle altro. Se bussano, non apra a nessuno. Va­do e tomo! (Esce di corsa dalla porta d'uscita a sinistra).

LEONTINE ‑   (Rimane di stucco. Poi si scuote) Beh, ma insomma che fa?! Se ne va?! (Corre alla porta di sinistra, l'apre e chiama) Moricet! Moricet! Ma guarda un po'! E’ diventato completamente matto! (Dimentica la porta aperta e traversa la scena, per andare nella camera a destra, dov'era pri­ma) Eh, no, caro mio!... Adesso io m'infilo il mantello e scendo dalla por­tiera a chiedere che sta succedendo!... Oh, che notte! Che notte!... (Esce e si chiude la porta dietro le spalle).

Scena tredicesima ‑ Leontine, poi Duchotel, poi Moricet

Appena Leontine è uscita, entra veloce Duchotel, con un flacone di sali e una boccetta di essenza di fiori d'arancio in mano.

DUCHOTEL ‑             Ecco i sali e l'essenza di fiori d'arancio. C'è tutto quello che serve. Chissà se Moricet... Sarà sicuramente ancora qui... (S'avvia verso la camera dove si trova Leontine, da dove arriva, in questo stesso istante, il rumore di una sedia che cade) Sì,si, è di là, è di là!... (Picchia alla porta di destra, senza aprirla) E allora, ci muoviamo? (Si avvia verso la porta d'u­scita a sinistra).

LEONTINE ‑   (Apre la porta) Ah, era ora che... (Riconosce suo marito che, camminando, le volta la schiena) Cielo! Mio marito!... (Agitatissima, si guarda convulsamente intorno, per vedere dove può nascondersi. Scorge sulla spalliera del divano la coperta di lana posata lì da Moricet e ha appe­na il tempo di afferrarla e di gettarsela sulla testa, in modo da essere completamente coperta).

 DUCHOTEL ‑            (Si volta proprio in questo momento e sobbalza nel vedere quella specie di fantasma) Ohè! (Una pausa) E questo coso che sarebbe? (Vedendo che Leontine‑fantasma tenta di defilarsi verso la camera di de­stra) Uheilà! E cammina pure!... (Mentre Leontine abbozza ancora qualche passo) Ma che bella idea, travestirsi da fantasma. (Il fantasma ora sta an­dando verso il camino) Signora fantasma, attenta a non bruciarsi! (Così av­vertita, Leontine indietreggia prontamente e finisce col trovarsi proprio da­vanti al divano. A parte) Ah, capito: dev'essere la signora che stava con Moricet! (Galante, al fantasma) Niente paura, signora fantasma! Rispetterò il suo incognito terreno e ultraterreno... (Leontine s'inchina, in segno di rin­graziamento) Ero venuto solo per sapere se il signor Moricet fosse ancora qui. (Leontine fa segno di no con la testa) Non c'è? E uscito? (Leontine fa segno di sì) Grazie, è quello che volevo sapere... (Un profondo saluto. Leontine risponde con una grande riverenza) Perdoni il disturbo e mi saluti il papà di AmIeto suo collega! (Nell'uscita si scontra con Moricet che entra all 'improvviso, tutto ansante) Ah, eccoti!

MORICET ‑    Ancora tu?

DUCHOTEL ‑ Eh beh? (Leontine crolla sul divano).

MORICET ‑    (Scorge Leontine con la coperta addosso. A parte) E lei sta qui davanti a lui!... (Si passa Duchotel sulla stia destra, così da trovarsi tra Leontine e lui),

DUCHOTEL ‑             Cosa ti prende ancora?

MORICET ‑    Niente, niente.

DUCHOTEL ‑ (Indicando Leontine) Ah, è per.. Sì, ci siamo presentati... (Ride).

MORICET ‑    (Sforzandosi di ridere tanto per darsi un contegno e indicando Leontine tanto per fare qualcosa) Sì?... Bene, bene...

DUCHOTEL ‑ (Cambia tono) Allora sei stato di là?

MORICET ‑    (Non c'è più con la testa) Di là? No! ... Ah, sì!... Sì!... Tutto fat­to: l'ho salassata!

DUCHOTEL ‑ Salassata? Ma non si salassa la gente per questa cose.

MORICET ‑    (Cercando di farlo andar via) Certo che no, lo so da me. Ma quando vai di fretta... Male non può fare, anzi c'è anche il caso che faccia bene... Va, va, ti aspetta (Lo spinge verso l'uscita).

DUCHOTEL ‑             (Con una certa resistenza) Vado, vado... ti capisco, sai, hai fretta di... (Nel momento di uscire, si sottrae alla spinta di Moricet e torna un po' in avanti) No, per dire... E’ affascinante la tua conquista!... Forse un po' troppo coperta.

MORICET ‑    Sì, è... un nuovo gioco.

DUCHOTEL ‑             (Falsa uscita) Meglio come si giocava una volta: a carte scoperte. Allora, salve... Biricchino fortunato!

MORICET ‑    (Gli apre la porta per affrettare la sua uscita) Salve, salve!

DUCHOTEL ‑ (Svicola di nuovo e torna in avanti Per fare un magnilo­quente saluto buffonesco a Leontine) Signora! (Leontine si alza tutta d'un pezzo e saluta. Duchotel torna allegramente verso l'uscita. Gaio a Moricet) Allora, che Dio te la mandi buona! (Esce).

MORICET ‑    Grazie (Vorrebbe chiudere la porta dietro di lui).

DUCHOTEL ‑             (Riappare) E... Mi raccomando... Di tanto in tanto, pensate a me, eh?...

MORICET ‑    Non mancheremo! (Duchotel se ne va ridendo. Moricet chiude la porta copi due giri di chiave e ci si appoggia con la schiena, distrutto).

Scena quattordicesima ‑ Moricet, Leontine

LEONTINE ‑   (Si sbarazza subito della coperta e piomba sul divano) Ah, che paura! Mi si piegano la gambe!

MORICET ‑    (Viene avanti) Ma che bella situazione, ma che bella!

LEONTINE ‑   (Arrotola meccanicamente, con aria accasciata, la coperta, facendo una specie di pila) E adesso? Penso che sia meglio andarcene, No?

MORICET ‑    Andarcene ? Mai al mondo!

LEONTINE ‑   Ma come? Secondo lei devo restare qui con mio marito a un passo di là?

MORICET ‑    Infatti! Se ce ne andassimo adesso potremmo incontrarlo! Mentre qui siamo al sicuro (Va a controllare la porta) La porta è chiusa a chiave a doppia mandata; metto la chiave sul comodino e qui non può en­trare più nessuno (Così dicendo, ha posato le chiavi sul comodino).

LEONTINE ‑   (Si solleva con sforzo e si trascina verso sinistra con la co­perta appallottolata fra le braccia) Ah, no! Tutto, fuorché un'altra paura come questa! (Lascia cadere la testa sulla coperta arrotolata, come fosse un cuscino).

MORICET ‑    Coraggio, il peggio, ormai è passato! Adesso, la cosa migliore da fare è cercare di dormire fino a domattina, quando se ne potrà tornare a casa senza rischi. Ma fino a quel momento dormiamo! (Va verso il letto).

LEONTINE ‑   (Annientata) Già... Come se fosse facile... (Si dirige verso la porta di destra).

MORICET ‑    Ci provi almeno. lo ci provo. Buonanotte (Si toglie la giacca e la depone sulla spalliera della poltroncina, ai piedi del letto).

LEONTINE ‑   (Seccamente) Buonanotte. (Uscendo rabbiosa) Questa non gliela perdonerò mai! (Entra in camera a destra, portandosi la coperta).

MORICET ‑    (Dopo l'uscita di lei, alza le spalle, seccato) Uffáh!... Ma va al diavolo...

LEONTINE ‑   (Ricompare) Che ha detto?

MORICET ‑    (Assumendo un'aria desolata) Eh?... Ho detto... Porco diavolo!

LEONTINE ‑   Sono d'accordo! (Esce a destra e si chiude la porta alle spalle).

Scena quindicesima ‑ Moricet, Leontine

MORICET ‑    Finalmente! (Si leva il gilet, si sbottona davanti le bretelle e le butta all'indietro) Ma che bella idea ho avuto di venire a cacciarmi in que­sto vespaio... (Accende la candela accanto al letto) Povera donna, però! Starà scomodissima, di là... Peggio per lei! (Posa la candela accesa sul ta­volinetto, va a spegnere la lampada e l'appoggia sul piano) Ah, non mi ci metto più con una signora della buona società. (Controlla la porta d'ingres­so) Questa è chiusa bene? Sì. (Si siede sulla poltroncina ai piedi del letto, si leva gli stivaletti e li getta, uno dopo l'altro, davanti a sé; si toglie i panta­loni e li posa sullo schienale della poltroncina, dove sono già giacca e gi­let. Fatto questo, sale sul letto e si ficca sotto le coperte che sistema con cu­ra, poi si rimette a sedere) Veramente non si direbbe che sono in dolce compagnia, io di qua, lei di là! Un modo nuovo di fare l'amore! Dormi, dormi, imbecille! (Soffia sulla candela. Buio) Sono sfinito! ... (Si caccia di nuovo sotto le coperte. Sbadiglia) Al diavolo le signore per bene! (Una pausa. Appare Leontine).

LEONTINE ‑   (Entra con il suo candeliere in mano e si dirige verso il divano) Ah, è già a letto... (sceglie un cuscino di quelli che sono sul divano).

MORICET ‑    (Mezzo sollevato su un fianco) Beh, vorrei vedere! Non ho di meglio da fare!...

LEONTINE ‑   (Palpa i cuscini) E quando mai rinuncerà alle sue comodità, lei?!... L'importante, per lei, è non avere fastidi, il resto non esiste...

MORICET ‑    (Si rimette a sedere) Ed è tornata per dirmi questa cosa?

LEONTINE ‑   (Secca) No! Per prendermi un cuscino da mettere sotto la testa.

MORICET ‑    L’hai trovato?

LEONTINE ‑   (Aspra, col cuscino sotto il braccio sinistro e il candeliere nella mano destra) Sì, l'ho trovato. (Gli si avvicina un po') Che importa se io passo la notte su una sdraio... Tanto il signore è sistemato bene...

MORICET ‑    (Mezzo addormentato. Supplice) Leontine, per favore...

LEONTINE ‑   ... il signore potrà dormire tranquillo, con la coscienza di aver fatto il suo dovere...

MORICET ‑    (Si ficca, irritato, sotto le coperte e le volta, ostentatamente, la schiena) Blà blà blà blà blà!...

LEONTINE ‑   (Continua imperterrita) C'è mancato poco che il signore ro­vinasse la reputazione di una donna onesta, di una sposa fedele! Perché, in fondo, senza quella benedetta coperta, la frittata era fatta!... E lei vorrebbe sostenere di essere un gentiluomo? Ma non scherziamo!... (Andando vicino al letto) Eh?!... Non oserà sostenere di essere un gentiluomo!... (Moricet s'è addormentato e russa superbamente) Dorme!!! Ooooh!!! (Sta per scara­ventargli il cuscino sulla testa ma si trattiene. Rientra in camera sua, indi­gnata, e si chiude, collerica mente, la porta dietro le spalle. Buio. Moricet dorme).

Scena sedicesima ‑ Moricet, Gontran

In questo momento si sente il rumore di una chiave che gira nella serratura della porta d'ingresso, la porta si apre piano piano e appare Gontran.

GONTRAN ‑   Accidenti che buio!... E io non ho fiammiferi!... (Avanza a ta­stoni fino all'estremità destra del tavolo e la sua mano finisce nel piatto di ravanelli. Scuote la mano bagnata per asciugarla, poi, sottovoce, rivolto verso il letto) Non avere paura, mia dolce Urbaine, sono io, Gontran. (A parte) Cara, non risponde... Dorme come un angioletto... (Torna verso la porta d'ingresso, tira fuori, visibilmente, un mazzo di chiavi dalla tasca, ri­chiude la porta a doppia mandata e si rimette in tasca il mazzo di chiavi, dicendo) Che bello avere le proprie chiavi: si può arrivare a qualsiasi ora! (viene avanti) Tesoro?... Sarà così contenta di vedermi... (Sente Moricet russare. Viene verso destra) Dorme, dorme... Questo è il respiro degli inno­centi... (Moricet russa più forte) Sì, però è un bel po' raffreddata, eh?... Beh, speriamo di non farle paura... Faccio così: la sveglio con un bacio: chi bacia non può far paura! (Si avvicina al letto. Moricet russa con foga rad­doppiata) Oh, quant'è raffreddata, poveretta!... (Bacia Moricet che rispon­de con un grugnito) Eche alito!... (Sale sul letto e si corica vicino a Mori­cet, abbracciandolo).

MORICET ‑    (Mezzo addormentato) Chi è?... Che è stato?

GONTRAN ‑   (Salta su) Un uomo!

MORICET ‑    (C.s.) Leontine, sei tu?... (Circonda col braccio il collo di Gontran).

GONTRAN ‑   (Terrorizzato) Mi lasci! (Gontran si dibatte. Lotta fra i due uomini, punteggiata da grida, cuscinate, colpi di coperta, botte. C'è un'enorme confusione, al colmo della quale Gontran finisce con lo scivolare nello spazio fra il letto e il muro).

MORICET ‑    (Zompetta fuori dal letto agitato e cerca, a tentoni, intorno a sé) Chi è là? C'è qualcuno qui dentro? Oh, santo Dio, dove sono i fiammi­feri? (Si infila convulsamente le pantofole e si precipita da Leontine) E Leontine? Potrebbe essere da Leontine (Va da lei).

LEONTINE ‑   (Da fuori) Aiuto! Chi è?

GONTRAN ‑   (Che, nel frattempo, si era ficcato sotto il letto, esce dal suo nascondiglio e si precipita verso l'armadio a muro a destra) Quello dev'essere il vecchio di Urbaine! (Sparisce nell'armadio a muro).

Scena diciassettesima ‑ Moricet, Leontine, Gontran, dentro l'armadio, poi Bridois

MORICET ‑    (Torna in scena seguito da Leontine. Sembrano due pazzi. Lei ha una candela accesa in mano) C'è un uomo, qui, c'è un uomo! Ma come glielo devo dire?

LEONTINE ‑   Ma dov'è?... Dov'è? (Cercano dappertutto. Moricet è arri­vato oltre il tavolo a sinistra, Leontine è vicina al letto).

MORICET ‑    Non lo so, cerchiamo, cerchiamo!...

LEONTINE ‑   Oh, per colpa sua, morirò di paura! Dove l'ha visto un uomo?

MORICET ‑    Là dentro, nel letto! Mi ha pure baciato! (Si sdraia bocconi e guarda sotto il divano).

LEONTINE ‑   Ma sentitelo! Lei è pazzo! Ha avuto un incubo!

MORICET ‑    (In piedi) Ma se le dico che mi ha baciato...

LEONTINE ‑   (E’ andata a controllare la serratura della porta) E dagli! Guardi qua! La porta è ancora chiusa a chiave a doppia mandata! Non sarà mica entrato dal buco della serratura!

MORICET ‑    (Raggiunge Leontine presso la porta e ha l'aria di chi non ci capisce più niente) La porta è chiusa?

LEONTINE ‑   Guardi!

MORICET ‑    Ah, è veramente troppo! Ma perdiana, non sono Santa Gio­vanna e non ho avuto le visioni! (Si indica la guancia) L'ho sentito bene, insomma!

LEONTINE ‑   (Ha sempre la candela accesa in mano. Viene avanti) E’stato un incubo!

MORICET ‑    (Non sapendo più cosa credere) Un incubo?

LEONTINE ‑   (Si lascia cadere sulla sedia a destra del tavolo, su cui pog­gia il suo candeliere acceso) Adesso basta! Un'altra paura come questa e ci rimango!

MORICET ‑    (Distrutto dall'emozione, è andato a buttarsi sul divano) Mi perdoni, Leontine!... Ma ero talmente sicuro... Comunque, è meglio così...

LEONTINE ‑   (Furiosa) Ah si? Per me invece sarebbe meglio non averla mai conosciuta! Ah, che nottata!

MORICET ‑    Ah, sì, che nottata!...

LEONTINE ‑   (Furente) L’ho detto prima io! (Restano annientati, senza parlare, all’improvviso, si sentono tre forti colpi successivi ma intervallati, picchiati alla porta d'ingresso. Ogni colpo provoca un soprassalto ai due poveretti).

LEONTINE ‑   (Paralizzata dal terrore, con voce strozzata) Hanno bussato!

MORICET ‑    (Come lei) Già!

BRIDOIS ‑      (Da fuori) Aprite, in nome della legge!

TUTTI E DUE - (Saltando su) Ilcommissario! (Si scaraventano, lui verso l'ingresso, lei verso la camera di destra. Durante quel che segue i colpi al­la porta non cessano).

LEONTINE ‑   (Fuori di sé) Stavolta è finita davvero!

MORICET ‑    (Come lei. Corre di qua e di là, non sapendo dove sbattere la testa) Si nasconda!... Si nasconda!...

LEONTINE ‑   (Corre anche lei in tutte le direzioni come impazzita) E do­ve?... Dove?... (Apre la porta di destra) Maledetta camera! Non ha altre uscite!...

BRIDOIS ‑      (Da fuori) Aprite! O sfondo la porta!

LEONTINE -   Oooooohhhh! Nel letto! (Si vuole nascondere dentro il letto).

MORICET ‑    (Fermandola) Ma dove va? Dentro al letto? Si mette in trap­pola da sola?

LEONTINE ‑   (Correndo alla finestra e aprendola) Ooooohhhh, la finestra!

MORICET ‑    (La ferma ancora) Macché finestra! Siamo al secondo piano!...

LEONTINE ‑   (Sconvolta) E allora dove? Dove? Moricet, la supplico!

MORICET ‑    (Sconvolto anche lui e sempre correndo su e giù) E che ne so? (Esasperato) Ma si muova, perdinci, faccia qualcosa!...

BRIDOIS ‑      (Dafuori) E’inutile che cerchiate di fuggire. Sappiamo che sie­te lì dentro. Aprite!

MORICET ‑    (Parla verso la porta inferocito) Un momento! Un momento! (A Leontine) Ci resta un'estrema risorsa: giocare d'azzardo! (Raggiunge la poltrona su cui ha poggiato i vestiti e torna verso l'ingresso infilandosi la giacca, senza riflettere che è in mutande e pantofole) Calma! (Si abbottona la giacca) Sangue freddo! (Indica a Leontine il suo cappello che è sul ca­minetto) Cappello! (Lei glielo porge, lui se lo mette) E confermi tutto quel­lo che dico io!

BRIDOIS ‑      (Da fuori) Allora? Aprite di buon grado, oppure?...

MORICET ‑    (Ha aperto la porta) Che c'è, signor commissario? Entri...

BRIDOIS ‑      (Entrando, si rivolge verso la quinta) Restate fuori voialtri! (Sotto al cappotto ha un vestito nero).

MORICET ‑    (Ha tirato fuori dei guanti dalla tasca della giacca e se li infi­la, per darsi un contegno irreprensibile) Vuol dirmi in virtù di quale man­dato lei viene a forzare la mia porta, a quest'ora?

BRIDOIS‑      (Dignitosissimo, si toglie il cappello e Mostra una fascia che ha tirato fuori, piegata, dalla tasca) Le dirò signore... (Cambia tono) Ma pri­ma chiedo scusa, signora e signore, di avervi importunati in modo così im­portuno (Ride del giochetto di parole) Se il funzionario funziona... (Saluta battendo i tacchi due o tre volte) L’uomo di mondo si scusa.

MORICET ‑    (Spazientito) Grazie, grazie, andiamo avanti! (Il commissario è vicino al tavolo. Moricet e Leontine stanno appiccicati, faccia al pubbli­co, tenendosi la mano per darsi reciproco coraggio).

BRIDOIS ‑      (Mettendosi in tasca la fascia) Ciò premesso, vengo al punto, signore, o piuttosto, signora! Su querela di suo marito, sono qui per consta­tare la presenza del signore nel di lei domicilio, a quest'ora della notte!

MORICET ‑    (Giocando d'azzardo) Ma signore, non capisco. Sono un uo­mo sposato e questa signora è mia moglie!

BRIDOIS ‑      (Ironico) Va bene, va bene: conosciamo il ritornello. Tutte le volte ci rispondono in cotal guisa! (Colpo di tacchi) Come uomo di mondo, approvo il suo alibi ma come funzionario... (Poggia il cappello su una se­dia e tira fuori di tasca un carnet) Generalità, prego?

MORICET ‑    Dottor Moricet, fu...

BRIDOIS ‑      (Scrivendo) E lei signora?

LEONTINE ‑   (Sperduta) Io che?...

MORICET ‑    (Pronto) Ovviamente, signora Moricet.

BRIDOIS ‑      Cui prodest insistere? Sappiamo benissimo che lei non è la si­gnora Moricet.

TUTTI E DUE - (A parte). Lo sa! Oh Dio!

BRIDOIS ‑      La qui astante è la signora Cassagne

TUTTI E DUE ‑ (Non credono alle proprie orecchie) Cassagne?

MORICET ‑    (A Leontine) Ha detto?... (A Bridois) Ha detto... Cassagne?

LEONTINE ‑   (Radiosa) Ma si, ha detto «la signora Cassagne».

MORICET ‑    (Si precipita esultante al collo del commissario, come volesse baciarlo; il commissario si difende indietreggiando verso sinistra) Ah, caro il mio commissario!... (Cambia tono. Molto freddamente) E’ la dirimpettaia, signore!

BRIDOIS ‑      (Stupito) La dirimpettaia?

MORICET ‑    Si, signore.

BRIDOIS ‑      (Si mette, oltre il tavolo a destra, schiena al pubblico) Mi con­sentano. La portiera ha detto: «secondo piano, porta a destra». Fino a prova contraria, questa è la destra.

MORICET ‑    (Lo fa piroettare, così da metterlo faccia al pubblico) Sì, ma la scala va in questo senso! E quindi la sua destra è di là!

BRIDOIS        (Confuso) Inconfutabile! Si vede che, salendo, mi sono rigirato e così la destra è diventata sinistra. Succede anche in politica!...

MORICET ‑    (Molta degnazione) Io non dico niente, ma non si sveglia la gente a quest'ora per una cosa del genere!

BRIDOIS ‑      (Si riprende il cappello) Ne sono desolato, signore! (Saluta) Si­gnori... (Poiché Moricet lo sta accompagnando alla porta) Prego, continui­no, continuino pure...

MORICET ‑    (Alzando le spalle) C'è poco da continuare...

BRIDOIS ‑      (Uscendo parla in quinta) E’ la dirimpettaia! Marsh! (Da fuori, ricevendo sulla schiena la porta che Moricet richiude con violenza) Ahia!

LEONTINE ‑   (Va a sedersi stremata sul bracciolo del divano) Non ce la faccio più! Non ce la faccio più!

MORICET ‑    (Siede anche lui) Leontine!

LEONTINE ‑   Eh?

MORICET ‑    Non ce la faccio più!

LEONTINE ‑   L'ho detto prima io! Perfino la forza pubblica in casa! Lei ha veramente oltrepassato ogni limite!

MORICET ‑    E che è colpa mia? Ce l'aveva con la signora Cassagne e io l'ho mandato da lei.

LEONTINE ‑   Eh, già!

MORICET ‑    (Salta in piedi, con un grido) Oh, Dio dei senza pace!

LEONTINE ‑   (Trasalendo) Pietà, la prego! Che c'è ancora?!

MORICET ‑    (A parte) Duchotel è lì con lei e si farà sorprendere dal com­missario!

LEONTINE ‑   Allora? Che succede ancora? Che succede?!

MORICET ‑    Niente, niente! (A parte) Poveraccio, però! (Per rappresentare la gravità della situazione di Duchotel sempre parlando tra sé e sé abbozza una breve ed inconscia pantomima allegorica che consiste nel sollevare pe­santemente una gamba dopo l'altra, come a volere imitare il passo dei forza­ti che hanno i piedi incatenati ad una palla di piombo, mentre il dorso è pie­gato in avanti e le mani sono incrociate ai polsi, come fossero ammanettate).

LEONTINE ‑   (Furente) Insomma, vedo che lei si diverte!

MORICET ‑    Ho forse l'aspetto di uno che si diverte?

LEONTINE ‑   (C.s.) Certo! Sta ballando! (Va verso la camera di destra) Proprio a me doveva capitare! (Esce).

MORICET ‑    (Si è lanciato dietro di lei) Macché ballando... Che ha capito, Leontine!... (Esce anche lui, chiudendosi dietro la porta. In questo momen­to, attraverso la finestra lasciata mezza aperta da Leontine, appare Ducho­tel sconvolto. Irrompe in scena vestito sommariamente: cappello in testa, .giacca e paletot indossati a metà, la custodia del fucile appesa ad una spal­la, ed è in mutande!).

Scena diciottesima ‑ Duchotel, Gontran, dentro l'armadio, poi Mori­cet, un agente, poi Leontine

DUCHOTEL ‑             (Si precipita a destra e a sinistra, terrorizzato come una be­stia braccata che cerca scampo. Sta per fuggire dalla porla, quando si ren­de conto che è in mutande) Ho dimenticato i pantaloni!!! Non posso scap­pare in mutande! (Vede i pantaloni di Moricet) I pantaloni di Moricet! Sono salvo! (Siede sulla poltroncina e si infila i pantaloni in fretta, senza preoc­cuparsi delle bretelle che gli penzolano sui talloni) Ecco fatto! Adesso so­no salvo! (Va di corsa verso la porta d'uscita che apre girando la chiave lasciata nella serratura da Moricet).

GONTRAN ‑   (Apre piano piano la porta dell'armadio e si accinge ad usci­re dal suo nascondiglio) Proviamo ora che non si sente nessuno... (Vede Duchotel) Mio zio! (Si richiude bruscamente dentro l'armadio).

DUCHOTEL ‑ (Si è voltato, sentendo la voce del nipote e l'ha riconosciu­to) Gontran! (Si mette in salvo uscendo precipitosamente. Ora si avverte la voce di un uomo che urla: «Fermo, fermo, torni indietro» proveniente dal balcone, da dove sbuca un agente in borghese. Contemporaneamente Mo­ricet entra in scena, attirato dal rumore e dalle voci udite).

MORICET ‑    Ma chi è? C'è qualcuno in casa?

AGENTE ‑      (Vede Moricet e si lancia al suo inseguimento) L’uomo in mu­tande! E’ lui! Lei è il mio uomo!

MORICET ‑    E questo chi è?

AGENTE ‑      (Sempre incalzandolo) Lei!... Venga con me!

MORICET ‑    (Fugge inseguito dall'agente) Ma che vuole da me!? Mi lasci stare!!

            (Inseguimento generale, alla fine del quale, dopo essere scappato in tutte le direzioni, Moricet un giro del tavolo per sfuggire all'agente che lo inse­gue e quindi schizza verso il fondo scena, dove inciampa e cade e viene così agguantato dal suo inseguitore)

AGENTE ‑      E dove scappa adesso! Lei è mio!

MORICET ‑    (Urlando) Mi lasci! O chiamo la polizia!

AGENTE ‑      (Cercando di trascinare Moricet fuori scena) Buono!... Sono io la polizia!

MORICET ‑    (Dibattendosi tra le braccia dell'agente che lo porta letteral­mente di peso) Ma io non ho fatto niente!... Aiuto!!!... Sono innocente

AGENTE ‑      Cammini! Lo spiegherà di là al signor commissario! (Trascina via Moricet, nonostante la sua resistenza).

LEONTINE ‑   (Esce affannata dalla camera di destra) Oh, signore! Ma che sta succedendo? Aiuto! Che sta succedendo?!

GONTRAN ‑   (Uscendo dall'armadio come prima, riconosce Leontine) Zietta!

LEONTINE ‑   (Riconosce Gontran) Gontran! (Scappa a precipizio).

FINE DEL SECONDO ATTO

ATTO TERZO

Stessa scena dell'atto primo

Scena prima ‑ Babet, Moricet, poi Leontine

La scena è vuota. Suono di campanello. Dopo un po' si apre la porta di fondo

MORICET ‑    (Accompagnato da Babet) La signora è in casa?

BABET ‑         (Sul fondoscena) Sì,sìgnore, la signora è tornata dalla campagna col primo treno.

MORICET ‑    E il signore?

BABET ‑         Non è ancora tornato.

MORICET ‑    Ah, no?... Bene, mi annunci...

BABET ‑         (Vede Leontine che entra da sinistra) Ecco la signora.

LEONTINE ‑   Era lei?!... (A Babet) Vada pure.

BABET ‑         Sì, signora (Esce).

LEONTINE ‑   Chi non muore si rivede! (Vengono in avanti).

MORICET ‑    Non ho osato venire prima per paura di dare nell'occhio ma Dio solo sa la mia ansia da quando non ho più saputo niente di lei, dopo il dramma di questa notte.

LEONTINE ‑   Non me ne parli! Mi sembrava di delirare! Sono scappata co­me una pazza e mi sono ritrovata, non so nemmeno come, in mezzo alla strada a testa nuda!

MORICET ‑    (Con commiserazione) A testa nuda, no!...

LEONTINE ‑   Avrebbe potuto riconoscermi chiunque e chissà per quanto tempo avrei vagato in quel modo, se non fossi stata richiamata alla realtà da uno sbarbatello che mi si è avvicinato e m'ha chiesto: «Venti franchi basta­no?» (Palesa) Ma, secondo lei... Dovevano "bastare" per che cosa?

MORICET ‑    Niente, gli servivano degli spicci...

LEONTINE ‑   Comunque, a casa non potevo tornare e così ho preso una vettura chiusa. Ho detto al cocchiere: «giriamo intorno a piazza Europa, la pago a ore!». L’ho imparata a memoria, piazza Europa! (Siede vicino al ca­mino).

MORICET ‑    (Con commiserazione) Mia povera Leontine!... Avrà almeno ricevuto la mia lettera, stamattina...

LEONTINE ‑   Sì, sì, proprio edificante la sua lettera, con quelle belle noti­zie su mio marito... No, guardi, se penso che lei osava sostenere che un ma­rito che dice di andare a caccia non è necessariamente un marito che va dal­l'amante...

MORICET ‑    (Sbalordito) lo?!... Questa è bella!..,

LEONTINE ‑   Ecco dove si trovava, il signor Duchotel: dalla signora Cassagne!

MORICET ‑    Suo marito va a caccia senza licenza e la contravvenzione me la becco io!

LEONTINE ‑   (Si alza e viene avanti. A Moricet) Come se non se lo fosse meritato!

MORICET ‑    lo?!

LEONTINE ‑   Certo! Il commissario l'aveva visto bene, poco prima, nel­l'appartamento di fronte, no? E quindi bastava spiegargli che...

MORICET ‑    Ma perché, secondo lei non l'ho fatto?... Come se fosse faci­le spiegarsi con un commissario! Sa che m'ha risposto?: «... Dettagli inin­fluenti! Io sono qui per constatare "de visu" i fatti e non per analizzarli! Qui dalla Cassagne c'era un uomo; costui è fuggito dal balcone in mutan­de; in mutande è l'uomo che abbiamo riacciuffato. Ergo: l'uomo che cer­co è lei».

LEONTINE ‑   Doveva insistere.

MORICET ‑    Aveva fretta! Lo attendeva il bel mondo.

LEONTINE ‑   Chi?

MORICET ‑    Un ballo all'Hotel de la Ville.

LEONTINE ‑   (S'inchina) Ah, beh, allora....

MORICET ‑    Eh, ma non finisce qui! Adesso vado dal commissario, lo ob­bligo a convocare Duchotel e quando saranno faccia a faccia, se la sbrighe­ranno fra loro.

LEONTINE ‑   E’ giusto. Quanto a me, adesso so cosa mi resta da fare: di­vorziare.

MORICET ‑    Come? Vorrebbe...

LEONTINE ‑   Certamente! Nessuno sa niente della mia scappatella di ieri e quindi io sto dalla parte della ragione. Perciò facciamo sparire subito ogni traccia dell'infausta serata e mi restituisca la lettera.

MORICET ‑    La lettera?... Vuole proprio?

LEONTINE ‑   Sì.

MORICET ‑    (Fruga nelle tasche della giacca, poi in quelle dei pantaloni) Era la sola cosa che fossi riuscito ad ottenere da lei... (Rassegnandosi) Pa­zienza!... (Cambia espressione) Andiamo bene, ma dove l'ho messa? (Im­provvisamente) Mi venga un colpo!...

LEONTINE ‑   (Spaventata) Che c'è?

MORICET ‑    (Con voce strozzata) Sta nei pantaloni.

LEONTINE ‑   Eh?

MORICET ‑    Nella tasca dei pantaloni che suo marito si sta portando a spasso.

LEONTINE ‑   Magnifico! Adesso siamo proprio a posto!

MORICET ‑    Come facciamo?

LEONTINE ‑   I guai non le riuscirebbero così bene neanche se li facesse apposta (Va verso il fondo a sinistra).

MORICET ‑    E io potevo prevedere che suo marito si sarebbe rubato i miei pantaloni?

LEONTINE ‑   Lei non prevede mai niente! E se adesso l'ha trovata? Se l'ha letta?

MORICET ‑    Ma no, come può essere?! Sa benissimo che i pantaloni non sono suoi. Non avrà l'indiscrezione di...

LEONTINE ‑   E che ne sa?

MORICET ‑    (In ribalta) E beh!... In questo caso... Lei è donna: troverà il modo di infinocchiarlo.

L EONTINE ‑ (Ironica) Grazie, è un'ottima idea!

MORICET ‑    lo faccio un salto dal commissario... Che mi aspetta a quest'ora.

LEONTINE ‑   Vada, vada (Si avviano verso la porta di fondo).

MORICET ‑    Sempre che sia tornato dal ballo! (Esce dal fondo).

Scena seconda ‑ Leontine, poi Babet

LEONTINE ‑   (Cammina agitata) Quell'uomo mi dà proprio sui nervi, con la sua sbadataggine! Insomma, quando uno possiede una lettera di una donna, una lettera che potrebbe comprometterla, non se la mette in una tasca dei pantaloni. Ma che ci vuole a pensare: "e se suo marito si mette i miei pantaloni, che succede?” E se l'ha trovata che gli rac­conto?

BABET ‑         (Entra) Signora, sta arrivando il signore: l'ho visto scendere dalla vettura.

LEONTENE ‑ Il signore? (Con tono pieno di sottintesi) Ebbene, gli vada in­contro. (Babet esce) Mi accorgerò subito se ha visto la mia lettera e se, per mia fortuna, non sa niente, ah! ah! ah!... ci divertiremo, signor Duchotel! Ti lascerò senza fiato!

BABET ‑         (Rientra) Ecco il signore, signora.

Scena terza ‑ Glistessi, Duchotel

DUCHOTEL - (Vestito come nel primo atto, con l'eccezione dei pantaloni che sono quelli che Moricet indossava nel secondo atto, col fucile, nel fode­ro, sulla spalla. Porta con sé un grosso cesto che tiene a braccia tese, al­l'altezza della propria testa, perché si veda bene) Dov'è la signora? (Pog­gia il cesto per terra).

LEONTINE ‑   Sei tu? Sei già tornato?

DUCHOTEL ‑             Leontine! Tesoro mio!... (Corre a baciarla).

LEONTINE ‑   (A parte) Non sa niente.

DUCHOTEL ‑ (A parte, andando a posare fucile e cappello sul secrétaire) Non sa niente.

LEONTINE ‑   Come stai? Ti sei affaticato a caccia?

DUCHOTEL ‑             No, per niente, anzi!...

LEONTINE ‑   (Mordace) Mi fa molto piacere.

DUCHOTEL - E’ stata una giornata di caccia superba.

LEONTINE ‑   Sì?

DUCHOTEL ‑             (Le si avvicina) Dalle sette dei mattino, figurati...

BABET ‑         Avrà preso freddo il mio signore?

DUCHOTEL ‑             (Storditamente) No. lo stavo al calduccio.

LEONTINE ‑   (In agguato) Al calduccio?

DUCHOTEL ‑             (Si corregge) Sì al calduccio... Cioè ero ben coperto... Sa­pessi che caccia favolosa!... Però c'era un tempaccio...

LEONTINE ‑   Sì, sì ... (Con noncuranza) Ed è per questo che ti sei cambiato i pantaloni?

DUCHOTEL ‑             Eh? ... Ah, i... Ehm, sì! Proprio per questo! Ah, birba, te n'eri accorta, eh? Non ti sfugge niente!

LEONTINE ‑   Ti stanno un po' grandi! (O stretti, a seconda della taglia del­l'attore che fa Moricet).

DUCHOTEL ‑ Sono un po' grandi, difatti. Pensa, ero tutto fradicio e così quel brav'uomo di Cassagne me ne ha prestato un paio dei suoi.

LEONTINE ‑   Ah, è andata così? ...

DUCHOTEL - Già, proprio cosi ... Certo, non mi stanno a pennello... ma, piuttosto che buscarsi un raffreddore... Nooo?... (Va verso Babet) Mi vada a prendere i pantaloni da casa.

BABET ‑         Si, signore (Esce).

DUCHOTEL ‑             Ma che strage di selvaggina! Non ne hai idea...

LEONTINE ‑   (Sempre seduta, ascolta suo marito con un interesse pieno di sarcasmo. Gli sta di fronte, con i due gomiti sul tavolo e la mani incrociate sotto il mento) Eh, immagino...

DUCHOTEL ‑             Tuo marito s'è fatto onore, sai? Pensa che mi sono fatto una doppietta! Beh, per uno della mia età...

LEONTINE ‑   (S'inchina per felicitarsi) Una doppietta? Bravo.

DUCHOTEL ‑ Mi sbuca da sinistra un capriolo che fila come il vento; pas­sando fa alzare in volo un'oca selvatica, e io... Bam! Bam!... Ho fatto secco Cassagne!

LEONTINE ‑   Hai ammazzato Cassagne?

DUCHOTEL ‑ No, insomma... l'ho lasciato di stucco!

LEONTINE ‑   Ah, meglio così!... E quelle bestiole, hai fatto secche anche loro?

DUCHOTEL ‑             (Un po' sconcertato) E’ovvio! Tutte e due!... E proprio per questo che Cassagne...

LEONTINE ‑   C'è rimasto secco.

DUCHOTEL ‑             C'è rimasto!... Sì, insomma, c'è rimasto di stucco!... Ma adesso ti faccio vedere quello che ho portato (Va a prendere il cesto) Mi dai un paio di forbici?

LEONTINE ‑   Vado a prenderle. Sono ansiosa di vedere il risultato della tua caccia (Va verso la porta a sinistra).

DUCHOTEL ‑ (Viene avanti a destra con il cesto) Vedrai, vedrai...

LEONTINE ‑   (Mentre sta uscendo) Tartufo che non sei altro! (Esce a si­nistra).

DUCHOTEL ‑             (In proscenio) Uff !... Mi sono tolto un gran peso! Confes­so che ero in ansia... Comunque, la storia della doppietta è stata la pennel­lata finale. Faceva molto folclore... Anche questo cesto è una giusta nota di colore: completa il quadretto venatorio! (Pausa) Quaranta franchi in tutto, da Chevet! (Posa il cesto sul tavolo) Ho detto al garzone, anzi gli ho urlato, perché era sordo come una campana: «Mi faccia un bel misto di selvaggina, da pelo e da piuma, impacchettato ben bene dentro un panie­re! ». E lui m'ha servito a dovere. A proposito, dov'è il conto?... (Si fruga in tasca ai pantaloni e tira fuori la lettera di Leontine a Moricet) La calli­grafia di mia moglie: questo non è! (Si mette la lettera in una tasca late­rale della giacca, poi tira fuori una fattura dall'altra tasca dei pantaloni) Ah' ecco il conto! (Strappa la fattura) Meglio non lasciare in giro indizi compromettenti. (Getta la carta strappata nel fuoco, poi torna subito alla. destra del tavolo).

Scena quarta ‑ Duchotel, Leontine

LEONTINE ‑   (Rientra con le forbici e va verso il tavolo) Allora, apriamo questo cesto? Ho una voglia matta di vedere quello che c'è dentro.

DUCHOTEL ‑ (Mostra il paniere sul tavolo) Eccolo, tesoro!

LEONTINE ‑   Sei sicuro che troverò proprio il tuo bottino di caccia?

DUCHOTEL ‑ Come sarebbe a dire se ne sono sicuro?

LEONTINE ‑   No, perché mi fai l'effetto di uno che a caccia non c'è stato per niente.

DUCHOTEL ‑             Non mi dire! Ricominci come ieri? Ma se t'ho perfino de­scritto i miei exploit balistici!...

LEONTINE ‑   (A parte) Balistici...

DUCHOTEL ‑             Ti porto a casa un cesto pieno di selvaggina...

LEONTINE ‑   Già, lepri e conigli!

DUCHOTEL ‑             (Subito) No, stavolta non ce ne sono! (Va a sedere, faccia al pubblico, vicino al secrétaire) Coraggio! Apri e vedrai.

LEONTINE ‑   E’ quello che sto facendo. (Apre il paniere e ne guarda il con­tenuto) Complimenti! E’ questo il tuo bottino?

DUCHOTEL ‑                                                 (Con finta modestia) Modestamente...

LEONTINE ‑   (Tirando fuori dal cesto un patè) Questo?

DUCHOTEL ‑             Ma certo... (Salta in piedi) Ehhh?

LEONTINE ‑   (Tira fuori un patè dopo l'altro) E questo? Questo? Questo? E’ questa la tua preda?

DUCHOTEL - (Fingendo di ridere) Ah! Ah! Ah!... T'è piaciuto lo scherzo?... Spiritoso, no?... Sai, la cacciagione, con questo tempac­cio...

LEONTINE ‑   Adesso basta con le bugie!

DUCHOTEL ‑ No, scusa, cerca di capire...

LEONTINE ‑   (Rimette i patè dentro il paniere) Non c'è niente da capire: è tutto chiarito!

DUCHOTEL ‑             (A parte) Quel deficiente di negoziante!... (A Leontine) Ve­di, tesoro...

LEONTINE ‑   Lasciami in pace!

DUCHOTEL ‑             (A parte) Iogli dico: «misto di cacciagione impacchettata» e il sordo capisce «misto di cacciagione impasticciata!» (A Leontine) Ma come, Leontine, non mi credi?

LEONTINE ‑   No.

DUCHOTEL ‑ Ma scusa...

LEONTINE ‑   No, non ti credo! La tua caccia è tutta una scusa! Tu non sei stato a Liancourt! E, quanto al tuo Cassagne, non solo non stava con te ma non ha mai saputo, in vita sua, cosa fosse la caccia!

DUCHOTEL ‑             E come fai ad affermarlo?

LEONTINE ‑   E’ stato lui stesso a dirmelo.

DUCHOTEL ‑             (Ha un soprassalto) E’ venuto qui?

LEONTINE ‑   Non più tardi di ieri. Tu eri appena uscito.

DUCHOTEL ‑ (A parte) Che idiota!

LEONTINE ‑   Ed ora come la mettiamo?

DUCHOTEL - (Si sforza di assumere un'aria disinvolta) In che senso, scu­sa?... Adesso, solo perché Cassagne t'ha detto così tu credi che... (Ride fin­to) Ah! Ah! Ah! ... (Con sicurezza) Ma allora Cassagne non lo conosci. Il colpo di sole, no? ... Come, non sapevi che si è preso un colpo di sole in ... Africa e che da allora ha perso la memoria?... E che da allora, quando la gente gli domanda... per dire: «Scusi tanto, lei va a caccia? ... » Lui risponde: «No, no! »... Ma perbacco, lo sanno tutti lì a... al paese suo ... E ci crede, pu­re!... Non si ricorda un tubo!... Come, come? Lui non va a caccia?... Beh, senti, io vorrei che fosse qui, guarda, per farglielo ripetere davanti a me!... Vorrei che fosse qui.

Scena quinta ‑ Gli stessi, Babet, Cassagne

BABET ‑         (Annunciando dal fondo) Il signor Cassagne.

DUCHOTEL ‑ (Per poco non sprofonda) Chi?!

LEONTINE ‑   Visto come sei fortunato?

DUCHOTEL ‑ (A parte) Ma che bestia!

CASSAGNE ‑ (Entrando) Buon giorno, signora!... Buon giorno, amico ca­ro! quanto tem...

DUCHOTEL ‑ (Lo interrompe, andandogli subito incontro, per poi tornare in avanti con lui, così da trovarsi in mezzo a Cassagne e Leontine) Ah, guarda chi c'è! (Sottovoce) Zitto, sai?! Acqua in bocca!

CASSAGNE ‑ (Non capisce. Ad alta voce) In bocca che? (Babet è uscita).

DUCHOTEL - (Gli stringe le mani) Caro, caro il mio amico Cassagne! Amico inseparabile! (Sottovoce) Siamo stati a caccia insieme!

CASSAGNE ‑ (Ad alta voce) No!! Quando?

DUCHOTEL ‑ (Sottovoce) Sì, si!... (Ad alta voce, disinvolto) E come ti va da stamattina?

CASSAGNE ‑ (Gioviale) Ah, come mi va da stamattina? Mi va come da ieri, dall'altro ieri, dal mese scorso, eccetera, eccetera!

DUCHOTEL ‑             (Con un riso demenziale) Ma si, certo, come no! (A parte) proprio ebete!

LEONTINE ‑   (Si avvicina a Cassagne, passando davanti a suo marito) No, veramente, lui chiedeva da stamattina, in particolare, visto che ieri siete sta­ti a caccia insieme...

CASSAGNE ‑ (Senza capire) A caccia?

DUCHOTEL ‑             (Gli lancia segnali da dietro alla schiena della moglie) Ma certo... non ti ricordi?... A caccia...

CASSAGNE ‑ E dagli con questa caccia! Ma è una fissazione!

DUCHOTEL ‑             (Lancia segnali ma s'interrompe quando sua moglie lo guarda) Ma come, non ti ricordi della mia doppietta?... Parn pam!...

LEONTINE ‑   E lei è rimasto secco.

CASSAGNE ‑ (Abbrutito) lo? Quando mai?!

DUCHOTEL ‑             (A Leontine, con sicurezza) Vedi? Si ricorda tutto benissimo!

LEONTINE ‑   Del resto, i risultati delle vostre prodezze sono evidenti! (A Duchotel che ha tossito più volte per attirare l'attenzione di Cas­sagne) Tisei preso un bel raffreddore, nonostante i pantaloni di Cas­sagne... (Cassagne si guarda e tasta i pantaloni, per controllare se li ha).

DUCHOTEL ‑ (La tosse gli si strozza in gola) No, no, è solo un raspino!

LEONTINE ‑   (A Cassagne) Voi due avete fatto un'ecatombe!... Come ave­te fatto ad ammazzare tutta questa roba? (Chinando un lato del paniere, ne mostra il contenuto a Cassagne).

CASSAGNE ‑             (si avvicina al lato sinistro del tavolo) Ma sono dei patè.

LEONTINE ‑   Certo! La preda di mio marito.

CASSAGNE ‑ (Ridendo) Ma come, ti sei messo a sparare ai patè, adesso?

DUCHOTEL ‑             Ma che dici?!... Non ti ricordi del tempaccio?... Dai, adesso smettila di fare il cretino!

CASSAGNE ‑ Ohè! Ma dico!

LEONTINE ‑   Ha ragione, scusi, non eravate a caccia insieme?

CASSAGNE ‑ Noi?

DUCHOTEL ‑ E chi sennò?

CASSAGNE ‑ (Viene avanti) Ma no, signora...

LEONTINE ‑   (Viene avanti anche lei) Ah, no?

DUCHOTEL ‑             (E’ venuto avanti anche lui) Ma sì! Ma sì! (A Leontine) Vedi, tesoro, che ti dicevo? Non si ricorda un tubo... Il colpo di so­le!...

CASSAGNE ‑ Quale colpo di sole?

LEONTINE ‑   Quello che ha preso in Africa.

CASSAGNE ‑ Mai stato in Africa in vita mia! Una volta, la mia ditta di pellami mi ha mandato in Lapponia (Duchotel fa segno a Leontine per farle intendere che questi sono gli effetti del colpo di sole).

DUCHOTEL ‑             Ma è naturale! Come potresti ricordarti dell'Africa e dei colpo di sole se è stato proprio questo a farteli scordare? (A sua moglie) Che triste malattia, vero? (Vede Leontine che, appoggiata al tavolo, con le braccia incrociate, lo ascolta scuotendo la testa) Perché fai così?

LEONTINE ‑   Perché ammiro le tue doti di commediante.

DUCHOTEL ‑             Commediante io?

LEONTINE ‑   Sì, tu. Sei davvero bravo, tesoro. Ma, evidentemente, mi sti­mi assai poco se pensi di potermi rigirare a tuo piacere con delle panzane così plateali!

Viene avanti a sinistra. Cassagne, che ha ascoltato tutto fin dall'inizio sen­za comprendere, vedendo che le cose si stanno mettendo male e pensando di essere di troppo in quella discussione, va verso il fondo scena piano pia­no, costeggiando il muro, guardando il tavolo, i soprammobili, eccetera, tanto per darsi un contegno e, dopo questo ampio giro, raggiunge l'estrema destra della scena

DUCHOTEL ‑ Ma Leontine, ti assicuro...

LEONTINE ‑   Basta! E’ ora di finirla! Credi che non sappia che le tue partite di caccia altro non sono che un alibi, per coprire ben altro sport? Ma abbi almeno il coraggio di ammettere le tue malefatte, che io possa pensare: '”E’ un uomo senza fede, è vero, ma almeno è un uomo!" (Va a suonare il cam­panello al camino. è molto nervosa).

DUCHOTEL ‑             (Seguendola) Tesoro, non fare così...

LEONTINE ‑   Lasciami stare! Mi dai ai nervi!

Scena Sesta‑ Gli stessi, Babet

BABET ‑         (Entra dal fondo. Piegati sulle braccia ha i pantaloni di Ducho­tel) La signora ha suonato?

LEONTINE ‑   (Le indica il cesto) Porti via quella roba.

BABET ‑         Sì, signora (Consegna a Duchotel i suoi pantaloni) Ipantaloni che il signore aveva chiesto. Li ho anche spazzolati. (Passa oltre il tavolo e vede il contenuto del paniere) Ah! E questa roba che sarebbe?

LEONTINE -   Il bottino del signore. Vada pure.

BABET ‑         Ah! (Esce dal fondo, portando via il cesto).

DUCHOTEL ‑ (Supplichevole) Leontine!...

LEONTINE ‑   No! (Esce a sinistra, chiudendo decisa la porta).

CASSAGNE ‑             (E’ seduto vicino al secrétaire a destra. A se stesso) Tempe­sta in vista!

DUCHOTEL ‑             (Appoggia i pantaloni sul tavolo e viene vicino a Cassagne) Bella roba! Tonto al cubo! Non potevi star zitto?

CASSAGNE ‑ (Sempre seduto) E perché?

DUCHOTEL - Ma non capisci proprio niente? Non hai ancora realizzato che ti ho usato come paravento, dicendo a mia moglie che venivo da te?

CASSAGNE ‑ E invece che dovevi fare?

DUCHOTEL - (Sbadatamente) E me lo domandi? Dovevo andare da tua... Ehm, ma a te che te ne importa?!

CASSAGNE ‑             Niente! (Duchotel ora gira la sedia che sta alla destra del tavolo, in modo da rivolgerne la spalliera al pubblico e si siede, schiena verso gli spettatori, per cambiarsi i pantaloni).

DUCHOTEL ‑             (Mentre si sta cambiando i pantaloni) E’ tutto da ridere! Questo pover'uomo fa passare anni e anni senza mettere piede da me; io me ne servo come comodo alibi; e lui mi piomba in famiglia proprio il gior­no in cui si doveva supporre che io fossi da lui in campagna!

CASSAGNE ‑ (Si alza e si sposta a sinistra) E io che ne potevo sapere?

DUCHOTEL ‑ (C.s.) Eh, già, tu non sai mai niente!... Ma che diavolo, quando uno ha preso la buona abitudine di non mettere più piede in casa di qualcuno, il suo primo dovere, prima di ritornarci, è di pensare: "Alt! Prima di tutto mi devo informare se, per caso, sono servito da paravento al mari­to!". Eh! Mi pare talmente ovvio!

CASSAGNE ‑ Lo so, cosa vuoi farci, non sono uno stregone, scusa!

DUCHOTEL ‑             (In piedi. Sta terminando di mettersi i pantaloni, abbotto­nandoseli, sempre di schiena al pubblico) No. Non sei proprio uno strego­ne, non c'è bisogno di dirmelo! C'è gente, a questo mondo, che ha il ber­noccolo della scelta di tempo!

CASSAGNE ‑ Se è per questo, io ho anche altri tipi di bernoccoli!

DUCHOTEL ‑ (Piega i pantaloni che si è tolti) E poi che caspita vuoi da me? Che ci sei venuto a fare qui?

CASSAGNE ‑ (Siede alla destra del tavolo) Ebbene, ecco, forse mi trove­rai indiscreto.

DUCHOTEL ‑             (Posa i pantaloni arrotolati sul tavolo e si siede di fronte a Cassagne, alla destra del tavolo stesso) Questo è poco ma sicuro.

CASSAGNE ‑             Ho preso appuntamento qui a casa tua, col commissario di polizia.

DUCHOTEL ‑ (Trasalisce) A casa mia?

CASSAGNE ‑ (Felice per il suo colpo di genio) Sì.

DUCHOTEL ‑             Che colpo di genio! E così il tuo ultimo hobby è quello di portarti dietro i commissari?

CASSAGNE ‑             Il fatto è che io sono abituato a chiederti consiglio su tutto! E ci abituai anche mia moglie, ai bei tempi, ricordi?

DUCHOTEL ‑ Sì, si, sì...

CASSAGNE ‑             A proposito, ho il piacere di annunciarti una buona notizia: stanotte ho pizzicato mia moglie in flagrante adulterio.

DUCHOTEL ‑                         Come? Ah, eri tu l'autore di quella bella prodezza!

CASSAGNE ‑             (Estasiato) Sì, io.

DUCHOTEL ‑             (A parte) Ma non si potrebbe fare i fatti suoi questo cretino? (A Cassagne) Prima di tutto tu non hai pizzicato un bel niente, perché l'a­mante non l'avete preso... (Si alza).

CASSAGNE ‑             (Si alza) Chiedo scusa ma l'amante l'abbiamo preso!

DUCHOTEL ‑             (Stupefatto) L'avete preso?

CASSAGNE ‑ Proprio così.

DUCHOTEL ‑             (A parte) Eh, no! E lo viene a raccontare proprio a me!...

CASSAGNE ‑ E un tale che si chiama Moricet.

DUCHOTEL ‑ Eeeeehhh?

CASSAGNE ‑ Moricet, dottore in medicina.

DUCHOTEL‑  E... ha confessato?

CASSAGNE - No, nega tutto il bricconcello! Ma l'hanno tradito i suoi pantaloni, i pantaloni che ha dimenticato fuggendo.

DUCHOTEL ‑             (A parte) I miei pantaloni! Oh, no, questo è il colpo di grazia!

CASSAGNE ‑             Tu conosci per caso qualche Moricet?

DUCHOTEL - Io?... No, affatto! Mai sentito questo Moricet.

Scena settima‑ Gli stessi, Babet

BABET ‑         (Annuncia chiaramente dal fondo) Il signor Moricet.

DUCHOTEL ‑ (A parte, sul punto di boccheggiare ) E ti pareva! Sem­bra Feydeau! (Si passa la mano sulla fronte. A parte). Questa è scalo­gna!

CASSAGNE ‑             (Colpito dal nome annunciato) Moricet?

DUCHOTEL ‑             E beh?... Che c'è di strano?

CASSAGNE ‑             Come?! Mi hai appena detto che non l'hai mai sentito?

DUCHOTEL ‑             Ma tu non hai detto Moricet. Hai detto «Morussec».

CASSAGNE ‑ No, che Morussec!...

DUCHOTEL ‑             Fidati! Forse non te ne sei accorto, sai... Il colpo di so­le... Ma hai detto Morussec! Altrimenti, che diamine, Moricet lo co­nosco!

CASSAGNE ‑             (Aggrottando le sopracciglia) In ogni caso, questo Moricet, può essere lui?

DUCHOTEL ‑             No, questo non c'entra niente: è il mio camiciaio! (Va in­contro al nuovo arrivato).

CASSAGNE ‑             Ah! Effettivamente un camiciaio non è un dottore. E... è bravo?

DUCHOTEL - Bravissimo! (Corre incontro a Moricet che sta entrando agitato, e torna in avanti tallonandolo, per cercare di evitare qualche gaffe).

MORICET ‑    (Ad alta voce, senza curarsi di Cassagne) Ah, ci sei!... Ma che bravo, eh?! Che bello scherzetto che mi hai fatto!

DUCHOTEL ‑             (Concitato, a bassa voce) Zitto, zitto!... E’ il marito!

MORICET ‑    (Ad alta voce) Cosa? Che dici?

DUCHOTEL ‑                         (A bassa voce) T'ho detto che è il marito. E’ Cassagne!

MORICET ‑                Ah, è lui Cassagne, mi fa piacere!!!... Tanto meglio!!!...

CASSAGNE ‑ (Inchinandosi) Il piacere è mio...

DUCHOTEL ‑             (A bassa voce) Ma sta un po' zitto! (Ad alta voce, ridendo disinvolto) Ah, ah, ah... Come va? Stai bene?

MORICET ‑    Ma questo che c'entra? Dimmi piuttosto...

DUCHOTEL ‑ (A bassa voce) Sì, sì, fra un po'ti dirò tutto!

CASSAGNE ‑             (Attirando a sé Duchotel) Sentì un po', scusa...

DUCHOTEL ‑             Dimmi.

CASSAGNE ‑ (A bassa voce) Dai del tu al tuo camiciaio?

DUCHOTEL ‑             (A Cassagne) E’ un camiciaio d'infanzia. (Ad alta voce, di­sinvolto) Caro Moricet, ti presento il mio amico Cassagne.

CASSAGNE ‑ (Amabile) Di nuovo, signore...

MORICET ‑    (Molto freddo e sulle sue) Piacere, piacere!...

CASSAGNE ‑             (Si avvicina a Moricet) Signore, le dirò: sarebbe mia in­tenzione... (Moricet si spaventa per il tono del marito della sua presunta amante).

MORICET ‑    Ma io sono innocente!

CASSAGNE ‑             Meglio! Sarebbe mia seria intenzione... Farmi fare quanto prima una dozzina di camicie.

MORICET ‑    Prego?

DUCHOTEL ‑ (Sul punto di soffocare) Ci mancava solo questa!!

CASSAGNE ‑             (Continua sullo stesso tono) Le vorrei buone ma da non spendere più di quindici franchi al massimo.

MORICET ‑                (Dopo un tempo) Scusi, signore, abbia pazienza: ma a me?

CASSAGNE ‑             (Stupefatto) Come?

DUCHOTEL ‑                         (E’ passato dietro a Cassagne e spunta in mezzo ai due uomini e spinge impercettibilmente Cassagne verso sinistra) Ma natura­le! Che gliene importa a lui se tu hai bisogno di camicie?

CASSAGNE ‑ Non fa il camiciaio?

DUCHOTEL ‑ Sì, ma è in ferie!

MORICET ‑    Comunque, qui non è di camicie che si tratta, si tratta di pantaloni! E, a questo proposito, signore, non mi dispiacerebbe scambiare quattro chiacchiere con lei.

CASSAGNE ‑ A sua disposizione.

DUCHOTEL ‑             (Si agita in mezzo ai due per impedire loro di parlare) Ma perché? Che vi dovete mai dire?...

CASSAGNE ‑             Lasciaci stare... Dobbiamo parlare!...

MORICET ‑    Lasciaci stare... Dobbiamo parlare!...

DUCHOTEL ‑             (Li separa con le due braccia) E io vi dico di no!... Se entra mia moglie e vede che facciamo conversazione senza di lei?!...

MORICET ‑    (Si allontana spazientito verso il fondo) Oooohh!

CASSAGNE ‑             (Insistendo) Ma che male c'è se il signore mi parla, scusa?

DUCHOTEL ‑             (Se lo fa passare davanti e lo spinge verso la porla di de­stra) Ti vuole raccontare come si taglia una camicia: è una sua mania, ma tanto a te... vai di là, vai...

CASSAGNE ‑             (Duchotel lo spinge verso la porta di destra e così lui gli parla, con la testa voltata, sopra la spalla) Perché?

DUCHOTEL ‑                         (Sempre spingendolo) Perché... mi deve prendere le mi­sure, ecco! (Si ferma e piazza un argomento che non ammette repliche) Devo spogliarmi tutto nudo! (Ricomincia a spingere Cassagne) Per di qua!...

CASSAGNE ‑ (Si volta) Va bene, ma il commissario?

DUCHOTEL ‑             (Lo fa piroettare, prendendolo per le spalle) Tichiamo io quando arriva. Vai...

CASSAGNE ‑ Vado, vado. Ma non dimenticartene (Esce a destra).

DUCHOTEL ‑             (Gli chiude la porta dietro) No! (Si accascia contro la por­ta) Uff! Che giornata! (Facendo un violento sforzo su se stesso, è pronto a ricominciare la lotta e va dritto verso Moricet che, durante l'azione prece­dente, è arrivato a poco a poco verso l'estrema sinistra) Ed eccomi a te. Che dovevi dirmi?

MORICET -    E me lo domandi? I miei pantaloni? Dove sono i miei pantaloni?

DUCHOTEL ‑ E’ tutto qui?... Eccoli, eccoli! Non se li è mangiati nessuno! (Così dicendo, è andato a prendere i pantaloni sulla sedia dove li aveva poggiati e li porta a Moricet).

MORICET ‑    (Se li stringe al petto, come fossero un tesoro ritrovato) Aaaahh!

DUCHOTEL ‑             Quante storie per un paio di pantaloni...

MORICET ‑    (Tastandoli) E quello che c'era in tasca?

DUCHOTEL ‑             (Offeso) C'è ancora!... No, per dire, non mi dirai che credi che io abbia arraffato dentro le tua tasche!...

MORICET ‑    (A parte) Finalmente la lettera èmia! (Ad alta voce) E adesso, veniamo a noi! Stanotte ti sei comportato da vero amico, eh?

DUCHOTEL ‑                                      Io?

MORICET ‑    Ma le sai le conseguenze della tua bravata?

DUCHOTEL ‑             (Con disprezzo) Sì, me l'hanno detto. Ti sei fatto pizzicare al posto mio.

MORICET ‑    Ecco!

DUCHOTEL ‑             E’ una vera disdetta, amico mio... comunque, meglio cosi che se avessero preso me.

MORICET ‑    (A bocca aperta) Come sarebbe "meglio cosi'”. Ma guarda che sei un bel tipo!! Però io non ci sto a pagare i conti degli altri ed esigo che me ne tiri fuori!

DUCHOTEL ‑             Io?! (Con una calma che non ammette repliche) Non ci pen­so nemmeno!

MORICET ‑    Eeeehh?

DUCHOTEL ‑ (Scaldandosi un poco) Ma scusa, sai dirmi cosa c'entro io? E’ colpa mia se tu sei fatto beccare tu?

MORICET ‑    (Non crede alle sue orecchie) Ma io... Non... Tu... lo... lo sta­vo... Sei tu che... Perché io... Capito?!!!!

DUCHOTEL ‑             Adesso parlo io! Per salvare l'onore della mia amante, ri­schio di rompermi il collo, scavalco finestre, valico balconi; compio mi­racoli d'equilibrismo che neanche Arsenio Lupin; riesco a salvare la si­tuazione; e solo perché il commissario si ritrova fra i piedi uno scemo in mutande...

MORICET ‑    I pantaloni me li avevi fregati tu!

DUCHOTEL ‑             (A botta e risposta) Peggio per te che non ce l'avevi indos­so!Cosìimpari a non andare in giro in mutande! Se lo scopre l'Ordine dei medici!...

MORICET -    Allora, secondo te, la cosa deve finire così?

DUCHOTEL ‑             Sono affari tuoi! lo so soltanto che non hanno preso me! Non hanno preso me! Non voglio sapere altro!

MORICET ‑    lo ti!... lo!...

DUCHOTEL ‑ Zitto! mia moglie! (Va verso il fondo scena).

Scena ottava‑ Gli stessi, Leontine

Leontine entra da sinistra e si dirige verso il secrétaire senza accorgersi dell'esistenza degli altri, altera com'è! Ha in mano un giornale e diverse carte. Mentre passa, sbatte il giornale sul tavolo centrale e prosegue verso il secrétaire, dove vuole mettere a posto le altre carte.

DUCHOTEL ‑ (A parte, avendo osservato la scena) Uhmmm! Non si è an­cora calmata...

MORICET ‑    Buongiorno, signora...

LEONTINE ‑   (Affaccendata al secrétaire. Fredda) Ah, èlei, Moricet?... Giorno...

DUCHOTEL ‑             (Come un bambino che vuol farsi perdonare) Leontine!

LEONTINE ‑   (Degnandosi di voltare appena la testa) Sì?

DUCHOTEL ‑ Ce l'hai ancora con me?

LEONTINE ‑   (Con un sorriso forzato, mentre chiude il secrétaire) lo? Guarda, ho ben altro per la testa... (Casualmente, a Moricet che, in­tanto, si è buttato sulla spalla i pantaloni che prima teneva arrotolati). E quei pantaloni sulla spalla che mi rappresentano? (Spavento di Du­chotel).

MORICET ‑    (Con tono ugualmente casuale) Quali? Questi? Ah, questi me li ha restituiti Duchotel.

DUCHOTEL ‑ (A parte) Che idiota!

LEONTINE ‑   (Mordace, a Duchotel) E come mai restituisci a Moricet i pantaloni di Cassagne?

DUCHOTEL ‑             Quando mai? Chi glieli ha restituiti? No, niente, me li... ero appena levati, vero?... Non sapevo dove metterli e allora glieli ho sbattuti sulla spalla... Ma me li riprendo subito... Ecco! (Ha afferrato le gambe dei pantaloni che penzolavano sulla schiena di Moricet).

MORICET ‑    (Era voltato di schiena e fa rapidamente dietro front e tira i pantaloni dalla sua parte) Hei! Neanche per sogno!

DUCHOTEL ‑             (Li tira dalla sua parte) Molla!... Molla!...

MORICET ‑    (Sempre tirando) Nemmeno se mi ammazzi!

DUCHOTEL ‑             Ti ordino di lasciarli: sono più vecchio di te!

LEONTINE ‑   (Con ironica serietà) Ma via, li lasci, signor Moricet, tanto sono i pantaloni di Cassagne...

MORICET ‑    (Con un colpo secco, tira via bruscamente, i pantaloni dalle mani di Duchotel) Ma chi lo dice?! Sono miei!

DUCHOTEL ‑             Ebbene si, Leontine! E’ vero! Potrei fingere ancora ma pre­ferisco dirtelo francamente: quei pantaloni sono di Moricet.

LEONTINE ‑   (Trionfante) Oh! ... Era ora!... E qui ti volevo. E la caccia? Eh? Confessi anche della caccia?

DUCHOTEL ‑             Sì, si, confesso tutto, tanto, a questo punto, che io dica tutto o niente...

LEONTINE ‑   Infatti...

DUCHOTEL ‑             No! Non sono andato a caccia, né con Cassagne, né con altri.

LEONTINE ‑   Lo dicevo io!

Scena nona‑  Gli stessi, Cassagne

CASSAGNE ‑             (Sulla soglia della porta di destra) Senti un po', non ti sarai mica dimenticato di me?

DUCHOTEL ‑ Dimenticato?... No, no...

CASSAGNE ‑             (A Leontine) Ah, signora, scusi... (A bassa voce a Duchotel) Adesso ti salvo io... (Ad alta voce a Leontine) Le volevo dire che poco fa non avevo capito la sua domanda: ma certo che io e Duchotel siamo stati a caccia insieme!...

DUCHOTEL ‑             Ma porc!... (Leontine e Moricet scoppiano a ridere).

LEONTINE ‑   Ma davvero?

MORICET ‑    (A parte) Ha proprio un tocco infallibile.

DUCHOTEL ‑             (Ad alta voce) Ma statti zitto, tu!... (Autoritario) Zitto! Mia moglie lo sa benissimo che non siamo stati a caccia insieme. Che significa­no questo schifo di bugie?...

CASSAGNE ‑ Scusa tanto! Ma non eri tu che...

DUCHOTEL ‑             lo niente! Zitto e basta! (Girandosi verso gli altri con le braccia incrociate) E’ unbrav'uomo ma è un bugiardo... (A Cassagne) Adesso vai di là! (Lo spinge verso la porta di destra).

CASSAGNE ‑ Certo che, con te, non si sa mai che pesci prendere...

DUCHOTEL ‑ E allora non pescare, tanto il pesce non mi piace! Va di là!

CASSAGNE ‑ (Si lascia spingere) Vado, vado... Ma ti ricorderai che ci so­no anch'io, quando arriva il commissario?

DUCHOTEL ‑ (Spingendolo) Sì, sì...

CASSAGNE - Ma che banderuola! (Uscendo) E io m'aggi'a suppurtà que­sta firgogna di mariunette... (esce).

DUCHOTEL ‑             (Chiude la porta dietro Cassagne e, da lì, si rivolge agli al­tri freddamente, dopo una pausa) Mai visto nessuno così distrutto da un colpo di sole!

LEONTINE ‑   (Appoggiata contro il tavolo, con tono indifferente) Cos'è questa storia del commissario, di cui parlava Cassagne?

DUCHOTEL ‑             (Le si avvicina) li commissario?... No, niente, una cosa sen­za importanza... è per sua moglie che è stata beccata in flagrante.

LEONTINE ‑   (C.s.) Con te.

DUCHOTEL ‑             (Storditamente) Con me!... (Si corregge) No, che con me, cosa mi fai dire?... E suo marito sarebbe qui se fosse stato con me?

LEONTINE ‑   Allora chi è la donna dalla quale sei andato?

DUCHOTEL ‑ lo? lo non sono andato. da nessuna donna!

LEONTINE ‑   (Alza le spalle) Suvvia, tesoro, non vorrai ancora prendermi in giro...

DUCHOTEL ‑ Ma te l'assicuro! Io non ho nessuna donna! Vero Moricet?

MORICET ‑    (Nel frattempo è andato a sedersi vicino al camino, quasi di schiena al pubblico) Ah, io non so niente, amico mio, che c'entro io?

DUCHOTEL ‑    (A denti stretti) E grazie!

MORICET ‑    (Come lui) A buon rendere!...

LEONTINE ‑   E allora perché fingere di andare a caccia?

DUCHOTEL ‑             Perchéeee?.. Sorpresa!... Una sorpresina per te...

LEONTINE ‑   Ma pensa...

DUCHOTEL ‑ Una casetta in riva al mare che vorrei affittare per te.

LEONTINE ‑   Frottole! Non avresti fatto tanti misteri! Qui sotto c'è una tre­sca con una donna!

DUCHOTEL ‑             E invece c'è una casetta sul mare... Non c'è nessuna donna qui sotto! (Indica col gesto sotto di sé).

LEONTINE ‑   (Con lirica indignazione) E io, nel frattempo, aspettavo, in­genua e fiduciosa, sotto il tetto coniugale!...

DUCHOTEL ‑ Ma guarda che...

LEONTINE -   Il guaio è che sono una donna onesta, io!... Una donna fede­le, io!... Vero Moricet?

MORICET ‑    (Sempre seduto. Con grave assenso) Oooooooohhhhhhh!!!!

DUCHOTEL ‑             Ma anch'io sono una... sono un... vero Moricet?

MORICET ‑    (Con intonazione diversa, come per significare, ironicamente: "non sai quanto!") Eeeeeehhh!!!

LEONTINE ‑   Il guaio è che io non ho mai cercato di tradire mio marito, io... Vero Moricet?

MORICET ‑    (intonazione che significa "purtroppo!") Eeeeehhhh!!!

DUCHOTEL ‑             Nemmeno io mi sono mai sognato di tradire mia moglie!... Vero Moricet?

MORICET ‑    (Intonazione che significa: "non sai quante volte?") Eeeeehhh!... Insomma, siete come l'arma dei Carabinieri: nei secoli fedele! Va bene?

Scena decima ‑ Gli stessi, Babet, poi Gontran

BABET ‑         (Annunciando) Il signor Gontran.

TUTTI ‑           (Trasaliscono) Gontran?!!!... (Moricet si è, istintivamente, avvicinato a Leontine che si avvicina a lui anche lei. Duchotel sta per naufragare completamente. Sono inchiodati sul posto, tutti e tre. Ba­bet si sposta per lasciar passare Gontran ed esce, nel silenzio più gla­ciale).

GONTRAN ‑   (Si ferma sul fondo e incrocia le braccia, scuotendo la testa con malizia sbarazzina) E bravi! Si può sapere che ci facevate, questa not­te, a via degli...

TUTTI ‑                       (Sobbalzando) Phum! Phum! Phum!... (Tosse da sanatorio per co­prire la voce di Gontran).

DUCHOTEL ‑             (Schizza fulmineo vicino a Gontran) Caro, caro il nostro Gontran! ... (Se lo tira vicino, come per parlargli sottovoce, trascinandolo, così, verso il proscenio) Che bellasorpresa!

LEONTINE ‑   (Seguita da Moricet, ha abbozzato lo stesso movimento di Duchotel è arrivata troppo tardi per raggiungere Gontran e quindi ri­torna verso la ribalta, sempre seguita da Moricet e corre vicina a Gontran) Ah, caro Gontran, che tu sia il benvenuto! (Gli afferra la mano destra e tira il ragazzo a sé. Anche Duchotel lo tira dalla sua parte. Allora Leontine, aiutata da Moricet, tira più forte).

GONTRAN ‑   (Sbalordito e quasi squarciato vivo) Ma cosa avete tutti quanti? (Duchotel ha impresso una scossa violenta a Gontran, strap­pandolo dalle mani di Leontine che, per il contraccolpo, cade addosso a Moricet).

DUCHOTEL ‑             (Profitta della situazione per trascinare Gontran a de­stra, prima che Leontine abbia potuto tornare su di lui. Sottovoce, concitato) Acqua in bocca per stanotte. Ci sono cinquecento franchi per te! (Lo lascia andare e lo respinge leggermente dalla spalla destra, spe­dendolo dalla parte di Leontine e assumendo un atteggiamento indiffe­rente).

LEONTINE ‑   (E’ corsa vicina a Gontran, lo riacciuffa e se lo trascina ver­so sinistra. Sottovoce, concitata) Acqua in bocca per stanotte! Avrai i cin­quecento franchi che volevi (Lo lascia andare, respingendolo leggermente dalla spalla sinistra, così da inviarlo verso Duchotel e assumendo, come lui, un atteggiamento indifferente. Lo stesso fa Moricet).

GONTRAN ‑   (Piacevolmente sorpreso) Oggi è la mia beneficiata!... (Tutti e quattro restano allineati, faccia al pubblico, senza dire niente. Duchotel, Leontine e Moricet, finalmente indifferenti. Gontran li osserva, sempre più stupito).

LEONTINE ‑   (Insieme agli altri. Dopo una pausa) Come stai Gont ...

DUCHOTEL ‑             (Insieme agli altri. Dopo una pausa) Come stai Gont ...

MORICET ‑    (Insieme agli altri. Dopo una pausa) Come stai Gont...

                        (Si guardano imbarazzati). .

GONTRAN ‑   (Dopo averli bene osservati, l'uno dopo l'altro) E voi? Vi sentite bene?

DUCHOTEL ‑             (Prende una decisione. A Gontran) Va bene! E’ stato un pia­cere!...

LEONTINE ‑   (In coro) Sì,certo, giusto, è stato un piacere!

MORICET ‑    (In coro) Sì,certo, giusto, è stato un piacere!

DUCHOTEL ‑ (Spingendolo verso l'uscita) Torna più tardi ché noi dobbiamo discorrere.

GONTRAN ‑   Ma!...

DUCHOTEL ‑ (A bassa voce, a Gontran, sul fondo scena) Va ad aspettar­mi nel salone, ti porto quei cinquecento franchi (Torna in avanti).

GONTRAN ‑   Va bene. Arrivederci zietta.

LEONTINE ‑   (Ha risalito la scena verso di lui) Ciao, Gontran, (A bassa voce) Va' ad aspettarmi nel salone, ti porto quei cinquecento franchi.

GONTRAN ‑   Certo. (A parte, mentre Leontine torna in avanti) Anche lei nel salone... ci sarà un bel traffico! (Esce dal fondo).

DUCHOTEL ‑             (A parte. Rassicurato) Ecco fatto! Così non mi romperà più le uova nel paniere!

LEONTINE ‑   (A bassa voce a Moricet) L’abbiamo scampata bella!

Sono tutti e tre in proscenio, Duchotel a destra, Moricet e Leontine a sini­stra. Momento di rilassamento. Tutti i pericoli sembrano scongiurati e si può respirare. Ma, improvviso, squilla un violento suono di campanello che fa trasalire i tre personaggi. Sui loro volti si dipinge la stessa espressione di scoraggiamento, per la prospettiva di una nuova complicazione. Leontine e Moricet si sono istintivamente avvicinati l'uno all'altra. Duchotel si passa la mano sulla fronte, sfinito. Tutto questo e quel che segue è recitato da ognuno fermo al proprio posto

DUCHOTEL ‑             (Per farsi forza e per distrarre sua moglie dalla propria preoccupazione, assume un tono scherzoso che non inganna nessuno) Han­no... suonato.

LEONTINE ‑   (Con lo stesso sentimento di suo marito, scuotendo appe­na la testa in senso affermativo e con un sorriso forzato) Sì, sì, hanno suonato

MORICET ‑    (L'ultima ruota del carro) Hanno suonato (Una pausa).

DUCHOTEL ‑             (C.s.) Chi può essere?

LEONTM ‑      (C.s. allargando le braccia) Boh?

MORICET ‑    (Come Leontine) E chi lo sa?

Scena undicesima‑ Gli stessi, Babet, poi Bridois

BABET ‑         (Annuncia dal fondo) Ilsignor Bridois.

DUCHOTEL - (Senza muoversi, né voltarsi. Con lo stesso stato d'animo di prima) C'è... c'è il signor Bridois!

LEONTINE ‑   (C.s. Confermando) C'è il signor Briiiii....

MORICET ‑    (C.s.) ... dois!

DUCHOTEL ‑ (A Leontine) Tu...conosci il signor Bridois?

LEONTINE ‑   lo no, per niente. (A Moricet) Lei conosce il signor Bridois?

MORICET ‑    Mai visto.

DUCHOTEL ‑ E io nemmeno... (A Babet) E beh... lo faccia entrare!

Tutti e tre aspettano, faccia al pubblico, in preda a visibile imbarazzo.

BABET ‑         (Parla in quinta) Prego, signore, si accomodi! (Introduce Bridois ed esce).

BRIDOIS ‑      (Entra e saluta. Ha un pacchetto sotto il braccio) Signori!

Duchotel, Leontine, Moricet si rivoltano contemporaneamente alla voce di Bridois e un contemporaneo sussulto li fa tornare con la faccia verso il. pubblico.

LEONTINE ‑   (Insieme agli altri) Il commissario di Polizia.

DUCHOTEL ‑             (Insieme agli altri) Ilcommissario di Polizia.

MORICET ‑    (Insieme agli altri) li commissario di Polizia.

LEONTINE ‑   (A bassa voce a Moricet)  Oh, santo Cielo, ci riconoscerà!

DUCHOTEL ‑             (A parte) Lui!... E mia moglie è proprio qui! (Si avvici­na a Leontine, preoccupatissimo) ...èper quella questione di Cassa­gne...

LEONTINE ‑   (Preoccupata quanto lui) Sì,ho capito...

BRIDOIS ‑      (Viene avanti) Il signor Duchotel?

DUCHOTEL ‑             (Avvicinandosi al commissario e trascinato dal suo stesso ingranaggio di bugie) E’ lui! (Si corregge) Ehm... sono io signore. (Fingen­dosi premuroso, come se non avesse niente da nascondere) Lei è qui per la questione di Cassagne, so già tutto. Cassagne è di là, vado a chiamarlo. Qui c'è già il signor Moricet... (Si dirige verso destra).

BRIDOIS ‑      (Fermo al suo posto) Infatti! (S'inchina) E se non sbaglio la si­gnora Moricet?

LEONTINE ‑   (Insieme) Patatrac!

MORICET ‑    (Insieme) Che Dio lo fulmini!

DUCHOTEL ‑             (Alle parole di Bridois s'è fermato) Ma quale signora Mori­cet! (Indica Leontine) La signora è mia moglie!

BRIDOIS ‑      (Meravigliato) Ah, è ..

LEONTINE ‑   (Molto imbarazzata) Sì, si, noi...

MORICET ‑    (C.s.) ... loro...

BRIDOIS ‑      (Stupefatto) Oh, poffarbacco!... (Poi, divertito, lancia un paio di colpetti di tosse e fa una piroetta, fischiettando, come chi ha capito tutto. Duchotel è uscito a destra).

LEONTINE ‑   (Appena uscito Duchotel, si precipita verso Bridois, seguita da Moricet) Signore, permetta che io le spieghi...

MORICET ‑    E’ semplicissimo...

BRIDOIS ‑      (Li interrompe, col tono del perfetto uomo di mondo) Non una parola, signora! Il funzionario è muto... (Saluta con rapidi colpi di tacco) E l'uomo di mondo ignora e invidia.

LEONTINE ‑   Ah... muto?

BRIDOIS ‑      Segreto professionale!

Leontine e Moricet sospirano di sollievo. Poi tornano verso sinistra. Bridois va alla destra del tavolo, sul quale poggia il pacchetto che teneva

Scena dodicesima ‑ Gli stessi, Duchotel, Cassagne

DUCHOTEL ‑                         (Entra da destra, seguito da Cassagne) Ecco il signor Cas­sagne!

CASSAGNE ‑             (Passa davanti a Duchotel e va vicino a Bridois) Ah, signor commissario l'ho pregata di venire qui solo perché ci tenevo che la pratica venisse istruita in presenza del mio amico Duchotel.

DUCHOTEL ‑ (Sulla destra; a Leontine) Vedi?

BRIDOIS ‑      E io ho accettato, tanto più che sono stato sollecitato a farlo dallo stesso imputato che, difendendosi energicamente dall'addebito rivol­togli, mi ha assicurato che è propriamente in questa casa che sapremo chi è il vero colpevole.

MORICET ‑    Ben detto! (Va verso il fondo).

CASSAGNE -             (Ripete meccanicamente) Ben detto... (S'accorge che era proprio Moricet quello che ha parlato. A parte) Ma guarda un po'! Di che s'impiccia il camiciaio?

DUCHOTEL ‑             Sono d'accordo anch'io (A Leontine, desideroso di non far­la assistere al colloquio) Senti, cara, qui dobbiamo tirare in ballo una que­stione personale di Cassagne, perciò è meglio che ci lasci...

CASSAGNE ‑ (Con galante vivacità) E perché mai? La signora non è di troppo! La prego, signora, rimanga... .

DUCHOTEL ‑ (A parte) Oh! Questo non perde un colpo, eh?...

Siedono tutti: Leontine all'estrema sinistra, vicina al camino; Moricet alla sinistra del tavolo, Bridois alla destra del tavolo; Cassagne vicino a Bri­dois; Duchotel va a prendersi una sedia fuori dalla porta di destra e si sie­de all'estrema destra. Il gruppo si è così sistemato quasi a ferro di cavallo

BRIDOIS ‑      Signori... è d'uopo che vi ragguagli su fatti e antefatti. Su que­rela del signor Cassagne, io, questa notte, ho sorpreso la signora Cassagne in flagrante adulterio...

CASSAGNE ‑ (Si alza in piedi) Chiedo scusa!

BRIDOIS ‑      (Meravigliato, si alza anche lui) Prego?

CASSAGNE ‑             (Con enfasi) Complimenti! Accetti i miei complimenti! (Si accorge dello stupore di Bridois e allora aggiunge, come spiegazione) Ilmarito sono io!

BRIDOIS ‑      Ah! Congratulazioni! (Si scambiano una riverenza, poi si risiedono) Responsabile della cattura del di lei correo che aveva trova­to l'attimo fuggente per dileguarsi dalla finestra ma che sapevamo do­versi trovare, nel migliore dei casi, in mutande, poiché nella fuga, ave­va obliato i pantaloni, io scatenai sulle di lui tracce un mio scagnozzo che, cinque minuti dopo, mi consegnava individuo dall'abbigliamento sommario, arrestato nell'appartamento accanto: tale signor Moricet, per l'appunto.

MORICET ‑    (Protestando). è una coincidenza! Sono vittima di un errore giudiziario!

CASSAGNE ‑             (Salta in piedi, lanciando un grido di sorpresa) Ooooohh!

TUTTI ‑           (Sobbalzano) Che c'è?

CASSAGNE ‑ (Indica Moricet) Ma allora è lui!

DUCHOTEL ‑             (A bassa voce a Cassagne) Certo che sei un tempista ecce­zionale...

MORICET ‑    Io cosa?

CASSAGNE ‑             (Capisce in ritardo) Niente, niente... (A mezza voce, a Du­chotel) E tu m'avevi detto che era il camiciaio!...

DUCHOTEL ‑             (In piedi. Epico) Per il terrore che potesse scorrere del san­gue!... Tu ci avevi messo una paura!... (Si risiede).

CASSAGNE ‑ (Pover'uomo) Io ?

BRIDOIS ‑      Come potete constatare, il signor Moricet contesta fermamente l'imputazione e, in effetti, se le apparenze lo distruggono, devo dire che certe circostanze sembrano dargli ragione. Per prima cosa, l'abbiamo mes­so a confronto con i pantaloni, trovati a casa della signora, che non gli stan­no bene per niente!

MORICET ‑    Questa è un prova probante!

BRIDOIS ‑      (Si alza e prende il pacchetto che aveva posato sul tavolo) D'altronde, ci siamo premurati di portare qui il corpo del reato.

DUCHOTEL ‑ (Si alza e, passando davanti a Cassagne, va prontamen­te accanto a Bridois) Ma è perfettamente inutile, scusi... A che serve? Che bisogno c'è di identificare il complice? Avete sorpreso la signora Cassagne? Avete trovato dei pantaloni maschili a casa sua? Mi pare che basti, no?

CASSAGNE ‑             (In piedi, categorico) Per me basta!

DUCHOTEL ‑             Anche per me! (Torna al suo posto, passando dietro a Cas­sagne).

BRIDOIS ‑      Sì, ma non basta alla legge! Non è sufficiente un "tete‑a‑tete" di una donna sposata con un pantalone, perché se ne possa desumere un flagrante adulterio! è indispensabile il contenuto del pantalone! (Di­cendo queste ultime parole ha scartato il pacchetto e tirato fuori i pantalo­ni che si srotolano) Ed ecco il "deus ex machina" (Tutti si alzano ad ammi­rare, stando fermi al proprio posto).

DUCHOTEL ‑             (A parte) Proprio davanti a mia moglie!... Li riconoscerà! (Guarda Leontine che, alla vista dei pantaloni, ha avuto un'espressione si­gnificativa e che sta guardando il marito, con le braccia incrociate, scuo­tendo la testa con aria beffarda) Ci siamo!

BRIDOIS ‑      Ed ora non ci resta che individuare il padrone del reperto.

Gesto di Leontine a Duchotel che significa: "ma sono tuoi è evidente ". Ge­sto di protesta di Duchotel. Leontine risponde alzando le spalle. Nuovo ge­sto di protesta di Duchotel.

BRIDOIS ‑      (Ha notato tutta la pantomima) Possoprocedere?

DUCHOTEL ‑             Prego!

LEONTINE ‑   Prego!

BRIDOIS ‑      (Ritornando a bomba) Già!... Ma come si fa a trovarlo?

CASSAGNE ‑             Ah, ecco.

DUCHOTEL ‑             Davvero! Come si fa? No, per dire, il signor commissario non può mica piazzarsi per la strada e provare questi pantaloni a tutti quelli che passano!... è un'inchiesta da archiviare.

BRIDOIS ‑      Noi non archiviamo cosi!... Come fosse niente!... Possiamo ri­salire al cliente, attraverso il sarto indicato nell'etichetta (La mostra).

DUCHOTEL ‑             (A parte. Con un attacco di disperazione) Ah! Non ne uscirò mai più!

Scena tredicesima‑ Gli stessi, Gontran

GONTRAN – (Entra dal fondo e viene avanti deciso, fino a trovarsi fra Bridois e Cassagne) Vi siete dimenticati di me in salone! (Vede i pan­taloni tra le mani di Bridois. Senza esitazione) Toli,guarda! I miei pantaloni!

TUTTI ‑           Eh?

DUCHOTEL ‑             (Schizza in piedi e scosta bruscamente Cassagne per acco­starsi a Gontran) I suoi pantaloni! Avete sentito tutti? Ha detto «i miei pan­taloni!».

GONTRAN ‑   (Innocente) Perché, che c'è di strano?

DUCHOTEL ‑ Niente, niente!... (Sottovoce a Gontran) Cinquecento fran­chi per te se confermi che i pantaloni sono tuoi!

GONTRAN ‑   Eh?

BRIDOIS ‑      (Stupito, a Gontran) Lei ammette che questi pantaloni sono suoi?

GONTRAN ‑   Ora più che mai!

BRIDOIS –     Allora ammetterà anche che questa notte si trovava in via degli Atenei 40?

GONTRAN -   Toh, guarda! E lei come lo sa?

DUCHOTEL ‑             (Eccitatissimo) Visto, signori? Confessa! Confessa!

TUTTI ‑           (Sbalorditi) Ooooh!

GONTRAN ‑   (tipo buonfigliolo) Ma certo, perché no?

DUCHOTEL ‑             Adesso tutto è chiarito! (Sottovoce a Gontran, mentre gli stringe la mano dietro la schiena) Sei proprio un bravo ragazzo, va!...

BRIDOIS ‑      (Tira fuori il suo carnet. A Gontran) Generalità?

GONTRAN ‑   Prego?

BRIDOIS ‑      Come si chiama?

GONTRAN ‑   (A parte) Ma questi sono tutti scemi! (Ad alta voce) lo Gon­tran Morillon e lei?

CASSAGNE ‑ E possiamo chiederle che ci è andato a fare a via degli Ate­nei 40?

GONTRAN ‑   Toh, mi pare ovvio! Sono andato a trovare la mia ganza.

TUTTI ‑           (Scandalizzati) Oh!

CASSAGNE ‑             (Sarcastico) "La sua ganza”. Si direbbe che lei non sospetti nemmeno lontanamente che la sua "ganza" era anche la mia!

GONTRAN ‑   (Disgustato) La sua? (Esplodendo) Allora il vecchio è lei?

TUTTI ‑           (Compreso Cassagne) Il vecchio?

GONTRAN ‑   Sì, il vecchio che mi costringeva a ficcarmi nell'armadio!

CASSAGNE ‑             Adesso te lo do io il vecchio! (Si avvicina a Bridois) Ne prenda atto, signor commissario, ne prenda atto.

GONTRAN ‑   (A bocca aperta) Commissario?

CASSAGNE ‑ Spero che adesso potrò finalmente ottenere il mio divorzio!

GONTRAN -   Il suo divorzio? Ma che dice? Ma lei chi è, scusi? Lei non è il fesso che paga?

CASSAGNE ‑ (Tuonando) lo sono il marito, signore!

GONTRAN ‑   (A parte) Il signor Des Voitures? (A Cassagne) Ma signore, io non sapevo che fosse sposata! Non me l'aveva detto! Le giuro che non m'aveva detto niente.

CASSAGNE ‑             Basta così, signore! Ora so quello che volevo sapere e mi re­golerò di conseguenza! Signori, statevi bene... (Esce dal fondo).

GONTRAN ‑   (Gli va dietro) Ehi, signore, no, ma... senta ... signore? (Esce).

MORICET ‑    (A parte) lo non ci capisco un acca.

DUCHOTEL ‑                         (A parte, tornando fra gli altri) E va bene! Un peso di meno.

BRIDOIS ‑      (Prendendo il suo cappello) Allora io vado. La mia missione è compiuta. Non mi resta che chiederle scusa, signor Moricet.

MORICET ‑    Non c'è di che, signor commissario.

BRIDOIS ‑      (A Leontine) Signora, i miei rispetti. Servo suo, signor Duchotel.

DUCHOTEL ‑             (Molto amabilmente) L’accompagno.

BRIDOIS ‑      (C.s.) Non s'incomodi, la prego.

DUCHOTEL ‑             (Risale la scena) Da questa parte. (Fa passare il commissa­rio e lo segue) Che fortuna, ragazzi!

Scena quattordicesima‑ Moricet, Leontine, poi Duchotel

MORICET ‑    Cose da pazzi!... Mi è capitato un vero e proprio errore giudiziario...

LEONTINE ‑   Già!... Ma non creda che tutto questo modifichi in qualche modo la mia posizione. Può aver preso in giro il commissario, ma non me. Intanto, visto che siamo soli, mi restituisca la lettera.

MORICET ‑    Ah, sì, giusto. Dove sono i pantaloni? (Va a prenderli sul camino dove li aveva posati arrotolati e torna indietro) Oggi è la sagra. dei pantalone!

LEONTINE ‑   Faccia presto! A dopo le battute di spirito.

MORICET ‑    Ecco, ecco! (Prendono, ciascuno da un lato, i pantaloni dalla cintura e Moricet fruga in tutte le tasche) Nella tasca della pistola, niente. (Cerca in una tasca laterale) Il portamonete, il fazzoletto... no, non è in questa. (Cerca nell'altra) Il tira‑bouchon... Maledetto! E’ tutta colpa tua!

LEONTINE ‑   Che dice?

MORICET ‑    Sì, è colpa sua se lei ha cambiato idea.

LEONTINE ‑   Sì, va bene ma si sbrighi!

MORICET ‑    (Fruga bene e appare, improvvisamente, molto preoccupato) E questa lettera?... Andiamo bene... Non c'è! Non c'è più!

LEONTINE ‑   E’ impossibile! Cerchi meglio!

MORICET ‑    C'è poco da cercare!... Una gamba!... Un’altra gamba!... Io ne ho solo due!

Ciascuno dei due cerca disperatamente dentro una tasca dei pantaloni. Du­rante questa azione, Duchotel appare dal fondo, viene avanti, senza essere veduto e arriva così in mezzo ai due, come spuntando da sopra i pantaloni che loro tengono appesi per la cintura

DUCHOTEL ‑             (Col naso che spunta fuori dall'indumento) Ehilà! Che state facendo?

MORICET ‑    (Interdetto) Eh?... Oh!... (Non sa che dire) Facevo vedere i miei pantaloni alla signora.

DUCHOTEL ‑             (Facendo far loro una piroetta) Ah, molto interessante! (A Leontine) Allora, visto quella testa matta di Gontran? Chi se lo sarebbe im­maginato che dalla signora Cassagne c'era lui?

LEONTINE ‑   (Sorniona) Sì, sì ... (A parte) Tempo al tempo...

DUCHOTEL ‑             Quando penso che, per un momento, hai potuto sospettare di me... E invece era quella lenza!...

LEONTINE ‑   (Con sicurezza recitata) Sì, sì, del resto la cosa non mi mera­viglia. E’ un bel po' che Gontran mi aveva raccontato la sua storia con la si­gnora Cassagne.

DUCHOTEL ‑ (Impallidisce) Che dici?!

LEONTINE ‑   (Con finta meraviglia) Perché, tu non lo sapevi che era già un bel pezzo che quei due erano caffelatte e biscotto?

DUCHOTEL ‑ No! (A parte) Allora era vero!

LEONTINE ‑   (Rigirando il coltello nella piaga) Ed è proprio per mangiar­seli con lei che veniva a spremere soldi a te.

DUCHOTEL ‑ (Soffocato) Con lei?... Eh, già!... E io pagavo.

LEONTINE ‑   (C.s.) L’unica cosa che lo contrariava, povero figliolo, è che, a quanto pare, lei aveva anche un vecchio.

DUCHOTEL ‑             (Toccato nel vivo) Un vecchio? Chi è che ha detto un vecchio?

LEONTINE ‑   (C.s.) Lei... a Gontran.

DUCHOTEL- (C.s.) Macché vecchio e vecchio!... Non è possibile che ab­bia detto proprio così! "Un vecchio”

LEONTINE ‑   (Sorniona) Ma perché ti scaldi tanto, tu?

DUCHOTEL ‑             (Convinto) Tóh! Non sono mica un vecchio, io!

LEONTINE ‑   (Mettendogli una mano sulla spalla) Tu?

DUCHOTEL ‑ (Sentendosi in trappola) lo?... Eh?... lo che?

LEONTINE ‑   (Burlandolo) lo credo che tu sia spacciato, amico mio!

DUCHOTEL ‑             (Cercando ancora di risalire la corrente) No, vedi, adesso ti spiego...

LEONTINE ‑   (Stanca di tutte queste bugie) Ma smettila! Confessa, final­mente, tanto ormai è cosi evidente!... Questa notte, dalla signora Cassagne, c'eri tu.

DUCHOTEL ‑             (Si sente braccato e a corto di argomenti) E va bene!... Va bene!... Tanto, vedo che non ne vengo più fuori, a furia di bugie! Preferisco ammetterlo francamente. Sì. Stanotte, dalla signora Cassagne, c'ero io!

LEONITINE ‑ Finalmente ti sei deciso!...

DUCHOTEL ‑ (Con semplicità) lo non so mentire.

LEONTINE ‑   (Va verso Moricet) Sentito? Lui non sa mentire...

MORICET ‑    (Sorridendo, tanto per compiacere Leontine) Sì, sì... (Cambia tono) E se andassi di là? (Falsa uscita).

LEONTINE ‑   (Lo ferma) No, lei non è di troppo. (A Duchotel) Signore, fra noi è tutto finito!

DUCHOTEL ‑             (Infantile) No, Leontine, non fare così: ti prego, perdonami!

LEONTINE ‑   Mai e poi mai!

DUCHOTEL ‑             Ti supplico! (Si rivolge a Moricet) Ma dì qualcosa, tu! Non dici niente?

MORICET ‑    E che vuoi che dica? (A Leontine, con la più profonda indiffe­renza) Suvvia, signora, suvvia...

DUCHOTEL ‑ Lo senti?... Dà ascolto almeno a lui! ... E ti giuro che non ri­vedrò mai più la signora Cassagne!... Né lei, né altre ...

LEONTINE ‑   Si dice sempre così...

MORICET ‑    (Meccanicamente e senza accorgersi che sta aggravando la posizione di Duchotel) Sì, è vero, si dice sempre così...

DUCHOTEL ‑ (A Leontine) Basta con l'infedeltà, con la caccia, con i cesti di selvaggina! (Come se, improvvisamente, stesse per fare una grande con­fessione) E guarda, arrivo perfino a dirti, anche se nessuno mi costringe, che quel cesto... ebbene, quel cesto proveniva dal macellaio! (Fraintenden­do il riso burlatore di Leontine. Con dignità) Parola mia d'onore!... Del re­sto, se non mi credi, eccoti il conto (Si tasta le varie tasche e tira fuori, da quella della giacca, la lettera di Leontine. Ce l'ha già in mano, quando la memoria lo aiuta) Ma no, che sto facendo? Prima l'ho buttato nel fuoco. E allora questo biglietto cos'è?

LEONTINE ‑   (Trasalisce e si stringe, istintivamente, a Moricet) La mia lettera!

MORICET ‑    (C.s.) Già!...

DUCHOTEL ‑             (Ha aperto la lettera. A Leontine) Guarda, è la tua calligra­fia.

LEONTINE ‑   (Si precipita addosso a suo marito per prendergli la lettera) Sì, si... lo so!

DUCHOTEL - (Ha la lettera nella mano sinistra e, senza distogliere lo sguardo da essa, cerca di allontanare la moglie con il braccio destro) Ma lasciami fare, per favore.

MORICET ‑    (Insieme a Leontine) Oh, Madonna del Divino Soccorso!.

LEONTINE ‑   (Insieme a Moricet) Oh, Divina provvidenza!

DUCHOTEL ‑             (Legge con aria compunta) "Amico mio, io ho una parola sola: a questo punto, non c'è più nessun ostacolo fra noi". (Cerca nella me­moria. A Leontine) Ache proposito mi scrivevi ?

LEONTINE ‑   (Molto a disagio) Ma... non lo so...

MORICET ‑    (Intervenendo) Ecco: è stato... Una sera che c'era la luna piena...

DUCHOTEL‑ Ma di che t'impicci tu? Che ne puoi sapere? (Riprendendo la sua lettura) "Libera di me stessa, io mi consacro all'amore" (Lancia un grido) Ah!

LEONTINE ‑   (Trasalisce) Che accade?

MORICET ‑    (Trasalisce) Che c'è?

DUCHOTEL ‑ (Con convinta semplicità) Ora lo so!

MORICET ‑    (Insieme a Leontine. A parte. Con la gola secca) Lo sa!

LEONTINE ‑   (Insieme a Moricet. A parte. Con la gola secca) Lo sa!

DUCHOTEL ‑             (Molto lentamente come rievocando un ricordo) E’stato uno o due giorni prima dei nostro fidanzamento ufficiale. (Moricet e Leontine si guardano stupiti. Intanto, Duchotel riprende la lettura) "Ma è bene che si sappia che sono arrivata a questa risoluzione solo perché l'ha voluto Lui'!" (A Leontine) Proprio così: adesso ho capito tutto... Qui dice lui... Chi era questo lui? lo lo so. E voi?

LEONTINE ‑   (Insieme a Moricet. Tremebonda) Chi era?

MORICET ‑    (Insieme a Leontine. Tremebondo) Chi era?

DUCHOTEL ‑             "Lui" è... era...

LEONTINE ‑   (Insieme a Moricet) è o era?

MORICET ‑    (Insieme a Leontine)è o era?

DUCHOTEL ‑             (Dopo averci pensato un po', come decidendo) Era!... Era tuo padre.

MORICET ‑    Ma no!

DUCHOTEL ‑             (Con convinzione) E invece sì! (Moricet e Leontine repri­mono a stento uno scoppio di riso).

MORICET ‑    (Sospira di sollievo) Uff!...

DUCHOTEL ‑             (A Leontine) Tunon ci crederai ma io non me la ricordavo per niente questa lettera.

LEONTINE ‑   (Con finto rimprovero) No! Davvero non te la ricordavi?

MORICET ‑    (Arrabbiato) Come si possono dimenticare lettere come questa?

DUCHOTEL ‑             (Vivacemente come se si rimproverasse questo oblio) Ma adesso me la ricordo benissimo. Anzi... (Guarda seriamente Leontine e Moricet) èchiaramente una lettera che m'hai scritto per amore... E, senti, Leontine, in ricordo dei bei tempi, dei tempi in cui sapevi scrivermi così... lo ti chiedo perdono.          (Pausa).

LEONTINE ‑   (Passa a destra) Questo mai!

Scena quindicesima‑ Gli stessi, Gontran

GONTRAN ‑   (Entra dal fondo) Ilsignor Des Voitures non ha voluto sentire ragioni.

DUCHOTEL ‑             Gontran, unisciti a me per cercare d'impietosire tua zia.

GONTRAN ‑   (Non capisce) Io?

DUCHOTEL ‑             Leontine, ti prometto che d'ora in poi sarò un marito modello!

MORICET ‑    Lo perdoni, signora!...

DUCHOTEL ‑             (A Moricet, riconoscente) Grazie, insisti, insisti...

MORICET ‑    Vero è che è un grandissimo peccatore, ma...

DUCHOTEL ‑ E’ meglio che ti stai zitto, guarda...

LEONTINE ‑   No! Ho detto di no!

DUCHOTEL ‑ (Furioso) Oh, insomma!... Ma che avrò mai fatto!...

GONTRAN ‑   (Sottovoce a Leontine, mentre Duchotel discute a bassa voce con Moricet) Zietta, mi permetta di insistere!...

LEONTINE ‑   E’ inutile!

GONTRAN ‑   In nome di quella signora che si trovava, questa notte, a via degli Atenei 40...

LEONTINE ‑   (Toccata sul vivo) In nome di quella... (Precipitosamente, a Duchotel) E sia, d'accordo! Ti perdono!

TUTTI ‑           Oooh! Finalmente: Evviva!

LEONTINE ‑   Ma a caccia tu non ci vai più! Giuramelo!

DUCHOTEL ‑             (Graziosamente, baciando sua moglie sulla bocca) A caccia non ci vado più, lo giuro! Ma a pescare ci posso andare qualche volta?

LEONTINE ‑   Hai detto «pescare?». Non ho sentito bene la esse!..

Mentre tutti gli altri ridono, Leontine è fra le braccia del marito. Moricet va a riprendersi i pantaloni arrotolati sul camino. Guarda il suo libro che an­cora funziona da zeppa al "secrétaire " e lo saluta tristemente con la mano

MORICET ‑    "Angoscia” «Amici, a voi quel riso ma a me cosa rimane? Di pantaloni un paio e... Un appetito immane! / La tavola è imbandita, si, ma la vita è ingiusta: c'è chi nemmen si siede e chi tutto degusta!».

F I N E