Quel signore che venne a pranzo

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QUEL SIGNORE CHE VENNE A PRANZO

Commedia in tre atti

Di MOSS HART e G.S. KAUFMAN

Titolo originale:

"The Man Who Carne to Dinner"

Versione italiana di: Ada Salvatore

PERSONAGGI

LA SIGNORA STANLEY

LA SIGNORINA PREEN, in­fermiera

RICCARDO STANLEY e GIANNINA STANLEY, figli dei signori Stanley

JOHN, domestico

SARA, cuoca

LA SI­GNORA DEXTER

LA SI­GNORA MAC CUTCHEON

IL SIGNOR STANLEY

MAGGIE CUTLER

IL DOT­TOR BRADLEY

WHITESI DE SHERIDAN

ENRICHETTA STANLEY

BERTO JEFFERSON

IL PROF. METZ

TRE INVI­TATI A DESINARE

BAX­TER, guardia

UN FACCHI­NO

LORENA SHELDON

SANDY

BEVERLY CARTON

WESTCOTT E ALTRI DUE TECNICI DEL­LA RADIO

I SEI RAGAZ­ZINI DEL CORO NATALIZIO

BANJO

TRE GUARDIE, una in borghese

DUE O TRE FACCHINI

LA SCENA è nella casa dei coniugi Stanley, in una pic­cola città dell'Ohio. Scena fis­sa. -  Il 1° quadro del 1° atto in una mattina di dicembre; il 2° quadro una settimana do­po. -  II 2° atto, la vigilia di Natale: dopo un'altra setti­mana.-  Il 3° atto, la matti­na di Natale.

Commedia formattata da

“…….Io penso che uno dei segni più evidenti della sanità dell' organi­smo teatrale americano sia costi­tuito dalla fioritura esuberante della farsa. Il riso -  ciò vale an­che per gli individui -  è indice non equivoco di salute.

La vecchia Europa non sa più ridere con il disinteresse, con lo abbandono, con cui ridono gli americani. E' un fatto.

Il fenomeno della farsa ameri­cana mi sembra tipico di un po­polo giovane e tuttora in fase di prepotente crescenza, il quale, so­vraccarico di umori, tende a pro­ iettarli fuori di sé in esagitate fan­tasie.

In una ricerca di fonti e di in­flussi sarà poi necessario riconoscere la funzione stimolatrice esercitata dallo schermo e dalla sua libertà espressiva sulla tecnica di queste farse, opera spesso di ditte ormai accreditate, (come lo sono certe ditte di sceneggiatori e di « gagmen » cinematografici).

Quella di George S. Kaufman e Moss Hart è la più autorevole di tali ditte. Altre volte i due soci si unirono con commediografi dif­ferenti, o lavorarono in proprio, con fratti di un disinvolto eclettismo (le esperienze di Kaufman, il più fecondo tra i due, vanno dall'espressionismo ritardatario e a buon mercato de II povero a ca­vallo alla non triviale psicologia di Palcoscenico). Ma solo insieme essiriuscirono a conferire una nota distintiva, uno stile, diciamo pure, alla propria opera. La loro, è la farsa totale, senza limiti, senza freni, assurda e chiassosa, che si accende e si snoda attraverso sussulti di una comicità perento­ria, solcata da lampi di bengala. I loro congegni non rifuggono dagli eccessi più curiosi e stram­palati: chi debba metterli in sce­na avrà a che fare con le trovate più esplosive, con i caroselli più sfrenati; direttore di scena e tro­varobe non mancheranno di ca­dere nei più seri (o più buffi) imbarazzi.

A volte la loro comicità, pur così « gratuita », sì vena di qualche intenzione moralistica: così acca­de in Non potete portarli con voi. Ma si tratta di una moralità ovvia, bonaria, elementare, proprio fatta per candide coscienze « yankee »: e l'ottimistico Capra non se la la­sciò sfuggire. In realtà, quel che contava era lo spettacolo, l'incre­dibile logica della sua program­matica e rumorosa assurdità.

Come è lo spettacolo a contare in Una volta nella vita, che pure ha un gradevole sottofondo di in­tenzioni satiriche nei confronti di Hollywood e dei suoi metodi.

In Quel signore che venne a pranzo, più che satira, c'è carica­tura. Una caricatura feroce e cla­morosa, quella di un celebre at­tore radiofonico, il barbuto Monty Woolley, il quale 'ebbe lo spirito di prestarsi a contribuire alla pre­sa di bavero di se stesso, interpre­tando nel film omonimo la parte del bisbetico Sheridan Whiteside, cioè di Monty Wolley. Ma, in fon­do, la farsa è delle più gratuite, è un fuoco di artificio che si ali­menta senza tregua entro di sé. Nell'edizione cinematografica, che forse ricorderete -  opera di Wil­liam Keighley -  l’esagitazione raggiungeva il colmo, in quell'au­tentica gabbia di matti, percorsa, con imperturbato arbitrio, da cop­pie di pinguini e da deputazioni di figli del Celeste Impero.

L'uomo di teatro non potrà mancar di vedere, anche in que­sta farsa, lo spettacolo. Che -  sia­mo certi -  lo spettatore italiano godrebbe, lui pure, per quel che esso gli potrebbe offrire. Non cioè il riso dal supermo e quasi meta­fisico disinteresse del Kesserling di Arsenico e vecchi merletti, ma comunque un riso sostanzioso e schiettamente liberatore.

g. e. e.

 

ATTO PRIMO

QUADRO PRIMO

La sala di soggiorno dei sigg. Stanley, in una pie cola città dell'Ohio. Gli Stanley sono evidentemente persone facoltose: la sala è piacevole, grande, co­moda, arredata con buon gusto. A destra (destra e sinistra dell'attore) porta a due battenti che im­mette nella biblioteca. In fondo, a destra ,arco at­traverso il quale si scorge la sala da pranzo; in cen­tro i gradini di una bella scala ricurva. A sinistra ampia finestra. Nel fondo, a sinistra, un'altra arcata immette nell'anticamera; in fondo a questa, altra porta che dà nell'anticucina. La porta d'ingresso non è visibile: si presume fuori della scena, in fon­do, a sinistra. La porta della biblioteca è chiusa.

La signora Stanley entra scendendo la scala. Quan­do è al terz'ultimo gradino si sente suonare alla por-fa d'ingresso. La signora sosta un attimo: poi con­tinua a scendere e si avvia verso la biblioteca. Una infermiera (la signorina Preen) emerge -  si potreb­be dire piuttosto che esce precipitosamente -  dalla camera a destra, proprio nel momento in cui si sen­te lo squillo del campanello. Una voce irritata le fa premura dall'interno :

Voce di Whiteside      - Gambe, lumacona!

Signora Stanley             - (agitata) Come sta? Uscirà dal­la stanza? (La sig.na Preen è già scomparsa in sala da pranzo. Nello stesso momento Riccardo Stanley - vent’anni - scende la scala).

Riccardo                       - (avviandosi verso la sinistra) Vado io, mamma. (John, domestico in giacca bianca, vie­ne in fretta dalla biblioteca, di cui richiude la por­ta, e comincia a salire la scala a due gradini per volta).

Signora Stanley             - Che c'è, John? Che è suc­cesso?

John                              - Vogliono due guanciali (scompare. Intan­to la signorina Preen rientra, portando un vassoio con un vasetto di marmellata e corre verso la stanza del malato).

Signora Stanley             - (alla signorina Preen) Posso esservi utile?

Signorina Preen             - No, grazie    - (via in biblioteca. Mentre essa apre la porta si sente nuovamente la voce) :

Voce di Whiteside        - Non datevi tante arie di grande clinico, con me! (Riccardo rientra dall'anti­camera portando due grossi pacchi e vari telegram­mi: la sua entrata è contemporanea alla chiusura della porta della biblioteca).

Riccardo                       - (va al divano, posa i pacchi in terra a destra del divano e i telegrammi sul tavolino che è dietro alla spalliera) Altri quattro telegrammi e altri pacchi... Babbo sta diventando furente, su, con questo campanello che suona continuamente (intan­to dalla scala è scesa Giannina, la figlia dei Sigg. Stanley: una simpatica ragazza di una ventina d'an­ni. Squilla il telefono; Giannina va all'apparecchio che è in fondo a destra).

Signora Stanley             - Dio mio! Vuoi rispondere tu, Giannina?... Che stavi dicendo, Riccardo?

Riccardo                       - (esaminando i pacchi) Uno da New York e uno da San Francisco.

Signora Stanley             - Stamattina presto ne è arri­vato uno dall'Alaska (prima che Giannina abbia po­tuto rispondere al telefono la porta della biblioteca si riapre e la signorina Preen è riapparsa. La voce le grida dietro):

Voce di Whiteside        - Non funziona mai quel vo­stro cervello di gallina?

Riccardo                       - (alla madre) Davvero?

Giannina                       - (al telefono) Pronto?... Sì, precisa­mente.

Signora Stanley             - Chi è?

Preen                             - (va verso sinistra) (risponde alla voce) Sì... sì, provvedo subito... (agli altri) Vuole delle si­garette « Player 's Club ».

Signora Stanley             - Player 's Club? (John viene dalla scala portando dei guanciali che dà a Miss Preen; quindi esce da destra in fondo).

 Riccardo                      - Devono averne da Kitchener. Faccio' un salto e vado a prenderle (via da sinistra).

Giannina                       - (sempre al telefono) Pronto... Sì, stoaspettando.

Signora Stanley             - Ditemi, signorina Preen, non, lo fanno ancora alzare?

Signorina Preen             - (con stanchezza) Lo stiamo; levando ora dal letto. Fra poco uscirà dalla stanza…Oh, grazie (via da destra).

Signora Stanley             - Oh, sono molto contenta! Ch' sa come sarà felice! (nuovamente mentre la Preen (entra nella stanza si ode la voce dell'invalido)

Voce di Whiteside        - Come un. topo in trappola in questo maledetto buco!

Giannina                       - (al telefono) Alle due? Sì, credo che! allora potrà parlare. Va bene. (Riattacca; a sua ma­dre e a suo fratello) Figurati chi era! H. G. Wells che chiamava da Londra.

Signora Stanley             - (con gli occhi fuori dalla lesta)

                                      Wells? Lo scrittore? Al nostro telefono? (Di nuovo il campanello della porta).

Giannina                       - (avviandosi) Vado io. E' un po' movimentata questa casa! (via da sinistra.

(Intanto Sara la cuoca è venuta dalla sala da pranzo con un bicchiere di succo d'arancio. Entra nel momento in cui suona il campanello).

Sara                               - Gli ho preparato il succo d'arancio.

Signora Stanley             - (mentre Sara bussa alla porta della biblioteca) Benissimo, Sara. E' fresco?

Sara                               - Si, signora (ha bussato alla porta. La porta si apre, Sara porge il succo d'arancio all'infermiera. La voce ruggisce nuovamente)

Voce di Whiteside        - Siete lenta come un. vecchio cavallo di carro funebre!

Sara                               - (raggiante) La stessa voce come alla ra­dio: precisa! (Scompare in sala da pranzo mentreGiannina torna dall'anticamera introducendo due amiche di sua madre, la signora Dexter e la signora McCutcheon: La prima porta un vaso di fiori parzialmente avvolto in carta velina, la seconda porta con molta cura quello che poi si saprà essere un vasetto di gelatina di piede di vitello).

Le due signore              - (entrando) Buongiorno.

Signora Stanley             - Lo sapete, mie care? Si sta alzando e stamattina uscirà dalla stanza.

McCutcheon                 - Davvero?

Dexter                           - Possiamo restar qui per vederlo?

Signora Stanley             - Si capisce! ne sarà felicissimo. (Giannina entra da sinistra e va verso la scala; sempre alle sue amiche).E sapete, un momento fa...?

Giannina                       - Mamma, vado su. Se hai bisogno di me...

Signora Stanley             - Cosa...? Ah, sì. Senti, Gian­nina: di' a tuo padre che scenda, per favore. Il si­gnor Whiteside sta per uscire dalla sua stanza.

Giannina                       - Va bene, mamma

(via per la scala)

Dexter                           - Dunque si alza davvero? Gli ho portato una pianta: credi che farò bene a dargliela?

Signora Stanley             - Diamine! Mi sembra un'idea molto carina.

McCutcheon                 - E un po' di gelatina di piede di vitello.

Signora Stanley             - Gentilissima! Dunque, sapete chi ha telefonato poco fa? H. G. Wells, da Londra. E guardate questi telegrammi! (le signore vanno a sinistra). Ha avuto telefonate e messaggi da tutta l'America e l'Europa. Il New York Times e poi Max Reinhart e un sacco di direttori di teatri a uomini politici... Una cosa da non credere: sonoletteralmente esaurita (siede su una poltrona in centro, verso la destra).

Dexter                           - (avvicinandosi a lei) C'è un lungo pez­zo sopra di lui sul « Time » di questa settimana. Lo hai visto?

Signora Stanley             - No. Davvero?

McCutcheon                 - (si avvicina anche lei. dà all'altra la gelatina e legge il « Time ») C'è anche il vostro nome, Ghita. State a sentire: « Sheridan Whiteside, critico, conferenziere, umorista, oratore alla radio, amico intimo di tutte le celebrità e non celebrità, i non è riuscito, la settimana scorsa, a trovare in tutto il suo spirito un'arma con la quale combattere un femore fratturato. Il falstaffiano signor Whiteside, viaggiando in provincia per uno dei suoi coasueti giri annuali di conferenze, ha trovato la sua Waterloo sotto forma di una piccola lastra di ghiac­cio sulla soglia della casa del signore e della si­gnora Stanley a Mesalia, Ohio. Risultato: conferen­ze sospese e delusione di migliaia di adoratrici nell'Omaha, Danver e altre località. Risultato successi­vo: l'idolo delle radioascoltatrici è in riposo, fino a nuovo avviso, in casa dei meravigliatissimi signo­ri Stanley. Possibilità: forse il Natale sarà sposta­to quest'anno ». Questo, poi, che cosa vuol dire?

Signora Stanley             - (prende la rivista e legge) «...una piccola lastra di ghiaccio...» Pensate!

McCutcheon                 - (va a sedére sul divano) Se fosse casa mia, Ghita, farei mettere una piastra di bronzo sulla soglia, nel punto dov'è scivolato (la signora Dexter siede anche lei).

Signora Stanley             - Certo, la cosa mi ha emozio­nata infinitamente. Non va mai a pranzo da nessu­no; accetta finalmente di venire qui e va a succe­dere una cosa simile! Povero signor Whiteside! Ma sarà una cosa magnifica averlo con noi, anche per poco tempo. Pensate! La sera staremo assieme con lui a parlare di libri e di commedie e di tutte le celebrità che conosce. E parlerà in quella sua ma­niera deliziosa! Chi sa, forse potrà anche leggerci qualche cosa... (ti signor Stanley, solido, sostanzio­so, il vero tipo dell'uomo d'affari americano, scende la scala).

Stanley                          - Margherita, non posso più aspettare. Se il signor Whiteside... Ah, buongiorno signore.

Le signore                     - Buongiorno.

Signora Stanley             - (alzandosi) Uscirà a momenti dalla stanza, Ernesto; e H. G. Wells ha telefonato da Londra: il «Time» parla di noi. Guarda (porge la rivista).

Stanley                          - (ridandogliela) Non mi piace affatto questo genere di pubblicità. Quando credi che se ne andrà?

Signora Stanley             - Ha appena incominciato ad alzarsi stamattina: dopo tutto, in fin dei conti è stata una caduta abbastanza grave; e gli è toccato di rimanere a letto due settimane. Certo ora avrà an­cora bisogno di qualche giorno di riposo!

Stanley                          - Beh, è un grande onore averlo in casa, ma è un certo scombussolamento: il telefono che squilla in continuazione, il campanello della porta, fattorini che vanno e vengono... (dalla stanza dell'ammalato esce una giovane donna sulla trentina-aria donna d'affari con lettere e taccuino tra le mani. Si chiama Margherita Cutler - Maggie per i suoi amici).

Maggie                          - (chiudendo la porta della biblioteca) Scusate, signora Stanley - le sigarette non sono an­cora arrivate?

Signora Stanley             - A momenti, signorina Cutler. E' andato mio figlio a prenderle.

Maggie                          - (andando verso la poltrona a destra) Grazie.

Signora Stanley             - (presentando) Ah... la signo­rina Cutler, la segretaria del signor Whiteside.

Maggie                          - Molto lieta. Posso spostare questa pol­trona?

Signora Stanley             - (agitatissima) Sta per venire di qua? (John appare sulla soglia della porta in fon­do a destra).

Maggie                          - (spostando la poltrona, tranquilla) Sì.

McCutcheon                 - (alzandosi e andando verso la por­ta di sinistra) Sta per venire!

Dexter                           - (imitandola) Non sto più nei panni!

Signora Stanley             - Giannina! Giannina! Il signor Whiteside sta per venire!

John                              - (andando a chiamare Sara) Sara! Sara! Il signor Whiteside sta per venire!

Signora Stanley             - Sono talmente agitata che non so più cosa debbo fare.

Dexter                           - Anch'io! So soltanto che vorrei...

                                      - (Sara e John appaiono sulla soglia della stanza, da pranzo. Giannina sulla scala. La signora Stanley e le altre due signore sono tese nell'aspettativa; per­fino il signor Stanley è sul chi vive. La porta della biblioteca viene nuovamente aperta; appare il dottor Bradley con la sua borsa in mano. Deve avere avuto una buona porzione di insulti e parla con cordialità piuttosto forzata).

 Signora Stanley            - Buongiorno, dottore.

Bradley                         - Buongiorno, buongiorno. Dunque, ci siamo. Eccoci qui! Portate fuori il nostro malatino, signorina Preen. (Un attimo di pausa: quindi una poltrona a rotelle è spinta dall'infermiera attraverso la porta. E' piena di guanciali, di coperte e del si­gnor Whiteside. Sheridan Whiteside è veramente corpulento e falstaffiano. Indossa una ricercata giacca da casa di velluto e ha una grossa sciarpa al collo; assomiglia a tutte le caricature che certo sono state fatte di lui. Un silenzio quando la poltrona viene sospinta nella camera; tutti i volti sono atteggiati a un sorriso di benvenuto. La poltrona viene ferma­ta; il :signor Whiteside si guarda attorno lentamente fissando volta a volta tutti quei visi sorridenti. Le sue dita tamburellano per un momento il bracciolo della poltrona. Egli si guarda attorno ancora una volta lentamente. Maggie si avanza verso destra: il dottor Bradley si avvicina alla poltrona seguito qua­si subito dalla signora Stanley che ride nervosamen­te. Allora egli parla).

Whiteside                      - (tranquillo a Maggie) Mi vien da vomitare.

Signora Stanley             - (con una risatina nervosa) Buongiorno, signor Whiteside. Sono la signora Stan­ley vi ricordate? E questo è il signor Stanley.

Stanley                          - (avanzandosi) Come state, signor Whi­teside? Spero che stiate meglio.

Whiteside                      - Grazie. Ho incaricato il mio legale di citarvi per centocinquantamila dollari.

Stanley                          - Come? Che cosa?

Whiteside                      - Ho detto che vi ho citato per cen­tocinquantamila dollari.

Stanley                          - Volete dire... perché siete caduto sulla soglia di casa mia? -

Whiteside                      - L'avvocato Miebowitz ve lo spieghe­rà in tribunale. Chi sono quelle due arpie che stan­no lì come lo spettro della morte? (La signora Mc­Cutcheon con un piccolo sussulto lascia cadere il vaso di gelatina che va ad infrangersi a terra).

McCutcheon                 - Povera me! La mia gelatina di piede di vitello!

Whiteside                      - Fatta coi vostri piedi, senza dub­bio. E ora, signora Stanley, debbo intendermi con voi per alcune coserelle. Visto che questo ciabattino (indica il dottore) dice che devo rimanere confina­to in questa tana muffita almeno per altri dieci gior­ni - cosa che debbo unicamente alla vostra stupidi­tà e negligenza - dovrò continuare la mia attività nel miglior modo possibile. Chiedo perciò l'uso esclu­sivo di questa stanza, come di quella cloaca piena di correnti d'aria che voi chiamate biblioteca. De­sidero che nessuno venga in questa stanza o vi passi mentre ci sono io.

Stanley                          - Che volete dire, signore?

Signora Stanley             - (sbalordita) Ma noi dobbiamo passare per la scala per andare nelle nostre came­re, signor Whiteside.

Whiteside                      - Non c'è una porta di servizio?

Signora Stanley             - Ma... sì.

Whiteside                      - Allora vi servirete di quella. Ho bi­sogno anche di una camera per la mia segretaria, signorina Cutker. E poi, aspettate. Avrò molte te­lefonate e dovrò farne molte anch'io; perciò vi pre­go di non adoperare il telefono. Dormo fino a mez­zogiorno e fino a quell'ora non voglio sentir rumo­re in casa. Oggi avrò cinque persone a pranzo. Do­v'è la cuoca?

Stanley                          - Signor Whiteside, se posso interrom­pervi un momento...

Whiteside                      - Non potete; (alla Preen che gli sta aggiustando i guanciali) Volete togliere dalla mia poltrona quella mano viscida? Pare di sentirsi toc­care da un cobra in fregola!... E ora, volete andar­vene tutti tranquillamente o debbo pregare la mia segretaria di passare in mezzo a voi con una maz­za da golf? (Le signore Dexter e McCutcheon batto­no frettolosamente in ritirata; là Dexter ha ancora fra le mani il suo dono floreale).

McCutcheon                 - Beh... arrivederci, Ghita.. Ti tele­foneremo... Ah, no, non dobbiamo usare il telefono. Beh... ci vedremo.

Dexter                           - Arrivederci. (Via entrambe).

Stanley                          - (spavaldo; attacca dopo che la McCutcheon ha. detto « usare il telefono » Sentite, si­gnor Whiteside...

Whiteside                      - Non c'è da discutere, signore. Con­siderando il danno che ho subito per causa vostra, la mia richiesta è modestissima. Buongiorno.

Stanley                          - (dominandosi a stento va a sinistra ed esce) Ti chiamerò più tardi dall'ufficio, Ghita,

Whiteside                      - Non a questo telefono, prego. (Stan­ley gli dà un'occhiata ma se ne va) Ecco la lista del desinare. (Porge un foglietto alla Signora Stanley).

Signora Stanley             - Ma... io l'ho già ordinato.

Whiteside                      - Ve lo serviranno di sopra con. un vassoio. La stanza da pranzo serve a me per i miei ospiti... Dove sono queste sigarette?

Signora Stanley             - Ma... mio figlio è andato a prenderle. Non so perché non sia ancora... Tenete, Sara: ecco la lista per il desinare. (Porge il foglio a Sara) Il mio... me lo manderete di sopra col vas­soio. (Sara e John escono in fondo a destra).

Whiteside                      - (a Giannina, che durante tutto questo tempo è rimasta appoggiata alla ringhiera della sca­la) Signorina, io detesto l'indecisione. Volete sa­lire quella scala o scenderla? (Giannina sta per ri­spondere: ma decide di no e sale la scala con disin­voltura. La signora Stanley sta ondeggiando con pas­so malfermo sui gradini quando Riccardo rientra con le sigarette).

Riccardo                       - (andando verso destra) Oh, buongior­no, signor Whiteside. Ecco la sigarette, scusatemi se ho tardato tanto... Son dovuto andare in tre ne­gozi diversi.

Whiteside                      - Col tempo che siete stato via avre­ste potuto avere un bambino! (Riccardo è eviden­temente sbalordito. I suoi occhi vanno a sua madre la quale gli fa cenno di raggiungerla. Scompaiono insieme continuando a fissare Whiteside) Ci sarà al mondo un altr'uomo che soffre come me per le enor­mi manchevolezze della razza umana! (A miss Preen che sta nuovamente gironzolando intorno alla sua poltrona cercando di aggiustargli le coperte) Cosa fa­te? Andate di là a leggere la vita di Fiorenza Nightingale: imparerete così come siete inadatta alla professione che avete scelto. (La Preen lo guarda: ma va via a destra lasciando la porta aperta).

Bradley                         - (cordialone, avvicinandosi alla poltrona) Beh, credo di potervi lasciare tranquillamente nelle mani sapienti della signorina Cutler. Volete che torni un. momento nel pomeriggio?

Whiteside                      - Se venite, vi sputerò dritto in un occhio!

Bradley                         - Ah, come piace lo scherzo a voialtri scrittori! A proposito, veramente non vale la pena di parlarne, ma... ho scritto qualche cosetta anch'io. Sulle mie esperienze di medico.

Whiteside                      - (con gli occhi semichiusi, come se il dolore fosse troppo acuto per essere sopportato) Preso in trappola.

Bradley                         - (frugando nella sua borsa) Benone! Ne ho giusto una copia qui... (Trae un enorme mano­scritto e Lo posa sulle ginocchia di Whiteside) « La storia di un modesto seguace di Esculapio, ovvero quarant'anni di esperienza di un medico provin­ciale ».

Whiteside                      - Lascerò cadere tutto a terra.

Bradley                         - Grazie. Spero che vi piacerà. Beh, ci vediamo domani. Tenete ferma la gamba e non di­menticate quelle pilloline. Buongiorno. (Via da si< ni s tra).

Whiteside                      - (seccato a Bradley) Ufff! (a Mag­gie) Maggie, vuoi prendere «Quarant'anni sotto l'om­belico» o come diavolo si chiama? (le porge il ma­noscritto che Maggie va a posare su un mobile in fondo a destra).

Maggie-                         - (tornando verso di lui) Beh, bisogna convenire che vi siete comportato con là vostra con­sueta grazia e gentilezza.

Whiteside                      - Senti, gattina... non ho nessuna vo­glia di discutere sul mio comportamento, buono o cattivo che sia. Non avevo nessun desiderio di var­care questa malinconicasoglia. Sono stato infastidito e tormentato perché acconsentissi. Ora, dopo due settimane di atroci sofferenze, vengo accusato di essermi comportato sgarbatamente. Che cosa do­vevo fare? Abbracciarli?

 Maggie                         - (cedendo) E va bene, cherry. Dopo die-ci anni dovrei sapere che è inutile cercare di far-] vi cambiare modo di fare. Ma quando finalmente rinuncerò a questo impiego, scriverò un libro che intitolerò: « Attraverso la vita insieme al Principe Grazioso ». (Gli getta delle lettere).

Whiteside                      - Senti, Repulsiva: tu sei legata a me con un cordone ombelicale fatto con delle corde di pianoforte. Ed ora, se vogliamo lasciare l'argomento del mio fascino, per il quale, tra parentesi,! ricevo 1500 dollari ogni volta che me ne servo... (Entra Enrichetta da sinistra) potremmo lavorare unì pochino... Ah, no, non possiamo. Desiderate? (Que­sta domanda è rivolta - mentre Maggie va verso il fondo - a una signora tipo fantasma, d'età incerta,' che si è introdotta in maniera più o meno ondeg­giante nella stanza. Ha fra le braccia un ramo di a-grifoglio e tutto il suo modo di fare da l'idea di\ qualche cosa di irreale).

Enrichetta                     - (si avvicina a lui. Anche la sua voce sembra ondeggiare) Mi chiamo Enrichetta Stan­ley. So che voi siete Sheridan Whiteside. Ho visto; questo agrifoglio che splendeva con le sue bacche in mezzo ai pini e mi sono ricordato quello che ave­te scritto su « Tess » e su «Giuda l'oscuro ».. E' il più bel dono che io potessi portarvi. (Gli posa l'agrifoglio in grembo e se ne va salendo la scala).

Whiteside                      - (seguendola con lo sguardo) Per l'amor di Dio, che roba è questa?

Maggie                          - (va a prendere i pacchi che sono accanto al divano e li porta su una poltrona a destra) E' la sorella del signor Stanley, Enrichetta. Ho parlato qualche volta con lei. E' un po' pazza.

Whiteside                      - Pazza? Sembra uscita da una sto­ria di fantasmi... Ma sai che mi pare di aver già visto quella faccia?

Maggie                          - (mentre posa i pacchi) Storie. Non. po­tete averla mai vista.

Whiteside                      - (lasciando cadere l'argomento) Oh, beh! Pensiamo a lavorare. (Le porge il fascio di a-grifoglio) Tieni. Mettilo sul libro del dottore. (Mag­gie mette sul divano. Whiteside prende la prima let­tera; è una circolare reclame) Perché poi dovrei a-doperare i busti indeformabili... (Appallottola la let­tera e la lascia cadere).

Maggie                          - (ha preso i telegrammi sul tavolino dietro al divano) Qui ci sono dei telegrammi.

Whiteside                      - (con una lettera in mano) Quanti ne abbiamo oggi?

Maggie                          - Dieci dicembre. (Siede sul divano).

Whiteside                      - Manda un telegramma a radio Co­lumbia: « Potete stabilire la mia trasmissione della vigilia di Natale dalla stazione di New York, perché tornerò colà anziché proseguire per Hollywood. Stop. Per la trasmissione speciale ultimo dell'anno avrò ospiti Tito Schipa, Caterina Cornell, Schiapa-relli, il dottor Carrell con Hailé Selassiè sulle onde corte dall'Inghilterra. Whiteside ».

Maggie                          - Siete sicuro di stare bene per Natale, Sherry?

Whiteside                      - Sicurissimo... Manda un telegramma al Mahatma Gandhi, Bombay, India. « Caro Bu-Bu, cambiato programma. Potete trovarvi Calcutta 12 Luglio? Pranzo alle otto e trenta. Whiteside». Arturo Toscanini... Dov'è?

Maggie                          - (mentre stenografa) Lo troverò. Dite pure.

Whiteside                      - « Conto su voi 4 gennaio Metropo­litan mio concerto annuale a beneficio liberandi dal carcere. Sapete che è opera degnissima e assai vi­cina mio cuore. Tibbet, Schipa, Martinelli mi hanno promesso personalmente di partecipare. Volete cenare tranquillamente dopo concerto con me ed Ethel Barrymore? Whiteside ». (il telefono squilla. Maggie passa dietro Whiteside per andare a rispon­dere) Se è per la signora Stanley, rispondi che è troppo ubriaca per venire al telefono.

Maggie                          - (al telefono) Pronto... Come?.. Holly­wood?

Whiteside                      - Se è Goldwin, riattacca.

Maggie                          - Hello, Banjo! (il suo volto si illumina),

Whiteside                      - Banjo? Dammi il telefono.

Maggie                          - Banjo, vecchio rubacuori! Come state, carissimo?

Whiteside                      - Avanti, dammelo!

Maggie                          - Zitto, Sherry (al telefono) Venite da queste parti, Banjo? Mi mancate tanto..: Oh, Sherry è vivo e verde!

Whiteside                      - Finiscila di spettegolare e dammi il telefono.

Maggie                          - In questo momento mi sta insultando... Eccolo! (Dà il telefono a Whiteside rimanendo die­tro la poltrona).

Whiteside                      - (prendendo il telefono) Come stai, vecchio cortigiano? E cosa mi regali per Natale? (Grande risata per la risposta di Banjo) Che novità, ragazzo mio? Come viene il film?... E come stanno Stanlio e Ollio? No, no, sto benissimo... Sì, sono in ottime mani. Ho il miglior veterinario della città... E tu? Ti diverti?... Giuochi a carte?.... Come?... (Ri­de di nuovo di cuore) Beh, non spogliarlo del tutto: lascia qualche quattrinello per me... Cosa? Ti fai fa­re il ritratto? Da chi?... Accidempoli!... No, ritorno a New York. Mi fermo qui ancora una dozzina di giorni e poi vado a Dorrnouth per il Festival Dram­matico... No, non puoi capire... Beh, non posso per­der tempo a discorrere con tutti gli idioti di Holly­wood. Bacia per me Louella Parson. Ciao; (Riattac­ca e si volge a Maggie, la quale mette il telefono sul tavolino a destra) Ha vinto 1400 dollari a Samuel Goldwin ieri sera, giocando a carte, e Sam gli ha detto che non vuol più giocare con lui.

Maggie                          - Cos'è questa storia del ritratto?

Whiteside                      - Se lo fa fare da quel gran pittore italiano che è a Hollywood... E' proprio quel che ci vuole per il suo viso: un pittore surrealista... (En­tra miss Preen) Che cosa volete adesso, signorina scaldaletto? (Maggie va al tavolino dietro al divano, La Preen è entrata con aria un po' apprensiva).

Signorina Preen             - E'... per le vostre pillole. Una ogni tre quarti d'ora. (Gli lascia cadere in grembo la scatoletta e fugge da destra. Maggie apre un tele­gramma).

Whiteside                      - (seguendo la Preen con lo sguardo)... ...Che stavamo dicendo?

Maggie                          - (si avvicina col telegramma in mano) Qui c'è un cablogramma della vostra cara amica Lorena Sheldon.

Whiteside                      - Fammi vedere.

Maggie                          - (legge il telegramma in tono che è la per­fetta imitazione di Lorena Sheldon: intanto si av­vicina a Whiteside) « Sherry, povero agnellino mio, sono stata in Iscozia a caccia con Lord e Lady Cunard e ho saputo della vostra povera gamba ». (Continua a leggere) « Sono qui nel Surray con Lord Bottomley. Parto mercoledì col « Normandie » e non vedo l'ora di riabbracciarti mio povero Sherry. Tuo Fior-di-pesco Lorena ». ...Parlando come il mae­stro, mi vien da vomitare.

Whiteside                      - Non essere amara, gattina; tutto perché Lorena è più bella di te!

Maggie                          - Lorena Sheldon è un campione del cir­colo piccolo ma vizioso entro il quale abitualmente vi muovete.

Whiteside                      - Questa è pura e semplice gelosia di donna... Dammi quegli altri telegrammi.

Maggie                          - (borbotta fra sé mentre va a portargli i dispacci) Lorena Sheldon... Lord Bottomley... Me li saluti tanto... (Torna versò il fondo).

Whiteside                      - (che ha aperto un telegramma) Ah! E' del «tesoro della famiglia!».

Maggie                          - (riavvicinandosi) Oh, il nostro vaga­bondo? (Guarda da sopra la spalla di Whiteside).

Whiteside                      - Uh-hm         - (Legge) « Cara la mia gioia, cos'è questa storia di un femore fratturato durante qualche rissa in un postribolo? Vorrebbe forse dire che il nostro ricevimento natalizio a Hollywood va a monte? Finita nuova commedia a Pago-Pago, ma­gnifica. Lascio Honolulu insieme a un ukulele domat­tina. A proposito, Sultano Zanzibar desidera cono­scere Ginger Rogers. Pensiamoci, Tuo Oscar Wilde ».

Maggie                          - (va a sedere sul divano) Viaggia parec­chio, quel mattacchione, non vi pare? Sarebbe ca­rino se, tanto per cambiare, il mondo si mettesse a girare intorno a lui, al nostro Beverly Carlton.

Whiteside                      - La settimana prossima a Hollywood. Perché non potrebbe fermarsi qui mentre va a New York? Mandagli un cablogramma: « Beverly Carlton, Hotel Royal Hawaiano, Honolulu » (Il campanello della porta suona: Whiteside ha l'aria seccata) Se questa gente lascia che i loro amici entrino dalla porta principale... (John entra da sinistra).

Maggie                          - Come volete che facciano: che usino una scala di corda? (John attraversa la scena per andare ad aprire).

Whiteside                      - Non voglio che un sacco di idioti arrugginiti vadano avanti e indietro in questa casa mentre ci sono io... (Si interrompe sentendo la voce di John).

Voce di John                 - Oh, buongiorno, signor Jefferson.

Voce di Jefferson         - Buongiorno, John.

Whiteside                      - (ruggisce mentre Maggie si alza e va verso il fondo) Non c'è nessuno in casa! Gli Stan­ley sono stati arrestati perché facevano la tratta del­le bianche! Andate via! (Ma il visitatore è già ap­parso sotto l'arco a sinistra. E' un interessante gio­vinotto poco più che trentenne).

Jefferson                       - (avanzandosi) Buongiorno, signor Whiteside. Sono Jefferson, del «Corriere di Mesa­lia ».

Whiteside                      - (sottovoce a Maggie) Caccialo via.

Maggie                          - (bruscamente) Mi dispiace... ma il si­gnor Whiteside non. riceve nessuno.

Jefferson                       - Davvero?

Maggie                          - Perciò vogliate scusarci. Buongiorno.

Jefferson                       - (non cede) Mi pare che il signor Witeside sia alzato e si accorga di quanto accade.

Maggie                          - Non credo che si accorga dell'esisten­za del « Corriere di Mesalia ». Avete capito?

Jefferson                       - (misurandola con gli occhi) Sentite, se debbo essere insultato, vorrei esserlo dal signor Whiteside personalmente. Non mi sono mai piaciu­te le copie fatte con, la carta carbone.

Whiteside                      - (si guarda attorno; è interessato) Hm, toccato, se non sbaglio. E proprio a Mesalia, cara Maggie.

Maggie                          - (continuando nel suo intento) Volete farci il piacere di andarvene?

Jefferson                       - (non le bada. Va verso Whiteside) Che ne direste di un'intervista, signor Whiteside.

Whiteside                      - Non. ne concedo mai. Andatevene.

Jefferson                       - Signor Whiteside, se non ottengo questa intervista, perdo l'impiego.

Whiteside                      - Non me ne importa proprio niente.

Jefferson                       - Non dite questo, signor Whiteside. Siete stato anche voi giornalista. E sapete come so­no i direttori dei giornali. Il mio è peggiore di quan­ti ne siano mai esistiti.

Whiteside                      - Non riuscirete neanche dicendomi questo. Se non vi piace il direttore, piantate il gior­nale.

Jefferson                       - Giustissimo; ma vedete, il giornale mi sembra abbastanza buono. E poi... era il giornale di mio padre. E' una questione sentimentale, per me. Vorrei continuare come lo ha lasciato lui.

Whiteside                      - Ah-ahh. Dunque il giornale è vo­stro, eh?

Jefferson                       - Precisamente.

Whiteside                      - E allora quel terribile direttore, quel giornalista apocalittico, siete voi stesso?

Jefferson                       - Per dirlo con due parole sole, sono io.

Whiteside                      - (ridacchia approvando) Capisco.

Maggie                          - (seccata va verso destra) In avvenire, Sherry, prevenitemi quando non volete parlare con qualcuno: lo introdurrò subito. (Via in biblioteca).

Whiteside                      - Giovinotto... avvicinatevi. Immagi­no che abbiate scritto un romanzo?

Jefferson                       - (avvicinandosi) No. Ho scritto una commedia.

Whiteside                      - Beh, non ho nessuna voglia di leg­gerla. Ah, mi pare che le mie brune pupille vedano su quel tavolino una scatola di dolci. Volete darme­la, per favore?

Jefferson                       - (va al tavolinettó) Il fatto si è, si­gnor Whiteside, che la vostra presenza in questa città è un avvenimento di somma importanza. Il più importante che si sia verificato da anni. Perciò deb­bo necessariamente scrivere un articolo. (Gli porge un dolce).

Whiteside                      - (esaminando il dolce) Hm. (Miss Preen esce dalla biblioteca per andare in cucina con un vassoio su cui sono piatti vuoti: vede Whiteside col dolce in mano. Ha lasciato la porta aperta).

Pbeen                            - (andando verso Whiteside) Dio mio! Non dovete mangiar dolci, signor Whiteside. Vi fanno male.

Whiteside                      - (voltandosi) La mia prozia Ginevra mangiava tutti i giorni un'intera scatola di candi­ti. Visse fino a centodue anni; e tre giorni dopo la sua morte era come siete voi adesso. (Si volge tran­quillamente verso il suo visitatore, mentre mangia il candito) Dicevate, vecchio amico? Che cosa sta­vate dicendo?

Jefferson                       - (mentre la Preen esce frettolosa) Al­meno potrò riferire ai miei lettori che la cavalleria non è morta.

Whiteside                      - Non ne parliamo... Dunque, ora che con le vostre buone maniere siete riuscito nel vostro intento, che cosa volete sapere?

Jefferson                       - Se mi diceste qualche cosa intorno ai delitti celebri? Voi siete un'autorità in fatto di a-ssassinii considerati dal punto di vista artistico.

Whiteside                      - Ragazzo mio, quando parlo di de­litti mi pagano. Ho fatto più quattrini io col caso Sidney-Gray, di quanti ne abbiano fatto gli avvoca­ti. Quindi non vi sognerete che faccia questo gra­tuitamente!

Jefferson                       - Allora ditemi che cosa pensate di Mesalia, quanto tempo vi rimarrete, dove andrete dopo: insomma, cose di questo genere.

Whiteside                      - Benissimo. A) Mesalia è una città piena di attrattive. B) Non vedo l'ora di lasciarla e C) da qui andrò a Crockfield per la mia visita se­mestrale alla Casa dei Liberandi e liberati dal car­cere, per la quale, negli ultimi cinque anni, ho rac­colto ben mezzo milione di dollari. E dopo andrò a New York. Siete mai stato a Crockfield, Jefferson?

Jefferson                       - Mai. Ma ne ho sempre avuto l'inten-zione.

Whiteside                      - Come giornalista dovreste andarvi, invece di stare a perdere tempo con me. E' solo a dieci chilometri da qui. Sapete com'è sorta l'istitu­zione? (Ha messo la scatola di dolci sul bracciuolo della poltrona).

Jefferson                       - No, non l'ho mai saputo.

Whiteside                      - Sedete, ve lo racconto io. (Jefferson siede sul bracciuolo del divano) E' una delle storie più commoventi della nostra generazione. Nel feb­braio del 1901, mentre una piccola donna che ha legato il suo nome a un'epoca, Vittoria, stava moren­do nel castello di Windsor, Elia Crockfield usciva dalle patrie galere irritato, amareggiato, più duro e crudele di quando vi era entrato. Non sapendo che fare, entrò in una chiesetta. Ma non per pregare: nessuna bontà era nel suo cuore, nessuna parola d'a­more sulle sue labbra. Si avvicinò alla cassetta delle elemosine e con mani irriverenti l'aperse e afferrò avidamente le monete che la fede di gente semplice vi aveva gettate. In quell'istante una vocetta infantile ruppe il silenzio crepuscolare. Per piacere, signor uomo, mi lasciate metter lì dentro questo penny? Era una bimbetta di cinque anni, coi riccioli d'oro che le cadevano sulle spalle. Fu come se una porta chiusa si aprisse nel cuore di Elia Crockfield: nella sua mente era germogliata un'idea. Venticinque an­ni dopo tremila liberati dal carcere passeggiavano sui prati di Crockfield Home, nuotavano nelle sue piscine, trasmettevano concerti con la loro orchestra dalla loro stazione radio. Elia Crockfield è tornato da molto tempo al Creatore, ma la bimbetta coi ca­pelli d'oro, che adesso è una bella donna, è stata soprannominata l'Angelo di Crockfield. (Maggie è entrata da destra) E nel salone della casa, fra due quadri d'autore, è la fotografia della piccina...

Maggie                          - (interrompendolo) Ma sì; e nella lavan­deria, ogni vigilia di Natale, appare il fantasma di Crockfield... Uff! Volete firmare, per favore? (Gli porge una lettera. Il campanello della porta. Jeffer­son si alza).

Whiteside                      - Questa acida creatura la tengo con me per una sola ragione: perché è l'unico sostegno di un fratello nato con due teste. (Firma la lettera e la rida a Maggie).

Jefferson                       - (andando a prendere il suo cappello e avviandosi verso l'uscita) Capisco... Beh, mille grazie, signor Whiteside. Siete stato molto gentile. A proposito: sono un discreto giocatore di écarté,m se a volte vi facesse piacere, finché siete qui, fare una partita. (John entra da sinistra e attraversa per andare in anticamera).

Whiteside                      - Benone. Quando potete darvi il lusso di perdere?

Jefferson                       - Di solito, vinco.

Whiteside                      - E' quel che vedremo. Venite alle otto e mezzo. Faremo intervenire anche madamigella Limone...

Metz                              - Sherry! (John ha introdotto uno strano ometto sulla cinquantina; costui ha i capelli in disordine e gli abiti troppo larghi. John porta un pacco che depone sul tavolino in fondo a sinistra).

Whiteside                      - Metz! Metz, inverosimile cacciatore di insetti! Che diamine fate da queste parti?

Metz                              - (viene verso il centro, lieve accento teutonico) Ora spiego, Sherry. Prima dò un bacio a mia piccola Maggie.

Maggie                          - (va ad abbracciarlo) Caro Metz, che bella sorpresa!

Whiteside                      - Metz l'incantatore! Jefferson, vi trovate davanti al professore Adolfo Metz, la maggiore autorità del mondo per quanto riguarda la vita degli insetti.

Jefferson                       - Molto lieto.

Metz                              - Felicissimo. Come state, Sherry?

Whiteside                      - Finite di guardarmi con adorazione, Metz, e ditemi perché siete qui.

Metz                              - (va a destra di Whiteside Maggie a destra del divano) Voi ammalato, Sherry, perciò sono i venuto ad allietarvi.

Whiteside                      - Pensate, Jefferson, che per due anni quest'uomo è vissuto in una spelonca senz'altra compagnia che i pidocchi delle piante. Ci sono tre pagine dedicate a lui nell'Enciclopedia Britannica. Non è vero, mio piccolo lumachino?

Metz                              - Prego, Sherry: mi fate arrossire. Guardate, vi ho portato un regalo, per farvi passare il tempo. Prego... (Porta una sedia vicino alla poltrona di Whiteside; poi accenna a John il quale porta sulla sedia il pacco coperto di tela marrone) Ho detto ai miei studenti: « Ragazzi e ragazze, desidero portare un dono al mio amico ammalato Sheridan Whiteside ». E allora, sapete che abbiamo fatto? Abbiamo messo assieme per voi una famiglia di « Peri-pianeta americana », scarafaggi americani. Attenzione, Sherry! Scarafaggiopoli! (Strappa la tela marrone) Qui dentro vi sono diecimila scarafaggi.

John                              - Diecimila... (Precipitandosi verso la cucina. molto eccitato) Sara! Sara! Roba dell'altro ì mondo! (Esce in fretta).

Metz                              - E fra una settimana, Sherry, se tutto va bene, saranno cinquantamila.

Maggie                          - Se tutto va bene? E che cosa potrebbe andar male? Sono chiusi lì dentro, no?

Whiteside                      - (fissandola) Silenzio, per favore.

Metz                              - Potete osservarli, Sherry, mentre vivono la loro vita... Guardate! (Jefferson si avvicina) Qui I è la sala di maternità. E' una cosa affascinante. Fanno tutto come gli esseri umani.

Maggie                          - Puah! (Disgustata).

Whiteside                      - Ti prego, Maggie: questi sono i miei scarafaggi.

Maggie                          - Scusate. (Va dietro alla poltrona).

Whiteside                      - Continuate, Metz.

Metz                              - Con questa cuffia, Sherry, potete udire i loro richiami nuziali. Vi sono dei microfoni nell'interno della scatola. (Jefferson va dietro alla poltrona di Whiteside) Ascoltate! (Ha messo gli ascoltatori alle orecchie di Whiteside che ascolta interessato).    

Whiteside                      - Hmmm. Da quanto tempo dura questo? (La Signora Stanley sta scendendo la scala).

Metz                              - (annusa l'aria, va a destra e poi in centro. S A un tratto il suo volto si illumina) Aha! Pari-pianeta americana! Ci sono degli scarafaggi in questa casa! (Quest'ultima frase è rivolta alla sig. Stanley).

Signora Stanley             - (urtatissima) Siete pazzo! (Whiteside. porge la cuffia a Metz: Jefferson va a destra. Il campanello della porta suona) Signor Whiteside, non so chi sia quest'uomo, ma non rimarrò qui se...

Whiteside                      - E allora andatevene su. (John entra da sinistra e attraversa per andare ad aprire) Pro­babilmente sono i miei invitati. Metz, naturalmente rimanete con me tutto il giorno.

Metz                              - Si capisce.

Whiteside                      - Jefferson, desinate con noi?

Jefferson                       - Con molto piacere. (Dal fondo en­trano tre detenuti con un guardiano).

Whiteside                      - Maggie, avvertite che ci sono due persone di più a mangiare. (Maggie via dal fondo) Avanti, Baxter. Buongiorno, signori. (i Signori so­no due bianchi e un negro. Hanno l'aspetto di de­linquenti come sono. Abito grigio da carcerati, am­manettati. Baxter, la guardia, è armato di moschet­to) Jefferson, ecco i frutti della conversione di Crockfield. Questi uomini, agli ultimi mesi della lo­ro detenzione, hanno chiesto di essere ospiti dell'i­stituzione. Ed oggi sono venuti qui per udire da me qualche cosa sulle sue tradizioni. Signori, io invi­dio la vostra grande avventura. (A uno degli am­manettati) Voi siete Michaelson, vero? Assassino di un macellaio?

Michaelson                    - (mentre tutti vengono verso il cen­tro) Sissignore.

Whiteside '                    - Mi era sembrato di riconoscervi... Quest'ultimo, Jefferson... (abbassa la voce) è Henderson. Vi ricordate? Tagliò a pezzi la moglie...

John                              - (entra da destra) Il pranzo è servito.

Whiteside                      - Bene. Andiamo, signori. (i detenuti e la guardia vanno in sala da pranzo).

Jefferson                       - (avvicinandosi a Whiteside) Posso aiutarvi?

Whiteside                      - Grazie. (Alza la voce mentre Jeffer­son lo spinge in sala da pranzo, preceduto da Metz), Abbiamo fegatini di pollo alla Terrazzini e torta di ciliege. Spero che tutti gli stomachini abbiano i suc­chi gastrici in buono stato. (Il sipario comincia a chiudersi) John, chiudete la porta. Non voglio che un sacco di curiosi stia a ficcanasare mentre man­gio! (La porta viene chiusa, solo la Signora Stanley è rimasta fuori. Essa si accascia quietamente sotto questa nuova insolenza).

SIPARIO

QUADRO SECONDO

Una settimana dopo. Tardo pomeriggio. Porte del­la sala da pranzo e della biblioteca aperte. Una sola lampada è accesa.

La stanza ha, in questa settimana, preso qualche cosa del carattere di chi la occupa. Libri e giornali ovunque. Pile di libri sulle tavole; qualcuno non interamente fuori dall'astuccio di cartone. Una mezza dozzina di volumi, che evidentemente non sono stati di gusto del Maestro, sono stati gettati a terra. Gior­nali sgualciti attorno alla poltrona di Whiteside; una scatola di dolci vuota è scivolata dal suo grembo. Su di una sedia è gettato un vecchio paio di calzo­ni; su un'altra un logoro accappatoio da bagno. Un bel vaso cinese è stato tolto dal posto che occupava e funziona da portacenere.

Whiteside dorme sulla sua poltrona, con la cuffia alle orecchie: sulla sedia accanto è Scarafaggio poli. Evidentemente il Maestro si è assopito mentre ascol­tava i richiami nuziali dei Perplaneta americana. Per un momento si ode soltanto il suo respiro rit­mico. Poi dalla biblioteca entra miss Preen. Porta una medicina: un bicchiere pieno di una tenebrosa bevanda. Vedendo che Whiteside dorme, si ferma indecisa: poi gli tocca lievemente una spalla. Lui si muove appena: allora lo tocca di nuovo.

Whiteside                      - (aprendo lentamente gli occhi) Sta­vo sognando Joan Crawford e mi sveglio per tro­vare voi! (Si toglie i ricevitori).

Preen                             - La vostra... la vostra medicina, signor Whiteside.

Whiteside                      - (prendendo il bicchiere) Che ora è?

Preen                             - Quasi le sei e mezzo.

Whiteside                      - Dov'è la signorina Cutler?

Preen                             - E' uscita. (Entra John da destra in fondo).

Whiteside                      - Uscita?

 Preen                            - Col signor Jefferson. (Va in biblioteca lasciando la porta aperta. Intanto John è andato a girare gli interruttori di un applique).

John                              - Disturbo se accendo, signor Whiteside?

Whiteside                      - Al contrario. Fate pure, John.

John                              - (va ad accendere il lampadario) Sara ha una cosa per lei, signor Whiteside. Fatta espressa­mente!

Whiteside                      - Davvero? Dove è? La mia regina delle Creme!

Sara                               - (entra orgogliosa con un vassoio su cui è la sua ultima creazione e si avvicina) Eccomi, si­gnor Whiteside.

Whiteside                      - Cammina in bellezza come la notte e in quelle mani è l'arte di Michelangelo. Fatemi as­saggiare questa nuova squisitezza. (Con una mano versa nel vaso cinese la medicina e con l'altra pren­de uno dei pasticcini non tanto minuscoli di Sara e lo manda giù in un boccone. Un'espressione estatica si dipinge sul suo volto) Poesia! Pura poesia!

Sara                               - (raggiante) Ho messo nella pasta qualche goccia di kummel. Le piace?

Whiteside                      - (deliziato) Ambrosia!

Sara                               - E per pranzo, ho trovato i beccaccini del Maryland che lei desiderava.

Whiteside                      - Ho conosciuto tre grandi cuoche in vita mia. Una è presso il Khedivè d'Egitto, un'altra da mia zia Ginevra e la terza siete voi, Sara.

Sara                               - Oh, signor Whiteside!...

Whiteside                      - (abbassando la voce e facendo cenno a entrambi di avvicinarsi) Ditemi, non vi piace­rebbe venire a New York al mio servizio? Voi e Johnny? (John si è avvicinato).

Sara                               - Oh Dio, signor Whiteside!

John                              - Sara!

Sara                               - Mi fa mancare il respiro!

John                              - Sarebbe magnifico, signor Whiteside; ma che cosa dire ai signori Stanley?

Whiteside                      - Direste loro « buongiorno ».

Sara                               - Ma... sarebbero irritatissimi! Sono sempre stati così buoni con noi...

Whiteside                      - (leggermente) Beh, se capitano a New York possiamo farli venire a pranzo a casa, se io non sono in città. Ora andate e pensateci so­pra. E' un piccolo segreto che abbiamo fra noi. E mettete molto vino di Oporto nei beccaccini... Si­gnorina Preen! (Sara e John si ritirano evidente­mente eccitati. La voce di Whiteside si alza al tono di ruggito) Signorina Preen!

Preen                             - (appare ansimante; asciugandosi le mani) Eccomi, eccomi!

Whiteside                      - Che diamine stavate facendo? L'a­more con qualche soldato?

Preen                             - Stavo... mi stavo lavando le mani.

Whiteside                      - A che ora è uscita la signorina Cu­tler?

Preen                             - Un paio d'ore fa.

Whiteside                      - Il signor Jefferson è venuto a pren­derla?

Preen                             - Sissignore.

Whiteside                      - (con impazienza) Va bene, va bene. Tornate pure alla vostra vita sessuale. (Miss Preen via. Whiteside cerca di rimettersi a leggere, ma è evidentemente con la mente altrove. Si agita sulla poltrona; guarda con desiderio verso la porta d'u­scita. Dalla scala scende Enrichetta; sembra felice di trovare Whiteside solo).

Enrichetta                     - (Viene verso il centro aprendo una cartella che ha portato con sé) Caro signor Whi­teside, posso mostrarvi qualche ricordo del passato? Credo che dobbiate amarli come li amo io.

Whiteside                      - Con piacere. (La osserva) Miss Stan­ley, non ci siamo già incontrati in qualche luogo, noi?

Enrichetta                     - Oh, no. Me ne rammenterei. Sa­rebbe uno dei miei più cari ricordi... come questi. (Gli mette davanti la cartella) Guardate! Qui sono io col mio primo fidanzato, sotto i nostri begli alberi di faggio. Io avevo otto anni e lui ne aveva dieci. Non l'ho mai dimenticato. Che belle ore passavamo insieme. Che caro... (Si interrompe ad un tratto u-dendo passi sulla scala).

Stanley                          - (da sopra) Ti dico che ci vado!

Enrichetta                     - Viene qualcuno! Tornerò più tardi... (Raccoglie la cartella e svanisce in sala da pran­zo. Whiteside la segue con lo sguardo, preoccupato. Stanley scende la scala. Non scende a caso: viene evidentemente con uno scopo. Ha in mano un foglio di carta; si vede che sta per esplodere. Qualche pas­so dietro di lui viene la signora, apprensiva e ner­vosa).

Signora Stanley             - (sulla scala) Ti prego, Ernesto...

Stanley                          - Stai tranquilla, Ghita... Signor White­side, desidero parlarvi. Non mi importa se avete da fare. Ho sopportato tutto quello che potevo soppor­tare.

Whiteside                      - Davvero?

Stanley                          - Questo è il colmo. Ho ricevuto il con­to del telefono: settecento ottantaquattro dollari. (Legge dal foglio che ha in mano) Oklahoma, Cal­cutta, Hollywood, Australia, Roma, New York, New York, New York, New York... (La sua voce a poco a poco si abbassa in una serie interminabile di « New York ») Ora io mi rendo conto, signor Whiteside, che voi siete un eminente letterato...

Signora Stanley             - Sicuro, lo comprendiamo be­nissimo.

Stanley                          - Ti prego... Ma durante la settimana scorsa non abbiamo avuto la possibilità di telefo­nare ad anima viva. Non abbiamo mangiato una sola volta nella nostra sala da pranzo. La mattina mi tocca uscir di casa in punta di piedi.

Signora Stanley             - Ma Ernesto...

Stanley                          - (scansandola col gesto) E magari, ve­nendo a casa, trovo dei delinquenti che siedono alla mia tavola da pranzo assassini di macellai e si­mili. Mi mettono degli scarafaggi in cucina...

Signora Stanley             - Sono scappati, Ernesto.

Stanley                          - Questo non vuol dir nulla. Vado nella stanza da bagno e mi imbatto in ventidue studenti cinesi invitati da voi. Vi dico che non sono più di­sposto a sopportare questa storia, chiunque voi siate.

Whiteside                      - Avete finito.

Stanley                          - No, non ho finito. Stamattina sono sceso in cantina e mi trovo fra i piedi il polipo che vi ha mandato quel tale che scende nelle profondità subacquee. Vi ripeto che non. ne posso più. Signor Whiteside, desidero che lasciate questa casa... (La Signora Stanley gli batte la mano dolcemente sulla spalla) ...appena possibile, e ve ne andiate in alber­go... Finiscila, Ghita. Questo è tutto quanto avevo da dirvi.

Whiteside                      - E mi pare che sia abbastanza. Posso ricordarvi, signor Stanley, che non sono un ospite volontario di questa casa? I! dottore mi ha detto di rimanervi altri dieci giorni; e vi assicuro che allora me ne andrò, spero, più veloce del vento. Però se voi insistete perché io me ne vada prima, cagionan­do così un peggioramento delle mie condizioni, vi citerò per ogni giornata di ozio forzato, ciò che am­monterà, ve lo assicuro, a una somma non indiffe­rente.

Stanley                          - (alla moglie) E' una vera enormità, un'enormità!

Whiteside                      - Quanto ai particolari delle vostre meschine lamentele: i ventidue cinesi venivano di­rettamente dalla Casa Bianca, e vi assicuro che an­che lì si servivano della stanza da bagno!

Signora Stanley             - Ma signor Whiteside, mio ma­rito non intendeva....

Stanley                          - Intendevo perfettamente. Volevo dire tutto quello che ho detto.

Whiteside                      - Vi è una sola cosa nella quale am­metto che avete un briciolo di ragione. Non pre­tendo che paghiate le mie telefonate e provvedere a farvi rimborsare. Potete farmi sapere la cifra e-satta?

Stanley                          - Senza dubbio.

Whiteside                      - Bene. Dirò ai miei avvocati che la detraggano dai 150 mila dollari per i quali intendo citarvi... (Stanley fa per parlare, ma la rabbia lo sof­foca. Furibondo si precipita a risalire la scala).

Signora Stanley             - (seguendolo) Senti Ernesto...

Whiteside                      - (gridandogli dietro) E vi prego di non pestare il mio polipo che ha appartenuto al Pre­sidente degli Stati Uniti.

Signora Stanley             - (al marito) Non devi... non ti devi irritare. Ricordati che il signor Whiteside è nostro ospite. (Via entrambi. Rimasto solo White­side gode del suo trionfo per un momento; quindi la sua mente si volge ad altri argomenti più impor­tanti. Guarda l'orologio, riflette un momento, quindi si spinge da solo fino al telefono).

Whiteside                      - (al telefono) Per favore, datemi il « Corriere di Mesalia ». (Mentre aspetta guarda Scarafaggiopoli e picchia sul vetro) Pronto, Corriere?... C'è il signor Jefferson?... A che ora torna? No, nes­suna ambasciata. (Riattacca, tamburella con impa­zienza sul bracciolo della poltrona. Dall'ingresso en­trano Riccardo e Giannina. Whiteside si volta bru­scamente sentendo il rumore della porta. 1 due gio­vani sono impellicciati ed hanno i pattini sotto il braccio; Riccardo ha anche una macchina fotogra­fica a tracolla. Vedendo che Whiteside è nella stan­za cambiano contegno: sgusciano verso la scala cer­cando di passare inosservati).

Whiteside                      - Venite qui, voialtri... Avanti, avanti: non ho intenzione di mordervi! (i due ragazzi ven­gono verso il centro) Sentite. Io sono per mia natu­ra una persona gentile e simpatica. E quando esa­gero, esagero solo in bontà e cortesia. Ho avuto cam­po di osservarvi in questa settimana: siete due ra­gazzi che mi piacete. Temo di essere stato      - come dire? un po' sgarbato la prima volta che ci siamo parlati. Ve ne chiedo scusa e desidero che in avve­nire non mi consideriate come un personaggio usci-Io da una novella di Edgar Allan Poe. Che ne dite della mia nuova cravatta?

Giannina                       - Grazie, signor Whiteside. Così la vita sarà molto più piacevole. E la vostra cravatta è molto bella.

Riccardo                       - Beh, ora che possiamo parlare, posso dirvi che ho molto ammirato le vostre cravatte.

Whiteside                      - Questa vi piace?

Riccardo                       - Sicuro che mi piace.

Whiteside                      - E' vostra. (Se la leva e gliela porge).

Riccardo                       - (avvicinandosi) Oh, grazie!

Whiteside                      - Veramente, la leggenda che io sia un uomo col quale è difficile vivere è inventata di sana pianta... Siete stati a pattinare, eh? Povero me! Una volta anch'io pattinavo, a braccetto con la zia di Sonia Henie, con la bandiera che sventolava die­tro di noi.

Giannina                       - Oggi si andava benissimo sul ghiac­cio. C'erano anche la signorina Cutler e il signor Jefferson.

Whiteside                      - Maggie? A pattinare?

Riccardo                       - Sicuro; ed è anche molto brava. Le ho fatto una bellissima istantanea.

Whiteside                      - Erano ancora là quando siete ve­nuti via?

Riccardo                       - Credo.

Giannina                       - Sì, sì, c'erano ancora.

Riccardo                       - Signor Whiteside, vi secca se vi fac­cio una foto? Mi piacerebbe averla.

Whiteside                      - Fate pure. Mi volete di profilo? (In­dica la propria corpulenza).

Giannina                       - (avviandosi per la scala) Non credo che potrete salvarvi, signor Whiteside. Mio fratello è un demonio, in fatto di fotografie. (Whiteside, un pò sbalordito, volta rapidamente la testa; in quel momento Riccardo fa scattare la macchina).

Riccardo                       - Grazie, signor Whiteside. Dev'essere riuscita benissimo. (Raggiunge la sorella per le scale mentre Maggie entra dall'anticamera. La salutano - « Hello, Miss Cutler » - e scompaiono).

Maggie                          - (entra, posa guanti e borsetta sul tavolino dietro al divano) Hello, ragazzi... Buonasera, Sher­ry. Dio mio, Sherry, avete ridotto questa stanza co­me la gabbia di un pappagallo... avete dormito men­tre ero fuori? (Viene verso il centro; Whiteside la guarda appena) Che avete, mio caro? Il gatto vi ha mangiato la lingua?

Whiteside                      - (furibondo) Non mi guardare con quegli occhi di mucca, stregacela frenetica che non sei altro! Dove sei stata tutto il pomeriggio? A zon­zo con Berto Jefferson?

Maggie                          - (Il suo viso si illumina mentre va verso di lui) Sherry, Berto mi ha letto la sua commedia. Bellissima. Non è davvero la commedia che ci si può aspettare da un giornalista. E' magnifica. Vor­rei che la leggeste stasera. (Gliela mette in grembo) E' assolutamente adatta per la Cornell. Volete man­dargliela, Sherry, e volete leggerla stasera?

Whiteside                      - No, non la leggerò né stasera né mai. E giacché parliamo del signor Jefferson, lo preghe­rai di pagare il tuo stipendio, visto che tutto il tuo tempo è per lui.

Maggie                          - (E' in ginocchio, radunando « rottami » a sinistra della poltrona) Suvvia, Sherry, non fate il cattivo.

Whiteside                      - Non ho neanche potuto ripescarvi, non sapendo quali fienili frequentate.

Maggie                          - (tornando dietro il divano, con una sca­tola piena di carta straccia e giornali) Oh, fini­tela di comportarvi come un bimbo indispettito!

Whiteside                      - Non prendere questo tono protetto­re, Cleopatra morsa da una pulce. Sono stufo di que­sto tuo sistema di scappare di casa come una sco­laretta innamorata, appena io volto le spalle.

Maggie                          - Dio mio, Sherry... ho paura che abbia­te proprio colto nel segno. (Si toglie il cappello e lo posa sulla tavola).

Whiteside                      - Smetti di fare la spazzatura e spie­gati.

Maggie                          - Ci vuol poco, Sherry. Sono innamorata.

Whiteside                      - Storie. Questo è un semplice ritar­do di sviluppo.

Maggie                          - No, Sherry, parlo sul serio. State per perdere un'ottima segretaria.

Whiteside                      - Sei fuori di senno.

Maggie                          - Credo che sia un po' vero. Ma da tan­to tempo aspetto che questo avvenga ed ora è av­venuto. Il signor Jefferson non lo sa ancora; ma farò tutto quello che posso per sposarlo.

Whiteside                      - (dopo una breve pausa) Tutto qui?

Maggie                          - Sì... se non. che... ecco... credo che que­ste si potrebbero definire le mie dimissioni, finché non avrete trovato da sostituirmi.

Whiteside                      - (dopo breve pausa) Ascoltami, Mag­gie. Ormai è un pezzo che siamo insieme. Tu mi sei indispensabile, ma credo di essere abbastanza al­truista per non ostacolarti se la tua felicità è in gioco. Perché, non so se tu lo sappia o no, io ho per te un affetto profondo.

Maggie                          - Lo so, Sherry.

Whiteside                      - Dato questo, non ti asseconderò in una sciocchezza.

Maggie                          - Non è una sciocchezza, Sherry.

Whiteside                      - Lo è, mia cara. Ti stai comportan­do come un'eroina da biblioteca rosa. E'.... incredi­bile. Non posso credere che una ragazza che da dieci anni si è vista servire su un vassoio tutti i personaggi più grandi del mondo.... Solo con un pas­seggero accesso di pazzia si può spiegare questo en­tusiasmo, dopo pochi giorni di conoscenza, per un giornalistucolo di provincia.

Maggie                          - Sherry, non so spiegarmi neanch'io quel­lo che è successo. Posso soltanto dirvi che è così. Eccomi qui, io, con tutto il mio cinismo, a scoprire il chiaro di luna e la bellezza di pattinare in due... Non faccio che ridere di me, ma così sono le cose. Che posso farci, Sherry? Sono innamorata.

Whiteside                      - (con decisione subitanea) Domani partiamo. Femore o non femore domani andiamo via. Non m'importa niente di fratturarmi anche l'altro. Dammi l'orario e comincia a preparare il bagaglio. Ti toglierò da questo pasticcio, madamigella Acchiappanuvole. Scrollerò le formiche da questi calzoncini stesi al chiaro di luna.

Maggie                          - E' inutile, Sherry. Perfettamente inutile. Tornerei col primo elettrotreno.

Whiteside                      - Incredibile, assolutamente. Ma ve la figurate voi stessa, moglie del direttore del « Cor­riere di Mesalia » e le vostre seratine con interven­to della coppia Stanley, dei coniugi Cretinoski e dei membri del circolo cittadino.

Maggie                          - Sherry, per dieci anni sono stata a con­tatto delle persone più importanti della nostra epo­ca; e non dovete credere che non ve ne sia grata. Ogni minuto è stato un godimento per me. Sono stati anni meravigliosi. Pieni di gaiezza e di brio... Credo che nessuno si sia mai divertito come noi. Ma una ragazza non può continuare tutta la vita a ridere, Sherry. Viene il momento in cui sente il bi­sogno.... di Berto Jefferson. Voi non conoscete Berto, Sherry. E' dolce e modesto, e... insomma, lo amo: ecco tutto.

Whiteside                      - Capisco. Ma non sono convinto. Ti stai ubriacando di questo capriccio alla Joan Crawford, come di uno stupefacente; e prima che tu sia completamente anestetizzata, farò il possibile per farti riprendere i sentimenti.

Maggie                          - (riavvicinandosi) Ascoltatemi, Whitesi­de. Vi conosco bene e vi dico: rinunciate. So che potete essere un vero demonio. Vi ho visto fare dei brutti scherzi ad altri; ma non oserete farne a me. Non ubriacatevi, voi, dell'idea che pensate unica­mente alla mia felicità. State pensando un pochino anche a voi stesso, e al fatto di dovervi trovare, per qualche mese, con una persona nuova... finché non vi, sarete abituato. Vi ho già visto in questo stato quando avete avuto qualche grossa contrarietà; forse non potreste trovarvi il 12 luglio a Calcutta per pran­zare con Bu-Bu. Mi dispiace, ma è proprio così. (Va verso la scala). Sposerò Berto se lui mi vorrà; e voi non oserete tentare contro di me nessuno dei vostri trucchi. Li conosco troppo bene. Perciò rinunciate. Questo è quello che vi dico, mio caro Falstaff. (Ha salito la scala ed esce. Lasciato a cuocersi nel suo brodo Whiteside è furibondo. Picchia i pugni sui braccioli della poltrona, quindi spiegazza il mano­scritto che ha in grembo. Ma nel far così gli balena il principio di un'idea. Bimane immobile un momen­to riflettendo. Poi con un lento sorriso toglie il ma­noscritto dalla busta. Guarda il titolo, lo sfoglia dan­do un'occhiata qua e là. Riflette ancora. Poi il suo volto si illumina di un largo sorriso. Si allunga ad afferrare il ricevitore del telefono).

W'hiteside                     - (con voce sommessa e frattanto fru­gando fra i telegrammi che sono nel cestino della posta, finché trova quello che cerca) Signorina, vorrei fare una telefonata transatlantica, per favo­re. (Guarda ancora il telegramma per accertarsi): Pronto?... Telefonata transatlantica?... Qui parla Me­salia, 1-4-2. Vorrei parlare con la signorina Lo­rena Sheldon       - S come Savoia, H come hotel, E co­me Einstein, D, 0, N,... Capito? A bordo del « Normandie ». Partito da Southampton l'altro ieri; (suo­nano alla porta) Ci vorrà molto tempo?... Bene. Mi chiamo Whiteside... Grazie; (Riattacca. Torna a sfogliare il manoscritto leggendo qua e là. John va ad aprire e introduce il dott. Bradley).

Bkadley                        - (ancora dentro) Buonasera, John.

John                              - (c. s.) Buonasera, dottore. (Dopo averlo introdotto, via).

Bradley                         - (Andando verso Whiteside con la solita cordialità) Bene, bene! Buonasera, signor White­side!

Whiteside                      - Venite domani. Ora ho da fare.

Bradley                         - (Facendo lo spiritoso) Anche se ho una buona notizia da darvi? Quale sarebbe la noti­zia che potrebbe farvi più piacere?

Whiteside                      - Che siete diventato idrofobo.

Bradley                         - (ridendo) No, no... Signor Whiteside, oramai siete a posto. Potete alzarvi e camminare quanto volete. Potete partire domani, se vi acco­moda.

Whiteside                      - Come dite?!

Bradley                         - Sicuro! Ho guardato di nuovo la vo­stra radiografia, oggi, e sapete che cosa ho scoper­to? Che quella che avevo esaminato non era la vo­stra, ma quella della vecchia signora Moffatt. Voi state perfettamente e non avete nessuna frattura!

Whiteside                      - Abbassate la voce, perbacco!

Bradley                         - Perché? Non siete contento?

Whiteside                      - Ma sì... Si capisce... Ah       - davvero è una notizia inaspettata. Viene in un momento mol­to curioso. (Pensa intensamente. Ad un tratto ha una idea. Si raschia la gola e si guarda attorno con ap­prensione) Dottore... hm.... anch'io ho una buona no­tizia per voi. Ho letto il vostro libro…. mmm «Quarant'anni »... come si intitola?

Bradley                         - (con agitazione) « ...di esperienza di un medico... ».

Whiteside                      - Ah, sì. E ritengo che possa essere uno dei più grandi avvenimenti letterari del no­stro tempo.

Bradley                         - Signor Whiteside!

Whiteside                      - Ne sono così convinto, dottore, che voglio farvi una proposta. Qua e là il libro manca un, po' di equilibrio, è un po' disuguale... ed io vor­rei rimanere qui a Mesalia per lavorarci attorno con voi.

Bradley                         - (Sentendosi soffocare) Signor White­side, sarei infinitamente onorato...

Whiteside ;                    - Sì. Ma c'è una difficoltà. Vedete, se gli organizzatori della Radio e l'impresario del mio giro di conferenze vengono a sapere che sto bene, insisteranno perché io rispetti i miei contratti e mi obbligheranno a lasciare Mesalia. Perciò non dob­biamo dire a nessuno - a nessuno - che io sto bene.

Bradley                         - Capisco. Capisco.

Whiteside                      - Neanche alla signorina Cutler, ca­pite.

Bradley                         - Non lo dirò ad anima viva. Neanche a mia moglie.

Whiteside                      - Bravo.

Bradley                         - E quando cominciamo a lavorare? Sta­sera? Ho per l'appunto un paziente che sta moren­do, sicché sarò assolutamente libero. (Il telefono squilla).

Whiteside                      - (Accennandogli di andarsene) Hmm... domattina. Ora... è una telefonata riservata: volete scusarmi? (Al telefono) Pronto?... Sì, sono io. (Al dottore) Domattina.

Bradley                         - (Avviandosi) Domattina. Buonanotte. Sarò così fiero di lavorare con voi! Veramente fie­ro, signor Whiteside. (Via).

Whiteside                      - Sì, sì, lo so... fierissimo. (Al telefo­no) Sì, è Whiteside che parla. Mettetemi in linea... Hello! E' il mio fior-di-pesco? Come stai bella mia?... No, no, sto bene... Sono ancora qui... Cara Lorena, quando arrivi a New York? Martedì?.... Benissimo... Ora sfammi bene a sentire, tesoro. Ho una grande notizia per te. Ho scoperto una magnifica commedia con una parte deliziosa. La Cornell darebbe non so cosa per interpretarla, ma io credo di poterla fare avere a te... Aspetta, aspetta, ora ti dico. L'autore è un giovane giornalista di qui. Si è messo in mente che vuole la Cornell; ma se salti in treno e capiti qui, credo che avrai partita vinta, se la saprai gio­care... No, è giovane e simpatico; proprio il tipo che piace a te, tesoro. Ci vuole solo un po' di abilità e quella non ti manca. Non ti seduce l'idea?... Sì... sì... sì, benissimo... E non. mandarmi nessun mes­saggio. Prendi il treno e capiti qui... Oh, no, non mi ringraziare, fiorellino mio. Sono contentissimo. Buon viaggio e cerca di essere qui al più presto... Sì, fior-­di-pesco. Arrivederci. (Riattacca e si guarda attorno come un colpevole. Poi si raddrizza e si stropiccia le mani allegramente. Entra Miss Preen da destra con la medicina in mano e spaventata come sem­pre. Gioviale, diabolicamente) Hello, signorina Preen, Dio, come siete radiosa, stasera! (Prende la medi­cina e la trangugia in un sorso. La Preen barcollan­do si ritira in biblioteca mentre Maggie scende la scala. E' vestita per uscire).

Maggie                          - (si ferma un attimo, poi si avvicina) Sherry, scusatemi per quello che ho detto dianzi. Credo di essere stata ingiusta.

Whiteside                      - (nobile e generoso) Non importa, cara Maggie. Capita a tutti, a volte, di uscir dai gan­gheri.

Maggie                          - Ho promesso a Berto di andare a pran­zo con lui e poi a un cinema; ma invece possiamo tornare a giocare a écarté con voi.

Whiteside                      - Benissimo.

Maggie                          - Allora, a più tardi, caro Sherry. (Lo bacia leggermente in fronte ed esce dal fondo di­cendo:) Arrivederci.

Whiteside                      - Arrivederci. (La segue con lo sguar­do finché sente chiudere la porta. Allora il suo viso si illumina di nuovo ed egli prorompe in una can­zone mentre si spinge nella biblioteca. Una canzone a piacere mentre si chiude il

SIPARIO

ATTO SECONDO

La stessa scena. Una settimana dopo: tardo po­meriggio. La stanza è ora dominata da un grande albero di Natale, collocato nella curva della scala e carico dei soliti ornamenti. A sinistra dell'albero è John. Sara e John entrano ed escono dalla biblio­teca, con grossi pacchi che collocano sotto l'albero. Maggie è seduta a un tavolino a destra, occupata con un grosso fascio di corrispondenza.

John                              - Mi pare che . abbiamo portato tutto, si­gnorina. Abbiamo messo ogni cosa sotto l'albero.

Maggie                          - Grazie, John..

Sara                               - Dio mio, non ho mai visto nessuno rice­vere tanti regali. Non vedo l'ora di sapere cosa c'è in tutti quei pacchi.

John                              - Quando li aprirà il signor Whiteside; si­gnorina Cutler?

Maggie                          - (si alza, va alla tavola dietro al divano con delle carte; prima gira gli interruttori, accen­dendo le luci) Vedete, John: il Natale è una spe­cie di proprietà personale del signor Whiteside. Lo ha inventato lui; e perciò gli appartiene. Domattina, per prima cosa, il signor Whiteside aprirà tutti i pacchi e ci sarà il più infernale disordine che si possa immaginare

Sara                               - (Accende il lampadario centrale e va a de­stra dell'albero. Curvandosi sui pacchi) Dio mio, ma guarda da che persone vengono! Shirley Tempie, Lionel Barrymore, Greta Garbo, Somerset Maugham... Come vorrei già essere a domani! (Maggie va a se­dere al tavolino a destra. Il campanello della porta suona. John va ad aprire accendendo la luce in an­ticamera nel passare. Sara viene sul davanti) Che bel­lezza! Anche l'albero del signor Whiteside è magni­fico. I signori Stanley hanno dovuto mettere il loro in camera da letto, sa, signorina? Non hanno nem­meno il posto per svestirsi. (Da sinistra entra Berto Jefferson).

Jefferson                       - (ancora dentro) Buonasera, John.

John                              - Buonasera, signor Jefferson. Buon Natale.

Jefferson                       - Hello,-Maggie. Buon Natale, Sara.

Sara                               - Buon Natale, Signor Jefferson. (Sara scom­pare in sala da pranzo mentre John esce da sinistra).

Jefferson                       - (venendo avanti, osserva la pila di pacchi sotto l'albero) Vanno bene, eh, gli affari? Guarda un po' che cosa si riesce ad avere con qual­che piccolo, grazioso ricattino e una chiacchierata settimanale alla radio! Che cosa gli hanno regalato i dirigenti della Società?

Maggie                          - Il valore di un'intera annata del loro prodotto « Crema di mais ».

Jefferson                       - Beh, ne dovrà fare di trasmissioni pubblicitarie per compensare tanta munificenza!

Maggie                          - (si alza, va al divano tenendo lettere in ma­no) Aspettate a sentir la trasmissione di stasera, caro mio! E' così avvincente che non sono stata ca­pace di interrompermi mentre la copiavo.

Jefferson                       - Lo credo... Sentite, voglio dirvi su­bito. Non so per quale impulso vi ho comprato un regalo natalizio.

Maggie                          - (sorpresa va verso di lui) Davvero?!

Jefferson                       - Soltanto, vorrei che lo vedeste, pri­ma che io arrischi il mio denaro faticosamente gua­dagnato col sudore eccetera. Potete venire un mo­mento in centro con me per darvi un'occhiata?

Maggie                          - Berto, siete veramente molto carino. Sono commossa. Che cos'è? Muoio dalla curiosità.

Jefferson                       - Un abbonamento di due anni al più cretino dei nostri giornali umoristici. Ma diamine, credete che ve lo dica prima? Venite a vedere, se siete tanto curiosa!

Maggie -                        - Va bene, vengo. (Va a prendere il man­tello. Chiama verso la biblioteca) Sherry! Vado fuori un momento. Con Pinco Pallino. Stiamo via pochi minuti. (Va in anticamera a prendere cappello e mantello).

Jefferson                       - (alzando la voce) Natale, Natale, si­gnor Doppiovù! Si fa una partitina, stasera, dopo la vostra trasmissione? (Va incontro a Whiteside. Whi­teside è spinto dalla Preen, la quale poi esce nuo­vamente da destra - da dove è venuta - richiu­dendo la porta).

Whiteside                      - No, non giuocherò con voi, signor Rubacuori... Dove andate adesso, Madama Butterfly?

Maggie                          - Mi fanno un regalo per Natale e vado a vederlo. Vi occorre qualche cosa dal centro?

Whiteside                      - Sì. Porta un po' di caramelle al pu­po... E voi che cosa mi regalate per Natale, Jeffer­son? Ho arricchito la vostra vita modesta in, modo tale che non avrete mai la possibilità di sdebitarvi.

Jefferson                       - E' quello che penso anch'io. Perciò non vi darò niente.

Whiteside                      - Capisco. Beh, io avevo l'intenzione di affidarvi tutto il mio vecchio lavoro di giorna­lista, ma ora non. posso... (Maggie rientra) Maggie, a che ora vengono quelli della radio?

Maggie                          - (venendo a posare il telefono su una sedia accanto a Whiteside) Verso le sei e mezzo. Sarò qui anch'io. Bisogna far dei tagli al vostro mano­scritto, Sherry. Avete solo quattro minuti. Ah, guar­date: c'è un telegramma di Beverly Carlton. Non sa con che treno potrà partire da Chicago, ma sarà certo qui stasera.

Whiteside                      - Benone! Dorme qui, stanotte?

Maggie                          - (vicino al tavolino) No, deve ripartire subito. Si imbarca venerdì sul « Queen Mary ».

Jefferson                       - (a Whiteside) Credete che potrò ve­derlo dal buco della serratura? Beverly Carlton è uno degli attori che preferisco. (Maggie mette sulla sedia anche le lettere e un libro).

Whiteside                      - Che sforzo, mio piccolo imbratta­carte! Beverly Carlton è il più grande ingegno del teatro inglese moderno. Togli dei miei occhi questo torpido analfabeta, Maggie e non farmelo più. ve­dere.

Jefferson                       - Sì, signor Whiteside ,me ne vado. E non tornerò finché non sarà arrivato Beverly Carl­ton.

Maggie                          - (si avvia all'uscita prendendo Jefferson a braccetto) Dove andiamo, Berto? Voglio sapere che cosa mi avete comprato: sono come una bam­bina di dieci anni.

Jefferson                       - (ridendo) E sembrate proprio una bambina di quell'età, Maggie, in. questo momento! (Sono scomparsi. Whiteside li segue con lo sguar­do, intento; ascolta per sentire la porta che si chiu­de. Riflette un secondo, poi si attacca al telefono).

Whiteside                      - (al telefono) Volete darmi Mansion House, per favore?... No, non so il numero... Pron­to, Mansion House?... Ditemi, non è ancora arriva­ta miss Lorena Sheldon?... Sì, Lorena Sheldon da New York... Non è ancora arrivata? (Riattacca: tamburella sul bracciolo della poltrona: guarda l'orolo­gio, si batte le mani sulle ginocchia con impazienza, si stira. E' evidentemente irritato di questo suo vo­lontario imprigionamento. Si guarda attorno con cautela, guarda su per la scala. Poi, lentamente, si alza dalla poltrona, va a sinistra e si indugia a far qualche leggero passo di danza, sempre guardandosi attorno con cautela. Il rumore della porta della bi­blioteca che si apre lo. fa tornare frettolosamente al­la sua poltrona. E' miss Preen, che emerge portando un catino, la borsa dell'acqua calda e un inalatore).

Whiteside                      - (seccato) Cosa volete? Perché entra­te in questo modo senza bussare?

Preen                             - Ma... non stavo entrando, stavo uscen­do.

Whiteside                      - Signorina Preen, mi pare che sia­te in questa camera. O no?

Preen                             - Sì, ma...

Whiteside                      - Dunque, ci siete entrata. (Prima che miss Preen abbia potuto rispondere, entra John dal­la stanza da pranzo e attraversa la scena uscendo da sinistra).

Whiteside                      - Da ora in poi, vi prego di bussare.

John                              - (mentre attraversa la scena) C'è un fac­chino di una casa di spedizioni, signor Whiteside, con una gabbia. Gli ho detto di venire alla porta principale.

Whiteside                      - Grazie, John. Non state lì come un gelato di limone, signorina Preen. Andate di là.

Preen                             - (padroneggiandosi quanto più può) Sì, signore. (Via dal fondo. Nello stesso momento un facchino, che porta una gabbia di legno, entra dall'anticamera accompagnato da John).

John                              - Portate in questa stanza. Attenzione... non rovinate la parete. Mi pare che siano strani animali.

Facchino                       - (entrando) Strani davvero. E stamat­tina abbiamo dovuto dargli da mangiare alle sette.

Whiteside                      - Chi li manda, John?

John                              - (viene da destra. Legge l'indirizzo sul co­perchio della gabbia mentre il facchino la posa a terra) Ammiraglio Riccardo Byrd. Accidempoli!

Whiteside                      - Portate qui. (// facchino porta la gabbia accanto alla poltrona: John si avvicina per vedere. Guardando attraverso le sbarre). Sono pin­guini. Due, tre... quattro pinguini. Ciao, belli.

Facchino                       - Le istruzioni per dargli da mangiare sono scritte qui sopra. Due delle sbarre sono mobili.

John                              - (legge) « Nutrirli soltanto con grasso di balena, anguille e gamberi pestati».

Facchino                       - Stamattina gli abbiamo dato da bere la Coca-Cola. E gli è piaciuta! (Via).

Whiteside                      - (guardando di nuovo attraverso le sbar­re) Ciao, ciao, ciao. Sono i compagni più deliziosi del mondo, John. Li voglio nella biblioteca con me. Portateli di là, per favore.

John                              - Subito. (Prende la gabbia).

Whiteside                      - Sarà bene dire a Sara che ordini due dozzine di gamberi.

John                              - Sissignore.

Whiteside                      - Non credo che si trovi facilmente il grasso di balena, in città...

Bradley                         - (entrando) Buonasera.

Whiteside                      - Oh, ecco quest'altro! (Bradley è entrato mentre John scompare nella biblioteca por­tando seco la gabbia).

Bradley                         - Ho trovato la porta aperta: così... Buon Natale.

Whiteside                      - Buon Natale. Buon Natale. Sapete per caso, se questa è la stagione delle anguille, dot­tore?

Bradley                         - Come?

Whiteside                      - No, niente. Sono stato stupido chie­dendolo a voi. (John torna dalla biblioteca chiuden­do accuratamente la porta).

John                              - Ho aperto un pochino quelle due sbarre, signor Whiteside... Mi pareva che stessero troppo stretti, lì dentro.

Whiteside                      - Grazie, John.

Bradley                         - Signor Whiteside... (John esce por­tando via delle federe).

Whiteside                      - Arrivederci, dottore. Mi spiace che siate venuto proprio in questo momento. Debbo fa­re il mio esercizio Yogi. (Incrocia le braccia, si ap­poggia alla spalliera e chiude gli occhi).

Bradley                         - Ma è passata già una settimana, signor Whiteside. Il mio libro... Quando cominciamo a la­vorare?

Whiteside                      - (si mette un dito sulle labbra).

Bradley                         - Speravo che oggi... (Si interrompe ve­dendo entrare miss Preen dal fondo a destra).

Bradley                         - Buonasera, miss Preen.

Preen                             - Buonasera, dottore. (Apre la porta della biblioteca, rabbrividisce. Si volge verso il dottore con gli occhi sbarrati. Porta una mano tremante al­la fronte e va a destra della poltrona) Dottore, forse non sto bene... ma aprendo quella porta mi è parso di vedere un pinguino con un termometro in bocca.

Whiteside                      - Come? I pinguini sono usciti dalla gabbia?

Preen                             - I pinguini? Avete detto pinguini?

Whiteside                      - Sì. Dottore, fatemi il piacere; anda­te a catturarli e rimetteteli nella gabbia. Ce ne so­no quattro.

Bradley                         - Catturare i pinguini! (Entra John dal­la scala).

Whiteside                      - Sì, per favore. E voi, signorina Preen, volete avere la bontà di occuparvi di loro fin­ché vengo io?

Preen                             - (inghiottendo amaro) Sì, signor White­side.

John                              - (scendendo la scala) L'abete che è in ca­mera da letto è cascato addosso al signor Stanley. Gli ha fatto un bernoccolo sulla fronte. (Via dal fon­do a destra).

Whiteside                      - (con brio) Poveretto! (Riccardo en­tra dall'anticamera mentre miss Preen va in biblioteca) ...Avanti, dottore. Andate, andate, signorina Preen.

Riccardo                       - (avanzando) Hello, signor Whiteside.

Whiteside                      - Hello Dick, ragazzo mio.

Bradlev                         - Beh, forse avrete tempo più tardi, si­gnor Whiteside?

Whiteside                      - Non lo so, dottore. Per ora ho da fare.

Bradley                         - Magari aspetterò un pochino, no? Sì... aspetterò un pochino. (Via in biblioteca).

Whiteside                      - Il dottor Bradley indurrebbe perfi­no il Padreterno a mancare di misericordia... Beh, Dick, volete fare un'istantanea della mia narice si­nistra, stasera?

Riccardo                       - Oramai ne ho fatte abbastanza... Vo­lete vedere le ultime? (Gli porge delle foto).

Whiteside                      - Con piacere... (le esamina) Queste sono magnifiche, Riccardo... Veramente artistiche... (Riccardo ha portato una poltroncina vicino a Whiteside e siede) Mi piacciono tutte quelle che mi ave­te fatto vedere. Questa è la quintessenza del giorna­lismo fotografico.

Riccardo                       - Davvero? Non sapevo che fossero co­sì buone. Mi piace fare delle foto. Ecco tutto.

Whiteside                      - Volevo proprio parlarvi di questo, Riccardo. Non. siete uno dei soliti dilettanti. Quello che fate ha veramente un valore. (Gli rende le foto) Dovete andarvene da qui e mettervi a fare qualco­sa di quello che mi avete detto. Imbarcarvi su una nave qualsiasi a scendere quando si ferma. Galveston, Messico, Singapore... e dovunque fare delle fo­to, milioni di foto, quadri spaventosi, quadri bellis­simi qualsiasi cosa.

Riccardo                       - Come mi piacerebbe! E' la vita che sogno da anni. Se potessi far questo, sarei l'uomo più felice del mondo.

Whiteside                      - E perché non. lo fate? Se avessi la vostra età, sarei già partito.

Riccardo                       - (si alza, passeggia) Lo sapete bene, il perché . Mio padre.

Whiteside                      - Riccardo, desiderate veramente far questo più di qualsiasi altra cosa?

Riccardo                       - Certamente.

Whiteside                      - E allora fatelo. (Giannina entra da destra).

Giannina                       - Ciao, Dick. Buon pomeriggio, signor Whiteside.

Whiteside                      - Buongiorno, bellezza... (A Riccardo) Credo dunque che dipenda da voi, figliuolo.

Riccardo                       - Forse avete ragione, signor Whitesi­de... Comunque vi ringrazio. Siete stato molto buo­no con me e non lo dimenticherò mai.

Whiteside                      - Non c'è di che, Riccardo. (Prende un libro).

Riccardo                       - Vieni su, Giannina?

Giannina                       - Sì, "a momenti.

Riccardo                       - Allora passa da me, quando sali... Debbo parlarti. (Vìa dalla scala).

Giannina                       - Va bene. (Si volge a Whiteside) Si­gnor Whiteside... voglio dirvi una cosa... Potete per­dere qualche minuto con me?

Whiteside                      - Ma certo, carina. Immagino che si tratti del giovine Romeo della fabbrica.

Giannina                       - (annunendo) Sì. Non riesco a con­vincere mio padre. E come parlare a un muro. Non vuol vederlo…. non vuole neanche sentirne parlare. Che dobbiamo fare? Sandy ed io ci amiamo...

Whiteside                      - Cara figliuola, vorrei conoscere que­sto giovinotto. Vorrei vederlo, parlargli.

Giannina                       - Davvero? Non vi dispiacerebbe? E' qui fuori... in cucina.

Whiteside                      - Bene! Fatelo venire qui.

Giannina                       - (che aveva cominciato ad avviarsi tor­na verso Whiteside) Badate... è un ragazzo molto sensibile. Sarete gentile con lui, vero?

Whiteside                      - Ma, per tutti i diavoli, Giannina, quando vi convincerete che io sono sempre gentile! Fate entrare questo idiota.

Giannina                       - (va alla porta della stanza da pranzo e chiama) Sandy! Sandy! (rimane accanto alla porta per fare entrare il giovane. Sandy ha 23 o 24 anni: aria intelligente e vivace; vestito con proprie­tà, ma semplicemente).

Giannina                       - Eccolo, signor Whiteside. Questo è Sandy (viene avanti con lui).

Sandy                            - Sono molto felice...

 Whiteside                     - Il piacere è mio, giovinotto. Ho sen­tito molto parlare di voi da Giannina. Pare, se ho ben capito, che questi due ragazzini abbiano com­pletamente perso il ben dell'intelletto.

Giannina                       - C'è un'altra definizione per quello che proviamo. Si chiama amore.

Whiteside                      - Beh, vi siete rivolti proprio alla persona adatta: dottor Sheridan Whiteside, specia­lista in cuori infranti, amori contrastati, eccetera. Andate avanti.

Sandy                            - Beh, se Giannina vi ha detto tutto, si­gnor Whiteside, sapete benissimo in che impiccio ci troviamo. Io lavoro per il partito socialista, si­gnor Whiteside: sono un organizzatore. Ho organiz­zato gli operai dello stabilimento del signor Stanley e il signor Stanley è arrabbiatissimo.

Whiteside                      - Lo credo!

Sandy                            - Ve lo ha detto Giannina?

Whiteside                      - Sì, me lo ha detto.

Sandy                            - Beh, con questi precedenti, credo di non avere il diritto di influenzare Giannina. Se mi sposa, sarà la rottura definitiva con la famiglia; e non vor­rei arrivare a questo. Il male è che il signor Stan­ley è terribilmente cocciuto in questa faccenda: coc­ciuto e parziale. Certo io non ho avuto l'intenzione di fargli dispetto. Ci siamo innamorati. Ma il si­gnor Stanley sembra credere che sia tutto un intri­go... come se io fossi stato mandato qui dai capi del partito apposta per sposare sua figlia.

Giannina                       - Ha cercato due volte di licenziare Sandy: ma grazie a Dio non ha potuto, a causa delle leggi sindacali.

Sandy                            - Già; crede che abbia fatto io anche quelle!

Giannina                       - Se almeno mi lasciasse parlare. O permettesse a Sandy di parlargli...

Sandy                            - Beh, tutto questo lo abbiamo già consi­derato, Giannina. Il guaio è che ora ha saputo che quelli di Chicago hanno bisogno di me. Può darsi che da qui mi mandino direttamente a San Franci­sco. Vedete quindi in che impiccio ci troviamo.

Giannina                       - Sandy deve partire stasera. E forse starà via un anno. Perciò bisogna che decidiamo. ,4 desso.

Whiteside                      - Miei cari, la cosa è semplicissima. Non è affatto un problema. Secondo me... (il telefono squilla. Whiteside prende il ricevitore) Hello... Sì... Sono io, Whiteside (ai due giovani) Scusate... E' una chiamata transatlantica... (Al telefono, mentre Sandy si scosta con Giannina) Sì? sì, sono io. Chi parla?... Ah! Datemelo all'apparecchio. (Ai due) E' Walt Disney da Hollywood. (Al telefono) Pronto... Pronto... Walt! Come va, amicone?... Sì, lo speravo. Come avete saputo che ero qui?... Ho capito... Sì, sì, ascolto. Ora?... Sì, aspetto. (Ai due) Walt Disney mi telefona sempre per Natale. (Al telefono) Sì, Walt...Sì, lo sento. Un momento. Giannina! (Le porge il ricevitore: Giannina ascolta per qualche secondo poi torna vicino a Sandy) Pronto... Grazie, vecchio amico; e buon Natale a voi.., Ditemi, che c'è di nuo­vo a Hollywood? Chi è attaccato alle gonne di Lana Turner in questi giorni?.,. Ho capito... Beh, arrive­derci: e non ve la prendete per quel cartone non riuscito. Anche Beethoveen non ha scritto le sue sin­fonie in un anno... Arrivederci! (Riattacca e si vol­ge a Giannina) Sapete che cos'era quella che avete sentito? La voce del papero Donald.

Giannina                       - Davvero?

Whiteside                      - Disney mi telefona sempre, a Na­tale, dovunque io mi trovi, per farmela sentire. Due anni fa ero in fondo all'Oceano, nella famosa sfera di William Beebe, e riuscì a raggiungermi... Ma che stavamo dicendo? Ah, sì... Giannina, il vostro giova­notto mi piace. Io ho un istinto infallibile nel giu­dicare le persone e non mi sono mai sbagliato. Per­ciò ho voluto conoscerlo. Sono convinto che sarete felicissimi insieme. E mi pare che non vi siano dif­ficoltà insuperabili. Che cosa c'è che vi ostacola? Vostro padre. La possibilità di renderlo infelice. E' così?

Giannina                       - Molto infelice.

Whiteside                      - Questo non ha importanza. Ammet­tiamo che i vostri genitori siano infelici: è un bene per loro. Serve a sviluppare il loro carattere. Guardate me. Ho lasciato la mia casa all'età di quattro anni e non vi sono mai più tornato. Mi sentono alla radio e per loro questo basta.

Sandy                            - Allora... voi consigliate di insistere, signor Whiteside?

Whiteside                      - Senz'altro. Sposatelo stasera, Gian­nina.

Giannina                       - (che ha quasi paura di fare questo ge­sto) Credete... credete proprio, signor Whiteside?

Whiteside                      - No; credo che dobbiate sposare lo scià di Persia. Non lo direi se non lo credessi, bam­bina! Volete che ve lo ripeta? Secondo me non siete degna di questo bravo giovine Stanley (da fuori scena. Sta per scendere la scala) Vieni, Ghita, sbrigati.

Giannina                       - (spinge Sandy a destra e lo fa uscire) Ecco il babbo. (Rientra).

Stanley                          - (scende la scala e va verso l'attaccapan­ni in anticamera) Scusate se passiamo di qua, signor Whiteside.

Whiteside                      - Non c'è di che, vecchio amico, non c'è di che. E' Natale, sapete? Buon Natale, buon Natale.

Signora Stanley             - (scende anche lei. Nervosa) Ah, sì. Buon Natale... Vieni fuori con noi, Giannina? Andiamo a portare i nostri regali ai Dexter.

Giannina                       - No, mamma, grazie. Ho... debbo scri­vere delle lettere (sale la scala).

Stanley                          - Vieni, Ghita, andiamo.

Whiteside                      - Che vi è successo, signor Stanley? Avete avuto un infortunio?

Stanley                          - (che ha un bernoccolo sulla fronte) No, ho preso lezione di pugilato... Vai avanti, Ghita           (escono da sinistra).

                                      - (Enrichetta, che faceva capolino dalla scala, si af­fretta a scendere appena gli Stanley sono usciti. Ha in mano un pacchettino).

Enrichetta                     - (va verso Whiteside) Caro signor Whiteside, è tutto il giorno che cerco di vedervi. Per darvi questo.

Whiteside                      - Oh, signorina Stanley! Un regalo di Natale?

Enrichetta                     - E' un'inezia, ma desideravo offrir-vela. E' una mia fotografia di tanti anni fa. Fu fatta in una vigilia di Natale. Non dovete aprire il pac­chetto prima di mezzanotte, però! (il campanello della porta. Enrichetta guarda indietro con appren­sione) Buon Natale, caro signor Whiteside, buon Natale! (John attraversa per andare ad aprire).

Whiteside                      - Altrettanto a voi, signorina Stanley: e grazie mille (Enrichetta sguscia fuori dalla stanza a destra. In anticamera, dopo che John ha aperto, si sente una voce femminile, liquida e tenera).

Voce di Lorena             - Questa è la casa del signor Stanley, vero?

Voce di John                 - Sissignora.

Voce di Lorena             - Desidero vedere il signor Whi­teside. Volete dirgli che c'è la signorina Sheldon?

Whiteside                      - Lorena! Il mio Fiordipesco!

Lorena                           - (entrando) Sherry, tesoro mio! (E' ap­parsa da sinistra Lorena Sheldon, che ha fama di essere l'attrice più elegante di Londra e dì New York: e la sua fama è meritata. Quando cammina sfavilla. E' bella e perfino - Dio ci perdoni la pa­rola - ammaliante. In breve, è una sirena in tutta l'accezione del termine. E sa di esserlo. Va verso Whiteside senza perdere tempo) Oh, caro, guarda quel povero viso sciupato! Lascia che ti dia un ba­cio! (eseguisce) Gioia cara, come sei giù, Sherry, gioia mia, ho voglia di piangere!

Whiteside                      - Benissimo. Hai fatto una magnifica entrata, tesoro. Ora puoi riposarti.

Lorena                           - Ma Sherry, amore, sono stata tanto preoccupata. E ora vederti su questa poltrona da in­valido...

Whiteside                      - É una poltrona che si adatta alle mie forme cospicue più dì qualunque altra. Mi sen­to meglio di come mi sia mai sentito da anni. L'uni­co pensiero è l'aver notizie del mondo esterno. Per­ciò levati quei gatti e dimmi tutto. Come stai, mia cara?

Lorena                           - (andando verso il divano e togliendosi dalle spalle una cascata di volpi argentate) Tesoro mio! Che sollievo! Hai una bellissima cera non ti ho mai visto meglio. Io credo di essere in­vece un cencio. Ho attraversato New York come un lampo. non ho neanche pensato che era Natale. Ho solo visto Hattie Carnegìe, sono stata dal parrucchie­re e ho preso il treno. (Siede sul bracciolo del diva­no e si incipria) E il « Normandie » al ritorno è sta­to un disastro. Divertente, ma una stanchezza da morire. Clark Gable e Gary Grant e Dorotea di Frasso troppo, troppo faticoso! E Londra, prima, è stata uno splendore... Pensa che non sono mai an­data a letto! (Si alza, viene in centro) Ho tante cose da dirti che non so da quale incominciare.

Whiteside                      - Comincia dalle più sconce... sono quelle che mi interessano di più.

Lorena                           - (siede) Fammi pensare. Dunque: Sibil­la Cartwright è stata cacciata fuori dal ristorante di Ciro, la sera prima della mia partenza. Portava uno di quei nuovi abiti dì cellofane e si vedeva an­che il palazzo reale. E sir Henry Monross, sai, il pittore, ha denunciato sua madre per la sua condotta scandalosa. Ah, prima che mi dimentichi: Anthony Eden dice che verrà per la tua trasmissione di Ca­podanno; e Loretta Young, che era anche lei a Lon­dra, ti manda a dire di spedirle subito quel libro che ti prestò...

Whiteside                      - Glielo manderò sotto ghiaccio... Ma dimmi di te. I tuoi amori? Non credo affatto che tu non sia mai andata a letto, se mi perdoni l'e­spressione.

Lorena                           - Come sei impertinente!

Whiteside                      - Cosa rei dici di quella splendida costoletta di montone che risponde al nome di Lord Bottomley? Non lo hai ancora aggiogato?

Lorena                           - Ti prego, Sherry. Cedric è un carissi­mo amico.

.Whiteside                     - Senti, Fiordipesco, ricordati che io sono Sherry. Non cercare di farmi veder lucciole per lanterne. Non dirmi che non ti piacerebbe di­ventare lady Bottomley con centomila sterline al­l'anno e una dozzina di castelli. A proposito, si è fatto mettere a posto i denti? Ogni volta che ordino del formaggio Roquefort, mi vengono in mente i suoi denti...

Lorena                           - Ma Sherry, ti prego!... Forse non è brillante, Cedric, ma è tanto caro, povero agnellino, e mi vuole tanto bene; e rappresenta quel modo di vivere inglese che piace a me. Nel Surrey e a Lon­dra per la stagione elegante - la caccia in Iscozia - il castello nel Galles. Ci sei stato anche tu, Sher­ry, e capisci benissimo quello che voglio dire.

Whiteside                      - Mmmm... Sì, sì, capisco.

Lorena                           - Davvero; perché no? Non .so perché non dovrei sposare Cedric, se la cosa si prospettas­se possibile. Debbo dirti una cosa. Da qualche pa­rola che mi ha detto prima del mio imbarco, ho l'impressione che stia finalmente per decidersi. Niente di definito, sai, ma... non ti sorprenderai se diventerò lady Bottomley prima che passi molto tempo.

Whiteside                      - Lady Bottomley! Beh, ti farò da damigella d'onore e il mio dono di nozze per lo sposo sarà uno stuzzicadenti di ferro. Avanti, fio­rellino mio, raccontami ancora qualcuno dei tuoi piccoli pasticci.

Lorena                           - Ecco... (in questo momento la porta del­la biblioteca si apre senza rumore e la testa del dot­tore fa capolino).

Bradley                         - (in un sussurro) Signor Whiteside...

Whiteside                      - Che c'è? No, no, ora no, ho da fare. (Il dottore scompare e richiude la porta).

Lorena                           - Chi è?

Whiteside                      - E' l'idraulico... Dunque racconta: dimmi le novità.

Lorena                           - Dimmi tu di questa commedia, piut­tosto! In fin dei conti, sono venuta direttamente da New York, benché fosse la vigilia di Natale: sono rimasta talmente eccitata, dopo la tua telefonata! Dov'è il copione? Posso leggerlo?

Whiteside                      - La situazione è questa. Il giovane autore - si chiama Berto Jefferson - mi portò la commedia con l'intesa che io la facessi pervenire a Caterina Cornell. E' una magnifica parte; e Dio sa se mi sento colpevole verso Caterina!

Lorena                           - Sherry!

Whiteside                      - Insomma, io ho fatto quel che pote­vo per te: il resto è affar tuo. Berto è un giovane simpatico... e credo che tu sappia meglio di me quel che c'è da fare per persuaderlo.

Lorena                           - (si alza) Come potrò mai ringraziarti, tesoro? E lui - voglio dire il signor Jefferson - lo sa che io dovevo venire?

Whiteside                      - No, no. Tu sei venuta casualmente, . solo per farmi una visita. Ti capiterà di conoscer­lo e basta. Fai in modo che ti inviti a pranzo e che ti parli della commedia. Dio mio, non occorre che ti insegni io. Come hai fatto per avere le parti negli altri lavori che hai recitato?

Lorena                           - (va al divano a prendere la pelliccia e torna) Allora torno all'albergo per mettermi un abito più seducente. Ho soltanto posato le valigie e sono subito corsa qui. Sei un amore, Sherry (lo ba­cia leggermente. Va verso il centro).

Whiteside                      - Benone. Vai a farti una toilette di effetto. Poi torna qui per passare il Natale con Sher­ry e troverai il signor Jefferson a tua disposizione... A proposito, ho una piccola sorpresa per te. Sai chi verrà stasera a farmi una brevissima visita? Il tuo vecchio amico e collega Beverly Carlton.

Lorena                           - (non troppo contenta) Davvero? Beverly? Credevo che stesse ottenendo dei successi pazzeschi a bordo di qualche transatlantico.

Whiteside                      - Su, via, non essere acida perché si è parlato di lui più che di te!

Lorena                           - Non dire sciocchezze, Sherry. Non ho letto nulla sul suo conto. Soltanto non desidero lavo­rare ancora con lui. Non si fermerà qui, spero?

Whiteside                      - Calma, calma, calma. No, non si ferma... Dove hai preso quel magnifico fermaglio di brillanti? Mi pare che sia un nuovo acquisto più o meno lecito, no?

Lorena                           - Non lo avevi visto? Me lo regalò Cedric per il compleanno di sua madre. Figurati la rabbia di lei! Senti, caro, ho un taxi fuori. Se debbo tor­nare qui... (va verso sinistra; in questo momento si sente la voce di Maggie in anticamera).

Maggie                          - (entrando) Sapete che regalo ho avuto, Sherry? Il più bel... (si interrompe vedendo Lorena e si irrigidisce).

Lorena                           - Hello, Maggie. Immaginavo che foste fuori... Come state, cara?

Whiteside                      - (mentre Maggie viene avanti) Il Bambino Gesù mi ha fatto un regalo, come vedi. Fiordipesco è caduto dal cielo ed è venuto a sor­prenderci.

Maggie                          - (tranquilla) Hello, Lorena.

Whiteside                      - (mente Jefferson appare dall'antica­mera) Chi c'è... Berto? Avanti, Berto. Il signor Berto Jefferson, Lorena, un giovine giornalista. La signorina Lorena Sheldon.

Jefferson                       - Fortunatissimo.

Lorena                           - Molto lieta... Non ho capito bene il no­me: Jefferson?

Whiteside                      - (dolce) Precisamente, tesoro (Lo­rena viene sul davanti, a sinistra, mentre Maggie si toglie il mantello e lo depone su una sedia).

Lorena                           - Non avete punto l'aria di un giornali­sta, signor Jefferson. Proprio per nulla.

Jefferson                       - Davvero? Credevo che la mia pro­fessione mi si leggesse in faccia, da lontano, come una pubblicità al neon.

Lorena                           - No, no, affatto. Avrei creduto che foste - non so - uri aviatore o un esploratore o qual­cosa del genere. Questa gente ha intorno una specie di alone. Sono semplicemente entusiasta della vo­stra città, signor Jefferson. Dà l'impressione calda, simpatica... Avete sempre abitato qui, voi? (va verso di lui; Maggie passa a destra).

Jefferson                       - Oh Dio, sì.

Whiteside                      - Se vuoi sapere la storia della sua vita, Lorena, fai pure. Ma Maggie ed io abbiamo da fare. Potete andarvene, Jefferson. Fate la stessa strada, Lorena. La stessa strada.

Lorena                           - Ma si è mai visto un uomo più scor­tese? Posso darvi un passaggio in taxi, signor Jef­ferson? Vado a... alla Mansion. House, mi pare che si chiami.

 Jefferson                      - Grazie, ma ho la mia macchina. Posso io accompagnare voi.

Lorena                           - Davvero? Molto gentile. Manderemo via il taxi. A più tardi, Sherry- Ciao,

Maggie                          - (si avvia).

Jefferson                       - Arrivederci, Maggie. (Si volge a Whiteside) Sono invitato a pranzo, non è vero?

Whiteside                      - Si capisce! Per Natale dò sempre da mangiare agli affamati. Ma ora finitela di girar­mi attorno. Su, andate via.

Lorena                           - Venite, signor Jefferson. Desidero sa­per qualche cosa di più su questa deliziosa cittadi­na. (Fa qualche passo). E ho voglia di sapere qual­che cosa di voi. (Escono dall'anticamera. Dopo che sono andati via c'è una pausa breve ma intensa. Maggie rimane immobile a fissare Whiteside, in at­tesa).

Whiteside                      - (come se nulla fosse) Dunque, ve­diamo: c'è una copia di quello che devo trasmette­re? Quanto hai detto che dovevo parlare? Quattro minuti?

Maggie                          - (avvicinandosi) Sì, quattro minuti. Sta molto bene, vero?

Whiteside                      - Chi?

Maggie                          - La contessa sempre-pronta. E' stata pro­prio una sorpresa, vero, questo arrivo’

Whiteside                      - Sì, una grande sorpresa. Suvvia, Maggie, lavoriamo adesso, lavoriamo.

Maggie                          - Deve aver attraversato New York co­me una meteora. Quanto si trattiene?

Whiteside                      - (completamente assorto) Come? Ah, non lo so! Qualche giorno... (legge il manoscritto) « In questo felice periodo dell'anno, quando nel cuo­re degli uomini... ». Questo non. posso tagliarlo.

Maggie                          - Non è una cosa strana? Lorena se ne stava comodamente a letto con qualcuno sul « Normandie »...

Whiteside                      - (occupato del suo manoscritto) Nep­pure il periodo giocondo passa... ».

Maggie                          - (gli toglie tranquillamente il manoscritto, poi torna in centro) Ora, caro Sherry, dobbiamo discorrere un momento.

Whiteside                      - Senti, Maggie. Non mi pare il caso, perché un'amica viene a passare il Natale con me... (il campanello della porta)- Scommetto che è Bever­ly. Vai a vedere, Maggie. Corri, corri! (John attra­versa per andare ad aprire. Maggie guarda, poi lo segue lentamente. Si sente la voce di Beverly).

Voce di Beverly            - Maggiolina!

Maggie                          - Beverly!

Beverly                         - (declamando) Un grosso, umido bacio incestuoso alla mia Maggiolina!

Whiteside                      - (ruggendo) Sbrigati, commediante da strapazzo, vieni a vedere un. povero moribondo! (John via. Beverly Carlton entra da sinistra a brac­cetto con Maggie. Molto confidenziale, molto ingle­se, molto attore sicuro di sé. Getta il paltò sulla rin­ghiera della scala mentre Maggie posa il suo cap­pello sul tavolino dietro al divano).

Beverly                         - Non mi dire come stai, caro Sherry. Non voglio sapere particolari noiosi. Ho pochissimo tempo, perciò dovremo parlare solo di me    - cosa che mi fa piacere. Ti dirò che ho brillato attraverso i mari del sud come una scimitarra d'argento; o preferisci sapere come ho volteggiato nello Zambesé, seducendo la figlia del maggior generale e ter­minando, frattanto, una commedia in tre atti? (Si avvicina a Maggie) Maggiolina cara, voi siete la pri­mavera della mia età non più adolescente e vi vo­glio molto bene. Ditemi qualche cosa di affettuoso.

Maggie                          - Caro il mio Beverly!

Beverly                         - (lirico) Ah, questa è la mia donna! (Volgendosi a Whiteside) Ora, caro Sherry, senza abbandonarti alle onde soporifere dell'autocompas-sione, come stai?

Whiteside                      - Sto bene, mio presuntuoso amico... Com'è stato il tuo viaggio? Meraviglioso? (Maggie siede sul bracciolo del divano).

Beverly                         - Favoloso. Ho fatto una fantastica quantità di lavoro. A proposito, mi è parso di ve­dere quella farfalla da salotto, la Sheldon, in un'au­to mentre venivo qui. Era lei?

Maggie                          - Proprio lei. E' venuta a farci la visita di Natale.

 Beverly                        - Che cara creatura! Dicono che ha dato fuoco alle gonne di sua madre mentre dormi­va accanto al caminetto, ma io non ci credo. Sherry, mio diabolico amico; (siede a destra) ho scritto non solo la commedia più bella che sia stata composta da Molière in poi, ma la rivista più brillante - do­po la mia ultima - e un'operatta che mi fa quasi paura perché è troppo divertente. La reciterò per ai/lo settimane a Londra e sei a New York - e basta. Niente matinées. Poi partirò per le isole della Grecia... Maggiolina, perché non venite anche voi? Perché non abbandonate questo pallone lanuginoso e non venite con me?

Maggie                          - State attento, Beverly. Forse mi prende­te nel momento giusto.

Whiteside                      - (cambiando discorso) Dimmi, Be­verly, ti sei divertito a Hollywood? Quanto tempo ci sei stato?

Beverly                         - (si alza e va verso il centro) Tre gior­ni incredibili. Ho visto tutti, da Adrian a Zanuck. Poveri cari, sono venuti ad un altare. Sono stato insopportabilmente affascinante e spietatamente de­ciso nel rifiutare sette milioni di dollari per due minuti di lavoro.

Whiteside                      - E Banjo? Hai visto il mio delizioso Banjo a Hollywood?

Beverly                         - L'ho visto. Ha offerto un. pranzo in mio onore. Al quale arrivai in cravatta bianca, e fui ricevuto alla porta da due cameriere in parruc­ca che si misero tranquillamente a togliermi i cal­zoni. Dopo di che, rimasto in mutandine di seta gialla, fui introdotto in una sala piena di gente fra cui la Shearer, Claudette Colbert e Aldous Huxley. Caro, incomparabile Banjo! (Va al divano e mette il braccio attorno alle spalle di Maggie).

Whiteside                      - Non dimenticherò mai quell'estate ad Antibes, quando Banjo mise un microfono fra i materassi di Lorena e il giorno dopo, a pranzo, suo­nò il disco.

Beverly                         - Lo ricordo anch'io. Lorena lasciò An­tibes col primo piroscafo in partenza.

Maggie                          - (fra sé) Vorrei che Banjo fosse qui a-desso.

Beverly                         - Che c'è, Maggiolina? Lorena si sta rendendo insopportabile? Come sempre?

Maggie                          - Non potreste portarcela nelle isole gre­che, Beverly? Per amor mio?

Whiteside                      - Via, via! Lorena è una cara figlio­la che ha rinunciato a chi sa quali brillanti riunio­ni per passare il Natale con me.

Beverly                         - Ah, sapevo che avevo qualche cosa di leggermente scandaloso per divertirvi tutti. (Trae di lasca una lettera. La porta della biblioteca si apre di nuovo, il dottore fa capolino).

Bradley                         - Signor Whiteside!

Whiteside                      - No, no, ora no. Andate via. (// dot­tore si ritira chiudendo la porta).

Beverly                         - Hai sequestrato qualcuno, Sherry?

Whiteside                      - Sì, il figlio di Vanderbilt. Dunque, il tuo scandalo è succoso?

Beverly                         - (siede accanto alla poltrona) Succoso come un arancio. E' l'ultimo resoconto londinese sulle manovre invernali della signorina Lorena Sheldon contro il fianco sinistro - anzi contro tutti i fianchi - di lord Cedric Bottomley. Sta a sentire: « Lorena ci ha abbandonati, avvolta in una nube di Chanel numero 5. Dal mese di settembre, nella sua incessante persecuzione di Sua Signoria, si è fer­mata solo per il tempo occorrente a cambiar cintura e rimettere olio alla macchina. Lo ha inseguito, an­simando, di castello in castello, finché egli si è ri­fugiato per parecchi week end nel gabinetto di toe­letta della Camera dei Lords. Praticamente nessuno fa scommesse sul Derby, quest'anno: tutti puntiamo su Lorena. La quale si imbarca domani sul « Normandie », ma tornerà col prossimo transatlantico se Bottomley emette anche soltanto un singulto verso di lei. « Conoscete Lord Bottomley, Maggiolina? (Si alza).

Maggie                          - No, non lo conosco. (Beverly si imme­desima senza indugio nell'imitazione di lord Botto­mley. Molto inglese, con moltissimi denti, balbuziente).

 Beverly                        - « Caccia n-n-non molto b-b-buona og­gi, perb-b-bacco. So-so-so-oltanto sei pe-pernici, qua-qua-quattro anatre e il du-du-duca di Sutherland. Ho, ho».

Whiteside                      - (ridendo) Dio mio! E' Bottomley tale e quale!

Beverly                         - (continuando) « Di-discussione inte­ressante, oggi alla ca-ca-camera. Il vecchio Churchill ha pa-parlato per tre ore. Alla fi-fine è caduto mor­to. Inte-te-teressante. Ho!».

Maggie                          - Credo che esageriate, Beverly. Non può esserci nessuno al mondo che parli così.

Whiteside                      - E' talmente identico! Assolutamen­te fantastico... Ma perché te ne vai, Beverley? Non mi stanco mai della tua compagnia, brutto buffone ingrato.

Beverley                        - (andando verso Whiteside) Caro Sher­ry, posso soltanto dirti che il mio affetto per te è così grande che ho cambiato treno a Chicago per poter passare dieci minuti con te, e farti i miei au­guri. Buon Natale, ragazzo mio. E anche a te, mia piccola Maggiolina.

Maggie                          - (alzandosi) Altrettanto, Beverly!

Beverly                         - (un'occhiata all'orologio: va al piano) Ho giusto il tempo per farti sentire una canzone, per darti l'idea di quello che è la mia nuova rivista. (Fa un accordo; ma prima che possa continuare si sen­te lo squillo del telefono).

Whiteside                      - Oh, al diavolo! Manda all'inferno chiunque sia, Maggie. (Maggie va a rispondere. E' distratta perché pensa ad altro).

Maggie                          - Pronto... Ah, ciao, Berto... Aspettate un momento, Beverly, vorreste parlare con un giorna­lista per due soli minuti? Gliel'ho quasi promesso!

Beverley                        - (mentre Maggie parla al telefono ha suo­nato qualche battuta in sordina) Non ho tempo, Maggiolina; a meno che il vostro amico non sia sot­to al pianoforte.

Maggie                          - Oh! (Al telefono) Un momento. (A Be­verley) Non potreste vederlo alla stazione, un mi­nuto prima della partenza del treno? (Beverley ac­cenna di sì) Berto, andate ad aspettarlo alla stazio­ne. Sarà lì fra pochi minuti... Arrivederci. (Riattac­ca).

Whiteside                      - Il pubblico è impaziente, Beverley. Sentiamo questo capolavoro di terz'ordine.

Beverley                        - (mentre le sue dita vagano sui tasti) Si intitola: (Segue la canzone. Che può essere ori­ginale; oppure si sceglie Una canzone di un nostro compositore).

Maggie                          - (alzandosi e andando verso il piano) Bellissima, Beverly. (Beverly attacca la seconda strofa).

Whiteside                      - Splendida. La miglior cosa che tu abbia scritto. (Il campanello della porta. John va ad aprire. Sono i tre tecnici della radio carichi dell'occorrente per la trasmissione di Whiteside).

Whiteside                      - Ah, venite, Westcott.

Beverly                         - (alzandosi dal piano) Ah, il microfono. Meno male che non ti sentirò. Sarò in treno. (Westcott va in biblioteca dopo aver consegnato un microfono al secondo operaio, che ne ha uno anche lui. Il terzo uomo ha un apparecchio di controllo portatile).

Maggie                          - (andando verso destra) Volete accomo­darvi di là, signor Westcott? John, fate il favore di mostrargli dove debbono fare l'impianto. Andiamo, Whiteside, salutate Beverly.

John                              - Da questa parte, signori. (i tre lo seguo­no nella stanza da pranzo).

Whiteside                      - (mentre Maggie incomincia a spingere la poltrona) Finiscila con queste sciocchezze!

Beverly                         - (gridando dietro a Whiteside, quasi scom­parso in biblioteca) Arrivederci, Sherry; auguri!

Whiteside                      - Beverly, amico mio... Maggie, sei proprio un demonio. Voglio parlare con Beverly.

Maggie                          - Lo abbraccerete a Londra, il 12 luglio.

Whiteside                      - (gridando) Non voglio essere condot­to via come un pupo a cui bisogna cambiar i pan­nolini! (E' scomparso).

Beverly                         - (prendendo cappello e cappotto) Ve­nite a darmi un bacio, Maggiolina.

Maggie                          - (tornando dalla biblioteca e chiudendo la porta) Beverly, ho bisogno di dirvi una cosa. Un minuto. Non vi farò perdere il treno. La stazione è a un minuto e mezzo di qui.

Beverly                         - Che c'è, Maggiolina? (La porta della biblioteca si apre e il dottore ne esce con aria scon­fitta mentre si sente la voce di Whiteside).

Whiteside                      - Andate via!

Bradley                         - Aspetterò... aspetterò in cucina fin­ché il signor... Scusatemi. (Via attraverso la stanza da pranzo).

Beverly                         - (dietro al divano) Chi è quell'uomo?

Maggie                          - Non ci badate... Beverly, sono molto in angustia.

Beverly                         - Perché, cara? Che cosa succede?

Maggie                          - Mi sono innamorata.

Beverly                         - No! (Le prende le mani).

Maggie                          - Sì. Per la prima volta in vita mia. Sono innamorata: Non posso raccontarvi tutto: non c'è tempo. Ma Sherry sta cercando di ostacolarmi. Con la sua solita malignità sta facendo il possibile per mandare tutto a monte.

Beverly                         - Quel vecchio briccone! Che sta fa­cendo?

Maggie -                        - Lorena. Ha fatto venire qui Lorena per rovinare tutto.

Beverly                         - Ah, è qualcuno di qui?

Maggie                          - (annuendo) Sì, è' un giornalista... quello che vedrete alla stazione; ha scritto una commedia e ho capito che Sherry si serve di questo come esca. Voi conoscete Lorena: se lo divorerà vivo. Do­vete aiutarmi, Beverly.

Beverly                         - Certamente, Maggiolina. Che cosa vo­lete che faccia?

Maggie                          - Bisogna far andare via Lorena più presto che si può. E voi potete far questo per me. (Westcott apre l'uscio della biblioteca).

Beverly                         - Ma come? Come? Sto per partire...

Westcott                       - Avete la sottocopia della trasmissio­ne, signorina Cutler?

Maggie                          - Dev'essere lì, sulla tavola.

Westcott                       - Grazie. Uno di quei pinguini ha mangiato l'originale. (Via chiudendo la porta).

Maggie                          - (avvicinandosi a Beverly e abbassando la voce) Ecco quello che dovete fare. (Lo accompa-gna in anticamera parlando sottovoce. Beverly fa ri­petutamente cenno di assenso col capo. Poi scoppia in una risata) Le telefonerete qui fingendo di esse­re lord Bottomley.

Beverly                         - Benissimo. Come mi divertirò! (Maggie si mette un dito sulle labbra e guarda verso la biblioteca: ma Westcott ha chiuso la porta).

Beverly                         - E' una cosa magnifica: con lo stesso colpo diamo scaccomatto a Lorena e a Sherry. De­lizioso! Farò un capolavoro di imitazione. (La ab­braccia).

Maggie                          - Caro! Il mio primo bambino si chiame­rà Beverly. Siete un amore.

Beverly                         - Lo so. Venite a Chislewick in viaggio di nozze e vi darò dei buoni consigli. Arrivederci cara. Vi adoro. (Guarda l'ora all'orologio da polso) Per carità! Fatemi scappare! (Via in fretta. Maggie rientra molto contenta. Cantarella perfino gualche battuta della canzone di Beverly. John la interrom­pe entrando dalla stanza da pranzo).

John                              - (mettendo una sedia a destra dell'albero) Devo sgombrare la stanza per la trasmissione, si­gnorina Cutler?

Maggie                          - No, John; non è televisione, grazie a Dio. C'è solo da ascoltare la voce d'oro.

John                              - E' davvero straordinario il signor White­side, non è vero? Come trova il tempo di fare tante cose!

Maggie                          - Sì, mette proprio il naso dappertutto!

Westcott                       - (entra dalla biblioteca) I ragazzi so­no arrivati, signorina?

Maggie                          - (andando nella biblioteca di cui chiude la porta) Sì, sono lì fuori.

Westcott                       - (andando in sala da pranzo) Grazie. (John mette un po' d'ordine chiudendo la scatola delle sigarette che è sul piano, ecc. In questo mo­mento Giannina scende tranquillamente la scala. E' vestita per uscire ed ha una valigetta).

John                              - Va via, signorina Giannina?

Giannina                       - Ma... no, John.. No. Il signor White­side è in biblioteca?

 John                             - Si: si sta preparando per trasmettere.

Giannina                       - Oh, volete... No, non importa. Senti­te, John... (In questo momento scende Riccardo por­tando una valigetta e due macchine fotografiche).

Riccardo                       - Dov'è? In biblioteca?

Giannina                       - Sì. Ha da fare.

Riccardo                       - Oh! Forse dovremmo... (Campanello alla porta) Vieni. (Via di fretta dalla stanza da pran­zo spingendo la sorella davanti a sé mentre John va ad aprire).

Lorena                           - Grazie, John. (Entra. E' risplendente in un abito da sera e mantello, diretta importazione da Parigi. Nello stesso momento Maggie viene dalla biblioteca e John se ne va da sinistra. Maggie rimette il telefono sulla consolle in fondo) Ciao, cara. Dov'è Sherry?

Maggie                          - E' di là. Lavora. Fra poco deve trasmet­tere. (Mette sotto l'albero dei regali che erano su uno sgabello).

Lorena                           - (dà un'occhiata alla stanza) Ah, già…. è la vigilia di Natale. Che uomo straordinario è Sheridan Whiteside. Dev'essere una vera gioia, mia ca­ra, essere segretaria di un uomo come Sherry.

Maggie                          - Sì. Si ha l'occasione di conoscere molta gente interessante. (Lorena va verso il divano) Che toilette, Lorena! Andate a qualche serata?

Lorena                           - Questa? Oh, ho messo il primo abito che mi è capitato. (Siede sul divano) E voi non vi ve­stite per il pranzo?

Maggie                          - No: solo quel tanto che basta. (Attra­versa la stanza tenendo in mano alcuni fogli. Lorena la osserva con gli occhi socchiusi. Quando le passa davanti, Maggie le sorride cortesemente e continua a camminare).

Lorena                           - Chi è il vostro parrucchiere, Maggie?

Maggie                          - Una piccola francese che si chiama Maggie Cutler viene tutte le mattine a pettinarmi.

Lorena                           - Sapete, ogni volta che vi vedo penso che avete dei bellissimi capelli. Mi vien sempre vo­glia di affondarvi le mani.

Maggie                          - (tranquilla) Anche a me vien voglia di ficcar le mani nei vostri. (Entra uno dei tecnici del­la radio portando una tavola per posarvi l'apparec­chio di controllo. Lorena lo segue distrattamente con lo sguardo).

Lorena                           - (distratta) Come dite, cara? (Dopo aver guardato il radio-operatore si volge di nuovo a Mag­gie) A proposito, a che ora viene Beverly? Non ho un particolare desiderio di vederlo.

Maggie                          - E' già venuto e andato.

Lorena                           - Ah, sì? Tanto meglio... Già, siete molto amici voi e Beverly, vero?

Maggie                          - Sì, molto. Lo credo un uomo straordi­nario.

Lorena                           - Può darsi. Per conto mio, quando ho terminato di recitare con lui, ero uno straccio. Du­rante tutta quella tenera scena d'amore a cui i cri­tici fecero tante lodi, non fece altro che buttarmi dei gusci di pistacchio nella scollatura. Non lavorerei più con lui neanche se dovessi morire di fame.

Maggie                          - (alzandosi e andando verso il centro) Ditemi, Lorena, non avete ancora trovato una nuo­va commedia?

Lorena                           - (subito in guardia) No no, non ancora. C'erano dei mucchi di manoscritti che mi a-spettavano a New York ma io mi sono affrettata a venire qui per vedere Sherry.

Maggie                          - Siete stata veramente gentile, Lorena, ad abbandonare tutto per accorrere vicino a Sherry invalido.

Lorena                           - Dopo tutto, cara Maggie, che cosa c'è al mondo di meglio che l'amicizia?

Maggie                          - E' quello che dico sempre anch'io... (L'operatore della radio entra da destra con l'appa­recchio di controllo e lo posa sulla tavola) Tutto a posto?

Operaio                         - Sì, va tutto bene. (Fa per uscire, guar­dando Lorena: va alla porta della biblioteca, si ac­corge di avere sbagliato, esce dalla sala da pranzo).

Lorena                           - Quanto tempo rimarrà ancora qui, Sherry?

Maggie                          - Non molto. Sapete che il signor Jef­ferson ha scritto una commedia veramente buona? Quel giovinotto che vi ha accompagnata all'albergo.

 Lorena                          - Ah, sì? Non sapevo. Una cosa interes­sante, no?

Maggie                          - (siede) Sicuro. (Pausa piuttosto lunga. Le due donne si sorridono).

Lorena                           - (sfuggendo lo sguardo di Maggie) Mi hanno messo uno smalto orribile sulle unghie. Im­magino che Elisabeth Harden non abbia una filia­le in questo paese.

Maggie                          - (occupata delle sue lettere) Lo imma­gino anch'io, se ha un po' di senso comune.

Lorena                           - (si alza, va dietro al divano, poi al pia­noforte) Allora mi toccherà tenermelo. Ma mi av­vilisce. (Fa qualche passo senza scopo. Poi prende un libro che è sul tavolino) Avete letto questo, Mag­gie? Lo leggevano tutti, a bordo. Dicevano che era impossibile lasciarlo...

Maggie                          - Ma io l'ho lasciato   - proprio su quel tavolino. (Lorena distrattamente suona qualche no­ta al piano. Il telefono squilla. Maggie prende il ricevitore con eccessiva indifferenza) Pronto... Sì... Sì... La signorina Lorena Sheldon,? Sì, è qui... (Al­zandosi, a Lorena) Una chiamata transatlantica per voi, Lorena.

Lorena                           - (andando verso il telefono) Transatlan­tica per me? Qui? E chi diamine...

Maggie                          - (porgendole il ricevitore) Da Londra.

Lorena                           - Da Londra? (Al telefono) Pronto? (Poi con voce più alta) Pronto... Cedrici Siete voi, Ce­dric?... Che sorpresa, carissimo! Come avete saputo che ero qui?... Come? Non parlate tanto in fretta, caro; balbetterete meno... Ecco, così... Sì, oravi sen­to... Sì, benissimo. Come se foste qui a due passi... Capisco... Come!.... Tesoro! (Accorgendosi che Mag­gie sta ascoltando) Aspettate un momento, caro! (Si volge a Maggie) Vi dispiace, Maggie? E' Lord Botto­mley …. una telefonata personale. Permettete?

Maggie                          - Ma vi pare!... (Via in sala da pranzo, quasi con piccolo passo di danza).

Lorena                           - (al telefono) Sì, carissimo... Ora dite­mi... Vi prego, Cedric, non balbettate così. Non sia­te nervoso. (Ascolta per un momento) Oh, che teso­ro! Che amore! Non sapete quanto ho pregato per questo ogni sera, quando ero sul piroscafo... Sì, te­soro, Si, mille volte Si!... Prenderò un aeroplano qui in modo da imbarcarmi sulla prima nave in parten­za... Come? Non balbettate così, Cedric... Ma sì, te­soro, vi amo         - oh, vi amo tanto!... Angelo caro, mio amore grande, gioia, sì, sì!... Sì, amore, vengo su­bito! Penserò a voi, a te, continuamente... Sono la donna più felice del mondo... Arrivederci, tesoro, a presto. Arrivederci. (Riattacca. Ansiosa di comuni­care la notizia corre alla biblioteca per chiamare Whiteside, spalanca la porta) Sherry, Sherry? Non sai? Cedric mi ha telefonato adesso da Londra - mi ha chiesto di sposarlo.

Whiteside                      - (spingendosi dentro con la poltrona; sta fumando una sigaretta in un lungo bocchino) Come!

Lorena                           - Figurati, Sherry! Finalmente! Devo an­dar subito via per imbarcarmi appena possibile.

Maggie                          - (uscendo come un topolino dalla sala da pranzo) Posso entrare?

Lorena                           - (andandole incontro) Cara Maggie, c'è subito un aereo per partire da qui? Devo imbarcar­mi al più presto per l'Inghilterra... Quando c'è una nave? Avete un giornale?

Maggie                          - La « Qeen Mary » parte venerdì. Che è successo?

Lorena                           - (va ad abbracciarla) La più bella cosa del mondo, Maggie! Lord Bottomley mi ha chiesto di sposarlo. (Accenna al telefono) Oh, Maggie!

Maggie                          - Davvero?

Lorena                           - Non è una cosa divina? Sono talmente eccitata che non riesco neanche a pensare. Maggie, carissima, dovete aiutarmi a partire al più presto.

Maggie                          - (andando verso la tavola) Con tutto il piacere, Lorena.

Lorena                           - Oh, grazie, grazie. Volete guardare su­bito?...

Maggie                          - Ma sì: ho qui un orario. E non vi pre­occupate, perché se non c'è treno, vi accompagnerò in macchina a Cleveland, dove troverete l'aereo.

Lorena                           - Siete straordinaria, cara Maggie! (Guar­da Whiteside, che sta fumando rabbiosamente) Che hai, Sherry? Non hai detto una parola. Non mi hai neppure fatto i rallegramenti.

Whiteside                      - (si avanza spingendosi con la poltro­na. Finora è rimasto come se in lui si addensasse un temporale) Fammi capire, Lorena. Vorresti di­re che per seguire queste tue idee da ragazzina ri­nunci alla tua carriera, butti tutto a mare?

Lorena                           - (prendendo la pelliccia che è sul sofà) Oh, niente affatto. Vuol dire, che non potrò recitare in questa stagione: ma ce ne saranno tante altre!

Whiteside                      - Capisco. E allora anche tutto il re­sto va a mare, vero?

Lorena                           - Ma Sherry, non puoi pretendere che io...

Whiteside                      - (glaciale) Niente spiegazioni, Lore­na. Capisco anche troppo. E capisco anche perché la Cornell rimane la migliore attrice che abbiamo.

Maggie                          - (sia studiando l'orario. Ora viene verso il centro) Magnifico, Lorena! Siete fortunata: c'è un aereo che parte da Cleveland alle dieci e tre. Ci vuole circa un'ora per arrivare all'aeroporto... Mi pare che tutto si combini perfettamente, vero, Sher­ry?

Whiteside                      - (fra i denti) Purtroppo!

Lorena                           - (andando al telefono) Maggie, che nu­mero ha il mio albergo? Debbo avvertire la mia ca­meriera che cominci a fare il bagaglio.

Maggie                          - Mesalia 32.

Lorena                           - (al telefono) Per favore, datemi Mesa­lia 32... Vediamo: venerdì, cinque giorni di navi­gazione, vuol dire che potrei essere a Londra mer­coledì sera... (Al telefono) Pronto, è la signorina Sheldon che parla... Sì, datemi la mia cameriera, per favore...

Maggie                          - (si è avvicinata alla finestra) Oh, guar­date, Sherry: comincia a nevicare... Che bellezza! Non, ho mai sentito così bene il Natale! Non è bel­lo, Sherry caro?

Whiteside                      - Vai all'inferno, tu e il Natale! (Mag­gie si ritrae e va ad appoggiarsi al piano).

Lorena                           - (al telefono. Siede su uno sgabello) Cosette?... Starami bene a sentire, Cosette. Partiamo stasera in aereo e ci imbarchiamo venerdì sul «Queen Mary». Prepara immediatamente il bagaglio: ver­rò a prenderti fra un'ora... Sì, va bene... Devi anche fare i cablogrammi che ora ti detto. Hai la matita? Bene. Dunque, il primo è per Lord e Lady Cunard; gli indirizzi li troverai tutti nel mio taccuino. E' nel­la valigetta verde. « Lord e Lady Cunard - carissi­mi. Torno venerdì Qeen Mary. Cedric ed io sposia­mo immediatamente dopo mio arrivo. Voglio siate primi a saperlo. Affettuosità. Lorena ». Ora scrivi... Come? Oh, grazie, Cosette, grazie mille. (L'ultimo « grazie » è seguito da un sorriso aspretto rivolto a Sherry) Manda lo stesso messaggio a Lady Àstor, Lady Beaverbroock e a mia madre a Kansas City... Hai scritto? E un telegramma a Hattie Carnegie, New York. «Prego venire casa mia domani pome­riggio con figurini abiti nuziali corredo - Lorena Sheldon ». E poi un altro a Pierre Cartier, Londra. « Volete tenermi da parte triplice filo perle visto in ottobre? Telegrafatemi bordo Queen Mary           - Lorena Sheldon ». Hai scritto tutto per bene, Cosette?... Be­nissimo. Ora sbrigati, cara; sarò all'albergo fra un'o­ra circa; tienti pronta. Arrivederci. (Riattacca, posa l'apparecchio sullo sgabello; va dietro la poltrona di Sherry).

Lorena                           - Ringrazio Dio di avere Cosette... non so come farei senza di lei: è la miglior cameriera del mondo... Bene! La vita è davvero piena di im­previsti, vero? Chi avrebbe pensato, un'ora fa, che sarei ripartita così presto per Londra?

Maggie                          - Un'ora fai Ah, non lo avrei creduto davvero!

Whiteside                      - (fuori di sé dal dispetto) Volete fi­nirla con tutte le vostre chiacchiere di donnette? Ho un mal di capo tremendo.

Maggie                          - (piena di sollecitudine, andando da lui) Oh, Sherry, volete che vada a prendervi qualche cosa?

Lorena                           - (avvicinandosi anche lei) Senti, Sher­ry: mi dispiace di averti contrariato, ma in fin dei conti la mia vita mi appartiene e... (Si interrompe vedendo entrare Berto dall'anticamera).

 Jefferson                      - (entrando) Buonasera a tutti. Sapete che sta nevicando? Avremo un vero Natale tradi­zionale.

Whiteside                      - Perché non le telefonate al New York Times, queste stupidaggini?

Maggie                          - (andando verso Jefferson) Berto, la si­gnorina Sheldon deve prendere l'aereo di stasera a Cleveland. Possiamo accompagnarla in macchina, voi ed io?

Jefferson                       - Certamente. Mi dispiace che dobbia­te partire, signorina. Spero che non abbiate avuto cattive notizie...?

Lorena                           - Al contrario, notizie ottime. Non po­trebbero esser migliori.

Maggie                          - Davvero tali che bisogna berci sopra. Non siete un ospite gentile, Sherry. Se si bevesse una bottiglia di champagne?

Jefferson                       - Oh, posso offrirvi qualche cosa di meglio. Vi preparo un cocktail alla Jefferson. Spe­ciale, va bene, signor Whiteside?

Whiteside                      - Sì, sì, sì, sì, sì, sì. Quello che vole­te. Basta che non facciate tanto l'idiota.

Jefferson                       - Hanno ammirato il mio regalo di Natale, Maggie?

Maggie                          - Oh, mi sono dimenticata. (Alza il brac­cio mostrando un braccialetto) Guardate tutti! Me l'ha regalato il signor Jefferson,!

Lorena                           - Carino. Fatemi vedere. Oh, c'è anche scritto qualche cosa. « A Maggie. Possa agitare la mano salutando per molti anni. Berto ». Che bel re­galo, Maggie! Non è grazioso, Sherry?

Whiteside                      - (seccato) Uno splendore!

Maggie                          - Ve lo avevo detto, Berto, che era bel­lissimo. Avete visto?

Jefferson                       - Beh, serve a dimostrare che cosa potrete avere se sarete una brava bambina economa.

Lorena                           - (guardando da uno all'altro) Ma che cosa c'è fra voi? Ci nascondete qualcosa, Maggie?

Whiteside                      - (portandosi una mano alla testa) Dio mio, mi non la finirete mai di chiacchierare? Mi sento scoppiare la testa.

Jefferson                       - Un cocktail Jefferson speciale gua­risce tutti i mali... Ah, sapete che ho avuto un'inter­vista di due minuti con Beverly Carlton alla sta­zione? Avevate ragione, signor Whiteside: è un uo­mo veramente d'eccezione. (Lorena va ad appoggiar­si al piano).

Maggie                          - (un po' inquieta) Su, Berto: preparate questi cocktails.

Jefferson                       - E sono stato fortunato ad avere al­meno quei due minuti. E' stato quasi tutto il tem­po nella cabina telefonica. (Un barlume di intuizione rischiara lentamente la mente di Whiteside).

Maggie                          - Berto, preparate questo aperitivo, per favore!

Jefferson                       - Subito. Non si sentiva quello che diceva, ma dalle smorfie che faceva, si sarebbe det­to che recitava una scena di una sua commedia.

Maggie                          - Berto, per carità, volete...

Whiteside                      - (improvvisamente galvanizzato) Un momento, Jefferson, per favore. Il signor Carlton era nella cabina telefonica della stazione?

Jefferson                       - Sì. Credevo che non, ne sarebbe più uscito. Ha continuato a parlare per più di cinque minuti, facendo le smorfie più buffe che si potes­sero immaginare.

Whiteside                      - (dolcissimo) Berto, ragazzo mio, cre­do che berrò molto volentieri il Jefferson speciale. Volete prepararmene uno doppio? Il mio mal di ca­po è andato via col vento.

Jefferson                       - Benissimo. (Va verso destra).

Whiteside                      - (con gli occhi brillanti, afferra il te­lefono) Sherlock Holmes o meglio Philo Vance o Monsieur Poirot è all'opera. Pronto? (La sua voce è assolutamente musicale) Cara signorina, c'è stata una telefonata dall'Inghilterra in quest'ultima mez­z'ora?... (Lorena si avvicina) Sì, aspetto.

Lorena                           - Che significa, Sherry?

Whiteside                      - Sssst! (Al telefono) Come? Nessuna chiamata dall'Inghilterra da tre giorni? Grazie, si­gnorina... Fior-di-pesco! (Al telefono mentre Lore­na si è avvicinata) Volete ripetere, per favore? (Met­te il ricevitore all'orecchio di Lorena) Hai sentito, cara? (Di nuovo al telèfono) Grazie, signorina, buon Natale. (Riattacca).

Lorena                           - (sbalordita) Ma cos'è questa storia, Sherry? Che vuol dire?

Whiteside                      - Vuol dire, Fior-di-pesco, che hai recitato la più bella scena d'amore della tua carrie­ra col tuo vecchio amico Beverly Carlton.

Lorena                           - Come... Cosa... Non è vero. Ho parlato con Cedric, io!

Whiteside                      - Ti ripeto, fiorellino mio, che hai versato la piena del tuo cuore di fanciulla su Be­verly, non su Lord Bottomley. Dio mio, chi avrebbe detto cinque minuti fa che non, saresti partita di volata per Londra!

Lorena                           - Sherry, voglio che mi spieghi!

Whiteside                      - Spiegare? Hai sentito la telefonista, mia cara. Tutto quello che posso dirti è che Bever­ly si è divento a fare una delle sue famose imita­zioni. Lo avrai già sentito altre volte, no, fare l'i­mitazione di Lord Bottomley?

Lorena                           - Sì... Sì... senza dubbio... Ma perché avrebbe fatto una cosa simile? E' uno dei più ter­ribili... Oh Dio! Quei telegrammi! Quei telegrammi! (Con un balzo è al telefono) Datemi l'albergo... Co­me si chiama... Voglio l'albergo... Ah, ma me la pa­ga! Farabutto! Animale! Vigliacco! (Al telefono) Mansion House? Datemi la mia cameriera... Come?... E chi diavolo volete che sia? La signorina Sheldon, diamine... Dio, Dio, quei telegrammi! Se almeno Co­sette non avesse ancora... (Al telefono) Cosette, Co­sette! Hai fatto quei telegrammi? Oh, Dio, Dio!... Senti, Cosette: devi fare un altro cablogramma a tutta quella gente e dire che qualcuno si è servito del mio nome e perciò non. prendano in conside­razione niente di ciò che ricevono con la mia firma eccettuato questo, beninteso. ...Non domandare: fai quello che ti dico... Non discutere con me, stre­ga d'una francese; fai quello che ti dico, accidenti! E disfa il bagaglio: non partiamo! (Riattacca e tor­na in centro).

Whiteside                      - Calmati, fiorellino, non ti arrab­biare.

Lorena                           - Come sarebbe, «non ti arrabbiare»? Non capisci che tutta l'Inghilterra riderà alle mie spalle? Non avrò più il coraggio di farmi vedere! Ho sempre saputo che Beverly Carlton era un es­sere abietto: ma non credevo fino a questo punto. Ma perché? Perché? Non è neanche una cosa di­vertente. Questo è quello che vorrei sapere: perché lo ha fatto. Perché uno scherzo simile? Non riesco a capirlo. Tu lo capisci, Sherry? E voi, Maggie? Lo avete visto tutti e due oggi. Perché uscendo di qui (Va verso Maggie poi torna in centro) è andato drit­to a una cabina telefonica e ha cercato di farmi partire subito per l'Inghilterra facendomi fare la fi­gura della stupida! Dev'esserci stato un motivo assolutamente. Altrimenti non si spiega. Perché Be­verly Carlton o qualcun altro avrebbe dovuto desi­derare...? (si interrompe. Ha un barlume di intui­zione. Maggie si porta la mano ai capelli) Oh! Oh! (// suo sguardo, che si è soffermato su Maggie, va alla stanza da pranzo dove è scomparso Jefferson: poi torna a Maggie) Forse... comincio a... Sicuro! E' così. Certo è così. Sì, è molto carino quel braccia­letto che vi ha regalato il signor Jefferson, cara Maggie. Sicuro. Ora si spiega tutto. E dire che sta­vo quasi per... Ah, beh! Neanche con la forza mi faranno partire adesso. (Va verso Maggie) E se fossi in voi, Maggie, appenderei quel braccialetto come ricordo di lui. (Va al divano. Dalla sala da pranzo viene Westcott con le mani piene di fogli. Nello stesso momento ecco i due. tecnici; il primo va all'apparecchio di controllo, il secondo dispone i due microfoni a destra e a sinistra della poltrona a ro­telle).

Westcott                       - (con gli occhi sull'orologio, a destra della poltrona) Pronti, signor Whiteside. E' quasi ora. Qua, ragazzi, cominciate a verificare. Ecco il vostro nuovo testo, signor Whiteside. (Gli porge i fogli).

Whiteside                      - Quanto manca?

Westcott                       - Un paio di minuti. (Il primo tecnico sta parlando nel suo apparecchio di controllo: «Uno, due, tre, quattro, uno, due, tre, quattro. Come sentite New York... A, B, C, D, A, B, C, D, Mariella aveva una capretta, Mariella aveva una capretta ». I coniugi Stanley rientrano in casa, venendo dall'an­ticamera. Il signor Stanley si ferma a togliersi il cappotto; la signora osserva avidamente tutto il la­vorio della radio. La voce del secondo tecnico suo­na: «Prova». Ma Stanley con un severo «prego, Ghita » passa e va su per la scala seguito dalla mo­glie).

Secondo tecnico           - Va bene. New York. Mariella aveva una capretta. Aspettiamo. (Westcott è con l'o­rologio in mano. Dalla sala da pranzo viene Jeffer­son con un vassoio sul quale sono quattro cocktails).

Jefferson                       - Ecco il Jefferson speciale... Abbia­mo tempo?

Lorena                           - Oh, abbiamo tutto il tempo che voglia­mo, signor Jefferson. Non parto più. Ho cambiato programma.

Jefferson                       - Davvero? Tanto meglio.

Lorena                           - Ho saputo che avete scritto una bellis­sima commedia, signor Jefferson. Desidero che me la leggiate stasera. Volete? Andremo al mio al­bergo subito dopo pranzo. E me la leggerete. (Pren­de un cocktail. Maggie va verso il fondo).

Jefferson                       - Ma... ma., volentieri. Sarò felice.. A-vete sentito, Maggie? (Va verso di lei) Scommetto che siete stata voi a combinare questo. E' il più bel regalo di Natale che mi poteste fare! (Maggie lo guarda per un momento angosciata. Poi, senza una parola, si precipita in anticamera, afferra il suo man­tello ed esce dalla casa di corsa) Maggie! Maggie! (Posa il vassoio sul piano e fa per seguirla; ma si ferma sentendo sbattere la porta. Intanto Lorena sie­de sul sofà).

Primo tecnico                - Trenta secondi. Aspettiamo. (/ coniugi Stanley scendono a precipizio la scala. Ognuno dei due ha in mano una lettera: entrambi so­no sconvolti).

Stanley                          - Signor Whiteside!

Westcott                       - Silenzio, per favore!

Stanley                          - Mio figlio è scappato su un camion e mia figlia sta sposando un anarchico!

Westcott                       - Zitto!

Stanley                          - Dicono che li avete consigliati voi.

Signora Stanley             - La mia povera Giannina! Il mio Riccardo! E' la cosa più tremenda...

Westcott                       - Zitti! Stiamo per trasmettere. (Entra da sinistra il coro dei ragazzi e viene in centro. Stanley si sente soffocare: guarda nuovamente, sba­lordito, la lettera che ha in mano; la signora Stan­ley piange piano. Il dottor Bradley si affaccia dalla sala da pranzo).

Bradley                         - Oh! Vedo che avete ancora da fare.

Stanley                          - Non potete impormi il silenzio!

Westcott                       - (urlando spinge gli Stanley su per la scala) Zitti! Per l'amor di Dio, zitti! Levatevi dai piedi. Per favore! Va bene, ragazzi, da questa parte. Davanti a questo microfono. (Va a disporre i ragazzi davanti al microfono. I ragazzi sono entrati. Posso­no essere vestiti da seminaristi. Un attimo prima di cominciare uno dei ragazzi tocca un diapason per dare la tonalità).

Primo tecnico                - (completando il collegamento) Ci siamo. New York. (il secondo tecnico alza il brac­cio per dare il cenno di cominciare ai ragazzi. Pau­sa di circa cinque secondi. John e Sara sono arri­vati in punta di piedi sulla soglia della sala da pran­zo. Il braccio ricade: Westcott accenna ai ragazzi di stare pronti. Le voci argentine intoneranno un can­tico di Natale: «Tu scendi dalle stelle» oppure « Notte d'argento » o altro).

Westcott                       - (al microfono) Buonasera a tutti. La crema di mais offre alla sua affezionata clientela e a tutti i radioascoltatori una trasmissione di Sheridan Whiteside. (Abbassando il microfono fa cenno al coro di avvicinarsi. Altro gesto d\ Westcott e Whi­teside comincia a parlare, mentre i ragazzi cantano come accompagnamento).

Whiteside                      - E' Whiteside che parla. In questa vigilia di tutte le vigilie, mentre il mio cuore è col­mo di bontà e di pace, vi racconterò ancora una volta la storia di quella notte calma e luminosa, la notte di quasi duemila anni fa... (Si ode un grido acuto dalla biblioteca. Tutti si voltano all'interruzione. Miss Preen entra a precipizio tenendosi una ma­no. Il coro continua a cantare durante tutto questo).

Preen                             - Un pinguino mi ha morso! (Bradley le si avvicina).

Whiteside                      - (alzando la voce per coprire la sin­ghiozzante Miss Preen, continua) Quando la stella di Betlemme... (il sipario comincia a chiudersi).

Whiteside                      - (continuando) ...brillò più splenden­te delle altre in quel cielo punteggiato d'argento...

(Si è chiuso il SIPARIO)

ATTO TERZO

La stessa scena. La mattina di Natale. La luce chia­ra del sole di dicembre penetra attraverso la fine­stra. Dalla biblioteca giunge il ruggito di Whiteside.

Whiteside                      - (da fuori scena) Signorina Preen! Signorina Preen! (La Preen, che sta giungendo dalla sala da pranzo, si affretta ad aprire la porta della biblioteca).

Preen                             - Eccomi! Eccomi!

Whiteside                      - (evidentemente di malumore, mentre si spinge da sé verso il centro) Dove diavolo an­date sempre a cacciarvi, signorina Nausea?

Preen                             - Signor Whiteside, non posso essere in più di un luogo alla volta!

Whiteside                      - Una fortuna per gli altri. (La Preen, indignata, va in biblioteca e sbatte la porta. John scende la scala con un vassoio carico di piatti spor­chi).

John                              - Buongiorno, signor Whiteside. Buon Na­tale.

Whiteside                      - Buon, Natale, John, buon Natale.

John                              - Debbo servirle la colazione?

Whiteside                      - No, non ho voglia... La signorina Cutler non è ancora scesa?

John                              - No, non ancora.

Whiteside                      - Sapete se è ancora in camera sua?

John                              - Credo. Debbo chiamarla?

Whiteside                      - No, no. Andate pure, John.

John                              - (andandosene per la sala da pranzo) Be­ne, signor Whiteside. (Rimasto solo, Whiteside emet­te un lungo sospiro. Ora Maggie scende la scala. E' vestita da viaggio ed ha in mano una valigetta. Whi­teside aspetta che sia lei a parlare).

Maggie                          - (posando la valigia in fondo alla scala) Prenderò il treno dell'una, Sherry. Me ne vado.

Whiteside                      - Neanche per sogno!

Maggie                          - Ecco le vostre chiavi la vostra pa­tente d'automobile. (Gliela porge) La chiave della cassetta di sicurezza è nell'appartamento di New York. Ora vado di là a mettere un .po' d'ordine. (A-pre la porta della biblioteca).

Whiteside                      - (mette in tasca chiavi ecc.) Un mo­mento, madamigella. Dove siete stata fino alle tre di questa notte? Sono rimasto qui fino a un'ora in­verosimile, pieno di preoccupazione. E quando sei tornata, hai sentito che ti ho chiamata. Perché non hai risposto?

Maggie                          - (avvicinandosi) Sentite, Sherry, ormai la cosa è finita. Avete vinto. Non desidero riparlar­ne.

Whiteside                      - Oh via, via, via, via, via! Cosa stai cercando di farmi passare per una perfetta ca­naglia, malvagia e senza cuore? Sinceramente, Mag­gie, a volte sei proprio noiosa.

Maggie                          - (lo guarda stupita) Siete straordinario, Sherry, ve lo assicuro! Vi annoio! Vorrei potere an­cora riuscire a ridere... Posso dirvi una cosa, Sher­ry? Che vi credo un egoista come non, c'è l'eguale; capace di lasciar bruciare sua madre... se questo fosse il solo mezzo per accendersi la sigaretta. Cre­do che sacrifichereste il vostro miglior amico sen­za un attimo di esitazione, se egli disturbasse il sa­crosanto andamento della vostra egocentrica, me­schina, piccola esistenza. Vi credo incapace di qual­siasi emozione umana che arrivi più in alto del vo­stro stomaco; ed io sono stata la più grande delle imbecilli quando ho creduto di potermi fidare di voi.

Whiteside                      - Ah, beh, giuro che finché vivo non farò mai più degli scherzi di questo genere. Non e-sigo che tu mi chieda scusa, Maggie, perché fra sei mesi mi ringrazierai invece di biasimarmi in que­sto modo.

Maggie                          - Fra sei mesi, Sherry, spero di essere talmente lontana da voi... (Si interrompe sentendo in anticamera una voce che grida « Hello! hello! hello! hello! » mentre la porta sbatte. E' Berto Jef­ferson, un pochino brillo. Maggie va verso il fondo a destra).

Jefferson                       - Buon Natale a tutti! Buon Natale! Sono un pochino allegro, ma ora vi spiego. Hi, Mag­gie. Hi, signor Whiteside. Stringete la mano a un commediografo fortunato. Perché siete scappata, ie­ri sera, Maggie? Dove siete andata? La signorina Shledon dice che la commedia è molto bella. Gliela ho letta e l'ha trovata bellissima. Non è una cosa magnifica?

Maggie                          - Sì, Berto; è un'ottima cosa.

Jefferson                       - Non è magnifico, signor Whiteside?

Whiteside                      - Jefferson, credo che fareste bene ad andare a casa.

Jefferson                       - Come? Neanche per idea: è il più gran giorno della mia vita! So che sono un pochino brillo, ma questa è una gran giornata. Siamo stati tutta la notte nella taverna di Billy. Non ci siamo accorti che fosse giorno finché non abbiamo visto il sole. (Va verso Maggie) State a sentire, Maggie... La signorina Sheldon dice che la commedia ha bi­sogno di qualche ritocco per essere recitata e co­mincerebbe le prove fra tre settimane. Intanto mi conduce in una villetta che ha sul lago Placido, co­sì possiamo lavorare insieme alle modifiche, in que­ste tre settimane. Non è magnifico? (Pausa) Perché non dite niente, Maggie? (Maggie gli volta le spalle).

Whiteside                      - Sentite, Berto, è meglio che tutta questa storia ce la raccontiate più tardi. Ora dovre­ste... (Si interrompe vedendo entrare il dottor Bra­dley dall'anticamera).

Bradley                         - Oh, scusate! Buon Natale a tutti! Buon Natale!

Jefferson                       - Altrettanto.

Bradley                         - Grazie. Signor Whiteside, forse sono venuto un po' presto...

Jefferson                       - (andandogli incontro) Sapete, dot­tore? Vado sul Lago Placido per tre settimane non è magnifico? Avete mai sentito parlare di Lo­rena Sheldon, le celebre attrice? Beh, vado sul La­go Placido con lei, per tre settimane.

Whiteside                      - Dottore, volete farmi un piacere? Credo che Jefferson abbia bisogno di un caffè nero e di un po' di colazione. Volete esser tanto gentile di occuparvene?

Bradley                         - Sì, sì, figuratevi...

Jefferson                       - Dottore, sarò io che vi offrirò la colazione la più ricca colazione che abbiate mai fatto.

Bradley                         - Sì, sì, Jefferson.

Jefferson                       - (mettendogli un braccio attorno alle spalle a avviandosi con lui) E sapete cosa fac­ciamo, dottore? Ci arrampicheremo su qualche ca­mino... Ho un amico che non crede al Bambino Ge­sù: ci arrampicheremo sul camino di casa sua e gli faremo prendere uno di quegli spaventi. (Via con Bradley dall'anticamera).

Whiteside                      - Ora stammi a sentire, Maggie. So­no disposto a perdonare le tue escandescenze e a parlare con calma di tutta questa faccenda.

Maggie                          - Lo amo terribilmente, Sherry... Oh, perché , perché avete fatto questo? Perché? (Va barcol­lando verso la biblioteca: vi entra e chiude la porta. Whiteside rimasto solo guarda l'orologio. Sospira. Enrichetta scende la scala vestita per uscire).

Enrichetta                     - Buon Natale, signor Whiteside.

Whiteside                      - Oh!... Buon Natale, signorina Stan­ley.

Enrichetta                     - (nervosa) Credo che non dovrei farmi vedere a parlare con voi... Mio fratello è ar-rabbiatissimo. Ma non potevo resistere al deside­rio di chiedervi... Vi è piaciuto il mio regalino?

Whiteside                      - Scusatemi, signorina non l'ho ancora aperto. Non ho aperto nessuno dei regali che ho ricevuto.

Enrichetta                     - Oh Dio, ero così ansiosa... Eccolo, signor Whiteside. (Va all'albero) Volete aprirlo adesso?

Whiteside                      - (mentre scioglie il cordoncino) Sie­te molto gentile, signorina Stanley. Ho apprezzato infinitamente il vostro pensiero. (Tira fuori il re­galo: una vecchia foto) Molto graziosa. Io adoro queste vecchie foto. Grazie mille.

Enrichetta                     - Avevo ventidue anni quando fu fatta. Questo era l'abito che preferivo. Vi piace dav­vero?

Whiteside                      - Sicuro. Quando tornerò a New York vi manderò un piccolo dono.

Enrichetta                     - Davvero? Oh, vi ringrazio, signor Whiteside. Sarà un tesoro per me... (Si avvia) Vado perché non voglio arrivare in ritardo in chiesa. Ar­rivederci. Arrivederci.

Whiteside                      - Arrivederci, signorina. (Mentre En­richetta va in anticamera gli occhi di Whiteside tor­nano a fissarsi sulla fotografia. Rimane intrigato per qualche secondo, crolla la testa, borbotta) Ma chi è questa donna? (Crolla ancora la testa, perplesso. John entra dalla sala da pranzo col vassoio della co­lazione).

John                              - Sara le ha preparato una piccola sorpre­sa, signor Whiteside. La sta levando dal forno. (Va verso la scala).

Whiteside                      - Grazie, John. (John sale la scala e scompare. Improvvisamente il campanello della por­ta si mette a trillare violentemente. Tace un attimo poi ricomincia) Signorina Preen! Signorina Preen.!

Preen                             - (in fretta, dalla biblioteca) Eccomi, ec­comi.

Whiteside                      - Andate ad aprire, per favore. John è disopra. (La Preen, evidentemente seccata, va ad aprire. Whiteside mette la foto nel cestino della pol­trona).

Preen                             - (da fuori scena) Chi è?

Voce maschile               - Il mago Merlino! (Un grido della Preen, grido di cui si capisce subito la ragio­ne. Essa viene portata nella stanza fra le braccia di un bizzarro signore che la bacia e la ribacia).

Il signore                       - (sempre tenendo in braccio la Preen) Vi amo follemente follemente. Avete capito? Follemente! Baciatemi. Non abbiate paura di questa passione travolgente. Baciatemi! Sento il sangue che pulsa nelle vostre vene varicose.

Preen                             - (dibattendosi) Mettetemi giù! Mettetemi giù! Non vi permetto... Chi siete? Mettetemi giù, al­trimenti urlerò come una pazza! Signor Whiteside! Signor Whiteside!

Whiteside                      - Banjo, per carità! Banjo!

Banjo                            - Ciao, Whiteside. Vuoi firmarmi la rice­vuta di questo pacco?

Preen                             - Signor Whiteside!

Whiteside                      - Banjo, metti giù quella donna. E' la mia infermiera, pazzo incosciente che sei!

Banjo                            - (rimettendo in piedi la Preen) Venite in camera mia fra mezz'ora e portatemi un panino di segala. (Le dà allegramente una sculacciata).

Preen                             - (offesissima) Ma, signor Whiteside! (Si riassetta gli abiti e va velocemente in biblioteca: chiude la porta. Nello stesso momento John scende in fretta la scala. Banjo gli accenna di avvicinarsi; alza una gamba e gliela mette in mano. John, sba­lordito, si affretta a uscire dal fondo).

Banjo                            - (venendo in centro) Whiteside, sono ve­nuto a passare il Natale con te. Dammi un bacio.

Whiteside                      - Levati di torno, avanzo di riforma­torio. Come diavolo sei qui?

Banjo                            - Darryl Zanuck mi ha prestato il suo mammifero. Abbiamo finito il film ieri e sono in viaggio per la Nuova Scozia. Filo fra dodici ore: mi sono fatto prestare un bimotore da Charlie Chaplin. Ti ho portato un bellissimo regalo. (Tira fuori un pacchettino avvolto in un pezzo di stoffa) E' un reggiseno appartenuto a Hedy Lamarr. (Lo depone nel grembo di Whiteside).

Whiteside                      - Finiscila, idiota. Dimmi piuttosto quanto tempo ti trattieni qui.

Banjo                            - Il tempo di fare un bagno. Ti ho detto che vado in Nuova Scozia. Dov'è Maggie?

Whiteside                      - Nuova Scozia? Cosa ci vai a fare?

Banjo                            - Sono stufo di Hollywood e a New York c'è una signora che non voglio vedere. Così ho pensato di andare a pescare qualche salmone affumicato... Ma dove diavolo è Maggie? Ho voglia di ve­derla. E tu che hai?

Whiteside                      - Sono contento che tu sia qui, Banjo. Sono molto seccato per Maggie. Molto.

Banjo                            - Che è successo? (Whiteside si alza e va verso sinistra) Beh, e questo? Credevo che non po­tessi camminare!

Whiteside                      - Bah, sto benissimo da un pezzo. Non si tratta di questo. Sono adiratissimo con Mag­gie. Si è rivoltata contro di me come una vipera. Tu sai quanto le voglio bene. E dopo tanti anni, ri­cambia il mio affetto comportandosi come una pe-scivendola.

Banjo                            - Che diamine stai dicendo?

Whiteside                      - Io non. avevo creduto che fosse ve­ramente innamorata.

Banjo                            - Di chi?^ Non capisco niente.

Whiteside                      - (con impazienza) Ma te lo sto di­cendo, imbecille! Di un giovine giornalista di qui.

Banjo                            - Maggie si è dunque decisa... Beh, e che specie di tipo è questo giovinotto?

Whiteside                      - Uffa! Vuoi tacere e stare a sentire?

Banjo                            - Sono tutt'orecchi. Cosa è successo?

Whiteside                      - E' successo che Lorena Sheldon è capitata qui a farmi una visita.

Banjo                            - Vecchio vizioso, la fai venire fin qui?

Whiteside                      - (cammina su e giù) Ma sta a senti­re! Il giovine ha scritto una commedia. Indovini il resto. Parte oggi con Lorena. Per... «riscriverla ». Ecco. E Maggie piange tutte le sue lagrime. (Va a sedere sul sofà).

Banjo                            - Ma guarda!.,. Un. momento. Come mai Lorena è capitata qui? Non me la conti giusta, Sher­ry. Gatta ci cova...

Whiteside                      - Ma sì, si. Però lo avevo fatto per

Maggie                          - perché credevo che fosse meglio per lei.

Banjo                            - (va verso destra) Ah, certo certo. Non hai pensato affatto a te stesso... Povero piccolo... Posso vederla un momento?

Whiteside                      - No, no. Lasciala in pace.

Banjo                            - Non posso far niente, Sherry? Dove sta questo tale? Non si potrebbe telefonargli?

Whiteside                      - (si alza va da Banjo) Un. momen­to, Banjo. Non facciamo storie col telefono. Ne ho avuto abbastanza. E poi... sono stato io che ho fatto venire Lorena e perciò tocca a me levarla dai piedi. (Cammina su e giù).

Banjo                            - Non è facile. Lorena non è una stupida. (Passeggia) Ci vuole qualche cosa che la faccia an­dar via... (Fermandosi) Zitto! Ci sono! Quell'indi­viduo come si chiama? Lord Fanny, no, Bottomley!

Whiteside                      - (con aria afflitta) No, Banjo. Niente da fare.

Banjo                            - Un momento. Non capisci. Mandiamo a Lorena un cablogramma di Bottomley...

Whiteside                      - Ma sì, ho capito. Anche Lorena ha capito. E' già stato fatto.

Banjo                            - Ah! Te l'ho detto che non è stupida... (Siede sulla poltrona a rotelle) Bisogna pensare ad altro...

Whiteside                      - Il male è che c'è così poco tempo... Levati dalla mia poltrona! (Siede al suo posto che Banjo lascia frettolosamente) Lorena lo porta via con sé oggi, nel pomeriggio. Accidenti, accidenti, acci­denti. Ci dev'essere un mezzo... E' che ho fatto le cose troppo bene. Inferno e dannazione!

Banjo                            - Un guaio, eh?

Whiteside                      - Lo hai detto, con la parola di uno dei più grandi poeti.

Banjo                            - Beh, senti. Ora ho fame. Ci penseremo. Vedrai che riusciremo a farla partire. Dovessi tra­scinarla con le mie mani...

Sara                               - (entra dalla, sala da pranzo con un vassoio su cui è la sorpresa di cui ha parlato John) Buon Natale, signor Whiteside. (A Banjo) Permetta... (A Whiteside) Ho una cosa per lei... (Banjo con svel­tezza si impadronisce del dolce e sta già mangiando­lo quando Sara           - che non si è accorta        - pre'senta a Whiteside il piatto vuoto. Accorgendosi) Ma era per lei, signor Whiteside...

Whiteside                      - Non. importa, Sara. Il mio amico è un po' matto.

 Banjo                           - Vieni, Petrushka, andiamo a ballare. A ballare sulla neve (Afferra Sara e la trascina bal­lando verso la cucina, cantando ad alta voce il val­zer della « Vedova allegra »).

Sara                               - (trascinata via) Signor Whiteside! Signor Whiteside!

Whiteside                      - Fategli fare colazione, Sara. E' in­nocuo. (Whiteside ha appena un momento per rac­cogliere le idee, perché la porta della biblioteca si apre e ne vien fuori la Preen vestita per uscire e con una valigetta in mano. Sì pianta davanti a Whitesi­de, posa la valigetta e comincia a infilare i guanti).

Whiteside                      - Beh, e questo che cosa vuol dire?

Preen                             - Vuol dire che me ne vado, signor Whi­teside. Ho lasciato il mio indirizzo sulla scrivania. Potrete mandarmi un assegno.

Whiteside                      - Vi rendete conto, signorina Preen, che questo è assolutamente antiprofessionale?

Preen                             - Lo so. Ma non solo vado via da questa casa, ma abbandono la professione di infermiera. Fin da bambina sognavo di poter servire l'umanità sof­ferente; ma dopo un mese passato con voi ho de­ciso di andare a lavorare in una fabbrica di muni­zioni. Da ora in poi, tutto quello che potrò fare per collaborare allo sterminio della razza umana, mi ri­empirà di gioia. Se Fiorenza Nìghtingale vi avesse curato, signor Whiteside, avrebbe sposato Jack lo sventratore piuttosto che fondare la Croce Rossa. Buongiorno. (Via. La signora Stanley, tremante di agitazione, scende la scala a precipizio, corre Verso l'anticamera).

Signora Stanley             - C'è mio marito con Gianni­na. L'ha ricondotta a casa. Ringraziamo Dio, ringra­ziamo Dio! (Si sente la sua voce nell'ingresso) Gian­nina, cara, meno male che sei tornata! Non sei spo­sata?

Giannina                       - (da fuori scena) No, mamma, no. E, ti prego di non farti prendere dall'isterismo. (En­trano: la signora Stanley tenendo Giannina abbrac­ciata; dietro a loro Stanley, padre severo).

Signora Stanley             - Oh, Giannina, se fosse stato chiunque altro... Ma non quel tremendo giovinotto! Meno male che sei riuscito a impedirlo, Ernesto: come hai fatto?

Stanley                          - Non ci pensare, Ghita. Conduci su Giannina. Io ho qualcosa da dire al signor White­side.

Signora Stanley             - E Riccardo? Si sa niente?

Stanley                          - Tutto bene, Ghita. Acchiappato anche lui. Conduci su Giannina.

Giannina                       - Babbo, non si è già fatto abbastanza melodramma? Non voglio essere condotta su: ci vado da me... Buon Natale, signor Whiteside. Mi pa­re che sia aria cattiva... Vieni, mamma vieni a chiudermi a chiave in camera.

Signora Stanley             - Ti sentirai molto meglio, Gian­nina, dopo che avrai fatto un bagno caldo.. Hai mangiato? (Segue la figlia per la scala).

Stanley                          - (a Whiteside) Ho il piacere di infor­marvi, signore, che i vostri progetti per mia figlia sono andati in fumo. Non. è e non sarà mai la mo­glie di quel buffo agitatore che avete scovato per lei. Quanto a mio figlio, è stato raggiunto a Toledo e fra un'ora sarà a casa. Non possedendo il vostro dono per l'invettiva, .sono nell'impossibilità di dirvi quello che penso della vostra odiosa ingerenza nei miei affari. Ma ho fatto in modo che essa abbia ter­mine. (Si volge verso l'anticamera) Entrate, signori. (Appaiono due individui robusti e si fermano sotto l'arco) Signor Whiteside, questi signori sono'agenti della polizia locale. Hanno un mandato per il quale io posso mettervi fuori di casa mia, e non esito a dirvi che questo sarà il più bel momento della mia vita. Signor Whiteside... (Guarda l'orologio) vi dò quindici minuti per fare il vostro bagaglio e an­darvene. Se fra quindici minuti non ve ne sarete andato, questi due signori vi estrometteranno con la forza. (Si volge agli agenti) Grazie, signori. Volete attendere fuori, per cortesia? (7 due agenti escono) Quindici minuti, signor Whiteside: e naturalmente dovete portar via valige, bauli, poltrona, pinguini, polipo e scarafaggi. (Va verso la scala) Ora vado di sopra a spaccare la radio per non correre il rischio di udire ancora la vostra voce.

Whiteside                      - Certo non desiderate il mio auto­grafo, vecchio amico?

Stanley                          - Quindici minuti, signor Whiteside. (Sale e sparisce).

Banjo                            - (entra da destra, attacca il cappello a un ramo dell'albero, viene in centro) Brava, questa cuoca. Però non mi è venuta nessuna idea. Novità sul fronte?

Whiteside                      - Sì. Il nemico mi incalza alle spalle.

Banjo                            - Dove hai 'detto che era Maggie? Lì den­tro?

Whiteside                      - Inutile, Banjo. Ha deciso di prende­re il treno dell'una.

Banjo                            - Questo non me lo avevi detto! Ti lascia davvero? Dopo tanti anni?

Whiteside                      - E' così.

Banjo                            - Sicché, hai tempo solo fino all'una per fare qualche cosa?

Whiteside                      - No, mio caro. Ho esattamente quin­dici minuti. (Guarda l'orologio) Anzi quattordici minuti per tirar fuori dal mio cappello il più in­fernale coniglio che sia mai esistito.

Banjo                            - Come sarebbe a dire quattordici mi­nuti?

Whiteside                      - Fra quattordici minuti questo roseo corpicino sarà buttato fuori, sulla neve. Il mio ospi­te ha ottenuto un. mandato. Mi caccia a calci.

Banjo                            - Come? A che proposito? Perché dovreb­be fare una cosa simile?

Whiteside                      - Non ha importanza. Quello che im­porta è che ho solo quattordici minuti. Caro Banjo, le cose cominciano ad andar male per il sottoscrit­to.

Banjo                            - (cammina un momento) E se tu mettessi carte in tavola con Lorena?

Whiteside                      - Senti, Banjo. Tu conosci quell'ange­lica donnina come la conosco io. E allora...

Banjo                            - Hai ragione.

Whiteside                      - (stancamente) Ti prego: vai a par­lare un momento con Maggie. Io ho bisogno di pen­sare.

Banjo                            - Senti! Se sapessi dove si trova Lorena, potrei prendere una macchina e investirla. Senza farle troppo male.

Whiteside                      - Va, Banjo. Lasciami pensare.

Banjo                            - (aprendo la porta della biblioteca) Scu­sate, signorina, è qui il Pronto Soccorso? (White­side è nuovamente solo. Si appoggia alla spalliera concentrandosi intensamente. Crolla il capo scartan­do le idee che gli vengono, una dopo l'altra. Si sen­te la porta esterna aprirsi e richiudersi: dall'anti­camera viene Riccardo. Dietro a lui è un uomo au­torevole. Vanno verso la scala).

L'uomo                          - (indicando Whiteside) E' questo vostro padre?

Riccardo                       - No, idiota... Buongiorno, signor Whi­teside. Non sono arrivato molto lontano, come ve­dete. Che ne dite?

Whiteside                      - Mi dispiace, Riccardo; mi dispiace davvero. Vorrei essere in posizione tale...

Stanley                          - (scendendo la scala) Ma non lo siete... Grazie, agente. Ecco per il vostro disturbo. (Gli dà del denaro).

L'uomo                          - Grazie, buongiorno. (Via).

Stanley                          - Vuoi andar su, per favore, Riccardo? (Riccardo esita un attimo. Guarda suo padre, poi Whiteside, e finalmente sale le scale in silenzio).

Stanley                          - (seguendolo, si ferma sul pianerottolo) Dieci minuti, signor Whiteside. (Via. Immediata-mente dalla sala da pranzo entra John portando un vassoio con un bicchiere di succo d'arancio).

John                              - (avvicinandosi a Whiteside) Le ho porta­to un po' di succo d'arancio, signor Whiteside. Si sente meglio?

Whiteside                      - Buona idea, John. C'è del cianuro in questo succo d'arancio? (il campanello della porta) Andate ad aprire, John.

John                              - Sì, signore.

Whiteside                      - Probabilmente sarà qualche vecchio amico conservato sott'aceto... (Dall'anticamera, dopo che John ha aperto, si sente la voce di Lorena).

Lorena                           - (da fuori scena) Buongiorno. E' alzato il signor Whiteside?

John                              - (da fuori scena) Sì, signorina... E' di qua.

 Whiteside                     - Uuuuh...

Lorena                           - (entrando in elegante abito da mattina) Buon Natale, carissimo! Buon Natale! Sono venuta per far colazione con te. Posso? (Lo bacia; John nel passare porta via il bicchiere vuoto).

Whiteside                      - (per il quale ormai tutto è indifferen­te) Perché no, angioletto mio? John, un vassoio per la signorina Sheldon. Sarà bene farle delle uo­va bollite per un minuto.

Lorena                           - Sherry, è il più bel Natale che si pos­sa vedere. La neve scintilla divinamente. Peccato che tu sia invalido.

Whiteside                      - Oh, probabilmente vedrò questa me­raviglia... Ho saputo che parti per il Lago Placido, Fior-di-pesco. A che ora vai via?

Lorena                           - Come lo hai saputo? E' qui Berto?

Whiteside                      - No, è venuto poco fa. Hai fatto le cose alla svelta, eh, mia cara?

Lorena                           - Sono veramente entusiasta della com­media. E' una di quelle parti che ti capitano una volta ogni dieci anni. Ti sono tanto tanto grata. Dav­vero, Sherry, credo che tu sia il mio solo vero amico.

Whiteside                      - Grazie, cara. A che ora hai detto che partite tu e Jefferson?

Lorena                           - (va al sofà) Veramente non so cre­do verso le quattro. Sai, Sherry, a parte tutto, Berto è proprio un ragazzo simpatico. Non è punto spia­cevole aggiustare i conti con quella deliziosa signo­rina Vetriolo. (Siede sul sofà) Tutto è andato beno­ne... Tanto che voglio farti un regalo, il più bello che tu abbia mai ricevuto. Che cosa vuoi, agnellino mio? Qualunque cosa. Sono così pazzamente felice che... (Si interrompe perché sente una risata che viene dalla biblioteca) Sembra la risata di Banjo. E' qui?

Whiteside                      - Sì, cara. Tutta la famiglia si riuni­sce per Natale. (Guarda l'orologio) Dio, come corre il tempo quando uno si diverte! (Banjo viene dalla biblioteca e richiude la porta).

Banjo                            - Oh ciao, delizia del mio cuore. Come va?

Lorena                           - (non molto cordiale) Benissimo. E tu?

Banjo                            - Oh, bene, bene, bene. Come vanno le faccende del tuo letto, Lorena?

Lorena                           - Sei molto spiritoso. Peccato che i tuoi films non siano divertenti quanto tu credi di es­sere.

Banjo                            - Mi trovi qui per caso, mammina. Mi pa­re che tu abbia ottima cera... Niente di nuovo, Sherry?

Whiteside                      - Niente.

Banjo                            - A che ora parte il battello?

Whiteside                      - Dieci minuti.

Lorena                           - Che battello?

Banjo                            - Quello che deve arrivare in porto. (Mag­gie entra dalla biblioteca con un fascio di carte. Si ferma).

Maggie                          - Ho registrato tutto, meno la trasmissio­ne di Capodanno. Non c'era un appunto per questa?

Whiteside                      - (a disagio) Dev'essere lì sulla ta­vola.

Maggie                          - Grazie. (Va a cercare).

Lorena                           - (parlando evidentemente per Maggie) Capodanno? Oh, Berto ed io la sentiremo dal Lago Placido. Tu sei stato una volta alla mia villetta, ve­ro, Sherry? Carina, no? Lontana da tutto. Soltanto neve e la notte chiara e fredda. (Campanello della porta) Oh, sarà Berto. Gli ho detto di venirmi a prendere qui. (Maggie, come se non avesse sentito nulla, va tranquillamente nella biblioteca e chiude la porta. John passa per andare ad aprire) Non ve­do l'ora di essere sul lago. Berto è un tipo proprio adatto per gli sports invernali.

Banjo                            - Ne avrà il tempo? (Voci forti in antica­mera. John rientra precedendo una squadra di fac­chini).

Primo facchino              - Whiteside?

John                              - Sì.

Primo facchino              - American. Express!

John                              - Venite avanti - attenzione - in questa stanza.

Lorena                           - Ma cos'è, Sherry? (Appaiono due fac­chini sudando e ansimando sotto il peso di una lunga cassa: lurna di una mummia).

Primo facchino              - Attenti. Dove la mettiamo? (Lorena si avvicina alla poltrona).

John                              - Qui. (i facchini depongono la cassa ritta nella curva della scala) E' per lei, signor Whiteside.

Whiteside                      - Dio mio, se c'era una cosa di cui avevo proprio bisogno, era una mummia egiziana.

Banjo                            - (va alla mummia, legge il cartellino) « Buon Natale dal Kedivé di Egitto ». E tu che cosa gli hai mandato? La tomba di Roosevelt? (Stanley è disceso in tempo per udire quest'ultima frase).

Stanley                          - Cinque minuti, signor Whiteside. (In­dica la cassa) Compreso questo. (Risale).

Lorena                           - Ma cos'è tutta questa storia? Chi è q­uell'uomo?

Whiteside                      - Annuncia il tempo ogni cinque mi­nuti. (Banjo siede sul sofà) Gli pago un piccolo sti­pendio per questo.

Lorena                           - Ma perché, Sherry?

Whiteside                      - (con violenza) Perché ho perso l'o­rologio. (Dall'anticamera fa capolino una figura no­ta).

Bradley                         - Oh, scusate, signor Whiteside. Vedo che avete da fare.

Whiteside                      - (chiudendo gli occhi) Dio, Dio!

Bradley                         - (entra, posa il cappello sulla cassa, si ac­corge dell'errore) Pardon aspetterò di la. Ho scritto un altro capitolo sulla ghiandola pituitaria. (Sorride scusandosi a Banjo e Lorena e va in biblio­teca).

Lorena                           - E' sempre l'idraulico, Sherry? (Viene in centro) Dio mio, vorrei sapere che sta facendo Berto... Caro, non sei molto natalizio... Di solito non fai che chiacchierare... Chi ti ha mandato questo strano regalo: il kedivé d'Egitto? Mi pare bello. Ho sempre in mente di andare in Egitto, un giorno o l'altro. Credo che mi piacerà molto. La prima volta che andai a Pompei piansi tutta la sera. Tutta quel­la gente... tutte quelle vite... Dove saranno adesso? (Banjo crolla le spalle, non sapendo) Non ci pensi mai, Sherry? Io si. Direi che lì c'era una donna co­me me - una donna che ha vissuto, ha amato, pie­na delle stesse passioni, paure, gelosie... Ed ora che rimane di lei? Nient'altro che questo. (Apre la cas­sa: poi, con impulso subitaneo, vi entra e incrocia le braccia come una mummia) Uno spazio di tempo di quattromila anni - un attimo nell'eternità - ed eccomi qui dentro, io, un'altra donna ardente di vita. Mi vien voglia di piangere... (Chiude gli oc­chi. Mentre è lì dentro, immobile, gli occhi di Ban­jo e di Whiteside si incontrano. Hanno avuto la stessa idea. Banjo, alzandosi lentamente dal sofà, co­mincia ad avvicinarsi con aria indifferente alla cas­sa, fischiettando una canzone. Ma prima che egli vi sia arrivato, Lorena balza fuori. Banjo gira dietro al sofà).

Lorena                           - Oh, non debbo piangere oggi. E' Na­tale!

Whiteside                      - (affascinante) Cara Lorena, hai mai recitato la Santa Giovanna?

Lorena                           - No. A che proposito?

Whiteside                      - Perché c'era qualche cosa nella tua espressione mentre eri in quella cassa... una specie di alone intorno al volto.

Lorena                           - Davvero, Sherry? Che bellezza! .

Whiteside                      - Superiore a qualsiasi espressione io abbia mai visto. Torna dentro un momento, cara.

Lorena                           - Mi prendi in giro, Sherry?

Whiteside                      - Tesoro, non scherzo mai su queste cose. Sono stato profondamente commosso. Vi era in te una strana bellezza come una Madonna di Leonardo. Ti prego, prova di nuovo.

Lorena                           - (si avvicina alla cassa: Banjo fa anche lui tre passi) Non so precisamente come ho fatto, ma... (Fa per entrare nella cassa: si volta) Oh, mi pare di sentirmi troppo stupida, Sherry. (Va verso di lui).

Whiteside                      - Cara Lorena, in quell'attimo ti sei avvicinata all'epitome della tua arte; e non devi vergognartene. Mi hai chiesto poc'anzi che cosa vo­levo per regalo di Natale. Non voglio altro, Lorena, che il ricordo di te in quella cassa da mummia.

Lorena                           - Oh Dio, come vuoi! (Incrocia le brac­cia, va lentamente verso la cassa, vi entra con riverenza) «Oh, arte, tutto per te!» Banjo! (Banjo ha sbattuto lo sportello e ora lo assicura in fretta).

Whiteside                      - (balzando dalla poltrona) Magnifi­co!

Banjo                            - Eccola servita! (i due si stringono la mano).

Whiteside                      - Ma come starà lì dentro?

Banjo                            - Oh, potrà respirare benissimo. E poi la farò uscire appena saremo sull'aereo... Ma ora cosa facciamo? Come sì fa a portarla via?

Whiteside                      - Una cosa per volta, amico mio, una cosa per volta. (Maggie entra dalla biblioteca por­tando delle carte; Whiteside è con un balzo sulla sua poltrona: Banjo siede sul bracciolo del divano).

Maggie                          - Ecco fatto, Sherry. Con tre sottocopie. C'è altro? Cosa c'è in quel cestino?

Whiteside                      - (ha fretta di liberarsi di lei) Nien­te, niente. Grazie.

Maggie                          - (frugando nel cestino) Debbo mettere a posto queste lettere? E questa foto cos'è? Ci tenete?

Whiteside                      - No, butta via tutto. Aspetta... dammi quella foto.

Maggie                          - (porgendogliela) L'unica cosa che non ho fatto è riordinare tutte le vostre trasmissioni. Volete che lo faccia?

Whiteside                      - (un lampo di memoria mentre prende la foto di Enrichetta; ma cerca di nascondere la sua eccitazione) Come?... Ah, sì, per favore. Fallo subito. E' molto importante. Fallo subito, Maggie.

Maggie                          - Vi rivedo prima di andar via, Banjo. (Torna in biblioteca richiudendo la porta).

Whiteside                      - (la segue con lo sguardo, poi si alza) Ci sono.

Banjo                            - (alzandosi) Che cos'è?

Whiteside                      - Mi pareva di aver già visto quella faccia. Ora so come fare per andar via da qui.

Banjo                            - Che faccia? Come? (In questo momento Stanley scende la scala con l'orologio in mano).

Stanley                          - Il tempo è passato, signor Whiteside. Quindici minuti.

Whiteside                      - Sicuro, signor Stanley. Quindici mi­nuti. Ma un favore, prima che me ne vada. Vorrei che chiamaste quei due agenti e li pregaste di aiu­tare il mio amico che deve trasportare questa mum­mia all'areoporto. Volete farmi questa cortesìa, si­gnor Stanley?

Stanley                          - Neanche per idea.

Whiteside                      - Oh, io credo di sì, signor Stanley. Altrimenti informerò i miei radioascoltatori, nella prossima trasmissione, che vostra sorella Enrichetta Stanley non è altri che la famosa Enrichetta Sedley che trucidò suo padre e sua madre venticin­que anni fa a Gloucester, nel Massachusetts... (Stan­ley piomba sul sofà) Via, signor Stanley, è un pic­colo favore quello che vi chiedo. 0 preferite che il buon popolo di Mesalia venga a cantare sotto le vo­stre finestre quella canzonetta che fu tanto popolare in quell'epoca: «Enrichetta, poverina - con la scu­re per isbaglio ammazzò la sua mammina - e poi il suo papà ». Ricordatevi, signor Stanley. E non è una piccola rinuncia la mia: sarebbe una trasmis­sione che avrebbe un successo fantastico... Dunque?

Stanley                          - (alzandosi e andando verso il piano) Signor Whiteside, siete l'indivìduo più diabolico che abbia mai conosciuto.

Whiteside                      - Ve ne accorgete un po' tardi. Si­gnori, volete venire qui un momento, per favore?

Banjo                            - Whiteside, sei un grand'uomo! (Si bacia la mano e la batte sulla cassa. Prende il cappello che è appeso sull'albero).

Whiteside                      - (agli agenti che entrano) Avanti, a-vanti. Il signor Stanley vi prega di accompagnare questo signore all'aeroporto con questa mummia... Deve mandarla a un amico a Nuova Scozia. Va bene, signor Stanley? (i due uomini prendono la cas­sa).

Stanley                          - Sì, sì...

Whiteside                      - Grazie, signori. Fate attenzione... Banjo, tesoro mio, sei straordinario e ho voglia di scrivere un libro su di te.

Banjo                            - Non ti disturbare non so leggere. (A Maggie che entra dalla biblioteca) Arrivederci,

Maggie                          - l'amore vince tutto... Non fate cadere quella cassa, ragazzi: contiene un'antichità. (Via, seguendo i due uomini a cui erano rivolte le ultime parole).

Maggie                          - Sherry, Sherry! Non c'era dentro...?

Whiteside                      - Precisamente. (Vede il manicotto di Lorena che è rimasto sul sofà: lo presenta a Mag­gie) Un regalino natalizio per te.

Maggie                          - Sherry! Vecchio mascalzone!

Whiteside                      - Basterà che ogni tanto mi mandi una cravatta. Ora dammi cappello e cappotto. Parto per New York.

Maggie                          - Partite, Sherry?

Whiteside                      - Non discutere, topolino fai quello che ti dico.

Maggie                          - Obbedisco, signor Whiteside. (Va nella biblioteca; Berto entra di corsa, ansante, dall'anticamera).

Jefferson                       - Signor Whiteside, debbo chiedervi scusa... (Vede Whiteside in piedi) Ma guarda!

Whiteside                      - Non ci badare, Berto. C'è un picco­lo cambiamento di programma. La signorina Shel-don è partita per una crociera intorno al mondo... e io porto la vostra commedia a Caterine Cornell. (Maggie entra dalla biblioteca portando cappello e soprabito di Whiteside) La signorina Cutter vi spiegherà tutto.

Jefferson                       - Maggie!

Whiteside                      - Grazie, cara Maggie. (Maggie lo aiu­ta a indossare il soprabito).

Bradley                         - (viene in fretta dalla biblioteca) Ave­te molto da fare, signor Whiteside?

Whiteside                      - Oh sì, dottore, sì. Sono occupatis­simo. Ma se capitate a New York, dottore, venite a cercarmi... (A Maggie) Arrivederci, cara... Ti voglio molto bene.

Maggie                          - Sherry, siete prodigioso.

Whiteside                      - (strette di mano) Sciocchezze... Arrivederci, Jefferson. Non saprete mai quanto scompiglio avete cagionato.

Jefferson                       - Arrivederci, signor Whiteside.

Whiteside                      - (va verso sinistra) Addio, signor Stanley. Sarei lieto di apprendere, in un prossimo futuro, che vostra figlia ha sposato quel suo giovi­netto e che a vostro figlio è stato permesso di se­guire la sua inclinazione. O un'altra... Buon Natale a tutti! (Via da sinistra).

Jefferson                       - Ma che vuol dire tutto questo, Mag­gie? Dove va? Non sapevo neanche che fosse in grado di camminare.

Maggie                          - Tutto va bene, Berto. Siete troppo gio­vane per capire. Non fate domande inutili.

Signora Stanley             - (scendendo la scala) Erne­sto, Riccardo sta facendo delle storie. Bisogna che gli parli tu. (5/ sente un forte rumore fuori della porta d'ingresso, seguito da un urlo di dolore).

Whiteside                      - (da fuori scena) Aaaahi!! Accidenti!

Maggie                          - Certo! Dottore!

Jefferson                       - (correndo fuori col dottore) Che diavolo...?

                                      - (Dalla scala scendono Riccardo e Giannina).

Riccardo                       - Che è successo? Cosa c'è?

Giannina                       - (insieme) Cosa è accaduto?

Signora Stanley             - Dio mio! Dio mio!

Whiteside                      - (da fuori scena) Signorina Preen! Signorina Preen! (Compaiono Jefferson e Bradley portando Whiteside).

Whiteside                      - Voglio di nuovo la signorina Preen! (Mentre trasportano Whiteside a sinistra della scala, il sipario comincia a chiudersi lentamente).

Maggie                          - Sherry! Sherry, mio povero Sherry!

Signora Stanley             - (sviene) Ooooh!

Sara                               - (entrando con John) Che è successo? Oh, poveri noi!

Bradley                         - Portate qui quella poltrona! Quella poltrona!

Giannina                       - Mamma! Mamma!

Jefferson                       - Niente, niente, signor Whiteside, giù, quieto.

Stanley                          - Oh! Oh!

Riccardo                       - Ma che è successo, mamma?

                                      - (Stanley picchia le mani sul piano e si strappa i capelli. La moglie è svenuta. Whiteside sta per es­sere rimesso da Jefferson e dal dottore sulla poltro­na a rotelle).

FINE