Quando Vanni lo chiamavano Bill

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Valerio Elampe e Alberto Canottiere

Valerio Elampe e Alberto Canottiere

QUANDO VANNI LO CHIAMAVANO BILL

(Resistenza)

due atti

personaggi:

VANNI

MAESTRO

CIACHI

MIRCO

CUCCIOLO

LIBERO

ROMANO

PADRE di Vanni

MADRE di Vanni

NORINA

ADA

LAURA


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

(Interno: stalla della cascina di Vanni. VANNI, ROMANO, il MAESTRO e il PADRE di Vanni giocano a carte. In disparte, seduta su una bassa panchetta, ADA rammenda calze di lana e pantaloni da lavoro. Una radio trasmette canzoni del tempo)

ROMANO. Io non so niente di politica, ma mi sembra che con i nuovi padroni siamo serviti molto peggio di prima. Questi partigiani non li conosciamo e con la repubblica non so se si stava poi tanto male.

MAESTRO. Tocca a te, Vanni. Da’ le carte.

ADA. Oggi ne è venuto uno alla bottega. Mi sembrava di parlare con Masino dei Garombi, quando andava in collegio. Povero cristiano! Per lui non è stata una fortuna avere i soldi per studiare. Quando si è trattato di andare in Russia, qualche professore, invece di fare scuola, gli montava la testa e li convinceva a partire come volontari. Eh, destino! Si sono arruolati quasi tutti e Masino non è più tornato.

ROMANO. La guerra è guerra.

ADA. Entra nella bottega e posa il mitra sopra il bancone. Mi dice di non aver paura, che lui è un partigiano e ce l’ha soltanto coi Tedeschi e la repubblica. Dice che sono venuti qui per difendere i paesi.

MAESTRO. (a Romano) Allora, passate?

ROMANO. Sì, passo.

VANNI. Quante carte?

ROMANO. Quattro. E’ una gran disgrazia che siano venuti qui, ve lo dico io. Questa gente non sono soldati. Spara e scappa. Chi resta si prende le schioppettate al posto loro. Marco il re.

MAESTRO. La fortuna non vi manca, eh?, signor podestà!

ROMANO. Va a finire che per vendetta la repubblica ci bruciano le case. E voi, maestro, fatemi la carità di non nominare i titoli a sproposito. E’ più di tre mesi che mi sono dimesso.

ADA. Dice che sono una ventina, accampati sotto Barolo. Sono venuti giù dalle montagne perché i Tedeschi li hanno fatti scappare. Tu, Vanni, se lo conosci, diventi suo amico.

PADRE. E no, eh! Tuo fratello ne ha già una di amiche che mi sta sulle corna!

MAESTRO. Allora, due punti. Otto a cinque. (raccoglie le carte e le porge a Romano) Tocca a voi dare le carte.

ADA. Cercano i giovani di qui che vadano con loro.

ROMANO. Tu, Vanni, non sei obbligato a scappare nei partigiani per salvarti dalla repubblica. Ci penso io a tenerti a casa, che a Cuneo sono ancora uno che conta qualcosa.

ADA. Vogliono fare le cose secondo la legge. Quello che prendono, lo pagano.

PADRE. Staremo a vedere.

ADA. Poi tira fuori la tessera dell’azione cattolica. Dice che viene dalla parrocchia del duomo e mi domanda se so come la pensa il nostro curato.

ROMANO. I preti sbagliano a mandare la gioventù nei partigiani. Ognuno deve stare al suo posto. Il posto dei preti è in chiesa.

ADA. Da partigiano si chiama Cucciolo. Cambiano nome come le suore.

VANNI. Certo che, se uno ci pensa, devono avere un buon motivo per fare una vita così, che oggi ci sono e domani non so.

PADRE. La maggior parte ci sono obbligati. Mica tutti hanno avuto la fortuna di acquistare per cognato una persona influente come Romano, che con quattro parole può mettei al sicuro da ogni precetto.

VANNI. Norina non vuole che io stia a casa.

ROMANO. Norina, lasciala dire. Quando ha parlato ben bene, si calma anche lei.

ADA. Bisogna capirla. Con la vita che fa, al pericolo ci ha fatto l’abitudine: su e giù da Cuneo con la bicicletta, a portare il filo di ferro per la macchina da battere il grano di suo zio.

PADRE. Senza contare che questo zio Federico è proprio un rosso, ma dei più sfegatati. Con l’aria che tira, un giorno o l’altro va a finire che si riceve una figura.

ROMANO. Davvero credete che ci sia qualcuno capace di fare del male a uno del paese?

MAESTRO. Voi, Romano, non avete simpatia per i partigiani. Preferite quelli dell’altra parte.

ROMANO. Caro maestro, voi fate le cose facili. Io sono dalla parte della gente che attraversa questa guerra senza un’arma in mano per difendersi. Cosa volete che me ne faccia dei partigiani o della repubblica? Alle sue idee ci pensano loro. Ma, se vogliono fare i lazzaroni, santo Dio, non lo fa certo chi ha tanto di disciplina da rispettare. Questi qui invece non hanno nessuno che li comandi.

PADRE. Il cane ha bisogno di un padrone. Il padrone lo lega stretto, e gli dà la larga che morda solo chi porta occasione.

ADA. Misericordia! Sapete cosa mi ha confidato prima di andarsene?

MAESTRO. Deve trattarsi di una notizia terribile, se ci parlate con questo tono.

ADA. Dice che i Tedeschi hanno l’arma segreta. E’ una bomba che, dove cade, la gente muore come le formiche e uno non sa più dove scappare.

PADRE. Ma è la fine del mondo!

MAESTRO. Signora Ada, quel vostro Cucciolo mi sembra un po’ troppo credulone.

ROMANO. Mica tanto! Non è una cosa da prendere sotto gamba. Perché, se la guerra non finisce prima, il mondo si prende una bella spolverata. All’America bastano cinque bombe di quelle per metterla in ginocchio. I rossi anche meno.

MAESTRO. Sul libro nero ci siamo anche noi, vero? Abbiamo tradito Hitler e quindi...

ROMANO. Questo è vero. L’Italia deve aspettarsi una lezione coi fiocchi. Ma il castigo dei Tedeschi si ferma prima del Piemonte. Qui siamo sotto Mussolini. E Mussolini i Tedeschi lo rispettano.

PADRE. (a Vanni) Tu coi partigiani non ci vai neanche morto!

(La radio diffonde le note di Lilì Marlene)

ADA. Romano, senti cosa suonano!

ROMANO. (si alza e si avvicina a Ada) Alzati, che balliamo.

ADA. (si alza) Qui, davanti al signor maestro?

ROMANO. Il signor maestro non si stupirà se due sposi si prendono un po’ di confidenza. (balla con ADA)

ADA. Sembra di essere a Savona, in viaggio di nozze.

MAESTRO. Ma guarda un po’ cosa ci tocca da vedere! Il signor Romano e la vostra Ada che ballano come due fidanzati.

PADRE. (al Maestro) Eh, loro sono giovani. Mio genero non è come gli uomini di una volta. Voi mi capite. Intendo dire che la sua donna la tratta da pari e non la strapazza.

MAESTRO. Si vede, si vede.

PADRE. Hanno fatto conoscenza sul ballo a palchetto. Io ero fuori che li tenevo d’occhio. Lui, col vestito di lino e gli stivali a mezza gamba, si vedeva subito che era un uomo importante. La mia Ada non la lasciavo andare in festa da sola. Troppo di cuore!

MAESTRO. Siete un padre prudente.

PADRE. Non si può mai sapere cosa frulla nella testa di una signorina. Eh, la vita! Adesso sembra che siamo sempre stati vecchi. Ma anche a noi, da giovani, ci piaceva il divertimento. Si faceva la società in qualche stanzone e si mandava a prendere un piano di quelli che suonano senza suonatore. Carlo dell’Ornata, nominandolo come vivo, girava la manovella. Rideva di continuo. Girava, girava e la pianola suonava. Ma anche lui aveva il suo divertimento: qualcuno ogni tanto gli tirava una caramella alla menta e lui la mangiava. Era scemo di nascita.

(Si sente bussare violentemente alla porta)

ADA e ROMANO. (smettono di ballare)

Voce di CIACHI. Aprite!

TUTTI. (si guardano impauriti)

ADA. Chi siete?

Voce di CIACHI. Amici. Aprite!

ROMANO. Apri.

ADA. (apre la porta, al di là della quale compare CIACHI)

CIACHI. (è vestito da partigiano; tiene uno sten spianato; alcune bombe a mano sono infilate nella sua cintola) Scusate, brava gente. Dovete farci un piacere.

ROMANO. Entrate, entrate.

CIACHI. (entra e si sistema lo sten a tracolla) Oh, maestro, ci siete anche voi!

MAESTRO. (accennando con la coda degli occhi a Romano, saluta con freddezza) Buona sera.

ROMANO. Vi conoscete?

MAESTRO. Abbiamo fatto coppia l’altra sera per una partita a bigliardo.

CIACHI.  Già. A Monforte. C’era anche Lulù.

PADRE. Ada, porta da bere.

CIACHI. Lasciate stare. Abbiamo una donna con noi. La stavamo accompagnando a casa. Ora però si è fatto tardi e dobbiamo tornare al comando. Fatela dormire qui e domani mattina la lasciate ripartire.

PADRE. Sta bene.

CIACHI. Grazie. (raggiunge la porta e parla verso l’esterno) Cucciolo, metti la bicicletta sotto il portico e porta dentro la ragazza. (torna verso il tavolo) L’abbiamo trovata sotto Roddi, durante una perlustrazione. Qualche figlio di cane l’ha picchiata per prenderle i soldi.

Voce di CUCCIOLO. Venite, signorina. (entra, sorreggendo NORINA) Qui siete al sicuro.

VANNI. (si alza, facendo cadere la sedia all’indietro) Norina!

NARINA. Vanni!

VANNI. Cosa ti hanno fatto?

NORINA. Oh, Vanni, Vanni!

VANNI. Chi è stato? Maledetti assassini! Dimmi chi è stato!

PADRE. (a Cucciolo) Portatela in cucina. Accompagnali tu, Ada.

ADA. Sì, pa’. (esce, aiutando CUCCIOLO a sorreggere NORINA)

CIACHI. Sono contento che la conoscete. Così è tra amici.

VANNI. Vado anch’io di là! (esce di corsa)

PADRE. Eh, siamo proprio arrivati a un bel punto! Basta che uno si metta per la strada, che non è più sicuro di tornare a casa sua.

CIACHI. Voi non dovete lamentarvi. Nelle città è peggio. Io vengo da Torino.

CUCCIOLO. (rientra)

ROMANO. Da Torino?

CIACHI. Già. Bene. Cucciolo, andiamo.

PADRE. Andate già via?

CIACHI. Sì. Ci avete fatto una gran carità. Buona sera. (esce, seguito da CUCCIOLO, che saluta a sua volta)

ROMANO, MAESTRO e PADRE. (rispondono al saluto)

MAESTRO. Ce ne andiamo anche noi? Cosa dite, signor Romano?

ROMANO. Un momento, che la mia Ada possa venir via. Tanto, più buio che buio non può diventare.

PADRE. Da Torino? Uno non scappa da Torino, se non ha qualche conto in sospeso con la giustizia.

ROMANO. Chissà le idee che si fa questa gente, per venire a scorrazzare sulle nostre colline.

PADRE. Se vengono per rubare, sono ladri da poco. Cosa credono di trovare?

ROMANO. (al Maestro) Sapete quel Lulù che gli avete giocato insieme al bigliardo? E’ francese. La gente dice che è venuto qui solo per far fuori dei Tedeschi, perché loro gli hanno ammazzato due o tre membri della sua famiglia. (al Padre) No, pa’. Qualcuno che ruba ci sarà di sicuro, ma i più lo fanno per vendicarsi o per il semplice gusto dell’avventura.

VANNI. (entra) Pa’, ho deciso. Vado nei partigiani.

PADRE. Dove vai, tu?

VANNI. Ha ragione Norina.

PADRE. Ancora Norina!? (si alza)

ROMANO. Pa’, state calmo.

PADRE. Adesso mi viene anche in casa a montargli la testa!

VANNI. Pa’, io...

PADRE. Tu, cosa? Tu hai ancora bisogno delle sberle di tuo padre!

VANNI. No, pa’. Io, la mia vita, d’ora in poi me la faccio come voglio. E tu non mi fermi. Neanche coi calci o con la cinghia!

PADRE. (afferrando un forcone) Dov’è quella porca? Dov’è?

NORINA. (è comparsa nel vano della porta della cucina) Sono qui. Non dovete cercarmi. Posate il tridente: Me ne vado da sola. Di briganti per oggi ne ho avuto abbastanza.

SCENA SECONDA

(Esterno: pilone di s. Maria. Piccola radura, coronata da cespugli e alberi, in cima alla collina. Tra i cespugli spicca il pilone. Alcuni sentieri scendono verso le cascine della vallata. Sono trascorsi 15 giorni)

Voce di CIACHI. Ci fermiamo qui. State al coperto. (entra, va verso il fondo e scruta la vallata con un binocolo)

Vice di MIRCO. Tu, Cucciolo, cosa fumi?

Voce di CUCCIOLO. Africa.

Voce di MIRCO. Dammene una. Te la rendo domani, sempre che quest’oggi non mi becchi una pallottola.

VANNI. (entra, seguito da CUCCIOLO) Tu mi devi spiegare come fai a beccarti una pallottola. In queste due settimane, da che sono con voi, non ho visto un Tedesco che è uno. E dei repubblichini, neanche l’ombra.

Voce di MIRCO. Più tardi li vediamo e meglio stiamo di salute.

CUCCIOLO. Non sono mai passati dalle tue parti?

VANNI. Una volta i Tedeschi. Ma si sono tenuti bassi, sotto le case. Giravano per le vigne. Sono arrivati che la gente non li ha visti, e a uno che si chiama Baldo gli hanno dato un calcio nel di dietro. Dice che gli avevano chiesto una cosa e lui li aveva guardati con la bocca aperta. Non è mai stato un tipo troppo furbo.

CIACHI. (senza voltarsi) Bill, chi abita nella cascina qui sotto?

VANNI. Quelli sono i Galvagni. E proprio lì ci sta Norina con sua madre e con suo zio Federico. Perché?

CIACHI. Ho visto Nemo uscire dal cancello. Che gente sono?

VANNI. Hanno una macchina da battere il grano. In giro si dice che lo zio di Norina ha una grande simpatia per i rossi.

CIACHI. Eccoli, arrivano!

VANNI. Chi?

Voce di MIRCO. La repubblica! Si vedono anche a occhio nudo.

CUCCIOLO. Adesso, Bill, sarai contento.

MAESTRO. (entra in scena trafelato e appoggia la bicicletta al pilone)

VANNI. Signor maestro!

MAESTRO. Oh, Vanni!

VANNI. Nemo siete voi.

CIACHI. Sì, lui è Nemo e tu sei Bill: Il resto fate bene a dimenticarlo.

MAESTRO. Brutte notizie! La repubblica...

CIACHI. Li abbiamo visti. Bill, vieni qui e guarda cosa fanno. (porge il binocolo a Vanni)

VANNI. (prende il binocolo) Dove sono? (guarda verso la vallata)

CIACHI. Sono usciti dal bosco, sopra la Talloria di Castiglione.

VANNI. Li ho visti.

CIACHI. (verso l’esterno) State al coperto. Il binocolo ce l’hanno anche loro.

VANNI. Camminano bassi, come uno che fa le cose di nascosto.

MAESTRO. Dalla caserma di Alba qualcuno ha fatto sapere che sarebbero venuti a prendere un sovversivo, come dicono loro. Il proprietario di una trebbiatrice. Abita nella cascina qui sotto. L’ho appena avvertito. Sta cercando la roba che potrebbe comprometterlo. Brucerà tutto.

VANNI. Saranno più di venti. Adesso si sono allargati.

CIACHI. Se lo prendono con le mani nel sacco, lo portano a Monforte e lo fucilano in  piazza. Dobbiamo fermarli prima. La curva stretta che fa la strada subito dopo il pilone è il posto ideale per un’imboscata.

MAESTRO. Vanno a colpo sicuro. Chi si è fatto la soffiata ha dato delle indicazioni precise.

VANNI. Sono arrivati sotto le nocciole. Circondano la casa.

CIACHI. Sarà qualcuno che vuole mettere le mani sulla macchina da battere il grano.

VANNI. Due sono saliti sulla strada e si sono stesi per terra davanti al cancello. Hanno piazzato una mitraglia leggera.

CUCCIOLO. Tanto chiasso per prendere un uomo.

CIACHI. Non c’è tempo da perdere.

VANNI. Mio Dio! Rico è uscito dalla stalla e non si accorge di niente. Ha un sacco in spalla. Scava un buco dietro la casa.

MAESTRO. E’ per bruciarci la roba dentro e sotterrare la cenere.

CIACHI. Cucciolo, prendi tre uomini. Piazzatevi dall’altra parte, proprio sotto la curva. State al coperto. Spariamo noi per primi.

CUCCIOLO. Sta bene. (si alza ed esce)

CIACHI. Tu, Nemo, sali a Monforte e parla con la gente. Chi ha combinato questo scherzo deve pagare.

VANNI. Smette di scavare e si guarda intorno. Deve aver sentito un rumore. Corre verso le nocciole. Ma cosa fa? Va a finirgli in bocca!

CIACHI. Sta’ tranquillo, Bill. Adesso lo prendono, ma glielo togliamo dalle mani prima che abbiano il tempo di fucilarlo. (al Maestro) Aspetta che sia io a cercarti. Dopo lo scontro può darsi che dobbiamo fare qualche spostamento. Da Alba verranno in forza a rastrellare la zona.

MAESTRO. Intesi. Bill, se vedo i tuoi, dico che stai bene. (esce con la bicicletta per mano)

VANNI. Lo hanno preso. Lo portano sull’aia e gli puntano la pistola. Madonna!

CIACHI. (avvicinandosi) Fa’ vedere.

(Colpo di pistola in lontananza)

VANNI. (a Ciachi, con odio) Gli hanno sparato un colpo dietro la testa! (esce correndo)

SCENA TERZA

(Interno: comando di brigata. Stalla ripulita. Stesso giorno. Sul tavolo sono disposti alla rinfusa fogli, blocchi di moduli, matite, timbri, tamponi e una macchina da scrivere; due o tre sedie attorno al tavolo; una panca sul lato opposto del locale; sul fondo, casse di munizioni; sulle casse, un mitra, un binocolo e alcune bombe a mano. VANNI siede contro il muro di fondo, raggomitolato su se stesso. CUCCIOLO raccoglie carte dal tavolo e le ripone con ordine in uno zaino)

CUCCIOLO. Ti devi abituare, Bill. Non è per giocare che facciamo i partigiani. Tra l’altro, lo zio di Norina sembra che fosse un comunista. Stiamo freschi se l’Italia va a mettersi melle mani della Russia! Il loro Stalin non è diverso dal nostro Mussolini.

VANNI. (alza il capo) Ma cosa dici? Parli che assomigli a mio cognato Romano, che è stato podestà e pende ancora da quell’altra parte.

CUCCIOLO. (voltandosi verso Vanni) Ripeti quello che hai detto e ti rompo il muso! (lascia cadere lo zaino a terra)

VANNI. (alzandosi e lanciandosi contro Cucciolo) Qualcuno la deve pagare! (cade a terra, avvinghiato a CUCCIOLO; i DUE lottano, rotolandosi sul pavimento, ansimando e gemendo)

CIACHI. (entra, seguito da MIRCO; vede Vanni e Cucciolo, si ferma e urla) Basta! (a Mirco) Dammi una mano.

MIRCO. Con piacere! (aiutato da CIACHI, separa VANNI e CUCCIOLO e li  scaraventa uno da una parte e l’altro dall’altra; VANNI viene a trovarsi in ginocchio, appoggiato alle casse di munizioni)

CIACHI. (a Cucciolo) E’ così che obbedisci agli ordini del tuo comandante? Cosa ti avevo detto di fare?

CUCCIOLO. Mi ha dato del fascista!

CIACHI. (a Vanni) E’ vero?

CUCCIOLO. Fascista, a me! Lui, che fino a ieri se n’è stato con le mani attaccate alla zappa di suo padre!

CIACHI. Basta! Finisci il tuo lavoro e vattene.

MIRCO. Io, al tuo posto, gli darei una bella lezione, che serva da esempio anche agli altri. Non è il momento di perdere la testa per una parola. Tu, Ciachi, come capo sei troppo dolce.

CIACHI. (a Cucciolo) La macchina da scrivere lasciala lì, per adesso, che ci serve. E un permesso intestato al ci elle enne, con due o tre fogli bianchi. Chiudi il sacco e fila. (CUCCIOLO, con il sacco in spalla, si avvia adagio, guardando Vanni) Avanti! Muovi i piedi e alza i tacchi! Di’ a Berry di mettere insieme gli uomini. Appena il sole va sotto, ci muoviamo.

CUCCIOLO. (esce)

CIACHI. (a Mirco) Forse hai ragione, ma per questo (accenna a Vanni) ho già in mente un’idea che gli toglierà i grilli dalla testa.

MIRCO. (alzando le spalle) Il capo sei tu.

CIACHI. (a Vanni) Allora, Bill? Ti piace fare a pugni? Be’, qui non si può. Qui le mani devi tenerle al loro posto. Questo è un esercito, con la sua bella disciplina. Stampalo bene nel cervello, perchè noi siamo dei soldati. Soldati! Capito?

VANNI. Siete soltanto una banda di vigliacchi!

MIRCO. O mio Dio! Io a questo...

VANNI. (con un balzo afferra il mitra, salta su una cassa e tiene i due sotto tiro) Vieni, vieni! Vieni a colpirmi adesso col pugno che mi hai dato oggi sotto al pilone. Lo hanno ammazzato come un cane!

MIRCO. E tu, cosa volevi fare? Se ti ho dato un pugno, mi devi ringraziare che così ti ho fermato. Altrimenti non saresti più qui a fare il matto.

VANNI. Voi sparate alla schiena e poi scappate. Chi resta si aggiusta, se gli bruciano la casa o gli sparano dietro la testa.

CIACHI. Cosa dici, adesso? Non possiamo mica metterci a fare le battaglie campali! La nostra guerra è questa. 

MIRCO. Non vedi che non ti sente?

CIACHI. Sarebbe come andare noi stessi a consegnarci nelle mani dei nostri nemici.

VANNI. Lo avete lasciato da solo, senza muovere un dito per tentare di salvarlo.

MIRCO. Perché tu dov’eri?

VANNI. Io? Già, io. (abbassa il mitra) Non abbiamo fatto niente. Siamo stati fermi a guardare da lontano. Povera Norina! (lascia cadere il mitra)

MIRCO. (con un balzo agguanta Vanni e lo tira giù dalla cassa) Bestia! Vieni giù, che ragioniamo.

CIACHI. Lascialo stare!

MIRCO. Cosa saremmo noi? Vuoi ripetere? Forse non ho sentito bene. (strattona violentemente VANNI) Avanti! Dillo adesso che siamo dei vigliacchi!

CIACHI. Ti ho detto di lasciarlo stare!

MIRCO. (guarda Ciachi e scaraventa VANNI  a sedere sulla cassa) Porco mondo, Ciachi, che rabbia!

CIACHI. (a Mirco) Siediti e scrivi.

MIRCO. (siede al tavolo e infila due fogli con carta carbone nella macchina da scrivere; intanto parla) Ci sono dei capi che i tipi come questo li appendono per le caviglie e li lasciano al sole per dodici ore. Così, se ragionano con i piedi, le idee hanno tutto il tempo per calargli nella testa.

CIACHI. Scrivi! (detta a MIRCO, che scrive a macchina) Al Comitato di Liberazione Nazionale, nella sua sede di Torino. In riferimento alla vostra comunicazione di inviarci il commissario politico nella persona dell’operaio Libero, compromesso nei recenti scioperi della Fiat, vi invitiamo a ritardare di un mese l’operazione. Prevediamo rastrellamenti, in seguito ad un’imboscata da noi tesa ad un gruppo di militi della R.A.P. di Alba. Fraternamente salutiamo. Metti il timbro.

MIRCO. (sfila i fogli dalla macchina da scrivere ed esegue)

CIACHI. Vai pure. Prendi la macchina e caricala insieme all’altra roba.

MIRCO. (si alza, prende la macchina) Come capo sei troppo dolce, Ciachi. (esce)

CIACHI. (si avvicina al tavolo, siede e parla mentre rilegge e firma la lettera) Bill.

VANNI. (si alza e si avvicina a sua volta al tavolo)

CIACHI. Devi portare questa lettera al nostro agente di Bra. (consegna la lettera a Vanni) Scendi a Castiglione. Cerca del comandante garibaldino e mostragli questo foglio. Lo esibirai tutte le volte che incontrerai un posto di blocco partigiano. (consegna il foglio a Vanni) E’ un lasciapassare, il permesso per attraversare le nostre linee. Arno ti aiuterà a passare il Tanaro e ti dirà come entrare in Bra. Lui conosce anche l’indirizzo del nostro agente e ti insegnerà come fare a trovarlo. Se hai del coraggio, questo è il momento di metterlo in risalto.

SCENA QUARTA

(Come la terza scena. Interno: comando di brigata. Un mese dopo. Accanto al tavolo, su una sedia, si trova uno zaino. Sono in scena. CIACHI, MIRCO, LIBERO, e il MAESTRO. LIBERO è seduto. CIACHI estrae dallo zaino il materiale che vi era stato riposto da Cucciolo nella scena precedente e lo colloca sul tavolo. Il MAESTRO è seduto sulla panca. MIRCO sta posando a terra una cassa: le altre sono già al loro posto)

MIRCO. (alzandosi e guardando le casse) Ci sono tutte. Questa era l’ultima.

CIACHI. (a Libero) Rimettiamo in piedi la baracca. Siamo rientrati in zona questa notte.

LIBERO. Ho visto a suo tempo la lettera che hai fatto arrivare al Comando di Torino. Poi qui Nemo mi ha messo al corrente della rappresaglia.

MAESTRO. Quindici ostaggi presi a caso nel corso di un rastrellamento e fucilati in piazza, a Monforte, davanti agli occhi increduli delle madri, dei figli e delle spose.

CIACHI. Ho sentito che uno si è salvato.

MAESTRO. E’ svenuto mentre partiva la raffica del plotone. Perciò è caduto prima che le cartucce arrivassero a ferirlo. Una volta in terra, è stato fermo come un morto e il colpo di grazia lo ha preso di striscio, tra la collottola e i muscoli del collo.

CIACHI. Ha avuto fortuna.

MAESTRO. Un vero miracolo! Ma gli altri quattordici ci sono restati.

LIBERO. Questi eccidi devono finire. Vi porto delle nuove disposizioni. E’ bene che ne parliamo con calma e ne discutiamo tra di noi. Penserete voi a mettere gli uomini al corrente.

CIACHI. D’accordo, ma forse faresti meglio a parlarne con quelli che li hanno consumati.

LIBERO. Non caveremo un ragno dal buco, se la prendi su questo tono.

CIACHI. E tu prova a metterti nei nostri panni!

LIBERO. E’ quello che tenterò di fare, se mi permetti di spiegare.

CIACHI. E va bene, scusa. Ma c’è ancora un altro dei miei uomini che vorrei qui presente ad ascoltare. Se non hai nulla in contrario.

LIBERO. Sei tu il comandante.

CIACHI. Grazie. (a Mirco) Mirco, chiama Bill e portalo qui.

MIRCO. Bill?

CIACHI. Garantisco io per lui.

MIRCO. (si alza) Contento tu... (esce)

CIACHI. (a Libero) Dimmi com’è Torino adesso.

LIBERO. Torino? Torino è una città stralunata, con le sirene che suonano a tutte le ore del giorno o della notte e con la gente che corre all’impazzata e va a cacciarsi sotto terra come fossero formiche.

CIACHI. Eh, lo immaginavo. Già quando sono venuto via io, c’era poco da stare allegri.

LIBERO. Domenica ho visto tua moglie.

CIACHI. Laura? Allora sta bene! Dove?

LIBERO. Ci siamo trovati per caso nello stesso rifugio. Dice che la sirena è suonata mentre era lontana da casa e allora ha dovuto ripararsi dove si trovava.

CIACHI. Aveva i bambini?

LIBERO. No, era sola. Abbiamo scambiato quattro parole. I bambini erano rimasti a Chieri, dalla nonna. Mi è sembrata serena di morale.

CIACHI. Ti ha chiesto di me?

LIBERO. Sì, voleva sapere se avevo tue notizie. Io naturalmente ero a conoscenza della tua lettera al ci elle enne, ma mi sono limitato a dirle che forse presto avrei avuto occasione di vederti. (estrae una fotografia dal portafogli) Allora mi ha dato questa per te.

CIACHI. (prende la fotografia e la guarda, sorridendo) Ci sono tutti. Laura e i bambini: tutti e due. Il più piccolo è proprio il figlio di sua madre! (alzando gli occhi a guardare Libero) Ma chi gliel’ha presa?

LIBERO. Nel cortile della casa di Chieri c’è una coppia di sfollati che a Torino gestivano un negozio da fotografo.

CIACHI. Ho capito. (porge la foto al MAESTRO, che la prende e la osserva) Guarda, Nemo, la mia famiglia al completo.

MAESTRO. E’ proprio bella. (restituisce la foto)

MIRCO e VANNI. (entrano e vanno a sedersi sulle casse di munizioni)

CIACHI. (a Libero) Ci siamo tutti.

LIBERO. Va bene. Allora incomincio. Devo trasmettervi le nuove direttive del ci elle enne di Torino. In alto loco ci si propone di mettere le mani sull’organizzazione della lotta armata, più saldamente di quanto non sia stato possibile fare nei mesi passati.

CIACHI. Sentiamo.

LIBERO. Prima di tutto occorre stabilire una maggiore coordinazione nell’attività strategica. Ogni banda dovrà attenersi alle disposizioni emanate per tutte le formazioni garibaldine dal comando di zona. I collegamenti pertanto acquisteranno maggiore importanza e per tenerli sarà creato un’efficiente rete di staffette, formata in maggioranza da donne.

MIRCO. Donne?

LIBERO. Non ci sono bandi di arruolamento per loro e quindi hanno maggiore possibilità di movimento. Altro punto importante: deve essere garantita la massima segretezza, a tutti i livelli. Perciò, niente nomi di battesimo: di ogni capo e di ogni uomo si deve sapere soltanto quello di battaglia. I partigiani di una banda non devono conoscere quelli delle altre. Ma la cosa che sta più a cuore a lor signori è il vostro rapporto con la popolazione. Qui da voi, cosa dicono i contadini dei partigiani?

MIRCO. Che vuoi che dicano? Vedono bene la vita che facciamo!

MAESTRO. Sì, Mirco, la gente può darsi che capisca. Ma capirebbe meglio se non ci fosse qualcuno che ci rovina la piazza.

CIACHI. Che vuoi dire?

MAESTRO. Che non tutti i partigiani si comportano allo stesso modo. E’ inutile che ce lo nascondiamo. Per le nostre cascine girano troppi uomini armati, che requisiscono vitelli con la scusa che servono per mantenere i partigiani. La popolazione non sa come stanno le cose e sono molti quelli che fanno di ogni erba un fascio.

CIACHI. L’altro ieri te l’ho detto di non prendere le galline dove le hai prese.

MIRCO. Erano due giorni che giravamo come matti. Quello della cascina forse aveva poco da mangiare, ma noi eravamo a digiuno da quarantotto ore.

LIBERO. In ogni modo il problema è di ordine generale. Se ci sono dei ladri, li acciufferemo e li puniremo come si meritano. Ma al di là di questo, si tratta di reperire e prelevare in modo organico e razionale le derrate alimentari necessarie al sostentamento dei partigiani.

MAESTRO. E senza dimenticare che questa regione è povera e la gente non ha niente da buttar via.

MIRCO. Dobbiamo vivere d’aria?

MAESTRO. L’altra sera a Dogliani i partigiani hanno fatto una festa. Una cena senza economia. Tutto quello che hanno mangiato, prima erano andati a prelevarlo nelle stalle dei contadini.

VANNI. La cosa più importante è la giustizia: Se io ho un vitello solo e me lo portano via, allora al mio vicino che ne ha dieci gliene devono portare via dieci. Se io resto con niente, anche lui deve restare con niente. Ma se basta un vitello, allora bisogna portarlo via a quello che ne ha dieci e non a me, che ne ho uno soltanto.

LIBERO. Tu sei Bill, vero?

VANNI. Sì. A mio padre non hanno mai preso niente, perché di vitelli nella stalla non ne tiene. Solamente Lulù una volta ha chiesto un coniglio a mia madre e lei glielo ha dato.

LIBERO. Quello che hai detto sulla giustizia è importante. Faremo un censimento dei capi di bestiame e dei cereali prodotti. Preleveremo lo stretto necessario. Gli abusi verranno puniti con la massima severità. Sapete tutti che cosa intendo dire.

MAESTRO. Sì.

LIBERO. Bene. Per i cereali costituiremo degli ammassi dai quali si potrà di volta in volta prelevare quanto serve per l’approvvigionamento di tutto il territorio: partigiani e civili, privati ed enti assistenziali. Per il grano lasciato all’ammasso, verrà corrisposto al quintale il prezzo in vigore nell’Italia liberata. Estenderemo il controllo anche sui produttori. Continueremo a pagare con buoni da riscuotersi a liberazione avvenuta.

MIRCO. I badogliani pagano in lire americane.

LIBERO. Noi non le abbiamo. C’è borsa nera qui?

VANNI. La zio di Norina diceva che aveva di nuovo dovuto usare il vapore per la macchina da battere, perché per il motore a testa calda ci voleva l’olio e l’olio doveva comprarlo alla borsa nera e quel poco che si trovava costava troppo caro. La borsa nera c’è chi la fa, anche col grano e con la farina.

LIBERO. E allora utilizzeremo gli uomini delle nostre bande per controllare le operazioni di trebbiatura. Prenderanno nota di tutti i quintali insaccati.

CIACHI. Ma credi che i Tedeschi ci lasceranno in pace a organizzarci come ci hai detto?

LIBERO. Tutta la Langa deve diventare zona libera. Tedeschi e repubblicani non potranno più posarci i piedi.

MIRCO. Con Alba a due passi?

LIBERO. Badogliani, matteotti e gielle sono d’accordo con noi. Certo non sarà una passeggiata. Faremo saltare i ponti e interromperemo tutte le vie di comunicazione tra il Piemonte e la Liguria. Così i Tedeschi dovranno passare da un’altra parte.

MIRCO. I badogliani non ci metteranno il bastone tra le ruote?

LIBERO. La nostra ideologia a qualcuno non piace, ma sul piano militare dobbiamo collaborare con tutti.

VANNI. Cos’è questa storia che loro ricevono i lanci degli Alleati e noi no?

LIBERO. A proposito di lanci, niente incidenti! E’ giunta voce che qualche nostra squadra ha cercato di impossessarsi del materiale paracadutato per gli autonomi.

MIRCO. Ma loro, se ci prendono, non scherzano.

CIACHI. C’è stata pure qualche sparatoria.

LIBERO. Per l’avvenire episodi di questo genere non dovranno più verificarsi. (si alza) E’ chiaro? Ciachi, se mi accompagni, mi fai conoscere i tuoi uomini.

CIACHI. Subito. (si alza) Nemo, non dovevi parlare con Bill?

MAESTRO. Già. Povero Bill, oggi deve farsi una bella sgambata. (si alza) Qualcuno lo aspetta al tramonto davanti al pilone di santa Maria.

VANNI. Al pilone? (si alza) Tu, Ciachi, cosa dici?

CIACHI. Non andare da solo. Fatti accompagnare da Cucciolo.

VANNI. Cucciolo?

CIACHI. Così fate pace.

SCENA QUINTA

(Esterno: pilone di santa Maria. Stesso giorno. La scena è deserta. Un cane abbaia vicino, altri rispondono da lontano. Per primo CUCCIOLO entra e siede per terra; depone il fucile e accende una sigaretta. Dopo alcuni istanti entra VANNI e si siede con la schiena appoggiata al pilone)

CUCCIOLO. Non c’è nessuno. Siamo in anticipo, lo sapevo. Le donne arrivano sempre in ritardo. Chissà quanto ci farà aspettare! (pausa) Senti, Bill...

VANNI. Sì?

CUCCIOLO. Non hai detto una parola per tutta la strada. E’ un mese che non mi guardi in faccia. (pausa) Sei sicuro che si tratti di Norina? Non sarà per caso lo scherzo di qualcuno che ha un conto da saldare con te?

VANNI. Cos’è quella storia che sei stato in galera?

CUCCIOLO. E’ successo in prima liceo, per un foglietto che i fascisti avevano trovato nel mio vocabolario di greco.

VANNI. E ti hanno messo in prigione per un pezzetto di carta?

CUCCIOLO. Già. Sul foglio c’era scritto viva l’Inghilterra. Senti, Bill, facciamo la pace. Io con te non ho niente. La colpa è stata dei nervi.

VANNI. E va bene, facciamo la pace! Però in avvenire lo zio di Norina non me lo tocchi. Mai più! Tutto ciò che riguarda Norina è tabù! Hai capito?

CUCCIOLO. Sta’ calmo, non t’arrabbiare! E chi te lo tocca lo zio di Norina? Io no di sicuro.

VANNI. (dopo una breve pausa) Ma tu eri proprio un antifascista?

CUCCIOLO. Io ero contrario alla guerra. In collegio, nel trentanove, se ne era discusso tanto. L’anno dopo, quando anche l’Italia è entrata nel conflitto, un gruppo di studenti ha incominciato a trovarsi nella stanza dei fratelli Traversa. Ascoltavamo radio Londra. Abbiamo costituito tra di noi un governo.

VANNI. Un governo?

CUCCIOLO. Un governo vero e proprio, coi ministri. Poi qualcuno ha fatto la spia. Sono venuti i fascisti e ci hanno portati via tutti.

VANNI. La spia? Scommetto che era un vostro compagno di scuola. Così voi siete finiti in galera.

CUCCIOLO. Con gli schiaffi dei fascisti per farci parlare.

VANNI. E l’avete preso?

CUCCIOLO. Chi?

VANNI. Quello che ha fatto la spia.

CUCCIOLO. No. Poteva essere chiunque.

VANNI. Gli è andata bene. Se no, la vedeva brutta. Qualche bella sberla ben data... Io ho un amico che picchia con l’anello. Ti lascia certi segni! Ma tu ce l’avevi solo con la guerra?

CUCCIOLO. Ho cominciato a stare contro i fascisti perché me lo hanno insegnato nell’azione cattolica. I fascisti non la possono vedere l’azione cattolica.

VANNI. Ma va’!

CUCCIOLO. Vogliono essere solo loro a occuparsi della gioventù.

VANNI. E perché ce l’hai coi comunisti?

CUCCIOLO. Perché i rossi ammazzano i preti e ci tolgono la religione. L’anima è una cosa importante.

VANNI. Hai ragione. Se penso all’inferno, mi viene freddo al filo della schiena. Con tutto ciò mi sembra impossibile che lo zio di Norina sia finito nelle grinfie del diavolo solo perché era un rosso, mentre coloro che l’hanno assassinato se ne vadano in cielo perché invece non lo sono. Certo che, se uno ci pensa, anche Dio ti mette una paura!

NORINA. (entrando alle spalle dei due, piano) Vanni.

VANNI. (si alza) Norina!

CUCCIOLO. Buona sera.

NORINA. Non sei solo.

VANNI. Cucciolo, lo conosci.

NORINA. Sì, mi ricordo.  

CUCCIOLO. (si alza e raccoglie il fucile) Io vado a sdraiarmi più in là, sotto le nocciole. Quando hai finito, mi dai una voce e torniamo al comando. Nascono i funghi da queste parti?

VANNI. Se cerchi bene, può darsi che ne trovi qualcuno.

CUCCIOLO. Sarebbe una gran cosa un fritto di funghi per cena. (esce)

VANNI. (a Norina) Non ce l’hai più con me, vero, Norina?

NORINA. (fa cenno di no col capo)  Hai saputo di mio zio?

VANNI. Ero proprio qui, col binocolo. Ho visto ogni cosa. Ma tu come stai? In tutto questo tempo non c’è stato un momento che non abbia pensato alla mia Norina.

NORINA. Devi parlare con tuo cognato. Ci fa passare le pene dell’inferno.

VANNI. Romano?

NORINA. Tra qualche giorno ci tocca lasciare la casa.

VANNI. Cosa c’entra Romano con la vostra casa?

NORINA. Adesso è sua.

VANNI. Come, sua?

NORINA. Ieri è venuto con i carabinieri. Lui dice che non ha niente contro di noi. Ha comprato la macchina e la casa da un tale e - sono sempre le sue parole - si è impegnato a lasciargli da subito la macchina da battere in gerenza e la casa per abitarci.

VANNI. Ma appartenevano entrambe a tuo zio Federico!

NORINA. Risulta che sono state vendute da mio zio a questo individuo, che a sua volta le ha cedute a Romano, tenendosi però il diritto di sfruttarle. L’atto di vendita c’è, con le sue belle firme in fondo al foglio. I carabinieri ce l’hanno fatto vedere e c’è proprio scritto Anselma Federico, che si legge bene.

VANNI. Che pasticcio è questo?

NORINA. Tuo cognato sostiene che le ha pure pagate salate e che quindi ha bisogno di far lavorare la macchina a pieno ritmo per rifarsi del capitale.

VANNI. Non riesco a capire perché tuo zio avesse ceduto tutto. Ma qualcuno sarà stato presente alle trattative. Quello che ha comprato, almeno una volta deve essere venuto a casa vostra.

NORINA.  Per noi è stata una sorpresa. Non l’avevamo mai visto, neanche in cartolina.

VANNI. Quando è stato?

NORINA. Pochi giorni prima che mio zio morisse.

VANNI. Be’, avete sempre i soldi e potete comprare da un’altra parte.

NORINA. I soldi non ci sono.

VANNI. Come?

NORINA. Scomparsi.

VANNI. Allora è una truffa. Se ha pagato, i soldi ci devono essere.

NORINA. Romano dice che forse li ha presi la repubblica.

VANNI. Io vorrei vedere se è proprio vero che tuo zio ha venduto.

NORINA. Non sei il solo che ha dei sospetti.

VANNI. Ma Romano... no, non può essere. Gli affari sì, ma è sempre stato pulito.

NORINA. Per te è tuo cognato e fai bene a pensare così. Ma noi... vedi?, Vanni, qualcuno deve aver fatto la spia che mio zio aveva simpatia per i rossi. Uno che avesse interesse.

VANNI. (dopo una breve pausa, deciso) Va’ da mio padre. Digli che giovedì sera vado a casa e voglio trovarli tutti ad aspettarmi. Staremo a sentire.


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

(Interno: come la prima scena. E’ notte. Alcuni giorni dopo. Di lato un pentolone è stato adagiato su due basse pile di mattoni. La MADRE, con gesto lento e ritmico, rigira il contenuto del paiuolo con un bastone. ADA, seduta vicino alla Madre, lavora a maglia. Il PADRE è intento ad impagliare una sedia. ROMANO, in piedi vicino alla porta, guarda fuori)

PADRE. Non era il momento di mettersi a fare il sapone.

MADRE. Ho finito. Lo lascio in fusione fino a domani e mi sono levato il pensiero. Chi ha tempo, non aspetti tempo.

ROMANO. E’ scuro in bocca al lupo. Non è la notte per mettersi a girare le colline. Tira un vento che ti porta via.

MADRE. E’ ancora quello della settimana santa. Quest’anno è in ritardo.

ADA. Soffia verso terra e spinge le nuvole in basso.

PADRE. Se a Vanni è rimasto un’oncia di cervello, sta dove si trova e non si muove. In questo buio il pericolo non lo vedi che quando ce l’hai a una spanna dal naso.

ROMANO. Non ci contate. Se ha detto che viene, tra un po’ lo vediamo arrivare. Al pericolo ormai ci avrà fatto l’abitudine. Ma poi, cosa volete che gli capiti? Chi vuole rubare, non va ad affrontare un partigiano.

PADRE. Zitti!

ADA. Cosa c’è?

PADRE. C’è qualcuno là fuori.

ROMANO. Chi volete che ci sia? Sarà un gatto o un cane che ha fatto cadere qualcosa.

PADRE. Mi è sembrato il cancello.

ROMANO. Allora è il vento.

PADRE. Può darsi. Sono le vendette che fanno paura di questi tempi. La gente dice che i partigiani non vanno d’accordo tra loro. Garibaldini e badogliani si sparano contro.

ADA. C’è stato un morto, vicino a Cortemilia. Due partigiani sono venuti alla bottega e ho sentito che ne parlavano.

MADRE. Questa guerra non è come quella del Piave. Questa guerra è cattiva. Dove arriva, si attacca come un ascesso maligno. Chissà Norina, dove ha visto Vanni.

ADA. Io dico che si sono incontrati per caso. D’altronde, neanche a noi, che siamo della famiglia, ha fatto sapere dove si è andato a nascondere.

ROMANO. Ma, perché radunarci tutti?

(Si ode uno sparo. TUTTI rimangono immobili per alcuni istanti)

ADA. Vergine santa!

PADRE. Hanno sparato. (si alza)

MADRE. (alzandosi) Vanni! Hanno sparato a Vanni. (attraversa la scena, dirigendosi verso l’uscita)

PADRE. Non aprire quella porta!

MADRE. (si volta) Hanno sparato a Vanni. Bisogna uscire. (si avvicina alla porta)

ROMANO. (ponendosi tra la Madre e la porta) No, mamma, voi è meglio che restiate qui. Vado io a vedere.

PADRE. Non adesso! Chi ha sparato è ancora in giro.

(Si sente bussare violentemente alla porta)

PADRE. (agguanta un forcone) State pronti!

Voce di VANNI. Sono io, pa’, Vanni. Aprite.

ADA. (si alza) Vanni! (si avvicina alla Madre)

PADRE. Non l’hanno ammazzato, grazie a Dio. (pianta il forcone in una balla di paglia; quindi, a Romano) Apri.

ROMANO. (apre)

TUTTI. (guardano oltre la porta con stupore e raccapriccio)

PADRE. Miseria!

ROMANO. Dannazione!

Voce di VANNI. Romano, dammi una mano.

ROMANO. (esce e rientra aiutando VANNI a sorreggere CUCCIOLO, ferito al capo e privo di sensi)

VANNI. (verso Ada) Metti una sedia sotto l’acetilene. (agli altri) Ci hanno sparato.

ADA. (eseguendo quanto ha ordinato Vanni) E’ morto?

VANNI. Adesso vediamo. Qualcuno ci aspettava prima del cancello.

ROMANO e VANNI. (adagiano CUCCIOLO sulla sedia. VANNI sorregge la sua nuca, gli sente il cuore ed esamina attentamente la ferita)

MADRE. Povero giovane! Ha la faccia  coperta di sangue.

VANNI. (rialzandosi) Il colpo l’ha tramortito. Non è morto.

ROMANO. (osservando a sua volta la ferita) L’hanno preso di striscio. E’ una semplice scalfittura.

PADRE. Bisogna lavarlo e disinfettare la ferita con la branda. Poi gliene date un cicchetto per farlo rinvenire. (a Vanni) Prendilo dalla tua parte. (sostiene CUCCIOLO da una parte, mentre VANNI lo regge dall’altra)

VANNI. Tagliate un lenzuolo per fare delle bende.

ADA. Lo prendo dal corredo?

MADRE. Cercane uno che abbia dei buchi. Per fare le bende va bene lo stesso.

VANNI e PADRE. (escono per la cucina, sorreggendo CUCCIOLO, seguiti da ADA e dalla MADRE)

ROMANO. (rimasto solo, afferra il lume che pende dal soffitto, con circospezione apre la porta che dà verso l’esterno e guarda fuori, facendo luce davanti a sè con la lampada; quindi richiude la porta e si accende una sigaretta alla fiamma del lume, che riappende poi al suo posto; infine siede su una balla di paglia)

VANNI. (entra) Sei qui.

ROMANO. Sì, Vanni. Mi fumavo una sigaretta in pace.

VANNI. Vedo, vedo.

ROMANO. Per farmi passare lo spavento.

VANNI. Giusto. (siede di fronte a Romano, estrae la pistola dalla fondina e la osserva, rigirandola tra le mani) Bella, eh? Pistola automatica.

ROMANO. Lugher. E’ un’arma tedesca.

VANNI. Preda di guerra. Le conosci bene le armi.

ROMANO. (accennando al cortile) L’hai scampata per un pelo.

VANNI. In ogni caso avevo questa con me. Prima la usavano i tedeschi per fare la pelle ai partigiani. Adesso la uso io per fare la pelle a loro. Se ne avessi avuto una anche tu, ti saresti spaventato di meno.

ROMANO. Non so se sarebbe bastato. Le armi da sole non sparano. Bisogna saperle maneggiare.

VANNI. Vero. (mostrando la pistola) Anche la mia, sai? Devo starci attento. Come arma ha il grilletto nervoso. Vedi? Questa è il bottone della sicura. E se io lo schiaccio...

ROMANO. Cosa fai? Togli la sicura, adesso?

VANNI. ...la rivoltella ha il colpo in canna. Basta tirare e fai un buco dovunque vuoi farlo. Ho imparato bene come si trattano questi aggeggi. Mi ha insegnato Mirco.

ROMANO. Ma sta’ attento! E’ pericoloso.

VANNI. Come apprendista non ero dei più svegli. Sparare non mi diverte. Ma Mirco è un maestro coi fiocchi. Dovresti vederlo con una di queste in mano! Tira la bottiglia per aria e poi pamm, pamm! (mima la scena e si ferma con la pistola puntata contro Romano) Che c’entro io? Quello che ha sparato aspettava me, vero?

ROMANO. Sei matto?

VANNI. Hai detto che l’ho scampata per un pelo.

ROMANO. E che ne so? Con questo buio, uno non vede a chi spara.

VANNI. Già. Uno vuole sparare a Cucciolo e magari colpisce Vanni. Ma può anche essere il contrario: uno prende Cucciolo, ma voleva sparare a Vanni. Eh? E’ così?

ROMANO. Tira via quella pistola!

VANNI. Hai ragione. Questa non vede se chi ha davanti è un tedesco o un repubblicano. Questa può anche sparare un colpo addosso a te. (inserisce la sicura e ripone l’arma nella fondina)

ROMANO. Che scherzo da prete! Tu non mi sembri più il Vanni che conoscevo io. Hai scherzato, vero?

VANNI. (guarda per terra, rimane alcuni istanti in silenzio, quindi parla senza alzare gli occhi) Ho parlato con Norina.

ROMANO. Ah, quella...

VANNI. (alzando gli occhi, deciso) Quella. Tu adesso mi spieghi ciò che le capita e perchè le capita. Tutto. Per filo e per segno.

ROMANO. Io?

VANNI. E poi magari parliamo di Cucciolo e della persona che gli ha sparato.

ROMANO. Si può sapere cosa ti sei messo in testa? Cucciolo? Se qualcuno gli spara, affari suoi. Quando uno  resta a casa, non gli sparano.

VANNI. Come Rico! Norina sostiene che lei e sua madre si trovano nei guai per causa tua. Sono venuto per questo.

ROMANO. Norina può dire quello che vuole.

VANNI. Norina dice quello che pensa e tu fai bene a parlare chiaro.

ROMANO. Si capisce che parlo chiaro! Io non ho niente da nascondere. Ho comprato la macchina da battere il grano da uno di Santo Stefano. poi lui me l’ha chiesta in gerenza e io gliel’ho data. Questo è tutto quello che ho fatto. Gli affari sono il mio mestiere.

VANNI. Non basta. Devi spiegarmi perché, appena lo zio di Norina è morto, si è scoperto che la sua trebbiatrice non apparteneva più a lui, ma al tizio di Santo Stefano.

ROMANO. Io? Io l’ho comprata da chi era sua! Se Norina l’avesse ricevuta in eredità, l’avrei comprata anche da lei. Norina se l’è presa con me, ma io non ne posso niente. E’ quell’altro che non vuole vedersi due donne tra i piedi. Posso provare a parlare con lui. Se gli dico che il fidanzato di Norina fa il partigiano, e con tanto di revolver tra le mani, allora può anche darsi che si decida a tenersele in casa.

VANNI. Sarebbe già qualcosa. Tu cerca di convincerlo, prima che sia tardi. Non vorrei poi essere costretto a fare i conti con mio cognato.

CUCCIOLO. (col capo fasciato, entra aiutato dal PADRE; quindi si ferma) Lasciate. Voglio provare a camminare da solo. (raggiunge una balla di fieno e si siede)

PADRE. Piano, piano.

VANNI. Ce la fai a tornare al comando?

CUCCIOLO. Credo do sì.

VANNI. Allora possiamo andare. (si avvicina a Cucciolo e lo aiuta ad alzarsi)

ROMANO. Non so se gli conviene. Ha perso molto sangue.

VANNI. Lo aiuto io. (a Cucciolo) Passami un braccio attorno al collo.

CUCCIOLO. E’ andata ancora bene. (si alza ed esegue) Un dito più in là e per me era fatta. Mi sembra stupido morire così, senza sapere a chi dire grazie.

VANNI. Sta’ tranquillo. La pallottola che ha colpito te era diretta contro un’altra persona.

PADRE. Vai via così? Non eri venuto per parlare?

VANNI. Ho parlato con Romano. Poi lui vi dice. (si avvia con CUCCIOLO)

PADRE. Quando torni?

VANNI. Chiedi a Romano.

PADRE. A Romano?

ROMANO. Lasciatelo andare. Dopo vi spiego.

PADRE. Stai attento, mi raccomando. Fallo per tua madre.

VANNI. Sì pa’. Dille che il suo Vanni le vuole bene, anche se... (apre la porta; subito, sorpreso) Norina!

NORINA. (è avvolta in uno scialle che le copre le mani; fissa Romano con rabbia) Sei qui, bastardo! (allarga le braccia e nella sua mano destra compare un coltello) Adesso ti ammazzo!

PADRE. (blocca il braccio di Norina; il coltello cade a terra) Cosa ti prende? Sei diventata matta?

NORINA. (scoppia a piangere)

ROMANO. Voi, pa’, non potete sapere perché Norina è arrabbiata con me, ma io capisco e la perdono. (si avvicina a Norina) Domani parlo con quello di Santo Stefano. Potete stare tranquille che la cosa si aggiusta. Dillo a tua madre.

NORINA. (alza il capo e sputa in faccia a Romano)

ROMANO. (colpisce Norina con uno schiaffo)

VANNI. (estrae la pistola e spara un colpo in aria) Il prossimo colpo non sparo per aria!

NARINA.  Dov’è adesso mia madre, non può più ascoltare nessuno. (a Romano) Sei stato tu che l’hai fatta morire!

VANNI. (al Padre) Lasciala andare! Norina viene con me.

PADRE. (esegue)

NORINA. (appena libera, si precipita tra le braccia di Vanni)

VANNI. Tu, Romano avevi ragione. Vanni non è più Vanni. Adesso Vanni lo chiamano Bill.

SCENA SECONDA

(Interno: comando di brigata. Alcuni mesi dopo. Alla parete di fondo è appesa una bandiera tricolore. NORINA e VANNI stanno una di fronte all’altro, con le mani nelle mani)

VANNI. Tu sei tutto per me.

NORINA. Anche tu, Vanni. (chinando il capo) Se penso a mio zio e a mia madre, mi sale un nodo alla gola... Io non so se riesco di nuovo a tornare quella di prima. Devi avere pazienza con me.

Voce di LIBERO. Dove sono?

Voce di CUCCIOLO. Ci aspettano dentro.

NORINA. Stringimi forte. Arrivano.

VANNI. (abbraccia Norina) Niente paura! (si stacca, continuando a tenerla per mano) Sei col tuo Vanni.

LIBERO, CUCCIOLO, CIACHI e MIRCO. (entrano e si dispongono in piedi dietro il tavolo)

LIBERO. Siete pronti?

VANNI. (dopo uno sguardo d’intesa con NORINA) Siamo pronti.

LIBERO. Venite avanti. Prendete due sedie e disponetevi di fronte a me.

VANNI  e NORINA. (eseguono)

LIBERO. (a Ciachi e Mirco) Siete voi i testimoni?

CIACHI  e MIRCO. Sì.

LIBERO. Mettetevi al di là del tavolo, accanto ai due giovani convenuti.

CIACHI. (raggiunge Vanni, gli posa una mano sulla spalla e si china a mormorargli nell’orecchio) Coraggio, Bill!

MIRCO. (si avvicina a Norina, si pone sull’attenti, battendo i tacchi, e sorridendo si china a baciarle la mano; quindi, rialzandosi) Su con la vita, Norina! (indicando Vanni) Poteva toccarti di peggio.

VANNI. Grazie, Mirco. Sei sempre un amico.

LIBERO. Spero che abbiate riflettuto sull’importanza del passo che state per fare.

VANNI. Sì, Libero, ci abbiamo pensato. E ad entrambi è sembrata la cosa migliore.

LIBERO. D’accordo, dunque. Procediamo. Cucciolo, leggi le due dichiarazioni.

CUCCIOLO. Subito. (leggendo) Io sottoscritto, Canale Giovanni, di Felice e Destefanis Assunta, nato a Barolo il 15 maggio 1925, dichiaro sotto la mia personale responsabilità, di non aver in precedenza contratto matrimonio e di voler sposare la qui presente Gallo Onorina. Firmato: Canale Giovanni. (a Libero) Questo è Bill. (legge da un secondo foglio) Io sottoscritta, Gallo Onorina, fu Giacomo e fu Anselma Caterina, nata a Barolo il 6 febbraio 1926, dichiaro sotto la mia personale responsabilità, di non aver in precedenza contratto matrimonio e di voler sposare il qui presente Canale Giovanni. Firmato: Gallo Onorina. (depone il foglio) E’ tutto.

LIBERO.  Scrivi! (detta, mentre CUCCIOLO scrive) Oggi, addì 21 luglio 1944, alle ore sedici, nel Comando di Brigata della quattordicesima divisione Garibaldi, davanti a me, Libero, nella qualità di commissario politico, facente funzione di ufficiale di stato civile, si sono presentati i sopra citati cittadini italiani ed hanno contratto matrimonio alla presenza di due testimoni. Metti i timbri e lascia il posto per la firma.

CUCCIOLO. D’accordo. (rilegge il foglio mentre Libero continua a parlare)

LIBERO. E’ quasi certamente il primo atto di stato civile che si celebri nell’Italia liberata in forma del tutto nuova; cioè, senza la citazione di alcun codice civile e con agli atti una dichiarazione di libero stato civile da parte degli sposi, fondata sulla parola d’onore di due soldati dell’esercito di liberazione nazionale. Permettetemi di manifestare la mia stima perché avete voluto chiamare il popolo a testimone e garante della vostra unione. Viva gli sposi!

CIACHI, MIRCO e CUCCIOLO. Viva gli sposi!

SCENA TERZA

(Interno: comando di brigata. Primi giorni del settembre ‘44. Non c’è più la bandiera sul muro di fondo. Sono in scena LIBERO, il MAESTRO, seduti al tavolo, e CIACHI, seduto su una cassa di munizioni. Silenzio. Espressioni tese. Nessuno si muove)

Voce di MIRCO. Fuoco!

(Scarica di colpi. Silenzio)

CIACHI. (dopo una pausa) Non è giusto.

MAESTRO. (a Libero) Ciachi lo conosceva.

CIACHI. Due giorni fa era a Monforte. Abbiamo giocato a carte. Mi ha parlato dei suoi bambini e del futuro che intendeva preparare per loro. Diceva che questa guerra non era venuta per niente. Bastava saperci fare. Sua moglie lavora in casa. Stira la roba dei ricchi e aspetta che suo marito ritorni. (pausa) Adesso può aspettare.

MIRCO. (entra e si avvicina a Ciachi) Hai una sigaretta?

CIACHI. (alzando le spalle) Chiedila a Nemo. Lui è contento.

MIRCO. (al Maestro) Dammi una sigaretta, Nemo.

MAESTRO. Tieni.

MIRCO. (mentre accende, accennando col capo a Ciachi) Cos’ha?

MAESTRO. L’esecuzione gli è andata per traverso.

MIRCO. Ho sentito che chiamava Ciachi. (a Libero) Ho dato ordine di seppellirlo. Cinque della sua banda sono rimasti con noi e adesso ci pensano loro. Gli altri se ne sono andati. Dice che, piuttosto di stare coi garibaldini, vanno a gettarsi in braccio alla repubblica.

MAESTRO. Sono liberi di andare dove vogliono.

LIBERO. Noi non abbiamo fatto che il nostro dovere: giustiziato il capo e sciolta la sua banda.

MIRCO. Due hanno gridato che un giorno o l’altro dovremo fare i conti. Con gente di quella razza c’è da stare attenti. Forse era meglio... (si limita a mimare col gesto: tagliare la gola)

CIACHI. Si capisce! Tagliamo la gola a tutti! Tu, Mirco, dovevi fare il boia.

MIRCO. Cosa dici? Io sono un soldato e ho fatto quello che mi avete ordinato. Siete voi che l’avete condannato.

MAESTRO. E’ vero. Noi tre. Anche tu, Ciachi.

LIBERO. Non c’era altra pena che quella di morte. Punto e basta!

CIACHI. No, non basta! Oggi è morto un proletario. Qualcosa non quadra. I criminali non sono tutti da mettere in un mazzo. Bisogna distinguere. Non siamo ancora tutti uguali! Per adesso.

MAESTRO. Cosa dici, Ciachi?

LIBERO. Su questo argomento il ci elle enne è stato chiaro e perentorio. Chi manca, paga. Non possiamo comminare pene detentive perché non abbiamo prigioni. Dal semplice ammonimento dobbiamo passare per forza alla pena capitale.

MAESTRO. Lo avevano già allontanato da Savona per lo stesso motivo: si serviva della sua banda per rubare e razziare.

CIACHI. Abbiamo sbagliato lo stesso!

LIBERO. Solo perché ti ha fatto vedere la fotografia dei suoi bambini? Che ti prende, Ciachi?

MAESTRO. Abbiamo i nervi a fior di pelle. Lasciamo passare del tempo. Il tempo rimette in sesto le cose.

SCENA QUARTA

(Interno: comando di brigata. Alcuni mesi dopo. Sono in scena LAURA, seduta al tavolo, e VANNI, seduto su una cassa)

VANNI. Sì, signora. Io ero assieme a Ciachi. E c’erano anche Mirco e Cucciolo.

LAURA. Tu ti chiami Bill, vero? Sei quello che ha sposato la ragazza che fa la staffetta per voi.

VANNI. Proprio lei. Adesso è in giro. Ci va sovente.

LAURA. Ciachi mi ha scritto del vostro matrimonio.

VANNI. Scriveva delle lettere?

LAURA. Sì, da ultimo. Non molte, però.

VANNI. Come si fa a farle arrivare?

LAURA. Deve essere una cosa complicata. Forse è per questo che ne ha scritte poche. Le tengo da parte, tutte, per i bambini, quando sapranno leggere, che conoscano che tipo è stato il loro papà. Non arrivavano con la posta. Me le portava un uomo, sempre lo stesso. Veniva a Chieri, alla cascina, con la sua bicicletta. Posava la busta sul tavolo, beveva un bicchiere e se ne andava. Parlava solo del tempo che faceva.

VANNI. Non me l’ha mai detto che scriveva delle lettere.

LAURA. Scriveva di lui e di voi. Per te è come se ti conoscessi. Mi diceva che guardando te si rivedeva lui quando era giovane. Veniva da Roddino. Alla Fiat lo aveva fatto entrare uno zio che aggiusta macchine e biciclette e vende benzina dalle parti di corso Francia.

VANNI. Ciachi di Roddino? Ho sempre creduto che fosse un cittadino.

LAURA. Scriveva come parlava. Quando leggevo, era come risentire la sua voce. Certe volte al mattino mi sveglio e penso a lui, che un giorno debba tornare. Ma è un momento e dopo devo tenermi per non andare in terra.

VANNI. E i bambini?

LAURA. Eugenio mi ha cercato un posto in paese. Qui i bambini sono più al sicuro.

VANNI. Eugenio sarebbe Libero.

LAURA. Anche Ciachi aveva un nome di battesimo. Si chiamava Giovanni. Il secondo praticamente non ha conosciuto suo padre. Aveva sei mesi quando Giovanni ha dovuto scappare. Il primo aveva due anni. Ciachi sarebbe stato un buon padre. I suoi figli hanno perduto molto. Per ora non sanno che è morto.

VANNI. Avevamo lo stesso nome io e vostro marito. Sapete, io non ci ho nemmeno pensato che ci potesse restare. Quando l’ho sentito gridare Bill, vattene via con Cucciolo, sono partito di corsa tra i cespugli e Cucciolo mi è venuto dietro. Ma adesso che voi siete qui, Ciachi è come se lo vedessi morire in questo momento.

LAURA. Questa mattina Eugenio mi ha accompagnata dove l’avete sotterrato.  Quando la guerra finisce, penso che lo farò trasportare a Chieri, nel camposanto.

VANNI. Avevo fatto sì e no cento metri, che loro hanno smesso di sparare e c’è stata una gran confusione di voci. Mirco mi è ancora sembrato di sentirlo gridare. Abbiamo continuato a correre. Siamo saliti sul costone tra Roddino e Monforte. Di là ci siamo gettati a rotta di collo per il canalone che scende a Dogliani. A metà strada abbiamo cercato un riparo nei boschi. In mezzo alle prime piante abbiamo trovato tre badogliani. Da loro abbiamo saputo che i Tedeschi e la repubblica erano partiti dai paesi più bassi della Langa e stringevano il cerchio salendo verso Montezemolo. Ci siamo nascosti. Dopo un po’ i Tedeschi ci sono passati vicino senza vederci. Allora abbiamo capito che ci eravamo salvati, uscendo dall’accerchiamento. E’ stato nel mese di dicembre. Hanno fatto un rastrellamento coi fiocchi.

LAURA. A ottobre mi ha scritto da Alba. E’ stata l’ultima lettera. Sembrava che la guerra fosse alla fine e mi prometteva che presto sarebbe tornato a casa.

VANNI. Allora ci siamo sbagliati tutti. La repubblica, Alba ce l’ha gettata nei piedi. Sembravano a terra e che la guerra dovesse proprio finire entro pochi giorni. Poi è bastato vedere come hanno fatto a riprendersi la città per capire come andavano le cose. E’ stato un colpo!

LIBERO. (entra e siede vicino a Vanni) Allora, Bill, hai detto a Laura?

VANNI. Sì.

LAURA. Abbiamo parlato.

VANNI. (si alza) Senti, Libero. Se mi lasci andare, prendo la bicicletta e scendo fino alla Centrale incontro a Norina.

LIBERO. Certo, certo. Prenditi un permesso. Guarda sul tavolo. Ce ne sono di quelli già firmati.

VANNI. Grazie. (si avvicina al tavolo, prende un foglio, lo piega e lo mette in tasca)

LIBERO. E tieni gli occhi aperti!

VANNI. Sì, Libero. (a Laura) Buona sera, signora. Se non ci mandava via, io e Cucciolo ci saremmo di sicuro restati.

LAURA. Buona sera, Bill, e grazie.

VANNI. (si incammina, ma dopo due passi si ferma) Ciachi, ci ricordiamo tutti il tipo in gamba che era. Aveva fegato da vendere. Ma quello che conta era il cuore. Vero, Libero? (esce)

SCENA QUINTA

(Interno: comando di brigata. Vigilia della liberazione. VANNI e CUCCIOLO sono intenti a pulire le armi)

CUCCIOLO. Sembra che sia finita. Scendiamo in pianura. Portiamo tutto con noi.

VANNI. Andiamo a prendere Alba.

CUCCIOLO. Paura?

VANNI. (dopo una pausa) Chissà cosa succede, dopo?

CUCCIOLO. Dopo? Dopo, Cucciolo saluta tutti e se ne torna a casa. Non mi sembra vero dormire in un letto e mangiare ogni volta che mi sento fame.

VANNI. A comandare devono rimanere quelli come Libero.

CUCCIOLO. La gente è stufa di odiarsi. Lui invece l’odio ce l’ha nel sangue.

VANNI. Libero era un operaio e se odia qualcuno odia solo i padroni. Tu credi che ci saranno ancora i padroni, come prima?

CUCCIOLO. Padroni o non padroni, cosa importa? Ci sentiremo finalmente fratelli. Ce ne andremo per le strade senza la paura che qualcuno ci spari una fucilata nella schiena. Certo, la gente come Libero, o come te, o come me, quelli che hanno fatto il partigiano insomma, dovranno stare a sentirci, questo sì.

VANNI. Mirco era di queste parti.

CUCCIOLO. Chissà che fine ha fatto?

VANNI. Una volta mi ha spiegato tutto.

CUCCIOLO. Tutto che cosa?

VANNI. Come vanno le cose coi padroni.

CUCCIOLO. Se devo essere sincero, Mirco era una testa calda. Operai, padroni... siamo tutti esseri umani. E’ la miseria che bisogna combattere. Il resto non conta. Però per Mirco mi dispiace.

VANNI.  Va a finire che quelli l’hanno assassinato.

NORINA. (entra) Vanni!

VANNI. Norina! (la raggiunge e la abbraccia) Era ora che tornassi!

NORINA. (senza separarsi da Vanni e rivolgendosi a tutti e due) Devo parlare con Libero.

CUCCIOLO. Libero è in giro che dà ordini.

NORINA. In giro non l’ha visto nessuno.

CUCCIOLO. Allora è sceso in paese. Ho sentito dire che alcuni uomini vogliono entrare adesso nei partigiani per scendere in Alba con noi.

VANNI. Se aspettavano ancora qualche giorno, la guerra finiva prima.

CUCCIOLO. Saranno vocazioni adulte, come dicono i preti.

VANNI. Hanno capito che la repubblica ha i giorni contati e allora si mettono dalla parte di chi vince.

CUCCIOLO. Vado a cercare Libero. Tu, Norina, non scappare. (esce)

VANNI. Sta’ tranquillo che non scappa. Ci penso io o tenerla stretta. (a Norina) Se Dio vuole, è l’ultima volta che vai in giro a fare la staffetta.

NORINA. Sono due giorni che lo sento riferire dappertutto.

VANNI. Pensa alla vita che potremo fare, se la guerra finisce per davvero! (la guarda in viso) Cos’hai? Mi sembri pallida.

NORINA. E’ già da qualche giorno. Sai, Vanni, non sono sicura, ma devo essere incinta.

VANNI. Davvero? Allora presto divento padre! E tu mamma. E’ già ben fortunato questo bambino, ancor prima che nasca, ad avere una mamma come te! Cosa fai? Piangi?

NORINA. Mi è venuta in mente mia madre e ho pensato che non c’è più, proprio adesso che nasce il suo nipote.

VANNI. Su, su. Non piangere. Tua madre magari è in un posto da dove ci vede ed è contenta lo stesso.

NORINA. (mentre si asciuga le lacrime) Ho visto Mirco.

VANNI. Mirco? E dove?

NORINA. A Treiso. Sapessi quante ne ha dovute passare! E’ stato in prigione per più di tre mesi e il tenente Rossi gli ha fatto strappare le unghie del piede sinistro per farlo parlare. Poi Paolo e i suoi uomini lo hanno liberato insieme ad altri venti prigionieri. Vuole parlare con te e con Nemo. Dice che mentre era in galera ha compilato una lista. Tutta gente che ha fatto la spia.

VANNI. Povero Mirco!

NORINA. Se penso a quello che hanno fatto a lui, se penso a mia madre, a mio zio Federico, a tutti quelli che sono stati uccisi o torturati, allora mi viene paura. Paura di mettere al mondo un bambino in un mondo come questo.

VANNI. Non è vero. Quando nasce nostro figlio, la guerra è finita da un pezzo. E allora il mondo sarà diverso. Deve essere diverso! Anche Cucciolo dice che dopo la guerra viene un mondo in cui tutti si vogliono bene. E’ il regalo che noi facciamo a questo bambino. Nessuno può dire che non l’abbiamo pagato.

ROMANO. (entra titubante, durante la battuta di Vanni) Scusate. Finalmente vi trovo.

VANNI e NORINA. (si voltano, sorpresi) Romano!

VANNI. Cosa fai qui?

ROMANO. Vengo con voi. Ho deciso di entrare nei partigiani.

VANNI. Tu?

NORINA. Guarda solo che cosa ci tocca di vedere. Romano che entra nei partigiani!

ROMANO. Un po’ di ragione l’avete a stupirvi così. All’inizio io ero dall’altra parte. Ma nessuno può sostenere che fossi tanto convinto. Non sono mai stato un fanatico. Tu, Norina, voglio sperare che di me non pensi più le brutte cose che pensavi una volta. (pausa) Il vostro comandante mi ha detto che vi siete sposati. A casa non sanno niente.

VANNI. Come sta la mamma?

ROMANO. Tua madre ha sempre i dolori. Per il resto sono tutti fuori dal letto. Ada ha chiuso la bottega. Aspetta dai tuoi il giorno che io ritorni. Torniamo insieme, eh?, Vanni. Andiamo da tuo padre e gli diciamo che abbiamo fatto la pace. Torniamo vivi, no? Non c’è tanto pericolo. Tu cosa dici?

VANNI. Di sicuro qualcuno ci lascerà ancora la pelle prima di domani. Speriamo che non tocchi a noi due. Certo che tu... Sarebbe una bella sfortuna!

SCENA SESTA

(Interno: stalla della cascina di Vanni. E’ il 14/15 luglio 1948, dopo cena. VANNI, PADRE e ROMANO sono seduti attorno al tavolo, sul quale è abbandonato un mazzo di carte. ADA e MADRE, sedute in disparte, lavorano a maglia. Si ode ogni tanto il pianto di un bambino. La porta che dà verso l’esterno è aperta)

ADA. Sentite Federico piccolo, come piange!

MADRE. E’ un po’ di sere che la fa andare.

ROMANO. Quanto ha, adesso?

MADRE. Due anni e mezzo. Ne compie tre a dicembre.

ADA. Io dico che patisce la grande afa di queste giornate.

MADRE. Hai proprio ragione. Ai bambini il caldo fa male.

PADRE. (afferrando le carte, spazientito) Allora, questo maestro arriva o non arriva?

ROMANO. Sono passato a prenderlo prima di venire. Ma aveva uno studente a ripetizione. Mi ha detto che sarebbe partito dopo, con la sua balilla.

VANNI. Non sapevo che ci fosse qualcuno del paese che studia.

ROMANO. Non è gente del paese. E’ una famiglia di Torino che viene qui d’estate a prendere il fresco.

MADRE. Fin qui da Torino per un po’ d’aria fresca? Che mondo è mai questo?

ROMANO. Eh, mamma, i cittadini incominciano a star bene. Possiamo ringraziare l’America, che lei ci aiuta.

ADA. Dovresti vedere, mamma, la gente fine che sono! Loro non mettono mai piede nella bottega: mandano la serva. Ma poi escono a passeggio, tutti i giorni, alla stessa ora. Parlano così piano, che quello che dicono lo sentono solo loro.

(PRIMO FINALE)

(Rumore di auto che si arresta e di portiera sbattuta)

PADRE. Questo è il maestro, se Dio vuole. (si alza e si avvicina alla porta)

ROMANO. (a Vanni) Come va con la macchina da battere?

VANNI. Oggi abbiamo finito di girare le cascine di Castiglione. Domani attacchiamo verso Vergne e poi abbiamo finito.

ROMANO. Il raccolto è buono?

VANNI. In pianura è stato un disastro. L’alluvione gliel’ha coricato quasi tutto.

PADRE. (verso l’esterno) Ben arrivato, maestro. Vi siete fatto aspettare. Abbiamo  calato l’anguria al fresco dentro il pozzo.

MAESTRO. (entra) Buona sera a tutti. Il signor sindaco qui vi avrà detto. Gli avevo lasciato l’incarico di avvertire che sarei stato in ritardo.

ROMANO. Venite, venite.

MADRE. State tranquillo. Romano ci ha informati a puntino sui torinesi e sulle ripetizioni che voi gli dovete dare.

PADRE. (siede) La vostra sedia è libera. Prendete posto e sedetevi.

MAESTRO. (accennando un saluto) Signora Ada... (siede)

PADRE. Chi dà le carte?

MAESTRO. Fate pure voi, signor Felice.

PADRE. (distribuisce le carte)

ADA. Allora, questo scolaro, come andiamo?

MAESTRO. Ah, signora Ada, sovente denari e cervello non sono alloggiati allo stesso indirizzo. Certi giovani del paese gliene danno dei numeri! Prendete il vostro Vanni, ad esempio, se lo aveste fatto studiare.

PADRE. Vanni adesso ha un mestiere che il guadagno non gli manca. Può ringraziare suo cognato, che gli ha lasciato la trebbiatrice da governare. Quello che resta di bene, lo dividono a metà. Adesso sono più di due anni e non hanno ancora avuto una discussione da fare. Mai visto due soci tanto affiatati.

ROMANO. Vanni è un giovanotto con la testa sul collo.

VANNI. Se gli affari continuano così, a suo tempo Federico lo facciamo studiare, che si prenda un pezzo di carta. Dopo, se vuole, può anche proseguire nel mestiere di suo padre.

PADRE, MAESTRO, ROMANO e VANNI. (giocano a carte)

NORINA. (entra e si avvicina alla madre) Dorme. Salite pure anche voi a riposare, che il lavoro vostro lo continuo io.

MADRE. Grazie, ma preferisco finirlo da me. Tu siediti lì e guarda gli uomini giocare.

NORINA. Come volete. (siede vicino al tavolo, alle spalle di Vanni)

MAESTRO. Sai, Vanni, venendo da voi ho sorpassato uno in bicicletta. Tu non ci crederai, ma mi è sembrato Mirco.

NORINA. Mirco?

VANNI. Mirco, qui? Cosa verrebbe a fare? No, ti sei sbagliato.

MAESTRO. E’ quello che ho pensato anch’io e ho tirato dritto.

NORINA. Mi piacerebbe proprio rivedere qualcuno. Chissà Libero, o Berry.

MADRE. (le lancia uno sguardo di disapprovazione)

VANNI. Cucciolo, lo abbiamo sentito alla fine di marzo. E’ venuto al paese a fare un comizio per la democrazia cristiana.

MAESTRO. Per conto mio, non mi sono stupito.

ROMANO. Mirco è quello che è stato in prigione?

MAESTRO. Sì, lui. Dopo la liberazione, invece di consegnare le armi, è scappato a Castino. Là c’era una banda intera che aveva fatto come lui. Erano convinti che la liberazione non fosse completa e che occorresse continuare la lotta armata.

ADA. Non gli bastavano i morti della guerra?

MAESTRO. Li hanno messi tutti in prigione.

MADRE. E hanno fatto bene!

MIRCO. (compare nel vano della porta aperta) Si può, brava gente?

NORINA. Mirco! (si alza)

MIRCO. Ciao, Bill. Ci sei anche tu, Nemo. (con un cenno di saluto) Norina...

VANNI. (alzandosi) Vieni avanti. Fatti vedere come stai.

PADRE. Venite avanti. Non state in mezzo alla porta.

MAESTRO. Come vedi, si fa una partita a carte.

MIRCO. Vedo.

PADRE. Ada, va’ di là. Prendi l’anguria, la tagli a fette e ce la porti.

ADA. Sì, pa’. (si alza, depone il lavoro ed esce per la cucina)

MAESTRO. Così eri proprio tu quello che ho sorpassato.

NORINA. Siediti. Sarai stanco. (porge una sedia)

MIRCO. (viene avanti) Grazie. Sto in piedi. Allora non sapete.

VANNI. Cosa?

MIRCO. Hanno sparato a Togliatti.

MAESTRO. Quando?

MIRCO. Oggi.

NORINA. Hanno sparato a Togliatti?

VANNI.  Hanno avuto un bel coraggio!

NORINA. Lo sanno chi è stato?

PADRE. Qualche testa matta.

MIRCO. Quello che ha sparato lo hanno già preso.

MADRE. Chi è questo Togliatti?

VANNI. Sei venuto per darci la notizia?

MIRCO. Voi capite cosa vuol dire per noi garibaldini che abbiano sparato a Togliatti. Per primo sono andato da Cucciolo, ma lui non ricorda più niente. Dice che adesso bisogna ricostruire e dimenticare quello che è stato. (estrae un foglio dalla tasca) Per lui la gente che è segnata qui sopra può stare tranquilla. Non gliene importa un fico!

NORINA. La lista!

PADRE. Cosa c’è su quel foglio?

NORINA. Un elenco di nomi.

MIRCO. Per tre anni me lo sono tenuto nascosto. Mi dicevo: Mirco, ti sei sbagliato; il momento di sparare è finito. (a Vanni) Ma adesso è diverso. Tieni, Bill. Guarda.

VANNI. (prende il foglio e lo scorre con gli occhi)

MIRCO. Se guardi bene, ne trovi anche qualcuno di qui.

VANNI. (si alza) Scusate. (esce per la cucina)

MIRCO. Adesso ci ammazzano il capo. E’ un miracolo se arriva vivo a domani. E allora, basta!

Voce di ADA. (dalla cucina) Vanni, no! (entra di corsa, atterrita) No, Vanni. Per amor del Cielo, no!

VANNI. (si ferma nel vano della porta; impugna la rivoltella)

TUTTI. (hanno un gesto di sorpresa)  

VANNI. State fermi e non dite niente. Non sparerò a nessuno, se non ci sarò obbligato. Ma adesso tu, Mirco, vieni qui e spiega a mio padre, a mia madre e a tutti gli altri il motivo per cui hai scritto questi nomi.

MIRCO. E’ gente che allora era d’accordo con la repubblica. Ognuno di loro ha fatto morire almeno una persona.

VANNI. Perché sotto al terzo hai tirato una riga rossa?

MIRCO. Perché è la spia che ha fatto ammazzare lo zio di Norina.

VANNI. Da chi l’hai saputo?

MIRCO. Da uno della repubblica che aveva rubato in caserma. Era in prigione con me. Lui queste cose le sapeva bene e mi ha detto tutto.

VANNI. Leggi il nome!

MIRCO. Pressenda Romano, riverito podestà prima della guerra...

MAESTRO. ...e sindaco stimato da subito dopo.

MADRE. Vergine santa!

ADA. (si copre il viso con le mani)

TUTTI GLI ALTRI. (si voltano a guardare Romano)

ROMANO. (china il capo, sconfitto)

MAESTRO. (si alza) Allora, sognor sindaco, vogliamo andare?

SIPARIO

(SECONDO FINALE)

ROMANO. (a Ada) Non c’è che dire: sono più educati di noi. (a Vanni) Come va con la macchina da battere il grano?

VANNI. Oggi abbiamo finito le cascine di Castiglione. Domani ci spostiamo verso Vergne.

ROMANO.  Il tempo è bello. Il raccolto sarà buono.

VANNI. Non dappertutto. In pianura è un disastro. L’alluvione gliel’ha coricato quasi tutto.

ROMANO. Ah, sì? Eh, povera gente! Ma a noi questo non ci riguarda. Piuttosto dimmi qualcosa dell’imballatore nuovo. Te l’hanno portato?

VANNI. Sì. E’ arrivato ieri mattina. E’ proprio una bomba! Per fare lo stesso lavoro ci mette la metà del tempo che ci voleva con quello vecchio. Un momento che hai voglia, devi passare a vederlo.

ROMANO. Peccato che adesso sia a Castiglione.

VANNI. No no, è qui. Appena ci è stato consegnato, l’abbiamo messo al lavoro, ma soltanto per fare una prova. Poi l’ho sganciato e quelli della ditta me l’hanno trainato fin qui nel cortile. (si alza) Se vuoi dargli un’occhiata, l’ho ritirato sotto il portico. Attaccato alla macchina c’è ancora quello vecchio e ci resta per lo meno per altri tre giorni.

ROMANO. (alzandosi) Andiamoci subito, allora. Tanto il maestro chissà quando arriva. (al Padre) Se viene che noi non ci siamo, scusateci voi. Ditegli che ce la sbrighiamo alla svelta e torniamo. (esce)

VANNI. Ci vuole un minuto. (esce)

PADRE. Andate, andate. Fate quello che dovete fare.

(Nuova ondata di pianto infantile)

MADRE. (a Ada, smettendo il lavoro) Ma senti solo Federico come piange! (deponendo il lavoro) Forse è meglio che salga a vedere. (si alza) Magari Norina ha voglia di scendere e scambiare due parole. (esce)

(Rumore di auto che si ferma)

 

PADRE. Questo è il maestro, se Dio vuole. (si alza e si avvicina alla porta) E’ proprio lui.

(Rumore di portiera sbattuta)

PADRE. (voltandosi) Ada, va’ di là. Prendi l’anguria, la tagli a fette e quando è pronta ce la porti.

ADA. (si alza) Sì, pa’. (depone il lavoro ed esce per la cucina)

Voce del MAESTRO. Chiedo scusa. Sono in grande ritardo.

PADRE. Sappiamo già tutto. Romano ci ha messi al corrente dei villeggianti di Torino e delle vostre ripetizioni. (facendosi da parte) Venite, venite!

MAESTRO. (entra e si ferma) Ma, non c’è nessuno!

PADRE. Hanno approfittato della vostra momentanea assenza e se ne sono andati per i fatti loro. Ma sono qui vicino, in giro per la casa. Vedrete che tornano subito. Intanto noi ci possiamo sedere. (si avvia verso il tavolo)

MAESTRO. (seguendo il Padre) Sono contento di trovarvi da solo. Avevo proprio bisogno di parlare con voi, a quattr’occhi.

PADRE. Sedetevi.

MAESTRO. (mentre siede) Non è per lo studente di Torino che sono arrivato in ritardo.

PADRE. (sedendosi) Allora, Romano...

MAESTRO. Romano vi ha detto quello che sapeva, ma io la mia ripetizione non ho nemmeno potuto finirla. Appena vostro genero se n’è andato, mi è piombato in casa il padrone dell’Italia per avvisarmi che un tale mi aveva cercato al telefono pubblico e mi avrebbe richiamato nel giro di cinque minuti.

PADRE. E allora avete dovuto precipitarvi all’albergo per rispondere. E chi c’era dall’altra parte del filo?

MAESTRO. Era Cucciolo.

PADRE. Cucciolo?

MAESTRO. Sì, e chiamava da Alba.

PADRE. Ma è il partigiano che gli hanno sparato qui fuori, nel nostro cortile. Cosa voleva?

MAESTRO. (si alza e si muove lungo il proscenio) Qualcuno di voi ha ascoltato la radio? Oggi?

PADRE. Non che io sappia. C’è troppo lavoro in campagna. Perché?

MAESTRO. (si ferma e parla senza voltarsi) Cucciolo ha detto che un tale ha sparato a Togliatti e lo ha lasciato in fin di vita.

PADRE. Togliatti? Il comunista?

MAESTRO. Sì.

PADRE. E’ un brutto affare!

MAESTRO. Appunto. Non ci voleva, così poco tempo dopo le elezioni! Questo delitto non fa che infierire su chi era già esasperato per averle perdute. Sembra pensato apposta per precipitare il paese nella confusione.

PADRE. Volete dire?

MAESTRO. Vi ricordate di Mirco?

PADRE. Era un altro dei partigiani che stavano con Vanni.

MAESTRO. Ebbene, questo Mirco, quando ha saputo di Togliatti, si è barricato dentro la sezione del suo partito, con la pistola in pugno e non voleva più uscire. A quelli che cercavano di convincerlo a venir fuori, gridava che era ora di riprendere le armi e fare pulizia una volta per tutte. Capite?

PADRE. (si alza) Certo che capisco! Voi siete d’accordo con lui e volete tirare anche Vanni dalla sua parte!

MAESTRO. (si volta verso il padre) No, grazie, una guerra mi basta e mi avanza.

PADRE. Ah, meno male! (siede) E allora, cosa volete da me?

MAESTRO. (facendo ogni tanto un passo verso il tavolo) Vedete? Quando ormai erano arrivati i carabinieri e sembrava che non ci fosse più una via di uscita, all’improvviso Mirco ha fatto il nome di Cucciolo, promettendo che, se avesse potuto parlare con lui, subito dopo si sarebbe arreso senza fare altre storie. Per cui quelli sono andati a chiamarlo e l’hanno portato davanti alla sezione. (si allontana di due o tre passi, si ferma e, dopo qualche esitazione, si volta e parla) Be’, per farla breve, Cucciolo è entrato, è stato dentro per pochi minuti e poi è uscito con la pistola di Mirco e l’ha consegnata nelle mani del brigadiere. Poco dopo è venuto fuori anche Mirco e i carabinieri l’hanno portato via.

PADRE. Tutto qui?

MAESTRO. No.

PADRE. C’è dell’altro, allora.

MAESTRO. Il fatto è che, mentre erano ancora dentro la sezione, Mirco e Cucciolo si sono parlati. (guardando per terra) E’ proprio per quanto si sono detti in quei pochi minuti, che Cucciolo mi ha fatto chiamare al telefono.

PADRE. E va bene. Ma, scusate, io che c’entro con questa storia?

MAESTRO. E’ una cosa che riguarda Vanni...

PADRE. Vanni?

MAESTRO. ... e Norina e... vostro genero Romano.

PADRE. Ah!

MAESTRO. Lo sanno tutti che Vanni e Romano sono due soci molto affiatati. Lavorano insieme da quasi tre anni e non hanno avuto da dire neanche una volta.

PADRE. (alzandosi, parla con forza) Cosa credete? Non è mica per caso che vanno d’accordo! Vanni è un giovanotto con la testa sul collo, anche se non dovrei dirlo io che sono suo padre. (più calmo) Mio genero, poi, non c’è da spendere troppe parole. Ha sempre goduto la stima di tutti. Ha fatto il podestà, quando era il momento. E’ andato nei partigiani quando è venuto il tempo di farlo e ha preso il voto di tutti, quando si è portato alle elezioni da sindaco. (siede)

MAESTRO. (dopo una pausa, a voce bassa) Quello che Cucciolo ha saputo da Mirco è grave. E’ una cosa che, se è vera, come minimo manda all’aria la società tra vostro figlio e Romano e in più scava un solco che li mette per sempre uno contro l’altro. Per non parlare di vostra nuora! (alzando gli occhi a guardare il Padre) Adesso capite perché ci tenevo a parlare con voi.

PADRE. Di che si tratta?

MAESTRO. Della morte di Anselma Federico, lo zio di Norina...

PADRE. Lo dubitavo.

MAESTRO. ...e del mistero connesso all’inspiegabile cambio di proprietà della sua casa e della macchina da battere il grano. Allora noi fummo tutti convinti che qualcuno avesse fatto la spia.

PADRE. Me lo ricordo.

MAESTRO. Ebbene, Mirco ha detto di sapere chi è stato e ne ha rivelato il nome a Cucciolo, dopo averlo obbligato a giurare che, almeno per questo caso, sarebbe stata fatta giustizia. Ora, io non so cosa fare. Voi cosa dite?

PADRE. Chi è stato?

MAESTRO. Chi è poi risultato padrone di tutto. Romano, naturalmente. Ma anche voi avevate capito. Vero?

PADRE. (dopo una pausa) Be’, sono cose vecchie.

MAESTRO. Vecchie, ma brutte. Ne converrete con me.

PADRE. Non posso dire di no. (pausa) E vi ringrazio che avete voluto parlarne per primo con me, che sono il padre di Vanni. Avete proprio fatto bene, perché io non sono di quelli che, davanti a un consiglio da dare, si tirano indietro. Anzi, su questa faccenda ho le idee ben chiare e non ho nessuna difficoltà a dirvi come la penso.

MAESTRO. Sono contento. Almeno mi tolgo il peso dallo stomaco.

PADRE. State a sentire, allora. Non ci va molto tempo, perché sono sicuro di quello che dico. In primo luogo, per Federico mi è dispiaciuto allora e mi  dispiace adesso, ma i morti sono morti e non si possono resuscitare. Quello che conta è il presente, perché sono i vivi che vanno aiutati a vivere in pace tra di loro. In secondo luogo, quando finisce una guerra... be’, voi lo sapete meglio di tutti che tremendo flagello sia stata la guerra. Io non voglio parlare di cose più grosse di me, ma la guerra e la pace hanno due morali diverse. Troppo comodo dichiarare una guerra, dove tutti si sparano addosso, e pretendere che lo facciano rispettando le regole del galateo, come in tempo di pace. Quando finisce una guerra, si mette una pietra su quello che è stato e si guarda al futuro. (pausa) Ma poi, in terzo luogo, questo Mirco, siamo sicuri? Da chi l’ha saputo? Come, l’ha saputo? Ha delle prove? Perché è stato zitto tre anni? (ricordando all’improvviso) Mirco! Adesso ricordo! E’ uno di quelli che si sono asserragliati in un posto vicino a Castino e volevano continuare la guerra anche dopo che era finita. Avete proprio fatto bene a parlare con me. Sapete come ci regoliamo? A Vanni non diciamo niente. E nemmeno a Norina o a Romano. Non diciamo niente a nessuno! Venite. Venite a sedervi, che stanno arrivando.

(voci e rumori degli ALTRI che stanno rientrando)

PADRE. Allora, siamo  d’accordo: niente!

NORINA. (entra e si dirige verso il lavoro abbandonato in precedenza dalla Madre) Ah, che pace con questo silenzio!

MADRE. (entra e segue Norina) Tanti strilli e poi adesso dorme come un angioletto!

NORINA.  Oh, maestro, ben arrivato. (con ironia) Stasera ci siamo fatti aspettare!

MAESTRO. (dopo uno sguardo d’intesa con il PADRE) Tutta colpa del latino.

MADRE. Allora, questo scolaro, come andiamo?

MAESTRO. Eh, signora mia, sovente denari e cervello non sono alloggiati allo stesso indirizzo.

ROMANO. (entrando) E’ proprio una gran macchina!

VANNI. (entrando) Di sicuro ci farà risparmiare tempo e fatica.

ROMANO. (agli altri) Vedo che i nostri avversari non hanno perso tempo e si sono piazzati ai posti di combattimento.

MAESTRO. (sbottando) Ah, signor sindaco, questo gergo da tempo di guerra... vi prego, non è la serata!

ROMANO. Oh, scusate! (siede)

VANNI. (al Maestro) Ohibò! Abbiamo i nervi tirati, eh, maestro. Ma non è mica il caso. E’ soltanto una partita! (siede) A carte, voglio dire.

MAESTRO. Già, ma...

PADRE. (interrompendolo) Basta con le chiacchiere! Vogliamo giocare?

ROMANO. Siamo qui per questo.

PADRE. Allora cominciamo! Chi dà le carte?

ADA. (entra con un vassoio colmo di fette di anguria) Ecco qua la vostra anguria! Sapete cosa ho pensato di là, mentre la tagliavo? Sono sicura che non lo indovinate. Adesso ne prendo una fetta e vi faccio vedere. (afferra una fetta di anguria e la tiene in alto)

ROMANO, PADRE, MADRE e VANNI. (si voltano a guardare)

ADA. Guardate! (indicando) Qui è bianca, qui è rossa, qui è verde. Bianca, rossa e verde. Allora?

VANNI. (deluso, prende e le carte e le porge al Padre) Pa’, dà le carte, va’!

ADA. Ma come? Non capite? Bianco, rosso e verde! Sono i colori della nostra bandiera.

MADRE. Eh, già. Brava, Ada! La bandiera dell’Italia.

ROMANO. (si alza e parla con tono solenne, da sindaco) E’ vero! Della nostra Italia! Di quella bella Italia che proprio noialtri abbiamo salvato! (sorridendo, alla buona) Voglio dire noi quattro che abbiamo fatto il partigiano.

MAESTRO. (si alza, sbottando) Eh no, caro sindaco, questo...

PADRE. (porgendo le carte) Calma, maestro! E date le carte.

MAESTRO. Un momento! (ruba la fetta di anguria dalle mani di Ada e riprende la battuta, ma con tutt’altro tono) Eh no, caro sindaco, questo...

 PADRE. Questo paragone! (ruba a sua volta la fetta di anguria dalle mani del MAESTRO) Il maestro intende dire che questo paragone non gli piace. Questo paragone tra l’Italia e una fetta di anguria.

MADRE. Perché?

PADRE. Ma perché così fresca e invitante, come voi la vedete, va a finire che il primo che arriva...

ADA. Cosa fa il primo che arriva?

ROMANO. Mio Dio, Ada! (strappa la fetta di anguria dalle mani del PADRE) E’ semplice: (addenta la fetta d’anguria) se la mangia!

SIPARIO

 

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