Quei figuri di tanti anni fa

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“ QUEI FIGURI DI TANTI ANNI FA’”

Atto unico di Eduardo de Filippo

Personaggi:

GENNARO FIERRO, biscazziere ed ex galeotto

LUIGINO POVERETTI, giovane ingenuo

PEPPINO FATTIBENE, avvocato

BARONE, “compare” di Gennaro Fierro

GIOVANNINO, giocatore sfortunato

RICCARDO, giocatore

SCUPPETTELA, ladro e favoreggiatore

SCAMUSO, assassino latitante e ladro

DELEGATO

FILUMENA, signora decaduta

EMILIA, sorella di Giovannino

ASSUNTA PETRELLA, alias Marchesa Madre

PEPPENELLA, alias Sciù-Sciù

ROSETTA COLOMBO, alias Baronessina Rosy

RAFILINA, alias Contessina Fifì

La Scena:

I locali del “Circolo della Caccia”, sotto la cui responsabile facciata si nasconde la bisca di Gennaro Fierro. In giro vediamo poltrone, divani, mobili eleganti, sedie, ma anche tavolini da gioco tondi coperti dai tipici panni verdi. Trofei di caccia un po’ dovunque; Al centro un grande tavolo da gioco con sedie. Porte laterali e sul fondo due balconi. All’apertura del sipario la scena è vuota.

ATTO UNICO

PEPPENELLA - (dall’interno a sinistra, chiamando) Mammà, mammà…!

ASSUNTA - (dall’interno a destra) Nun pozzo lascià , tengo ‘a tiella ncopp’’o ffuoco!

PEPPENELLA - (come sopra) E mannateme a Donna Filumena.

ASSUNTA - (come sopra) E’ andata a comprare il zucchero, i portogalli e l’oglio che era finito.

PEPPENELLA - (come sopra) E a me chi mi veste?

ASSUNTA - (come sopra) Statte n’atu ppoco dint’’o bagno.

PEPPENELLA - (come sopra) Eh! Io mi so’ asciugata e mi so’ pure infarinata ‘e borotalco!

ASSUNTA - (come sopra) Miettete ‘a vestaglia e aspetta. (trillo di campanello) ‘A vvi lloco. (entra in scena asciugandosi le mani al grembiule e va ad aprire la porta uscendo dalla prima a destra)

PEPPENELLA - (come sopra) Mo me sente, mo me sente: se ne scende senza avvertire!

(Entra Assunta seguita da Filumena che porta una bottiglia d’olio, un pacco di zucchero, un cartoccio di aranci e due pacchi di dolci, uno di sfogliatelle e l’altro di babà.)

ASSUNTA - E tanto ce vuleva! Dateme ccà! (e le comincia a strappare la roba di mano con malagrazia) Chiste che so’? (alludendo ai due pacchi di dolci)

FILUMENA - (in tono paziente e rassegnato) Sfogliatelle babà. Me l’ha dati la guardaporte, l’ha mandati don Gennaro.

ASSUNTA - Purtatele int’’a cucina: ‘e preparate dint’’a quatte guantiere, venite appresso a me. (s’avvia verso il fondo seguita da Filumena)

PEPPENELLA - (entra come una furia, infilandosi la vestaglia, rivolta a Filumena) Lo volete capire che quando ve ne scendete per fare un servizio dovete cercare il permesso a me? Un’altra volta che ci ricapitate ve lo faccio dire da Gennaro il fidanzato mio! E quello ve lo dice in un altro modo!

FILUMENA - Per l’amore di Dio, vi pare che io volessi mancare di rispetto? Ma l’ordine me l’ha dato donna Assunta vostra madre.

PEPPENELLA - E ha sbagliato pure mia madre, perché qua sopra comando io per prima, poi don Gennaro e poi basta.

ASSUNTA - E no, scusa. Se debbo diventare la Marchesa madre quando vi fa’ comodo, se mi debbo fare un cuore tanto in cucina per preparare zeppole, frittelle e biscotti di pasta frolla per i clienti di questa schifezza di Circolo dei Cacciatori, un poco di autorità la debbo tenere io pure… Non dico assai, ma debbo comandare un poco io pure.

FILUMENA - Sentite, mettetevi d’accordo e fatemi sapere qua sopra chi comanda, perché se io perdo la testa e non capisco niente più. (campanello interno) La porta.

ASSUNTA - Eh: ‘a porta!

FILUMENA - Vado ad aprire?

ASSUNTA - E a chi aspettate?

FILUMENA - L’ordine, il comando.

ASSUNTA - (spazientita) Donna Filumè, nun facite ‘a spiritosa e jate ‘arapì.

FILUMENA - Subito. (esce per la prima a destra, per andare ad aprire)

PEPPENELLA - E si può sapere a me chi mi aiuta a vestirmi, a me? Stasera, quanto è certo Iddio, faccio chiudere il Circolo dei Cacciatori!

ASSUNTA - E se chiure! Peppenè, tu quant’anne vuò campà? Se chiure! Accussì io e te facimmo ‘a mappatella e ce ne turnammo ‘o sesto piano d’’o vico Scassocchio…

(Preceduta da Rosetta e Rafilina, torna Filumena, la quale prende dal tavolo i due pacchi di dolci e tutto il resto e lo porta in cucina. Le due ragazze sono volgarocce e alquanto scatenate, ma di aspetto gradevole e provocante. Parlottando e ridacchiando tra loro attraversano il salone dirette verso la stanza a sinistra.)

RAFILINA - Buona sera, donna Assù.

ROSETTA - Buona sera. Che odorino stuzzicante di frittelle!

ASSUNTA - Più tardi venite in cucina e ve ne faccio mangiare due calde calde. Ma vi dovete andare prima a vestire, perché siete arrivate con un poco di ritardo.

RAFILINA - Tengo a mammà con trentotto e mezzo di febbre. Se non tornava mia sorella dal mezzo servizio non la potevo lasciare.

ROSETTA - Io sono rimasta a farle un poco di compagnia. I vestiti sono pronti?

ASSUNTA - Vestiti, scarpe, calzette, acconciature… sta tutto a posto. Andate, sbrigatevi.

ROSETTA - Presto, rafilina, andiamo. (e s’avvia seguita da Rafilina)

PEPPENELLA - (indispettita e minacciosa, a Rafilina e Rosetta) Voi due, abitudine di salutare non ne tenete?

RAFILINA - Io non mi chiamo “voi due”, io mi chiamo Rafilina.

ROSETTA - E io Rosetta. Quanto al saluto, poi, ricordati che l’atra sera ti abbiamo salutata e tu non hai risposto al saluto.

RAFILINA - Solo l’altra sera? Quella ha cacciato la superbia da quando è addiventata “Sciù-Sciù”, la protetta di Don Gennaro.

PEPPENELLA - (offesa) Io non sono la protetta, sono la fidanzata.

RAFILINA - Quella che sei sei, al saluto si risponde.

PEPPENELLA - Mammà, le senti, le senti come mi mancano di rispetto?

ASSUNTA - ‘A vulite fernì, sì o no?

PEPPENELLA - Chiunque mi saluta, io rispondo facendo con la testa così…(abbassa ripetutamente la testa, come per abbozzare un saluto di convenienza)

ROSETTA - Con la testa così… (ripete caricaturalmente il gesto fatto da Peppenella) … salutano gli asini! (esce a sinistra)

RAFILINA - Le ciucce! (esce anche lei a sinistra, seguendo Rosetta)

PEPPENELLA - (gridando dietro alle ragazze appena uscite) Facciamo i conti quando viene Gennaro! O loro due o io… O io o loro due! E se no faccio chiudere il Circolo della Caccia. (furente, esce per la sinistra)

ASSUNTA - (fuori dai gangheri, gridando verso la sinistra) Peppenè, tu quanto si’ scocciante! Ccà va a fernì ca’ ‘o Circolo della Caccia ‘o faccio chiudere io, pecchè te scommo ‘e sango.

PEPPENELLA - (dall’interno) Mandatemi a donna Filumena, che non tengo chi m’imbottona.

ASSUNTA - (chiamando verso destra) Donna Filumena, donna Filumena…!

FILUMENA - (dalla cucina) Diciate donn’Assù.

ASSUNTA - Mia figlia si deve vestire.

FILUMENA - E chi frigge qua?

ASSUNTA - (dall’interno) Donna Filumè, rompetevi le gambe qua!

FILUMENA - (accorrendo) Pronta, eccomi! (tra sé) Che ambiente, Dio mio che ambiente schifoso!

GENNARO - (entrando e parlando verso l’ingresso) A voi, muovetevi, entrate: fusseve surdo? Sto parlando con voi… mò me facite perdere ‘a pacienza ‘e santa notte!

LUIGINO - (dall’interno) Eccomi a voi, pronto a servirvi. (entra e gira intorno lo sguardo osservando l’ambiente che lo lascia intimidito e affascinato)

GENNARO - Donna Filumè, che facite ccà fora? Vi ho detto tante volte che in questo salone ci dvete venire o quando c’è pericolo o quando vi chiamo io.

FILUMENA - Debbo andare a vestire la fidanzata vostra.

GENNARO - Ci andate quando ve lo dico io. Qua comando io solo, mettitevello bbuono dint’’e corne!

FILUMENA - (piagnucolando) Vi ho detto che sono una signora e che non voglio essere trattata così.

GENNARO - Guè! Oh! E quanno maie ‘e cacciato ‘a capa ‘a fore ‘o sacco? Mò te ne caccio stanotte! ‘A signora! Qua signore nun ce ne stanno! Donna Filumè, si’ nun vulite perdere ‘a zuppa, avita fa’ chello ca’ dico io. (parlando verso la sinistra) Sciù-sciù, core mio, ccà ce sta Gennarino tuoio…

PEPPENELLA - (dall’interno a sinistra, languidamente) Gegè, corri… Abbracci a Sciù-sciù… Baci a Sciù-sciù… Carezze a Sciù-sciu…

GENNARO - (lusingato a Luigi) Permesso… (esce per la sinistra)

FILUMENA - Non me ne fido più, non me ne fido più!

LUIGINO - Calmatevi signora, calmatevi.

FILUMENA - Questa non è vita che non può durare a lungo: vita di pericoli, paure, palpiti. Questo don Gennaro, Gennaro Fierro, prima con le buone maniere, poi con le cattive, mi fece firmare l’affitto di questa casa, adesso la tengo io in faccia… Naturalmente l’affittuaria sono io, e allora qualunque cosa succede, ci vado io per sotto. Appunto l’altra sera, se non sono morta per lo spavento è stato un vero miracolo. Due giocatori prima vennero a parole, una parola tira l’altra… poi a mazzate e ci scappò la coltellata… Quello che se ne scese da qua sopra col coltello impizzato nella pancia, sono certa che non parla perché è un mammasantissima che conosce le regole. Ma non è oggi, sarà domani… torna qua e si leva la pietra dalla scarpa.

LUIGINO - (ingenuamente) Che significa: “Si leva la pietra dalla scarpa”?

FILUMENA - Si vendica, succede il fatto di sangue ed io vado carcerata.

LUIGINO - E voi perché non ve ne andate?

FILUMENA - Me ne vado? E se succede qualche cosa la polizia non mi trova? Io sono l’affittuaria. La mia tragedia sapete qual è? Un birbante di marito mi ha ridotto a questo. Ma fu punito, perché dopo aver perduto fino all’ultimo soldo, fuori a quel balcone si sparò. (indicando il balcone)

GENNARO - (tornando, rivolto a Filumena) Voi state ancora qua?! Allora parlo tedesco?! Jatevenne pecchè avimma parlà. Andate a vestire a Sciù-sciù e poi vi andate a preparare pure voi. Stasera ci sta una seduta importante: vestito nero, mantesino bianco e scuffia in testa.

FILUMENA - (rettificando) La crestina…

GENNARO - Mettiteve a Cristina, Nunetta, chello ca’ vulite vuie, ma presentatevi come si deve. Andate da Sciù-sciù.

FILUMENA - (allusiva) La vado subito ad imbottonare. (esce)

GENNARO - (a Luigino) A voi…

LUIGINO - (preso alla sprovvista) Che c’è?

GENNARO - Ma voi state sempre nella luna? Mi sembrate un mezzo rimbambito. Non avete mai visto una casa da giuoco?

LUIGINO - Veramente… mai. E’ la prima volta.

GENNARO - E non ci sta niente di straordinario. Accomodatevi. Sediamoci e statemi a sentire. (seggono) Come vi ho detto nel caffè, io sono il tenitore, il protettore di questa casa da giuoco chiamata “Il Circolo della Caccia”. Sì, va bene… dicimmo accussì.

LUIGINO - Diciamo come volete voi.

GENNARO - Ora mò, vi voglio fare abbuscare qualche cosa di soldi sicuri, perché secondo me siete il tipo che fa’ al mio caso. Tenete una faccia ingenua e primitiva che mi può giovare. Detto in breve: ‘a faccia toia me serve, ‘a voglio!

LUIGINO - Ma che debbo fare? Perché mi avete fatto salire?

GENNARO - Piano, andiamo piano. Ora vi faccio la spiegazione dell’arcano. Amico, io mi chiamo Gennarino Fierro detto “Punto-e-Virgola”. E’ nu soprannomme ca’ me mettettero i mieie amici di galera affettuosamente. Ora mò, io ti faccio la proposta dell’impiego che tengo l’intenzione di darti. Se ti conviene, resti qua, se no te ne vai. Però se dici qualche cosa che mò ti dico, domani non sarai più in grado di salutare l’alba.

LUIGINO - Ma si’ nun me dicite…

GENNARO - A n’atu ppoco veneno i componenti e comincia la seduta. Tu si’ na faccia nova, nessuno ti conosce, quindi sei insospettabile. Appena si sono seduti i giocatori, tu te faie na passiata attuorno ‘o tavolo, naturale naturale, indifferente, canterellando: “Quando spunta la luna a Marechiaro, pre li pisce ce fanno l’ammore…”

LUIGINO -  “…s’arrevotano l’onne de lu mare, e pè la briezza cagnano culore…” Io la conosco tutta quanta.

GENNARO - Questo non è importante. ‘A nu certo punto ‘o Barone dice. “Commendatore, voi non giocate?”

LUIGINO - Chi è il Commendatore?

GENNARO - Sono io. Dicimmo accussì…

LUIGINO - Ah, ‘o fatto ‘e dicimmo accussì.

GENNARO - Io dirò: “No, tengo dolore ‘e capa…” Ma mi faccio pregare un poco, poi m’assetto e chiamo banco. Qua comincia il lavoro tuo. Quanno m’assetto, dico: “Chi vuol tagliare il mazzo?” Tu, immediatamente, con un mezzo sorriso da questa parte… da quest’altra seio…

LUIGINO - (fa’ delle prove di sorrisi, che non lo soddisfano troppo) E’ difficile. Guardate mò… (e gli mostra il viso per metà sorridente e per metà serio)

GENNARO - Nun date retta, nun date retta, nunn’’o facite. Se vi riesce è bene, se no no. Dunque: “Chi vuol tagliare il mazzo?” Tu, immediatamente: “Io!” E mentre tagli, a uocchio a uocchio, sopra al pacchetto ci miette ‘o mazzone. Nel gergo nostro ‘o mazzone sono diciotto carte tutte a favore del banco. Quando vedi che mi scioscio il naso, tu cacci sta lente ‘a dint’’a sacca e naturalmente la pulizzi. Io allora dico: “Scusate, permettete che me la metto? Perché la luce è forte mi stanca la vista, e mi viene il dolore di capa più forte”. Questa è una lenta nera che mi serve perché le carte sono segnate col fosforo, e così io le riconosco e le faccio passare addò voglio io.

LUIGINO - E pecchè nunn’’a cacciate vuie?

GENNARO - Perché se no i giocatori si mettono in sospetto. Mentre, invece, se la cacci tu, la cosa è più naturale. Chistu po’ è nu mazzo ‘e carte. Tu t’’e miette vicino a me. Quanno me ratto ‘ncapo è segno ca’ voglio ‘o nove. Tu ‘o sfili ‘a dint’’o mazzo e m’’o passe. Quando faccio nu starnuto voglio l’otto, e tu pronto, m’’o passe. Quanno dico: “Mannaggia bubbà!”, è segno ca’ voglio ‘o sette e tu m’’o daie. Quanno dico: “Corpo del diavolo!, me daie ‘o sei.

LUIGINO - Ma io può essere ca’ m’imbroglio, lasciate sta, è meglio ca’ me ne vaco.

GENNARO - Ma comme te ‘mbruoglie? E’ accussì facile. Quanno me ratto ‘ncapa è segno ca’ voglio ‘o nove. Quanno faccio ‘o sternuto, me serve l’otto. Quanno dico: “Mannaggia bubbà!”, voglio ‘o sette. “Corpo del diavolo”, voglio ‘o sei.

LUIGINO - Sentite a me, nunn’è cosa. Io inguaio a voi e m’inguaio pure io. Statevi bene.

GENNARO - E bbì lloco, so’ tutte eguale! Diceno ca’ se moreno ‘e famme, po’ quando trovano il lavoro, lo rifiutano.

LUIGINO - Egià, chillo m’ha proposto n’impegno ‘o Ministero!

GENNARO - Senti a me, tu qua sopra puoi guadagnare denari a cappellate. In una serata puoi guadambiare pure quaranta, cinquanta lire.

LUIGINO - Meglio cinquanta.

GENNARO - Pure sessanta, settanta… Siente a me, tu qua sopra hai trovato la vena d’oro. (gridando verso sinistra) Donna Filumè…!

FILUMENA - (entra correndo, vestita di nero con la crestina in testa) Comandate.

GENNARO - Vi raccomando questo giovinotto: è rrobba mia. Può andare, può venire, può fare quello che vuole. E’ il nuovo impiegato, il nuovo palo. Io vado dentro, vado a fare un po’ di toletta. S’è fatto tardi e mò arrivano i monaci.

LUIGINO - C’è qualche funerale?

GENNARO - Qua funerale? Veneno ‘e muone, i giocatori, perciò statte attiento a chello che faie. Quanno me sciscio ‘o naso che voglio?

LUIGINO - Aspettate… ‘a lente.

GENNARO - Bravo. E quanno me ratto ‘ncapo?

LUIGINO - Vulite ‘o pettine.

GENNARO - No, ‘o nove! Quando faccio lo starnuto, che mi devi dare?

LUIGINO - ‘O fazzuletto.

GENNARO - Ma che stai ‘mbriaco? Voglio’o otto. Quanno dico: “Mannaggia a bubbà!”, voglio ‘o sette e quanno dico: “Corpo del diavolo!”…

LUIGINO - Metto ‘a lente ‘ncopp’’o mazzone.

GENNARO - Voglio ‘o sei! Tu non ti devi imbrogliare. Io te spezzo ‘e gamme! Miettete dint’’a n’angulo ‘e muro e tutto chello ca’ t’aggio ditto, passatello a memoria. (via)

(Trillo di campanello d’ingresso, Filumena va ad aprire e torna precedendo Scuppettela e Scamuso.)

SCUPPETTELLA - Tu m’aviva dà sedici soldi ‘a scopa e meza lira ‘a briscola.

SCAMUSO - Scuppettè, tu nun te ricuorde buono. ‘A briscola ‘a vincette io, e te rimmanette ‘a dà meza lira. Ti sovviene?

SCUPPETTELLA - Scamù, tu me faciste scennere ‘o Paraviso ‘nterra. Questo succede quando non si paga sul momento.

SCAMUSO - Pecchè, secondo te, io te voglio fa’ scemo meza lira? Mannaggia ‘a vita mia, io te mannasse ‘o campusanto!

SCUPPETTELLA - Overo? ‘O tiene sempe ‘mmocca ‘o campusanto.

SCAMUSO - Embè, io faccio giuramento ca’ cu’ te nun gioco cchiù manco si’ che.

SCUPPETTELLA - Io te dongo sempe sei punti ‘e vantaggio.

SCAMUSO - A me? (chiamando) Donna Filumè…! ‘O mazzo ‘e carte, ‘a lavagna e ‘o gesso. (a Scuppettela) ‘Mposta!

SCUPPETTELLA - E ‘mposta pure tu, meza lira a sette.

SCAMUSO - Chiste so’ sette sorde, ce mancano tre sorde, nunn’è voglio caccià pè scaramanzia.

SCUPPETTELLA - (sedendo al tavolo) Joca!

SCAMUSO - Joca!

LUIGINO - Voi vi chiamate Filumena?

FILUMENA - A servirvi.

LUIGINO - A favorirmi. Io sono Luigi Poveretti. Sto qua perché…

FILUMENA - Ho capito: dovete fare il palo.

LUIGINO - Precisamente. (indicando Scamuso e Scuppettella, che stanno giocando) Ma quei due, chi sono?

FILUMENA - Eh! Quello che sta da questa parte, è uscito dal carcere per furto e quello che sta dall’altra parte accedette ‘a mugliera. Na piezze ‘e femmena… E mò va fuienno… Sta sempe armato, porta curtiello e revolver. Ha giurato ca’ nun se fa’ piglià vivo… Caccia ‘o revolver e spara alla cieca!

SCAMUSO - (alzandosi di scatto, grida sul muso di Scuppettela) Tu si’ na carogna, he perzo! N’atu punto e so’ fora! Joca…

SCUPPETTELA - Joca!

LUIGINO - Dite al padrone che io me ne sono andato. (fa’ per andare, ma entra il Barone)

BARONE - (a Filumena) Neh, don Gennarino addò sta?

FILUMENA - Dentro. Se volete, ve lo chiamo.

BARONE - Chiammalo. (vedendo Luigino, a Filumena) Chi è?

FILUMENA - E’ persona d’’a casa.

LUIGINO - Io sono il palo.

BARONE - Zitto! Ah, il nuovo palo. (lo squadra da capo a piedi) E ha provveduto don Gennarino?

FILUMENA - Gnorsì.

BARONE - (a Luigino)E ‘o palo viecchio?

LUIGINO - Se ‘nfracetaie.

BARONE - Ben detto: se ‘nfracetaie… (a Filumena) Di’ a don Gennarino ca’ ascesse subito pecchè aggio purtato ‘o pullastro.

(Filumena fa’ un cenno di assenso ed esce per la sinistra. Dopo qualche minuto rientra in scena, la attraversa ed entra a destra.)

LUIGINO - Ah, don Gennarino è buongustaio! Le piacene ‘e pullastre…

BARONE - Che avete capito? Ho portato il pollastro, e cioè un novellino che si può spennare… Va’! Ma voi, siete d’’a casa…

LUIGINO - Sissignore, io sono il nuovo impiegato: sono il palo.

BARONE - E non gridate.

LUIGINO - E voi che fate?

BARONE - Io faccio assaie cchiù ‘e te. Io runzeo, giro, aosemo… e quanno trovo ‘o pivezo, ‘o porto ccà e c’’o pulezzammo.

LUIGINO - ‘O pivezo?

BARONE - ‘O zallo, ‘o ndondero… ‘a scamerza insomma.

LUIGINO - ‘A scamorza?

BARONE - Mò t’’o faccio vedè praticamente. (via a destra)

SCUPPETTELA - (volgarmente, vittorioso) He perzo! He perduto! He fatto ‘a fine ca’ te mmeretave. (sputa ripetutamente sul viso di Scamuso) Puh, puh, puh, puh…

SCAMUSO - (immobile come una statua, risponde a quella salva di sputi in faccia con scoppiettio ritmato di sarcastiche risate) Eh! Eh! Eh!

LUIGINO - (ritenendo uno scherzo la squallida disputa fra i due, solidarizza con Scuppettela e sputa anche lui in pieno viso di Scamuso) Puh, puh, puh!

SCAMUSO - (furibondo) Guè, e chi t’’o ffà fa’? Io ho perduto la partita con lui e solo lui tiene il diritto di sputarmi in faccia.

LUIGINO - Chiedo scusa…

SCAMUSO - (puntando l’indice contro Scuppettella) ‘A rivincita!

SCUPPETTELA - Joca!

(I due riprendono a giocare.)

BARONE - (tornando) Venite, venite, non ci sta ancora nessuno.

PEPPINO - (entrando) Ma io poco mi posso trattenere, perché è tardi per me.

BARONE - (sottovoce, a Luigino) Chisto è ‘o pullasto.

LUIGINO - Ah, ah…! (a Peppino) Avete portato la scamorza?

PEPPINO - Qua scamorza?

LUIGINO - Io veramente non lo so…

BARONE - (cerca di riparare) Il signore deve cenare e vuole la scamorza…

PEPPINO - E la vuole da me? Che faccio, il salumiere?

BARONE - (a Luigino) Mò ve la porta il cameriere… (poi sottovoce) Vuie accussì ‘nguaiate tutte cose! (a Peppino) Vi presento uno dei nostri soci del Circolo della Caccia. (piano, a Luigino) Come vi chiamate?

LUIGINO - (piano) Luigino Poveretti.

BARONE - Luigino Poveretti.

PEPPINO - (a Luigino) Non so perché avete voluto fare lo spiritoso… io arrivo e mi chiedete la scamorza… che vi dovevo rispondere? Io, un’altra volta che vi vedo, sono due volte… Che non si ripeta più! (presentandosi) Peppino Fattibene.

LUIGINO - Io sono il palo.

BARONE - (correggendo) Paolo… Quello il giovanotto è un poco cacaglio, invece di dire Paolo dice Paaalo. Ma si chiama Paolo: Paolo Luigino Poveretti.

PEPPINO - Io ho sentito Palo.

LUIGINO - Eh! Io sono il palo.

BARONE - Lo vedete? E’ cacaglio. Dice Paaalo, ma si chiama Paolo.

PEPPINO - Ho capito: è cacaglio.

LUIGINO - Ma che cacaglio… Io mi chiamo Luigino Poveretti e sono il palo.

BARONE - Paolo…

PEPPINO - (a Luigino) Paolo. Dite appresso a me: Pa-o-lo.

LUIGINO - Pa-lo.

PEPPINO - No, no: dovete dire Pa-o-lo

LUIGINO - Ma niente affatto. Io mi Luigi e non sono Paolo. Però sono il palo.

BARONE - Qualche volta l’imbrocca e qualche volta la sbaglia…

LUIGINO - Ma che sbaglia… io sono il palo!

PEPPINO - (scuotendo il capo) E’ cacaglio, è cacaglio!

LUIGINO - Sì, va bene, come volete voi.

PEPPINO - (al Barone) Ma io non ho capito in che cosa consiste questo “Circolo della Caccia”…

BARONE - Ecco qua, la sera i soci si riuniscono e si fanno quattro chiacchiere, si gioca con poco interesse e passa la serata.

PEPPINO - Ho capito, si dicono quattro parole…

LUIGINO - Una parola tira l’altra…

PEPPINO - Si fanno quattro chiacchiere…

LUIGINO - Dalle chiacchiere si passa ai fatti… e … (fa’ il segno di una coltellata)

PEPPINO - (allarmato) Neh, quello minaccia… Ha fatto il segno del coltello…

BARONE - E si capisce! Quando si va a caccia ci vogliono i coltelli?

PEPPINO - E quando si va a caccia…?

LUIGINO - (alludendo al Barone) Lui va a caccia e porta ‘e scamorze.

PEPPINO - (al Barone) Ma pecchè, voi andate a caccia ‘e scamorze?

LUIGINO - Anche di pollastri…

BARONE - (sorridente in superficie, furibondo dentro) Ma che state dicendo…

LUIGINO - Insomma, lui gira…

BARONE - (interrompendolo) Io giro, volto e sto sempre qua… perché mi piace l’ambiente.

LUIGINO - Ecco, proprio. (il Barone gli fa’ cenno di tacere) Io, poi non devo parlare, perché non mi conviene: io sono il palo…

BARONE - Paolo: si chiama Paolo: Paolo Luigino Poveretti.

PEPPINO - Chisto adda essere scemo…

GENNARO - (entrando) Signori!

SCUPPETTELLA - Servo!

SCAMUSO - Joca! (poi vedendo Gennaro) Servo…

SCUPPETTELLA - Joca!

GENNARO - Caro Barone, buonasera.

BARONE - Buonasera. (a Peppino) Vi presento il proprietario e fondatore di questo circolo, il Commendatore Gennaro Fierro.

LUIGINO - Detto Punto-e-Virgola.

GENNARO - (seccato) Già, gli amici del circolo, scherzando, mi chiamano Punto-e-Virgola, perché mi piace agire con regolarità e onestà.

BARONE - Il signore avvocato Peppino Fattibene mi ha tanto pregato e ha fatto tante insistenze perché si vorrebbe fare socio.

PEPPINO - Veramente siete stato voi che mi avete carriato…

GENNARO - Va bene, voi, lui, chi è stato è stato. Voi stasera vedrete come si svolgono le nostre serate amene e se vi conviene fate la domanda e vi faccio socio.

PEPPINO - Ma non mi è possibile, perché la mattina mi alzo presto, vado in Tribunale…

GENNARO - Ma noi non facciamo mai tardi. Va bene, va bene, sarete socio.

PEPPINO - Ma io non posso frequentare il Circolo…

GENNARO - Siete socio!

BARONE - Non lo contraddite: siete socio.

PEPPINO - Sono socio…

GENNARO - (chiama in disparte il Barone e Luigino) Barone, sta caldo? (allude a Peppino)

BARONE - Tene l’organetto.

LUIGINO - (a Peppino) Voi tenete l’organetto?

PEPPINO - Io?

GENNARO - (piano, a Luigino) Stateve zitto! L’organetto significa ‘o portafoglio!

LUIGINO - (piano) E io saccio chesto…?

GENNARO - Cerca di riparare.

LUIGINO - (a Peppino) Sapete… voi somigliate a uno che suona l’organetto sotto ‘a casa mia… ma tale e quale! Chiede l’elemosina. Dite la verità, siete voi?

PEPPINO - Amico, per regola vostra io sono un signore, sia fatta ‘a volontà d’’o cielo! Primma c’’a scamorza, mò coll’organetto…! Mò me ne vado e buonanotte!

GENNARO - Ma nossignore, quello ha scherzato, aspettate! (a Luigino) Vuie v’avita sta zitto! Vuie accussì me disgustate ‘e zalle…

LUIGINO - Ma voi come parlate?

GENNARO - E’ il gergo.

LUIGINO - Ma io il gergo non lo capisco e faccio ‘e guaie…

(Entrano Rosetta e Rafilina, in arte Baronessina Rosy e Contessina Fifì, scollate, profumate, e con molte pretese di apparire raffinate; ma sono giovani e fresche e tutti le guardano compiaciuti. Sventagliandosi e parlottando, attraversano la scena e fanno per andare sul fondo, ma Gennaro si avvicina, galante.)

GENNARO - Care… care…

ROSETTA E RAFILINA - Oh, Commendatore caro!

GENNARO - Baronessina… Contessina…

BARONE - (a Rosetta) Cara nipote, ti presento l’avvocato Peppino Fattibene… (a Peppino) La Baronessina mia nipote e la Contessina Fifì…

(Convenevoli, e parlottio.)

GIOVANNINO - (entra dalla comune) Buonasera, signori.

TUTTI - Buonasera.

GENNARO - Che c’è Giovannino, state di malumore?

GIOVANNINO - Niente affatto, v’ingannate…Io poi quando mai sto allegro…

GENNARO - Vi voglio presentare a questi signori.

PEPPINO - Peppino Fattibene.

LUIGINO - Luigino Poveretti.

GIOVANNINO - Piacere. (si allontana)

PEPPINO - Abbiamo fatto una bella figura!

GENNARO - Barone, ‘o gallo sta pronto?

BARONE - Come no… Il gallo sta all’angolo del vicolo e se viene la polizia fa’ il solito segnale.

(Peppenella entra da sinistra, anche lei in abito da sera e tutta ingioiellata; Rosetta e Rafilina, vedendola, si traggono in disparte, imbronciate.)

PEPPENELLA - Mammà…! Dov’è la mamma…? Mammina…!

GENNARO - (a Peppenella) Vieni qua, vieni qua… pasticciotto di crema e fragola… pesca sciroppata… Ti voglio presentare il Presidente dei Presidenti del Tribunale!

PEPPINO - Ma che Presidente dei Presidenti? Io sono un semplice avvocato.

BARONE - Non fate il modesto.

GENNARO - Il Capintesta della Magistratura, Peppino Fattibene. La mia promessa sposa, Marchesina Sciù-sciù.

PEPPINO - Tanto piacere, signorina. Il vostro fidanzato ha esagerato un poco… non sono affato Capintesta…

PEPPENELLA - Quello che dice Gegè è sempre ben detto. (a Gennaro, facendo delle moine) Abbracci a Sciù-sciù, baci a Sciù-sciù, carezze a Sciù-sciù…

GENNARO - (che si lascia coccolare, a Peppino) E’ un amore irrefrenabile.

FILUMENA - (entrando, a Peppenella) Voi avete chiamato mammina, ma la Marchesa madre è andata in cucina a sorvegliare il buffè, e adesso stava dando gli ultimi tocchi alla sua toilette. A, eccola qua. Signora Marchesa, siete desiderata da vostra figlia.

ASSUNTA - (entrando, vestita da sera, un po’ pacchiana; avanza fino al gruppo, agitando un vistoso ventaglio) Il buffè è tutto pronto, è una vera sciccheria! Tutta roba degna di questa nobile associazione.

BARONE - (a parte) Don Assù, vuie è meglio ca’ ve state zitta!

GENNARO - La Marchesa madre… L’avvocato Peppino Fattibene.

ASSUNTA - (si degna di stendere la destra mettendola proprio sotto il naso di Peppino con l’evidente intenzione di farsela baciare) Piacere…

(Restano a parlare in gruppo.)

RICCARDO - (entrando) Agli amici…

TUTTI - Buonasera!

RICCARDO - Embè, state senza fare niente?

BARONE - Aspettiamo i componenti. Se vogliamo cominciare noi…

RICCARDO - E si capisce! Se no si fa’ tardi. Quando vengono gli altri, onore e piacere.

BARONE - Allora, jammo bello! Donna Filumè…

FILUMENA - Comandi.

BARONE - Prepara ‘o tavolo.

(Filumena obbedisce, attrezzando il tavolo da gioco centrale di carte da gioco, fiches, ecc.)

RICCARDO - (a Giovannino) Tu staie n’altra volta qua?

GIOVANNINO - Perché, devo dà conto a quaccheduno?

RICCARDO - Ma perché mi rispondi male? Se ho parlato è stato solo perché stamattina ho incontrato Sisina, l’innammorata tua, la quale m’ha detto che non ti vuole sentire più nominare, per il fatto che tu questo vizio del gioco non te lo vuoi togliere.

GIOVANNINO - Salute a noi!

RICCARDO - Non dire così perché mi gai piglià collera! Sisina è na bona guagliona e lo fa’ pè bene tuo.

GIOVANNINO - Pè bene mio? E posso ancora avere bene, io? Va’, va’, nun me fa’ ridere ca’ nun ne tengo genio! Che rappresenta più la vita mia? ‘O juoco m’ha ruvinato e ‘o juoco m’adda salvà!

PEPPINO - (che si è avvicinato ai due giovanotti insieme a Luigino, ed è rimasto ad ascoltarli, chiede a Luigino) Che ha detto?

LUIGINO - ‘O cuoco m’ha ruvinato e ‘o cuoco m’adda salvà!

PEPPINO - Ehhhh! E lo licenzia!

GIOVANNINO - (cupamente) Quando aggio visto che il gioco è veramente un vicolo cieco per me, e che mi sono rovinato peggio, saccio quello che devo fare… Un’anema e curaggio e me levo ‘o penziero.

(Riccardo, turbato, gli chiude la bocca.)

PEPPINO - Ma ch’è stato? (Prontamente Luigino gli tura la bocca con la mano imitando il gesto di Riccardo; Peppino la tira via, indignato) Vi ho pregato, statevi al posto vostro! Con voi non voglio scherzare!

BARONE - (avvicinandosi) Ch’è successo?

PEPPINO - Questo mette le mani in bocca… na mano salata… (e sputacchia) Che schifo! Mò me ne vado e buonanotte!

BARONE - Ma niente affatto! Qua è tutto pronto… (battendo le mani e in tono allegro) Signore e signori, un giochetto, un piccolo passatempo… Al tavolo, al tavolo!

LE TRE RAGAZZE - (gioiosamente) Al tavolo, al tavolo! (e si avvicinano al tavolo, dove iniziano a prendere posto)

BARONE - Facciamo un po’ di baccarat.

LE TRE RAGAZZE - Baccarat! Baccarat!

BARONE - Signora Marchesa, voi non prendete posto?

ASSUNTA - No, grazie. Io preferisco sedere qua… (siede, in fondo alla scena) …a leggere un poco. (prende un giornale) Mi sono incaponita e sto andando appresso alle puntate di questo romanzo d’appendicite.

BARONE - (piano a Gennaro) Afforza vo’ parlà! (poi a Peppino, chiamando) ‘On Peppì…? (non avendo risposta, insiste) Fattibè…?

LUIGINO - Fattibè?

BARONE - Don Peppì?

LUIGINO - Don Peppì? Fattibè?

PEPPINO - Ma insomma, la voete finire? Che so’ fatto, lo zimbello vostro? Don Peppì… Fattibè… Io sono un professionista e non posso essere sfottuto da voi!

BARONE - (a Luigino) Statevi zitto voi! (poi a Peppino) No, vi volevo dire: per passare un po’ di tempo facciamo un baccarat. Ci siete?

PEPPINO - Ma io non so giocare, guasterei gli altri.

BARONE - Nossignore, mò ve lo faccio vedere io. E’ molto semplice. (a Gennaro) Commendatò, voi ci onorate?

GENNARO - No, veramente…

LUIGINO - Tene dolore ‘e capa!

GENNARO - (seccato) Sì, tengo dolore ‘e capa!

LUIGINO - Ma se lo pregate viene.

PEPPINO - Vi distraete un poco, venite.

GENNARO - Come volete.

(Ora sono tutti seduti intorno al tavolo da gioco, tranne Luigino, che rimane in piedi nelle vicinanze del tavolo, Assunta che, sprofondata in poltrona, legge il giornale seguendo le lettere coll’indice della destra, e Filumena che, messo a posto il tavolo da gioco, se ne torna in cucina.)

BARONE - Allora, mille lire di banco.

GENNARO - Mille e cinquecento.

RICCARDO - No, io mi ritiro.

PEPPINO - Mi dispiace, mi ritiro io pure. Non arrivo a questa cifra, il dottore mi ha proibito di giuocare: non posso avere emozioni.

BARONE - Eh, stateve attento! Voi puntate quanto volete voi.

GENNARO - Potete puntare forte perché sto in disgrazia.

RICCARDO - Sicuro! E sa’ come perdete, voi? (a Luigino) Voi non giocate?

LUIGINO - Io non posso giocare… Chillo poi comme fa’?

GENNARO - (tossicchia con intenzione) Ehm…

LUIGINO - Non mi fate parlare…

BARONE - Vogliamo cominciare?

GENNARO - Naturale, il tavolo è formato… Stiamo tutti seduti intorno… (guarda con intenzione Luigino) Voi che fate? Passeggiate, eh?

LUIGINO - (tra sé) Ah, già! (si dispone come un cantante di varietà e poi annunzia) A Marechiaro, di Salvatore di Giacomo e Francesco Paolo Tosti. (canterella imitando l’introduzione musicale della canzone) Tara lairalalla… taratra ecc.

            Quando spunta la luna a Marechiaro

            pure li pisce nce fanno l’ammore…

            S’arrevoteno l’onne de lu mare

            e pè la briezza cagnano colore…

            Quando spunta la luna a Marechiaro…

GENNARO - Neh, neh, noi dobbiamo giocare. (e batte le mani)

BARONE - (anche lui batte le mani per farlo cessare) Dobbiamo giocare.

LUIGINO - (prende i battimani per applausi e canta più forte, incoraggiato e girando intorno al tavolo) Ah ah, ah ah ah ah ah ah!

            Ah ah ah ah ah ah ah ah…

RICCARDO, GIOVANNINO, PEPPINO E LE TRE RAGAZZE - (battendo le mani sdegnati) Neh, neh? Insomma…

LUIGINO - (ancora più incoraggiato, si inchina, ringrazia e attacca a voce altissima)

            A Marechiaro, a Marechiaro…

GENNARO - (minaccioso, non lo lascia finire) Neh, guè! ‘A vuò fernì?

LUIGINO - Voi avete detto…

GENNARO - (alzandosi e avvicinandosi a Luigino) Che ho detto? Che ho detto?

LUIGINO - Avete detto…

GENNARO - (rivolto agli altri) Ho detto: “Andiamo a vedere se è venuta l’acqua, perché manca l’acqua!”

LUIGINO - Ah, manca l’acqua…

GENNARO - (spingendolo verso sinistra e costringendolo ad uscire per la porta di sinistra) Cammina, cammina.

(Escono insieme; Subito da dentro, confusi con il chiacchierio dei presenti, si sentono colpi di schiaffi, calci e lamenti.)

LUIGINO - (catapultato in scena da un calcio di Gennaro, entra stropicciandosi il sedere, seguito da Gennaro) Voi dovete stare a posto con le mani…

GENNARO - Avanti, si riprende il gioco. L’acqua non è venuta ancora, ma non importa, abbiamo delle riserve… (riprende il suo posto; finisce di mischiare le carte e domanda) Chi vuol tagliare?

PEPPINO - Bè, taglio io.

GENNARO - Veramente l’ha detto prima il signore. (indicando Luigino) E’ vero che l’avete detto prima voi?

LUIGINO - Che cosa?

GENNARO - Che volevate tagliare voi.

LUIGINO - Io non ho fiatato! Che si deve tagliare?

GENNARO - Il taglio al mazzo di carte…

LUIGINO - Ah, già, sì, l’ho detto prima io. Chiedetelo un’altra volta.

GENNARO - Chi vuol tagliare?

LUIGINO - (immediatamente) Io! (poi si curva verso Peppino atteggiando il viso ad una smorfia orribile da paralisi facciale, e chiede in confidenza) Vedete se da qua è serio!

PEPPINO - (si scosta con repulsione) Ma che volete? Che ne so se è serio, se è comico… Che me ne importa? Scostatevi, scostatevi…

GENNARO - (intervenendo) Dovete tagliare? Venite e tagliate.

(Luigino si avvicina e taglia, pi fa’ per mettere le diciotto carte - il famoso “mazzone” - sulle carte tagliate, ma gliene cadono due otre in terra.)

BARONE - Ma come, a terra!

LUIGINO - Come? Eh?

BARONE - Le carte a terra! (Luigino ne getta a terra altre quattro o cinque) Le carte a terra!

TUTTI - (disgustati) Le carte a terra!

(Luigino, innervosito, prende tutte le carte e le scaglia per terra.)

GENNARO - Scusate, Barò, raccogliete le carte. (a Luigino) A te, andiamo a vedere se è tornata l’acqua!

(Luigino, impaurito, si sposta prima in un angolo della stanza poi nell’altro, seguito da Gennaro che lo afferra e lo porta a sinistra come prima, e come prima si sentono rumori di calci e schiaffoni e lamenti.)

LUIGINO - (entrando in scena e massaggiandosi il sedere) Ah! Ah!

GENNARO - (che ha seguito Luigino) L’acqua è scesa.

LUIGINO - Sì, sì, è scesa, è scesa!

(Gennaro riprende il suo posto.)

PEPPINO - Ha fatto cadere le carte a terra, quell’imbecille… Adesso mischio io. Mischio e taglio. (esegue e dà il mazzo a Gennaro che distribuisce le carte)

GENNARO - Fate il vostro giuoco.

GIOVANNINO - Cinquanta lire.

RICCARDO - Dieci.

BARONE - Cento lire.

SCAMUSO - (a Riccardo) Prestame cinquanta lire.

RICCARDO - Io debbo giuocare.

SCAMUSO - Prestame cinquanta lire, se no arapo ‘o balcone e me mengo abbascio!

RICCARDO - Teccate ‘e cinquanta lire.

SCAMUSO - (mettendo i soldi sul tavolo) Cinquanta lire, o tutto o niente.

GENNARO - (a Peppino) E voi?

PEPPINO - Due lire.

GENNARO - Eh sì, asseccammo ‘o mare cu’ ‘a cucciulella!

BARONE - Il minimo è dieci lire.

ROSETTA - Ma che dieci lire, che dieci lire! Tentiamo la fortuna, tesoro! (acchiappa un pugno di fiches e le punta) Coraggio ci vuole, vedrai che avremo fortuna.

PEPPINO - (guarda la ragazza compiaciuto, mentre lei gli fa’ una carezza) E già, la fortuna si tenta…

GENNARO - (che fino a quel momento si è soffiato il naso per dare il segnale convenuto a Luigino, che non se ne dà per inteso) E così il giuoco è lento, è lento… è troppo lento. (a Luigino) Non è vero che il giuoco… ‘e llente!

LUIGINO - Sicuro, è lento, è lento.

GENNARO - A me sta luce me fa’ male ‘a vista.

LUIGINO - E io tengo le lenti nere che mi avete dato voi.

GENNARO - (seccato) Grazie, non le voglio. Dunque… voltate.

RICCARDO - Sette.

GIOVANNINO - Sette.

GENNARO - Cinque… (ridacchia nervosamente) Ah, ah!

PEPPENELLA - (che non ha seguito il gioco, festosa) Bravo Gegè! Serata di fortuna per Gegè. Carezze a Sciù-sciù, baci a Sciù-sciù, abbracci a Sciù-sciù…

GENNARO - Ho perduto io! (guarda Luigino) E favorite! (paga tutti tranne Peppino) Fate il vostro gioco!

PEPPINO - No, no: a me, dovete pagare a me!

GENNARO - Vi ho pagato.

PEPPINO - No, non mi avete pagato.

GENNARO - Quando vi dico che vi ho pagato, basta: io non sono un imbroglione!

PEPPINO - Allora vuole dire che l’imbroglione sono io? Quando vi dico che non mi avete pagato, mi dovete credere! Lui era vicino, ha visto tutto. (allude a Luigino, a cui ora si rivolge) Mi ha pagato?

LUIGINO - No!

GENNARO - (furibondo) Ma quello non ha capito! (a Luigino) Il signore vuole sapere se io gli ho pagato la vincita.

LUIGINO - Ah, ecco! Non gliel’avete pagata.

GENNARO - E favorite! (paga Peppino) Jammo appriesso. (a Luigino) Che fate in piedi? Date fastidio a don Peppino. Sedetevi vicino a me.

LUIGINO - Ecco. (si avvicina a Gennaro)

GENNARO - Fate il vostro giuoco.

GIOVANNINO - Cinquanta.

RICCARDO - Cinquanta.

BARONE - Cento lire.

SCAMUSO - Tutte e cento.

SCUPPETTELA - Cento lire.

PEPPINO - Cinquanta pur’io.

ROSETTA - Ma che cinquanta. Stai a sentire a me: mettiamo tutto! Tranne il regalino per me… (e prende una manciata di fiches che ripone nella borsetta)

PEPPINO - Ma sì, cara…

GENNARO - (dà le carte e si gratta in testa. Luigi non comprende) Scusate… mi prude la testa, mi debbo grattare… (a Luigino) Mi sto grattando…

LUIGINO - E vi gratto io! Voi giocate.

GENNARO - (gli toglie la mano) Mi debbo grattare io. Voi non potete sapere dove mi prode. Mi sono grattato!

LUIGINO - Ah! (gli passa la carta)

GENNARO - Abbiamo detto: Cinquanta, cinquanta, cento, cento, cinquanta e duecento… va bene! Scoprite.

BARONE - Quattro.

GIOVANNINO - Due.

GENNARO - (con aria trionfante) Quattro e due… E io! (scopre la sua) Uno… (deluso)

PEPPINO - Avete perduto n’altra volta. A me me piace stu gioco.

GENNARO - (guardando Luigino) E quello è uscito uno. Doveva uscire nove, capite? Nove!

PEPPENELLA - Bravo Gegè, serata fortunata! Baci a Sciù-sciù, carezze a Sciù-sciù, abbracci a Sciù-sciù.

GENNARO - (infuriato) Ma me staie sfuttenno? Io te faccio na faccia ‘e pacchere, io t’abboffo… Aggio perzo, hai capito? Aggio perzo n’ata vota!

RAFILINA - (alludendo a Peppenella) E voi ve site miso questa scema vicino! Quella non capisce niente!

PEPPENELLA - E se lo vuoi sapere, non mi salutano mai queste due, io lo faccio chiudere il Circolo della Caccia!

ASSUNTA - Ma ch’è stato, neh?

PEPPENELLA - (piangendo) Mammà… qua non finisce bene!

ASSUNTA - Nunn’’e dà retta, quella è l’invidia.

PEPPENELLA - Ma io lo faccio chiudere il Circolo della Caccia!

BARONE - Calma, calma… (rivolto a Peppino) Sapete, le donne…

PEPPINO – E già, il sesso debole…

GENNARO - Questa non è né sesso debole né forte, questa fa’ parte del sesso scemo!

(Peppenella piagnucola, Assunta la conforta.)

PEPPINO - (starnutisce) Eeeeetcià! (Luigino, pronto, gli passa una carta. Peppino prima è sorpreso, poi sdegnato esclama) Come vi permettete? Per chi mi avete preso? Io sono un galantuomo, sa’?

GENNARO - Ch’è stato?

PEPPINO - So’ cos’’e pazze! Sappiate… (rivolto a Luigino) … Egregio signore, che io non mi presto a queste specie di truffe. Mi guardo bene dal dire quello che avete avuto il coraggio di fare, perché non vi voglio rovinare. E voi, Commendatore Fierro, dovreste stare attento nell’ammettere i soci! (a Luigino) Io, poi secondo te… Mannaggia a bubà… (Luigino gli passa un’altra carta) Ma insomma! Signori, questo mi passa le carte. Vedete! (mostra la carta)

GENNARO - (alzandosi e prendendo per il collo Luigino) Andiamo a vedere se è venuta l’acqua!

LUIGINO - No, no, no!

(Escono a sinistra, di nuovo si sentono rumori di schiaffi e calci; intanto i giocatori commentano l’accaduto; questa volta entra per primo Gennaro, seguito da Luigino che preme una mano sul naso.)

GENNARO - Dunque: è un incidente senza importanza. (torna al suo posto) Fate il vostro giuoco.

FILUMENA - (dall’interno) Aspettate, io vi debbo annunziare…

EMILIA - (entra spingendo da parte Filumena) Io sono la sorella, nun c’è bisogno che m’annunzi. Giovannì, col permesso degli amici, ti devo parlare.

GIOVANNINO - (confuso) Permesso… (alla sorella, avvicinandosi a lei) Che si’ venuta a fa’?

EMILIA - Io lo sapevo che ti trovavo giocando… Nun si’ cuntento che hai mandato a precipizio na casa. Quella povera mammà… non si riconosce più, e ridotta uno straccio per tutti i dispiaceri e tutto il veleno che le stai dando…

GIOVANNINO - (infuriato) Ma insomma, non bastano le scenate a casa, mò ‘e prediche me le vieni a fare appresso? Vattenne a casa!

EMILIA - E vienetenne cu’ me…

GIOVANNINO - Io non posso lasciare la compagnia. Vattenne.

EMILIA - Bella compagnia! Quatte magnafranche ‘mbrugliune ca’ te levano ‘a cammisa ‘a cuollo.

GIOVANNINO - Statte zitta, ca’ chille sentono…

EMILIA - Tu se non vieni con me, io faccio cose ‘e pazze, me metto a strillà comme ‘a na pazza!

GIOVANNINO - Ma tu avisse bevuto? Staie ‘mbriaca? Mannaggia bubà!

LUIGINO - (gli si avvicina, gli passa una carta, dicendo) Tenete…

GIOVANNINO - (gettando per aria la carta) Ma voi siete fissato!

LUIGINO - E voi dite le parole mie.

GIOVANNINO - Amici, scusate…

GENNARO - Ma ch’è stato?

EMILIA - Nun me ne fido cchiù! Voi a mio fratello lo dovete lasciare in pace, avete capito? Se no vado a ricorrere in Questura!

PEPPINO - Guè, nennè… qua non si fa’ niente di male. Si giuoca con poco interesse, per divertimento, poi si va a caccia…

EMILIA - (puntando l’indice contro Peppino) Vuie avite arruvinato ‘a casa mia, vuie avite distrutto a mio fratello! Guardate llà, nu viecchio! Invece ‘e se mettere cu’ na curona mmano, se ne vene ‘o Circolo d’’a Caccia! Bell’esempio che date alla vostra età.

GIOVANNINO - ‘A vuò fernì, o t’aggia piglià ‘a schiaffe ccà ‘ncoppa?

EMILIA - Bravo, pigliame a schiaffe! Anzi, va a casa e piglia a schiaffe pure a mammà. Scannala, accidela, è meglio: così quella povera vecchia fernesce ‘e suffrì…! (scoppia a piangere e si abbatte su una sedia)

(Fischio prolungato dalla strada.)

BARONE - Shhhhh!

(Tutti tacciono.)

PEPPINO - Qualche socio che vuole salire?

TUTTI - Shhhhh!

(Secondo fischio prolungato dalla strada. Il Barone, Scuppettella, Scamuso, Gennaro, Assunta e Filumena fanno una smorfia significativa, come per dire: “è la polizia!”; Peppino e Luigino imitano male la smorfia e restano tutti così fino a che si sente il terzo fischio prolungato dalla strada.)

GENNARO - ‘O gallo ha cantato!

(A questo punto il Barone, Assunta, Filumena, Scuppettella, Scamuso e le ragazze si danno da fare per trasformare l’ambiente da bisca in circolo; ognuno sa cosa deve fare, perché ovviamente il tutto è stato già da tempo predisposto; alla fine il tavolo da gioco è diventato un quadro, appoggiato alla parete; il panno verde, contenente carte, fiches e soldi, e avvoltolato su se stesso, finisce in una fioriera situata ai piedi del quadro.)

PEPPINO - (smarrito) Ma che succede?

BARONE - E’ uno scherzo, è uno scherzo! Arrivano dei soci per fare uno scherzo e noi scherziamo con loro.

PEPPINO - Ma che mattacchioni!

LUIGINO - E’ divertente!

SCAMUSO - (si avvicina a Luigino e gli consegna un grosso coltello) Tenite, chisto v’’o regalo.

LUIGINO - Grazie, grazie.

SCUPPETTELLA - (si avvicina a Luigino e gli mette tra le mani un revolver) Tenetelo per ricordo mio.

LUIGINO - Troppo buono!

SCAMUSO - (gettandosi ai piedi di Gennaro) Don Gennà, vuie ‘o sapite ‘o guaio mio, aiutateme, ma nun me perdite! (e gli bacia le mani ripetutamente)

GENNARO - (da protettore) Susete! Simme figli ‘a stessa mamma! (e lo bacia come si usa nella camorra)

PEPPINO - Ah, sono fratelli!

GENNARO - (prende per mano Scamuso) Viene cu’ me. (e lo porta verso il caminetto, sul quale c’è uno specchio; Gennaro lo fa’ ruotare su un lato e scopre una nicchia a grandezza d’uomo) Trase!

SCAMUSO - Grazie! (gli bacia la mano, sale su una sedia, poi sulla mensola del camino e entra nella nicchia che a stento lo contiene, appiattendosi contro la parte) ‘A Maronna v’’o rrenne, San Gennaro v’’o pava, Sant’Antonio v’aiuta! (ma Gennaro lo chiude dentro, troncandogli la parola)

PEPPINO - Che uomo religioso, m’ha commosso!

GENNARO - (raggiunge Peppino e gli consegna una rivoltella) Vedete se vi piace: l’ho comprata ieri.

BARONE - (si avvicina a Peppino e gli consegna una pistola) Ma è più bella la mia… confrontatele!

PEPPINO - (tra sé, esaminando le pistole) Ma non c’è paragone! E’ più bella questa!

SCUPPETTELLA - (gli dà un chiodo lungo) Questo porta fortuna: pigliatavello!

PEPPINO - Grazie!

(Intanto le tre ragazze siedono ai tavolini, ricoperti ora di innocenti tovagliette a fiori: chi ricama, chi fa’ un solitario. Assunta siede di nuovo. Emilia siede ad un tavolo col fratello. Filumena, che è andata in cucina, rientra con un gran vassoio colmo di frittelle e avanza offrendo i dolci e avvertendo sottovoce.)

FILUMENA - ‘E guardie, ‘e guardie, ‘e guardie, ‘e guardie…!

LUIGINO - (a Peppino) Che dice?

PEPPINO - ‘E quaglie, ‘e quaglie…! Arrivano le quaglie!

(Improvvisamente si spalanca la porta in prima quinta a destra ed entra una signora austeramente vestita di nero, con veletta al cappello: il Delegato. Contemporaneamente dalla sinistra e dalla destra in fondo entrano a precipizio quattro agenti travestiti uno da cuoco, uno da spazzino, uno da prete e uno da cameriera. Questa porta un cesto coperto da un panno bianco contenente i berretti dei quattro agenti e la bombetta del Delegato. Lo spazzino ha una scopa che, privata della saggina, diventa in bastone del Delegato. Ognuno di loro porta la divisa sotto il travestimento. Il Delegato si libera del vestito da donna e prende il cappello, prende il bastone dello spazzino e la bombetta dal cesto della cameriera. Intanto i quattro agenti si liberano del travestimento e, rivoltella in pugno, piantonano le porte.)

DELEGATO - Polizia! Fermi tutti!

LUIGINO - Questo è lo scherzo!

PEPPINO - Scherzo di cattivo genere!

DELEGATO - Fuori il grillo!

GENNARO - Ma, veramente…

BARONE - (cadendo dalle nuvole) Il grillo…!

DELEGATO - Il malloppo!

BARONE - Ma quale malloppo?

DELEGATO - Insomma non stavate giocando.

PEPPINO - Sissignore, con poco interesse…

GENNARO - Ma quando mai! Nunn’’o date retta!

DELEGATO - Jammo, mò nun c’avessema cunoscere: siamo vecchie conoscenze… (scorgendo Emilia) Tu che faie qua?

EMILIA - Signor Delegato, questo è mio fratello, è un bravo giovane, quelli che l’hanno rovinato so’ stati sti quattro delinquenti…

PEPPINO - Piccerè, bada a come parli! Io sono un galantuomo! (gli cade una rivoltella)

DELEGATO - Ah, bravo! State armato! E chi siete voi?

LUIGINO - Ne tengo una pur’io. (e la mostra)

PEPPINO - Ma questa è più bella e io poi ne tengo due. (la mostra)

LUIGINO - Ma io tengo pure il coltello. (e lo mostra)

PEPPINO - Questo me l’hanno dato per buon augurio. (tira fuori il chiodo)

DELEGATO - (prestandosi al gioco) Bravo! Date a me, date a me! (e prende le armi che i due gli porgono)

PEPPINO - Stavate molto bene vestito da donna, avete fatto uno scherzo simpaticissimo.

DELEGATO - Proprio così… E noi scherziamo sempre. Però adesso scendiamo, andiamo a farci una passeggiatina.

PEPPINO - Troppo onore, però voglio offrirvi un gelato.

LUIGINO - E questi signori scendono con noi?

DELEGATO - Si capisce! Questi signori saranno i primi!

LUIGINO - (a Peppino) E quanti gelati dovete pagare?

PEPPINO - E che ve ne importa! Ho vinto quasi cinquecento lire, offro gelati a tutti, le signore prima di tutti e pure a quel signore che sta là dentro. (sgomento generale) E’ un altro scherzo che vi vogliono fare… (s’avvia verso il caminetto e apre la specchiera; appare Scamuso, pallido e senza parola) Andiamo, venite con noi, se no restate senza gelato.

DELEGATO - (esultante) Sta bene! Che felice incontro! (a Gennaro) Ce steva ‘o segreto, ce steva…!

(Gennaro resta a testa bassa.)

LUIGINO - E non avete visto la fioriera, con il quadro sopra, il quale poi è un tavolo da giuoco… (si avvicina alla fioriera e la scoperchia)

DELEGATO - Bravo! (prende il tappeto verde che contiene le carte, le fiches e i soldi e consegna tutto agli agenti che a suo cenno si sono avvicinati)

PEPPINO - (al Delegato) Voi siete proprio un simpaticone!

DELEGATO - (dà una spinta a Peppino, lo fa’ cadere addosso a Luigino) Cammenate, cammina! Mò m’’e scucciato mò!

PEPPINO - Neh, mascalzone, io te scasso na seggia ‘nfaccia! (e prende una sedia per la spalliera)

(Tutti lo trattengono, scongiurandolo di tacere.)

DELEGATO - (a Peppino) Neh, guè, fai ‘a ribellione, fai! A te ti servo io… (poia tutti) Delinquenti, schifosi… Ci stai pure tu, eh, Assù! Filumè tu nun sai niente?  Siete la piaga di Napoli: soldi c’’o ‘nteresse, prostituzione, delinquenza, curtellate, sparatorie… Aggio saputo int’’o quartiere che avete fatto il complotto… dice che avete giurato di farmi la pelle. Bè? E a chi aspettate? Io mò sto qua… quando ve muvite? Vuie site na maniata ‘e capre! Ma io ho giurato che vi debbo distruggere e vi distruggerò, corpo del diavolo!

LUIGINO - (trionfante) Sei! (e gli consegna una carta)

DELEGATO - Ch’aggia fa’ cu’ sta carta? (poi agli agenti) Portateli via.

(Gli agenti li portano via, mentre tutti si protestano innocenti, e cala la tela.)

SIPARIO

Fine della commedia