Luigi Pirandello
Quando
si è qualcuno
Rappresentazione in tre atti
settembre-ottobre 1932
NOTA. Nel testo le battute del Protagonista sono segnate con tre asterischi.
PERSONAGGI
***, (qualcuno)
Giovanna, la moglie
Tito, il figlio
Valentina, la figlia
S. E. Giaffredi, l'amico
Modoni, l'editore
Cesare, il cameriere
Pietro, il nipote d'America
Natascia, sua moglie
Veroccia, sorella di Natascia
Scelzi, critico
Diana
Sàrcoli e altri due giovani delaghiani
Primo giornalista
Secondo giornalista
Commesso di una casa di dischi
Commissario di polizia
Madre superiora
Carlo, cameriere di Pietro
Due suore, ragazze e ragazzi d'un educandato
Fotografi, invitati
Due camerieri d'occasione
ATTO PRIMO
Scene
1.
Studio editoriale di
Pietro, editore per diletto. Chiara stanza con pochi mobili (facilmente
smontabili e asportabili). Nella parete di fondo, un enorme manifesto
illustrato a colori, con cui è stato lanciato americanamente il libro L'imbalconata,
liriche di Délago. Ai due lati di questo manifesto, due ritratti
ingranditi si voltano le spalle: a destra, quello di *** nel suo atteggiamento
ormai famoso, perché migliaja e migliaja di volte riprodotto in libri e stampe
d'ogni genere; a sinistra, quello del presunto Délago, cioè d'un bel giovane
sui vent'anni, che potrebbe anche essere una lontana immagine giovanile di ***,
ignota a tutti e irriconoscibile.
In luogo della parete
destra ci sarà a mezza altezza un tramezzo di vetri opachi, che non arriverà
fino in fondo e servirà a separare la parte riservata di qua al direttore da
quella (invisibile) riservata di là ai subalterni, segretario,
dattilografe, assenti perché domenica. Nella parete sinistra, un divano, due
poltrone, e poi l'uscio comune. Nel mezzo della scena la scrivania di Pietro.
La finestra s'immagina davanti a questa scrivania, nell'invisibile quarta
parete.
2.
Ma questa volta, la quarta parete, a un certo punto dell'atto, si vedrà: calerà cioè dall'alto un pezzo del muro esterno della villa con due ordini di finestre; e per dare agli spettatori la sensazione d'un improvviso cambiamento di prospettiva, la finestra dello studio, da cui s'affaccerà per un momento Veroccia, non sarà quella di faccia in primo piano, ma un'altra al secondo e un po' di lato. Per ottener questo effetto con l'opportuna rapidità, basterà impostare subito dietro la scena che cala una comoda scala a libro, alta non più di due metri, che sarà subito aperta e sostenuta per l'attrice che vi monterà e che dovrà sporgersi a quella finestra dalla cintola in sù.
3.
L'atrio della villa, magnifico, con la scala in fondo ben in vista che conduce ai piani superiori. L'entrata s'immagina sul davanti, nel proscenio, cioè sotto i due ordini delle finestre viste nel muro esterno. Ricchi ma pochi mobilidi nuovo stile, da atrio, che diano l'impressione d'una dimora provvisoria,di stranieri che abbiano lì per lì improvvisato una casa. (Questa terzascena sarà già preparata dietro la prima, perché il cambiamento delletre scene sotto gli occhi del pubblico dovrà essere rapidissimo.)
Al levarsi della tela sono in scena Pietro e Natascia. Pietro, intento a scrivere, e Natascia al suo ricamo, seduta sul divano. Pietro è sui trent'anni - capelluto e barbuto - testa alla De Musset - fulvo e lentigginoso - si butta a parlare con impeto e poi d'un tratto si chiude in un silenzio d'attesa e guardingo,tanto che scappa con gli occhi qua e là. Ma basta che Natascia alzii suoi a guardarlo; corre subito a baciarla e si calma. Perché Natasciaè terribilmente calma. Le pazzie che le passano per il capo sono visibili soltanto in quel suo ricamo, dove nessuno ci capisce nulla. Ma lei si sfoga così, per fare poi la saggia moglietta e l'affettuosa sorellina. Pausa. Tutt'a un tratto si ode di là dal tramezzo di vetri opachi il grido di *** a cui Veroccia ha dato una forbiciata nei capelli a tradimento. Tutta la prima parte della scena si svolgerà di qua e di là dal tramezzo.
*** Ma no! Sei pazza?
Che hai fatto?
Veroccia (Vivacissima e irata): Ora di qua, aspetta!
***(ribellandosi): Ma che di qua! Butta via
codeste forbici!
Veroccia (c.s.): No! Ancora! Ancora!
*** Via, ti prego, Veroccia, guarda: tutta una ciocca!
Veroccia: E ora l'altra di qua, lasciami fare!
Natascia (alzandosi per vedere che avviene di là): Che cos'è? Oh
Dio, gli ha tagliato i capelli!
Pietro (alzandosi a guardare anche lui): Sì, brava, Veroccia!
táglia! táglia!
***(sempre di là): Ah no! Ah no! Basta!
Pietro: Eh, ma non puoi mica restare così adesso, scusa! Giù le mani,
fa' vedere!
*** Ora che vengono a prendermi... - te l'immagini?
Veroccia: E apposta ti sviso! Per quelli che vengono a prenderti!
Natascia (con un grido di viva apprensione): Smettila,
Dio, Veroccia, con quelle forbici! Vi potete far male!
Pietro: No, dàgli, dàgli, Veroccia! Via tutta quella canutiglia!
Veroccia: Bisognerà per forza tagliare da quest'altra parte, adesso!
*** Lo so! Ma non tu! Lascia, taglio io!
Veroccia (pestando un piede): No! io! io!
Natascia (entrando a prenderla di forza e portandola di qua
riluttante): Oh insomma, Veroccia, basta! Lascialo! Vieni via!
Veroccia (appena sui vent'anni, rossa di capelli, nasino ritto, occhi
sfavillanti, tutta un fremito, venendo avanti, trascinata, con le forbici
ancora in mano): Ma non gli taglio soltanto i capelli, lo vuoi
capire? Lo stacco via da sé, lo libero da quella sua testa -
Pietro: - di pubblico dominio! Testa da moneta. (La indica nel
ritratto.)
Natascia: Sta per venire la moglie, siete pazzi? i figli...
Veroccia: Appunto! Appunto! Per impedire che se lo riportino via!
***(di là, urtato): Pietro, per
favore, le forbici!
Pietro: Da', da', Veroccia!
Veroccia: No! Lui è capace d'accomodarseli! Debbo tagliarglieli io!
*** Ma per forza bisogna che me li accomodi! Vuoi che mi presenti così?
Qua non c'è neppure uno specchio!
Veroccia: Ci ho piacere! (Salta su una sedia per guardarlo di là.)
A - àh! (ride)Si sta guardando nella vetrina!
Natascia: Portagli uno specchio, Pietro! E tu da' qua le forbici!
Veroccia (saltando giù dalla sedia, a Pietro che va a baciare
Natascia prima di obbedire all'ordine): No! Non t'arrischiare,
Pietro! Ah, bravo, sì, bacia Natascia. (Poi, ripresentandosi di là,
ancora con le forbici in mano.)Non temere, lascia fare a me: te
li accomodo bene!
*** No! tu no!
Veroccia: Respirerai! Il capo svelto! il collo leggero! (Entra.)
*** Con garbo, per carità!
Veroccia: «Per carità» non t'avessero più a riconoscere! Debbo io sola
sopportare che Dèlago abbia ancora questa testa! - Ecco - fermo - su
quest'altro orecchio!
*** - piano!
Veroccia: - piano, sì, - aspetta - un altro po' - così. - Oh, guarda,
Pietro, se non sembra un altro!
Pietro: Per Dèlago, dovrebbe mostrare a dir poco venticinque anni di
meno!
Veroccia: Non è vero! Basta così!
***(con tono d'intensa passione): Ma mi
dici perché Dio t'ha fatta così bella?
Veroccia (adirata): Smettila adesso di far gli occhi
piccoli, o te li cavo, sai! (Pestando un piede, esasperata:)E
non sorridermi così!
Natascia: Basta, Veroccia! Lo tormenti troppo!
Veroccia (buttando a terra le forbici): Mi compatisce! Mi
compatisce! ucc
Pietro: Vado a prendergli lo specchio? (E si china a baciare
Natascia prima d'andare.)
Veroccia (rivenendo fuori e sorprendendolo):E finitela di
baciarvi sempre! - Che debbo fare per scuoterlo, per scrollargli d'addosso
tutta quella crosta mortificata? Mi pare Bob, Bob che va a nascondersi sotto il
letto quando lo tosano.
*** Potessi nascondermi davvero e non farmi più vedere da nessuno!
Pietro (ritornando con lo specchio a mano e recandolo di là): Ecco
lo specchio: toh; guàrdati.
*** Oh Dio, no! - È uno scempio! - Così non è possibile! da', da' qua le
forbici!
Veroccia (a Natascia): Nascondersi, lo senti? È tutto
inutile! - Raccattagli le ciocche, Pietro, e vedi di riappiccicargliele sulle
tempie! È ridicolo pigliarsela coi capelli, se non gli basta l'animo.
*** Ridicolo, sì, ridicolo, conciarmi così! (A Pietro:)Non
posso più mostrarmi a nessuno!
Pietro: Ma no, aspetta: bisognerà accorciare anche di dietro. Certo che
così non è possibile.
Natascia: Chiama Carlo, Pietro. Non potrai farlo tu.
Pietro: Ah già! Siamo salvi: Carlo ha fatto il barbiere. Suona, suona
Natascia! (Natascia suona il campanello.)
Veroccia (a Pietro): Ma no! corri piuttosto da un
parrucchiere in città con una ciocchetta per mostra e una cartolina illustrata
del grand'uomo! Forse t'appronterà una parrucca in tempo che gli arrivi qua la
moglie coi figliuoli e tutto il seguito - (Si ode bussare all'uscio.)
Natascia: Avanti.
Veroccia: - a rimetterlo in trono! (Entra Carlo).
Carlo: Ha sonato?
Pietro (di là): Vieni, vieni qua, Carlo, c'è bisogno di
te!
Veroccia: Ah che idea, Natascia! Se si potesse!
Natascia: Che altro ti salta in mente adesso? Finiscila!
Veroccia: No! Sta' a sentire! Sta' a sentire!
***(gridando di là, adiratissimo): Ma no!
Che raso! Che raso!
Carlo: Eh, guardi, scusi: qua c'è una forbiciata... Siamo quasi alla
cute. A pareggiare...
*** E lei non pareggi, oh bella! Cerchi d'accomodare... Il meno
possibile... Un po' dietro; e qua, da questa parte...
Veroccia (assorta nella sua idea, come se la vedesse): Una
parrucca e una maschera di cera - mani di cera - si fa un pupazzo - si veste -
sulla parrucca gli si pianta il suo bel cappello alla moschettiera: È LUI - là
- come impagliato! - Vengono e se lo portano via! - Tanto, a loro, non serve
altro di lui, per come l'hanno ridotto!
***(di là, con uno scatto): E ti pare che
io non ci abbia pensato?
Carlo: Fermo, per carità! Eh, se lei fa così!
*** Basta! Basta! Avete accorciato un po' dietro?
Carlo: Sì, ma aspetti!
*** Non importa! Basta cosi! Ricresceranno subito, appena verranno a
prendermi, vedrete, con la loro bella piega d'ali cadenti qua dietro gli
orecchi. (Viene fuori. A sulla cinquantina, ma così col capo alleggerito dai
capelli, in maglia estiva, svelto, estroso, ha l'aspetto quasi giovanile,
agile, sciolto.) Un fantoccio, sì! Ci ho pensato anch'io, Veroccia!
Veroccia (esultante): Guardalo! Guardalo, Natascia! Non è un
altro? Giovane! - Così, così, voglio che ti ridano gli occhi!
Carlo: Non c'è più bisogno di me?
*** No, grazie.
Pietro: È Dèlago, non c'è che dire: è Dèlago!
*** Sì, coi peli dell'altro nella schiena...
Natascia: Pare davvero ringiovanito di vent'anni!
*** Io, non Dèlago! (A Veroccia:) Ma sì, se tu vuoi, Dèlago... - (Riattaccando:)
Proprio, Veroccia; ma sai quante volte, di notte, nel mio studio - oppresso da
non poterne più: - un fantoccio, da lasciar lì posato a sedere davanti alla
scrivania, al lume della lampada: la parrucca - la faccia, le mani di cera -
gli occhi di vetro - lì - immobile - e io, zitto zitto, come uscito da quella
spoglia - scapparmene e venirmene qua di corsa da te e poi fuggire -fuggire -
sparire!
Pietro: Sì, sì, - tutt'e quattro insieme! - partire - benissimo!
Veroccia (battendo le mani): Facciamolo! Facciamolo!
Pietro: Io sono già stufo di quest'avventura!
Natascia: Si ritorna tutti in America con lui! Sì! Sì!
Veroccia: Io so formare! La maschera e le mani di cera te le faccio io.
Ti vedo!
Pietro: Oh, ma sai che così t'avrei sbagliato io stesso con tuo
fratello?
Veroccia: Non cambiar discorso, Pietro!
Pietro: Sì, guarda, Natascia, se non sembra proprio mio padre!
Natascia: E vero, sì!
Pietro: Tal quale, la stessa testa - lo scopro adesso che non ha più qua
(accenna alle tempie) tutti quei capelli. (A Veroccia:) Non
sembra anche a te?
Veroccia: Ma che, no, Andrea? Tutt'altro!
*** Ah, lo chiamavi Andrea?
Pietro: Andrea, Andrea, anche lui: è la sua specialità: tratta i vecchi
come ragazzini.
Veroccia: Ma chi, vecchio? Nessuno è vecchio! Ci si crede vecchi! Siamo
tutti come la terra, giovanissimi e pieni di capricci.
*** Diciott'anni... (Si passa le mani sul capo.) La sua testa...
Due meno di me. Quanto insistette perché partissi con lui. Fu una fuga davvero,
la sua, allora...
Veroccia: Come dire che la tua ora sarà per burla! Eh lo so! Tu non
l'hai nel sangue! non l'hai nel sangue!
*** Ebbi pietà dei nostri vecchi che sarebbero rimasti soli...
Veroccia: Ecco! Pieno anche allora di grandezza e di pietà! Ma ora
basta, sai? Mi farai il piacere d'imbottirne il tuo fantoccio; Dèlago non ha
bisogno di questa stoppa e dev'essere spietato!
*** Fossi partito allora...
Pietro: Saresti ricco anche tu!
*** Ah, no, questo...
Pietro: Socio di mio padre - ricco per lo meno quanto me!
*** E nessuno - te l'immagini? - nessuno - uno qualunque tra la folla -
senza più addosso gli occhi della gente che non ti lasciano più vivere!
Veroccia: Ma va' là, che se vi mancasse questo a voi grandi uomini!
*** Che cosa?
Pietro: Esser guardati e ammirati da tutti!
*** Grazie! Se non dovessi più vivere! Pròvati a esser conosciuto da
tutti e a voler vivere ancora!
Pietro: Ah, t'assicuro che se io fossi famoso...
*** Vorrei vederti! Con tanti specchi davanti, quanti sono gli occhi che
ti stanno a guardare. Passa il grand'uomo: e ti fissano - irrigiditi - e ti
irrigidiscono - richiamandoti alla tua «celebrità» - STATUA. Tu capisci? Quando hai altro per il capo e vorresti
abbandonarti un momento a quello che pensi, a quello che senti! Scomporti -
contorcerti, se hai un dolore dentro che ti cuoce. Perdio, non vuoi avere il
diritto di sentirti, almeno allora, un pover'uomo? No - negato questo di
diritto! - non puoi essere un pover uomo - sei un grand'uomo: «Su, su, non fare
quella faccia! Ti guardano». - Ma sai che un mese fa, pochi giorni prima che mi
fosse concesso di venire qua in villa da voi per ristorarmi un po' - (senti,
senti questa!) - uscito di casa furioso, avevo vagato tutto il giorno, lontano,
non so più dove, fuori della città: entro verso sera, dovendo pur prendere un
boccone, nella prima osteria che mi venne davanti; ma affogato nel mio
tormento, avevo così dimenticato - ma proprio, ti giuro, proprio dimenticato -
d'essere «io», che a un certo punto, non resistendo più al fastidio d'incontrar
sempre, nel levar la testa dal piatto, gli occhi di due giovani che mi
fissavano e ridevano, scattai in piedi gridando che, se non smettevano, avrei
tirato loro in faccia la bottiglia - e l'avevo davvero ghermita e levata in
atto di scagliarla.
Pietro (ridendo): Oh bella! Oh bella! - E quelli?
*** Ah tu ridi? - Li vidi come scomparire dietro la tavola. La mattina
dopo mi scrissero, scusandosi. Mi guardavano perché non sapevano capacitarsi
ch'io fossi capitato in quella loro osteriuccia; e, avendomi riconosciuto, se
ne compiacevano senza la minima irriverenza.
Pietro: E ti par poco?
*** Ah sì, infatti, il compenso di due scemi che si beano di te e la
soddisfazione che non puoi più nemmeno andare a nasconderti in un'osteria! Ma
che vuoi che te n'importi, se soffri - se soffri - della tua fama? della tua
gloria?
Veroccia (impronta, quasi con ira): E tu perché soffri?
*** Ah, mi domandi perché soffro? Proprio tu? Se non m'è più lecito
fare, senza uno scandalo enorme, ciò che tutti farebbero - per vivere - per
vivere -per respirare!
Natascia (placida, ricamando): E vuol dire che tu lo
farai.
Pietro: - ecco, lo scandalo! - Tanto, qua tutto diventa scandalo! -
Veroccia t'ama? - È uno scandalo! - Ma devi pur pensare che né io, né Natascia,
saremmo venuti dall'America, se non c'era qua da conoscere questo mio
famosissimo zio!
* * * Sì, di cui ora vogliamo fare un fantoccio da lasciare a chi serve, nella
mia biblioteca - posato davanti la scrivania - eh, Veroccia?
Veroccia (assorta): Sto pensando che c'è un problema da
risolvere, Bisognerebbe anche farlo parlare.
*** Facile, cara! Non ti confondere! Si spacca dietro e gli si ficca
nello stomaco un grammofono.
Veroccia: Ah, già, benissimo. Sì sì - coi dischi da cambiare!
*** Per ripetere ai signori visitatori -
Pietro: - agli intervistatori -
*** - tutto quello - già fissato - che ho l'obbligo di ripetere a vita.
Non perché l'abbia detto io; perché me l'hanno fatto dire gli altri! Cose che
non mi son mai sognato di pensare.
Pietro: Tu devi averne davvero già parecchi, di dischi...
*** Tanti, sì. Tutto fissato, ti dico. - Perché io ormai non debbo più
pensare altro - immaginare altro - sentire altro. - Che! - Ho pensato quello
che ho pensato (secondo loro) e basta! - Non s'ammettono di me più altre
immagini. - Ho espresso quello che ho sentito - e lì - fermo lì - non posso più
essere diverso - guaj se lo tento - non mi riconoscono più - io non devo più
muovermi dal concetto preciso, determinato in ogni minima parte, che si son
fatto di me: là, quello, immobile, per sempre!
Pietro: Morto!
*** Se fossi morto! La dannazione è questa, che sono vivo ancora, io!
Questo si può fare solo coi morti - e neppure coi morti, neppure coi morti!
perché ce n'è pur di quelli, già lontani nel tempo, che hanno - beati loro! -
qualche raro appuntamento con la storia, e poi il resto della loro vita liberi,
oscuri! - basta che rispondano all'appello e si presentino puntuali a quella
data fissa per compiere il loro atto memorabile - 12 aprile 1426 - 15 ottobre
1571 - che sa di dove vengono - che hanno fatto prima - che faranno dopo, se in
quell'atto non saranno morti - nessuno ne sa più nulla! E anche - morti - da
quell'unico atto - ci può essere qualcuno che venga a rimuoverli, scoprendo
qualche nuovo documento - a scomporli dall'idea che s'è fissata di loro nella
storia - e li faccia rivivere sott'altro aspetto, faccia dir loro una parola
nuova - li riapra alla vita rimettendoli a respirare in un'altra luce!
Pietro (acceso, con fuoco): Ma scusa! Ma scusa! E che altro ho
fatto io con te, scusa! Sei un ingrato!
*** Ah, tu l'hai fatto? Già, perché ti sei improvvisato editore delle
liriche di Dèlago!
Pietro: Eh! scusa, non è avvenuto anche a te la stessa cosa? (Indica il
manifesto a colori, illustrato.)Eccoti là - divenuto appunto un
altro - Dèlago - senza che nessuno lo sappia - Dèlago: la gloria nuova, il
segnacolo in vessillo di tutti i giovani!
*** Ah sì, Dèlago, infatti - Dèlago... - Ma non mi ha fatto rivivere Dèlago,
sai, o tu o un altro! Sono io ancora vivo, io che penso, io che sento! (Prende
tra le mani il volto di Veroccia.)Sì: perché dal primo momento
questi occhi impertinenti si infrontarono coi miei, così, aizzosi e incantati -
(soffia fhh) -sulla cenere - «tu vecchio? a chi vuoi darla a
intendere? tu ardi! » - e come risero allora, da vederlo io solo, queste
labbra! - Un attimo ti bastò - frugarmi appena negli occhi - per scoprirmi
vivo, di' se non è vero! E se potesti svegliarmeli, è segno ch'erano in me -
vivi, vivi - pensieri, sentimenti che cominciai, qua, subito, a esprimere
nuovi, come in un sogno a cui non dovessi credere, se tu non ci credevi - ci
hai creduto - e ora sono, sono la mia vita!
biciclette
Si ode picchiare all'uscio.
Pietro: Chi è? Avanti!
(Entra Carlo.)
Carlo: Ci sono due
signori e una signorina.
Veroccia: Ma no! oggi è domenica, no!
Natascia: E aspettiamo in mattinata...
Veroccia: Restiamo tra noi, se dobbiamo concertare.
Pietro: Chi sono? Dove sono?
Carlo: Son qua. (Indica dietro l'uscio.)
* * * Io mi ritiro. (Fa per ritornare dietro il tramezzo di vetri.)Sono
così...
Pietro: Aspetta!
Sporge prima il capo dall'uscio e poi si fa avanti Scelzi, seguìto da Diana e da Sàrcoli. Sono giovani tutti e tre. Scelzi è il critico più autorevole della nuova letteratura: corpacciuto, testone, fronte a baule, occhio strabo chiuso, per cui guarda con l'altro di traverso, voltando la faccia chiazzata di sangue illividito; spirito arguto e fine tuttavia, per poter un po' allargarsi a comprendere qualcuno, deve soffrir le trafitture che gli dà il cilizio di tutte le sue acutissime minuterie. Diana è una giovane scrittrice avventurosa, attaccata per ora a Sàrcoli, pittore, letterato e caricaturista.
Scelzi: Ma no, che
signori! Sono io, Pietro, con Diana e Sàrcoli!
Pietro: Ah, voi... Avanti, Scelzi, avanti! Voi siete amici di Dèlago e
miei!
Scelzi (sorpreso e deluso, scorgendo ***): Oh! È qua lei,
Maestro? (Guardando i due compagni:)E allora...
Pietro: Allora, che?
È mio zio, non lo sai? L'abbiamo qua di nuovo in vacanza da una ventina di
giorni.
Scelzi: Già, ma... (di nuovo guardando i compagni)allora
non sarà vero.
Sàrcoli: Direi che, per lo meno, non è più probabile.
Pietro: Che cosa?
Scelzi (a Sàrcoli): Hai costì il giornale?
Sàrcoli (porgendoglielo): Sì,eccolo.
Scelzi: Esser venuti fin qua...
A questo punto Diana scoppia a ridere, non potendo più trattenersi, specie per l'aspetto estivo del Maestro.
Sàrcoli: Oh!
Finiscila, Diana!
Diana (seguitando a ridere, indica il Maestro, e fa, più col cenno
che con la voce): Lui... lui...
Sàrcoli: Che, lui? Eh, lo vediamo...
Pietro: Che ha da ridere?
Diana: No, non volevo... Scusi, Maestro, rido di loro... come son
rimasti... s'aspettavano... ed ecco lei, invece... mi scusi, oh Dio, con
un'aria... (lo mira un po' e scoppia a ridere)ohi,
ohi, ohi... ah! ah! ah!
Pietro (urtato, balzando in piedi): Oh, basta!
Veroccia (sdegnata): Questo, poi!
Natascia (stordita): Ma che vuol dire?
Scelzi (furioso, investendo Diana): Smetti, bada, o ti
zaffo la bocca con un pugno!
Diana (frenandosi): Sì, sì,basta, basta... Si capisce...
la gioventù... qua in vacanza...
Sàrcoli (a modo di scusa, tentando di riparare): Gioventù!
Gioventù!
Scelzi: È da imbecilli, che gioventù! Io sono una persona seria!
Sàrcoli: No, veramente, scusa, il contrasto... - salvando tutti i meriti
del Maestro...
Pietro: Ma insomma, si può sapere che siete venuti a far qua?
Veroccia: È incredibile!
Scelzi: Niente! A fidarsi! M'hanno assicurato che avrei sorpreso oggi
qua, nascosto da te, Dèlago!
Pietro (balzando e guardando istintivamente ***):Dèlago?
Veroccia (smarrita): Oh bella...
Sàrcoli: Ma sì, «retour d'Amérique». E stampato in quel
giornale!
Scelzi (porgendo a Pietro il giornale):Toh, leggi:
segnalato il suo sbarco a Genova (indicando il punto)qua, tra
gli arrivi d'America!
Pietro (guardando): Col«Roma»? Ma che! Io non ne so
nulla. Chi ha potuto dare questa notizia?
Natascia (impassibile, seguitando a ricamare): Col«Roma»?
Ma: tu hai ricevuto, proprio questa mattina, col «Roma», una sua lettera da laggiù.
Pietro (con un viso ardente, beato, di stupore e d'ammirazione,
mostrando a Veroccia e allo zio Natascia che così placidamente salva la
situazione):E sembra la più saggia! Guardatela! Come trova tutto
con calma! (Si china e la bacia. Poi, agli altri:)Questa
mattina, appunto, una sua lettera. Figuratevi, se può essere arrivato! Col
«Roma», eh già, appunto, col «Roma»!
Natascia (c.s.): C'era sulla busta... stampigliato...
Sàrcoli (a Pietro):Ma c'è anche una nota nel giornale,
guarda: «Il poeta Dèlago in Italia». E dice che l'hanno veduto, riconosciuto...
Natascia (c.s.): E allora è qua, cercatelo!
Pietro: Eh già, nascosto a mia insaputa!
Veroccia (guardando ***): Come in un disegno per bambini!
«Trovare Dèlago.» Delago FX
Sàrcoli: Voi scherzate?
Pietro: Che volete che vi dica, se lo volete qua a tutti i costi!
Scelzi: Che! Basta guardare il sorriso soddisfatto del Maestro...
*** ... per comprendere che Dèlago non può essere qua. Ma perché poi
«soddisfatto»?
Sàrcoli: Ah sì? Lei avrebbe piacere di veder qua Dèlago in mezzo a noi
giovani, festeggiato, esaltato?
Veroccia: Sicuro! Più che piacere, gioja! E lo possiamo affermare noi,
meglio di tutti! Come se festeggiaste ed esaltaste lui stesso!
Diana: Questo è bello da parte sua!
Pietro: Bello? Coerente: la pubblicazione delle liriche di Dèlago si
deve a lui!
*** No, questo è merito tuo...
Pietro: Il lancio che n'ho fatto, sì; ma il consiglio di farmene
editore, qua e non in America, me lo desti tu, c'è poco da dire.
* * * Ma naturale...
Natascia (c.s.): È la verità.
Pietro: Io gli portai in fondo, venendo da laggiù, cose di cui non
potevo riconoscere il valore...
Veroccia (indicando ***): Fu lui!
Pietro: ... liriche d'un giovane ignoto, di sangue nostro, che aveva
saputo durare fedele laggiù, alla lingua nostra: mi consigliò lui di stamparle,
e mi convinse che lanciarle in America non avrebbe avuto lo stesso effetto che
qua da noi.
Sàrcoli (a ***): Ma lei previde che questa pubblicazione
avrebbe acceso in noi giovani ... ?
***... tutta questa fiamma? No, - questo forse...
Sàrcoli: Ecco! Ecco! Lei non lo poteva prevedere, dico che noi giovani
avremmo trovato in lui, finalmente, la nostra voce. Oh, non voglio dire con
questo, che forse allora non gliel'avrebbe più consigliato! Ma era anche umano,
via, che lei non lo potesse prevedere. Eppure, sa? che questa voce, lui Dèlago,
l'abbia trovata per tutti noi laggiù in America, nell'urto delle forze nuove,
ha il suo significato!
Pietro (seduto, cingendo con un braccio la vita di Veroccia e posando
una mano sulla spalla di Natascia): Tu losenti - senz'essere mai
stato in America, eh? - solo alla presenza di noi tre!
Sàrcoli: Ma sì: Russia, America, umanità che rivègeta! - Ah, ma ora
basta, però, di stare laggiù: bisogna assolutamente che, Dèlago venga tra noi!
E spetta proprio a te di farlo venire, a qualunque costo!
Scelzi: Sì, ecco, a questo credo che tu lo debba ormai persuadere!
Diana: Costringere! costringere!
Sàrcoli: Non deve più restare lontano! non può! Perdio, saprà l'incendio
che ha fatto divampare!
Diana: L'aspettiamo come il Messia!
Pietro: Eh, ma per tutto quest'anno...
Veroccia: Non verrà! Non verrà! Partiremo noi! Spianteremo questa
baracca, e andremo tutti a raggiungerlo laggiù! (Dirà questo,
infilando un braccio sotto il braccio di ***.)
Scelzi: Anche lei, Maestro?
*** Io non ho veramente da raggiungere nessuno...
Scelzi: In che senso, scusi? Non sono un esaltato come gli altri; ma che
Dèlago sia proprio andato avanti a tutti, guardi che io ci credo sul serio:
avanti, da non poterlo veramente raggiungere più nessuno della vecchia
generazione. Questo è poco ma sicuro. Ci possiamo mettere la pietra sopra. Eh
sì! - Io posso non ammirare in Dèlago tante cose - e non le ammiro: tutt'altro!
- ma trovo in lui un innegabile superamento di quanto è stato fatto finora.
Basta guardare soltanto il suo «modo» - non scherziamo! «Modo», dico, nel senso
musicale della parola. Questo suo «modo» - e dunque tutta la sua lirica - è
nuovo: ritmo d'un respiro nuovo (eh, perché vita che pulsa dentro altrimenti!)
e fa ormai avvertire il vostro, come un respiro a vuoto, incoerente. Avrà
sentito anche lei che questa è davvero altra vita?
*** Ho sentito, sì, che è - è - vita...
Scelzi: ... con una voce «sua», che supera e fa tacere ogni altra. E
dunque via! A questo ci si deve ormai rassegnare. (Rivolgendosi a Pietro:)Come noi, adesso, ad aver fatto questo viaggio inutilmente. Oh sai che stai
lontano? Si vede che sei proprio venuto dall'altro mondo.
Veroccia: E ci torneremo! ci torneremo!
Scelzi: Che! Storie! Persuadete Dèlago piuttosto che lasci tutto davvero
e venga qua -
Sàrcoli: - che non si può più stare ormai senza di lui! Ce l'avevi
promesso! Perciò noi abbiamo creduto leggendo sul giornale il suo arrivo.
Scelzi: S'era venuti - io, a intervistarlo; lui, a fargli un disegno.
Diana: Io a bevermelo tutto con gli occhi!
Sàrcoli: E siamo corsi fin qua per i primi! Vedrai quant'altri verranno!
Pietro: Ah no, per carità! Vi prego di smentire subito la notizia!
Sàrcoli: Hai voglia! Fino a domani!
Diana: Si precipiteranno qua tutti!
Pietro: Metterò subito un cartellino all'entrata della villa!
Scelzi: Non ci crederanno!
Sàrcoli: Forse, se aggiungi che hai qua ospite il Maestro...
*** Ecco: tutti i giovani, allora...
Sàrcoli: No, scusi, Maestro: dico perché ha già fatto l'esperienza su
noi
*** ... che non ci può essere lui, se ci sono io, si capisce.
Scelzi (salutando): Signora... Signorina... Riverisco,
Maestro... Addio, Pietro...
Anche gli altri salutano. E Scelzi, Sàrcoli e Diana vanno via. Pietro, Veroccia e Natascia restano per un momento a guardarsi tra loro, divertiti.
Pietro: Oh bella! Chi
sarà stato a spacciarsi a Genova per Dèlago?
*** Ancora un'altra impostura!
Natascia (a Pietro): Ah, non l'hai data tu, la notizia?
Pietro: Io, no! (A *** scrollando le spalle:)Impostura...
Si deve per forza, scusa, dare a credere che Dèlago possa arrivare da un
momento all'altro dall'America, e si deve pure inventare...
*** ... ma sì! E ne profittate bene, mi pare. E con che gusto! Dovreste
anche però non abusare tanto di me!
Veroccia: Noi? Di te?
*** Sì - dell'impossibilità in cui mi trovo di gridare. -
Pietro: Oh, senti! Gridare! Vorresti svelare? E non siamo stati - tutti
finora d'accordo ... ?
Veroccia (insorgendo): E dici anche a me, approfittare che
non puoi svelarti?
*** No! Dico che almeno, via, non ci dovreste tanto scherzare, davanti a
me!
Veroccia: Io, scherzare? Io t'ho quasi svelato!
* * * (seguitando rivolto agli altri): Appunto, provar
questa voluttà, fin quasi di svelarmi, tanto siete sicuri che nessuno può
credermi Dèlago -
Pietro: - uh, poi, voluttà... -
*** - sì, sì, sfrontata - e per me, beffarda - come un'incolumità che vi
faccia felici di tradirmi sotto gli occhi, di spogliarmi della mia vita per
vestirne un altro!
Veroccia: Ma se io voglio, anzi, che tu sii, sii Dèlago per tutti! La
senti tu, quest'impossibilità, perché ci vuoi star nascosto! e ora che ti ci
senti soffocare, gridi!
Pietro: E come se poi quest'altro non fosse lui stesso, devi dire!
*** Non è vero! Io stesso? E non hai visto? Non posso essere «io»! Non
devo essere «io»!
Veroccia: Perché non devi? Gridalo tu stesso a tutti che Dèlago sei tu!
*** Ah si? Vuoi che lo gridi? E non capisci che allora l'uccido?
Veroccia: Chi uccidi?
*** Dèlago!
Veroccia: E perché?
*** Ma perché io non sono il Signor Nessuno - io sono QUALCUNO, te l'ho detto - «Io», ecco, «quale
sono per tutti», e non posso essere un altro! Se mi scopro Dèlago è finito:
diventa una mia maschera, non capisci? una maschera di giovinezza, che mi sia
messa per burla! - (Con rabbia di passione:)Non deve
essere sangue mio, non dev'essere vita mia, non deve appartenere a me quello
che è mio; tu, tu Veroccia, viva mia, giovinezza viva mia! No! No! Tu devi
essere di Dèlago, e non mia! Hai capito adesso? (Agli altri:)Ma
voi almeno non vi divertite a inventarlo tanto davanti a me, non me lo fate
consistere tanto, da rendermene geloso! - Sì, sì, geloso! geloso! - Lo capite
quello che fate! Avete visto? Me lo fate aborrire! Me l'hanno messo contro! Me
lo hanno piantato davanti, a petto! È lui il vivo! e uccide me, lui! Li avete
intesi? «Questo è poco, ma sicuro. Ci possiamo mettere la pietra
sopra.» - Mi han seppellito! ecco, seppellito! L'ha lui la voce
nuova - e m'ha messo a tacere! - Ah, ma io me lo ripiglio! io me lo
ripiglio! Quello ch'è mio me lo ripiglio! Lasciate fare a me, e vedrete se tra
poco non me lo ripiglio! (Li guarda.)Ora mi guardate, come chi
dà un'occhiata contro il sole... Ma non ve lo dico, no. Non vi dico più nulla. Lasciate fare a me! (Si ode a questo
punto come uno squillo di tromba, glorioso. ***, udendolo, smuore all'improvviso. Gli altri
guardano sorpresi.)Eccoli. Vengono a prendermi.
Veroccia: È l'automobile? Oh bella, suona così?
Pietro: Strano! M'è parso uno squillo di tromba.
***(con amarissima ironia, immobile, con gli occhi
fermi):Sfido. Viene la gloria. Come vuoi che s'annunzii? Si libra
alata sul petto di mia moglie, e non può che sonare la tromba.
Pietro: Che che! Saranno altri matti che vengono a suon di tromba per
Dèlago. Guarda, guarda dalla finestra, Veroccia.
(E fa cenno con la mano davanti a sé).
Veroccia che si troverà in fondo, si dirigerà verso il proscenio, dove Pietro indica la finestra; e, man mano che avanza, dall'alto calerà la facciata della villa con le finestre in due ordini. Ma il cenno di Pietro e la direzione presa da Veroccia nel muoversi non corrisponderanno al punto in cui la finestra dello studio realmente si trova nella facciata. Se ci son quattro finestre, due sopra e due sotto, Veroccia si affaccerà dalla seconda a destra di quelle di sopra, perché realmente a guardare ora la villa da fuori, lo studio di Pietro si troverà là.
Veroccia (affacciata alla finestra, guardando in basso). Sì, sì,proprio loro (Fa di no con la mano alla domanda di Pietro se per loro intende i giornalisti.)No, no. I suoi parenti. (Poi séguita a guardare e annunzia:)Ma con altri. Son cinque. Tito è davanti. Ecco, scende l'editore, come si chiama? Modoni E ora un signore che non conosco. Aspettate... Ah, sì,uh! è Sua Eccellenza Giaffredi... Ecco ora Valentina. E ora fanno scendere la zia. (Alza le braccia guardando in alto per trarre un profondo sospiro, come a beversi il cielo.) Ah peccato! Con una mattinata di sole così bella!
(Si ritrae dalla finestra).
La facciata è tirata sù. Siamo nell'atrio della villa, dove or ora sono entrati gli ospiti annunziati da Veroccia alla finestra. Saranno tutti dapprima con le spalle voltate al pubblico, perché si suppongono entrati dal proscenio, dove, in corrispondenza delle finestre già viste nel muro esterno, s'immagina l'entrata della villa. Giovanna, la moglie, è statuaria, formosa ma rigida personificazione della gloria ufficiale del marito: fronte bassa, austeri occhi ovati, dalla guardatura solenne; robusto naso imperioso; mento solidissimo; veste pomposamente di nero e d'argento. Valentina, la figlia, ormai sui trenta, pare inaccostabile, come una figura calata da un quadro, dipinta con superbo e meticoloso artificio. Ha l'aria trasognata. Tito, il figlio, è robusto, intozzato su di sé; cupo e bilioso; quando ha detto «papà» ha detto tutto. Sua Eccellenza Giaffredi, Ministro di Stato, è sulla cinquantina, grigio, galante ma per nulla affettato. Tratto autorevole ma sorridente, da personaggio di riconosciuta superiorità che non può ammettere non gli si obbedisca; abituato a vivere nelle alte sfere della finanza e della politica, è, qual amico di casa, protettore e condiscendente; scusa gli umori e le bizze dei letterati, che magari lo divertono, purché poi facciano come vuol lui. Modoni, l'editore, è sui sessanta, grasso, con una testa caratteristica da israelita intelligente; furbo, fa il magnanimo, ma è rapace.
Giaffredi: Ah, ma è
proprio bello qua!
Giovanna: Sì, amico mio; ma poco merito, coi soldi che hanno...
Modoni: Molto molto ricco, eh?
Valentina: Pare...
Tito: Eh, non vi basta il lancio di «Dèdalo», per prova di come butta
via i denari?
Modoni: Già già... Ha saputo lanciarlo... C'è poco da dire!
Giovanna: Ma com'è che non scende ancora nessuno? Non sarà il caso di
far risonare la tromba?
Giaffredi: là proprio un nipote?
Giovanna: Ma sì, figlio di un fratello!
Tito: Cosa inaudita! Lo stesso cognome...
Giaffredi: Perché inaudita?
Tito: Farsi lui - col nostro stesso cognome - editore di questo
«Dèdalo»!
Valentina: Dèlago, Tito.
Tito (correggendosi): Dèlago! Dèlago!
Valentina (irritata): Ma facci caso! Dici sempre «Dèdalo»!
Tito: Lo faccio apposta!
Giovanna: Ancora qua, signori miei, nel mezzo di una stanza; e nessuno
che venga a dirci «s'accomodino»... Sarà bello, amico mio, ma a me non par
l'ora di levarne i piedi. E poi, non c'è tempo da perdere. Su, su, andate su
voi, Modoni. Il manoscritto.
Modoni: Eccolo qua!
Giovanna: Bell'affare! Certe bili ci piglio, solo a vederlo! Via via! (a
Giaffredi:)Che non se ne parli, anzi, davanti a me, per me è
meglio, amico mio. Direi cose di fuoco! (a Modoni:)Fermo eh?
Senza remissioni. No, no e no!
Modoni: Ma non credete che sarebbe meglio salisse con me anche Sua
Eccellenza?
Giovanna: Voi avete col vostro contratto abbastanza autorità, Modoni.
Fatela valere, e basta!
Giaffredi: A un bisogno, se occorre, verrò su anch'io, Modoni; ci
parlerò io. O che scenda lui... Perché non scende?
Modoni (col grosso manoscritto sulle mani, quasi soppesandolo).
Voi lo capite, Eccellenza, con quello che so che si sta preparando, per me,
rinunziare... Il cuore mi sanguina, parola d'onore! Ma basta! Io non ho
guardato mai all'interesse. E spero che lui lo comprenderà. (E va su
per la scala.)
Giaffredi: Non transigete! Non transigete! E tenete a mente che, al
caso, ci sono qua io!
Giovanna: Poverino, è vero: era tutto felice... L'opera nuova, aspettata
come la manna...
Tito: Che doveva essere il contr'altare...
Giaffredi: E questo tradimento! È incredibile!
Tito: Incredibile!
Giaffredi: Scusate, Giovanna... (Se la tira in disparte.)No,
io dicevo, se è così tanto ricco e... parente, nipote... non ci sarebbe da
tentare ... di fargli buttar all'aria questa sua baracca di editore e questo
suo Dèlago ...
Giovanna: Sì, e come?
Giaffredi: Ma... penso... non potrebbe essere, per esempio, un partito
conveniente per la nostra Valentina?
Giovanna: No, Dio liberi, che dite, amico mio! È venuto dall'America in
compagnia di due giovani bandite russe, ripescate laggiù...
Giaffredi: Questo non vorrebbe dire... se si potesse...
Giovanna: Come non vorrebbe dire? N'ha sposata una!
Giaffredi: Ah, n'ha sposata una...
Giovanna: E poi con questo che ha fatto; ma vi par poco? Viene qua
espressamente dall'America - eh, Tito?
Tito (appressandosi): Eh, mammà?
Giovanna: Sua Eccellenza diceva di Pietro, (piano:)per
Valentina...
Tito: Se è sposato!
Giaffredi: Non lo sapevo. Quantunque, peuh, i matrimoni, in America...
Tito: Un divorzio? Che! innamoratissimo! Si sono uniti... C'è anche la
sorellina... Tre pazzi...
Giovanna: E poi, io gli dicevo, con questo che ha fatto...
Tito: ... già - viene espressamente per conoscere papà - e spunta come
un fungo, editore dei giovani - strombazzatura all'americana - pim! pam!
- Dèlago, Dèlago! - Contro papà.
Giaffredi: Ma chi è poi questo Dèlago?
Tito: Uno di laggiù - suo amico! E il bello è questo, Eccellenza: lo
mettono contro papà, e io posso provare - provare - che è uno che ha
letto papà! che copia papà! (Scende Pietro allegramente dalla scala).
Pietro: Ah, ecco qua Tito col suo «copia papà»!
Tito: Lo copia! sì, lo copia! e t'ho detto che posso provarlo, e
indicare dove, e quante volte, punto per punto!
Valentina: Tito ha avuto la forza di leggerlo tutto - spassionatamente.
Giovanna (come se Tito avesse fatto una cosa incredibile): Ah
sì, tu? Da vero?
Tito: Sì, io, io, e ho trovato i plagi! più di cinque!
Giovanna (a Giaffredi): Ecco! Sentite? E ora si dovrebbe
vedere una tale enormità!
Pietro: Già! un bel caso! Ho saputo su! Che è lui, invece, lui a imitare
Dèlago adesso, nel suo nuovo libro! Modoni è inconsolabile! Un trionfo! Un vero
trionfo per Dèlago e per me!
Giovanna: Ah, no, caro! aspettate a dire trionfo! Ci siamo qua noi, e
siamo venuti appunto per questo. Questo suo nuovo libro non si pubblicherà!
Pietro: Ma se non lo pubblica Modoni, lo pubblico io! lo pubblico io!
Giaffredi (imponendosi con tutta la sua autorità, reciso):Lei
se ne guardi bene! Lei non pubblica niente!
Pietro: Chi è lei, scusi, in casa mia?
Giaffredi: Non ci pensi nemmeno, non ci pensi nemmeno!
Giovanna: È Sua Eccellenza Luciano Giaffredi, Ministro di Stato!
Pietro: Onoratissimo. Ma io, sa, sono nato in America.
Giaffredi: Ah si vede, in America.
Pietro: Ma cresciuto italiano fino al punto che ho obbligato mia moglie
e mia cognata, straniere, a imparare e parlare la lingua nostra. E la parlano
meglio di me.
Giaffredi: Russe, eh?
Pietro: Russe, sissignore. Ma niente politica, e tutto in regola. E io
le ho detto che son nato in America, perché intenda che per me esser Ministro
di Stato...
Giaffredi: Lei ignora che io non ho bisogno di prendere autorità dal mio
titolo, per farmi custode oggi qua, con la famiglia e col Paese, d'una fama
consacrata da tutta una generazione, e a cui non è lecito recare offesa,
nemmeno a lui stesso, (indica lassù), proprio nel momento che la
Nazione, su mia proposta, si prepara a onorarlo, festeggiando solennemente il
cinquantenario della sua nascita.
Pietro: Ne sono lieto e orgoglioso come nipote; ma non sarà lecito
neppure a nessuno proibirgli per questo di pubblicare, se vuole, il suo nuovo
libro.
Giaffredi: Sissignore, glielo proibiamo noi, e lecitamente, per il
rispetto che abbiamo di lui e del suo nome.
Pietro: Ah senti! Bel rispetto!
Giaffredi: Perché Egli non può perdere la testa nel momento stesso che
sta per essere incoronata.
Pietro: Incoronata? Come incoronata? Ah, l'incoronano ... ?
Giaffredi: Oh sa, non d'una retorica corona d'alloro, come si dànno in
provincia ai cantanti, o s'appendono ancora ai monumenti. No: d'una vera corona
nobiliare, che il Paese gli offrirà in riconoscimento della sua gloria
nazionale. Corona di conte.
Giovanna: Trasmissibile!
Pietro (freddo): ... ah... (Guarda Tito.)Così,
poi, il Conte sarai tu...
Tito: E t'assicuro che io saprò rispettare...
Pietro: Lo credo bene! Lo credo bene! E lei, Contessa, (e s'inchina a
Giovanna)e tu, la Contessina (e s'inchina a Valentina)a
patto che egli s'arrenda a non pubblicare quel suo nuovo libro. (Accenna con
la mano su, per fare intendere che si tratta del manoscritto recato su
dall'editore.)Ho capito.
Giaffredi: Quel suo nuovo libro - perché lei lo sappia - è stato letto,
vagliato, esaminato parola per parola da tutti i suoi amici e ammiratori più
fedeli e affezionati, che sono una schiera - e tutti l'hanno giudicato -
Pietro: - infetto, contagiato dalla nuova ispirazione giovanile di
Dèlago - e allora défendu - benissimo oké! oké! ollràit! (Piroetta.)
Giaffredi: Egli non deve più vaneggiare in tentativi incoerenti, alla
sua età!
Giovanna: ...e dar questo spettacolo, d'abbassarsi a raccogliere...
Tito: ... la voce dei nemico, e a farsene eco - lui!
Giaffredi: Deve rientrare in sé! Composto nella sua fama già stabilita e
tutta ben delineata. Se ancora qualcosa vorrà dire dopo quello che ha detto,
dev'esser lapidario - lapidario.
Spunta in capo alla scala Veroccia, tutta accesa di sdegno, e chiama aggrappata al parapetto.
Veroccia: Pietro!
Pietro! Vieni su!
Giovanna (Voltandosi a guardare): Ma che cos'è? Dove
siamo?
Veroccia- -E una sopraffazione! Vieni su! Vieni su!
Pietro: Eccomi! Eccomi! (E si spicca per salire a sbalzi la scala da
cui scende placida e seria Natascia.)
Giovanna: Ah, ma vado su anch'io, allora! Questa è una congiura bella e
buona!
Giaffredi: No, lasciate! Lasciate andar me, Giovanna! Vado io!
Giovanna: L'hanno imprigionato! Non vedete? È levato di cervello!
Giaffredi: State tranquilla, state tranquilla, che lo farò io rientrare
in sé! (S'avvia.)
Giovanna: Ma fatelo anche venir giù, vi prego; che si vada via subito
tutti! Io non posso più vedermi qua! (E come Giaffredi, salita la
scala, scompare, voltandosi ai figli:) La meraviglia è di lui, che viene
a consegnarsi qua, in una casa di pazzi e di nemici!
Natascia (senza scomporsi):Grazie, zia, per l'ospitalità
e le cure che gli abbiamo date. Egli è molto malato, se volete saperlo.
Giovanna (scrollando le spalle):Malato... malato...
Questa è stata la scusa per venirsi a imbecillire qua!
Natascia: Non scusa. È malato davvero.
Giovanna (senza dare alcuna importanza al male): Sì,
soffre un po' di cuore...
Tito (preoccupato): Non si sarà mica sentito male, su,
adesso ... ?
Natascia: Oh, no. Di cuore, no. D'un male - terribile - quando ripiglia
a una certa età.
Valentina (urtata): Ma che male?
Natascia (placida): La giovinezza, cugina!
Valentina: Glielo avrete attaccato voi, questo male!
Natascia (c.s.): Ah, può anche darsi, noi.
Giovanna (stupita, guardandola): Come lo dice!
Natascia: Ma doveva anche averlo in sé, lui. Io lo dico, come si dice la
verità. E dico anche che voi tutti - che credete noi suoi nemici - siete voi
invece, i suoi nemici.
Giovanna: Ah noi? E avete la sfrontatezza di affermarlo davanti a me?
Natascia: Non la sfrontatezza, il coraggio, perché è la verità. Voi
commettete un delitto in questo momento; vivete sopra di lui, tutti, e lo
soffocate.
Giovanna: Basta! Basta!
Tito: È inaudito!
Valentina: Bisogna andar via!
Giovanna (a Tito). Va' subito su: digli che qua mi si
insulta e che, se non scende subito, io vado via!
Tito va su anche lui.
Natascia (sempre placida): Impossibile che scenda subito. Bisogna dargli il tempo di rivestirsi da vecchio. Si stava rivestendo - ma è salito il signor Montoni...
Valentina, al «Montoni», scoppia a ridere di rabbia.
Giovanna: Modoni!
Modoni! E il suo editore, e, per vostra norma, il primo editore d'Italia!
Natascia: Sarà lecito a me, straniera, ignorare queste cose.
Giovanna: E a noi allora cacciarvi, se volete immischiarvi - stranieri -
nelle cose nostre!
Scendono dalla scala, vociando, infuriatissimi, Modoni, Pietro, seguiti da Giaffredi e da Tito.
Modoni: Ah, no! Ah,
no! Questo non sarà mai! E quand'è così, ecco, me lo ripiglio! (e strappa di
mano a Pietro il manoscritto.)
Pietro (afferrandolo):Di prepotenza? Ah perdio, no! Lei
me lo ridà!
Modoni: Non glielo ridò! Non glielo ridò, se osa negarmi...
Pietro: Lei me lo ridà, perché me l'ha consegnato lui stesso!
Giaffredi: Ma sì, Modoni, ridateglielo! Tanto, non potrà far nulla di
questo manoscritto!
Tito: Non può mica pubblicarlo!
Pietro: Non posso, certo! Se lui non vuole...
Modoni: No! Lei non può, perché io ho un contratto d'esclusività - ha
capito? - per tutte le sue opere passate, presenti e future!
Pietro: Anche col diritto di proibirgli di pubblicare da un altro
editore un libro che lei gli rifiuta? Ah no questo diritto, caro signore, lei
non può averlo!
Modoni: Ma io non glielo rifiuto per me, che mi va contando? Io glielo
rifiuto per lui! Per il suo stesso interesse! Il mio sarebbe di pubblicarlo!
Sono loro, i suoi amici qua, Sua Eccellenza, la famiglia, tutti, a impormi di
non pubblicarlo, per non suscitare uno scandalo che per me sarebbe, al
contrario, quel che Dio può mandare; e lei, americano, lo sa! Perdio, sono una
vittima e mi si fa apparire un soperchiatore? Ecco qua a lei il manoscritto, se
lo prenda! (E lo butta sdegnato in mano a Pietro.)
Giovanna: Ma che cos'è? Che cos'è avvenuto?
Giaffredi: Niente, Giovanna; ora vi dirò!
Tito (piano, alla madre per rassicurarla): Stai
tranquilla! Ottenuto.
Giaffredi (a Modoni con tono di riprensione): Siete stato
voi stesso, scusate, Modoni, a dare per primo a noi tutti l'allarme...
Modoni: Ma sì, non lo nego, perché ho provato io stesso sgomento,
leggendo - lo confesso - e rispettoso come sono del mio massimo autore, il mio
dovere era d'avvertirne la famiglia, gli amici... Ma tutto questo, perdio,
contro il mio interesse! Ora capirete che non potrei tollerare che un altro se
ne debba profittare!
Giovanna: Ah, siamo ancora dunque ... ?
Giaffredi: No!
Tito (contemporaneamente): No!
Giaffredi: Nessuno si profitterà, state sicuro, Modoni! Lui stesso si è
arreso - basta! Non solo per noi, ma anche per soddisfazione di tutto il Paese
che gli vuol bene e che saprà mostrarglielo!
Giovanna: Ma allora... questo manoscritto?
Pietro (fieramente): Resta qua, a me! Affidato a me!
Giovanna (con sorpresa): Ma no! Perché?
Giaffredi: Lasciate! Ha voluto così, che qua lo leggano... Non gli si
può impedire. La cosa non ha importanza. Non possono far nulla...
Giovanna: Ma possono provare il gusto di mostrare a tutti i proseliti
del nuovo autore, quanto lui s'era avvilito...
Natascia: Non abbia questa paura, signora, perché per noi, lui non s'è
per nulla avvilito...
Pietro: Brava Natascia!
Giaffredi: Per noi, invece, questo libro è il sintomo d'una deplorevole
irrequietezza, causata certo da un momentaneo smarrimento. Soffre, non si può
negare. È indebolito. Come gli ho posato le mani sulle spalle per ringraziarlo,
alla fine, d'essersi arreso, ho sentito proprio - vi giuro - le sue ossa quasi
lasciarsi andar giù tutt'insieme. (Bisogna, amica mia, sorvegliargli il cuore.)
Tito: Eccolo che scende!
* * * appare sulla scala, non più come s'è visto in principio, ma quale è naturale che tutti s'aspettino ch'egli sia divenuto, dopo quanto s'è udito sulla scena dall'arrivo dei parenti e dell'editore e dell'amico. Apparirà cioè come rientrato nella sua immagine immutabile, a tutti universalmente nota, quella che il pubblico ha già vista nel ritratto ingrandito dello studio. E naturale apparrà anche, che gli siano davvero ricresciuti i capelli. L'attore si sarà messo infatti nel frattempo una nuova parrucca; ma sarà bene che da principio, mentre scende la scala, le ciocche lunghe, che gli si ripiegano in forma di ali cadenti, dietro gli orecchi, siano nascoste dentro il suo famoso cappello a larghe tese; e questo, per la ragione che si vedrà appresso. Tutti si moveranno verso il fondo, in silenzio e come sospesi, mentre egli lentamente scenderà la scala, pallido e come insordito in una rigidezza di pietra. Quand'egli avrà disceso tutta la scala, apparirà in cima Veroccia, con gli occhi gonfi e rossi di pianto, e s'aggrapperà alla ringhiera come per trattenersi e resistere a quello che prova. L'uscita della villa s'immagina, come s'è detto, verso il proscenio.
Giovanna (facendosi
avanti): Tu sei un po' sofferente?
Giaffredi: Ma no, ma no! adesso è passato, non è più niente. Andiamo.
Giovanna: Aspettate. Dio, che hai fatto dei tuoi capelli, caro?
Gli leva il cappello e gli passa la mano sui capelli, prima da un lato e poi dall'altro e allora le ciocche ad ali cadenti pare che ricrescano sotto le mani di lei. Ella lo guarda e tutti lo guardano.
Ecco: così è la tua testa.
E allora, lui avanti, e tutti gli altri dietro, si muovono con la solennità di un mortorio verso il proscenio. Se non che, dall'alto della scala, scoppia, come a tradimento, il grido frenetico di Veroccia.
Veroccia: Viva Dèlago! Viva Dèlago!
Egli s'arresta un attimo, come colpito alla schiena, e apre con strazio atroce, appena appena, le labbra pallide e rigide a un sorriso di spasimo e di gioia.
Giovanna: Questa è
un'improntitudine!
Giaffredi: Una tracotanza!
Veroccia (c.s.): Viva Dèlago! Viva Dèlago!
Giaffredi (a Pietro, che ride, felice): Ma la faccia
tacere!
Giovanna: Andiamo! Andiamo! Tu non metterai più piede in questa casa!
Egli séguita ad andare verso il proscenio senza affrettarsi, con tutti dietro, e mentre Veroccia seguita a gridare come in una convulsione, sempre più frenetica: «Viva Dèlago! Viva Dèlago!» aggrappata, contorta sulla ringhiera della scala, cala lentamente la
Tela
ATTO SECONDO
La biblioteca di ***
nella sua casa antica. Aria corrotta dalle vecchie stampe e da quel rigido che
hanno le chiese. Senso stagnante di solenne oppressione. Tutte le pareti sono
coperte da scaffalature di libri; e i due usci nelle due laterali e il camino
in quella di destra, (dell'attore) prima dell'uscio, vi sono
inseriti; in quella di fondo è, nel mezzo, come una nicchia, in cui è inserito
il seggiolone di *** che ha davanti un'ampia tavola massiccia rettangolare,
sovraccarica anch'essa di libri e sparsa di carte, con una grande lampada da
una parte, e dall'altra, sul davanti, una mezza figura in marmo di *** un po'
minore del vero, che rappresenta la testa e il braccio destro che la sostiene,
a pugno chiuso sulla tempia. Davanti la scaffalatura della parete sinistra c'è
un gran divano di cuojo, un po' sciupato, e due poltrone anch'esse di cuoio,
con un tavolino in mezzo; due poltrone sono anche davanti il camino nella parete
destra. Corre a tre quarti d'altezza delle scaffalature un palco praticabile,
tutt'in giro alla biblioteca colla sua ringhiera di legno. In questo palco, tra
i libri, quattro ritratti di poeti simmetricamente disposti, due nella parete
di fondo e uno in ciascuna delle laterali, ritratti dipinti sugli sportelli,
che si possono aprire, di quattro riposti della biblioteca, ove s'immaginano
conservati libri rari e preziosi. Anche questi quattro riposti (che
s'intravederanno appena, perché gli sportelli sul palco si potranno aprire fino
a un certo punto, impediti come sono dalla ringhiera) saranno
praticabili, per la ragione che poi si vedrò. I quattro ritratti saranno quelli
di Dante e dell'Ariosto, l'uno a destra e l'altro a sinistra, sugli sportelli
della parete di fondo; quello del Foscolo sullo sportello della parete destra e
quello del Leopardi su quello della parete sinistra.
Al levarsi della tela
si vedrà, in una luce molto gialla e pur soffusa di viola, calda e densa - luce
malata e soffocata - innaturale - di sogno - ***dormire sul suo
seggiolone, il braccio destro appoggiato al bracciuolo, a sostegno della testa,
nello stessissimo atteggiamento del busto sul davanti della tavola, a sinistra.
Parrà di cera: il fantoccio ideato da Veroccia, posato lì, davanti la
scrivania. Sul palco in alto si vedranno, come uscite vive dai ritratti sui
quattro sportelli, le immagini di Dante e del Foscolo, dell'Ariosto e del
Leopardi. In un silenzio assoluto, gesticoleranno a un tempo tutte e quattro
vivacissimamente. Foscolo, acceso, con un braccio levato e la mano aperta, fa
cenno a Dante d'incitamento a parlare per i nuovi destini d'Italia, come lui
vorrebbe: ma Dante, fosco e sdegnato, scrolla urtato le spalle e con un dito
teso fa segno di no, di no, energicamente. Dal canto suo il Leopardi scuote
sconsolato la testa di qua e di là e apre con disperazione le braccia, come per
dire che tutto è inutile e vano, mentre l'Ariosto, con un sorriso di sapiente
indulgenza, fa col capo e le braccia all'infelice gesti d'esortazione: eh, via!
sii mago a te stesso e consólati! - Questa scena durerà un momento, cioè finché
non s'udrà bussare una prima volta all'uscio della parete destra. *** si
scoterà appena, ma quanto basta per scomporre quel suo sogno di biblioteca; e
difatti le quattro immagini dei poeti subito apriranno fin dove è possibile gli
sportelli e si cacceranno dentro i riposti, richiudendoli. Si udrà di nuovo
bussare all'uscio, più forte; e allora *** si riscoterà, ma resterà un po'
incerto se abbia udito davvero bussare. In questo momento d'incertezza, quella
morbosa luce si diraderà, si farà luce di giorno, fredda e normale:
VENTO TUONI
Miro entra dal cancello lo chiude e si gira CORNACCHIE
*** Avanti.
Entra il vecchio cameriere Cesare, d'aspetto molto dignitoso, ma così preoccupato che parla con voce velata.
Miro spolvera Albertaz grammofono
Cesare: Per Vostra Eccellenza, il commesso della nuova Casa di
dischi.
* * * (lo guarda, sta un po' a riflettere, poi dice seccato): Ma
sì, fallo entrare.
Entra il commesso della nuova Casa di dischi con un grammofono portatile a valigetta, in una mano, e nell'altra sei dischi nella loro busta aperta.
Il commesso: Ossequio, Maestro. Le porto il disco «I miei quattro
poeti».
*** Ah, già impresso?
Il commesso: Eh, un suo disco! Sentirà: (posa il grammofono sul
tavolino davanti al divano; e lo apre; e, mentre lo carica,)riuscito
a perfezione, nitido; una bellezza. La Casa - (s'era rimasti tre, mi pare?)
glie n'ha mandati sei - e se ne volesse altri... (Ha finito di caricare e
ora applica il disco.)
*** Basta uno! Basta uno! È anche troppo.
Il commesso: Ecco pronto. (Fa girare lo strumento.)
Disco (con la voce di ***):Dante. (Pausa.)Ariosto.
(Pausa.)Foscolo.(Pausa.)Leopardi. (Pausa.)Quattro nature, nelle necessità del loro tempo, a cui debbono, anche a loro
insaputa, obbedire. E se Foscolo può incitare Dante a parlare per i nuovi
destini d'Italia, come lui vorrebbe; e se Dante, chiuso nelle sue passioni
inesorabili, nega sdegnato...
*** Ah, basta! Stacchi! Stacchi! La prego!
Il commesso (staccando subito): Non l'accontenta?
*** No, la mia voce - là chiusa - che parla così da sé... Va benissimo,
non dico, ma mi è insopportabile. Lasci pure i dischi e ringrazii per me la
Casa. Chi sa che davvero non mi serviranno...
Il commesso (stordito): Come dice?
*** No, niente. Son veramente la voce di questa mia biblioteca.
Il commesso: Vedrà che andranno a ruba..a ruba cornacchia
breve
*** A rivederla. Truffa Truffa
Il commesso s'inchina, e via col suo grammofono a valigetta. Si presenta Cesare, al solito, molto dignitoso, ad annunciare.
Cesare: Per Vostra Eccellenza -
***(scattando: urtato): Oh, basta, con
questa mia eccellenza!
Cesare: Me l'ha ordinato la signora.
*** Da quando t'ha dato quest'ordine, la signora?
Cesare, Da poco, Eccellenza. Anzi m'ha detto, in attesa d'altro titolo.
Cosa di cui io, umilmente, da servo affezionato...
*** Va bene, va bene - chi c'è?
Cesare (col tono di prima, forse un po' più velato, ma come se nulla
fosse stato):Per Vostra Eccellenza - un gruppo di giovani.
*** Giovani - per me? - Chi sono?
Cesare: Giornalisti, hanno detto.
Scelzi (sporgendo, come nel primo atto, il capo dall'uscio): Io,
Maestro, con alcuni amici, se permette.
Nell'interno, davanti all'uscio, scoppia un frastuono di voci. Si riconosceranno quelle di Sàrcoli e di Diana; ma più violente saranno quelle del primo e del secondo giovine delaghiani.
Primo giovine: No, immorale! immorale!
Diana: Da ridere, via!
Sàrcoli: Bolla tutta una generazione!
Secondo giovine: E chi ha inteso poi canzonare?
***(a Scelzi): Ma che vogliono?
Scelzi (parandosi davanti all'uscio e ammonendo verso l'interno):
Oh, a patto che finisca il bailamme!
Cesare (nel frattempo a ***): Vuole che li cacci?
*** No, aspetta.
Scelzi (agli altri che entrano, accesi): Parlerò io.
*** Un'invasione...
Sàrcoli (buttandosi a dire con foga): Sì,perché lei veda
-
Scelzi (dandogli sulla voce):Basta, Sàrcoli!
Sàrcoli: No, con tutto il rispetto che gli si deve...
***(a Sàrcoli):Veda che cosa?
Sàrcoli: Che non è lecito scherzare con l'entusiasmo dei giovani!
*** Io, scherzare? Non capisco. Che è accaduto?
Primo giovine: Vuol seguitare!
Secondo giovine: Ah no!
Sàrcoli: Basta! Basta!
Diana: Io ci ho gusto!
*** Va' va', Cesare. (E mentre Cesare come trasecolato nella
sua dignità, va via, rivolgendosi ai giovani:)Insomma che cos'è?
Primo giovine: Siamo qua tutti sconvolti -
Sàrcoli - no, peggio: indignati!
*** Si osa parlare così davanti a me?
Secondo giovine: Indignati, sì, come per un'immoralità -
Primo giovine: - ma dici truffa all'americana, del signor Pietro -
***Pietro? Che ha fatto? ,
Primo giovine: - una truffa! una truffa!
***(stordito): - truffa...?
Scelzi (insorgendo):Oh, finiamola, perdio, con le parole
grosse! Possibile che non ci si debba intendere nemmeno tra noi?
Diana (scoppiando a ridere all'improvviso, come nel primo atto):Dèlago... Dèlago...
Sàrcoli: Basta, Diana, o ti caccio via!
Diana È così buffo... così buffo...
*** (andandole contro, fiero):Che cosa è buffo?
Diana: Ma anche noi, Maestro... io stessa che ci ho creduto... Io anzi
l'ammiro per questa colossale canzonatura...
*** Canzonatura? Che vuol dire? Io non so nulla!
Scelzi: Come, scusi! Non sa che suo nipote ha messo fuori stamane un
nuovo libro di Dèlago?
*** Io, no! Pietro? Che libro?
Primo giovine (in tono derisorio):«LA VOCE NUOVA»...
Sàrcoli (subito, porgendogli il libro): Eccolo: «Nuove
liriche di Dèlago»...
***(sorpreso, con esclamazione spontanea):Ma
questo libro è mio!
Tutti (meno Scelzi, a coro):- Eh, lo sappiamo! - Ormai! -
Bella novità! - Lo sappiamo bene!
Scelzi (mostrando un fascio di bozze che ha con sé): Ne ho
qua le bozze, guardi, mandatemi una settimana prima, per il lancio!
***(come tra sé, sbalordito): ... pubblicato
sotto il nome di Dèlago?
Primo giovine (indicandolo agli altri):Finge di non
saperlo, oh!
*** (c.s.): ... ha osato far questo ... ?
Sàrcoli: Ma perché Dèlago è lei!
Secondo giovine: Vuol nascondersi ancora?
Diana: È inutile, sa, perché ormai ce l'ha detto...
*** Chi ve l'ha detto?
Sàrcoli e gli altri (meno Scelzi): Lui! - Lui! -
Pietro! - Lui stesso!
***(quasi tra sé): Sciocco... sciocco...
Scelzi (come a parar le voci dei compagni):Ma no!
Aspettate! - Perché io prima avevo mostrato, discutendo, queste bozze a uno che
aveva letto il manoscritto, e me lo vidi saltar su, tutt'acceso e trionfante, a
gridarmi che il libro non era di Dèlago ma di lei, e che lei lo aveva
rifiutato!
*** Rifiutato? Non è vero! Io l'avevo lasciato là -
Sàrcoli: - da Pietro? perché lo pubblicasse?
*** No! al contrario! Proibendoglielo!
Sàrcoli: Ah, sentite? - E allora è stato lui a farle il tradimento! Per
seguitare la burla!
Scelzi (gridando): Ma non è vero! Che dite! Sono stato io,
a metterlo alle strette!
*** E lui le ha confessato ... ?
Sàrcoli: Ma sì! La burla!
Scelzi (mentre gli altri, indignati, ripetono):- La
burla! La burla! (e *** tra sé, con rabbia e amarezza stringendo le pugna,
esclama:) - Sciocco... sciocco... sciocco...(insorgendo contro
tutti)No! Pietro non ha detto burla! Tutt'altro! Ha voluto anzi
difendere il libro e lei! Sono stato io a dimostrargli -
***(investendolo): - chegli ha dimostrato
lei?
Scelzi (furioso, picchiando la mano rovesciata sul fascio di bozze):
- chequa, queste nuove pagine, sonavano false -
*** - ah? eh si sa! ora false!
Scelzi: - no, io ancora non lo sapevo! Anche senza saperlo il trucco -
il trucco qua si scopre da sé!
*** - ma sì! certo! certo!
Scelzi: - posso farle vedere qua le notazioni che avevo già fatte! E si
ricorderà del resto, anche, di tutte le mie riserve per Dèlago!
*** Ma sì! Ma sì! (c.s.): - Ecco - com'io gli avevo detto...
burla. .. non può più essere altro... - burla, eh già! - ora che sapete che
Dèlago sonoio.
Sàrcoli: E che altro può essere, scusi?
Primo giovine: Lo confessa lui stesso!
***(investendo di nuovo Scelzi):Le sue
riserve? ah sì, le sue riserve per Dèlago? là il «modo» nuovo, nel senso che
intendeva lei? il «modo» nuovo che lei ci sentiva? - «Uh, non
scherziamo.»-Ela pietra sopra? La pietra sopra, a
noi della vecchia generazione? Una burla, eh? - Ma si sa! - Ora che Dèlago sono
io.
Scelzi: Ah ma appunto sì, ora che Dèlago è lei! e qua si scopre, sa! (di
nuovo picchiando sulle bozze)- cosadi carta - libro -
manipolazione di stile! E mi permetta di dirle, se Lei assume codesto tono con
me, che questo non entra più veramente nella moralità di noi giovani -
*** - ah, no? -
Scelzi: - no! perché per noi il poeta - lo sappia - non è più il
letterato sapiente -
Sàrcoli: - che può divertirsi a far la burla d'apparir giovine, quando
non è!
Primo giovine: Ora che sappiamo che Dèlago è lei, basta per noi!
Scelzi: Ah basta, sì! Perché per noi il poeta deve essere prima di tutto
un uomo, - vivaddio! Non carta stampata - SANGUE
- PERSONA.
***(stringendo a due mani il libro e scotendolo mentre
si fa contro a Scelzi con fierissimo sdegno): E qua non c'è un uomo?
Qua non c'è sangue? «Vita che pulsa altrimenti»; «altra vita», come lei stesso
diceva? - No - più - è vero? perché ho gli anni che ho? Gioventù è per voi
numero d'anni, non prerogativa di spirito? Questa è la vostra moralità: la più
insolente presunzione! Non posso essere - io - più giovine di tutti voi, e aver
sentito in me ciò che in voi s'agita ancora inespresso - sentito! sentito! -
tanto da esprimerlo prima di voi - e perché nuovo, altrimenti da come ho fatto
finora? Ah questo è immorale, per la vostra moralità che si sente burlata? -
Ebbene, e allora, quand'è così - sì - io v'ho burlati! burlati!
Sopravviene esultante dall'uscio a destra Modoni, seguito da due giornalisti, e quasi nello stesso tempo, dall'uscio a sinistra, sopravvengono, eccitati anch'essi dalla sorpresa, Tito, Giaffredi, Giovanna e Valentina. È lasciato alla maestria del direttore il concerto di questa scena in qualche punto simultanea, perché avverrà che i giovani da un canto, i familiari dall'altro, e quelli di questo e di quel gruppo che di volta in volta si rivolgeranno a *** che sta nel mezzo, parleranno contemporaneamente. La confusione delle voci, del resto, sarà per poco e sarà più che mai naturale nell'animazione di tutti; basterà che nel concerto spicchino le note essenziali.
Modoni (correndo ad abbracciare ***): Magnificamente,
amico mio! Burlati! Burlati!
Scelzi: Burlati noi, oh senti!
Modoni: Ah no, burlato io, allora!
Tito (già entrato di furia):Me n'ero accorto, io, papà!
Dicevo plagi perché non lo sapevo! (a Modoni:)Non lo sapevo!
Modoni: E chi poteva immaginarselo!
Scelzi: Io! Io, che avevo già scoperto...
Tito: Lei, quando? che erano plagi? Io dicevo plagi perché non lo
sapevo!
Giaffredi (nel frattempo, già entrato, avrà detto a *** battendogli
le mani sulle spalle):Una vera grande grande soddisfazione!
Modoni: Di quelle che può pigliarsi lui solo!
Giovanna: E sempre lui! E sempre lui!
Sàrcoli: Ma la vera soddisfazione è la nostra!
Valentina: Io mi sento liberata da un incubo! Tuo: Eh, te lo dicevo io?
Dicevo plagi perché non lo sapevo!
Modoni (ai giovani derisoriamente): Dèlago, il poeta
nuovo!
Valentina: «Dèdalo», eh, Tìto? Io me lo sognavo!
Tito: Già, in America, coi libri di papà!
Giaffredi (ai giovani): Eccovi serviti, signori miei!
Scelzi: Ah noi, no, prego! Siamo venuti qua -
Primo giornalista (interrompendolo):Preghiamo noi,
signori, preghiamo noi! Per carità, Maestro: abbiamo il giornale in macchina -
Secondo giornalista: - in attesa della sua conferma -
Modoni: Li ho portati io. Si farà un chiasso enorme! - Vogliono
comunicare subito la notizia - ma la vogliono sapere da te -
*** Da me? Che?
Sàrcoli: Che Dèlago è una burla!
Gli altri: Ma sì, una burla! una burla! Canzone BURLA
Primo giornalista (a ***):Leice lo conferma?
*** Io? E non li sentite? Lo gridano loro!
Modoni: Burlati! Burlati!
I giovani: No! nient'affatto! Burlati noi? Burlato sarà lui!
Primo giornalista (al secondo): Scappiamo! Scappiamo!
Secondo giornalista (ai giovani): Non vogliamo sapere
altro!
Primo giornalista: Modoni, pensate ai fotografi! (E va via,
col secondo giornalista.)
Scelzi (correndo loro dietro con tutti gli altri giovani): Ma
no! Dovete dire che io, io prima di tutti, avevo già scoperto il trucco...
Sàrcoli: E che noi siamo venuti qua a protestare...
Gli altri: A protestare! A protestare! (L'uscita così scomposta dei
giovani provoca nei familiari una grande risata.)
Giovanna: Sono felice! felice!
Modoni (a ***):Non ci voleva altro, amico mio!
Giaffredi: Sei magnifico! magnifico!
Tito: Come sono scappati!
Valentina: Ah Dio, che figura...
Modoni: Bisogna fare una statua a quel tuo nipote! Non poteva servirci
meglio!
Giovanna: Ah ma s'è servito bene, intanto, anche lui! Questo libro, ora,
andrà a ruba!
Modoni: Ma che, no!
Giaffredi: Si può arrestare la vendita! Fare un processo per abuso di
fiducia e appropriazione indebita!
Modoni: No, che! I «nostri» andranno a ruba, adesso, i «nostri»,
Eccellenza! Ho già dato l'ordine di rifornire tutti i libraj!
Tito: Ma col chiasso che si farà...
Modoni: Dèlago è finito, te lo dico io! finito! Non se ne venderanno
quattro copie, e finirà anche la vendita de «L'imbalconata»! Conosco il
pubblico, io. Appena saputo ch'è stata una burla...
***(come staccandosi dal pensiero in cui è stato assorto: a
Modoni): Ècolpa tua.
Modoni: Mia? Che dici?
*** Tua, tua, di non aver pubblicato tu il libro.
Giaffredi (Stupito): Ma come! Non sei contento?
Giovanna (stordita addirittura):Questa poi!
***(irruente, pur volendo contenersi):Contento?
Di che, contento? Che Dèlago sia finito? (Li guarda tutti): E
chi era? chi era? - Contento che paja adesso una burla ciò che prima era - era
- una voce nuova, «mia», che tutti avevano ascoltata - a cui tutti s'erano
voltati - voce «viva» - «viva» - «ANCORA VIVA»
- mia!
Giaffredi: Ma se non lo sapeva nessuno, scusa -
Giovanna: - che fosse tua! - Io trasecolo!
Giaffredi: Lo sapevi tu solo!
Modoni: Te l'avevano messo contro!
*** E questo io volevo!
Giaffredi: Ah sì? Che t'oscurasse?
*** Che m'oscurasse!
Giaffredi: Che fosse lui il nuovo idolo, e tu buttato a terra?
*** Lui, sì, perché «vivo»! lui! lui!
Giaffredi: Io non ti capisco più!
*** Eh lo so che voi non mi potete capire!
Modoni: Dovevo pubblicare il libro come tuo?
*** Se era mio!
Giaffredi: Perché tutti dicessero che imitavi Dèlago?
*** Ma sì! Ma sì! Questo volevo!
Giaffredi: Per finire di subissarti?
*** No! Per ripigliarmelo! Per rifar mio quello che è mio! Vita, non
burla. Sangue ancora vivo - mio! Questo io volevo!
Modoni: E come? Io non vedo...
*** Come? Lo sapevo io, come! Non svelandolo prima del tempo,
pubblicando il libro sotto il mio nome, per far dire appunto ch'era una cattiva
imitazione di Dèlago, l'eco falsa, pietosa, d'un vecchio che voleva ripetere la
voce d'un giovine, nuova, fresca, genuina, lo capite adesso che cosa io volevo?
- che s'affermasse ancora di più Dèlago, la sua giovinezza, la sua originalità
rimbalzante da quella mia cattiva copia - agile, ferma, decisa - innegabile! -
E allora, ecco, quando nessuno più l'avrebbe potuto negare, allora sì, svelarlo
-
Tito: - che Dèlago eri tu?
*** - e che per male che io facessi, non imitavo nessuno o imitavo me
stesso, perché Dèlago, appunto, ero io!
Modoni: Ah, guarda! E perché non ce lo dicesti?
Giaffredi: Ah, così tu volevi far più grande la burla?
*** La burla! Ecco, la burla! Non vedete che la burla, voi! Tanto è
incredibile anche per voi ch'io possa sentirmi ancora vivo; evadere da questa
prigione di me stesso! Chiuso! Murato! E soffoco! soffoco! muojo! - Perché non
ve l'ho detto? Ecco perché! Se l'aveste saputo prima che Dèlago ero io...
Giovanna: E tuo nipote lo sapeva?
*** Ma certo che lo sapeva!
Giaffredi: Ah, e perciò ha pubblicato il libro sotto il nome di Dèlago?
*** Sciocco! Non ha capito neanche lui. Non ebbi il tempo di prevenirlo.
Ma chi si sarebbe immaginato che tu (a Modoni)dovessi riportarmi
là il manoscritto, rifiutandoti di pubblicarlo? Ed ecco che lui, a
tradimento... Lo so, lo so perché l'ha fatto! Ha inteso di liberarmi, hanno
inteso di liberarmi, senza voler capire ciò che ho pur fatto loro notare, che
Dèlago, svelato prima del tempo, sarebbe sembrato a tutti una burla.
Giovanna: Te ne stai rammaricando, come se, perduto Dèlago, tu abbia
perduto tutto! Non resti più quello che sei? con di più questa burla solenne a
tutti gli sciocchi che prima ci avevano creduto e ora non ci credono più?
*** Ah, ora lo so, non mi resta più altro, ora! Affermare anch'io che ho
voluto fare una burla!
Giaffredi: E contèntatene, caro! Che dopo tutto è una gran prova di
talento e di vitalità anche questa: creare un idolo e abbatterlo! Tu ne resti
comunque accresciuto.
Tito: Ah, ma sarebbe stato più bello come voleva far lui!
*** Non vi provate nemmeno a supporre come tutto questo mi dolga...
Valentina: Io sì! Ah, io le sapevo tutte a memoria, sai? - tutte - le
liriche di Dèlago... Quella del «Bimbo Mattino»...
Tito: E la «Passeggiata»!La «Passeggiata»...
*** Tutte burle! Tutte burle!
Giovanna: Ah, no; senti, io per me, preferisco davvero crederle burle.
Non riesco a immaginare nemmeno che tu, alla tua età e per quello che sei,
abbia potuto scriverle sul serio. Le ammetto appena come burle; e anche come
tali non mi sembrano degne di te. Vedere che ne soffri... è inverosimile,
guardate... - ma sì, guardate che viso ha fatto... tutto scavato...
Tito: Ti senti male, papà?
***(scattando):No! basta! basta!
Giovanna: È una cosa che mi... che mi...
Giaffredi (sottovoce):Basta, basta, Giovanna... (Pausa
penosa). Vento / cornacchia
Valentina: Peccato!
Tito: Eh sì, peccato!
Valentina: Eh sì, peccato!
Un giro di pensieri chiari e bui |
Pausa penosa.
Modoni (timido):Ci sono di là ancora, amici miei (indica l'uscio a destra), ifotografi.
***(scattando):Ah no, perdio! Non ci
mancherebbe altro! Mandali via!
Modoni: Abbi pazienza, caro...
Giaffredi: Li hanno portati i giornalisti...
*** Non sento ragione! Via! Via!
Modoni: Sono lì che aspettano...
*** Li hai portati tu; coi giornalisti!
Tito: E poi ormai sarà troppo tardi...
Modoni: No! Per le edizioni della sera! per le edizioni della sera! Sono
già preparati gli articoli!
*** Per strombazzare la burla?
Modoni: Ma è necessario, credi, per te - e anche per me, in questo
momento!
*** Io non ne posso più, basta! Lasciatemi in pace!
Modoni: È l'affare d'un momento! Persuadetelo voi, Eccellenza!
*** Non mi persuade nessuno! Vi dico di lasciarmi in pace!
Modoni: Ma vi figurate il can-can che adesso faranno tutti i giovani che
si son sentiti burlati? Si butteranno accaniti su tutta l'opera sua, sulla sua
fama!
Giovanna: Non gli potranno far nulla!
Modoni: Lo so! Ma bisogna prevenirli! Sgominarli! Seppellirli sotto il
ridicolo! Muovere noi, prima, all'attacco! Non perdere questa felice
situazione!
Tito: Certo, attaccare, attaccheranno...
Giaffredi: E in questo momento, con ciò che si sta preparando...
Giovanna: Credete che possa far male?
Giaffredi: Sarebbe meglio che non ci fossero discussioni...
Modoni: No, no, non dico questo! Non fraintendetemi! Non dico che ci sia
da temere! Dico che non dobbiamo perdere l'occasione! Ma avvalercene! Per
uscirne accresciuti, come voi avete detto, Eccellenza! (A Tito:)E
tu mi segnalerai i plagi che avevi scoperti!
Tito: Sì, più di cinque! Plagi, perché non lo sapevo!
Modoni: Glieli sbatteremo in faccia! Stupidi, che non se n'erano
accorti! Mentre lui giocava quasi a carte scoperte! Lasciate fare a me che li
accomodo io! Ma tu arrenditi un momento e mettiti almeno ora nelle mie mani.
*** Tutto questo mi stomaca! Non lo capite? Mi finisce!
Giovanna: Ma ti dovrebbe, al contrario, far piacere.
Tito: No, io lo capisco...
Valentina: Anch'io...
Modoni: Va bene, perché siete giovani. Ma ora lasciate fare a me. Dite
qualche cosa voi, Eccellenza!
Giaffredi: Io comprendo che tu possa esserne addolorato; ma pensa che è,
se mai, la perdita d'un momento solo di te stesso - quest'ultimo -
*** - «Vivo» -
Giaffredi: Ma non mi far ridere! «Vivo» - Tu vivi in tutta l'opera tua!
*** Non dico l'opera! Dico «io», «vivo»!
Giaffredi: E l'opera non vive? La vorresti buttare all'aria per questo
solo momento?
Modoni: Lasciarla assaltare dalla furia di questi cani che si proveranno
ad abbatterla, a sgretolarla, per vendicarsi?
*** Se non resiste, se si sgretola, se può essere abbattuta...
Giaffredi: Ma nient'affatto! Sarà un assalto ingiusto, per vendetta;
bisognerà prevenirlo, difendersene: è tattica. Cogliere l'occasione di questa
che - sì, va bene, non è stata per te una burla - ma sei tu stesso persuaso che
converrà ormai assumerla come tale? - dunque, brandirla come un'arma - e
addosso!
Modoni: Ecco! ecco! - E a questo ho già predisposto tutta la stampa più
seria, che è con te!
Giaffredi: Sono trent'anni che lavori a comporti nell'opinione di tutti
in un'immagine di te, che tu stesso con tanta fatica hai scalpellata! Non puoi
ora volere che sia demolita!
*** Demolita... Se devo esser solo un'immagine...
Modoni: Ma vuoi negare te stesso?
*** Che vuoi che me ne importi!
Giaffredi: Come non te n'importa?
Giovanna: Ma di che vita parla poi, si può sapere?
Tito (a un tempo): Sei tutta la nostra vita, papà!
Valentina (a un tempo): Viviamo tutti di te!
***(sopraffatto): E va bene, va bene, e
allora i fotografi, i giornalisti...
Modoni (esultante, correndo subito all'uscio a destra a chiamare i
fotografi)Subito! Subito!
***(seguitando, esausto): ... e la burla, e la
tattica e l'immagine di me scalpellata (abbandona le braccia:)eccola
qua! Chiamateli! Ma che facciano presto
Giovanna (come tra sé):Lo vorrei proprio sapere, che
altra vita vorrebbe...
*** Ma no, niente, cara, più nessuna: ecco, questa, che è vostra -
Giovanna: - ma anche la tua! -
*** - Sì: scalpellata. (A Giaffredi:)Come hai
detto bene! - Ecco: così? Sono bene impostato?
Sono già entrati, al richiamo di Modoni, tre fotografi con le loro macchine una a mano e le altre due sui treppiedi, e gli apparecchi per il lampo di magnesio
Modoni: Prima, una,
lui solo. Scostiamoci, scostiamoci!
Primo fotografo: Così in piedi? Non sarebbe meglio ... ?
Modoni: No; la prima, così, in piedi. Poi l'altra a tavolino. Bisogna
che abbi pazienza, caro. Sono tanti giornali! La terza, tra Sua Eccellenza e
me.
Giaffredi: No no, lasciate! Io per me lo posso risparmiare!
Modoni: Ma no, Eccellenza! Per carità, lasciatemi fare, ché so bene che
cosa faccio! (A ***:)E a me che sono il tuo fedele editore, non
la vuoi dare questa soddisfazione? questo onore? La quarta sarà poi con la
famiglia.
Giovanna: Eh, sarà pieno di fumo qua dentro, prima che s'arrivi a noi!
***(già sotto la mira dei fotografi, che, impostate le
macchine e aggiustate le lenti e prese le misure, stanno per far scattare il
lampo di magnesio):E allora saremo tutti, cara (si distrae, e fa
un ampio gesto col braccio), come tra i lampi (lampo)e
le nubi dell'Olimpo tuono.
I fotografi: Oh Dio, s'è mosso! Peccato! Ha alzato il braccio proprio
nel momento dello scatto!
*** Eh già, scusate, è vero!
Modoni: Mi dispiace, caro, rimettiti a posto. Ti muovi proprio quando
non devi...
*** Sì, hai ragione. Io non mi devo più muovere.
Giovanna: Ah, ma non è possibile, badate, con tutto questo fumo!
Primo fotografo: Non c'è una presa qua vicino, scusi?
Tito: Sì sì, qua, accanto all'uscio!
Primo fotografo: Ah, benissimo, allora! Ho di là una lampada. Basterà. E
non si farà più fumo. Va', va' a prenderla!
Il secondo fotografo va a prendere la lampada e, mentre la scena prosegue, insieme con gli altri due preparerà l'attacco.
*** Ma fatene una
sola e basta, per favore! Basterà una! Ce ne sono già tante da riprodurre!
Giaffredi: Sì, sì, basterà una! basterà una, Modoni.
Giovanna: È troppo stanco. Risparmiatelo! Una sola. (Piano a
Giaffredi:)E forse non converrebbe neppure - guardatelo - Parrà un
cadavere...
Giaffredi (piano, a Giovanna). Sì, sono veramente
costernato. (Entra Cesare.)
Cesare: Permesso? Per Vostra Eccellenza - c'è di nuovo il commesso della
nuova Casa di dischi.
*** Ah bene! Anche lui...
Modoni (seccato): Ma che vuole?
*** Ma sì, fallo entrare! Anche lui!
Il commesso (entrando, ancora col suo grammofono a valigetta in mano):Scusi, Maestro, sono forse importuno...
*** No: libero ingresso, libero ingresso; si faccia avanti! Può entrare
chi vuole!
Il commesso: Mi manda la Casa... Si vorrebbe profittare di questa grande
occasione, se permette, per il lancio del nuovo disco...
*** Ma sì, profitti, profitti! Profittino tutti!
Il commesso: Ho con me il fotografo: ma vedo che qua ce ne sono già tre.
Vorrei prenderla mentre con la famiglia e gli amici sta ascoltando...
*** No! Guardi! (Va a sedere, risoluto, sul suo seggiolone.)Qua.
Io mi metto qua - come posato davanti la scrivania. Ha il suo grammofono?
Il commesso: Sì, l'ho portato...
Modoni: Ma che vuoi fare?
*** Lasciami fare! (Ai fotografi:)Ecco, così. Bravi, con
questa bella lampada che acceca! Siete pronti? (A Modoni:)Per
uno scrittore, caro, - quella al tavolino - è di prammatica, e sempre la
migliore. Ecco: nel mio solito atteggiamento: così. Aspettate! (A Tito,
senza scomporsi dall'atteggiamento:)Tito, prendi il grammofono.
Tito (facendosi dare il grammofono dal commesso):Ecco,
papà. (E gli s'avvicina.)Dove?
*** Dietro.
Tito: Come dietro?
***(senza scomporsi):Spaccami dietro.
Tito: Papà, che dici?
*** Spaccami dietro, e allogami nello stomaco il grammofono. Così parlo.
E voi tutti mi state a sentire.
Modoni: Oh bella! Oh bella!
Giovanna: Ah, scherza...
Tutti si provano a ridere, ma ridono male.
Tito: Ancora stavo a
sentire che voleva...
I fotografi: Fermi! Fermi! Pronti! TUONO Ecco fatto!
***(levandosi):Ah, finalmente! Ora basta!
Giovanna: Sì si, basta! Non bisogna più affaticarlo! Basta, basta.
Andiamo via!
Tito (al commesso): Scusi, sa; ma lo vede, non è proprio
possibile ...
Commesso: Peccato, con quest'occasione... la Casa... Ma pazienza ...
Sarà per un'altra volta!
Modoni (ai fotografi): Su su,andiamo, noi! Via subito:
bisogna tirar le copie e distribuirle a tutti i giomali.
Primo fotografo: Aspetti, stacco la presa...
Modoni (ai familiari):Io torno piùtardi. (Via
coi fotografi e il commesso.)
Giaffredi: Vado via anch'io.
Giovanna: Ma no, aspettate, amico mio, vorrei dirvi...
Cesare (entrando):Permesso? Per Vostra Eccellenza - suo
nipote, con la signora e la signorina.
Giovanna (scattando):Ah no! Questo poi no! Basta di
costoro in casa nostra ormai! Tu non li riceverai!
***(fermo, contenendosi):Io li riceverò.
Voi uscirete...
Giovanna: Ah, ci mandi via per loro?
*** Dico, se voi non volete riceverli. (A Cesare:)E tu li
farai entrare.
Giovanna: Ma non dovresti tu!
Tito: È suo nipote, mammà...
Valentina: Non li posso soffrire nemmeno io!
Giaffredi: Calma, calma...
Giovanna: Dovrebbe comprendere che io lo dicevo per lui... Anche per lo
stato in cui si trova... Venite, venite di qua, amico mio... (Via tutt'e
quattro per l'uscio a sinistra.)
*** (a Cesare):Falli entrare.
*** davanti alla grande tavola, come a sostenersi, con le due braccia dietro appoggiate, pare che aspetti l'ultimo colpo che lo finisca. A significare che la vita non è più dentro di lui ormai, ma può solo averla davanti, e che comprende e sa già tutto ciò che Veroccia specialmente e anche Natascia e Pietro vengono a dirgli e che l'accoglie e lo accetta come giusto da parte loro: insomma, che può soltanto lasciarli parlare e non più rispondere orinai; la scena, tra lui là muto angosciosamente e inerte e gli altri accesi e agitati davanti a lui, si svolgerà come se realmente questi altri parlassero come egli pensa che debbano parlargli e si muovessero com'egli pensa che si debbano muovere: se Pietro si giustifica, se Veroccia lo investe e gli grida il suo sdegno e piange e si convelle, se Natascia esprime placida lo strazio di lui e di tutti; tutto gli è chiaro, comprensibile, ma orinai come staccato e remoto da lui.
Veroccia (andandogli
incontro, con un giornale aperto in mano): L'hai dichiarato tu
davvero - tu, a tutti - che è stata una burla? (Lo guarda. Egli è là
immobile: ma come se avesse parlato o fatto cenno di no col capo, ella domanda:)Ah no? Dici di no? È stampato qua! (gli mostra il giornale. Poi c.s.:)
No? - Gli altri, eh? Tutti qua - hanno gridato gli altri - gridato - decretato,
e ora stampato. Tu no! Lo avevi detto solo a me, tu, come una minaccia o un
timore che si sono avverati per colpa nostra, è vero? E ora basta! Ora non hai più
altro da dire. (Esasperata, agli altri:) Mi guarda! Mi
guarda! Non parla! (A lui:) Non puoi più fare altro che guardarmi? Eh lo
so! (Agli altri:)Non può più far altro: s'è arreso! ha accettato
il decreto!
Pietro: Io sono venuto qua per dirti...
Natascia: Ma lo sa, Pietro, zitto! Non vedi che lo sa? E può fors'anche
aggiungere che ci ha difesi.
Veroccia: Di che, difesi?
Pietro: D'averlo voluto far vivere?
Veroccia: Ma è questa appunto la nostra colpa per lui, non vedi?
Natascia: No, non per lui!
Veroccia: Per lui sì! Anche per lui, se si è arreso!
Natascia: Non bisogna essere ingiusti, Veroccia. Era colpa per gli
altri, non per lui. (Si rivolge a lui:)E tu ci hai
difesi, non è vero? Quantunque nessuno qua, forse, ci ha veramente accusati, se
è vero ciò che è stampato in quel giornale, che noi - (a Pietro:)cioè, tu - hai reso loro un gran servizio.
Pietro: Io, a loro? Ah no! A loro, no! Io ho voluto renderlo a lui il
servizio, facendo che se lo pigliasse Dèlago almeno, il libro che loro non
avevano permesso che fosse pubblicato come suo. E forse avevano ragione, perché
il libro è di Dèlago, di Dèlago!
Veroccia: Sì, come una burla!
Pietro: Ah, ma perché lui non ha saputo farlo valere contro quel branco
di stupidi che io mi son battuti davanti a sassate come tanti cani che
abbajavano!
Natascia: Ma forse avrà fatto così anche lui, anche se ora non te lo
dice.
Veroccia: E perché non lo dice? Perché non lo dice?
Natascia: Perché gli duole; dovrebbe rimproverarci e non vuole... Questo
era un libro per te, Veroccia; ma lui ne aveva tanti, tanti altri... anche
suoi, cara, da difendere. E qua tutti - vecchi, giovani - gridavano burla...
Veroccia: E tu, allora, burla, è vero? Io, allora, una burla! T'ero
dunque servita per questo io? E allora tu avevi soltanto burlato, con me?
burlato, è vero? I giovani che ti mancavano... I vecchi che ti mancavano... Ma
che doveva importartene, se ti restavo io? se avevi me? Io che non ti mancavo?
Io che m'ero data a te tutta - tutta - e tu lo sai - tu che non hai voluto,
vile... - tu lo sai che m'ero data a te tutta, e non hai avuto il coraggio di
prendermi, di prenderti la vita ch'io t'ho voluto dare - per te, per te che
soffrivi di non averne nessuna, di non poter più nemmeno sperare di averne.
L'hai avuta da me e hai accettato che dicessero burla? Ah,
vile... vile... vile... (E Veroccia scoppia in un pianto convulso, di
sdegno e di pena.)
Natascia (la lascia piangere un po'; poi, l'esorta): Basta,
basta, cara, non piangere più... Io credo che non avrei neppur bisogno di
danzar come Sàlome. Ti voglio tanto bene, cara, che potrei andare di là,
placidissima, e portarti su un piatto la testa di quella sua vecchia moglie. Ma
è inutile, non vedi? Egli è là immobile, ormai.
Veroccia (balzando in piedi): Sì, sì, è la sua condanna!
Senza più vita là. Lasciamolo! Andiamo via! Andiamo via!
E se li trascina via con sé, senza più nemmeno voltarsi a guardarlo. Ora che è rimasto solo sì - *** può parlare. E si mette a parlare con tenerezza infinita a Veroccia, come se fosse ancora là presente.
*** Eh, lo so... ma perché tu mi vedevi... tu mi volevi ancora vivo, come te... Ed eri pronta a tutto... E ora mi rinfacci il male che non t'ho fatto... Ma io non dovevo fartelo, perché non ero più vivo come te, io, viva giovinezza mia fuori di me, del mio spirito e nel tuo corpo; non nel mio, non nel mio ch'era già vecchio... Tu non l'hai compreso questo ritegno in me del pudore d'esser vecchio, per te giovine. E questa cosa atroce che ai vecchi avviene, tu non la sai: uno specchio - scoprircisi d'improvviso - e la desolazione di vedersi che uccide ogni volta lo stupore di non ricordarsene più - e la vergogna dentro, la vergogna allora, come d'una oscenità, di sentirsi, con quell'aspetto di vecchio, il cuore ancora giovine e caldo. Eh, tu sei viva e giovine, creatura mia; ecco, ancora così viva, che già sei mutata - puoi mutare tu, momento per momento, e io no, io non più. Non hai pensato che non era più possibile per me, che anch'io fossi ancora vivo così... Ti sei preso, cara, di me l'ultimo momento vivo; ma pénsaci! pénsaci! come te ne saresti consolata? solo col dirti che quest'ultimo momento non era quello d'un vecchio qualunque, ma d'uno che era QUALCUNO - qualcuno a cui tutti i momenti, tutti, uno dopo l'altro, tanti -.tanti - quelli di tutta una vita, eran serviti per divenire appunto QUALCUNO -qualcuno che non può più vivere, cara, non può, se non per soffrime. (Pausa; e poi, più cupo e solenne): QUALCUNO, VIVO, NESSUNO LO VEDE: (Pausa.)Tu mi hai potuto vedere perché per te non ero qualcuno; ma uno che volevi vivo, come staccato da me, nel tuo momento: ed io TUTTO QUAL ERO, io QUALCUNO, che ero diventato? eh, un fantoccio per te; a cui potesti perfino tagliare i capelli; tant'è vero che tu vivo come QUALCUNO non mi vedesti mai; e non mi potevi vedere: mi domandavi perfino stizzita: «Perché ne soffri?». Ora lo sai perché ne soffro: e non t'importa più di saperlo. Mi hai visto finalmente QUALCUNO; e per te NON SONO PIÙ VIVO.
S'è già fatto bujo gradatamente: d'un tratto, l'ultimo barlume si spegne, e prima che egli accenda la lampada sulla tavola, che farà nella biblioteca un lume spettrale, quasi simile a quello del principio dell'atto, le quattro immagini dei poeti saranno di nuovo sul palco, ma questa volta in una austera rigidità di statue. Egli intanto si sarà mosso lentamente per rimpostarsi, rigido anche lui, e in piedi, davanti la scrivania, cominciando a dire nel bujo:
Veramente, quando si è QUALCUNO, bisogna che al momento giusto (luce) si decreti la propria morte, e si resti chiusi - così - a guardia di se stessi.
Tela
1 - I versi sono di Stefano Landi (Pirandello)
ATTO TERZO
Vasto giardino della villa, ove *** ha passato l'estate, ormai per finire. Gli alberi, pini e cipressi, sono ai lati, con altre piante, oleandri, allori. Nel mezzo è lo spiazzo davanti la villa, che si vede in fondo. Lo spiazzo ha nel centro una platea di marmo con tre sedili, uno nel mezzo in forma di sedia curule, due staccati ai lati, leggermente curvi, di modo che tutti e tre formino quasi un semicerchio. Dietro ai due sedili laterali può esserci una bassa spalliera di bossi. La villa in fondo è bianca. Ha in mezzo un'ampia entrata a vetri, e due finestre ad arco per lato, che si vedranno tutte e quattro illuminate, come se a pianterreno ci fosse un lungo atrio rettangolare. Tra queste finestre dell'atrio a pianterreno e quelle a primo piano ci sarà almeno un metro d'altezza, per dar posto a una epigrafe che poi vi figurerà come incisa lì per lì, ma che, naturalmente, già vi sarà, nascosta da soprammessi listelli di carta dello stesso colore della facciata, i quali, scorrendo a tratti, tirati da dietro, scopriranno le parole a mano a mano che *** le pronunzierà. La facciata della villa sarà fatta di telaj rientranti, in modo da potersi restringere e, nello stesso tempo, abbassare da su, allorché, tirata lentamente da dietro e scorrendo su due guide leggermente convergenti verso il fondo del palcoscenico, s'allontanerà; mentre nel mezzo dello spiazzo si solleverà fino a un metro e venti d'altezza la statua, poco dopo che *** si sarà seduto sulla sedia curule, la quale dovrà essere ben fissata su una piattaforma che farà da piedestallo, rivestita tutt'intorno da unatela bianca che, via via che la statua si solleva, emergerà di sotto il palcoscenico.
Al levarsi della tela nel giardino sarà ancora luce di crepuscolo, che a mano a mano s'affievolirà; sicché alla fine dell'atto sarà già sera e s'avrà allora, nel silenzio, una chiara arcana soffusione d'albore lunare. Davanti all'entrata a vetri della villa illuminata, ora si vede un gruppo di invitati e i due giornalisti del secondo atto che, non avendo trovato posto nell'atrio (e forse i due giornalisti, per qualche loro fine professionale, non han voluto trovarlo), stanno intenti a guardare di là. Si sente, confusa, la voce di S. E. Giaffredi che fa il discorso per il cinquantenario della nascita del poeta e il conferimento del titolo di conte; e di tratto in tratto il suono degli applausi che l'interrompono. Sul davanti sono Tito, Cesare e due camerieri d'occasione.
Tito (parlando in fretta): Ègià annunziato
l'arrivo; ma non entrerà di qua; tutto predisposto; voi state bene attenti alla
tromba che darà uno squillo, appena l'automobile si fermerà al cancello di là,
e accorrete -
Cesare (attaccando subito): - due di qua e due di là col
portinajo, e c'inchineremo: è già inteso. Per il portinajo s'è trovata la
mazza.
Tito: Ah, bene bene. (Fa per rientrare nella villa; ma aggiunge:)Oh, v'avverto, d'ora in poi, non più «Sua Eccellenza», ma «Sua Eccellenza
il signor Conte».
Cesare: Non dubiti, signor Conte. Anche di questo ci aveva già avvertiti
la signora Contessa.
Tito: Ah, bene bene.
Si staccano, dal gruppo sull'entrata, i due giornalisti e vengono incontro a Tito che va verso la villa, dove scoppiano ancora applausi.
Primo giornalista: Per piacere, se ci volesse...
Tito: Non hanno trovato posto? Vengano con me!
Primo giornalista: No, siamo rimasti fuori apposta -
Secondo giornalista: - per raccogliere notizie da qualcuno della
famiglia... Se lei volesse darcele...
Tito: Ma io non posso; vedono: ho da dare gli ordini: è annunziato
l'arrivo del Principe. Pareva non potesse venire, e invece...
Primo giornalista: Ah, benissimo! Così la festa attingerà i supremi
onori!
Secondo giornalista: Peccato che S. E. Giaffredi abbia già cominciato il
discorso...
Tito: Mirabile! Mirabile! Hanno ascoltato?
Primo giornalista: È già tutto composto in tipografia fin da stamattina.
Forse un po' troppo polemico...
Tito: Ma questo è il suo stile! (Applausi.)Sentono, sentono, che consensi! E che
sala!
Secondo giornalista: Già, s'è visto! Un parterre des
rois...
Tito: Mi permettano, devo andare...
Primo giornalista: Ci dispiace...
Sopravviene dalla villa Valentina, con un gran mazzo di fiori.
Valentina: Tito, Tito, io non so più come porgere questo mazzo a Sua
Altezza sull'entrata, se ora entra dalla porta riservata!
Tito: E domandalo a mammà, santo cielo! che vuoi che sappia io? Glielo
porgerai quando sarà entrato!
Primo giornalista (a Valentina): Se ci potesse far lei il
piacere, signorina...
Tito: Ma no, scusino, allora resterò io! Che vogliono sapere?
Valentina: La nota degli invitati?
Primo giornalista: Questa l'abbiamo!
Secondo giornalista: Per i festeggiamenti ci sono di là i nostri
colleghi...
Tito: E allora, scusino! in questo momento...
Primo giornalista (a Valentina): Qualche notizia del loro
Padre nell'intimità...
Secondo giornalista: Sarebbe preziosa! Se ne sa così poco…
Primo giornalista: Sarà contento, figuriamoci, di questi onori?
Tito: Contento? C'è voluta tutta la forza di persuasione di mammà e
l'autorità di S. E. Giaffredi per farglieli accettare! Ci ha fatto sudar sette
camìce! E siamo ancora qua tutti in ambascia...
Valentina: Ah, ma non bisogna credere che, in fondo, a conoscerlo bene,
quando si sia arreso, non li gradisca. Io direi anzi che li gradisce molto.
Tito: No, per dire com'è!
Primo giornalista: Refrattario, sì sì; questo lo sappiamo!
Tito: Credano che, in questo, il merito di mammà è inapprezzabile - dico
se la sua fama s'è consolidata ormai come in un blocco di marmo. Noi figli lo
sappiamo bene!
Valentina: Ah sì, mammà ha fatto tanto... È come un bambino, lui, nella
vita, incapace perfino di comprarsi da sé un fazzoletto. Tutto il suo gusto è
d'osservare.
Tito: Sì, questo sì! Si può giurare che anche lì, in questo momento, lui
osserva. Pare che sia uno svagato e non veda mai nulla. Io non so come faccia!
Mammà s'arrabbia: ma come! non hai visto questo? non hai visto quest'altro?
Che! Non ha visto nulla; ma ha notato, invece, lui solo, di tutti, certe cose
che, quando ce le dice, ci fanno strabiliare. Ti ricordi dell'osservazione di
come faceva sotto sotto con le dita quella signora? Ce lo rifece, e in quel
gesto da nulla c'era tutta - viva - quella signora! E noi siamo rimasti tutti a
bocca aperta!
Primo giornalista (prendendo appunti): Ah, questo è molto
molto interessante!
Secondo giornalista (c.s. ): Interessantissimo!
Tito (a Cesare): Ma Cesare, figliuolo mio, non startene lì
così: manda almeno di là per ora codesti due camerieri, che si trovino pronti!
Cesare: Subito, signor Conte! (Ai due camerieri:)Andate,
andate. Qua baderò io.
I due camerieri d'occasione vanno, girando da destra la villa.
Tito (ai due giornalisti): E vado ora anch'io, mi
scusino: non posso trattenermi oltre. Vieni, vieni via anche tu, Valentina;
così si pensa come ti regolerai per i fiori.
Primo giornalista (avvicinandosi con l'altro, a Cesare): Ci dica
lei, ora, qualche altra cosa.
Cesare: Io? Che posso dire io?
Secondo giornalista: Via, sia buono! Non c'è grand'uomo per il proprio
cameriere. Lei lo serve da molti anni?
Cesare: Da diciotto; ma non ho proprio nulla da dir loro.
Primo giornalista: Ci dica almeno se lo veste lei...
Cesare: Il signor Conte s'è sempre vestito da sé.
Secondo giornalista: Ah, questo è utile a sapersi. E lei non l'ha mai
sorpreso, per caso... che so... in qualche momento, quando la mattina gli reca
il caffè...
Cesare: Il signor Conte è così riservato e composto, che quando io entro
dopo averne ottenuto il permesso, lo trovo che ha finito anche di rassettarsi i
capelli sul capo.
Primo giornalista: Ah, è anche questo interessante a sapersi!
Secondo giornalista: Non dorme dunque con nessun aggeggio sul capo per
conservarsi la piega dei capelli?
Cesare: Nessun aggeggio. Piega naturale. E prego lor signori di non
rivolgermi altre domande. Non risponderei.
I due giornalisti, preso l'appunto, fanno per ritornare all'entrata della villa, quando dalla sinistra di essa sopravvengono Veroccia e un Commissario di Polizia che cerca d'impedirle il passo.
Commissario: No: glielo dico io che lei non entra senza biglietto
d'invito.
Veroccia: E io le ho detto che non voglio entrare!
Commissario: Ma come non vuole entrare, se entra?
Fa per prenderla per un braccio, Cesare e anche i due giornalisti s'avvicinano.
Veroccia (schermendosi): Lei si tenga a distanza!
Cesare(al Commissario): La signorina è parente di
Sua Eccellenza!
Veroccia: Non sono parente.
Cesare: Ma sì, Sua Eccellenza il signor Conte...
Primo giornalista: Cognata del nipote.
Cesare: Americana...
Veroccia: Non sono americana.
Secondo giornalista: La signorina è russa.
Commissario: Ah, russa? Figuriamoci! Le sue carte?
Veroccia (indicando la borsetta): Le ho qua. Già vistate
per la partenza.
Cesare (a Veroccia, piano): Èil Commissario, sa?
Primo giornalista: Possiamo assicurarle, signor Commissario, che la
signorina noi la conosciamo: è veramente cognata d'un nipote...
Cesare: ... ma sì, di Sua Eccellenza il signor Conte...
Commissario: E perché allora non ha il biglietto d'invito?
Secondo giornalista: Ma appunto per questo!
Commissario (a Veroccia): Mi tengo a distanza? No, sa! Ho
io l'ordine, invece, di tenere a distanza gli altri.
Veroccia: E io sono felicissima che un Commissario di polizia abbia
l'ordine ormai di tenere a distanza da lui una come me.
Secondo giornalista: Èanche per l'alta personalità che deve
arrivare...
Commissario: Che vuol dire, scusi, «una come lei»?
Veroccia: Ma sì, una da tenere appunto a distanza da lui, per sempre,
come ogni cosa viva! Lo so da me, non dubiti... E non voglio difatti
accostarmi. (A Cesare:)Gli avevo detto che non volevo
entrare.
Commissario: E allora che vuole?
Veroccia: Niente. Vedere soltanto...
Cesare (ínterpretando): Ah, se sua sorella e il cognato
sono in sala?
Veroccia: No. Non credo che siano ancora arrivati. Né sanno, del resto,
ch'io sia qua. Volevo, prima di partire, vederlo soltanto da lontano, senza
farmi vedere. Ma ora non voglio più nemmeno questo. Vedo che ci sono là
tanti...
Indica quelli che sono a gruppo a guardare dall'entrata.
Primo giornalista (a Cesare): Ah, ma se vuole, potreste
farli scostare...
Cesare: Certo! Ne avrei anzi l'ordine della signora Contessa, sua zia.
Veroccia: Non è mia zia.
Cesare (al Commissario): Vada, vada pure, signor
Commissario, se lei deve stare di là.
Commissario: Garantiscono loro per la signorina?
Cesare: Garantisco io.
Secondo giornalista: E anche noi, signor Commissario.
Commissario: Sta bene.
E va, per dove è venuto. Nuovi applausi nella sala . out discorso,silenzio
Veroccia: Gli fanno il discorso funebre?
Primo giornalista (ridendo). Ah, giustissimo: funebre.
Cesare(molto dignitoso): Funebre? No. Perché?
Parla Sua Eccellenza Giaffredi.
Secondo giornalista: Per il conferimento del titolo di Conte.
Cesare: Festa solenne.
Primo giornalista: S'aspetta il Principe: Sua Altezza.
Secondo giornalista: Vedesse che sala!
Primo giornalista (a Cesare): Fate, fate scostare quella
gente... (Cesare va).
Veroccia (facendo un gesto come per impedirlo, dice appena):
No...
E resta perplessa, combattuta tra il desiderio di rivederlo e quello di andarsene. Gl'invitati del gruppo sull'entrata a cui Cesare intanto si rivolge, non si fan punto pregare e vengono avanti. Alcuni andranno a sedere sui curvi sedili laterali, mentre Veroccia si fa, guardinga, a osservare dall'entrata sgombra.
Primo invitato: Ma sì! Ma sì! Volentieri.
Secondo invitato: Non finisce più!
Primo giornalista (contemporaneamente a Veroccia): Ecco,
vada, vada, signorina...
Terzo invitato: Fortuna che siamo rimasti fuori! Con questo
caldo, là dentro... Parla bene, ma è lungo oh!
Quarto invitato: Qua almeno si respira! Fumiamo. (Offre al
terzo una sigaretta.)
Primo giornalista (al secondo): Ah! non s'è pensato a
chiedere ai figli che ripercussione ha avuto in famiglia la scoperta di
quest'ultima avventura! Vedi? Vedi come se lo guarda?
Secondo giornalista: Ma dunque è proprio vero?
Primo giornalista: Eh, non ti basta vederla? Esclusa dalla festa... come
messa alla porta... E non hai veduto lui, là dentro, com'è?
Secondo giornalista: Già. Pare un morto... C'è già tutta una leggenda su
quest'amore, che aveva per nido la villa del nipote... Con la sorella
consenziente... Lei sarà appena maggiorenne...
Primo giornalista: Ma sì, e poi russe...
Secondo giornalista: ... della moglie, andata a sorprenderli...
Primo giornalista: No, a questo non ci credo... La moglie, caro mio...
lasciamo andare... Quella che interessa veramente è lei! (Indica Veroccia.)Che capitolo per un biografo! E che documento sarebbe, guarda, a fissarla
così, davanti quell'entrata... tenuta lontana...
Secondo giornalista: Peccato che non ci sia più luce...
Primo giornalista: Guardala! Guardala! Stringe le pugna, con le braccia
incrociate sul petto...
Secondo giornalista: Sì sì, pare che voglia gridare qualcosa...
Primo giornalista: Se si potesse ancora parlarle...
Secondo giornalista: Avviciniamoci...
Primo giornalista: No, se t'accosti ora, se ne scapperà...
Secondo giornalista: Partiranno domani...
Primo giornalista: Pensa: erano per lei tutte quelle liriche di
Dèlago... che, hanno un bel dire, erano belle...
Secondo giornalista: Finite così...
S'avvicinano il terzo e il quarto invitato che saranno stati anch'essì a guardare Veroccia, parlando tra loro.
Terzo invitato (indicandola): Chi è, scusino? Loro lo
sanno?
Primo giornalista Mah...
Quarto invitato: Un'ammiratrice?
Secondo giornalista: Forse qualcosa di più.
Terzo invitato: Pare una straniera.
Quarto invitato: Come, qualcosa di più?
Secondo giornalista: Eh, la guardi!
Terzo invitato: Dio, grida, che fa? si copre gli occhi!
Veroccia viene avanti, tremante, convulsa.
Veroccia: È morto! È morto!
Primo giornalista (costernatissimo): Ma no, che dice,
signorina?
Secondo giornalista: Morto? Possibile?
E con gli altri fa per accorrere alla scala; ma sopravviene di là, ad arrestarli, un fragoroso scoppio d'applausi che segna la fine, del discorso del Giaffredi.
Terzo invitato: Eh no, applaudono...
Quarto invitato: Sarà finito il discorso...
Veroccia: Io vi dico che è morto. Nessuno se n'accorge. L'ho visto io,
come ha chiuso gli occhi.
Primo giornalista: Sì, è certo sfinito...
Terzo invitato: E così tutto vestito di bianco...
Primo giornalista: Questa è la sua civetteria: sempre, d'estate... Qua è
come un cigno.
Quarto invitato: Sarà. Ma con quella faccia, anche così tutta sbiancata
- la signorina ha ragione - fa un'impressione...
Secondo giornalista: Di cigno, appunto...
Primo giornalista: ... che abbia già finito, però, il suo ultimo canto.
Dev'esser sul serio malato.
Terzo invitato: E tutte queste emozioni...
Primo giornalista (con mestizia maliziosa, rivolto a Veroccia):
Eh, forse non delle feste soltanto...
Secondo giornalista: Quando si è qualcuno...
Veroccia: Si muore.
Squillo di tromba, di là dalla villa.
Tutti (meno Veroccia, accorrendo a guardare dall'entrata): Ah, ecco il Principe! Ecco il Principe!
Scoppiano di nuovo nella sala applausi fragorosi per salutare l'entrata del Principe. Sopravvengono, dal lato sinistro della villa, Pietro e Natascia.
Pietro (appressandosi, fosco, a Veroccia). Ah, sei qua!
T'abbiamo cercata dappertutto...
Natascia: Te l'avevo detto: sapeva che dovevamo venire...
Pietro: Mi sarei fatto tagliar le mani, che non potevi esser qua!
Natascia: Vedi che la conosco meglio di te...
Pietro: Bene! L'hai veduto?
Veroccia (più col cenno che con la voce): Sì.
Pietro: E lui?
Natascia: Che, lui? Non si sarà certo lasciata vedere da lui.
Applausi ancora nella villa.
Veroccia: È lontano. Non è più in grado di udir nulla; né di vedere
nessuno.
Pietro: Io e Natascia vogliamo soltanto salutarlo e andarcene.
Veroccia: Non vi udrà, non vi vedrà. A ogni modo, non ditegli più nulla
di me: ve lo proibisco! ch'io sia stata qua...
Pietro: E se domandasse?
Veroccia: Non domanderà.
S'avvia per uscire da dove è entrata. Ma allo svolto della villa è impedita dal sopravvenire affannoso della Madre Superiora e di due suore, seguite da una rappresentanza di ragazze e ragazzi dell'educandato: almeno otto, quattro maschi e quattro femmine, in uniforme, di quelle solite dei collegi di suore.
Madre Superiora (affannatissima): Su su, l'avevo detto io che saremmo arrivate in ritardo... (Ai ragazzi:)Voi restate qua in giardino per ora. Quieti, mi raccomando! (Alle suore:)e noi entriamo!
Entra con le due suore nella villa, pregando gli invitati e i giornalisti di dar passo. Le ragazze e i ragazzi, appena lasciati senza sorveglianza, ancora eccitati dalla corsa scomposta con cui sono arrivati, si sbandano vivacissimamente nel giardino.
Primo ragazzo (battendo le mani): Uh, bello qua!
Secondo: Sarà nostro, anche il portiere con la mazza!
Terzo: Qua faremo la palestra poi!
Quarto: No, di là, la palestra! Qua la ricreazione! E annaffieremo con
le trombe!
Prima ragazza: Perché ha la mazza il portiere?
La più grande: Fermi tutti! Composti! Per dartela in testa!
Seconda ragazza (correndo, a sedere su uno dei due sedili
laterali, seguita dai maschi): Qua ci si mette seduti bene! Oh! Ma
non tutti! C'è l'altro, là!
Primo (afferrando il secondo che s'è già seduto): Tu va'
di là; è lo stesso!
Secondo (schermendosi): No! Qua ho preso posto io! Va' tu di là! (Ma l'altro lo strappa e si azzuffano).
La grande: Via, via tutti! Sì, litigate adesso! Correte! Lo dirò
alla Superiora!
Primo giornalista (vedendo venire *** dall'atrio): Sst!
Eccolo! Eccolo che viene!
Tutti i ragazzi nel giardino, e il giornalista stesso che ha dato l'annunzio e l'altro giornalista ed i quattro invitati all'apparire di *** vestito di bianco, restano come fissati nei loro atteggiamenti - anche se scomposti - irrigiditi ad ammirarlo balordamente. Anche Pietro e Natascia restano immobili, ma dolorosamente impressionati dall'aspetto di lui. Veroccia sarà già andata via.
***(sceso nel giardino, fermandosi tra l'immobilità di tutti, guardando prima quella dei ragazzi, poi quella degli altri e infine quella di Pietro, e parlando con una voce ormai gelida): Anche voi così... Tutti così... anche tu...
Pietro: Ma io... perché ti sto vedendo...
Natascia (accostandoglisi, a bassa voce, ma vibratissima): Muoviti
tu! Muoviti! Fa' una carezza a questi ragazzi! Ròtolati con loro per terra!
Pietro (c.s.): Lascia qua tutto! Ti basterebbe fare adesso al
cospetto di tutti una pazzia!
Natascia: Ma fredda!
Pietro: E poi partire con noi! Verremo a prenderti domattina!
***(dopo una pausa, staccato): Non posso.
Natascia: Hai paura?
*** Di che, paura?
Natascia: Di finire!
*** Non è paura. Necessità.
Natascia: Per gli altri? Pietà degli altri? E allora Veroccia?
*** No. Necessità mia. Senza pietà. E anche tedio di tutto. Peso.
Sopravviene dalla villa Tito con un'ansia angustiosa.
Tito: Oh Dio, papà... (Vedendo Pietro e Natascia:)Ah,
siete qua voi?
Pietro: Ce ne andiamo...
Tito (seguitando, rivolto al padre): ... Sua Altezza ha
finito di parlare con Giaffredi, e a momenti se ne andrà...
***(indicando Pietro e Natascia): Li ho
salutati.
Tito (c.s.): ... potevi dopo! rientra, rientra subito!
*** si muove per rientrare; davanti all'entrata si volta e alza un braccio a salutare ancora, ma appena, Pietro e Natascia e forse anche un'altra che non c'è più. Natascia lo intende e gli dice:
Natascia: Sì, anche lei. Glielo dirò.
Tito: Fate male, fate male, signori miei, a restare tutti così davanti a
lui, a guardarlo come lo guardate, con gli occhi così fissi addosso... Io,
figlio, lo so! Ve lo dico perché lo so.
Natascia: Tu, figlio, certo: e gli si moverà sciolto attorno anche il
cameriere che lo serve.
Secondo giornalista: Eh già. Gli altri... Il rispetto...
l'ammirazione...
Natascia: Tutte cose che uccidono. E anche davanti a un oggetto di
qualcuno ucciso così, anche davanti a te, se ti riconoscono come suo figlio,
tanti si fermano a guardarti. Quando una vita si ferma... o è stata dagli altri
fermata...
Primo giornalista: Conseguenze della fama. Perciò si resta!
Natascia: E non si vive più.
Tito (irritatissimo): Ma chi te l'ha detto? Chi te l'ha
detto?
Terzo invitato: Vive ancora, mi pare! E come!
Primo invitato: Per grazia di Dio!
Secondo invitato: Onorato, nell'ammirazione di tutti!
Quarto invitato: Venerato dalla famiglia, dal Paese!
Primo invitato: Tant'alto che nessuno lo può più toccare!
Terzo invitato: Che si può volere di più?
Quarto invitato: Ma scusi, questa villa è di lui?
Tito: No no; apparteneva alla sua grande amica...
Secondo giornalista: ... la Principessa, già, morta ora è poco...
Tito: Chi sa che gioja avrebbe avuto, per quanto l'amava, se avesse
potuto assistere a tutti questi onori... La villa però l'ha lasciata nel
testamento all'educandato.
Primo giornalista: Ah, perciò ci son qua questi ragazzi?
Tito: Sì. Però con l'obbligo, però con l'obbligo che l'educandato prenda
il nome di papà.
Secondo giornalista: Anche il paese nativo, dicono, ha fatto istanza...
Tito: Sì sì, e ha già avuto concesso di prendere il nome di papà.
Terzo invitato: Eccolo che riviene con tutti.
Primo giornalista: Già. Il Principe se ne sarà andato.
*** tra Giaffredi e la Madre Superiora, Giovanna, Valentina, e una folla di invitati tra quelli che sono rimasti dopo la partenza del Principe che ha segnato veramente la fine delle onoranze, vengono nel giardino dove la luce del giorno già declinata comincia a farsi lunare. Di tratto in tratto durante la scena seguente scatterà qualche lampo dei fotografi, che bisognerà ottenere con altro mezzo da quello del magnesio, per impedire che la scena si riempia di fumo.
Giaffredi: Ah, è stato veramente di un'amabilità che non avrebbe
potuto essere maggiore!
Giovanna: Peccato che non gli s'è potuto dire quanti abitanti!
Tito: Il paese nativo di papà? L'ha chiesto? Io lo sapevo!
Primo giornalista: Venticinquemila.
Tito: No, quasi: ventiquattro mila settecento cinquanta tre.
Giovanna (irritata a Valentina): Eh, hai visto? Lui che lo
sa bene, se ne stava qua! Noi gli abbiamo detto che prima erano press'a poco
diciottomila.
Valentina: Però abbiamo aggiunto che certo da allora dovevano esser
cresciuti...
Madre Superiora: Ha chiesto anche a me quante educande... e io sono
stata felice di rispondergli che, come il paese nativo, anche il mio educandato
sarebbe stato orgoglioso di prendere d'ora in poi un nome tanto glorioso.
Suora, su, i ragazzi: presentiamo al signor Conte i ragazzi. Una piccola
rappresentanza, per non disturbare.
Le due suore stentano un po' a raccogliere le ragazze e i ragazzi dell'educandato tra la folla degli invitati.
Tito: Papà li ha visti poco fa.
Madre Superiora: Ho già detto loro in presenza di chi si troveranno.
Giovanna: Lei, Madre, potrà prendere possesso della villa tra due o tre
giornial massimo...
Madre Superiora: Ma no: con tutto il loro comodo.
Valentina: Ci siamo trattenuti fin'ora per queste onoranze...
Giovanna: È già tutto pronto per lo sgombero.
Madre Superiora: Ma la Principessa, sant'anima, ha lasciato detto che
finché Sua Eccellenza avesse voluto restare... E poi dovremo riadattare tutto
qua... Ah, ecco i ragazzi! (Le due suore li dispongono in due file davanti a
***. Bene, che v'ho detto? L'inchino.
Mentre i ragazzi s'inchinano, scatta un lampo di magnesio, e i ragazzi sussultano.
Valentina: Poverini, si sono spaventati...
Giovanna: Ah, sono d'ambo i sessi?
Madre Superiora: Sì, signora Contessa. Due reparti. Reparto maschile,
reparto femminile.
Giaffredi (a ***): Tu dovresti dir loro qualche
cosa...
Giovanna: Sarebbe molto grazioso da parte tua...
Madre Superiora: Oh, la gratitudine nostra allora... no non osavo
pregarla ...
Valentina: Se non sei molto affaticato...
Giaffredi: Due parole...
Madre Superiora: Resterebbero indelebili, come scolpite nell'animo
nostro ...
Giovanna: Pròvati, caro... Due parole...
Tito: Silenzio! Silenzio! (Si fa un gran silenzio.)
Natascia (in quel silenzio, con un tono di profondo rammarico, come
se non sapesse credere a quanto ha veduto e udito): Per questo...
per questo... restare per questo...
Giovanna: Ma che dice?
Tito: Silenzio!
*** è davanti la sedia curule sulla platea di marmo. Tutti si fanno intenti a lui; i giornalisti si tengono pronti a segnare quanto egli dirà. Qualche altro lampo dei fotografi. Poi immobilità assoluta. Allora egli si metterà a parlare con voce gelida e chiara, pausando, come per trovare in sé a mano a mano la forza estrema di scalpellare le parole che diventano di pietra, incidendosi in forma d'epigrafe sulla facciata della villa alle sue spalle, via via che le pronuncia.
***
PUERIZIA
ARCANA FAVOLA DI RICORDI
OMBRA CHI A TE S'AVVICINA
OMBRA
CHI DA TE S'ALLONTANA
Nessuno s'accorge del prodigio delle parole incise. Il silenzio non deve essere più rotto. Tutti faranno con l'espressione del volto e con le mani e con i cenni del capo segni d'ammirazione e di compiacimento. Poi Giovanna e Valentina si chineranno verso le ragazze e i ragazzi dell'educandato per portarseli dentro la villa e inviteranno tutti a rientrare, mentre Tito fa segno di lasciare il padre là solo un momento nel giardino. Pietro e Natascia se ne andranno svoltando a sinistra della villa. Quando tutti se ne saranno andati, egli sederà sulla sedia curule, e allora, dentro quel chiaro albore lunare, comincerà lentissimamente il doppio movimento della facciata della villa che s'allontana restringendosi a mano a mano, e, contemporaneamente, della sedia curule che comincia a elevarsi con lui nel suo solito atteggiamento, irrigidito, divenuto la statua di se stesso. Tutto questo, in un silenzio che parrà di secoli.
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