COMMEDIA BRILLANTISSIMA
IN 3 ATTI
di Franco ROBERTO
Personaggi
DON AUGUSTO RAVELLO «quel simpatico zio parroco»
CARLO RAVELLO suo fratello
RENATA figlia di Carlo
GIUSTINO sagrestano di don Augusto
GERVASIA GERVASIO
FILIPPO CANTONE
Oggi. Nella villa Ravello, alla periferia di una città.
Scena: La stessa di «Quel simpatico zio parroco»,
ovvero una moderna sala di soggiorno. Lampadario al centro.
Al fondo una porta-finestra, oltre la quale si vede un terrazzo e un parco.
Una porta a destra e una a sinistra.
SCENA FISSA PER TUTTI GLI ATTI
ATTO PRIMO
(Mattino d'una luminosa giornata d'aprile. In scena, all'aprirsi del sipario, non c'è alcuno. Il telefono squilla ri-petutamente).
1
Renata e Gervasia
Renata (Dopo diversi squilli del telefono, entra di corsa da destra. È lo stesso tipo di bella ragazza moderna della commedia « Quel simpatico zio parroco ». Ha vent'anni) Arrivo! (stacca il ricevitore) Pronto... Sì: casa Ravello... No, non sono la domestica... (sorride) Proprio io, Renata. Buongiorno, ingegnere... Mio padre è sempre vicino al bimbo di Patrizia e Massimo... È nato l'altro ieri, alle tre e quaranta del pomeriggio... (sorride) Eh sì, ingegnere: sono felice di essere zia... Glielo dirò, ingegnere. Prendo nota. (Gonfia le gote e guarda in alto, seccata). Ossequi alla signora. Buongiorno. (Posa il ricevitore e si avvia verso destra. Squillo di campanello interno. Renata sbuffa) Uff!... (Ed esce dal fondo. Pausa. Dall'esterno) Da questa parte, si accomodi. (Pausa) Non faccia complimenti. Entri.
Gervasia (Appare al fondo, con l'ombrello in una mano, una valigetta nell'altra, e una borsetta infilata al braccio. Può avere qualsiasi età. L'importante è che sia il tipo classico della domestica e istitutrice inglese dall'aria piena di sussiego, sempre impettita, burbera ma simpatica e un po' buffa. Indossa un tailleur scuro, e porta un cappellino ridicolo di gusto superato. Un paio di lenti in una montatura di metallo e una pettinatura all'antica aiuteranno l'attrice a conseguire un successo di grande soddisfazione artistica. Si ferma nel vano della porta e si guarda intorno).
Renata (Alle spalle di Gervasia si innervosisce perché questa le impedisce di avanzare verso il centro. Tenta di passare a destra e a sinistra; poi, dicendo:) Permette? (Spinge Gervasia dolcemente di lato).
Gervasia (Parlerà sempre con calma, quasi solenne) Scusi, ma fu lei che la precedenza mi dette.
Renata Ha ragione, sì. Però non pensavo che si piantasse lì, sui due piedi. Comunque non c'è nulla di male. Mi dica: il nostro indirizzo chi gliel'ha dato?
Gervasia Lapalissiano, signorina. Il sindacato.
Renata Ha qualche referenza?
Gervasia Certo, signorina. Abbia pazienza. (Posa per terra la valigetta, ed estrae dalla borsetta un pacchetto di lettere legato con un nastro colorato. Lo porge a Renata).
Renata (Lo prende e lo soppesa, ironica) A quanto pare, ha già servito in molte famiglie?
Gervasia Quisquilie, signorina. Quisquilie.
Renata Posso?... (Come per chiedere: «Posso slegare e leggerne qualcuno?». Gervasia accenna di sì col capo. Renata slega il pacchetto, estrae una busta a caso, da questa un foglio di carta che spiega e legge:) « Conte di Castelgioioso. Certifico che la signorina Gervasia Gervasio ha lealmente e po-e-ti-ca-men-te servito la mia famiglia per oltre un mese. Adesso basta». (Sorpresa, guarda Gervasia, la quale fissa nel vuoto, con lo sguardo lievemente rivolto verso l'alto, assente. Estrae un altro foglio da un'altra busta, e legge) «Pamela Pernice, casa di mode. Asserisco che la signorina Gervasia Gervasio è una perfetta domestica-istitutrice e una onesta persona. Mi addolora privarmi dei suoi servizi, ma non voglio finire in manicomio». (Stupitissima, restituisce il plico di lettere a Gervasia) Può dirmi cosa significa tutto ciò?
Gervasia Con mio grande piacer glielo dirò. (Ripone le lettere nella borsetta, poi fa qualche passo, ispirata). Sa cos'è una poetessa? È una fusione di spirito e materia. È sensazione che in versi si traduce, e fa il dolore sgorgare dalla mente, e insiem dal cuore.
Renata (Lievemente ironica) L'ha detto una poetessa... vera?
Gervasia (Accenna un inchino) La sottoscritta, per essere sincera. Perché, mi lasci dir, modestamente sono una poetessa, inconfutabile. E per diventar così non ho studiato. È un dono di natura, un dono innato. Oppure il tocco di una fata.
Renata (Disorientata) Mi spiace, allora, che si sia disturbata...
Gervasia (Interrompe felice) Che magnifica rima baciata! Ma non si crucci. Il mio parlar rimato è un fatto naturale, insito in me, normale. Appena apro la bocca, subito dalle mie labbra schiocca la giusta rima; ed a torrenti, a fiumi, a mari, e con esatti accenti, sgorga la poesia. Solo una cosa rende l'anima mia tremante e dubitosa. Vorrei trovar la rima alla parola fégato, e non prima potrò dirmi felice. L'anima mia verace di questo si tormenta, e non sa darsi pace.
Renata (Disorientata) Per me, sinceramente, in mancanza di meglio potrei anche adattarmi a questo suo... diciamo hobby. Ma mio padre come la prenderà?
Gervasia Vuol dir che lei non lo sa? Che tipo è suo padre? Cervello ed ossa quadre, deciso a intransigente, oppure è tipo innocuo, debole e inconcludente?
Renata Beh... È un... Un bel tipo. Un brav'uomo, insomma. Penso però che la poesia, almeno quella di questo genere, non gli piaccia molto. Capirà, quindi, che sono un po' indecisa se assumerla o no.
Gervasia Ma scusi, senta un po'... Di domestiche ne avete già provate quante? Nessuna, poche o tante?
Renata A dir la verità parecchie, da un anno a questa parte. Mio padre, il commendatore, è piuttosto irrequieto, perché svolge un'attività intensa, agitata, nervosa.
Gervasia E lei è dubitosa? La poesia soltanto sa dar pace allo spirito. E non è questo un vanto, ma grande verità. Mi assuma solo in prova. Le piacerò. Vedrà.
Renata (Rimane un momento soprappensiero, osservando Gervasia, poi) Ma sì! Proviamo. D'altronde, specialmente in questi giorni, è indispensabile che in casa ci sia sempre qualcuno. A proposito, può prendere servizio immediatamente?
Gervasia Certamente. Il tempo non ha importanza alcuna. Comandi. Ho il bagaglio. (Indica ombrello, va-ligetta e borsetta) Tutta la mia fortuna.
Renata Bene. Allora faccia attenzione.
Gervasia Son tutta orecchie in tensione.
Renata L'altro ieri è nato mio nipote. È quindi probabile che tanta gente telefoni per sapere notizie, per rallegrarsi, eccetera eccetera. Lei dirà che sta bene il bambino, la madre, il padre, il nonno, la zia... Tutti! E se qualcuno più curioso degli altri domandasse quando sarà battezzato il neonato, come lo chiameremo, chi sarà il padrino, eccetera eccetera, risponda che per ora non è stato deciso nulla. Chiaro?
Gervasia Come nella notte la luce di un bel faro.
Renata Idem per chiunque venisse personalmente. Lei è la persona autorizzata ad aprire la porta del cancello. Ed ora mi segua. (Gervasia accenna di sì col capo, e prende la valigetta) Le presenterò la cuoca, che le indicherà la sua camera e la informerà degli orari e delle nostre abitudini, con particolare riguardo a quelle di mio padre... (Sorride) ... il quale non ne ha, poiché è l'uomo più distratto e disordinato, agitato e confusionario che io conosca. (Indica la porta di sinistra) Da questa parte.
Gervasia Signorina! La poesia è un'arte. Ma non sa farmi obliare che assunta al suo servizio son da considerare. Con giovanil ardore mi appresto a lavorare da mattina a sera e da sera a mattina. (Con un lieve inchino) Dopo di lei, signorina.
Renata (Si avvia verso sinistra, poi si ferma) Dimenticavo di dirle che le sarà corrisposta la tariffa di categoria, oltre a qualche gratifica extra, se il suo servizio ci soddisferà.
Gervasia Son più che certa che vi piacerà. So fare il mio lavoro con naturai sussiego. E se vuoi farmi strada a lei m'inchino. (Esegue, indicando la porta di sinistra) Prego.
Renata (Sospira) Mah!... (Ed esce a sinistra, seguita da Gervasia).
2
Carlo e Renata
Carlo (Entra dal fondo, agitatissimo. È lo stesso personaggio della commedia « Quel simpatico zio parroco». Ha cinquant’anni; è sempre nervoso e distratto. Scaraventa il cappello sopra una sedia, la borsa di cuoio sul tavolino del telefono, e urla) Renata!... Renata!... (Compone un numero all'apparecchio, apre la borsa, estrae delle carte e scrive: tutto con molta precipitazione, mentre continua a urlare) Renata!... Sei diventata sorda? (Al telefono) Ma no! Non dico a lei!... Ma chi è, lei? Cosa vuole da me? Mi lasci in pace! (Sta per posare il ricevitore, ricorda, lo riporta all'orecchio urtando il naso) Ahi! Pronto, ragioniere! Sono io. Novità?... Sì sì, l'avevo chiamato, ma senza accorgermi... Non me ne importa un bel niente che l'alluminio cresca! Per ora m'interessa solamente la crescita di mio nipote. Ha mandato a ritirare in tipografia gli annunzi di nascita? Tutta la città, la nazione il globo e la luna... Tutti devono sapere che è nato mio nonno! Cioè, mio nipote! Un magnifico bambino. Dica alla tipografia che se non mi consegna gli annunzi entro un'ora può cancellarmi dall'elenco dei clienti migliori. Anzi, le chiedo i danni, le chiedo! E lei, ragioniere, non dimentichi i confetti... Sì, per mezz'ora sono in casa. (Posa il ricevitore) Arrivederla, ragioniere. (S'accinge a scrivere, poi urla) Renata!... Renata!... Ah, il mio cuore! Povero cuore.
Renata (Entra da sinistra) Non gridare così.
Carlo (Aggressivo) Perché? Perché? Certo che se al mondo fossero tutti come te, si sentirebbe soltanto russare. E piano piano, in sordina, per non affaticarsi.
Renata Adesso sei ingiusto.
Carlo To' ! (Le dà un foglio di carta). Qui ci sono altri nominativi. Mi raccomando, Renata: fai della calligrafia. È gente alla quale tengo molto. Non voglio che ricevano la busta dell'annunzio di nascita scritta a macchina, ma neppure voglio che la ricevano con l'indirizzo fatto a zampe di gallina e occhio di pulce. Intesi? Renata Stai tranquillo, papà. Farò del mio meglio. Ora ti prego di dedicarmi un momento di attenzione. Ho assunto una...
Carlo (Interrompe) Non ho tempo! Vai e lasciami in pace. Devo controllare l'elenco dei clienti... Cioè! Dei fornitori. No! Degli invitati al ricevimento di mercoledì sera. Tutta gente che mi dà fastidio, ma purtroppo è una consuetudine, e non voglio essere criticato più del solito.
Renata Hai fatto una specie di programma?
Carlo Perbacco bacchissimo, che l'ho fatto! Eccolo. (Balza in piedi, cerca qualcosa in tutte le tasche). Dove l'ho cacciato? Era un foglio grande così (Fa segno come per dire « centimetri 20 per 30». Finalmente estrae dal taschino della giacca un foglio di carta delle dimensioni indicate, ma piegato tante volte quante bastano per ridurlo come un francobollo). E questo cos'è? (Lo spiega lentamente, incuriosito. Quando l'ha disteso sussulta) È lui! Il programma. (Renata sorride). Non ricordavo d'averlo piegato, e allora... Stai attenta. (Cammina avanti e indietro, consultando le annotazioni). Dopodomani alle ventuna, festa qui. Oh, intendiamoci; una serata distinta, allegra, ma senza pretese. Una cosa familiare, insomma. Giovedì mattina, battesimo alla presenza degli intimi: zio e nonno di Massimo, io, Patrizia... (Sorride) ...e tu, fortunata zia e madrina del più simpatico bambino del mondo!
Renata (Gli rifà il verso) E tu, fortunato nonno e padrino. (Carlo scrolla il capo negativamente con aria triste). Ma non eri d'accordo con Patrizia e Massimo che?...
Carlo (Interrompe, irritato) Certo! Loro due, e pure il bimbo, sarebbero stati felicissimi. Io, poi, sarei stato addirittura orgoglioso di essere il padrino di mio nonno. Cioè! Nonno padrino di mio nipote. Ma purtroppo... (Tace e si morde le labbra, indispettito).
Renata Cos'è accaduto?
Carlo Si è fatto avanti l'ingegner Bruni, il mio fornitore di lamiera. Quasi con le lacrime agli occhi mi ha detto che gli avrebbe fatto piacere, che sarebbe stato onorato di diventare il padrino di mio nipote. Sai, l'ingegner Bruni è scapolo, e per giunta in guerra con tutti i suoi parenti. Un giorno o l'altro, me l'ha fatto capire chiaramente, la sua fonderia sarà di mio nipote. (Si entusiasma). Capisci, Renata? Io comprerò la lamiera da mio nipote! (Diventa serio). Naturalmente se sarò ancora vivo. (Sorride). Comunque quel bambino avrà un padrino di lusso! Che ne dici?
Renata Per me, contenti voi... Piuttosto, come si chiama l'ingegner Bruni?
Carlo (Con una smorfia di disgusto). Cesare. (Altro tono). Però il bimbo avrà per primo nome Cesare; poi Carlo, il mio; Augusto, quello dello zio parroco; e Maria, in omaggio alla Madonna.
Renata Allora dimmi, tu che l'hai visto poco fa, come sta Cesare Carlo Augusto Maria?
Carlo Benone! Ha certi pugni e li muove in un modo che... diventerà un atleta! Un boxeur.
Renata (Sorride). A che ora arriva zio Augusto?
Carlo Alle dieci e cinquantadue.
Renata (Guarda l'ora). Fra cinque minuti. Spero che gli avrai mandato la macchina alla stazione...
Carlo Senz'altro. Stamani ho dato disposizione al ragionier Giannini, il mio nuovo segretario.
Renata E... con zio Augusto arriverà anche Giustino?
Carlo (Scatta) No, eh! Assolutamente no! Per telefono ho detto chiaro e tondo a mio fratello: «Sono contento che tu venga in città, sono felice che il bimbo sia battezzato da te, ma Giustino no! Il sagrestano lo devi lasciare al paese!».
Renata Immagino che allo zio sarà spiaciuto.
Carlo Credo di sì, perché ha insistito. Ma io sono stato irremovibile.
Renata Giustino ha saputo che tu non lo volevi più rivedere?
Carlo Figurati! Stava appiccicato all'apparecchio. E me ne ha dette di tutti i colori. È una peste, quel sagrestano! Con me, poi... Mai una volta che m'abbia dimostrato un po' di rispetto.
Renata (Sorride) Anche tu, però...
Carlo (Scatta) Io sono io! Lui, invece... cos'è, lui? Un sagrestano! E per giunta ignorante. Del resto a casa mia ricevo soltanto chi voglio io. Se no che ci sta a fare la libertà? (Cambia tono). Adesso lasciami lavorare (Le fa una carezza). E sii orgogliosa. Tuo figlioccio, quel marmocchietto, darà filo da torcere a molta gente... te compresa! È un bimbo eccezionale. Ha certi pugni che...
Renata (Sorride e continua, ironica)...diventerà un boxeur, l'hai già detto.
Carlo E le gambe? Sono nervose, scattanti. Sarà un campione ciclista, magari un grande calciatore. Poi è intelligente. Sorride e parla.
Renata Parla?!? (Sorride). Ma se ha appena quarantott'ore di vita?
Carlo Ebbene, che vuol dire? Che non può votare. Nient'altro. Certo che non parla di politica o di scienze delle finanze. Però non fa neppure «U-è... U-è... U-è», come gli altri neonati.
Renata (Sarcastica). Senti senti... E cosa «dice» tuo nipote?
Carlo «è-U... è-U... è-U». Il contrario, capisci? Ciò dimostra che ha già un carattere, una volontà, uno spirito critico.
Renata (Sorride). Sono lieta, papà, di vederti così entusiasta. Chissà com'eri felice quando sono nata io.
Carlo Neanche un poco. Eri più brutta di adesso!
Renata Grazie.
Carlo E tua sorella Patrizia era peggiore di te.
Renata Mi consola.
Carlo In compenso sei sempre stata la più testona.
Renata Per oggi mi basta. A presto, papà. (Si avvia verso destra).
Carlo Renata. (Renata si ferma). Se ti occorrono «spiccioli» per il regalo da fare al bimbo... beh, dimmelo. Ci penso io.
Renata Grazie (Giunta sulla soglia della porta di destra si ferma, soprappensiero). Dovevo dirti qualcosa, ma non so, non ricordo più. Ciao. (Esce a destra).
Carlo (Siede e sospira). In fondo... che brave ragazze, le mie! (Rimane un istante a fissare nel vuoto, sorridente, poi scatta e sì rituffa nelle sue carte). Lavorare, devo! La-vo-ra-re! (Scrive e borbotta).
3
Carlo e Gervasia
Gervasia (Dopo breve pausa, entra da sinistra. Tiene fra le mani un libro e gestisce, con un lieve movimento delle labbra ed espressioni ispirate, come se lèggesse dei versi. Fa qualche passo. Nota, non vista, la presenza di Carlo. Lo guarda attentamente, poi sempre calmissima e solenne, siede sopra una poltrona e riprende la lettura).
Carlo (Ad un certo momento gli cade per terra la matita o un foglio di carta. Mentre si china per raccogliere ciò che gli è caduto, con la coda dell'occhio scorge Gervasia. Distratto, senza alcuna sorpresa). Buongiorno. (Si rimette a scrivere).
Gervasia (Senza fretta) Buongiorno. (Riprende a leggere, poi rimane con gli occhi socchiusi e la fronte rivolta verso il soffitto).
Carlo (Si volta lentamente, e osserva Gervasia con espressione assente, come se stesse pensando: « Chi è costei? Forse mi sono distratto. Sarà da un po' che aspetta». Quasi timido) Scusi...
Gervasia (Senza aprire gli occhi). Per carità! Non vede che tengo gli occhi chiusi? Sto assaporando un brano assai importante. Mi conceda, quindi, un breve istante. (Pausa. Apre gli occhi, si alza in piedi). Voglia scusare l'insubordinazione. (Lieve inchino). Sono a sua completa disposizione.
Carlo (Disorientato) Lei chi è? Da dove spunta?
Gervasia Assunta e compunta, io son Gervasia, punto vanesia, di cognome Gervasio, e di stil parnasio.
Carlo Gervasia che cosa?!?
Gervasia (Scandalizzata) Uuuh!... Che frase perniciosa! Vorrà dire Gervasia « chi » o « quale », ma « che cosa» è un errore madornale. Pur tuttavia le dico sui due pie', che Gervasia Gervasio... sono me!
Carlo (Il quale ascolta senza capire) Ma io... Io-io...
Gervasia (Interrompe) Smetta quel pigolio! Tutto ha già capito il mio gran cervello. Lei è il commendator Carlo Ravello.
Carlo (Ebete) Già-già... Sì.
Gervasia Piacere, eccomi qui! (Con lieve inchino porge la mano a Carlo).
Carlo (Si alza in piedi e gliela stringe). Piacere mio... (Scatta) Cioè! Non me ne importa niente! Voglio solo sapere cosa fa una tipa come lei in casa mia.
Gervasia Nobilito la poesia. Sono stata assunta al suo servizio. Soddisfatto sarà. E lei che fa?
Carlo (Distratto) Sto controllando l'elenco degli invitati per... (Urla) Chi è quell'idiota che l'ha assunta?
Gervasia Una sua congiunta.
Carlo Ho capito. Mia figlia. Ma io la licenzio! E subito. Im-me-dia-ta-men-te!
Gervasia (Sempre calmissima) Le è poco conveniente. Seppure verbalmente, però regolarmente, io faccio parte ormai della sua gente. Al preavviso, quindi, ho ben diritto! Son otto giorni, ma non ne approfitto. E le ricordo che, se va male, le faccio una vertenza sindacale.
Carlo (Nervosissimo) Succedono tutte a me, tutte a me! Ah, il mio cuore! Povero cuore. Ho tante di quelle preoccupazioni che, non so, un giorno o l'altro finirò al manicomio.
Gervasia Con un solenne encomio: « Commendator Carlo Ravello, vittima del lavoro. Per farsi un bel tesoro si rovinò il piloro». A me piace, al contrario, l'immacolata vetta, o veder vagare per l'aria il tenue fumo di una sigaretta. M'ispira l'arcan silenzio delle grandi altezze, che fa dimenticar tutte le nostre umane debolezze. E là, tra gelo e vento, con novello ardore...
Carlo (Continua meccanicamente) ...lei si busca un raffreddore.
Gervasia (Entusiasta) Che rima, commendatore! Ma un giorno io troverò la rima alla parola fegato. E mai prima poetessa ricorderà la storia che tanto sia stata baciata dalla gloria!
Carlo (Osserva Gervasia, si batte con l'indice sulla fronte, poi sospira). Pazienza!... Rimanga pure. E a proposito di fegato, prenda nota di farmi bere tutti i giorni, prima dei pasti, la medicina.
Gervasia Glielo ricorderò ogni mattina, prima del pasto usuale. Così pure al pasto suo serale.
Carlo Dia retta a me. Si faccia un appunto.
Gervasia (Risentita) Da cosa ha mai desunto che mi faccia difetto la memoria? (Sorride). È certo antica storia che le parole d'una filastrocca si stampan nella mente più che un molare in bocca. Ascolti. (Velocissima). « Ogni mattina servir la medicina. Scuotere prima dell'uso, ed evitar l'abuso. Ripeter per la cena lo stesso controscena. Ciò per curare il fegato e per guarir... (Cerca la rima) ... per guarir... per guarir... » (Disperata) Non trovo la rima! Non trovo la rima a fégato! Mi scusi, signore... (Con il pianto in gola). Vado a piangere. (Soffoca un singhiozzo ed esce a sinistra).
Carlo (Triste, soprappensiero) Poveretta... Non trova la rima al fegato... È una disgrazia che commuove, e che... (Urla) No! Non me ne importa niente! Con tutto quello che ho da fare sto qua a perdere tempo. (Siede, si accinge a scrivere, poi si batte una mano sulla fronte). Perbacco bacchissimo!... Ne facevo una delle mie! (Scatta in piedi, mette nella borsa quanto aveva sparso sul tavolo e borbotta) Bisogna che corra in parrocchia per concordare l'ora del battesimo! (Con la mano destra afferra la borsa, con la sinistra il cappello. Fissa nel vuoto, sorridente) Chissà se quel bambino mi vorrà bene? (Sospira). Speriamo. (Rimane un momento incantato, poi sussulta, urla) È tardi! È tardi! (E ponendosi il cappello sotto il braccio e la borsa sulla testa, esce al fondo. Pausa. Il telefono squilla).
4
Gervasia e Renata
Gervasia (Entra da sinistra, senza libro. Stacca con calma il ricevitore) Pronto... Casa del commendator Ravello... Vuole la signorina Renata?... La interpello.
Renata (Entra da destra) È per me?
Gervasia (Al telefono) La cercherò testé. Abbia la bontà d'attendere un momento. (Porge il ricevitore a Renata). Devo comunicarle, con mio compiacimento, che un tal signor Cantone, mi pare un giovanotto, vorrebbe parlar con lei, così, quattro e quattr'otto.
Renata (Prende il ricevitore) Può andare.
Gervasia Non resto ad ascoltare. (Esce impettita a sinistra).
Renata (Concitata, al telefono). Pronto, Fabrizio... Sì è una donna nuova, un tipo strambo... Ti avrei telefonato più tardi, caro... Figurati se mi dimenticavo... Temevo soltanto che mi rispondesse tua madre, come ieri...
5
Renata e don Augusto
Augusto (Appare al fondo. Vede Renata, fa un passo verso di lei, sta per parlare, poi si accorge che la nipote sta telefonando. Perciò si ferma, tace, e posa per terra una valigia di foggia antica. È lo stesso personaggio della commedia « Quel simpatico zio parroco». È il fratello di Carlo, e ha sessant'anni. Indossa un abito talare più volte rammendato, e siccome è stato per dieci anni cappellano di un battaglione alpini, dell'alpino ha la bonarietà, la durezza, l'allegria, la cordialità e un cuore «grosso così». Incuriosito e sorpreso, segue con attenzione la conversazione telefonica di Renata)
Renata (Che non si è accorta della presenza di Augu-sto, continua a parlare al telefono con tono molto affettuoso). Ti prego, Fabrizio, di avere pazienza e fiducia. Dopo il battesimo di mio nipote, appena vedrò papà un momento calmo, gli parlerò di te, di me, dei nostri progetti. E gli dirò chiaramente che vorremmo fidanzarci presto... No. Zio Augusto non è ancora arrivato... Farò il possibile per presentarti subito almeno a lui... È un tipo alla buona, ma deciso. Quando ti guarda fisso negli occhi, beh, a me dà l'impressione che non gli si possa nascondere nulla... (Compiacimento di Augusto). Sono sicura che ci aiuterà... Pronto, Fabrizio! Pronto! (Batte ripetutamente sul gancio del commutatore, poi posa il ricevitore e borbotta). Ha tolto la comunicazione.
Augusto (Si affianca a Renata, ironico) Sarà sopraggiunta la madre.
Renata (Soprappensiero) Eh già, sarà sopragg... (Si riprende, felice) Zio Augusto! (Si abbracciano). Come sta il mio simpatico zio parroco?
Augusto Grazie al Cielo, bene. E tu?
Renata Anch'io. Siedi. Posso offrirti qualcosa?
Augusto (Siede) No, grazie.
Renata (Siede accanto ad Augusto) Non ti ho sentito entrare. Dove sei passato?
Augusto Dal cancello. Era aperto, come al solito.
Renata Dev'essere uscito papà. (Con timida intenzione) È da... da molto tempo che sei qui?
Augusto (Sorride) Un paio di minuti. Tuttavia sono stati sufficienti per capire che c'è «nell'aria» un certo Fabrizio. Sbaglio?
Renata In un particolare. Cioè che «il certo Fabrizio» non è nell'aria, ma nel mio cuore.
Augusto Bene. Hai nella zucca il sale che basta per distinguere fior da fiore. Dunque tanti auguri, ragazza mia..
Renata Grazie.
Augusto Però mi sembra d'aver capito che c'è un problema: informare tuo padre, e i genitori di lui, delle vostre intenzioni. (Ironico) A proposito: questo Fabrizio non sarà mica il nuovo segretario di tuo padre?
Renata (Sorride) No. È il figlio dell'ingegner Cantone, e frequenta il Politecnico. Purtroppo i genitori, come tanti altri di figli unici, considerano ancora Fabrizio un bambino, o poco più, dimenticando che ha ventidue anni compiuti.
Augusto Quando e dove l'hai conosciuto?
Renata Ad un concerto, sei mesi fa.
Augusto Pochino...
Renata Lo so. Infatti non chiediamo di sposarci domani, o fra un mese o un anno. Desideriamo solamente poterci frequentare, con l'approvazione dei nostri genitori. Mi pare logico e onesto.
Augusto D'accordo. Al momento opportuno ne parlerò con tuo padre, e vedremo insieme come abbordare l'ingegner Cantone.
Renata (Felice, si alza in piedi) Lo sapevo, zio, che ci avresti aiutato. Mi permetti di telefonare a Fabrizio? Voglio dargli la bella notizia.
Augusto Fai pure.
Renata (Compone un numero all'apparecchio) Gli ho parlato molto di te. (Al telefono) Pronto. Chi parla? (Evidentemente imbarazzata, cambia tono di voce) Qui la segreteria del Conservatorio (Sorpresa di Augusto). C'è il signor Fabrizio Cantone, di Filippo e di Giusep-pina Berlini?... Grazie. (Copre il ricevitore con la mano. Ad Augusto, sottovoce) Vedi cosa mi tocca fare? (Al telefono) Pronto. Sei tu, Fabrizio?... Ho già parlato con zio Augusto...
6
Renata, don Augusto e Carlo. Poi Giustino
Carlo (Appare al fondo col cappello in testa. Tiene la borsa come un leggio, ed è assorto a fare calcoli su un foglio di carta. Si ferma sulla soglia della porta, senza notare la presenza di Augusto e di Renata).
Augusto (Lo vede e fa dei cenni a Renata, come per dirle: «Attenta al fondo»).
Renata (Guarda con stupore Augusto. Non capisce e continua la telefonata) Gli ho spiegato la nostra situazione. Mi ha promesso che parlerà a papà... Sarà il primo, grande passo... Certo, Fabrizio: ci fidanz...
Augusto (Ad alta voce, con intenzione) Guarda un po' Renata, chi è arrivato. (Le indica Carlo, il quale, alle parole di Augusto, ha sussultato).
Renata (Posa in fretta il ricevitore) Quanta polvere c'è su questo apparecchio...
Carlo (Ad Augusto) Perché parli così forte?
Augusto Mah!... (Con intenzione) Forse per svegliare chi dorme.
Carlo Già... (A Renata) Perché non mi hai detto che avevi assunto una nuova domestica?
Renata (Si batte una mano sulla fronte) Ecco cosa volevo dirti! Scusami.
Carlo (Avanza verso il centro. Posa sul tavolo borsa e cappello) Hai fatto buon viaggio?
Augusto Sì. E grazie per la macchina.
Carlo (Preoccupato, guarda attentamente intorno) Sei solo, vero?
Augusto Come vedi...
Carlo Allora il tuo sagrestano è proprio rimasto al paese?
Augusto Direi di sì. Per evitare altre discussioni non gli ho neppure permesso d'accompagnarmi alla stazione.
Carlo (Soddisfatto) Mi sento meglio. Chissà quante cose mi avrà detto alle spalle, eh?
Augusto Non una di più di quelle che ti direbbe di fronte. Sai, Giustino è per natura sincero e leale.
Carlo Sarà tutto quello che dici, ma a me da fastidio,, m'innervosisce. Quindi, in casa mia, non lo voglio. (Scandisce) Non-lo-vo-glio!
Giustino (Appare al fondo, sorridente, con un mazzo di fiori di giardino avvolti in carta di giornale. È lo stesso personaggio della commedia « Quel simpatico zio parroco». È il sagrestano di don Augusto. Indossa un abito «da festa», e ha un'età indefinita, forse trent'anni. Grida allegramente) Salve a tutti!
Augusto e
Renata (Stupitissimi, esclamano) Giustino?!?
Carlo (Contemporaneamente porta le mani al petto, e dicendo) Ah, il mio cuore! Povero cuore! (S'abbandona sulla più vicina poltrona, mentre si chiude il sipario).
FINE DEL PRIMO ATTO
ATTO SECONDO
(All'aprirsi del sipario don Augusto, Carlo, Renata e Giustino sono in scena, nella medesima posizione in cui si trovano al termine del primo atto. Infatti l'azione continua, come se non ci fosse stata alcuna interruzione).
1
Don Augusto, Carlo, Renata, Giustino
Augusto e
Renata (Si avvicinano premurosi a Carlo).
Renata Gli sbottono il colletto (Si accinge ad eseguire).
Carlo (Ansante) No... Sto benissimo.
Giustino (Il quale è rimasto duro e impalato sulla soglia della porta di fondo) Che bella sorpresa, eh?
Carlo (Fra i denti) Bellissima. Se non veniva mi offendevo. (Renata sorride) Ti proibisco di ridere! (Scatta in piedi) Vai subito in camera tua, e continua l'intestazione delle buste. Via!
Renata Sì papà. A più fardi, zio. Arrivederla, signor Giustino. (Esce a destra).
Giustino Arrivederla, signorina. (Ai due) Quella sì è una persona educata. È l'unica, in tutto il mondo, che mi chiami «signor» Giustino.
Carlo (Cammina avanti e indietro, nervoso. D'un tratto si ferma di fronte ad Augusto) La colpa è tua!
Augusto (Ironico) Ne ero sicuro. Aspettavo solo che tu lo dicessi.
Carlo (Aggressivo) Sissignore! Tutta tua. E vergognati!
Augusto (c.s.) Per che cosa?
Carlo Hai mentito! (Stupore di Augusto) Mentito, sì! Non più tardi di cinque minuti fa, quando mi hai confermato che eri partito senza questo... (indica Giustino e cerca la parola) ...questo ... questo impaccio!
Giustino (Comicamente offeso) Non ricominciamo con gli insulti, e si ricordi, signor Carlo-commendatore, che a me «impaccio» non l'ha mai detto nessuno.
Augusto Calma. (A Carlo) Ti ripeto che quando sono uscito di chiesa, per andare alla stazione, Giustino era in sagrestia. Magari mogio mogio, ma là, con il suo abito da fatica, occupato nelle solite faccende.
Carlo (Indica Giustino) Si vede!...
Augusto Insomma, Giustino, vuoi spiegare perché mi hai seguito?
Giustino (Con la massima naturalezza) Per portarle il fazzoletto che ha dimenticato! (Estrae di tasca un grande fazzoletto a quadri colorati, e lo porge ad Augusto, il quale lo prende e lo intasca).
Carlo (Fra i denti) Poteva darglielo alla stazione.
Giustino È quello che volevo! Ma arrivai alla stazione mentre il treno partiva. Cosa potevo fare?
Carlo Semplicissimo. Poteva tornare tranquillamente in parrocchia, sicuro che qui don Augusto avrebbe trovato non uno, ma dieci, cento, mille fazzoletti!
Giustino (Ironico) Cos'è, qui? Una fabbrica di fazzoletti? (Ingenuamente ipocrita) Ad ogni modo non ci ho proprio pensato che lei avesse mille fazzoletti. Allora ho preso l'ultimo vagone per la coda, e all'arrivo in città (con intenzione), mentre il parroco saliva sopra una lussuosa automobile, il sagrestano sottoscritto si faceva indicare un tranvai, e... ed eccomi qua!
Carlo Purtroppo. Del resto, per contrariarmi, qualunque scusa è buona. Meno quella del fazzoletto, che è da idioti!
Giustino Infatti l'ho inventata per lei.
Carlo Lo senti? Comincia a insultarmi.
Giustino (Mogio mogio) Suo fratello ha ragione, don Augusto. Ho detto un sacco e una sporta di bugie. Il biglietto del treno l'avevo comperato ieri, e questo vestito l'ho indossato stamani sotto quello di fatica. (Sorride) Ero così infagottato che non riuscivo ad accendere le candele dell'altare maggiore. (Pausa. Sincero) Sono un bugiardo, sì... Ma lei senza di me... E me senza di lei... Siamo tutt'e due tristi, vero? (Pausa) Dica qualcosa, don Augusto. Mi perdona?
Augusto (Lo fissa un momento, burbero, poi sorride) Per questa volta, sì. D'altronde non hai fatto nulla di grave.
Carlo (Ironico) Figurati!... Merita anche un premio! (Giustino alza una mano, come fanno i bimbi a scuola) E adesso che vuole?
Giustino Dirle ancora una cosa.
Carlo Ormai, visto che c'è... Dica.
Giustino (S'avvicina a Carlo e gli porge il mazzo di fiori) Tanti auguri, nonno!
cario (Prende distrattamente il mazzo) Cos'è?
Augusto Non lo vedi? Fiori. Un pensiero gentile.
Carlo (Burbero) Tocca a me dirlo. (Un po' rabbonito, guarda i fiori dalla parte superiore del mazzo) Carini. Sembrano quelli del giardino che c'è sulla piazza. (Indica verso il fondo).
Giustino (Con la massima semplicità e naturalezza) Lo sono.
Carlo (Distratto) Bene bene... (Scatta) Eh?!? (Scaraventa il mazzo sopra una poltrona. Ad Augusto, il quale sorride) Ridi pure, ma quei fiori si trovano in un giardino pubblico. Perciò il tuo (a denti stretti) «simpaticissimo» sagrestano è un ladro!
Giustino (Pungente) Ma chi è che l'ha fatto commendatore?
Carlo Come sarebbe a dire?
Giustino Sarebbe a dire che lei non è al corrente. Lei parla, solo perché ha la lingua in bocca. Ma appena fuori della sua fabbrica vale pochino. Lo dice anche don Augusto.
Carlo (Ad Augusto) Lo senti?
Augusto (Divertito) Non sono mica sordo.
Giustino (A Carlo) Io, prima di prendere quei fiori del giardino pubblico, mi sono informato.
Carlo (Ironico) Da un vigile?
Giustino (Gli rifà il verso) No, perché non c'era. (Altro tono) Allora mi sono avvicinato a un vecchietto che leggeva il giornale, seduto sopra una panchina. «Scusi», gli ho detto, «di chi sono questi fiori?». E lui: «Del Municipio, giovanotto. Cioè di tutti i cittadini, quindi anche miei e suoi ». Allora ho preso la mia parte, ed eccomi qua!
Carlo (Soprappensiero) Più che giusto. Ha preso la sua par... (Scatta) No, eh! Ripeto che ha commesso un furto. Ma questa volta la paga per tutte. Così impara a seccare il prossimo. Lo denuncio! (Stacca il ricevitore e, mentre si accinge a comporre un numero all'apparecchio, osserva la reazione di Giustino, sperando di spaventarlo. Giustino, invece è indifferente; e don Augusto sorride). Capito? Finirà in galera. Le daranno trent'anni di reclusione, vent'anni di manicomio criminale, dieci anni di libertà vigilata...
Giustino (Continua col tono di Carlo) ... un secolo di vigilanza notturna... (Siede tranquillo sulla poltrona più vicina).
Carlo (Stupito, col ricevitore a mezz'aria) Cosa fa?
Giustino Aspetto i carabinieri!
Carlo (Dopo breve esitazione, posa violentemente il ricevitore) Pazienza!
Giustino (Sarcastico) E spacca il telefono. (Si alza in piedi e si avvicina a Carlo, con aria umile e affettuosa) Signor Carlo-commendatore...
Carlo (Ringhia) Che c'è?
Giustino Se abbaia mi spaventa. Comunque voglio dirle che io... che me... che lei... Insomma! Le voglio bene e le chiedo il permesso di rimanere.
Carlo (Stupito e soddisfatto) Così va meglio. (Guarda Augusto, poi Giustizio, di nuovo Augusto, e infine Giustino, accennando un sorriso) Va be'... Si consideri il benvenuto.
Giustino (Felice) Non mi rimanda al mittente?
Carlo No. Ho cambiato idea.
Giustino Sfido! Avrà pensato che alla festa del battesimo posso aiutare a servire...
Carlo (Interrompe) Per carità! Ne ho avuto abbastanza l'altra volta, per il compleanno di Patrizia e Renata. Tre amici mi hanno tolto il saluto.
Augusto Sei sicuro che siano stati offesi dal comportamento di Giustino?
Carlo Sicurissimo. Mi hanno detto, e uno me l'ha pure scritto, che a loro non era mai accaduto di dover pagare lo spumante e i pasticcini a un ricevimento.
Giustino Perché sono degli scrocconi! Qualcuno mangiava come un elefante e beveva come un lavandino. Dia retta a me, commendatore: certi amici è meglio perderli che... che... come si dice? Ah! Che mantenerli. Io credo che...
Carlo (Interrompe) Basta! Con lei non si può discutere. Tuttavia dica ciò che vuole, ma il cameriere no, in casa mia non-lo-fa-rà. Intesi? (Giustino lo guarda con aria sorniona) Cosa pensa?
Giustino (Ironico) Ma chi è che l'ha fatto commendatore?
Carlo (Sbuffa) Uff!... (Nervoso) Andiamo, Augusto. Voglio farti vedere i regali che ha già ricevuto «nostro» nipote. (Si avvia verso destra).
Giustino Vengo anch'io.
Carlo (Si volta di scatto) No! Lei no.
Giustino E perché?
Carlo Perché no. (Uscendo a destra con Augusto, il quale guarda Giustino e allarga le braccia, per invitarlo a rassegnarsi) Pensa che il dottor Borletti mi ha detto...
2
Giustino e Gervasia
Giustino (Fa qualche passo, indispettito. Il telefono squilla. Giustino sussulta, poi sorride e borbotta) Mi piacerebbe tanto parlare al telefono. In parrocchia non oso, ma qui... (Allunga la mano verso il ricevitore, ma un altro squillo gliela fa ritrarre. Ancora un tentativo, infine si decide e impugna il ricevitore, lo porta all'orecchio e grida) Pronto chi parla?... Chi sono io?... Prima mi dica chi è lei, e poi le dirò chi sono io... Cavallo?... Mai visto. Qui non c'è nessun cavallo!... Ah, Cavallo è lei?... Vuole della biada?...
Gervasia (Entra da sinistra e si avvicina a Giustino).
Giustino (Al telefono) Ravello?... Quale Ravello?...
Gervasia (Con calma e stile toglie il ricevitore a Giustino) Dia a me che rispondo a pennello. (Al telefono) Pronto... Mi dica... Sì, casa Ravello... Io son Gervasia, signore... No, non parente. Sono la direttrice della sua gente... Godono tutti un'ottima salute... No. Novità non ne sono sopravvenute... Il battesimo?... Appunto. Non ancora. Non han fissato il giorno e manco l'ora... Stia certo. Lo dico sul mio onore... Abbia gli ossequi miei, signore. (Posa il ricevitore) E ora, vuoi presentarsi, per favore?
Giustino (Confuso, impacciato) Io sono Giustino. Piacere! (Le prende la mano e gliela stringe).
Gervasia (Contrariata, ritrae la mano) Scusi se insisto, ma è il dovere. Giustino, per me, è insufficiente. La chiama sol così la gente?
Giustino No no... La gente mi chiama Giustino sagrestano.
Gervasia Il cognome è davvero un po' strano.
Giustino Ma no! « Sagrestano » è il mio mestiere. (Fa l'atto di tirar le corde delle campane) Suono le campane a festa in un modo che il maestro dice sempre che solamente in Paradiso sanno suonarle come me.
Gervasia Adesso ho compreso lei chi è! Della nostra parrocchia è il sagrestano, venuto qui e certo non invano, per prendere precise ordinazioni circa le luci, i fiori ed i festoni, con cui la chiesa dovrà addobbare, quando il piccin verremo a battezzare. Mi raccomando: a tutti inchini e onori. E dappertutto (indica a destra) fiori, (indica dì fronte a sé) fiori, iìndica a sinistra) fiori.
Giustino (La guarda stupito) Lei non ha capito... (Le rifà il verso, indicando a destra) Niente (indica di fronte a sé) niente, (indica a sinistra) niente. (Cambia tono) Io sono «quasi» un amico di Carlo, suo principale. Il mio parroco è fratello del commendatore. Arriviamo da lontano lontano... Da Borgosole... Trentatré chilometri di strada. Con la scorciatoia, trentasei.
Gervasia Oh, mi scusi. Non immaginavo che lei... Comunque ne sono compiaciuta e le porgo il benvenuto in questa casa lieta e luminosa, in cui la gioia all'allegria si sposa, perché del mondo, qui un dei marmocchi, ai radiosi raggi del sol ha aperto gli occhi.
Giustino (Il quale ha ascoltato incantato, ammirato, a bocca aperta) Continui, signora.
Gervasia Signorina ancora!
Giustino (c.s.) È bello sentirla parlare.
Gervasia (Lusingata) Le dirò... Mi piace poetare. In questo mondo astruso e pien d'affanni, dove le gioie son poche, e molti i danni, per me è un sollievo, è bello, salutare, passare il tempo così, col poetare. C'è però una cosa che non sa darmi pace: trovar la rima a « fégato» proprio non son capace.
Giustino L'ha cercata con attenzione? (Gervasia accenna di sì col capo) Ha guardato bene anche sotto i mobili?
Gervasia (Accenna di sì col capo) Con intenti nobili. E per alleviar le pene di questo mio insuccesso, un dì ho persin tentato di fare un compromesso.
3
Giustino, Gervasia, don Augusto e Carlo
Augusto (Entra da destra, con Carlo) Veramente belli. Addirittura troppo, per un neonato.
Carlo (Contrariato di rivedere Giustino) È ancora qui?
Gervasia (Interviene, rivolta a Carlo) È giunto oggidì. Il signore presente, (indica Giustino) da quanto mi ha detto, è un amico suo prediletto.
Carlo (Sbotta) Mio amico?!? Non lo posso neppure vedere in fotografia.
Augusto (Sorride) Suvvia, Carlo, non esagerare. (A Gervasia) Per favore, porti la mia valigia nella camera del primo piano. (Gervasia prende la valigia).
Carlo E scaraventi quei fiori nella spazzatura! (Gervasia prende i fiori).
Augusto Per quanto riguarda Giustino... (Lo indica, a Gervasia) Lo vede? Freme dal desiderio di rendersi utile. Lo accompagni in cucina, e gli affidi qualche lavoro «manuale».
Gervasia (Sconcertata, a Carlo) Mi troverà un po' convenzionale, e non so dir se faccio bene o male. Ma da quanto ben comprendo, io dovrei obbedire al reverendo.
Carlo (Nervoso) Sì! È mio fratello. Dia retta più a lui che a me. Non sbaglierà.
Gervasia Obbedirò, vedrà. (A Giustino, indicando la porta di sinistra con il classico gesto dei vigili quando danno via libera) Si va?
Giustino (Guarda Augusto, il quale gli fa cenno col capo di andare. Scrolla le spalle, imita goffamente il gesto fatto prima da Gervasia, ed esce a sinistra, sospirando) Si va! (Gervasia impettita lo segue).
4
Carlo e don Augusto
Carlo (Sospira) Finalmente!... Vogliamo andare a vedere il bimbo?
Augusto Fra poco. Prima vorrei parlarti di una cosa abbastanza importante.
Carlo Bella o brutta?
Augusto Giudicherai tu. (Imbarazzato) Dunque... Strano... Non so come incominciare.
Carlo (Ironico) Dall'inizio. Capirò meglio.
Augusto Ecco di che si tratta. (Breve pausa) Renata ha conosciuto un ragazzo che...
Carlo (Interrompe) No, eh! Questa volta sei tu che esageri. Renata, da qualche tempo, prende la vita sul serio.
Augusto Chi ti dice il contrario? Volevo soltanto informarti che tua figlia desidera fidanzarsi.
Carlo (Distratto) Si fidanzi pur... (Scatta) Eh?!? Ah, il mio cuore! Povero cuore. (Urla) Proibisco! Glielo proibisco nel modo più assoluto.
Augusto Perché?
Carlo Beh, non lo so, ma... Non lo permetto! (Cambia tono) Tutto qui?
Augusto Ti pare poco?
Carlo Niente, poiché non mi interessa.
Augusto Invece «deve» interessarti.
Carlo (Evasivo) Vedremo vedremo. Per ora non mi sento di affrontare questo problema. Vuoi che andiamo? Patrizia e Massimo saranno impazienti di abbracciarti.
Augusto Sono distanti da qui?
Carlo Non più di cinquecento metri. Con la macchina...
Augusto (Interrompe) Se non ti spiace, preferisco fare due passi.
Carlo D'accordo. (Prende borsa e cappello) Però non approfittare per tornare sull'argomento di Renata.
(S'avvia verso il fondo con Augusto).
Augusto Chissà... (Esce al fondo, seguito da Carlo).
Carlo (Allontanandosi all'esterno) È assolutamente inutile che tu insista! Il padre sono io, e so quel che devo fare.
5
Renata, Giustino e Gervasia
Renata (Entra da destra, contemporaneamente all'ultima battuta di Carlo. Evidentemente ha sentito l'intero dialogo fra il padre e lo zio. Infatti è triste, e rimane qualche momento soprappensiero, con lo sguardo fisso nel vuoto. Poi le viene l'idea di fare una telefonata. Afferra il ricevitore, e si accinge a comporre un numero, quando da sinistra entra Giustino).
Giustino (Tiene in una mano un bicchiere colmo di vino rosso, e nell'altra un panino imbottito che sta mangiando avidamente. Lo segue Gervasia).
Gervasia (Molto preoccupata, con un piattino in mano, fa delle vere e proprie evoluzioni intorno a Giustino, per impedire sia alle briciole di pane, sia ad eventuali gocce di vino, di cadere sul pavimento).
Renata (Lievemente contrariata, smette di comporre il numero e posa il ricevitore).
Giustino (Con la bocca piena) Faccia pure, signorina, senza soggezione. (Si lascia cadere sopra una poltrona e sospira) Oooh!... Questo è l'unico posto dove sto veramente comodo. Lei telefoni pure. Tanto, quando mangio, non capisco più niente! (A Gervasia) E lei stia tranquilla. Se verso del vino per terra, ci penso io a pulire. Con un po' di segatura porto via anche le piastrelle! (Durante il dialogo seguente mangerà il panino e berrà il vino).
Renata (Accenna un sorriso. A Gervasia) Non si preoccupi, Gervasia. Non stia a soffrire.
Gervasia Son qui per obbedire. (Melodrammatica) Triste destino il mio!... Per obbedir pagata, tacere e an-cor soffrire, vivere angosciata. Anche se sbalordisco, io dico: «Sì, obbedisco». (Impettita, esce a sinistra).
6
Renata e Giustino
Giustino Come parla bene, quella donna! Mi ha detto che diventerà celebre, e che le faranno un monumento, quando troverà il fegato.
Renata Il fegato?!? Ah! la «rima» alla parola fegato. Temo che non esista. (Sconsolata, siede) Del resto che importa? Al mondo ci sono cose ben più importanti e gravi.
Giustino (La osserva) Lei ha qualcosa che la tormenta.
Renata Si vede?
Giustino Euh!... Una tipa come lei, sempre allegra e spensierata, appena mette un po' di muso si nota subito. Comunque, mi dica ciò che la preoccupa, e vedrà che ci divertiremo. (Sorpresa di Renata) Eccome, signorina! Pensi che sono riuscito a far ridere Temistocle, mentre lo portavano all'ospedale quasi cadavere. Deve sapere che Temistocle è il macellaio del paese. Ebbene, per un guasto alla serratura, era rimasto chiuso nel frigorifero per cinque ore. E in canottiera. Fu così che mentre lo caricavano sull'ambulanza gelato come un surgelato, io gli dissi: «Temistocle, vuoi una ghiacciata?». Incredibile, ma mi sorrise.
Renata (Sorride) Peccato che di Giustino ce ne sia uno solo!
Giustino A suo padre basta.
Renata È un po' nervoso, ma non è cattivo.
Giustino (Sincero) Lo so, e gli voglio bene. Adesso mi dica, signorina Renata, cosa la preoccupa.
Renata (Imbarazzata, fa qualche passo, poi si decide) Ma sì, glielo dico. Vorrei fidanzarmi.
Giustino Benissimo!
Renata Ma papà non vuole.
Giustino Malissimo! (Il telefono squilla).
Renata (All'apparecchio) Pronto... Dimmi, Fabrizio. (Allarmata) Come?!?... Sei sicuro? No, è meglio che tu non venga... Tenterò di controllare la situazione... Ti telefonerò. Ciao, caro. (Posa il ricevitore).
Giustino (Arguto, malizioso, indicando il telefono) Era il suo «caro»?
Renata (Preoccupata) Sì. È successo un guaio. Qualcuno ha riferito ai suoi genitori che noi due ci frequentiamo, e il padre sta venendo qui a chiedere spiegazioni. Che posso fare?
Giustino Mah!... Potrebbe fare come Anastasio, il postino, quando voleva vendere l'asino a Giromino, la guardia comunale. Deve dunque sapere che l'asino di Anastasio, appena vedeva Giromino, si metteva a tirar calci che era un piacere. Giromino, prima di comprarlo, voleva guardarlo in bocca, ma purtroppo non riusciva ad avvicinarsi alla bestia, e allora rinunciava all'acquisto. Anastasio, invece, aveva proprio bisogno di vendere l'asino. Allora un bel giorno dette all'animale un sacco e una sporta di legnate, poi lo legò ben stretto a un cancello, e chiamò Giromino, il quale, finalmente, riuscì a guardare l'asino in bocca, fu soddisfatto e lo comprò. Pensi che adesso è l'asino più intelligente del paese!
Renata Veramente non ho capito cosa c'entra?...
Giustino (Interrompe) Glielo spiego io! Il commendatore è l'asino. Oh, mi scusi!
Renata (Sorride) Continui.
Giustino ... e il padre del suo « caro » è Giromino. Lei quindi, può fare come Anastasio. Va a prendere l’asino, cioè il commendatore... Oh, mi scusi! Lo porta qua, sorvola sulle bastonate, ma se fosse necessario lo lega a una poltrona... Arriva il futuro suocero, lo guarda in bocca... Ma cosa dico? Insomma, volente o nolente, suo padre dovrà affrontare la questione. In ogni caso i due padri avranno almeno l'occasione di conoscersi.
Renata Ottima idea, Giustino. Prendo la macchina, raggiungo mio padre e zio Augusto, con una scusa li porto qua, e poi... Vado! (S'avvia verso il fondo, poi si ferma e si rivolge a Giustino) Se per caso arriva prima il papà di Fabrizio, be'... pensi lei a intrattenerlo.
Giustino Corra!
Renata (Felice) Volo! (Esce al fondo).
Giustino (Sospira) Ah, se in questa casa non ci fossi io!...
7
Giustino, Gervasia e Cantone
Gervasia (Entra da sinistra, con un foglio di carta in mano. Vede Giustino solo. Ha un gesto di contrarietà) Sono dolente di constatar che lei è l'unico vivente...
Giustino La signorina è andata...
Gervasia (Interrompe) Colpa mia, tardi arrivata. Volevo leggerle alcuni versi miei, degni dell'Accademia dei Lincei. Ascolti questa magnifica poesia, frutto meraviglioso della mia fantasia.
Giustino Con piacere. Com'è intitolata?
Gervasia «Allegria spensierata». (Legge) «Lungo il sentiero, tenebroso e nero, che porta al cimitero, i cipressi imponenti, i salici piangenti, son tanto commoventi» (Tace e chiude gli occhi, ispirata).
Giustino Quello è un annunzio funebre, altro che allegria spensierata!... (Suono di campanello) Vada subito ad aprire! (Agitato, indica il fondo) È mio suocero. Cioè! Lo sarà di Renata. (Gervasia esce al fondo. Giustino, molto emozionato, si rassetta il vestito, mettendolo ancor più in disordine).
Cantone (Entra dal fondo, preceduto da Gervasia. Ha una quarantina d'anni. È distinto, elegante, e da l'impressione di essere preoccupato).
Gervasia (Solenne) Con molto onor, e un po' di emozione, annuncio che è qui giunto l'ingegner Cantone (Lo indica).
Cantone (Guarda Gervasia con stupore, poi tende la mano verso Giustino) Buongiorno. (Gervasia esce a sinistra).
8
Giustino e Cantone
Giustino (Esageratamente cordiale, per mascherare l'imbarazzo, stringe la mano di Cantone) Come va? Come va?
Cantone Bene, direi.
Giustino Lo dica! Lo urli! Ricorda quel proverbio? Meglio un asino vivo che un ingegnere.. No! Non è questo. Ah! Adesso lo ricordo. «Chi sta bene non... Chi sta bene non... ». Che fa chi sta bene? Ah! «Chi sta bene non... non chiama il dottore! ». Bello, eh? (Ride, poi nota che Cantone lo guarda serio. Smette di ridere e indica una poltrona) S'accomodi, tanto non costa niente.
Cantone (Siede) Permetta che mi presenti.
Giustino So tutto! Lei è il padre di suo figlio, ed è venuto qua per combinare il matrimonio.
Cantone (Contrariato, si alza in piedi) Nossignore! Io, sia ben chiaro, non voglio combinare un bel niente!
Giustino (Ponendogli le mani sulle spalle lo costringe a risedere) Stia comodo.
Cantone (Scatta di nuovo in piedi) Mi oppongo a qualsiasi «combinazione»! Voglio solo delle spiegazioni. Lei chi è?
Giustino Giustino. Piacere (tende la mano).
Cantone (Gliela stringe) Molto lieto. Però vorrei sapere... Con la signorina Renata Ravello in quale grado di parentela si trova?
Giustino Grado?
Cantone Sì. Quale grado?
Giustino Nessuno. Io sono riformato.
Cantone Non ha capito. Le ho chiesto... Insomma, quando parla con il padre della signorina Renata, come lo chiama?
Giustino Carlo-commendatore.
Cantone Bene.
Giustino Lo dice lei! Lui si arrabbia.
Cantone Perché?
Giustino Perché non capisce che io sono spiritoso dall'alba al tramonto.
Cantone Sempre più oscuro.
Giustino Accendo la luce.
Cantone No! (Seccato) La sua conversazione è interessante, ma io ho fretta. La prego di avvertire il commendator Ravello che devo parlargli di una cosa importante.
Giustino Non è in casa.
Cantone (Si alza in piedi) Allora...
Giustino (Come prima, lo costringe a risedere) Stia comodo.
Cantone (c.s.) Le ripeto che non ho tempo da perdere!
Giustino (c.s.) Neppure per la felicità di « caro »? (Indica il telefono) Cioè! Di suo figlio?
Cantone (Sorpreso) Ah, perché lei sa?
Giustino Tutto! La signorina Renata è una brava ragazza. Non se la lasci sfuggire, perché una nuora così non si trova tutti i giorni.
Cantone Come si permette di?... (Fa l'atto di alzarsi in piedi).
Giustino (Come prima) Stia comodo.
Cantone (Scatta in piedi, evita la manata sulle spalle da Giustino e si allontana) Comodo un corno! Devo andare a lavorare.
Giustino Cosa fa?
Cantone L'architetto.
Giustino Fa i tetti?
Cantone (Nervoso) Nooo! L'ar-chi-tet-to. L'ingegnere, insomma. L'ideatore di case, ville, palazzi, eccetera.
Giustino Ho capito: fa il muratore. (Grugnito di Cantone). E si dà tante arie? Lo sa che io, una volta, ho costruito un pollaio a regola d'arte?
Cantone (Ironico) Congratulazioni! Adesso mi lasci andare.
Giustino Si agita troppo. A fegato come sta?
Cantone (Colpito) Male. (Impressionato) Si vede?
Giustino Euh! Ce l'ha scritto in fronte che è sull'orlo della tomba.
Cantone (Sempre più impressionato) Possibile? (Siede, abbattuto).
Giustino Bravo, stia comodo. Le darò una ricetta per fare una specie di elisir che le ridarà calma e salute.
Cantone (Interessato) Ho già provato tante medicine, ma senza risultato. Mezz'ora dopo i pasti sento dei crampi e delle sfitte qui (indica il petto all'altezza dello stomaco) che mi tolgono il respiro.
Giustino È niente. Con l'elisir che le insegnerò passerà tutto. Stia attento. Appena tornato al paese le spedirò un bel pacco di genzianella di montagna. Lei ne metterà una manciata in infusione per quindici giorni dentro un litro di barbera. (Strizza l'occhio) Più è buono il barbera, e più è buona la medicina. Poi filtra il vino e ne beve un bicchierino dopo i pasti. Le assicuro che se avesse sullo stomaco anche un mattone, la genzianella glielo farebbe andare giù.
Cantone Sicuro?
Giustino Sicurissimo. Pensi che noi, al paese, gliela diamo anche alle bestie.
Cantone (Scatta in piedi) Eh no! Adesso basta, e me ne vado.
Giustino (Lo trattiene per un braccio) La sa la storia della rana e del bue?
Cantone No!
Giustino Nemmeno io. Però gliela racconto lo stesso.
Cantone Non la voglio sentire! Questo è un sequestro di persona! Farò denuncia.
9
Giustino, Cantone, Renata, Carlo e don Augusto
Renata (Appare al fondo ed emozionata) Buongiorno, ingegnere. Scusi se l'abbiamo fatta attendere. Io sono Renata Ravello. Papà mi ha detto che sarà felice di conoscerla.
Cantone (Aggressivo) Dov'è suo padre?
Renata Eccolo. (Dal fondo, sorridente, entra Carlo, seguito da Augusto. A Cantone) Mio zio, don Augusto. Mio padre. (A Carlo, il quale è diventato serio) Ti presento l'ingegner Cantone. (Carlo e Cantone si fissano con espressione che diventa gradualmente aggressiva).
Carlo (Fuori di sé, indicando Cantone) Lei non è?...
(Augusto, Giustino e Renata, sbigottiti, osserveranno la scena).
Cantone (Minaccioso) Sì! Sono proprio io!
Carlo (Urla) Farabutto!
Cantone (Grida) Delinquente!
Carlo Vattene immediatamente da questa casa!
Cantone Adesso so chi sei! Ti voglio vedere in galera!
Carlo Anch'io! Me la pagherai!
Cantone (Uscendo dal fondo) Non finirà così!
Carlo Lo spero! (Corre al fondo, e mentre grida verso l'esterno) La gente come te è un pericolo pubblico! Criminale!
(Il sipario sì chiude).
FINE DEL SECONDO ATTO
ATTO TERZO
(La sera di due giorni dopo gli avvenimenti del secondo atto. Lampadario acceso. Uomini in abito scuro).
1
Renata e Giustino
Renata (In abito da mezza sera, è sola in scena, pensierosa. Fa qualche passo, guarda l'ora, va al fondo, ritorna al centro guarda di nuovo l'ora).
Giustino (Entra da sinistra) Signorina Renata, perché sta qui sola?
Renata E lei? Si diverte?
Giustino Neanche un pochino! Preferisco i contadini che frequentano il nostro oratorio a quei... (Indica verso il fondo) ... a quelle persone che fanno grandi salamelecchi, e che appena si voltano le spalle se ne dicono di tutti i colori.
Renata (Sorride) Capisco. Ma mio padre è costretto a tenersi amica tutta quella gente. Le relazioni d'affari, il più delle volte, cominciano e si intrecciano proprio in occasioni come queste.
Giustino È felice, lei?
Renata Beh... Capirà che dopo quanto è accaduto l'altro ieri non posso essere allegra. Chi poteva immaginare che mio padre, la sera prima, si fosse scontrato con la macchina del padre di Fabrizio, e che con lui avesse avuto un violento alterco? Sapevo che papa aveva tamponato qualcuno, ma che con tutte le auto in circolazione avesse tamponato proprio quella dell'ingegner Cantone... è il colmo della sfortuna!
Giustino Chissà quante se ne saranno dette!
Renata Mi pare di vedere la scena. Stridio di pneumatici sull'asfalto. I due automobilisti, ossia mio padre e il padre di Fabrizio, cominciano a insultarsi dall'interno delle rispettive auto, quindi scendono agita-tissimi. Per la verità non si è graffiato neppure un paraurti, ma loro... «Delinquente! », «Farabutto! », eccetera. Poi, come fanno quasi tutti in queste circostanze, si allontanano senza presentarsi.
Giustino L'indomani, però, il diavolo ci mette la coda, e i due si ritrovano qua, l'uno di fronte all'altro. Il commendatore le ha pure urlato: «Ti proibisco di rivedere il figlio di quel criminale della strada! ».
Renata Ho sentito, sì. Eppure pensi che mio padre, quando lo condussi qui per parlare con l'ingegner Cantone, era quasi disposto a dare il suo consenso al fidanzamento. Zio Augusto gli aveva parlato a lungo, e... (sospira) Peccato! Tutto da rifare. Per ora, poiché papà non conosce Fabrizio, l'ho invitato e fra poco sarà qui. Naturalmente all'insaputa dei genitori, e soprattutto di suo padre, dal quale è stato solennemente diffidato di continuare a frequentarmi. Mi creda, Giustino: ci spiace molto di dover agire così. Tuttavia speriamo che presto si chiarisca ogni cosa.
Giustino In che modo?
Renata Bisognerebbe, per esempio, che i due padri s'incontrassero di nuovo in un luogo tranquillo, sereno.
Giustino Magari sotto gli occhi di don Augusto.
Renata Lo zio continua ad aiutarmi. Tant'è vero che papa, stamani, mi ha detto che se l'ingegner Cantone manifestasse l'intenzione di chiedergli scusa, gliela chiederebbe lui per primo.
Giustino Davvero?
Renata Sì. E mi è sembrato sincero.
Giustino (Soprappensiero) Bene bene... Sono proprio contento.
2
Renata, Giustino e Gervasia
Gervasia (Entra dal fondo. La crestina e il grembiu-lino la rendono ancora più buffa. A Renata, solenne e confidenziale) Un giovanotto è giunto in questo istante. Giunto di corsa, atleta ed aitante, m'ha detto: « Scusi, signora... Non saprei... Abita qui?... », e ha nominato lei. Si chiama Fabrizio, e spera non sia vana l'attesa (indica il fondo) vicino alla fontana.
Renata (Felice) Grazie, Gervasia. Questa è la sua più bella poesia!
Giustino (Ironico) Perché non ha sentito quella intitolata «Cimitero allegro». Cioè «Allegria funeraria». No! Volevo dire «Allegria spensierata».
Renata A presto (esce al fondo).
Giustino (Si assicura che Renata sia lontana Gervasia s'avvia verso sinistra. Giustino la chiama sottovoce) Signora poesia...
Gervasia (Si ferma, lusingata) L'anima mia è un palpito, un sussurro, un cielo limpido e azzurro. Grazie di avermi così denominata. D'ascoltarla io son molto onorata.
Giustino (Estrae di tasca un pezzetto di giornale e lo porge a Gervasia) Vorrei telefonare a questo numero. Per favore, me lo faccia lei.
Gervasia (Prende l'appunto datole da Giustino, e lo osserva da ogni parte) Con sommo piacer glielo farei. Ma per dirla con gran semplicità, non si capisce niente, in verità.
Giustino Ma chi l'ha fatta poeta, lei? (Le prende il pezzo di carta) A scuola, per la calligrafia, ero il primo della classe. Se avessi anche saputo che sei per sei fa trentasei, a quest'ora sarei ingegnere! Questo numero l'ho scritto ieri, quando l'ho sentito borbottare da Renata. (Legge) «Trentatré, venti, diciannove».
Gervasia (Compone il numero all'apparecchio) «Trentatré, venti, diciannove»... Se il ciel non è seren, vuol dir che piove. (Al telefono) Pronto?... Chi parla?... Prego, un breve istante. (Porge il microfono a Giustino) L'ingegner Cantone è qui all'altoparlante.
Giustino (Prende il ricevitore) Si metta di guardia là! (Indica il fondo) Stia attenta che non venga nessuno. (Gervasia esegue. Al telefono, urla) Pronto!... Lo so che lei è l'ingegner Cantone, padre di Fabrizio!... Io sono una telefonata anonima... Suo figlio è in dolce compagnia... Sissignore! È con la signorina Renata Ravello, nel giardino della villa Ravello, vicino alla fontana... Ciao! (Posa il ricevitore e si stropiccia le mani, soddisfatto. A Gervasia) Psst! Psst! (Gervasia gli si avvicina) Fra poco arriverà l'ingegner Cantone, quello dell'altro ieri. Ricorda?
Gervasia Di nulla il mio cervel si scorda. Ora una cosa sol vorrei sapere. Che cosa faccio, se vedo l'ingegnere?
Giustino Lo deve trattenere.
Gervasia (Entusiasta) Che rima baciata seppe mantenere!
Giustino Ricordi che all'ingegnere devo parlare io. Io soltanto. Se no salta tutto in aria.
Gervasia Cos'è? Una bomba incendiaria?
Giustino Di più! Se s'incontra con il commendatore e con Renata succede il finimondo.
Gervasia Io personalmente ne rispondo. Nessuno tranne me, e questo è il bello, è autorizzato ad aprire il cancello. Quindi nessun può dirmi di sblocCarlo, poiché io sola posso spalanCarlo.
Giustino Bravissima! Adesso avrei ancora bisogno d'un piacere.
Gervasia Parli senza timor, messere.
Giustino Vorrei che m'insegnasse una bella poesia...
Gervasia (Interrompe felice, emozionata) A me! A me! Muoviti fantasia! E tu, cervello creator di rima, in questo istante aiutami, e meglio ancor di prima. È stato lei l'unico mortale a darmi tanta gioia! Il cuore mi fa male. Ed ora, per saper che cosa dire, lei dica a me: il poema a che deve servire?
Giustino Per chiedere al commendatore Carlo che mi lasci fare da padrino a suo nipote.
Gervasia Allor son dolci note. Vediamo un po', tanto per cominciare... Mi lasci un solo istante cogitare.
Giustino Si vuole coricare?
Gervasia Ma no! « Cogitare », esercitare il pensier vuol dir, creare. Il mio cervel lavora, nutre l'idea e in essa si ristora, prende vigor, si pasce e si trastulla... Oh, sì! Ecco che nasce.
Giustino No no. Il bambino è già nato.
Gervasia Non intendevo parlar del neonato. Parlavo del poema. È una preziosità. Vo a pensarlo di là fin-dica a sinistra). Quando torno stupirà. (Esce a sinistra, impettita, comprimendosi la fronte con le dita).
Giustino (Sentimentale, sospira) Come dev'essere bello sentirsi chiamare « padrino »!... (Agisce, come se giocasse con un bimbo) Vieni, piccolo. (Siede) Qua, sulle ginocchia... (Le muove) Corri corri, cavallino! Corri per il mio bambino.
3
Giustino e don Augusto
Augusto (Appare al fondo, con il breviario in mano. Vede Giustino e lo osserva con stupore).
Giustino Ti piace andare a cavallo? Sì, eh? Galoppa notte e dì.
Augusto (Si avvicina a Giustino) Cosa fai?
Giustino (Sussulta e si alza in piedi) Giocavo al cavallo con... (Indica il posto dove stava seduto) Con...
Augusto (Guarda nella direzione indicata da Giustino) Con chi?
Giustino Con-con... Con me.
Augusto Sei diventato matto?
Giustino No.
Augusto Meno male (Siede e apre il breviario).
Giustino (S'avvicina ad Augusto, timido) Don Augusto...
Augusto Dimmi.
Giustino Don Augusto...
Augusto Ho sentito. Continua.
Giustino Don Augusto...
Augusto Giustino! Cos'hai? Non ti senti bene?
Giustino Sto meglio adesso, di quando m'è caduto sul piede il ferro da stiro.
Augusto (Sorride) Ne sono convinto.
Giustino Però...
Augusto «Però»?...
Giustino (Sta per parlare, poi rinuncia) ...niente!
Augusto Eh, no! Adesso devi parlare. Hai combinato qualche guaio?
Giustino Non mi guardi così, se no mi restano le parole in gola. E potrei anche morire soffocato.
Augusto Insomma, Giustino! Vuoi spiegarti, sì o no?
Giustino Ecco, io... (Pausa. Deciso) Si ricorda, don Augusto, chi è il padrino del figlio di Giuseppe «della meliga»?
Augusto Pautasso, il sindaco. Ebbene?
Giustino (Vorrebbe dire altro, poi non osa e dice) Che brav'uomo, eh?
Augusto Un brav'uomo. E con ciò?
Giustino Niente niente... (Pausa) Si ricorda, don Augusto, chi è il padrino della figlia del cugino di Anselmo «dell'autorimessa»?
Augusto Binda, l'elettricista. Ebbene?
Giustino (Come prima) Che brav'uomo, eh?
Augusto (Impaziente) Un altro brav'uomo. E poi?
Giustino Niente niente... (Pausa) Si ricorda, don Augusto, chi è il padrino di...
Augusto (Interrompe e si alza in piedi) Non avrai intenzione, spero, di elencarmi tutti i battesimi che ho amministrato in paese?
Giustino No no, ma... (Pausa. Solenne) Reverendo don Augusto Ravello!
Augusto (Ironico) Hai bevuto?
Giustino No no, ma... (Pausa. Deciso) Sono tutti padrini. Voglio esserlo anch'io!
Augusto Di chi?
Giustino Del figlio di Patrizia e Massimo. Le spiace?
Augusto Tutt'altro. Sono soltanto sorpreso. Come t'è venuta questa idea?
Giustino Chi lo sa? Ieri, mentre guardavo quella piccola creatura, ho sentito qualcosa qui... (indica il petto all'altezza del cuore) ... che faceva « frrr-frrr ». Vede, don Augusto, lei è già tanto per me... Ma il mio figlioccio... Beh, il mio figlioccio sarebbe tutto.
Augusto (Accenna un sorriso) Bravo, Giustino. Questi sentimenti ti fanno onore. Devi però sapere che mio fratello ha già scelto l'ingegner Bruni.
Giustino Gli farò cambiare idea!
Augusto Sarà difficile, perché Carlo è piuttosto testardo.
Giustino Lasci fare a me! Una volta, al paese, sono riuscito a far camminare un mulo che non voleva muoversi da una settimana.
Augusto L'hai bastonato?
Giustino Nooo!... Povera bestia. (Pausa. Arguto) Gli ho acceso un po' di paglia sotto il ventre. L'avesse visto correre! Ad ogni modo, non voglio mica accendere la paglia sotto suo fratello, nooo... Anzi, gli parlerò addirittura in poesia.
Augusto (Sorride) Te lo porto subito qui. Naturalmente senza spiegargli il motivo. Tu comincia. Io, se sarà il caso, ti aiuterò. (Esce al fondo).
4
Giustino, Gervasia, Carlo e don Augusto
Giustino Che simpatico, il mio parroco! (Sorride) Anche il sagrestano, però...
Gervasia (Entra da sinistra. Porta un vassoio, sul quale ci sono due coppe di spumante: una colma, l'altra quasi vuota) Signor Giustino, stia attento un pochino. Lei padrino certamente diverrà, se dinanzi al commenda-tor così dirà (posa il vassoio sul tavolino, si schiarisce la voce e con appropriati gesti, declama): « In questo fausto giorno, vigilia del battesimo, sento rapirmi il cuore da un magico incantesimo. E al bel pupetto biondo, che è come un angioletto, muovo pian piano la culla, ed il mattino aspetto. Nel contemplarlo, l'anima s'empie di tenerezza, che si trasforma, muta, in timida carezza. E più lo guardo così, più a me sembra carino. E vorrei tanto, col cuor, esserne io il padrino».
Giustino (Che ha ascoltato incantato, applaude) Bellissima! (Gervasia s'inchina).
Carlo (Dall'esterno, al fondo) Ti ringrazio di avermi liberato da quel chiacchierone. Entriamo un momento. (Gervasia riprende in mano il vassoio con le due coppe).
Giustino (Agitato) Eccolo! Come posso impararla a memoria?
Gervasia Le resterò accanto. Inventerò una storia. Lei cominci tranquillo. Se non saprà che dire, io sarò pronta qui per suggerire.
Giustino D'accordo.
Carlo (Appare al fondo, con Augusto) Questi ricevimenti mi snervano. (Vede Giustino) Uff!
Giustino (Gentilissimo) S'accomodi, commendator Ravello. Io le tolgo subito il disturbo. E le chiedo scusa, se qualche volta ho parlato troppo. Le chiedo scusa, capisce? Di tutto cuore.
Carlo (Sorpreso e soddisfatto) To'!... Questa, non me la aspettavo. Ma mi fa piacere.
Gervasia (Porge il vassoio ad Augusto) Reverendo, la prego. Vuol bere?
Augusto Grazie, no.
Gervasia (Id. a Carlo, indicando la coppa semivuota) Perdoni se s'è versato un po'.
Carlo (Sta per prendere la coppa colma di spumante, poi si ferma. A Giustino) Lei.
Giustino (Gentilissimo) Comandi, commendatore.
Carlo Si serva.
Giustino Molto gentile, commendatore. (Osserva le due coppe, le pone vicine, quindi prende quella colma di spumante).
Carlo (Seccato) Così non va.
Giustino Perché?
Carlo È maleducazione. Io avrei preso la coppa quasi vuota.
Giustino Infatti gliel'ho lasciata!
Carlo (Distratto) Eh già me l'ha las... (Si riprende) Mi lasci in pace, mi lasci!
Giustino Più tardi. Ora le devo parlare.
Carlo (Aggressivo) Di che cosa?
Giustino Sentirà... (S'assicura che Gervasia sia alle sue spalle. Sottovoce) Attacchi.
Gervasia (Sottovoce, ma forte quanto basta per farsi udire chiaramente dal pubblico) In questo fausto giorno...
Giustino (Risponde meccanicamente, col tono dei bambini) In questo fausto giorno... (Carlo lo guarda disorientato, Augusto sorride).
Gervasia Vigilia del battesimo...
Giustino Vigilia del battesimo...
Gervasia Sento rapirmi il cuore...
Giustino Sento rapirmi il cuore...
Gervasia Da un magico incantesimo...
Giustino Perché non ho un centesimo...
Gervasia (Inorridita, si tappa le orecchie con le mani, e prosegue) E al bel pupetto biondo...
Giustino E al pupo vagabondo...
Gervasia Che è come un angioletto...
Giustino Che un dì farà il prefetto...
Gervasia (Esasperata) Cretino!
Giustino (Rivolto a Carlo) Cretino!
Carlo (Urla) Basta! (a Gervasia) Lei si consideri licenziata! (Gervasia vorrebbe obiettare) Ma sì! Vada al sindacata. Cioè! Al sindacato, dove vuole. La licenzio a costo di provocare uno sciopero generale, nazionale, universale!
Gervasia (Si avvia con dignità offesa verso sinistra) Fa male.
Carlo È madornale!
Gervasia (Si ferma) Che rima magistrale! (Carlo le fa un passo contro. Gervasia esce con un balzo a sinistra).
Carlo (Ad Augusto, che ride divertito) Roba da carnevale! (S'accorge che ha fatto rima) Accidenti! M'ha attaccato la malattia! Parlo anch'io in poesia.
5
Giustino, Carlo, don Augusto e Renata
Renata (Entra dal fondo) Cos'è accaduto? (A Carlo)Si sente gridare dalla fontana.
Carlo La colpa è sua! (Indica Augusto) Tua! (Indica Renata) E sua! (Indica Giustino)
Giustino Se mi lasciasse parlare diventerebbe subito allegro.
Carlo Allora parli, una buona volta! E poi sparisca! Cosa vuole?
Giustino (Deciso) Essere padrino di suo nipote.
Carlo (Distratto) Per conto mio può essere ciò che vuo... (Si riprende) Eh?!? (Indignato) Come osa? (Cammina avanti e indietro) Sarebbe il colmo, sarebbe. Lo sa che solamente a sentire il suo nome mi viene la nausea?
Giustino (Calmo) Prenda un po' di bicarbonato.
Carlo (Ad Augusto, implorante) Aiutami, per favore.
Augusto L'essenziale, per me, è che il bimbo riceva il santo Battesimo, e che abbia per padrino un cristiano. Su Giustino, quindi, non avrei nulla da eccepire.
Carlo (Disperato) Ma è un sagrestano! Per « mio » nipote ho sognato ben altro.
Giustino Stia tranquillo che il regalo, a Pasqua e a Natale, glielo farò sempre. (Confidenziale) Capirà... Ai matrimoni, battesimi e funerali, mi danno la mancia.
Io non fumo, non bevo vino... (Carlo lo guarda con espressione ironica. Giustino precisa) ...quando costa. Qualche soldarello, insomma, ce l'ho. Ebbene, spenderò tutto per «lui», per il mio figlioccio. Con gioia!
Carlo (Rimane un istante soprappensiero. Poi) No! Non è possibile. Non posso neppure pensare che mio nipote sia padrino di un sagrestano. Cioè! Che abbia per padrino un sagrestano. (A Giustino) Quindi si metta il cuore in pace, e non parliamone più.
Augusto Ti ricordi, Carlo, del tuo padrino?
Carlo Certo. Peccato che sia morto così giovane. Gli volevo molto bene.
Augusto Era il custode del nostro stabilimento. Papa lo stimava molto.
Giustino (A Carlo) Io sono anche proprietario terriero.
Augusto (Sorpreso, come Carlo) Giustino... Comprendo il tuo stato d'animo, però mi raccomando... nessuna bugia, eh?
Giustino Non gliel'ho mai detto, don Augusto, ma è proprio vero! Io sono padrone di un pezzo di terra. Ho pure la carta bollata del notaio. (Rivolto a Carlo) Comprende, commendatore? Quella terra sarà di suo nipote. (Carlo, prima colpito dal ricordo delle umili origini del suo padrino, poi dalla genuinità di Giustino, tace assorto. Giustino, sentimentale, continua) Io voglio già bene a quel bambino. E quando verrà in campagna a Borgosole, gli insegnerò il catechismo, l'alfabeto, la tavola pi......pi... pitragrogrica... E ogni volta che suonerò le campane, immaginerò che lui mi senta e che dica agli amici: «Sono le campane del mio padrino». (Lunga pausa. Renata e Augusto guardano Carlo, il quale si sente a disagio).
Carlo (Fa qualche passo, poi si ferma di fronte a Giustino. Lo fissa, accenna un sorriso, gli tende la mano e sospira) Ma sì!... Sono orgoglioso che mio nipote, con appena cinque giorni di vita, abbia già fatto felice una persona di più.
Augusto E con l'ingegner Bruni, come te la caverai?
Carlo (Maligno) Gli dirò che il sagrestano me l'hai imposto tu. E se prenderà cappello, comprerò la lamiera da altri. Tanto, sempre lamiera è.
Renata Bravo, papà! Con permesso. (Esce al fondo).
6
Giustino, Carlo, don Augusto
Augusto (Sincero) Sei buono, Carlo.
Giustino (Emozionato) Vo-vo... Vo-vo... Vo-Vorrei abbracciarlo.
Carlo (Allegro e ironico) Guarda un po' come mi vogliono tutti bene! A che serve farsi il muso? (Abbraccia Giustino) E domani faremo una grande festa al piccolo Cesar... (S'interrompe, preoccupato) Ahi ahi.
Giustino Che c'è?
Carlo Se adesso il padrino è lui (indica Giustino) bisognerà cambiare il nome al bambino. (Un pensiero lo spaventa) No, eh! Giustino assolutamente no!
Giustino Ha ragione. Non piace neppure a me. Però ho anche il nome del santo del giorno in cui venni al mondo.
Carlo (Sarcastico) Brutto giorno. (Maligno) Qual è? Il 2 novembre?
Giustino No, ma gli è andato vicino. Io sono nato il 4 novembre: san Carlo.
Carlo (Distratto) Carlo non mi piace! (Si riprende) Eh?!? Ha detto Carlo?!? (Giustino accenna di sì col capo) Proprio Carlo come me? (Giustino idem) Allora siamo a posto! Lo chiameremo Carlo, Augusto, Maria. (Felice) Evviva Carlo! (A Giustino) Adesso mi tolga una curiosità. Il terreno che possiede, quanto è grande?
Giustino (Con semplicità) Sei metri quadrati.
Carlo (Senza fiato) Se-se... Se-se... Se-sei metri qua-qua... qua-quadrati?!?
Augusto (Sorride) E dove si trova?
Giustino A Borgosole, nel cortile della cascina di Pa-squalino. È un pollaio. (Disappunto di Carlo, stupore di Augusto) Sì, perché il trisnonno del bisnonno di mia nonna, centoventi anni fa...
Carlo (Interrompe) Non voglio sentir altro! Con o senza pollaio ho deciso: lei sarà il padrino di mio nipote. Quindi... (sorride) Qua la mano, Giustino! (Giustino tende la mano, che Carlo stringe energicamente).
7
Giustino, Carlo, don Augusto e Gervasia
Gervasia (Entra dal fondo e, non notata da Augusto e Carlo, che parlano a soggetto fra loro, si avvicina a Giustino e gli sussurra qualcosa all'orecchio, facendo gesti, come per dire: «È arrivato. L'ho trattenuto in giardino. È agitatissimo». Giustino trasale e le fa cenno: «Aspetti un momento»).
Carlo (Si abbandona sopra una poltrona, con un sospiro di soddisfazione). In questo momento posso dire che non ho alcuna preoccupazione!... (Altro sospiro). Com'è bella la tranquillità!...
Giustino (Agitato, scuote Carlo per un braccio) Si alzi!
Carlo (Sussulta) Cosa?!?
Giustino È arrivata la bomba! È arrivato lui.
Carlo (Si alza in piedi, impressionato) Lui chi?
Giustino Non glielo posso dire, se no scoppia lei! Se ne vada di là (indica a destra). Quando chiamerò proverà un grande piacere. (Ad Augusto) Anche lei, per favore.
Carlo (Consulta con un'occhiata Augusto, il quale fa un gesto rassegnato. A Giustino) Sta bene. Però l'avverto che se mi combina un altro guaio non sarà più il nipote di mio padrino. Cioè! Il padrino di mio nipote. Andiamo. (Esce a destra con Augusto).
Giustino (Sospira) Meno male!...
Gervasia L'ingegner Cantone non è d'umore usuale. M'è sembrato nervoso, agitato, impaziente, e d'ogni cosa pare insofferente.
Giustino Lo porti subito qui.
Gervasia L'accontento lì per lì. (Esce al fondo).
8
Giustino, Gervasia e Cantone
Giustino (Passeggia avanti e indietro, borbottando) Bisogna che trovi il modo di mettergli subito la museruola. Appena lo vedo gli sorrido, gli tendo la mano (esegue, rivolto verso il fondo) e gli dico: «Come sta, ingegnere?». Lui non potrà fare a meno di dirmi:...
Cantone (Seguito da Gervasia, appare al fondo, aggressivo) Ancora lei? Questa volta discuto a suon di pugni! (Gervasia, spaventata, scompare al fondo. Cantone dà uno schiaffo sulla mano tesa di Giustino) So che mio figlio è qui!
Giustino Sfido! La telefonata anonima... sono io!
Cantone Questo è troppo!
Giustino Era l'unico modo per farlo correre qua.
Cantone (Aggressivo) Se ne pentirà! (S'avvia verso il fondo).
Giustino Aspetti. (Cantone si ferma) Il commendator Ravello vuole chiederle scusa.
Cantone (Lusingato, si riavvicina a Giustino) Sul serio?
Giustino Sul serione!
Cantone Beh, visto che ha preso lui l'iniziativa, io non avrei nulla in contrario di stringergli la mano.
9
Giustino, Cantone e Renata
Renata (Appare al fondo. Vorrebbe dire qualcosa a Giustino, ma la vista di Cantone la spaventa, quindi rimane immobile, con la bocca aperta).
Giustino (Scorge Renata. Le fa ampi cenni per invitarla a scomparire. Inoltre, per impedire che Cantone veda la ragazza, gli indica l'apparecchio telefonico). Guardi là, ingegnere!
Cantone (Disorientato) Dove?
Giustino Il telefono! Che bello, vero? (Continua a gesticolare in direzione di Renata, la quale, finalmente, scompare).
Cantone (Ha notato gli ultimi gesti con le braccia di Giustino) Cosa le prende?
Giustino (Ripete quasi i movimenti di prima) Quante mosche, eh?
Cantone Non ne vedo neppure una.
Giustino Perché le ho prese tutte! (Ride) Adesso s'accomodi un momento da questa parte (Indica la porta di sinistra). Io avverto il commendatore, e vedrà che fra poco sarà il suo migliore amico.
Cantone (S'avvia verso sinistra) Lo spero anch'io, perché ho molta stima per coloro che hanno il coraggio di riconoscere i propri torti. Però stia attento. Se mi combina qualche scherzo, me la pagherà cara! (Esce a sinistra).
Giustino (Allarga le braccia e sospira) Mah!... Se andrà bene... bene! E se andrà male... torno al paese, mi chiudo in sagrestia, e chi m'ha visto m'ha visto! Diventerò il sagrestano fantasma. (Apre la porta di destra) Carlo-commendatore! Don Augusto!
10
Giustino, Carlo, don Augusto, poi Cantone, Renata e Gervasia
Carlo (Entra da destra, sospettoso, seguito da Augusto). Dunque? Cosa c'è di nuovo?
Giustino C'è l'ingegner Cantone che... che è venuto a chiederle scusa.
Carlo (Lusingato) Sul serio?
Giustino Sul serione! (Indica a sinistra) È di là, che attende d'essere ricevuto.
Carlo (Soddisfatto) Ho molta stima di coloro che hanno il coraggio di riconoscere i propri torti.
Giustino (Ironico) L'ho già sentito dire.
Carlo (Allegro) Era questa «la bomba»?
Giustino Sì. (Apre la porta dì sinistra) S'accomodi, ingegnere.
(Si pone al centro, coprendosi gli occhi con le mani, come se temesse di vedere qualcosa di orribile. Da sinistra entra Cantone).
Cantone e
Carlo (Vanno l'uno contro l'altro con le braccia tese, sorridenti, dicendo insieme) Non so cosa dirle per...
(Si accorgono del coro, sorridono, si stringono la mano e si abbracciano. Poi Carlo, a soggetto, presenta Cantone a don Augusto, mentre Giustino si scopre timidamente gli occhi e guarda stupito).
tutti (Tacciono, guardandosi l'un l'altro stupiti, poi sospirano) Siamo tutti poeti!...
(E ridono, mentre il sipario si chiude).
FINE DELLA COMMEDIA