QUATTRO RITRATTI DI MADRI
Arnold Wesker
PERSONAGGI:
RUTH: Madre nubile, sui 39 anni.
NOEMI: Mai stata madre, sui 70 anni
MIRIAM: Madre fallita, sui 45 anni
DEBORAH: Madre terra, sui 35 anni
Per interpretare i
differenti personaggi l’attrice aggiungerà o toglierà qualche particolare al
suo abbigliamento, si metterà una parrucca, o qualche altro dettaglio. Ma il
carattere del personaggio deve venir fuori dalla recitazione. Non importa se
quando fa la vecchia sembra giovane, l’importante è che renda la personalità
del personaggio attraverso il timbro e l’inflessione della voce e
dell’atteggiamento. Per quanto riguarda Ruth avrà importanza il modo in cui è
vestita.
La scena – Ogni scena è indicata da due o tre particolari che ne indicano
l’arredamento. L’attrice deve muoversi con disinvoltura tra i diversi elementi
scenografici. Unica eccezione per la scena del supermercato dove l’attrice
spingerà il carrello con un movimento circolare sulla scena trovando lo spazio
naturale per il suo shopping.
MONOLOGO 1
RUTH (Un letto, due valigie posate sopra, una pila di indumenti acanto; una scimmia di pelouche. Sta facendo la valigia per il week-end e sta parlando con finta collera con la figlia invisibile che è nell’altra stanza).
(alla figlia) E ti devo ancora dire una cosa, divina marmocchia, anche se ti amo e ti adoro, mi rifiuto di prepararti la valigia. Di valigia faccio la mia e se tu non ti fai la tua, nessuno la farà per te.
(a sé stessa) Forse si immagina che abbia organizzato questo nostro viaggetto solo perché lei se ne stia là, seduta sul suo bel culetto a lamentarsi della crudeltà del mondo?!?
(alla figlia) Forse pensi che abbia organizzato questo nostro viaggetto così perché tu te ne stia lì, seduta sul tuo bel culetto a lamentarti della crudeltà del mondo? Ebbene, sbagli di grosso.
(a sé stessa) Èmica facile vivere in un mondo dove gli uomini temono le donne e io sto cercando di insegnarle a non avere bisogno di loro. (ad essere indipendente da loro) (a fare a meno di loro).
(alla figlia) Voglio che tu impari tutto, da infilare l’ago a preparare un pranzo, da conquistarti una posizione a fare una valigia. Non è facile vivere in un mondo dove gli uomini hanno paura delle donne e voglio che tu impari a non avere bisogno di loro.
(a sé stessa) A furia di ripetermelo diventerò matta. Mi manderà in un ospizio.
(alla figlia) Così, perché tu non hai un padre, io sono una criminale. Me lo hai detto migliaia di volte. Sono stufa di sentirtelo dire e tu dovresti essere stufa di ripetermelo, perciò piantala. Vieni qui ad aiutarmi a fare la valigia. È la tua prima vacanza sulla neve e dobbiamo prendere tutto ciò che ci serve per non congelare.
(a sé stessa) Io sopporto tutto da lei. Ragazzi! Ma stavolta non te la darò vinta. Fossi sposata avrebbe avuto un padre sbagliato. E se avesse avuto un padre giusto io sarei stata la madre sbagliata. E se fossimo stati giusti tutti e due lei avrebbe detto che la escludevamo dalla nostra felicità. Ad ogni modo, se lei pensa che incoraggio la sua autocommiserazione, si fa un nuovo problema. Due golfini o quattro? Per il cambio meglio quattro. E metterei la mano sul fuoco che lasciamo a casa proprio quello che ci serve.
(pausa ascolto) Lo so, tesoro, i padri sono importanti. Ma, punto primo: nessuno è indispensabile; secondo: di fronte alla realtà cerca di non soccombere e terzo: le ragazze che piangono l’autobus. (pausa) Cosa ne dici di quest’ultima sentenza? E sai spiegarmi che differenza c’è tra un proverbio e una sentenza?
(a sé stessa) Maledetti ragazzi! Non fanno che piangere per rinfacciarti i tuoi errori. E io ne ho da vendere ma lei non li conosce e non può buttarmeli sul muso
(a sua figlia) E poi, cosa hanno poi così di specialie i maschi? Pensi che io non sia capace di insegnarti a sciare? Pensi che io non sappia accendere il fuoco in un campeggio e che non mi diverta anch’io ad andare a cavallo sulla neve?
(a
sé stessa) Ha ragione. Non lo so fare. Odio sciare,
odio il freddo, odio la neve. Ed odio anche tutta quella gente forte e sana con
le guance belle rosse. Specialmente quelle donne che hanno le guance così. Ed
odio anche di più andarmene in vacanza sole, io e lei. Ma cosa posso farci, per
la Madonna? Io non posso comprarmi un marito, lei non può inventarsi un padre e
perciò cosa si può fare?
E c’è anche il problema dei libri e dei giuochi che bisogna portarsi dietro. Io
non ne ho un’idea. Si portano anche dei giuochi? O ci sono già là? Una sola
cosa so. Che non so nulla di quello che succede nelle stazioni sciistiche. So
solo che lì ci si rompe le gambe.
(alla figlia) Un padre, ad ogni modo, è sempre spendaccione. Spende per far sempre da padrone, prende lui tutto lo spazio, finisci per muoverti solo perchè lo vuole lui e prima di ogni cosa ti dirà sempre che sei una traditrice e che fai di tutto per schiavizzarlo. Credi a tua madre, divina marmocchia, ci troveremo un padre per qualche giorno su di una scarpata; tu cadrai giù, io piangerò e tutti correranno a vedere quello che succede.
(a
sé stessa) Ti consolano con la loro protezione
maschilista, piena di fantasia repressa, dio come li odio, gli uomini. (pausa)
Però ho bisogno di loro. (pausa) C’è da diventare matta. Una vacanza
sugli sci. Ai miei piedi, ogni giorno, perchè? Il mondo mi scivola già sotto i
piedi, perchè dovrei anche mettermi gli sci per farlo scivolare meglio?!?
Sciocca di una ragazza! Pensa forse che io abbia bisogno di un compagno, come
lei ha bisogno di un padre? (pausa) Certo, non sempre, solo quando sono
in calore e lei mi odia. Bisognerebbe affittarli. Noleggiarselo un uomo come una
macchina, per un’ora, per un giorno, per un mese...Non sarebbe poi neanche male
se potessi affittare un uomo per un anno e poi ridarlo indietro, come si
restituisce un libro che non si finisce. (dopotutto anche un uomo lo si finisce
come si finisce un libro).
(chiamando) Un proverbio per te, piccola. Anche un uomo si finisce come un libro.
(a
sé stessa) L’ho saputo fin dal principio, da quando
Dio mi ha scelta come creatura che non doveva proteggere. Ruth, mi ha detto,
anche un uomo si finisce come un libro...(pausa) D’altra parte io non mi
sento di dipendere da qualcuno. Da nessuno. (pausa) È un pensiero che
può anche sembrarti assurdo. Vivere sola e continuare a dirti delle sciocchezze
che nessuno ti può contraddire. Però non si può mai essere del tutto
indipendenti. Io non ho bisogno di nessuno, ma di lei sì. Della mia divina
marmocchia.
(chiamando) Ehi, divina marmocchia? Hai fatto una lista di cose da portar via, qui c’è una valigia da riempire; vieni subito e mettici dentro tutto quello che ti occorre. Per favore...Se non vieni a darmi una mano, finirà che andrai a sciare nuda ed i peli del pube si ghiacceranno e ti irriteranno la pelle.
(a sé stessa) Non l’ha trovato spiritoso. Va bene, non sarò stata esilarante, ma poteva anche degnarsi di farsi una risata. In fondo, sono sua madre. Dovrebbe cercare di farmi contenta. Non ha spirito. Mia figlia non ha alcun senso di umorismo. I ragazzi sono strani di natura, dà loro qualcosa per essere tristi e saranno contenti.
(chiamando) Hey, ti ho mai detto come la gente si è accorta che Gesù era ebreo? Prima di tutto non se ne è andato da casa fino a 35 anni. Due, era sicuro che lei era vergine. Terzo pensava di essere un dio. (pausa) Ti ho inventata una barzelletta. Ridi. Per l’amor del cielo, ridi, tesoro. Potrebbe non succedere più.
(aspetta una risposta che non viene) Cosa diavolo posso ancora fare per te? Lavoro pe te, cucino per te, compro per te, faccio complotti per te, sanguino per te, lavo per te, desidero per te, piango per te, ballo per te...ballo...(prende la scimmia e si mette a ballare) Ballo...ballo...ballo...ballo...(si lascia andare sul letto e a sé stessa) Sono una stupida commediante, ecco cosa sono. Ma tute le madri sono così. Delle pagliacce (urla) Le madri sono delle pagliacce!
(a sé stessa) Che rispetto posso mai aspettarmi da lei? Prenda a schiaffi, ecco cosa dovrei fare. Questo farebbe un padre. Un buon padre. Ha bisogno di un padre? Bene. Le farò vedere cos’è un padre. Cosa fa un padre. (frignando come una bambina) Non voglia andare a scuola. Uno schiaffo. Non voglio andare a sciare. Uno schiaffo. Non vuole essere felice? Intelligente? Indipendente? Autosufficiente? Schiaffi, schiaffi, schiaffi, schiaffi, schiaffi!
(alla figlia) Marmocchietta divina, vieni qui che ti prendo a schiaffi.
(a sé stessa) Non mi occupo più di te. Faccio la mia valigia e se, come al solito non vorrai fartela che all’ultimo momento, di corsa, dovrai lasciare a casa metà delle cose che ti servono perchè non ci sarà più tempo di cercare quello che è nascosto nei vari punti della casa dove tu credi di trovarli e dove so benissimo che non ci sono, e darai al colpa a me, anche di questo, come di tutto quello che ti succede, perciò vieni qui, e vieni immediatamente quando ti chiamo.
(a sé stessa, cambiando completamente tono) Del resto, me la sono voluta. Chi mai se la sarebbe sentita di sposare una come me? Scialba, sgraziata, difficile, intelligente...Tutti difetti per un uomo. Tutte cose che un uomo non può accettare. Rendeva difficile sia una conversazione che andare a letto. Sposarmi poi...mai! Così, quando ho visto quell’uomo mi sono detta; o lui o nessuno. Mi è costato una fortuna conquistarlo, ha fatto di tutto per riuscire ad essere carina e ho fatto di tutto anche per non sembrare troppo intelligente. E il risultato? La divina marmocchia. (chiamando) Marmocchietta divina?
(a
sé stessa) Pensa che sto diventando matta. (comincia
a fare la valigia per la figlia) Valeva la pena di piangere? Tutte le
umiliazioni tutte le bugie, tutti i litigi. Lei sapeva benissimo cos’era che
voleva. Esattamente. Come mi guarda, come pensa, come sente, come mi vuole
bene, come bisticcia, come sorride, come ricatta. I suoi capricci, i suoi
dispetti, le sue canzoni, le sue smancerie, le domande, le osservazioni, la
testardaggine...Testardaggine? Ribellione direi. Ribellione.
E cosa diavolo sto facendo? La sua valigia. Sono sempre io quella che cede. Che
cede davanti a lei, la divina marmocchia. (ride alla figlia) Vieni qui,
tu hai bisogno di tua madre, ma tua madre ha bisogno di te. (spalanca le
braccia ed aspetta. A sé stessa) Proò non dovresti sempre darla vinta alla
Marmocchia divina; non sempre. (sorride felice, la figlia sta venendo).
MONOLOGO 2
NOEMI. (Elementi che la caratterizzano: un libretto che a furia di maneggiarlo, è tutto sciupato, ma che lei non cessa di consultare sempre per trovare una frase da dire come se stesse parlando a qualcuno della famiglia o che le è caro. La canzone che canticchia spesso è una ninnananna negra “Oh my baby, my curly headed banfy”. È come un inconscio “ronzio”. Ha un continuo bisogno di notizie da parte di chiunque, ed infine è caratteristico in lei il modo di sedere sulla poltrona, con una gamba appoggiata al bracciolo. Siede su di una vecchia poltrona di pelle, coperta da una uosa a crochet fatta da lei tempo fa. Starà sempre seduta lì. Vicino, una tavola con sopra un vecchio tappetino. Lì c’è il libro, l’agendina del telefono, un guscio d’uovo dentro il portauovo, dei pezzetti di toast, la tazza del tè, il bricco del latte, la zuccheriera. Per terra la teiera e una scatola di biscotti. Atmosfera di una rassegnata trascuratezza. La TV è accesa ma senza audio. Lei è seduta goffamente alla sua maniera e con difficoltà gira le pagine del libro che sono troppo lise. Questa è la prima immagine che il pubblico deve avere di lei. Legge, ad ogni pagina chiude gli occhi, sospira. Ripone il libro, beve un goccio di tè, guarda se c’è qualcosa nella tazza, è una briciola che sputa, alza le spalle, beve di nuovo si accorge che la televisione è accesa, capisce che non ha l’audio, si alza per mettere l’audio. Siede. Suona il telefono. Sembra prima che non lo senta. Poi risponde).
Pronto?
Come va, Danny?
Bene grazie. Allora, che notizie ci sono? Come? Ma io ti sento benissimo. È la
linea che è tremenda. Aspetta un momento. (si alza, abbassa l’audio)
Pronto?
Così va meglio
(si versa dell’altro tè, prende la scatola dei biscotti, se la mette tra le ginocchia in modo da poter togliere il coperchio, prende dei biscotti, rimette a posto il coperchio, posa la scatola, immerge dei biscotti nel tè tutto con una mano sola perchè nell’altra tiene il telefono)
Sto
guardando la televisione. Niente d’interessante, per il momento. L’ho appena
accesa ma penso ad altro. Cosa dici? Scusa, non ti sento...
Si, ho già cenato, grazie.
Un uovo e dei crostini col burro.
Perchè non ho voglia di cucinare altre cose. Ho mangiato bene a mezzogiorno.
Carne formaggio e una banana.
È sufficiente. Mi basta.
Come? Non ti sento.
Si, la stanza è in ordine.
Spolverata stamattina.
La lucidatrice la passerò domani.
Domani, domani, domani. Ti dico che lo farò domani? Non farmi osservazioni.
Che notizie ci sono?
Non sto mica urlando. Che notizie?
David cosa?
Io ci sento benissimo. È la linea che è un disastro.
Cosa stavi dicendo di
David?
Ha lasciato il suo posto. E cosa farà?
Come?
Si metterà a viaggiare? Andrà in giro per il mondo? Per il mondo è un po’ vago.
E come farà per i soldi? Con quali soldi pensa di viaggiare?
Come?
Non capisco. Ripeti, per favore.
Ah, preoccupato. Sei preoccupato. Ma preoccupandoti non risolvi il problema.
Troverà lui il modo di cavarsela, certo non è facile, non è stato facile per
nessuno ma ce la siamo sempre cavati tutti, anche se abbiamo capito in ritardo
di avere sbagliato. Non vuoi che ne parli? Che ne parli a chi? Io quando mai!
Non essere sciocco, Danny, come vuoi che ricordi cose di tanti anni fa? Ad ogni
modo, a chi vuoi che interessi? Non ho perduto niente. È stato terribile, non
mi sono sposata, anche se ho conosciuto uomini coi quali la mia vita non
sarebbe stata poi terribile, ma ho voluto fare di testa mia e qui sono.
Nessuno, in nessuno posto e senza speranze. Nulla di bello da ricordare, nulla
di bello da lasciare.
Va bene, quando vuoi. Io non mi muovo.
Va bene, anche a te. Grazie per avermi chiamata.
Te lo prometto. Domani passerò la lucidatrice. Domani, promesso.
(rimette a posto il
telefono, si guarda attorno, fa scorrere le dita sulla parte alta del
televisore, toglie la polvere col grembiale. È diventata triste. Prende il
libro. Legge. Si muove goffamente, sospira. Rimette a posto il libro, riaccende
la televisione senza mettere l’audio).
Dimmi
cosa è mancato in tutti questi anni, dimmi cosa ricordi di tutti questi
anni...Stupido ragazzo! Cosa posso ricordare? Non ho più memoria. Ho curato una
madre invalida, ho assistito una sorella ammalata ed ora non c’è nessuno che si
curi di me. Questo è ciò che posso ricordare. Una vita sprecata. Non c’è
giustizia in questo mondo. (sospira, beve il té). Avrei ricordato tutto
se fosse venuto il Principe Azzurro.
(il pensiero la
diverte, sorride, è un magico momento pieno d’innocenza e del fascino della
vechiaia).
Il Principe Azzurro.
(sospira, beve il té).
Ricordo
un Natale, tanto tempo fa...Ancora quando vivevo nel West End, ero ancora
bambina, e tutti gli altri bambini parlavano dei loro regali di Natale e di
come sarebbero arrivati. E tiravano fuori degli scatoloni, “cosa vorresti che
mettessero dentro per te come regalo?” Così io pensai, bene, ci provo anch’io.
Gli ebrei non festeggiano il Natale, ma forse Babbo Natale non fa differenza
che c’è tra un bambino ebreo e un bambino cristiano. Così ho preparato anche io
un bello scatolone ed il mattino di Natale sono corsa a vedere cosa c’era
dentro. Niente, era vuoto. Ed è stato sempre così, da quella volta.
(suona il telefono, lei
prende il ricevitore). Pronto, Danny? Due chiamate in un
giorno? Hai qualche notizia da darmi?
Come?
Ti senti giù? E per quale motivo?
Per me? Non preoccuparti, per me , preoccupati per te e per la tua famiglia
invece. Io sto bene. mi sono appena fatta una bella risata.
Sul Principe azzurro. (ride)
Spiegarti? Come posso spiegarti....Lascia perdere. Dammi qualche notizia,
invece.
Va bene, e cosa posso farci? Sono una vecchia signora senza figli ed ecco
quello che succede a una vecchia senza figli. È di diventare vecchia senza
figli. Ora raccontami qualcosa tu
Sto guardando uno sceneggiato.
Lo so che è una cosa indegna, solo per sentire una voce umana?
Tu mi chiami ed è una bella cosa, ma la tua è la sola voce che sento. E questa
la verità? O non questa...
Non sono triste.
No, non sono triste, (crescendo). Batterei la testa sul muro. E questo è
tutto. Non preoccuparti, e raccontami invece qualcosa. Cosa vuoi. È andata. No,
non voglio deprimerti. Sto guardando in faccia la realtà. Quanto tempo vuoi che
duri ancora?
Come?
Come?
Dieci o quindici anni? Oh, Danny non essere cattivo. Mi augureresti ancora
altri dieci o quindici anni così? Non essere cattivo; io non lo sono con te.
No, te l’ho già detto? Oggi ho spolverato e domani passerò la lucidatrice.
Promesso.
Si, domani. Passerò la lucidatrice.
Sei un ottimo nipote.
Domani.
Ciao.
(rimette giù il
ricevitore, riprende il libro, sospira, legge, rimette a posto il libro. Guarda
lo schermo TV che non emette suoni).
Spolvera,
mi ha detto. E lucida. Un pochetino ogni giorno. Se dovessi lucidare per
qualcuno, lo farei. Fallo per te, dice lui. Ti tirerà su il morale.
Figuriamoci, è già tanto che mi alzi dal letto il mattino. Ricordati che sei
una persona anziana, una cittadina anziana. Non sono una cittadina anziana,sono
una vecchia donna che non ne può più
Chi è vecchio è vecchio, chi è giovane è giovane, inutile insultarmi.
(si china verso il
televisore, ci passa sopra un dito, frega un poco la macchiolina che ha visto,
poi con più forza. Poi prende il fazzoletto, vi sputa sopra e pulisce tutto
quanto lo schermo. Quando ha finito, guarda con stupore il risultato,
soddisfatta che tutto è diventato lucido).
Era
proprio sporco.
(guarda lentamente
tutt’attorno nella stanza e realizza per la prima volta quello che le viene
riservato. Prende una pianta secca in un vaso, lo guarda sadicamente come
simbolo della vita trascurata da tutti e perduta. Lo rimette a posto. Si
rimette sulla poltrona con la gamba sul bracciolo. Sosprira. Un brivido
l’attraversa. Si abbraccia. Si lamenta. Un silenzio).
Quello che mi è mancato è che qualcuno mi prendesse. Nessuno mi ha presa. Per
anni. Per anni ed anni, figuriamoci.
(brontola)
Magari
fosse stato lui mio figlio.
(pausa. Sospira)
Essere abbracciata è la cosa che veramente mi manca. Nessuno mi ha abbracciata
per anni. Nessuno per anni ed anni...
MONOLOGO 3
MIRIAM.
(Vestita elegamentemente sta parlando allo psicanalista)
Tutto è cominciato con un grido. Non mio. Nato così. Come un pisello dentro
una scatola di latta vuota che tintinna quando si muove. No, le do un’idea
sbagliata. Come un tumore che cresce dentro. No, nemmeno così rendo l’idea. Non
cresce. Al contrario, diminuisce. E non è dentro di me. Sono il grido di
qualcun altro, ma che si fa più lontano, come un’eco.
Mia madre era così spirituale...
Si rende conto di quanto costa a una donna come me sedere davanti a uno come
lei e dire quello che dico? Si rende conto con quanta fiducia, con quanta gioia
ho affrontato matrimonio e maternità? Facevo i miei progetti, avevo letto dei
libri, insomma qull’atteggiamento che hanno di solito le ragazze. Non aspettavo
altro che la nascita di un figlio. Capisce cosa voglio dire?
Ci sono donne che hanno bisogno di mariti allegri, altre sognano una carriera,
altre non pensano che ad avere un grosso patrimonio, uscire ad ottenere una
posizione sociale importante. Io no. Io sognavo esclusivamente di poter mettere
al mondo dei figli (pausa)
Chissà! Mia madre era così spirituale.
Pensa davvero che
questa possa essere la causa di questo stato confusionale? Perchè io agivo
sempre per il mio interesse e non per il loro? Sembra non sia per il mio
interese, ma invece lo è. Bisogna considerare quello che poi è realmente
successo. Perchè io non è che avessi particolari ambizioni per loro, non è che
desiderassi che uno diventasse medico, l’altro divo del cinema, l’altro un uomo
d’affari... Certo; desideravo che avessero successo, che ottenessero un
benessere, che si realizzassero, ma mi dicevo che non dovevo preoccuparmi per
questo, la sola cosa importante è che fossero felici.
Felici! Io non voglio preoccuparmi di quello che voi fate, dicevo...-
Sentimentalismo stupido. Io mi preoccupo di quello che fate. L’ho sempre fatto.
Mi preoccupavo, ma fingevo, invece, che non mi interessava. Invece avrei dovuto
comportarmi proprio al contrario: spingerli, stimolarli, rimproverarli,
provocarli. Invece no, mi dicevo che se dimostravo troppo interesse, loro
reagivano male. E chissà come si sarebbero comportati, poi. I figli hanno una
loro perversità, fanno sempre il contrario di quello che si dice loro.
(pausa) Chissa!
Mia madre era così spirituale.
D’altra parte non è che
le madri possano sempre aver ragione. Bisogna dire che spesso, qualsiasi
atteggiamento prendano, sbagliano. E questo è il loro torto. Io ho stile. Tutti
hanno uno stile. Loro, invece, no. Quando dici, parlando di qualcuno: non
saranno mai capaci di commettere un delitto, già stai pensando che lo
potrebbero commettere e questo ti lavora dentro, perciò anche quando poi fa una
cosa giusta, sbagli. Forse è quello che è successo a me, chi aveva torto aveva
ragione. Molti di noi sono così. Sono proprio le persone che sbagliano che
hanno ragione.
Il mio stile? (pausa) Stile, stile, stile. (pausa) Echi, echi
lontani. Ma lei si rende conto com’è umiliante per me confidarmi con uno
psicanalista?
Mia madre era così spirituale.
L’ultima sconfitta.
Come la interpreta. I figli non hanno risorse, la famiglia nemmeno, nemmeno tu
ne hai. L’ultima briciola di simpatia e rapporto umano...via, succhiato via.
Ecco a cosa si è costreti. Sei costretta a raccontare tutto, confessare,
piangere, gemere, tradire.
No, mio marito no. Non lo tradisco e non lo condanno. Anche se avrei la
tentazione di farlo. La colpa è di tutti e due, ci siamo dentro tanto io quanto
lui. Forse non acettiamo allo stesso modo perchè lui voleva rimproverarli e
picchiarli quando si comportavano male. Ma io non glielo permettevo. Cose che
non sopporto. La violenza, la grossolanità, la volgarità...cose insopportabili
per me. Invece bisogna parlare, ragionare, discutere...
Avevo torto invece? Non tutti gli errori si possono spiegare? È così è proprio
così. Una trasgressione dà un senso di piacere. Ma che piacere puoi provare,
parlando, ragionando discutendo? Se ti opponi, provochi sempre qualcosa di violento.
(pausa) Chissa!
Mia madre era così spirituale.
Nel loro comportamento
si sentiva un piacere che mi era intollerabile ed io ho fatto loro capire che
non lo tolleravo. Perchè è così facile essere volgari. Dimostri che sei in
collera, che sei offesa. Il sentimento dell’offesa è così importante. Io avevo
perso la mia capacità di sentirmi offesa, ecco il problema. Ho fatto confusione
tra offesa e rettitudine morale. (pausa) Anche se in fondo devo
confessare che non ho mai capito bene cosa ci fosse di sbagliato con la
rettitudine morale. Mi vergognavo di dirlo, ma è così, lo so. Loro sapevano che
li amavo abbastanza per tollerare un’occasionale offesa, per accettare un
piccolo insulto. Ma è così. Non era nella mia natura. Posso andare contro la
mia natura? Forzarla? La mia natura? La mia natura? (pausa) La mia
natura. La mia natura. La mia natura (pausa) Echi. Echi lontani (pausa)
Spirituale, ecco: ero troppo spirituale. Non sono mai riuscita a capire il
mondo. Non riuscivo a mettere insieme le cose, ecco. Non posso. Sono incapace
di farlo.
E perchè? Perchè? Perchè? Maledizione, perchè mai? Altri ci riescono. Altri lo
fanno perfetamente. Io no, invece. Io no. (pausa) Mia madre era così
spirituale. (pausa)
Io ho sempre impedito a
mio marito di far vedere che era in collera. Ed è sbagliato vero? Ma è giusto
essere diversi, dare alla gente la possibilità di capirlo.
Così sono venute su male, loro, le mie povere figlie. Le ho buttate malamente
nella vita, così, come posso dire...dando loro una sola mano, invece che due,
perchè non ho permesso a loro padre di essere come è.
Non è vero, non è vero. È lui che non ha permesso alla loro madre di essere
quello che è. Non le ha dato questa possibilità.
Perche? Perchè? (pausa) Chissà!
Mia madre era così spirituale.
E non sono nemmeno
stata io a lanciare quel grido che è all’origine di tutto. La mia vita non è
che l’eco dell’eco di qualcuno, la cui vita era l’eco di qualcun’altro, di cui
era l’eco di un’altra ancora, l’eco di un’eco di un’eco di un’eco....
Ma cos’era quel grido?
Povere figlie mie. Echi. Echi lontani. Ed ogni eco si fa più lontana.
(pausa; lancia un piccolo grido, non sembra nemmeno provenga da lei.)
MONOLOGO 4
DEBORA.
(Spinge il carello in un supermercato, prendendo ora una scatoletta
ora una lattina o un barattolo, parlando a un’amica. È energica, insolente,
soddisfatta della sua vita. Accompagna il suo monologo il suono elettronico del
registratore di cassa).
Io prigioniera? Scherzi? Sono loro gli schiavi, quei poveri uomini,
incatenati al loro lavoro, presi in un ingranaggio dal quale non verranno mai
fuori credendo di poter raggiungere qualcosa che non raggiungeranno mai nei
secoli dei secoli...Schiavi, sono schiavi. Io no, perchè io sono felice e in
casa mia ho tutta la libertà che voglio.
Guarda un po’ la data di questo yogurth...la data di scadenza...Hai visto? (chiamando un inserviente) Giovanotto, porti via tutto lo stock. Ma certo sono scaduti...scaduti da due giorni. (all’amica) Non bisogna mica lasciargliele passare...mai...
Si, ho tre figli e se non fosse stato così costoso, faticoso e snervante essere sposati a una donna che è sempre grassa ed incinta, ne avrei messi al mondo una dozzina. Per amarli, per fare tutto per loro. A me piaceva averli dentro il mio ventre, metterli al mondo, allattarli, cambiare i pannolini sporchi di pupù, lavare il loro tenero culetto con saponette schiumose, ungere la loro pelle screpolata con cremine puzzolenti, insaponare i loro corpicini grassotti con cipria e talco. Tutto mi piace. Ogni puzzolente momento che passo con loro per me è un paradiso. Perciò perdo la calma quando qualcuno viene a dirmi che sono prigioniera. Faccio quello che ho sempre sognato di fare, quello che ho sempre sognato e che ho tutte le doti per fare.
Pasta congelata, non comprarla, è cattiva. Falla tu, la pasta, con le tue mani. La settimana scorsa ho fatto una torta con questa pasta congelata e puzzava come carne andata a male in una scarpa vecchia. La pasta devi fartela tu. Sentirai che piacere impastare con le tue mani il burro e la farina. È piacevole. Come impastare il culo di un uomo. Bello!
Io non potevo far altro che sposarmi ed avere dei figli. Pensavo di avere due maschietti e una femminuccia e li ho avuti. Tutto quello che volevo. Una fortuna sfacciata. Proprio come sognavo.
Qui c’è un’offerta speciale: candele. Vado matta per le candele. Ne ho sempre in casa. Come mi alzo ne accendo una per avere una fiammella che si muove davanti. C’è gente a cui non piacciono. Dicono che fanno pensare alla morte. Storie. Mi pare, invece, che accendere una candela faccia pensare che in casa c’è qualcuno, che ti aspetta, che prepara qualcosa per te, che ti accoglie. Sai che ti dico? A me piacerebbe stare sempre e solo a lume di candela, scaldandomi al fuoco del camino.
Questo è un buon affare. Tre barattoli al prezzo di due. Con questi puoi andare avanti benissimo. Ne prendi una di maiale, una di manzo e una di agnello. Una delle tre è gratis.
Non trascuro nessun dettaglio. Io sono una che compra. Faccio anche chilometri per risparmiare deci mila, ma mi piace l’abbondanza. Non dirmi che sbaglio. I miei bambini non sono né viziati, né superalimentati. Sanno cosa vuol dire essere poveri, cosa significa la fatica e tutto il resto. Hanno a portata di mano tutti i dizionari e le enciclopedie possibili ed immaginabili per saperne sempre di più. Scienza, musica, geografia, religione, storia, favole, etimologia, mitologia, antropologia. Tutto. In casa c’è ogni cosa a loro disposizione, basta che allunghino la mano e trovano tutto quanto serve loro. Ho perfino un dizionario sulla cavalleria affinché imparino ad essere educati e a comportarsi bene, consapevoli, però, delle difficoltà che esistono nel mondo in cui vivono. E la gioia che mi danno...La gioia che provo quando li vedo mangiare delle buone cosette preparate da me, vedere che hanno fiducia nel mondo...Non voglio che siano presuntuosi, per carità, ma coraggiosi si. E generosi. Non voglio che si privino di nulla. Per loro voglio abbondanza. Spirituale, intellettuale, materiale ed anche emozionale. Amo l’abbondanza.
Guarda che qui c’è qualcosa che non ti devi assolutamente lasciar scappare. Non è regalato, ma vale la pena. Biscotti danesi veramente eccezionali. Ti si sciolgono in bocca.
Cosa posso farci? Sono fatta così, mi piace dar da mangiare alla gente. Dovrei farmi noleggiare come compratrice. Guadagnerei anche bene. c’è gente a cui non piace andare a far la spesa. Pagano me e la faccio io per loro. A me piacerebbe da morire andare a fare la spesa per conto di altri, e comprare un sacco di roba che io non ho la possibilità di comprare per me. Sarebbe quasi come vivere la vita degli altri. Essere pagata per far da madre agli altri.
Dammi retta, compra queste scatole per minestre. Costano poco. Ieri le ho viste in un altro negozio dove costavano molto di più. Minestrine francesi che sono così deliziose.
Quando la gente mi domanda cosa faccio e rispondo che faccio le faccende di casa spesso mi dicono: allora lei non ha una professione vera. Io divento una belva. Questa è una professione vera, che compendia mille altre professioni. Come lavare, stirare, cucinare, organizzare...La gente mica si rende conto che senza un’organizzazione una casa non va avanti. Bisogna preventivare tutto, pensare al futuro, organizzare, progettare. Ci vuole altro che immaginazione, cara mia. Ma questa mia preoccupazione fa sì che la mia casa sia un porto, un rifugio, un grembo, un’ancora, una calamita. Perchè io non ammetterei mai che loro mi accettassero come se mi facessero chissà quale concessione. Voglio che siano sicuri che io sono indispensabile. Io sono qui, disponibile e disposta a tutto. E senza fare nessun sacrificio. Eccomi. Perciò ho una posizione tale che nessuno si sognerebbe mai di lasciare. Ho una meraviglia di casa, piena di piccole delizie, le dispense piene, buoni manicaretti nel frigo, cambio il letto ogni settimana sempre con lenzuola e cuscini di colori diversi, ci sono sempre menù variati, il rame che scintilla alle pareti, mobili e scaffali lucidi lucidi profumati di pino, c’è sempre una bella camicia di bucato; un asciugamano caldo e soffice, una torta appena sfornata.
Ed inoltre la casa è piena di piante che si arrampicano, che scendono, dalle pareti. E io le innaffio, le poto, parlo con loro. Se mio marito non avesse allergia per gli animali perchè sanno di odore, mi prenderei in casa delle bestie, come leoncini, lupetti, orsetti. Perchè ho bisogno di vedere la vita attorno a me, ne sento la necessità, danno un senso alla mia esistenza. E io sono così felice quando posso lavare, pulire, allevare. Mi realizzo. Io una prigioniera? Ma neanche per sogno!
SIPARIO