Quel simpatico zio parroco

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Commedia brillantissima in 3 atti

di Franco ROBERTO

Personaggi

DON AUGUSTO RAVELLO,  parroco di campagna

CARLO RAVELLO, suo fratello

RENATA e

PATRIZIA, figlie di Carlo

GIUSTINO, sagrestano di don Augusto

GIORGIO, domestico moderno

Oggi. Nella villa Ravello, alla periferia di una città.

La scena:

Una moderna sala di soggiorno. Lampadario al centro. Al fondo una porta-finestra, oltre la quale si vede un terrazzo e un parco. Una porta a destra e una a sinistra.

SCENA FISSA PER TUTTI GLI ATTI

ATTO PRIMO

Pomeriggio di una giornata di luglio. In scena, all'aprirsi del sipario, non c'è alcuno. Il telefono squilla ripetutamente.

1 Giorgio

Giorgio — (Dopo alcuni istanti dall'apertura del sipario entra da sinistra. Ha trentacinque anni, capelli leggermente brizzolati; è distinto, non indosso divisa, sorri-de raramente, e quando apre bocca, anche per dire un monosillabo, parla con calma e solennità. Egli ama qualificarsi «direttore di casa». Si ferma, guarda il te­lefono e si avvia lentamente a rispondere. Stacca il ri­cevitore, lo osserva, lo pulisce con la manica della giac­ca, e finalmente lo porta all'orecchio) Pronto... Sì, casa Ravello... Mi spiace, signore: il commendatore non c'è... In ufficio, credo... Se in ufficio ha lasciato det-to che sarebbe venuto a casa, giungerà tra qualche mi­nuto. Infatti occorrono esattamente sedici primi e tren­tadue secondi di macchina per percorrere la strada dal­l'ufficio a qui. Con semaforo favorevole. naturalmente. In caso contrario novanta secondi in più... No, signo­re: io non sono un cronometrista. (gonfia il petto) Io, Giorgio Gustavo Vercingetorige De Blasi, sono «il  di­rettore» di casa Ravello... Sta bene, ingegnere, glielo dirò... A che numero? Un istante, per cortesia. Pren­do nota (Calmissimo, posa il ricevitore sul tavolino, prende dal taschino della giacca una penna stilografi­ca, toglie il cappuccio, osserva il pennino controluce, poi estrae dalla tasca interna un piccolo notes, siede con particolare riguardo alla piega dei calzoni, riprende il ricevitore) Pronto... (pausa). Pronto... (posa il ri­cevitore sull'apparecchio, guarda l'ora, scrive sul no­tes) «Ore quindici, tre primi, diciotto secondi: ha te­lefonato l'ingegner Bruni. Voce sgradevole, molto ner­voso». (Chiude il notes, rimette il cappuccio alla sti­lografica e ripone gli oggetti nelle rispettive tasche. Si alza e si avvia impettito verso la porta di sinistra).

2 Carlo e Giorgio

Carlo — (Entra dal fondo a catapulta, agitatissimo, senza notare la presenza di Giorgio, il quale, udendo l'en­trata di Carlo, si è fermato sulla soglia della porta di sinistra. Carlo ha cinquant'anni; è sempre nervoso, di­stratto; porta una cravatta a colori vivaci con grossi disegni; butta il cappello sopra una sedia, la borsa di cuoio sul tavolino del telefono, compone un numero all'apparecchio, apre la borsa, estrae delle carte, scri­ve; il tutto con molta precipitazione, osservato da Giorgio, evidentemente indignato di un così agitato com­portamento del principale).

Giorgio — (Si pone alle spalle di Carlo) Buongiorno, com­mendatore.

Carlo — (Sussulta) Ti venisse... un terno al lotto! Mi hai spaventato. (Porta la mano al petto, istintivamente, come tutte le altre volte che dirà le stesse parole, ov­vero:) Ah, il mio cuore! Tutti mi vorrebbero morto. Un bel funerale...

Giorgio — (Continua calmo, serio) ...di prima classe.

Carlo — (Prosegue distratto) Tante corone... (ricompone il numero all'apparecchio).

Giorgio — Una di orchidee viola pallido.

Carlo — (Soprappensiero) Già, pallido.

Giorgio — (Convinto) Sarebbe originale.

Carlo — (c.s.) Sarebbe origin... (scatta) Ma che? Cosa mi fai dire? (Scuote il ricevitore). È sempre pallido! Cioè: è occupato, occupato, sempre occupato! (Ricom­pone il numero) Io pago!... Pago fior di biglietti da mille all'anno per telefonare quando mi pare e piace. Nossignori! Appena faccio una telefonata... «tu-tu-tu-tu-tu» è occupato! (All'apparecchio) Pronto! E' lei, ragionier Stellari?... Con chi parlava, un momento fa?... Con nessuno?!? Impossibile! Il suo apparecchio dava «l'occupato»... Sissignore! Faceva «tu-tu-tu-tu-tu»... Ma cosa crede, ragioniere? Che io sia rimbam­bito?... Le dico che io non ho sbagliato numero! Ho fatto due volte, dico «due volte», il numero 38.40.35.

Giorgio — Mi scusi, commendatore.

Carlo — (Aggressivo, a Giorgio] Cosa vuoi?

Giorgio — Mi permetto di precisarle che il 38.40.35 è il numero di «questo» (indica) apparecchio.

Carlo — Allora sto parlando con me!

Giorgio — No, commendatore, perché la terza volta ha composto esattamente il numero del suo ufficio, ov­vero il 77.35.33.

Carlo — (Il quale non ha avuto la pazienza di seguire il ragionamento di Giorgio e ha continuato a sfoglia­re i documenti nella sua borsa, impreca) Che servizio!... Bisognerebbe distruggerla, questa società dei telefoni. (All'apparecchio) Pronto, sì!... Ma no, ragionier Stel­lari: non è successo niente. È stato soltanto qui... «co­so»... (a Giorgio). Come ti chiami?

Giorgio — Più volte al giorno, da sei mesi, non faccio altro che ripeterle che il mio nome autentico, genui­no, è: Giorgio Gustavo Vercingetor...

Carlo — (Interrompe) Basta così! (Al telefono/ È Giorgio, il mio servo, (gesto di stizza di Giorgio, quando sente dire «servo») che e impazzito... Sicuro. Più pazzo di così si muore!... Dice che mi sono telefonato, ma che io non c'ero perché il telefono era occupato. Ha capito, ragioniere? Succede tutto a me! Ah, il mio cuo­re! Povero cuore. Adesso risponda, ragioniere. E si sbrighi... Cosa?!? Non le ho ancora fatto alcuna do­manda?... Gliela faccio subito. Ha telefonato l'inge-gner Bruni?... Sì?... Quando?... Speriamo che ritele­foni qui... Quelle dieci tonnellate di lamiera mi occor­rono con la massima urgenza, ma non voglio che l'in-gegner Bruni lo capisca, se no i prezzi vanno alle stel­le! Prenda nota, ragionier Stellari: io, oggi, sono vivo soltanto per la lamiera. Cioè! Per l'ingegner Bruni. Per gli altri... scomparso, morto... Faccia lei! (Posa il ri­cevitore, e dopo esclama) Arrivederla, ragioniere! (D'o­ra in poi, pure seguitando a parlare, prenderà appun­ti, farà dei conti, strapperà dei fogli, ecc.)

Giorgio — Il suo segretario non l'ha più udito il suo sa­luto.

Carlo — Lo so che sta diventando sordo.

Giorgio — Volevo dire che il microfono era già stato ap­poggiato sull'apparecchio, quando lei...

Carlo — (interrompe) Che vuoi che me ne importi del microfono! Non so neppure se hanno già inventato la radio. Sono svicolato dall'ufficio perché devo lavora­re: la-vo-ra-re! Lavorare in pace. Ed in ufficio non e possibile. Mille seccatori.

Giorgio   —   Io...

Carlo — (Interrompe) Tu fai milleuno! Mi sono com­prato questa villa perché qui, almeno «qui», posso esi­gere la tranquillità, (urla) il silenzio! Nessuno deve ur­lare in questa casa! Nessuno, hai capito? Quando parli con me devi stare zitto. Cioè! Bisbigliare, devi... sus­surrare.

Giorgio   —   Rientra nei miei doveri avvertirla che...

Carlo — (Interrompe soddisfatto, sottovoce) Cosi va bene... Dimmi, dimmi.

Giorgio — (c.s.) Rientra nei miei doveri avvertirla che... (Estrae il notes dalla tasca e legge) «Ore quindici, tre primi, diciotto secondi: ha telefonato l'ingegner Bruni...».

Carlo — (Urla) E aspetti adesso a dirmelo? Continua:

Giorgio — (c.s.) «Ha telefonalo l'ingegner Bruni...».

Carlo — Parla più forte! Non capisco niente.

Giorgio — (Voce normale) «Ha telefonato l'ingegner Bruni... Voce sgradevole, molto nervoso». (Chiude il notes e lo ripone in tasca).

Carlo — (Frenandosi a stento) E poi?

Giorgio — E poi...« click ».

Carlo — Chi è «click»?

Giorgio — «Click»... Il predetto ingegner Bruni ha in­terrotto la comunicazione.

Carlo — Se non ritelefona lo faccio a te «click». Anzi. ti faccio «crak» , sulla testa! Puoi andare. (Si rituffa nelle sue carte).

Giorgio — (Dopo breve pausa, durante la quale non si è mosso) Commendatore...

Carlo  —    (Sussulta spaventato) Sei ancora qui?

Giorgio —   Mi  permetta  di  insistere.

Carlo  —  Insisti pure. Ciao.

Giorgio —   (con molta solennità) Quando, or sono sei mesi, accettai di diventare non il suo«servo», come mi ha qualificato poco fa, parlando al telefono con il suo segretario, ma  «il direttore» della casa, ella mi assicurò che sarei stato sempre... Ripeto:   «sempre» trattato con il «lei»; e mai... Ripeto: «mai» con il  «tu». Ricor­da, commendatore?

Carlo —  Io ricordo tutto! Ho una memoria di ferro, io. Ma che dico? Di acciaio inossidabile. Però non capisco perché, proprio ora che ho tanto da fare, tu mi fai il discorso del «tu».

Giorgio — (Indignato, dopo breve pausa scandisce solennemente) Signor commendatore Carlo Ravello, io le dò gli otto giorni.

Carlo — Cosa me ne faccio di otto giorni? Non mi ba­sterebbe neppure un secolo.

Giorgio — (Scandalizzato) Tremendo!... Incorreggibi­le!... Catastrofico!... (Esce a destra, impettito).

Carlo — (Sospira soddisfatto) Finalmente solo!... Dun­que... (Riprende a scrivere. Il telefono squilla: Carlo sussulta) La lamiera! (Stacca il ricevitore) Pronto, ingegner Bruni!... Eh?!... Lei è Rodolfo? E chi è Ro­dolfo?... Sì, ho capito che lei è... lei. Ma cosa vuole da me?... No, io non sono mia figlia... Ah, vuole mia figlia... E si spieghi, diamine! Gliela chiamo subito. (Fa l'atto di urlare un nome verso destra, poi gli viene in mente qualcosa) Ah!... (Al telefono) Dimenticavo che io, di figlie, ne ho due. (Fra i denti) S'immagini. Nessun disturbo. (Urla verso la porta di destra) Renata! (Al telefono, subito) Non c'è! Buon appetito. Cioè! Buonasera (fa l'atto di posare il ricevitore sull'appa­recchio).

3 Renata e Carlo

Renata — (Entra da destra. Bella ragazza di diciannove anni convinta di essere «una ragazza moderna», for­se perché è elegante, superba, ignorante, pigra e viziata). Aspetta, papà! (Carlo rimane con il ricevitore so­speso a mezz'aria). È per me, vero?

Carlo — Sì, purtroppo.

Renata — (Gli strappa di mano il ricevitore) Pronto... Salve, Rodolfo!... Certo che sono io!... Aspetta, Rudy... Mi siedo. (Fa cenno a Carlo di cederle il posto, perché la sedia o la poltrona sulla quale sta seduto Car­lo è la più vicina all'apparecchio telefonico).

Carlo —   (trionfante) Eh no, cara mia! Se ti lascio sedere non la smetti più.

Renata — (Al telefono, fra i denti) Sì. Rudy... Mi sono seduta... Come dici? Al Bar del Cigno Azzurro fra un quarto d'ora?... (Guarda l'ora all'orologio da polso di Carlo, il quale sbuffa) Alle quindici e trenta. Sarò puntuale... Aspetta, Rudy, prima che me ne dimenti­chi un'altra volta. Ti invito al ricevimento di domani sera... Sì, ciao (Posa il ricevitore e si avvia verso la porta di destra).

Carlo — Renata.

Renata — (Seccata) Che vuoi?

Carlo — Chi e che domani sera dà un ricevimento?

Renata — (Con molta semplicità e naturalezza) Tu, papà.

Carlo — (Distratto)  Più  che  giusto;   io   (comprende) Io?!... Ma io devo lavorare, io! E poi! Perché dovrei dare un ricevimento?

Renata — Ma come? Non ricordi?

Carlo — Io ricordo tutto! (Pausa) Che dovrei ricordare?

Renata — Che vent'anni fa è nata mia sorella Patrizia, e che un anno dopo, nello stesso mese e nello giorno, sono nata io. (Ironica, con enfasi) «Domani, egregio signor commendator Carlo Ravello, ricorre il compleanno delle sue due figliuole: Patrizia, anni venti: e Renata, la sottoscritta, anni diciannove»..

Carlo —  (il quale è rimasto ad ascoltare a bocca aperta) Sei sicura?

Renata  —  Sicurissima. E  c'è dell'altro. Tu, proprio tu, un mese fa, hai dato ordine a Giorgio,  l'infaticabile «direttore» della nostra casa, di organizzare il ricevi­mento per domani sera. Pensa, papà, che l'ho aiutato anch'io.

Carlo — (Convinto) Chissà come ti sarai affaticata.

Renata —  Beh, mi sono limitata a redigere l'elenco degli invitati. A proposito: zio Augusto, naturalmente, non l'ho avvertito.

Carlo — Perché?

Renata — Molto semplice. Un prete, in una festa come quella di domani sera, stona... guasta l'atmosfera... dà fastidio, insomma... dà soggezione.

Carlo — (Si alza in piedi, fa qualche passo) Hai ragio­ne, Renata. Noi siamo... come dire?... siamo «uomi­ni», noi. Augusto, invece... è un prete. C'è troppa dif­ferenza di mentalità. Non ci possiamo capire. Non ci siamo mai capiti (Pausa). Non dobbiamo però dimen­ticare che Augusto è mio fratello; e che il nonno, la fabbrica, l'ha lasciata a tutt'e due.

Renata — Non lo dimentico, purtroppo. Ma perché si è fatto prete? Ora potrebbe essere al tuo fianco, nella direzione di un'industria che vale miliardi; e invece... Invece no! Da vent'anni è parroco in quella chiesetta mezza diroccata, tra le montagne, dove ci vanno sol­tanto le capre.

Carlo — Tua madre buon'anima andava molto d'accor­do con mio fratello. Diceva che Augusto è un poeta.

Renata — (Sarcastica, maligna) «Un poeta»!... Puah! L'assegno che gli mandi ogni sei mesi lo ha sempre ac­cettato; e sempre l'accetterà, «il poeta». E gli zeri, su quell'assegno, sono parecchi. Mah!... Cosa ne faccia, un prete, di tanto denaro, non lo capisco! Non ti dice neppure grazie.

Carlo — È quanto gli spetta di diritto. E non ha mai chie­sto di vedere i conti.

Renata — Sfido!... Ti conosce bene e sa che tu non avre­sti il coraggio di...

Carlo — (Interrompe) Certo, certo... Tutto a posto, tutto in regola. (Scatta nervoso) Adesso basta! Lasciami la­vorare (Siede al posto che occupava prima, vicino al telefono).

Renata — (Sorride soddisfatta) Grazie, papà.

Carlo — Di che?

Renata —  Di avere «dimenticato» di invitare lo zio parroco (Ipocrita). Che peccato, vero? Gli chiederemo mil­le scuse... «dopo».

Carlo — E se si ricorda del vostro compleanno. e...

Renata — (Interrompe, ironica) Impossibile: Non lo ri­cordavi neppure tu che sei nostro padre (ride ed esce a destra).

Carlo — (Si guarda intorno e sospira) Nessuno, final­mente... (Si rimette a scrivere).

Renata — (Rientra da destra, agitando la borsetta) Bai! Bai! (Carlo sussulta. Renata esce dal fondo),

Carlo — Non è possibile! (Si alza in piedi: rimette le carte nella borsa e preme il pulsante per chiamare il dome­stico) Non è possibile... (Urla verso sinistra) «Coso»! ...Come diavolo si chiama?... «Cosooooo!»...

4 Giorgio e Carlo

Giorgio — (Entra da sinistra) Il commendatore ha chiamato?

Carlo — (Agitato) No! Cioè: sì!

Giorgio — Le occorre qualcosa?

Carlo — (Esasperato) Una rivoltella!

Giorgio — (Calmissimo) Il commendatore si vuole ucci­dere?

Carlo — Ti piacerebbe, eh? Non lo sperare! Ah, il mio cuore! Povero cuore. Torno in ufficio. Se ritelefona l'ingegner Bruni gli dirai che io sono in fabbrica, che sono sempre stato in fabbrica. Dalla nascita. Mi sono spiegato?

Giorgio — Perfettamente, commendatore. (Porge il cap­pello a Carlo).

Carlo — (Prende il cappello e lo tiene in mano) Bene. (Si avvia verso il fondo. Il telefono squilla: Carlo,ag-tato, ritorna indietro, posa cappello e borsa sul tavolino, stacca il ricevitore) Pronto!... Sì, casa Ravello...  Quante candele mi occorrono?... (Scatta) Quattro per me, se continua così!

Giorgio — Mi scusi, commendatore.

Carlo — (A Giorgio) Possibile che tu debba sempre in­terrompermi mentre telefono? (All'apparecchio) Ma no! Lei non interrompe niente!... Dico a... Aspetti. (A Giorgio) Insomma, che vuoi?

Giorgio — Ritengo essere mio dovere avvertirla che lei sta parlando con la «Società Cere e Affini», capitale sociale un miliardo, interamente versato, da me inter­pellata circa un preventivo per la fornitura delle can­deline che orneranno le torte di domani sera. Con per­messo... (Prende il ricevitore dalle mani di Carlo, che lascia fare, imbambolato. Al telefono) Pronto... (Carlo sussulta. Agitatissimo, prende borsa e cappello: si pone il cappello sotto il braccio e fa l'atto di mettersi la borsa in testa. Giorgio vede. Al telefono) Scusi un istante... (con calma toglie la borsa e il cappello dalle mani di Carlo; gli pone il cappello in testa e la borsa nella ma-no destra. Con molta solennità) Soltanto a Parigi, com­mendatore... «Dans la grande Paris», qualcuno usa già, nelle riunioni filosofico-esistenzialiste, mettere in testa una gabbia di canarini. Borse di cuoio, per ora, no. (Al telefono) Pronti....

Carlo — (il quale ha ascoltato u bocca aperta le ultime parole di Giorgio, si avvia lentamente verso il fondo; giunto sulla soglia della porta si volta e domanda, con serietà) Dove si riuniscono le gabbie? Cioè! I filosofi esistenzialisti?

Giorgio — (Al telefono) Scusi di nuovo... (A Carlo) Nei locali notturni, naturalmente... (Al telefono) Dica pure.

Carlo — (Con naturalezza) Eh, già: « nei locali nottur­ni» (Pausa) Ma  «borse di cuoio, per ora, no» (Pausa)

Perché? (Pausa) Mah! (Guarda la borsa che tiene in mano. Scatta) Lavorare! Devo lavorare! Ah, il mio cuore!  Povero cuore (esce agitato dal fondo).

Giorgio —   (Al telefono) Sì.Rosa con arabeschi dorati...

Trentanove... Trentanove più una di riserva... No, le torte le confezioniamo «noi» sotto la «mia» perso­nale direzione... Entro le undici di domani, sta bene... Buonasera. (Posa il ricevitore, controlla con uno sguar­do che la camera sia in ordine perfetto, sposta di un centimetro qualche sedia, poi si avvia verso la porta di sinistra).

5 Patrizia e Giorgio

Patrizia — (Entra da destra, con un libro in mano. Ha venti anni, porta gli occhiali: ha sempre un'espressio­ne dolce, riposante; è studiosa, educata, semplice, intelligente e un po' timida) Per favore. Giorgio...

Giorgio — (Si ferma e si volta verso Patrizia) A sua disposizione, signorina Patrizia.

Patrizia — Dalla finestra della mia camera ho visto papà che usciva molto agitato. Cos'è accaduto?

Giorgio  — Mi sembra di aver capito che ilcommendare abbia atteso invano un'importante telefonata.

Patrizia — Papà è nervoso perché è stanco, esaurito: la­vora troppo. (pausa) E' lei, se non sbaglio, che ha pre­parato e spedito gli inviti per la festa di domani sera?

Giorgio  —  Certo, signorina. E con molta precisione: non ne è ritornato ai mittente nemmeno uno. Tutto chiaro, tutto esatto... compresi i numeri del codice di avviamento postale. Ne sono fiero.

Patrizia —  Ha notato che nell'elenco degli invitati consegnatole da mia sorella ci fosse anche il nome di un nostro parente: un reverendo?

Giorgio —  No, signorina, Sono sicurissimo: nessun prete.

Patrizia —  (Triste, quasi a se stessa) Chissà perché...

Giorgio — Si tratta forse di quello zio, al quale lei scri­ve abbastanza sovente?

Patrizia  —   Sì, zio Augusto.

Giorgio — Mi permetta di osservare che è strano.

Patrizia — Che cosa?

Giorgio — Il suo comportamento, signorina Patrizia. (Pausa). Lei, non più tardi di una settimana fa, mi ha dato una lettera da spedire, indirizzata al reverendo don Augusto Ravello. Non che io voglia fare l'agente 007 con licenza... di curiosare nella corrispondenza al­trui... Tuttavia, mi stupisce che lei non abbia appro­fittato dell'occasione per comunicargli che domani sera daremo un «grande» ricevimento per festeggiare il compleanno suo e della signorina Renata.

Patrizia — (Sorride) Come avrei potuto? Non è corret­to ricordare a chiunque la ricorrenza del proprio com­pleanno.

Giorgio — (Colpito, addolorato) È vero, signorina. In questo preciso istante lei mi ha rammentato che biso­gna avere «stile». «Stile». Sempre e soprattutto... «sti­le ». (Si avvia verso la porta di sinistra, si ferma, si rivolge a Patrizia) L'avevo dimenticato per un istante. Mi perdoni. Vado a piangere. (Abbassa il capo ed esce a sinistra. Patrizia sorride, guarda il libro che tiene in mano, diventa seria ed esce a destra).                      

6 Don Augusto e Giustino

Augusto — (Dopo breve pausa, dall'esterno al fondo) È permesso? C'è nessuno? (Appare al fondo. È il fratello di Carlo: ha sessant'anni; indossa un abito talare pulito, ma più volte rammendato; è stato per dieci

anni cappellano di un battaglione alpini; dell'alpino, infatti, ha la bonarietà, la rudezza, l'allegria, la cor­dialità e un cuore «grosso così»). Ehi di casa! È per­messo? (Si rivolge all'esterno) Vieni avanti, Giustino. Non avere paura.

Giustino — (Appare al fondo. È il sagrestano di don Augusto: timido, goffo, disorientato. È la prima volta che si allontana dal paese natio. Tutto lo stupisce. Indos­sa un abito «da festa»; ha un 'età indefinita, forse tren­ta anni. Si guarda intorno con grande stupore) È il mu­nicipio, questo?

Augusto — (Sorride) Perché dovrebbe essere il muni­cipio?

Giustino — Perché da noi la più bella stanza del paese è quella del municipio.

Augusto — Questa è la villa di mio fratello. È qui che abitano le mie due nipoti. (Pausa) Un'oasi di pace al­la periferia della città.

Giustino — (Emozionato) «La città»... Grazie, don Au­gusto. La ringrazio con tutto il cuore di avermi porta­to con lei «in città».                       

Augusto — Sei felice, Giustino?               

Giustino — Più di quando sono nato!               

Augusto — (Sorride) Come fai a sapere che quando sei nato eri felice?

Giustino — La buon'anima di mia mamma mi ha detto che quando sono nato ridevo... Ma ridevo!... Di più che al cinematografo!

Augusto — (Divertito) Se le cose stanno così !... (Si guar­da intorno) Qui non si vede nessuno. Eppure il can­cello era aperto. (Il telefono squilla) Bene. Qualcuno verrà a rispondere... (il telefono continua a squillare. Augusto si decide a rispondere. All'apparecchio) Pron­to... Sì, sono Ravello... Come dice? Dieci tonnellate di lamiera?!? Cosa vuole che me ne faccia?... Sì, io sono Ravello, ma... Ma non lo sono...

7 Patrizia, don Augusto e Giustino

Patrizia — (Entra da destra: vede Augusto, sorride fe­lice. Giustino sta per parlare, Patrizia gli fa cenno di tacere, si pone alle spalle di Augusto e gli copre gli oc­chi con le mani).

Augusto — (Nel frattempo ha continuato a parlare al te­lefono) Mi lasci spiegare... Io sono Ravello, il parro­co... Prete, sì! Che c'è di strano?... Per me? Ritelefo­ni quando vuole... Buonasera (Rimane con il ricevi­tore in mano).

Patrizia — (Facendo la voce grossa, maschile) Chi è?

Augusto — (Sorride) Dalla voce un maresciallo dei ca­rabinieri. Però?...

Patrizia — (c.s.) Però?...

Augusto — Sei Patrizia. (Patrizia ride e toglie le mani. Don Augusto si volta e la fissa negli occhi, appoggian­dole le mani sulle spalle. Lunga pausa) Sì... I tuoi oc­chi sono sempre limpidi e trasparenti, come quand'eri bambina.

Patrizia — Grazie, zio. Stai bene?

Augusto — Escluso qualche acciacco della vecchiaia, e grazie al Cielo, sì. A te non lo chiedo, perché sei il ritratto della salute. (Pausa. Toglie le mani dalle spalle ... di Patrizia). Anche gli altri?... Tuo padre? Renata?... Tutti bene?

Patrizia — Sì, zio.

Augusto — Sono contento.                             

Patrizia — (Indica una sedia) Accomodati.

Augusto — Grazie. (Siede).                           

Giustino — (In disparte, verso il fondo, tossisce per far notare la sua presenza).

Patrizia — Gradisci qualcosa?... Un tè?

Augusto — Per ora no. Siedi lì (indica una sedia di fronte alla sua). Di fronte a me. (Patrizia siede, Augusto so­spira) Mi sembra un secolo che non vengo in città.

Patrizia — Infatti sono tre anni. (Scherzando) Io lo di­co sempre che ho uno zio cattivo.

Augusto — Cattivo?!?

Patrizia — Cattivo, sì. Perché si dimentica di noi.

Augusto — (Sorride, un po' amaro) Tuo padre direbbe che sono buono proprio per questo. (Pausa) Credimi, Patrizia... Voi siete sempre qui, nel mio cuore. Tuo padre... Beh... Non siamo mai riusciti a intenderci co­me si deve.

Patrizia — C'è un motivo?

Augusto — Senza dubbio. E importante, almeno per me. (Pausa) Tu mi puoi capire, Patrizia. (Pausa) Io vorrei che mio fratello, oltre che essere un attivissimo indu­striale, fosse anche «un uomo», «un padre».

Patrizia — (Sincera). Papà ha per me e per Renata ogni attenzione possibile.

Giustino — (Idem, c.s.).

Augusto — Non vi fa mancare nulla, lo so. Ma non basta, questo, per essere un buon padre. I figli vanno se­guiti «sempre». Anche, e con maggiore attenzione, quando hanno vent'anni. Non parlo per te. Renata, però...

Giustino — (Idem, c.s.).

Augusto — (Si accorge. Ironico) Hai la tosse, Giustino?

Giustino — (Timido) No no...

Augusto — (A Giustino) Ad ogni modo ho capito. (A Patrizia, con serietà) Patrizia! Ho il piacere di presen­tarti Giustino, il mio sagrestano. (Patrizia si alza in piedi e tende la mano verso Giustino, il quale, con un goffo inchino, gliela stringe energicamente) L'ho por­tato con me perché aveva tanto piacere di vedere la città. Poi ho pensato che avrebbe potuto dare un vali­do aiuto ai vostri domestici. Ci sarà una festa, immagino.

Patrizia — Sì, zio: domani sera. E dimmi un po': quanto rimani con noi?

Augusto — Un paio di giorni.

Giustino — (Triste) Solo due giorni? Che fretta, don Augusto.

Patrizia — Il signor Giustino ha ragione. È tanto tem­po che non ti vediamo: adesso, finalmente, sei qui; per­ché hai tanta fretta di lasciarci?

Augusto — Lontano dalla mia chiesetta mi sento come un pesce fuor d'acqua... E poi... potrebbe succedere qualcosa.

Giustino — Impossibile, don Augusto! È estate, e in estate, al nostro paese, nessuno si sposa, nessuno nasce e nessuno muore. Non hanno tempo! In ogni caso c'è il vice-parroco, che è giovane, ma in gamba!

Augusto — (A Giustino, con cordiale stupore) Senti,sen­ti... Proprio tu hai sempre detto che il «vice» è un po' addormentato...

Giustino — Quando lo guarda lei! Gli dà soggezione. Ma adesso che è solo!... Una volta l'ho visto benedire una casa. Ebbene, muoveva l'aspersorio in un modo che... ... che sembrava il direttore della banda! Un'altra vol­ta... (Patrizia sorride).

Augusto — (Sorride e interrompe) Giustino... Vuoi par­lare sempre tu?

Giustino — No no... Ma capirà, don Augusto... La cit­tà è bella, e... e il suo «vice», quando lei non gli dà soggezione...

Augusto — (c.s.) Ho capito, Giustino.

Patrizia — Allora, zio? Esigo una promessa.

Augusto — (Sospira) Vinto. Mi dichiaro vinto. Tre gior­ni. Soddisfatti tutt'e due?

Patrizia — Sì... «per ora». Vero, signor Giustino? (Giustino accenna di sì col capo. Patrizia preme il pulsante dei domestici) Chiamo Giorgio,

così farà compagnia al signor Giustino. (Si avvia verso la porta di si­nistra, per attendere Giorgio).

Giustino — (Contemporaneamente si avvicina ad Augusto e gli dice con tono concitato) Ha sentito? Lei non mi ha mai chiamato «signor» Giustino. Lei crede sempre di essere il tenente Ravello, cappellano degli alpini. Ma io non sono mica alpino!

Augusto — (Divertito) Lo so. Ti vengono le vertigini sol­tanto a salire sopra una sedia.

8 Giorgio, Patrizia, don Augusto e Giustino

Giorgio — (Entra da sinistra. È sorpreso della presenza di don Augusto e di Giustino. Li osserva con disprez­zo. Comunque si rivolge con il solito stile a Patrizia) La signorina ha chiamato?

Patrizia — (Ad Augusto e Giustino) Vi presento Giorgio, il «direttore» della nostra casa. (A Giorgio) Mio zio, don Augusto, e il signor Giustino.

Giorgio — (Inchina leggermente il capo verso Augusto) Onorato di conoscerla, reverendo. (Guarda Giustino, il quale gli fa un goffo inchino. Giorgio solleva il ca­po altero, e si rivolge di nuovo a Patrizia) In che cosa la posso servire?

Patrizia — Provveda a far preparare le camere per gli ospiti. Poi... (Sorride a Giustino, il quale assume po­se di uno scolaro in imbarazzo dinanzi all'insegnante) ...ho l'impressione che il signor Giustino desideri ren­dersi utile.

Giustino — (Confuso) Anche inutile, se vuole.

Patrizia — (Sorride e continua, rivolta a Giorgio) Po­trebbe dargli qualche incarico per il ricevimento di do­mani sera.

Giorgio — (Indignato) Veramente, signorina...

Patrizia — C'è qualche difficoltà?

Giorgio — (Evidentemente seccato della situazione) Non so se questo... (indica Giustino) questo «signore» è adatto per... (superbo). Io, a Parigi... «Dans la gran­de Paris»...

Patrizia — (Interrompe) Andrà tutto bene.

Giorgio — (c.s.) Sono pagato per obbedire, signorina. (Indica a Giustino la porta di sinistra) Da questa parte.

Giustino — (Più che mai imbarazzato, ad Augusto) Beh... Don Augusto... io vado... Vado «da questa parte»! (Esce a sinistra, seguito da Giorgio più impettito del solito).

Augusto — (Sorride) Ha inghiottito un bastone di sco­pa, quel tipo? Da dove viene?

Patrizia — L'ha conosciuto Renata in un locale alla mo­da. Si dice che abbia lavorato per dieci anni nei più noti ritrovi parigini.

Augusto — E cosa fa tutto il giorno?

Patrizia — Dirige.

Augusto — (Ironico) La lavatura dei piatti?

Patrizia — (Sorride) Fa un po' di tutto. Sceglie i libri di Renata e le cravatte di papà; consiglia la dieta, e ogni mattina, alle sette e trenta precise, comanda la ginnastica di papà.

Augusto — (Divertito) Ah, perché mio fratello fa anche ginnastica?

Patrizia — Sì. (Sorride) Per la linea.

Augusto — (Sarcastico) Interessante. Sempre più interes­sante.

Patrizia — Perché non siedi, zio? Sarai stanco.

Augusto — (Si guarda intorno) Non vedo più la mia pol­trona preferita. Avete pure cambiato i mobili.

Patrizia — È stata una delle idee di Giorgio.

Augusto — Chi è Giorgio? Ah. È... (Fa qualche passo impettito, imitando i modi di Giorgio) «Dans la grande Paris »... (Sorridono).

Patrizia — Il mio caro e simpatico zio parroco!... (Pau­sa) Comunque stai tranquillo, che la «tua» poltrona c'è ancora.

Augusto —   Dov'è?

Patrizia — (Indica a destra) Di là, in salotto. Vogliamo andare?

Augusto — Con piacere (Esce a destra con Patrizia).

9 Carlo

Carlo — (Dall'esterno, dopo qualche istante dall'uscita di Augusto e Patrizia) È il colmo! Il colmo! (Entra dal fondo, agitatissimo. Scaraventa il cappello sopra una sedia, la borsa sul tavolo, compone un numero al te­lefono e preme il pulsante dei domestici. All'apparec­chio). Pronto, ragionier Stellari!... Certo che sono io! Ha ancora telefonato l'ingegner Bruni?... Sì?... È paz­zesco! Succede tutto a me! Ah, il mio cuore! Povero cuore. Ma perché non lascia il suo numero?... Sta vi­sitando gli altri clienti della «piazza»? Povero me! Ven­derà la lamiera ad altri, lo sento. Sono rovinato! Ro-vi-na-to!... Stia attento, ragioniere. Io, anche se ca­desse il mondo, non mi muovo più di qui. (Posa il ri­cevitore) Arrivederla, ragioniere!

10 Giorgio e Carlo

Giorgio — (Entra da sinistra, evidentemente molto con­trariato) Proprio lei, commendatore. Le devo dire una cosa importantiss...

Carlo — (Interrompe, aggressivo) A che ora ha telefo­nato l'ingegner Bruni?

Giorgio — (Estrae di tasca il notes e legge) « Ore quindi­ci, tre primi...».

Carlo — (c.s.) No! Dopo. Do-po!

Giorgio — Non mi consta che l'ingegner Bruni abbia nuo­vamente telefonato.

Carlo — Pazzo! Io divento pazzo! Da precise informa­zioni mi risulta che mentre percorrevo in auto i sedici minuti di strada che separano la villa dalla fabbrica, l'ingegner Bruni ha telefonato prima qui, e poi in uf­ficio. Il mio segretario, credendo che io fossi ancora a casa, gli ha detto di ritelefonare per la terza volta qui. Per questo sono tornato! Ma cosa mi sento dire? Che l'ingegner Bruni, dopo la telefonata delle quin­dici...

Giorgio — (Continua, calmissimo) ...tre primi, diciot­to secondi...

Carlo — (Rifà il verso a Giorgio) ... e che il diavolo ti porti... (Urla) L'ingegner Bruni, secondo te, non mi ha più cercato (Giorgio accenna di no col capo). Bel servizio!

Giorgio — Spiacente, commendatore. Comunque, colgo l'occasione per comunicarle che...

Carlo — (Interrompe) Ho sete! Voglio dell'acqua. Su­bito!

Giorgio — Provvedo con urgenza, ma prima mi ascolti.

Carlo — Acqua! Ho detto «acqua»! (Compone un nu­mero al telefono).

Giorgio — (Indignato e rassegnato) Obbedisco, commendatore (Esce a sinistra).                                         

Carlo — (All'apparecchio) Pronto, ragionier Stellari!... Cosa?!?... Chi parla?... La «Società Carboni»?!? Si tolga di mezzo!... Non è vero! Io ho composto il numero esatto! Io non sbaglio mai!                            

11 Giorgio, Giustino e Carlo

Giorgio — (Entra da sinistra, e fa un cenno d'invito verso l'esterno).

Giustino — (Entra da sinistra, portando in equilibrio, con molta difficoltà, un grande vassoio sul quale c'è un bicchiere colmo d'acqua. Giorgio lo invita ad avvici­narsi a Carlo. Giustino, esitante e timoroso, si pone di fianco a Carlo. Giorgio, con un ironico sorriso sul­le labbra e con evidente soddisfazione, rimane al fon­do a godersi la scena).

Carlo — (Al telefono) È lei che si intromette nelle tele­fonate degli altri!... Come dice?... «Cretino» a me?!?... Querela! Le dò querela, signor carbone!... (Posa rabbiosamente il ricevitore).

Giustino — (Balbetta) Co-co-co... Co-commendatore?

Carlo — (Soprappensiero, distrattamente si volta verso Giustino) Beh?...

Giustino — L'a-l'a... l'a-l'a... l'a-l’acqua.

Carlo — Ah, bene (Prende il bicchiere. Calmo, naturalissimo). Lei chi è? (Porta il bicchiere alle labbra).

Giustino — (Con la massima semplicità) Io sono il sa­grestano.

Carlo — (Sussulta e soffia nell'acqua che si versa e spruz­za intorno. Giorgio sorride) Cosa?!?... (Tossisce con­gestionato).

Giustino — (Gli batte violentemente la mano sulla schiena e lo invita a guardare verso l'alto) Guardi l'uccellino! Le passa subito. Guardi l'uccellino! (Mentre il sipario si chiude velocemente).

FINE DEL PRIMO ATTO


ATTO SECONDO

Stessa scena. Il mattino del giorno successivo agli avveni-menti del primo atto. All'aprirsi del sipario sono in sce­na: Carlo, al centro, in pigiama o veste da camera, che sta eseguendo flessioni sulle ginocchio; e Giorgio, como­damente seduto, con una sigaretta fra le labbra. Entram­bi voltano la schiena alla porta di fondo.

1 Carlo e Giorgio

Carlo — (Si ferma, ansante e sudato: si massaggia i fian­chi) Che ora è?

Giorgio — (Guarda l'ora) Le sette e cinquantasette. Co­raggio, commendatore. Ancora tre minuti di flessio­ni. Uno! Braccia tese, palme rivolte al pavimento pet­to in fuori! (Carlo esegue a fatica, e un po' annoiato, gli ordini di Giorgio) Due! Lenta flessione sulle ginocchia... Tre! Sull'attenti. (Breve pausa) Da capo. Uno... due... tre! Respiri profondamente, commendatore.

2  Don Augusto, Carlo e Giorgio

Augusto — (Appare al fondo e rimane immobile a guar­dare facendo il possibile per trattenere le risa).

Giorgio — Volontà, volontà. Attenzione, commendatore. Uno... due... tre! Uno, due, tre! Uno, due... (Augusto scoppia a ridere. Carlo, che al «due» si trovava inflessione, perde l'equilibrio e si siede per terra. Giorgio, indispettito dall'interruzione, spegne la sigaretta nel posacenere e si alza).

Carlo — (Indolenzito, si rimette in piedi, aiutato da Giorgio e da Augusto, il quale continua a ridere) Io non capisco cosa ci sia che faccia ridere! (A Giorgio) Fammi preparare il bagno.

Giorgio — Provvedo, commendatore. Però i due minu­ti perduti oggi dovremo ricuperarli domani...

Carlo — (Stanco) Ricupereremo, ricupereremo... Vai.

Giorgio — Con permesso. (Esce a sinistra, dopo avere lanciato un'occhiataccia ad Augusto).

Carlo — (Siede con un sospiro che sembra un gemito di dolore) Come si sta bene, seduti. E tu, Augusto? È pre­sto. Hai già fatto una passeggiata?

Augusto — Sì, fino alla chiesa di «Gesù Adolescente», per celebrare la Messa.

Carlo — È lontana la chiesa... Potevi farti portare in macchina.

Augusto — (Sorride) In Paradiso, Carlo carissimo, non si va in macchina.

Carlo — (Confuso) Già, già... (pausa). Io, tutte le mat­tine, faccio un po' di ginnastica.

Augusto — (Ironico) Ho visto. Sei molto agile per i tuoi cinquant'anni suonati.

Carlo — Suonati, sì; ma pianissimo. Io non li ho nep­pure sentiti. (Sorridono) Quello... Quello dell'acqua, il sagrestano, è uscito con te?

Augusto — Sì. Mi ha servito la Messa, come tutte le mat­tine.

Carlo — Non... Non ritorna più?

Augusto — Perché non dovrebbe tornare? È andato a comprarmi il giornale con Patrizia.

Carlo — Anche Patrizia, allora?... (Intende domanda­re «è uscita»).

Augusto — È venuta a Messa, certo. E si è pure comu­nicata. (Pausa) Del resto è il meno che potesse fare nella ricorrenza del suo compleanno: ringraziare il Signore per i felici anni trascorsi, e pregarlo per quelli che vorrà concederle. (Pausa. Serio) Renata, invece, non l'ho an­cora veduta. (Pausa) Accade sovente che non venga a casa a cena, come ieri sera, e che rientri a casa alle tre e mezza di notte?

Carlo — (Disorientato, a disagio, si alza in piedi). Fi­gurati un po' se Renata ha avuto il coraggio di rinca­sare alle tre e mezza di notte!... Vediamo un po'... Noi, ieri sera, siamo andati a letto alle dieci... Renata sarà rientrata alle dieci e un quarto... alle dieci e mezza al massimo.

Augusto — (Sorride, ed estrae di tasca un vecchio e gros­so orologio) Questo, che a confronto degli orologi mo­derni si può chiamare una cipolla, spacca il minuto dal giorno in cui me lo donarono i miei alpini: trent'anni fa. Ebbene, questa notte, quando sono stato svegliato dalla voce di Renata che salutava al cancello «un» Osvaldo, «una» Luisa e... «un» Rudy, le lancette se­gnavano le tre e mezza. Cosa ne dici, Carlo?

Carlo  —   (c.s.) Io... Io dico...                                         

Giorgio — (Entra da sinistra) Il bagno è pronto.   

Carlo — (c.s.) Dico che il bagno è pronto! (Esce in fret­ta a sinistra, seguito da Giorgio).

Augusto — (Irritato). Lui dice che il bagno è pronto. Mah!...                                       

3 Patrizia, Giustino e don Augusto

Giustino — (Tenendo in mano un giornale, appare nel vano della porta di fondo, con Patrizia. Si ferma, e con modi gentili, ma buffi, cede il passo alla ragazza) Dopo di lei.

Patrizia — (Sorride, divertita) No, signor Giustino. Pre­go... Prima lei.

Giustino - S'immagini, signorina. Capirà... Io la cono­sco l'educazione, anche se vivo al paese, sempre con le bestie e con don Augusto. E se non passa prima lei, io non entro da questa porta. Piuttosto salto dalla fi­nestra.

Augusto — (Che ha seguito il dialogo sorridendo) Per carità!... Vieni avanti, Patrizia. Se no finisce che Giustino sbaglia finestra, entra nella camera di tuo padre, e a quello viene un accidente!

Patrizia — (Sorride) Obbedisco. (A Giustino) Grazie. (Entra).

Giustino — Non c'è di che.

Patrizia — Caro zio, il signor Giustino è un perfetto gentiluomo.

Giustino — Ho imparato guardando il cinema della parrocchia! (Sorridono. Giustino da il giornale ad Augusto) Ecco le notizie fresche!

Augusto — Bravo. Giustino. Adesso vai in cucina.

Giustino — (Si avvia verso sinistra) « Dans la grande Paris»!... (Esce. Augusto e Patrizia sorridono).

Augusto — Vogliamo sedere, Patrizia? E parlare un poco fra noi?

Patrizia — Sì, zio. Con piacere (Siedono, l'uno di fronte all'altra, in primo piano).

Augusto — (Serio, dopo breve pausa). Patrizia cara... Vorrei poterti aiutare a realizzare i tuoi sogni... I tuoi sogni «ad occhi aperti». Mi comprendi?

Patrizia — (Confusa, emozionata, accenna di sì col ca­po). Lo puoi, zio. (Pausa). Quando sogno... «ad occhi aperti», come dici tu, mi sembra di essere in un meraviglioso giardino, nel quale sento il profumo di tanti invisibili fiori... Qual è il profumo più gradito? (Pausa). Non sono ancora riuscita a convincermi di averlo scoperto... (Rimane assorta, con lo sguardo nel vuoto e un malinconico sorriso sulle labbra. Quasi a se stessa). Eppure l'ho scoperto.

Augusto — (La osserva attentamente, e sorride. Lunga pausa). Quando gli uomini, e le donne, di qualsiasi parte del globo parlano così... c'è una sola cosa da fare.

Patrizia — Quale?

Augusto — Un matrimonio.

Patrizia — (Disorientata) Ma zio... Come fai, zio?...

Augusto — «Zio-zio-zio»!... (Pausa). Chi è?

Patrizia — (Sussulta) Chi?

Augusto — Va' là che l'hai capito... (Sorride). «Il giar­dino»... «Il profumo dei fiori invisibili»... Insomma! «Lui»... chi è?

Patrizia — (Si alza in piedi, fa qualche passo, poi sus­surra) ...Massimo.

Augusto — Chi?... Parla un pochino più forte, perché comincio ad essere duro d'orecchi.

Patrizia — (Voce normale) Massimo.

Augusto — E poi?... Sì dico: il cognome non ce l'ha?

Patrizia — Stellari.

Augusto — (Soprappensiero). «Massimo Stellari», «Massimo Stellari»... (Ricorda) Ma non è?...

Patrizia — (Interrompe con emozione) Sì, zio: è il ragionier Massimo Stellari, il segretario di papà. Ti spiace?

Augusto — Se mi spiace?!?... Neanche per sogno! Sono contento. Ma come l'hai conosciuto? Viene qui sovente?

Patrizia — Purtroppo no. Due o tre volte al mese, di corsa.

Augusto —- (Severo) Ti incontri con lui di nascosto?

Patrizia — (Sincera) No zio. (Pausa) Massimo non lo sa che io...

Augusto — (Stupito) Non lo sa?!?...

Patrizia — Eh, no... «Buongiorno, signorina», «Buon giorno ragioniere»... È tutto. (Triste). Forse non mi ha neppure notata.                             

Augusto — Capisco. (Pausa). È un bravo giovane, Mas­simo Stellari. Intelligente, semplice, onesto...

Patrizia — (Ritorna a sedere di fronte ad Augusto, stu­pita). Lo conosci?

Augusto — Euh!... L'ho conosciuto quando l'ho presen­tato a tuo padre, in occasione della mia ultima venuta in città, tre anni or sono. Massimo ne aveva ventidue, allora; ed era appena tornato dal servizio militare. (Con orgoglio) Negli alpini, come me. Suo nonno, anch'egli ex-alpino e mio parrocchiano, si raccomandò per­ché gli trovassi un impiego. Carlo non mi disse di no. Il ragionier Stellari iniziò come semplice contabile, poi tuo padre lo notò per la sua diligenza e ora ho saputo che gli fa da segretario. (Sorride). Deve essere un cam­pione di calma e pazienza, se riesce a sopportare i nervi di Carlo.

Patrizia — Mi pare che sia vicino alla laurea di economia e commercio.

Augusto — Benissimo!... (Sorride, quindi diventa serio). Patrizia... Hai la certezza di volergli veramente bene?

Patrizia — (Riflette un istante, quindi risponde con sicurezza) Sì.

Augusto — (Contento). E allora bisogna fare qualcosa! Immagino che tuo padre non abbia il minimo dubbio di trascorrere le giornate urlando con il futuro genero.

Patrizia — (Accenna di no col capo). Non ho osato... Papà è sempre così occupato, preso dal suo lavoro...

Augusto — Tua sorella?

Patrizia — Neppure. Mi avrebbe detto che sono una stu­pida sentimentale.

Augusto — (Pausa). Vediamo un po'...

4 Giorgio, don Augusto e Patrizia

Giorgio — (Entra da sinistra in punta di piedi e si avvia verso la porta di destra, non visto da Augusto e da Patrizia).

Augusto — (A Patrizia). È stato invitato al ricevimento di... (S'interrompe, perché vede Giorgio che sta per aprire con molta cautela la porta di destra. Scatta in piedi e gli comanda con tono militare) Altolà! (Giorgio sussulta e si ferma, rimanendo immobile, quasi sull'attenti. Augusto gli si avvicina e gli batte un leggero colpo sulle spalle. Ironico, mentre Giorgio si volta len-tamente verso di lui) Noto con piacere che lei ha fatto il militare. All'«altolà» è rimasto perfettamente im­mobile. (Giorgio, timoroso, accenna di sì col capo). In che arma?

Giorgio — (Confuso). Ca-ca... ca-valleria.

Augusto — Ufficiale?

Giorgio — (c.s.). Ca-ca... Ca-ca...                             

Augusto — Capitano?                                               

Giorgio — (c.s.). Ca-caporale.              

Augusto — Molto bene «ca-caporale»! E che faceva un tipo come lei in cavalleria?

Giorgio  —  Ecco... Io...                                                         

Augusto — Ho capito: soffiava il naso ai cavalli! Ad ogni modo la prego di dire a mio fratello, al «commendatore», che non è proprio il caso di svegliare « la signorina» Renata per dare l'allarme.

Giorgio — L'allarme?                                                 

Augusto — Sì! Per avvertirla che è arrivato suo zio. Sono appena le... (guarda l'ora) ...le otto e venti. Cin­que ore scarse di sonno non bastano a una ragazza di diciannove anni. (Giorgio vorrebbe tentare un'obiezione. Augusto gli indica decisamente la porta di sinistra). Ritorni alla base.                                                   

Giorgio — (Inchina leggermente il capo) Come vuole... (esce a sinistra).

Patrizia — (Che nel frattempo si era alzata). Non capi­sco perché?...

Augusto — (Interrompe con un sorriso) Meglio. Ritor­niamo a te. Quando è entrato Giorgio stavo per farti una domanda... Cosa ti volevo chiedere?... (Pensa).Ah, sì! Credi che sia stato invitato Massimo Stellari al ricevimento di questa sera?

Patrizia — Sono sicura di no. Capirai, zio... È soltanto «il segretario».

Augusto — Per tuo padre! Per me è il nipote di Giovan­ni Stellari, un caro amico col quale, tutte le domeni­che pomeriggio, faccio delle combattutissime partite a scopone. (Pausa. Deciso). Lo invito io! (Afferra il ricevitore del telefono).

5 Carlo, don Augusto e Patrizia

Carlo — (Entra da sinistra, con cappello e borsa in mano. Porta una cravatta molto vistosa. Si ferma, con­trariato di vedere Augusto al telefono). Devi telefonare?

Augusto — Sì. Anche tu?

Carlo — Due parole. Voglio avvertire il mio segretario che...

Augusto — (Porge il ricevitore a Carlo, con esagerata cor­tesia). Fai pure. Con la massima comodità.

Carlo — (Stupito, prende il ricevitore). Come sei genti­le! (Ironico) Non si direbbe che hai fatto dieci anni di vita militare. E con gli alpini, per giunta (Sorride). Il cappellano deciso, rude...

Augusto — (Sarcastico) Non si direbbe, eh?... Ma lo dirai a suo tempo.

Carlo — (Sorride e compone un numero al telefono. Breve pausa, durante la quale Augusto e Patrizia si fanno cenni d'intesa. All'apparecchio) Sono io! Novità, ragionier Stellari!... Sì, l'ingegner Bruni mi ha telefo­nato di nuovo ieri sera alle otto... Tutto a posto, fi-nalmente... Però è un po' matto quell'ingegnere... Pensi che mi ha chiesto se mi sono fatto prete!... (Ride. Augusto comprende e frena il sorriso). Ritarderò una mezz'oretta... Vado a vedere il nuovo progetto dell'im­presa edile...

Augusto — (All'orecchio di Carlo, con voce normale) In­vita il ragioniere al ricevimento di questa sera.

Carlo — (Meccanicamente, al telefono, ripete) Invito il ragioniere al ricevimento di questa sera... (Ad Augusto) Ma perché?

Augusto — Fa «chic» avere sempre a disposizione il pro­prio segretario.

Carlo — (Convinto) Hai ragione, fa « chic ». (Al telefo­no) Pronto, ragioniere. Questa sera alle nove l'aspet­to a casa mia... Porti con lei la pratica «Ferriere».

Augusto — (A Carlo) No! Questa sera non si lavora.

Carlo — (Al telefono) «No! Questa sera non si lavora»... È il compleanno delle mie bambine. Cioè! Delle mie figlie. (Augusto e Patrizia sorridono, soddisfatti. Augusto fa cenno a Patrizia di lasciarlo solo con Carlo). Se viene il cavalier Borlenghi lo preghi di aspettarmi... Fra mezz'ora, sì (Posa il ricevitore). Arrivederla, ragioniere!

Patrizia — (Impacciata) Be'... Io vado... Vado a far colazione. Con permesso. (Esce a sinistra).

Augusto — (Palpeggia la cravatta di Carlo. Ironico) Molto fine questa cravatta...

Carlo — (Lusingato) Già già...

Augusto — Sembra il manifesto pubblicitario di una fabbrica di vernici!

Carlo — (Colpito, dopo un istante di esitazione) Te l'ho già detto, Augusto, che fabbrichiamo un altro reparto?

Augusto — Fabbrichiamolo pure.

Carlo — (A disagio) Io, adesso... Dovrei uscire, io.

Augusto — Rimani ancora un momento, Carlo.

Carlo — (c.s.) Vuoi vedere i conti, forse...

Augusto — No no... I numeri mi fanno venire mal di testa.

Carlo — (Sulle spine, guarda l'ora) Per me sarebbe ora... (Come per dire «di andare»).

Augusto — (Deciso) ...di smetterla!    

Carlo — Cosa?!?...

Augusto — Sì! Sarebbe ora di smetterla di pensare sem­pre e solamente agli affari! Ti dovrebbe bastare l'ora­rio d'ufficio dei tuoi impiegati per risolvere le situa­zioni che si possono creare. Impara da nostro padre buonanima. Sapeva scegliersi i collaboratori, lui. E la­vorava sei ore al giorno. E con calma! Tu, no! Tu non ti fidi di nessuno. Tu vuoi fare tutto da solo. E con il tuo affanno, con la tua agitazione, ti moltiplichi il lavoro. Ricordi quante ore, ogni giorno, papà nostro trascorreva in casa, con noi? E non puoi dire che non amasse il suo lavoro. Lo amava come, e più, di te. Ma papà era «un uomo». Tu, invece, non sei un uomo; o meglio: non sei «un padre». Tu sei... (Cerca la parola).

Carlo — (Aggressivo) Avanti! Vai avanti! Cosa sono, io?

Augusto — Un centralino telefonico o una macchina, secondo i casi.

Carlo — Io un centralino ?!?... (Agitato) Stai attento, Augusto, che mi smonto. E se mi smonto...

Augusto — (Continua) ... «trak-trak», io ti monto di nuovo! (Incalzante) Lo sai che hai due figlie?

Carlo — E chi dovrebbe saperlo meglio di me?

Augusto — Ah, certo: lo sai. Ma sono soltanto inventa­riate nella tua testa, come le tue materie prime!

Carlo — Vuoi forse insinuare che non voglio bene alle mie bambine?

Augusto — (Trionfante) Ecco dove casca l'asino, cioè tu! «Bambine». Tu le pensi ancora come al tempo in cui ti facevano la «pipì » sulle ginocchia; quando Giulia, tua moglie, «ti obbligava» a tenerle un minuto in brac­cio. Non ti preoccupi di sapere cosa pensano, cosa so­gnano, cos'hanno nel cuore, insomma!

Carlo — (Sconcertato) Non è vero! Io mi preoccupo. Sono sempre preoccupato.

Augusto — Per la lamiera.

Carlo — Sì, per la lam... No! Cosa mi fai dire?

Augusto — Vorrei farti dire «basta» alla tua vita di macchina, e «via» alla tua vita di «padre».

Carlo — (Ironico) Sentiamo la predica, reverendo.

Augusto — Prendila come vuoi! E se non mi compren­di, mi tiro su le maniche, come con qualcuno, in paese, per spiegarmi meglio. È adesso che devi dire «il cappellano deciso, rude».

Carlo — (Combattuto, ma vinto) Va bè'... cosa dovrei fare?

Augusto — «Parlare». «Parlare» e «vivere» con le tue figliole. Tutti i giorni. Hai dimenticato, Carlo, che papà nostro sapeva ogni cosa di noi? Tanto ciò che gli dice­vamo, quanto ciò che «non» gli dicevamo. Ricordi co­sa ti disse quando, a quindici anni, gli domandasti il permesso di sposarti?

Carlo — Non ricordo cosa mi disse, ma ricordo cosa mi diede... Uno schiaffone che... Vidi le stelle a mezzo­giorno! (Carlo e Augusto ridono di cuore, quasi ab­bracciandosi. Breve pausa) Sta bene, Augusto. D'ora in poi mi intratterrò di più con le mie figlie. Per ades­so vado a...

Augusto — (Interrompe) Comincia subito.

Carlo — (Con il tono di chi chiede pietà) Devo andare alla impresa edile... Poi in ufficio... il cavalier Borlenghi, il dottor Tarditi, e tanti altri.

Augusto — Scusa, ma desidero vedere i saggi propositi messi in pratica. Domani me ne vado, e voglio partire tranquillo. (Pausa) Non ti preoccupare, Carlo. Guarda... (Stacca il ricevitore del telefono e lo posa sul ta­volino. Carlo fa una smorfia di dolore) Non si ferme­rà la fabbrica, né il mondo, se per un giorno rimarrai a casa tua, con le tue figliole.

Carlo — (Guarda il telefono con profonda tristezza. Po­co convinto, ma rassegnato) Proviamo. Da chi devo iniziare?

6 Renata, don Augusto e Carlo

Renata — (Dall'esterno, a destra, canticchia il ritornel­lo di una canzonetta in voga).

Augusto — (La sente e indica a Carlo la porta di destra) Incomincia da questa. (Si pone, fronte al pubblico, sul­la soglia della porta di fondo).

Renata — (Entra da destra, senza vedere Augusto. Con­tinua a canticchiare e batte una mano sulla spalla di Carlo, allegra) Come va, papà? Bella giornata, eh? (Carlo le fa cenni col capo, come per dirle: «Guarda verso il fondo». Augusto sorride. Renata osserva Carlo con stupore, senza capire) Ma papà!... Hai un «tic» alla testa. Non l'avevo mai notato. Da quando?

Augusto — (Ironico, avanzando verso il centro) Da quan­do sono arrivato io. «Ieri», «ieri» pomeriggio. (Sgra­devole sorpresa di Renata, la quale rimane senza pa­role) «Scusa», Renata, se non ti saluto per primo.

Renata — (Confusa) Ciao. Ciao, zio.

Augusto — Grazie! Ciao.

Renata — Sai... Non ti aspettavo... Non pensavo...

Augusto — Lo credo, lo credo.

Renata — (Per evitare lo sguardo acuto di Augusto, da un 'occhiata intorno. Nota il ricevitore del telefono stac­cato, e lieta di cambiare discorso domanda) Stavi te­lefonando, papà?

Carlo — No no... Ma è lui (Indica Augusto) che non può soffrire lo squillo.

Renata — (Ad Augusto) Attendo una telefonata molto importante. Se permetti... (Fa l'atto di posare il rice­vitore sull'apparecchio).

Augusto — Fai pure. (Renata posa il ricevitore).

Carlo — (Ad Augusto) Ma come? (Indica il telefono) Per lei, sì, e per me, no?

Augusto — È un trattamento di particolare riguardo, per­ché sono curioso di sapere quali sono, per Renata, le cose «molto importanti».

Renata — (Dopo un attimo di esitazione) Vado a fare colazione. Bai! Bai! (Si avvia verso sinistra).

Augusto — «Bai bai», aspetta (Renata si ferma, seccata). Tuo padre desidera parlarti.

Renata — (nervosa, a Carlo) Che vuoi, papà?

Carlo — (Distratto) Io? Niente. (Vede Augusto che lo fissa. Ricorda) Cioè, ti voglio parlare (Le indica una sedia). Siedi.

Renata — (Guarda Carlo, poi Augusto. Con un sorriso ironico, siede) Se proprio non puoi rimandare a domani...

Carlo — (Siede di fronte a Renata) Ho altro da fare, do­mani... (Lancia un'occhiataccia ad Augusto e conti­nua fra i denti) ... se nessuno mi farà la predica. (Pausa). Dunque... (Ad Augusto, il quale è rimasto in pie­di, alle spalle di Renata) Tu stai lì?

Augusto — Sì, sto «qui», perché «ti vedo meglio».

Carlo — (Borbotta) Lui sta lì, e io sto qui. (Pausa) Dunque...

Renata — Forza, papà. Ti ascolto.                               

Carlo — Ti volevo dire... Cioè! Ti volevo chiedere...  (Pausa) Mah! Come mi devo vestire stasera? (Augusto scrolla negativamente il capo).

Renata — E mi hai fatta sedere per dirmi questo? Ti rispondo subito: niente « smoking ». Fa molto caldo, ed ho unito la comodità all'originalità facendo stampare sugli inviti questa frase: «30 gradi all'ombra. Proibi­to l'abito da sera». Originale, eh? (Ride di cuore; poi, notando che Augusto e Carlo non accennano neppure un sorriso, trasforma il riso in una smorfia) Certo che a voi non piace, perché siete degli «esse-effe».

Carlo — Cosa siamo, noi?

Augusto — Degli «esse-effe», ovvero dei «semi-freddi», dei «matusa», dei «dino».

Carlo — (Sempre più disorientato) Dei «dino» che?

Augusto — «Dinosauri»!... (Ironico, a Renata) Hai ra­gione, Renata: tuo padre, malgrado la ginnastica, è proprio vecchio.

Renata — (Stupita e quasi ammirata) Ma tu, zio Augusto... Come fai a sapere questi modi di dire dei ragazzi per qualificare gli antenati?

Augusto — Che ci vuoi fare?... Sono un parroco «beat»! (Sorride con Renata).

Renata — (A Carlo) Tutto qui?

Carlo — Tutto qui. (Renata fa l'atto di alzarsi, ma Carlo vede Augusto che gli fa energici cenni negativi). No!

Renata — (Ricade, a sedere) Allora dài, continua.

Carlo — Dunque... Dunque, cara Renata, io vorrei sa­pere..

Renata — (Interrompe) Ho capito, papà!

Carlo — (Soddisfatto) Hai già capito? Bene. Mi preci­pito subito all'impresa, e... (fa l'atto di alzarsi, ma ul­teriori segni negativi sempre più energici di Augusto lo fanno ricadere sulla sedia. Ad Augusto, imploran­te) Ma se ha già capito...

Renata — Certo, papà. Giorgio ti ha detto che ho pol­verizzato il vaso cinese del salotto giallo.

Carlo — L'hai polverizzato?

Augusto — (Con intenzione) L'avrà polverizzato, ovvero ridotto a pezzi, quando è ritornata a casa... «questa mattina».

Carlo — (Comprende) Avevo diment... (A Renata) Perché sei rientrata così tardi? (Augusto gli fa segno con le dita: «alle tre e mezza»). Alle tre e mezza?

Renata — Semplicissimo. Sono stata con gli amici. Ab­biamo sgambettato a 33 e 45.

Carlo — (Ad Augusto) Senti? Hanno giocato a tombola.

Augusto — Macché tombola!... Sgambettare a 33 e a 45 significa ballare a suono di dischi a 33 e a 45 giri.

Carlo — (Stupito, a Renata) È così?

Renata — Esattamente, papà.

Carlo — (Disorientato, scrolla la testa, poi si rivolge serio ad Augusto) Ma tu sei un prete sul serio?

Augusto — E tu? In che mondo vivi?

Carlo — (Rassegnato) È pazzesco, ma a questo punto non mi stupirei se tu mi dicessi che vai a ballare al Piper.

Renata — (Urlo di gioia) Ihhh!... Tu sai che esiste il Piper?

Carlo — Eccome... Perché gli ho fornito le pareti di me­tallo. A prima vista credevo fosse un manicomio, e poi...

Augusto — (Interrompe, con intenzione) Abbiamo di­menticato, Carlo, che Renata ci stava «gentilmente» spiegando come, e con chi, ha trascorso tutta la sera­ta, e... e «metà della notte».

Renata — L'ho già detto: con gli amici a sgambettare. Mi sono divertita così tanto... Quando ho guardato l'ora erano le ventitré e trenta. Allora ho ragionato: «Per andare a casa presto... è già tardi. Per andare a casa tardi... è ancora presto»... Non sapevo come fare.

Carlo — (Ad Augusto) Ha ragionato bene, non c'è nul­la da dire. (Indignazione di Augusto) Quand'era tar­di, era presto... Poi è diventato presto tardi, e... Più chiaro di così!

Renata — (Sorride ad Augusto, ironica) Hai sentito, zio? «Mio padre» dice che ho ragionato bene. Il vaso ci­nese, comunque, non l'ho rotto «questa mattina», quando sono rientrata «alle tre e mezza». L'ho pol­verizzato ieri. (Pausa) Ha qualcosa da aggiungere, «mio zio»?

Augusto — (Sta per scattare, ma si frena. Fra i denti) ... Nnno. (Pausa. Fa il possibile per essere gentile) Ad ogni modo tuo padre, da quel che ho compreso, desi­derava parlarti di altre cose. Poi il discorso ha preso una piega diversa, e ci siamo perduti. Niente di male. Possiamo ricominciare.

Renata — (Seccata,  ad Augusto) Ho il sospetto che gliel'hai data tu, a papà, l'idea di parlarmi di «altre cose».

Augusto — (Deciso) Hai indovinato. Ti secca?

Renata — Un po'.

Augusto — Non importa.

Renata — (Risentita, fa l'atto di scattare in piedi) Un momento!

Augusto — (Ponendole le mani sulle spalle la costringe a sedere di nuovo) Ti prego di ascoltarmi, Renata. Si­nora abbiamo scherzato. (Pausa) Anche da lontano vi ho sempre seguiti, dedicando particolare attenzione... a te.

Renata — (Sarcastica) Allora saprai che Patrizia si ro­vina la vista sui libri, mentre io... (sorride) non me la rovino!

Augusto — (Severo) Non so nulla... «per ora». (Pau­sa. A Carlo, cordiale) Vogliamo riprendere il giusto filo del discorso?

Carlo — Io non capisco niente, ma prendiamo pure il filo giusto.

Augusto — (A Renata) Molte volte, probabilmente... ed è questo che vorrebbe dirti tuo padre... senza che tu lo vada a cercare, nel tuo cuore fa capolino un pensiero: il più emozionante, il più gradito. Ebbene, questo pensiero è quasi sempre un segreto, ma tuo padre... Ripeto: «tuo padre»... deve conoscerlo per poterti aiu­tare, consigliare. (A Carlo. Con intenzione) È questo, vero, che volevi dirle?

Carlo — (Meccanicamente) Sì! Sì! Proprio questo. (A Renata) Dimmi, Renata: chi è che fa capolino nel tuo cuore?

Renata — (Accennando alla presenza di Augusto) Non vorrei che...

Augusto — (Interrompe, sincero) Giustissimo. Vi lascio soli (Fa l'atto di avviarsi verso il fondo).

Carlo — (Scatta) Eh no, Augusto! Tu mi lasci sul più bello? (Augusto sorride e ritorna indietro. A Renata) E tu parla senza soggezione. Lui è un prete: è abitua­to a sentirne delle grosse.

Renata — Se proprio vuoi...

Carlo — Certo che lo voglio! Per te mi sono rovinata la giornata.

Renata — (Dopo un istante di riflessione, si alza, fa qual­che passo, assume un'espressione sentimentale) Hai mai osservato, papà, quando nel cielo si delinea l'arcoba­leno? (Rimane assorta a guardare verso l'alto).

Carlo — (Interroga con lo sguardo Augusto, il quale gli accenna di sì col capo) Sì sì: l'arcobaleno. E poi?

Renata — Prima non c'è, e non ci facciamo caso. Ma «dopo», quando scompare, sembra che nel cielo, già tanto bello, manchi qualcosa. (Pausa) Così per me. Credo di essere felice, ma quando vedo «lui» che se ne va... Ogni volta che viene, e se ne va, comprendo che non sono felice.

Carlo — Chi è l'arcobaleno? Cioè! Chi è «lui» che va e viene?

Renata — Mi prometti di rimanere calmo?

Carlo — (Guarda Augusto che gli fa cenno di sì col ca­po) Prometto.

Renata — L'arcobaleno... Il «mio» arcobaleno... «Lui» è... è... (in fretta) È Massimo Stellari.

Carlo — (Distratto) E chi è Massimo Stell... (Ricorda: scatta in piedi) Cooosaaa?!?... L'arcobaleno è il mio segretario?!?

Augusto — (Colpito, quasi a se stesso) No.

Renata — (Freddamente, ad Augusto) Non ti va? (A Carlo) Sei arrabbiato, papà?

Carlo — No. Ma non mi sembra possibile. Sei sicura che il ragionier Stellari ti voglia bene?

Renata — Ah, questo non lo so.

Carlo — (Distratto) Bene, non lo s... (Si riprende) Co-saaa?!?... Non lo sai?

Renata — (Accenna di no col capo) È così riservato. L'ho appena visto qui, qualche volta, con te.

Carlo — E ti sei innamorata di lui?

Renata — (Accenna di sì col capo) È stato un colpo di fulmine.

Carlo — No, eh!... Prima l'arcobaleno, adesso il fulmi­ne. Manca soltanto il temporale e poi siamo a posto!

Augusto — (Preoccupato) Hai avuto modo di parlare, o di far capire i tuoi sentimenti a Massimo Stellari?

Renata — Purtroppo no. «Buongiorno, signorina», «Buongiorno, ragioniere». Nient'altro.

Carlo — Allora, Augusto? Cosa facciamo?

Augusto — (Sospira e allarga le braccia) Mah!

Carlo — (Scatta) Bravo! Tu, proprio ora, dici «mah».

Augusto — Che vuoi che ti dica? Del resto il ragionier Stellari sarà presente alla festa di stasera... Vedremo insieme cosa si potrà fare. (A Renata) Immagini che tua sorella abbia capito che tu?...

Renata — (Sicura) Nooo!... Patrizia non afferra queste situazioni. Lei pensa solo ai libri.

Augusto — (Borbotta) Altro che libri!...

Renata — Ho una fame che non ci vedo più. (Ad Augusto) Posso andare?

Augusto — Per me... Vai pure.

Renata — Bai! Bai! (Esce a sinistra).

Ultima scena

Carlo e don Augusto

Carlo — (Dopo breve pausa, sospira profondamente) È un guaio. (Pausa) Cosa posso fare?

Augusto — (Ironico) Io direi di farne una copia.

Carlo — Una copia di che?

Augusto — (Con semplicità) Di Massimo Stellari.

Carlo — Continuo a non capirti.

Augusto — Invece è molto semplice. Anche l'altra tua figlia, Patrizia, è innamorata di Massimo Stellari.

Carlo— (Distratto) Sono contento che anche Patr... (Si riprende) Cooosaaa?!?... Tu vuoi scherzare?... Per­ché proprio di Massimo Stellari?... E poi... Patrizia non pensa a certe cose.

Augusto — A «certe cose», no. A Massimo Stellari, sì.

Carlo — (Sconcertato) Ma tu?... Tu, Augusto, come fai a conoscere tanti particolari?... Sei arrivato ieri po­meriggio, e... Chi te l'ha detto che Patrizia?...

Augusto — Lei in persona, mezz'ora fa.

Carlo — Allora è un'epidemia!... Prima Renata, poi Patrizia...  (Pausa. Deciso) Ci penso io! Sistemo tutto io!

Augusto — Sono curioso di sapere cosa farai.

Carlo — Scriverò una lettera come soltanto io so scrivere. (Si schiarisce la voce, passeggia avanti e indietro come se dettasse una lettera commerciale alla sua ste­nografa) «Egregio ragioniere Massimo Stellari...» (Non prosegue).

Augusto — E poi?

Carlo — (c.s.) «Egregio ragioniere Massimo Stellari, io ho due figlie carine, intelligenti, in buona salute. Si chiamano Renata e Patrizia: nomi moderni, semplici, graziosi e di facile pronunzia. Mentre la prego di comunicarmi con cortese sollecitudine quale delle due vor­rebbe sposare»...

Augusto — (Prosegue ironico, con lo stesso tono di Carlo) «... le ricordo che i prodotti di cui sopra sono di prima qualità, e distintamente la saluto ». Va bene così?

Carlo — Sì! Cioè... (Vinto) ...No!

Augusto — Meno male.

Carlo — È inutile. Io non sono capace di trattare certi argomenti.

Augusto — E lo capisci soltanto adesso, dopo vent'an-ni di paternità?

Carlo — Eppure deve esserci una via d'uscita. (Riflette) Trovato! Lo licenzio. Gli dò una generosa indennità e lo licenzio in tronco.

Augusto — (Ironico) Bene, bravissimo!... (Serio) La «ge­nerosa indennità», in questo caso, la dovrai pagare al cuore delle tue figliole. Ti avverto, però, che il cuore non si compra col denaro. Per vincere un amore, bi­sogna possederne uno più grande, più forte. E tu, fi­nora, non hai dimostrato di avere questa grande ric­chezza.

Carlo — (Irritato) L'amore... Cos'è l'amore?

Augusto — L'amore «vero» è rinuncia, sacrificio, so­gno di gioventù. Può essere anche «profumo d'invisi­bili fiori», o «arcobaleno in cielo». Per la buonani­ma di Giulia, me lo confidò il giorno del vostro ma­trimonio, l'amore era come il cielo in primavera. «È limpido e trasparente», diceva. «Poi d'un tratto arri­va qualche nuvola, scompare il sole e scoppia il tem­porale». «Sembra la fine del mondo», osservava la tua sposa, « ed invece torna il sole e la vita sembra più bella.

Carlo — (Che ha ascoltato con attenzione e stupore le parole di Augusto, esplode) Ah!... Per Giulia l'amo­re era... «il cielo, le nuvole»... Grazie, Augusto! Fi­nalmente vengo a sapere che io, per la buonanima di mia moglie, ero un temporale! (Esce agitato al fondo, mentre il sipario si chiude velocissimo).

FINE DEL SECONDO ATTO


ATTO TERZO

  

Stessa scena degli atti precedenti. La sera della giornata in cui si sono svolti gli avvenimenti del secondo atto. Lam­padario acceso. In scena, all'aprirsi del sipario, non c'è alcuno.

1 Giorgio e Giustino

Giorgio — (Dall'esterno, a sinistra) La prego, Giustino... Non abbia paura. Entri.

Giustino — (Dall'esterno, quasi piagnucola) Non oso.

Giorgio — (c.s.) Si faccia coraggio, e attento alle coppe.

Giustino — (Entra da sinistra, portando con molto im­barazzo un vassoio sul quale ci sono diverse coppe di spumante. Se possibile, come hanno fatto molte Com­pagnie per sottolineare la situazione comica e paradossale, Giustino potrebbe indossare uno «smoking» o un abito scuro abbondante o scarso di misure, come se fosse appartenuto a Carlo. Giorgio, invece, indossa con stile uno «smoking», oppure un abito scuro. Giustino, che si è avviato verso il fondo, a un certo punto si ferma e implora) Non oso, non oso.

Giorgio — Ma perché?

Giustino — Non mi sono mai vestito così, da becchino. (Si passa un dito nel colletto) Questo coso mi sembra uno steccato!... (Le coppe stanno perdendo l'equili­brio).

Giorgio — (Si precipita a togliergli il vassoio, che posa sul tavolo) Calma, Giustino. «Dans la grande Paris» sono riuscito a fare, di un volgare carrettiere, un per­fetto cameriere. Perché non dovrei riuscire con lei? An­zi, sarà bene che lei mi permetta di darle del «tu».

Giustino — Mi dia pure dell'«io»!

Giorgio — (Porta le mani alle orecchie, scandalizzato) No, nooo... Quando ti parlo, ti dò del «tu», non dell'«io».

Giustino — Quando parla lei! Ma quando parlo io, mi dò dell'«io».

Giorgio — (Disorientato) Eh già... Non ci avevo pensato.

Giustino — « C'è sempre qualcosa da imparare », dice so­vente don Augusto. E nel paese...

Giorgio — (Interrompe) Non parlarmi ancora di quel pae­se! Chissà che noia vivere in «un paese! ».

Giustino — Come parla bene, lei! C'è una noia... che sia­mo «noiosi» dall'alba al tramonto!

Giorgio — Si dice «annoiati».

Giustino — Qui in città! Ma al paese diciamo «noiosi». (Sospira) E pensare che io sono nato per la dolce vita, per la città.

Giorgio — Ti piacerebbe, Giustino, rimanere qui per sempre?

Giustino — Che domanda!... È come chiedere a un af­famato se vuole «assaggiare» pane e gorgonzola!

Giorgio — Ebbene, il commendatore sta cercando un giardiniere. Tu saresti l'ideale.

Giustino — No! Io sono Giustino. Ideale non lo conosco.

Giorgio — Saresti molto adatto a fare il giardiniere, in­somma. Ed io, per giunta, in poco tempo farei di te un gentiluomo.

Giustino — «Giardiniere-gentiluomo»... Che sogno!

Giorgio — (Incalzante, ipocrita) È un sogno che può di­ventare realtà. Dipende soltanto da te. (Confidenziale) Palmira, la cuoca, mi ha confidato che un uomo come te lo sposerebbe con entusiasmo, immediatamente, perché ti farebbe lavare i piatti, pelare le patate, pulire la cucina...

Giustino — (Lusingato) Certo che la Palmira è simpati­ca, bella e buona. Ma... e don Augusto? Cosa dirò a don Augusto?

Giorgio — La verità. Gli dirai che vuoi sposare Palmi­ra. Tu sei maggiorenne.

Giustino — No! Io sono Giustino. Maggiorenne non lo conosco.

Giorgio — Puoi fare ciò che ti pare, insomma. Quindi don Augusto non potrà opporsi al tuo matrimonio. E pure il commendatore non avrà nulla da obiettare sulla tua assunzione in qualità di giardiniere. Infatti tu e Palmira, ovvero due coniugi, gli costerete meno di due persone indipendenti. La «simpatica, bella e buona» Palmira, infine, sarà felicissima. È da tanto tempo che cerca disperatamente un marito. Come vedi, puoi fa­re contente parecchie persone. Cosa ne dici, Giustino?

Giustino — (Combattuto) Me...Io... Lei-lui-io-me... (De­ciso) Voglio fare il «giardiniere-marito-gentiluomo!».

Giorgio — Bene! Così penserai tu, al posto mio (con espressione dì ribrezzo) ai cani del commendatore.

Giustino — (Soprappensiero) D'accordo: penserò a quel cane del commendatore.

Giorgio — Ssst!... Ai cani, non a «quel cane». «Bau-bau!». Ti piacciono i cani?

Giustino — Euh!... Al paese i cani sono tutti miei ami­ci. Però...

Giorgio — C'è qualcosa che non va?

Giustino — Mi insegnerà lei cosa devo dire a don Augusto?

Giorgio — Senz'altro. Stai tranquillo, caro Giustino, che non ti abbandonerò. (prende il vassoio e lo porge a Giustino) Ora sbrighiamoci.

Giustino — (Prende il vassoio) Sono pronto! (Si avvia deciso verso il fondo).

2Don Augusto, Giustino e Giorgio

Augusto — (Appare al fondo, e per poco non si scontra con Giustino) Stai aiutando? Bravo, Giustino.

Giustino — (Imbarazzato, confuso) Beva! Beva, don Augusto.

Augusto — (Guarda le coppe, fa una lieve smorfia di di­sgusto) Spumante?... No. Io sono alpino, e non mi pia­ce il vino fatto con le mele. Barbera! Soltanto barbera.

Giustino — (c.s.) Beh, io... Io vado a servire. (Esce in fret­ta al fondo, seguito da Giorgio sempre più preoccu­pato per l'integrità di coppe e vassoio).

Augusto — (Sorride) Mah!... (Fa qualche passo verso la ribalta).

3 Patrizia e don Augusto

Patrizia — (In abito da mezza sera, entra dal fondo, emozionata e felice). Oh, zio! È un po' che ti cerco. Perché stai qui solo?

Augusto — Mi dà fastidio quella gente in maniche di ca­micia. E poi?... Quei salti da scimmia li chiamate «dan­za»? Sembra che abbiate preso tutti quanti una medi­cina dimenticandovi di agitarla «prima dell'uso!».

Patrizia — Sono felice, zio. Ho ballato sovente con Mas­simo Stellari.

Augusto — (Preoccupato) E tua sorella? Anche Renata ha danzato con Massimo?

Patrizia — Una volta, mi pare.

Augusto — Hai notato che gli parlasse?

Patrizia — Non capisco perché avrei dovuto sorvegliarla. O forse pensi che dovrei dire a Renata cosa rappre­senta Massimo Stellari per me.

Augusto — (Preoccupato) Per carità!... (Si controlla) Per ora, almeno, no.

Patrizia — Io sì, che ho parlato con Massimo.

Augusto — (soddisfatto) Ah, bene. Gli hai fatto capire che tu?...

Patrizia — Eh no, zio. Non ho avuto il coraggio. E poi non sta bene.

Augusto — Allora di che cosa gli hai parlato?

Patrizia — (Con lo sguardo nel vuoto, sentimentale) Del tempo... del sole... del vento... della pioggia... della luna...

Augusto — (Deluso) Ho capito: gli hai declamato il bol­lettino meteorologico. (Concitato) Tra il vento, la piog­gia e la luna dovresti dire qualche mezza parola che lo sproni a dichiararsi. Ma presto! Non c'è tempo da perdere.

Patrizia — (Sorride) Hai così tanta fretta, zio, di vedermi felice? (Pausa) E a papà? Quando lo diremo?

Augusto — (Imbarazzato) Io, veramente...

4 Carlo, don Augusto e Patrizia

Carlo — (In abito scuro, entra dal fondo, stupito e con­trariato di vedere Augusto a colloquio con Patrizia. Sospettoso) Siete qui?

Augusto — (Lieto di essere stato liberato dalla tentazio­ne di mentire a Patrizia) Sei arrivato in tempo.

Carlo — Per che cosa?

Augusto — Per impedire una menzogna. Magari neces­saria, magari a fin di bene, ma sempre una menzogna,

Carlo — (Indifferente) Io, ormai, rinuncio a capirti. Comunque, ti devo parlare.                                       

Patrizia — Vi lascio...

Augusto — Bene, Patrizia. Vai pure. (Con intenzione) Con «la persona» di cui parlavamo. E mi raccomando... sbrigati!

Patrizia — (Sorride ed esce al fondo).

Carlo — (Va ad assicurarsi che Patrizia si sia allontanata; poi ritorna accanto ad Augusto, irritato) Non sei lea­le, Augusto.

Augusto — Perché?

Carlo — Oggi pomeriggio siamo rimasti intesi che io avrei consigliato e aiutato Renata, e che tu avresti fatto al­trettanto con Patrizia. Senza dire loro, però, che sono tutt'e due innamorate di Massimo Stellari. «Per non metterle l'una contro l'altra», hai detto. «Affinché Patrizia, che è molto timida, non abbia soggezione della sorella», hai soggiunto. Ma io ho capito perfettamente che tu, proprio qui un momento fa con Patrizia, hai mancato all'impegno.

Augusto — (Sorride) Ti sbagli, Carlo. L'ho soltanto «consigliata», e questo era nei patti, di farsi intende­re, naturalmente con dignità, ma il più presto possibi­le, da Massimo Stellari.

Carlo — (Trionfante) Ma io ho fatto di più. Io «ho par­lato» con il ragioniere.

Augusto — (Con ansia) Quale ha scelto?

Carlo — (Sorride maligno, e soddisfatto dell'ansia in cui riesce a tenere Augusto) Curioso, eh?

Augusto — Naturale.

Carlo — (Idem, c.s.) ...nessuna, «per ora».

Augusto — Spero che avrai affrontato l'argomento con la dovuta delicatezza.

Carlo — Certo. Ho cominciato col dirgli che lo stimo molto; poi gli ho detto che farà una brillante carriera; e infine gli ho fatto capire che vedrei di buon occhio un matrimonio fra lui e una delle mie figlie.

Augusto — E Massimo?

Carlo — Dapprima è rimasto a bocca aperta, sconcer­tato... (Pausa) Poi mi ha detto a mezza voce che da qualche tempo pensa a...

Augusto — (Impaziente) Chi? Chi?

Carlo — (Gli rifà il verso) «Chi-chi... chicchirichì!». Sembri un galletto con i tuoi «chi-chi». (Pausa; sorride). «A una delle sue figlie», ha borbottato. Ma non ha precisato «quale».

Augusto — Ma perché?... Perché?...

Carlo — Non ha osato dirmelo. Però mi ha promesso di scriverlo su di un biglietto da visita che mi farà per­venire entro questa sera...

Augusto — (Preoccupato) Tu non gli hai detto, vero, che tanto Renata, quanto Patrizia, sono... come dire?... «interessate» a lui?

Carlo — No. Stai tranquillo.

Augusto — Così va bene.

Carlo — (Sogghigna) Sono pronto a scommettere su Renata.

Augusto — (Ironico) Fortunatamente dopo «totocalcio», «totocavalli» e «totolotto», non hanno ancora inven­tato il «toto-amore».

Carlo — (c.s.) Dimmi la verità, Augusto... Tu vuoi più bene a Patrizia che a Renata.

Augusto — Ti sbagli. Le due ragazze occupano lo stes­so posto nel mio cuore.

Carlo — Per quale motivo, allora, sei molto più gentile con Patrizia?

Augusto — Ti faccio un esempio. Quand'ero cappellano ho conosciuto centinaia di giovani della stessa e pe­ricolosa età delle tue figliole. Ebbene, ad alcuni ba-stava ricordare Dio con un sorriso. Ad altri, invece, bisognava urlare, con la stessa violenza e intensità di voce con cui bestemmiavano...

5 Giustino, don Augusto e Carlo

Giustino — (Appare al fondo, non visto da Augusto e Carlo. Porta sempre il vassoio, sul quale è rimasta una sola coppa di spumante. Si ferma sulla soglia ad ascol­tare).

Augusto — (Con passione, ad alta voce, come se parlasse ad un soldato) ... « Il Signore non è un'invenzione dei preti»!... «La Messa non è un gioco»!... «Il peccato non è una favola»! E mi tiravo su le maniche, così (si rimbocca le maniche).

Giustino — (Ad Augusto, avanzando verso i due) Sta in­segnando il catechismo a suo fratello? (A Carlo) Mi sembra che lei capisca poco.

Carlo — Io capisco fin troppo!

Giustino — (Incredulo) Sarà... Ma don Augusto si tira su le maniche soltanto quando parla con i testoni. (Augusto sorride e rimette le maniche a posto).

Carlo — (Ad Augusto) E tu gli permetti di dire simili im­pertinenze?

Augusto — Che dovrei fare? Dice delle verità. (Carlo sbuffa).

Giustino — (Offre a Carlo l'ultima coppa, di spumante) Non si arrabbi! Beva. (Carlo prende istintivamente la coppa e la porta alle labbra) Tanto non costa niente.

Carlo — (Allontana la coppa dalle labbra) Ma lei serve in questo modo anche i miei ospiti?

Giustino — Nooo...

Carlo — Meno male! (Beve un sorso).

Giustino — A quell'uomo grasso, con la testa pelata, lo spumante gliel'ho fatto pagare!

Carlo — (Gli va di traverso lo spumante, tossisce) Cooo-saaa?!?... Ha fatto pagare quello grasso e pelato?

Giustino — Eccome!... Gli ho fatto pagare anche le fet­te di torta. Ne avrà divorate mezza dozzina!

Carlo — (Come un lamento). Oh, povero me! Ha fatto pagare il cavalier Artieri. (Esce agitato dal fondo, con la coppa in mano, urlando) Cavaliere!... Mi scusi, ca­valiere!... Mi perdoni! (Augusto ride di cuore).

Giustino — Perché suo fratello si agita? Ha paura che mi tenga i soldi?

Augusto — (Sorride) Devi avere pazienza, Giustino. Mio fratello non ti capisce.

Giustino — (Si avvia verso la porta di sinistra, poi si fer­ma, tace; e si avvicina timidamente ad Augusto, il qua­le, nel frattempo, si era seduto e aveva aperto il Bre­viario. Con il tono indeciso e implorante di un bimbo che vorrebbe confessare una marachella alla mamma) Don Augusto...

Augusto — Dimmi.

Giustino — (Dopo una pausa) Don Augusto...

Augusto — Cos'hai? Non ti senti bene?

Giustino — Sto meglio adesso di quando Pierino, il mu­lo, mi ha dato un calcio.

Augusto — (Sorride) Ne sono convinto.

Giustino — Però...

Augusto — Hai combinato qualche guaio? Hai rotto qualcosa?

Giustino — No no... (pausa) Però...

Augusto — «Però-però»!... Continua, Giustino. Non farmi stare in pensiero.

Giustino — (Posa il vassoio sul tavolo. E dopo una bre­ve pausa, dice tutto d'un tratto, ma bene scandito) Lei, don Augusto, non ha mai pensato a sposarsi?

Augusto — (Balza in piedi) Sei diventato matto?

Giustino — Non mi guardi così. Se no perdo le parole,

Augusto — Insomma, Giustino! Cosa ti succede?

Giustino — Ecco... me... io... (pausa; deciso) Si ricor­da, don Augusto, quando al paese si è sposato Giaco­mo della valle con Rosetta delle noci?

Augusto — Sì. Ebbene?

Giustino — (Vorrebbe dire altro; poi cambia idea) Che bella festa, eh?

Augusto — Una bella festa. E con ciò?

Giustino — Niente niente... (pausa) Si ricorda, don Augusto, quando al paese si è sposato Giuseppe del mulino con Giovanna della fontana?

Augusto — (Comincia ad essere impaziente) Sì! Ebbene?

Giustino — (Come prima) Che bella festa, eh?

Augusto — Un'altra bella festa. E poi?

Giustino — Niente niente... (pausa) Si ricorda, don Augusto, quando al paese si è sposato...

Augusto — (Interrompe) Basta così! Non avrai intenzio­ne, spero, di elencarmi tutti i matrimoni del paese!

Giustino — No, no... Ma... (solenne) Reverendo don Augusto Ravello!

Augusto — (Stupito) Hai bevuto?                         

Giustino — No! Ma visto che si sposano tutti, voglio sposarmi anch'io!

Augusto — (Non lo prende sul serio) Davvero?

Giustino — Sissignore!

Augusto — E con chi?

Giustino — Con la cuoca.

Augusto — Ah sì?!?... (Sta per scattare; si controlla) E perché?

Giustino — Perché è simpatica, bella e buona! Inoltre io sono maggiorenne e posso fare il «marito-gentiluomo».

Augusto — (Colpito, è diventato serio) Se proprio vuoi...

Giustino — Sono più deciso di quando ho deciso di de­cidermi a fare il sagrestano.

Augusto — (Sospira) ... e sta bene. (Premuroso, since­ro) La porterai al paese, e io la raccomanderò al si­gnor Barducci, quello che si è fatto costruire la villa dietro la chiesa. È un'ottima famiglia. Anzi, mi pare proprio che cerchino disperatamente una cuoca dispo­sta a trasferirsi al paese. Vi daranno alloggio nella vil­la, e tu potrai continuare a lavorare con me per fare sempre più bella la nostra chiesetta. (Sorride al ricor­do) Ti ricordi, Giustino, quando mi hai fatto cadere dalla scala, mentre stavo imbiancando la Cappella del Sacro Cuore?

Giustino — (Divertito) Sfido!... Portavo sulle spalle il cancello del fonte battesimale che avevamo verniciato insieme il giorno prima, nel cortile. E quando abbia-mo costruito la giostra per i ragazzi dell'oratorio? Le ha fatto un salto alto così (fa segno a un metro da ter­ra), quando le ho dato una martellata sulle dita (ri­dono).

Augusto — Chissà quante volte dovremo ancora cadere dalle scale, e darci delle martellate sulle dita! La no­stra chiesetta ha bisogno di tanti lavori. E dobbiamo finire tutto per Natale.

Giustino — (Timoroso) Io... Me... Io non ci sarò.

Augusto — (Stupito e preoccupato) Perché non ci sarai?

Giustino — (c.s.) Io mi sposo.

Augusto — Quando vorrai, sì. Ti ho già detto che sono d'accordo. Ci sarà tutto il paese, al tuo matrimonio, E in chiesa non vorrò vedere neppure una lampadina spenta. Sei contento?

Giustino — (c.s.) ... sì, ma me... io rimango qui, in cit­tà. (Augusto lo guarda con stupore, addolorato) Farò il giardiniere a suo fratello.

Augusto — (Dopo lunga pausa, commosso) Caro Giustino... Quando tua madre, dieci anni fa in punto di morte, mi pregò di pensare a te, io le promisi che avrei fatto tutto il possibile per aiutarti. (Pausa) Spirò con il sorriso sulle labbra. (Pausa) Se adesso la tua sereni­tà e la tua felicità futura dipendono dalla realizzazio­ne di un bel sogno: «avere una famiglia», e dall'uma­na aspirazione di tanti: «vivere in una grande città»... Ebbene, io... (si commuove) io sarò lieto di benedire il tuo matrimonio. (Con un sorriso forzato) Sì, per­ché con o senza il tuo invito, al paese o in città, lo vo­glio benedire io il tuo matrimonio!

Giustino — (Felice) Se non mi sposasse lei non mi sem­brerebbe nemmeno di essere sposato!

Augusto — (Con allegria forzata) Non dire sciocchezze, e presentami la tua futura sposa.

Giustino — Venga, don Augusto. È in cucina che pela le patate! (Prende il vassoio ed esce a sinistra).

Augusto — (Rimane un istante assorto, commosso. Si asciuga rapidamente una lacrimetta che gli dà fasti­dio, quindi si scuote ed esce a sinistra).

                          

6 Renata e Giorgio

Giorgio — (Appare al fondo: si assicura che nella stan­za non ci sia alcuno, poi si rivolge verso l'esterno) Nes­suno, signorina. S'accomodi. (Cede il passo a)

Renata — (che in abito da mezza sera, entra dal fondo, e avanza, seguita da Giorgio. Sottovoce) Ho bisogno di un consiglio.

Giorgio — (Lusingato) Da me, signorina Renata?

Renata — Proprio.

Giorgio — La ringrazio.

Renata — Mi rivolgo a te perché so che hai molta espe­rienza. Che sei «un uomo di mondo», insomma.

Giorgio — Lusingatissimo. Di che si tratta?

Renata — Mio padre, mai accaduto prima!, stamane mi ha invitata a fare due chiacchiere, e con mille tenten­namenti, aiutato dallo zio Augusto, mi ha chiesto se ero innamorata di qualcuno!

Giorgio — (Divertito) «Amusant»!... «Amusant»!... Di­vertente!... E lei cos'ha risposto?

Renata —  Di sì.

Giorgio — (c.s.) «C'est bien amusant»!... Sempre più divertente!... Lei innamorata!... Ma perché non ha ri­sposto che le ragazze moderne come lei sono allergiche alle cotte?

Renata — Non potevo. Era così ridicolo...

Giorgio —   Chi?

Renata — Mio padre. Tanto che mi ha fatto compassio­ne. E per non deluderlo, presa alla sprovvista, ho det­to il primo nome che mi è passato per la mente.

Giorgio — Rudy!

Renata  —  No.

Giorgio — Chi, allora?

Renata — Massimo Stellari, il segretario di papà.

Giorgio — (Con una smorfia di disgusto) E lei, così «chic», si è innamorata di un misero impiegato?

Renata — No di certo. Ma qualcosa dovevo pur dire. Mi trovavo di fronte a mio padre, «l'industriale» Ravello, e ho pensato al «segretario». Logico, no?

Giorgio — Senz'altro.

Renata — (Sorride) Mio padre non ha mai avuto tante cortesi premure per il suo segretario come questa sera.

Giorgio — È chiaro e lampante che sta preparando il ter­reno per il matrimonio.

Renata — (Spaventata) Matrimonio?!?... (Disperata) Oh, nooo... Non ci avevo pensato.

Giorgio — (Con una smorfia di disgusto, come se leg­gesse l'annuncio di nozze) «Renata Ravello e Massi­mo Stellari, oggi sposi». Orribile!...

Renata — Come posso fare per togliermi da questo pa­sticcio? Se dico la verità a mio padre, la viene a sape­re zio Augusto e succede il finimondo!

Giorgio — Non si preoccupi. Lei mi sarà riconoscente in modo... «concreto» (fa il noto segno con le dita per dire: «denaro»), se penso io a mettere a posto l'inte­ra faccenda senza rumore?

Renata — «Centomila» bastano?

Giorgio — (Con molto stile) Certo, signorina: «trecentomila» vanno benissimo.

Renata — (Dopo un attimo di esitazione) Sta bene. Però «senza rumore».

Giorgio — Lei ha voluto gentilmente riconoscere che io sono «un uomo di mondo». Si fidi di me. (Pausa, so­lenne) La prego di lasciarmi solo. Devo preparare il piano psicologico.

Renata — A presto. Con buone notizie, e... trecentomila lire. (Esce al fondo. Giorgio siede, appoggia i gomiti sul tavolo e si prende la testa fra le mani).            

7 Don Augusto e Giorgio

 

Augusto — (Entra da sinistra, serio. Vede Giorgio) Ha mal di testa?

Giorgio — (Scatta in piedi) No, reverendo. Stavo «lavo­rando».

Augusto — (Ironico) Bisognerà che impari anch'io a «la­vorare» in quel modo, per riposarmi. (Fa l'atto di av­viarsi verso destra).

Giorgio — Le devo parlare, reverendo, «da uomo a uomo».

Augusto — (Siede) L'ascolto.

Giorgio — (Dopo breve pausa) Lei è un prete.

Augusto — (Stupito e ironico) Non lo sapevo.

Giorgio — Io so che lei è al corrente che il commendato­re vuole fare sposare il suo segretario con la signorina Renata.

Augusto — (Si alza in piedi, allarmato) Ha consegnato un biglietto da visita a mio fratello, da parte del ragionier Stellari?

Giorgio — No, reverendo. Mi lasci concludere, per cor­tesia.

Augusto — Bravo. Concluda.

 Giorgio — (Solenne) Dal giorno in cui Adamo...

Augusto — (Interrompe, ironico) Se per concludere co­mincia da Adamo, è meglio che mi sieda (siede).

Giorgio — Insomma, reverendo!... Non è vero che sua nipote Renata desideri sposare il ragionier Stellari.

Augusto — (Si alza in piedi e si avvicina a Giorgio, quasi minaccioso) Lei come lo sa?

Giorgio — Me l'ha detto la signorina Renata, un momen­to fa.

Augusto — E perché Renata si è confidata con lei, inve­ce di parlare con suo padre o con me?

Giorgio — La signorina ha la bontà di stimarmi come un autentico «uomo di mondo».

Augusto — (Nervoso) Bella roba!... Comunque, per ora, vada ad avvertire mia nipote Renata che desidero ve­derla immediatamente. Anzi, non vada lei. Mandi Giustino. Lo troverà in cucina.

Giorgio — (Preoccupato) Senza far strepito, reverendo... (Si avvia verso sinistra. Si ferma) La scongiuro: senza far strepito. (Esce a sinistra).

Augusto — (Borbotta) Verrà anche il tuo turno, « uomo di mondo».

8 Carlo e don Augusto

Carlo — (Appare ansante al fondo, ed entra) È arriva­to il biglietto?

Augusto — Non mi risulta.

Carlo — Eppure il ragioniere si è diretto da questa par­te. Vado a vedere (Fa l'atto di allontanarsi).  

Augusto — Aspetta, Carlo. (Carlo si ferma, infastidito) Ho da dirti una cosa molto importante.

Carlo — Non ho tempo. Pensa che cinque minuti fa è arrivato l'ingegner Bruni, quello della lamiera. Non ricordavo neppure di averlo invitato. Gli devo stare vicino, perché può essermi utile. Ciao (Fa l'atto di uscire al fondo).

Augusto — (Ad alta voce, in fretta) Renata non vuole sposare Stellari!                                                      

Carlo — (Si ferma. Distratto) Cosa me ne impor... (Si riprende) Cooosaaa?!?... (Si avvicina ad Augusto) E me lo dici così? Ah, il mio cuore! Povero cuore.   

Augusto — Volevo dirtelo nei dovuti modi, ma per fermarti, quando sei lanciato, bisogna sparare una can­nonata.

Carlo — (Quasi a se stesso) Renata non vuole spos... (Ad Augusto) Impossibile!                                            

Augusto — Fra poco sarà qui e te lo confermerà.

Carlo — (Irritato) Ma allora... «l'arcobaleno che va e viene»... «Il cielo che è brutto e bello»... (Scatta) Si è presa gioco di me! Di me che sono «suo padre!». Se è vero ti giuro che...

9 Renata, Carlo e don Augusto

Renata — (Entra dal fondo sorridente, poi vede Carlo ed Augusto. Diventa seria) Giustino mi ha detto che Giorgio...

Carlo — (Aggressivo, prende per un braccio la figlia e la trascina al centro) Senti un po'... Lo vuoi o non lo vuoi, l'arcobaleno? Cioè! Hai il coraggio di ripetere dall'a alla zeta quello che mi hai detto stamane?

Renata — (Disorientata) Io...

Carlo —   (c.s.) «Tu?»...

Renata — (Dopo un attimo di esitazione) No! Ho cam­biato idea.

Carlo — Hai cambiato idea?!?... (Solleva una mano in direzione del viso di Renata) Non so cosa mi trattiene...

Augusto — (Con semplicità) Non c'è nulla che ti trat­tiene.

Carlo — (Ad Augusto) Hai ragione! (Colpisce con uno schiaffo una guancia di Renata) Ti passo quello che mi ha dato mio padre! (Lanciato) E sono contento, felice che tu non sia innamorata di Massimo Stellari!... Sì! Contentissimo sono. Perché gli renderesti la vita una galera!... Ma il grave è che tu hai mentito! Men­tito a me, che sono «tuo padre», e che non chiedevo altro che di poterti aiutare, consigliare. Per questo ti ho colpita!

Renata — (Piagnucola) Ma papà...

Carlo — (Sollevando di nuovo la mano, ad Augusto) De­vo dargliene un altro?

Augusto — No. Basta... «per ora».        

Carlo — Che guaio!... Che guaio! (Spaventato) Ese Stel­lari sceglie lei? (Indica Renata).                 

Augusto — Ti dò via libera agli schiaffi.

10  Giorgio, Renata, don Augusto e Carlo

Giorgio — (Appare al fondo, tenendo delicatamente fra le dita una bustina per biglietto da visita) Mi scusi com­mendatore, se non la porto col vassoio, ma...

Carlo — (Vede la bustina: gliela prende deciso. Poi la tiene lontana, con mano tremante) Chi te l'ha data?

Giorgio — Il suo segretario. Mi ha detto che è urgente. (Renata fa segno a Giorgio, come per dirgli: «Va ma­le», e tenta di uscire dal fondo).

Carlo — (Vede Renata che sta per uscire e le ordina) Ri­mani qui!

Renata — Io non voglio...

Carlo — (La interrompe alzando una mano, come le altre due volte) Stai zitta, se no... (Renata si pone in un angolo. Carlo guarda la bustina che tiene con la pun­ta delle dita. La porge ad Augusto) Aprila tu.

Augusto — Sei tu il padre.

Carlo — Sì, ma io mi emoziono. Tu, invece... Sei un ex cappellano degli alpini.

Augusto — Che razza di ragionamento! (Prende la bu­sta, la apre con decisione, poi si ferma e guarda Carlo),

Carlo — (Impaziente) Non farmi stare sulle spine! Ah, il mio cuore! Povero cuore. (A denti stretti) E dài! Leg­gi quel biglietto.

Augusto — (Estrae dalla busta, lentamente, un bigliet­to da visita: lo guarda) E'...                                  

Carlo — (Con i nervi tesi) «È?...».

Augusto — È scritto dall'altra parte.

Carlo — (Scatta) Cosa aspetti a voltarlo? Vuoi farmi im­pazzire?

Augusto — (Volta lentamente il biglietto: lo legge e sor­ride).

Carlo — Voce!... Leggi forte, se no scoppio!

Augusto — (Calmo, legge) «Egregio commendatore...».

Carlo —  Chi? Chi?

Augusto — (Con la stessa intonazione con la quale Carlo gli aveva rifatto il verso prima) « Chi-chi »... « Chic­chirichì». Sembri un galletto con i tuoi «chi-chi!».

Carlo — Sbrigati a leggere, se no mi viene la pressione a trecento!

Augusto — (Legge) «Egregio commendatore... Patrizia uguale felicità». (Profondo sospiro di Renata).

Carlo — (Felice, emozionato) Patrizia!... Patrizia!... (Strappa il biglietto dalle mani di Augusto, e legge) « Patrizia uguale felicità ». (Ad Augusto) L'ho sempre detto, io, che il ragionier Stellari è forte in matematica. (Ride di cuore, poi nota la presenza di Giorgio.) E tu? Cosa aspetti?

Giorgio — (Superbo, rivolto a Renata) Signorina Renata, il mio piano è fallito. (Renata gli fa cenno di tace­re) Mi spiace. Non posso tacere. (Pausa) «Senza ru­more», avevo promesso. Ed ho sbagliato. (Pausa. So­lenne) Non posso vivere in un luogo dove ho commes­so un errore «psicologico». Lo stile, il «mio» stile me lo impedisce. (Pausa) Mi scusi, signorina... E dimen­tichi. (A Carlo) Signor commendatore, le dò gli otto giorni.

Carlo — (Senza capire) Ma è una fissazione!... Che me ne faccio di otto giorni?

Augusto — (Interviene. A Giorgio) Può andarsene an­che subito. Passi domani da mio fratello, in ufficio, e le saranno liquidate le sue spettanze, più il preavviso.

Carlo — (Ad Augusto) Ma perché?...

Augusto — (Interrompe) Ti spiegherò più tardi. (A Giorgio) Intesi?

Giorgio — (Freddo) Perfettamente. (Con un lieve inchi­no del capo, a Carlo) Commendatore... (Idem verso Renata) Signorina... (Rivolge lo sguardo ad Augusto, gonfia il petto e dichiara) Non la saluto! (Quindi esce impettito a sinistra).

Augusto — (Ironico) Grazie! (A Carlo) Adesso dobbiamo avere una sola preoccupazione: parlare con Patrizia e Massimo.

11 Giustino, Renata, don Augusto e Carlo

Giustino — (Entra dal fondo, ansante) La signorina Patrizia...

La signorina Patrizia...

Carlo — (A Giustino, spaventato) Le è accaduto qual­cosa?

Giustino — (Sempre ansante) È andata via!

Carlo — (Cade a sedere) Povero me!... Patrizia non sa ancora che Massimo... (Scatta in piedi, agitato) È fug­gita per dimenticare!

Augusto — (A Carlo) Non dire stupidaggini! (A Giustino) E tu prendi fiato, e spiegati.

Giustino — (c.s.) È andata via con... con... con-con...

Carlo — (Indica Giustino) Ma questo parla a rate!    

Giustino — È andata via con il ragioniere!                 

Carlo — (Impressionato, eccitatissimo) Come nei romanzi!... «E vissero di sacrifici e stenti, nella miseria più nera»... Ah, il mio cuore! Povero cuore.               

Augusto — Ma no! La vita non è un romanzo a fumetti? . E poi? Ragioniamo con calma. Perché avrebbero dovuto fuggire? Il ragionier Stellari ha già il tuo con-senso. (A Giustino) Ti hanno detto dove andavano?

Giustino — Sì.

Carlo — (Aggressivo, a Giustino) Perché non lo dice?^

Giustino — Perché nessuno me l'ha chiesto! (A Carlo) E lei si calmi, diamine... Beva l'aperitivo col carciofo. (Carlo sbuffa, impaziente) Mi hanno detto di dire... (S'interrompe e si rivolge ad Augusto, con evidente stiz­za di Carlo) ... a don Augusto, che gli vogliono tanto bene, e che andavano alla fontana.

Carlo — (Sollevato) Del nostro giardino?

Giustino — (Ripete meccanicamente) Del nostro giardino.

Carlo — Allora è diverso! E perché sono andati alla fon­tana?

Giustino — (Ride malizioso, mettendosi uria mano da­vanti alla bocca) «Per vedere la luna». Ma non lo san­no che la luna si vede anche da qui? (Augusto sorride).

Carlo — (A Giustino, ansioso) E per me? Cos'hanno det­to per me?

Giustino — Hanno detto... (S'interrompe. Carlo è teso ad ascoltare) Niente!

Carlo — (Irritato) Mi hanno dimenticato! (Incrocia le braccia e scrolla il capo, desolato).

Giustino — (Sussulta e grida) Adesso ricordo!

Carlo — (Sobbalza) Mi verrà il cardiopalmo!

Giustino — Hanno detto...: «Al caro papà i nostri af­fettuosi ringraziamenti».

Carlo — (Felice, a Giustino) È sicuro che abbiano det­to: al «caro» papà?

Giustino — Euh! Sono più sicuro di quando ero sicuro che il dottore mi avrebbe di sicuro tolto un dente.

Carlo — (Cordiale) Bravo, simpaticone!... (Mette nelle mani di Giustino un biglietto da diecimila lire) Que­sto per lei.

Giustino — (Stupito, guarda la banconota da ogni par­te. Pausa. A Carlo) Vuole che glielo dica un'altra volta?

Carlo — (Sorride) Non è il caso, poiché è sicuro come quando il dottore... A proposito: glie l'ha poi tolto quel dente?

Giustino — No! (Esce in fretta a sinistra).

Carlo — (Distratto) Ah, bene... (Si riprende) Coo-saaa?!?... (Ad Augusto) Perché mi ha detto che era sicuro di essere sicuro come quando era sicuro...

Augusto — (Interrompe sorridendo) Lascialo in pace. Fi-gurati un po' se Patrizia e Massimo, che avranno il cuore alle stelle, non hanno detto «caro» papà.

Renata — (Si avvicina a Carlo, spavalda e ironica) Beh!... Ora che ti hanno chiamato «caro» papà, e che ogni cosa si è appianata, spero che potrò tornare con i miei amici?

Carlo — Naturalmente, cara.

Augusto — Aspetta, Carlo. Mi viene un'idea, a propo­sito degli amici di Renata.

Renata — (Sbuffa) Uff!...

Carlo — Non ti permettere di sbuffare!

Augusto — (Calmo) Cosa ne diresti, se invitassi Renata a trascorrere l'estate con me, al paese?

Carlo — Ottima idea.

Renata — (A Carlo) Io voglio trascorrere le vacanze con i miei amici, sulla Costa Azzurra! E solo a te, papà, riconosco il diritto di darmi dei consigli (Indica Augusto) A lui, no! Carlo — (Serio) Ti proibisco!...

Renata — (Continua aggressiva) Chi è lui? Uno zio! nient'altro che uno zio! E prete, per giunta! Io, invece, sono una ragazza moderna!

Augusto — (Ironico) È vero, perché sei elegante, super­ba, ignorante, pigra, e... (Guarda Carlo) ...viziata!

Renata — (A Carlo, implorante) Ma papàaaa...

Carlo — (Deciso e convinto) «Papà» un corno! Avrei dovuto dirtele io, tutte queste cose. E da tempo! È un anno, adesso che ci penso, che tu vai e vieni, come se la casa fosse un albergo. Sarai ospite dello zio Augusto. Per qualche mese, se ti sopporterà. Poi vedremo cosa potrò fare di te. Se non avrai voglia di studiare verrai con me in fabbrica. E non come impiegata. Co­me operaia. (Pausa) Puoi andare. (Renata, mesta, si avvia lentamente verso il fondo) E avverti i tuoi amici che non hai più tempo da perdere con loro.

Renata — (Implora) Come posso dire ai miei amici che?...

Carlo — (Interrompe) Di' loro che sono una massa di... (Ad Augusto) Come si dice? (Ricorda) Ah! Una mas­sa di «ignoranti-pigri», e... e di «idioti-eleganti».  (Renata, mogia mogia, esce al fondo. Ad Augusto, orgo­glioso) È così che si fa?

Augusto — (Sorride) Senza esagerare, naturalmente.

Carlo — (Soddisfatto) Mio caro Augusto... (Gli batte una mano sulle spalle) Ti sono veramente grato. (Siede e sospira) Ah, come si sta bene. Tutto a posto, tut­to tranquillo.

12 Giustino, don Augusto e Carlo

Giustino — (Entra da sinistra, deciso) Signor Carlo-commendatore!

Carlo — (Sussulta spaventato) Co-cosa vuole?

Giustino — (Perentorio) Voglio sposare la cuoca!

Carlo — (Distratto) La sposi pur... (Sì riprende: balza in piedi) Cooosaaa?!?...

Augusto — È vero, scusa. Non ho avuto modo di dirte­lo prima.

Carlo — Ma io non ho bisogno di un sagrestano!... E non voglio perdere la cuoca!

Augusto — Stai però cercando un giardiniere.

Carlo — È vero. (A Giustino) Lei è pratico dei lavori da fare in un giardino come il mio? (Indica verso il fondo).

Giustino — Io sono pratico a fare tutto. Ho visto, per esempio, che lì fuori (indica verso il fondo), per terra, ci sono quelle «montagne d'erba».

Carlo — Sì, le aiuole.

Giustino — (Ripete meccanicamente) Le «iole». (Gesto di disappunto di Carlo) Così non vanno bene.

Carlo — (Soddisfatto) Giusto! (Ad Augusto) L'ho sem­pre detto che quelle aiuole, come sono adesso, non sono abbastanza curate! Ora sono lieto che me lo confermi (indica Giustino) un esperto. (A Giustino) Cosa pro­pone di fare alle aiuole?

Giustino — Tagliare via l'erba e preparare il terreno per le patate.

Carlo — (Preoccupato) Per carità!

Giustino — (Continua, imperturbabile) Poi sono capa­ce a mungere le mucche.

Carlo — Qui non ci sono mucche!

Giustino — Ne compri un paio! C'è quella tettoia, al fon­do del giardino, che andrebbe proprio bene per fare una stalla. (Augusto sorride).

Carlo — E tu ridi?... (Indica Giustino) Costui vorrebbe trasformare il mio garage in una stalla, e tu?... Tu ri­di! (Agitatissimo, a Giustino) E lei non si illuda! Non si illuda che io le permetta di mungere le patate. Cioè! Le mucche in casa mia. (Ad Augusto) Spero che tu non approverai questo matrimonio.

Augusto — Non l'approverò...

Carlo — (Interrompe) Meno male!

Augusto — (Continua) ... perché l'ho già approvato.

Carlo — È il colmo! (A Giustino) Ma che cosa le è sal­tato in mente di voler sposare Palmira? Io non ho mai visto una donna così brutta!

Augusto — (Ironico) L'amore non è polenta.

Carlo — (Scatta) Anche la polenta, adesso! (Ad Augusto, agitatissimo e aggressivo) Tu! Tu l'hai fatto ap­posta! Tu vuoi divertirti alle mie spalle! (Augusto sor­ride). Ridi pure, ma riderà bene chi riderà ultimo! (Va al fondo, seguito a mezzo passo da Giustino, il quale vorrebbe dirgli qualcosa, e urla verso l'esterno) Renata vieni qui! (Si volta e si trova Giustino di fronte. Lo sposta da un lato con una manata) Si tolga di mezzo! (Ritorna accanto ad Augusto) «Prima» hai sistemato chi ti era simpatica: Patrizia! «Poi» hai sistemato chi ti era antipatico: Giorgio. E «per finire», Renata, che ha il solo difetto di essere una ragazza veramente «mo­derna». E ora... «Ora» vorresti sistemare pure me, lasciandomi fra i piedi questo (indica Giustino con di­sprezzo) tipo!

Giustino — (Offeso) Signor Carlo-commendatore!... Guardi che «tipo», a me, non l'ha mai detto nessu­no. «Cretino» sì, tante volte: ma «tipo»'mai!

Ultima scena

Renata, Giustino, don Augusto e Carlo

Renata — (Entra dal fondo, premurosa) Mi hai chia­mata?

Carlo — Sì! Ti ho chiamata. (Con esagerata dolcezza) Cara la mia Renata... Ti permetto di andare in villeg­giatura con i tuoi amici.

Renata — (Sorpresa e contenta) Davvero, papà?

Carlo — Sul serio.

Renata — (Trionfante, ironica) E non li ascolterai più, mai più, i «preziosi» consigli dello zio parroco?

Carlo — (Imbarazzato) Vedremo, vedremo... Per ora... tu sei giovane e ritengo che fai bene a divertirti.

Renata — (Ipocrita) Certo, papà! Tu, «caro» papà, sai perfettamente come educare le tue figliole. (Pausa, ad Augusto, maligna) Sai cosa mi stava dicendo un'ami­ca mia, quando papà mi ha chiamata?

Augusto — (Calmo) Non tento nemmeno di indovinar­lo, ma se mi riguarda sarei curioso di saperlo.

Renata — Mi diceva che la tua veste, l'hanno notata an­che altri invitati, è... è...

Augusto — (Continua calmo, sarcastico) ...«poco decorosa», perché ha qualche rammendo?

Renata — Sta insieme per scommessa, altro che «qual­che rammendo! »... (Pausa, cattiva) Ed è strano, molto strano... con tutti i soldi che ti manda papà.

Carlo — (Deciso, a Renata) Stai esagerando! (Pausa) Del resto è un suo diritto, e... (s'interrompe, perché nota la presenza di Giustino) Lei, qui, non ha nulla da fa­re. Si tolga di mezzo!

Augusto — (A Carlo) Lascia che rimanga. Io non ho se­greti. (Giustino si apparta e seguirà con attenzione. Pausa. Con amarezza) Un mio «diritto», hai detto. E chissà quante volte vi sarete domandati cosa ne fac­cio di tutto quel denaro.

Carlo — (Sincero) Ti prego di scusare, Augusto, se Renata ha osato...

Augusto — (Interrompe, con calma) Non c'è niente da scusare. Anzi, mi ha aiutato a entrare in argomento. (Pausa) Al paese, da parecchio tempo, i contadini van­no tranquilli nei campi, perché i loro bambini sono ospitati gratuitamente in una bella e linda costruzione che si chiama «Casa del Fanciullo». Ebbene, Carlo... La «Casa del Fanciullo» l'hai donata tu al paese.

Carlo  —  Io?!?...

Augusto — (Con semplicità) Sì, perché fuori della por­ta c'è un lapide di marmo, sulla quale sta scritto: «Casa del Fanciullo Giulia Ravello... (Stupore e sincera com­mozione dì Carlo; disagio di Renata) ... dono di Carlo Ravello» (Pausa). La tua Giulia era mancata da po­co, e ho pensato che avrebbe fatto piacere, a tutt'e tre, che la «Casa» portasse il nome di quella sposa e ma­dre esemplare.

Carlo — (Con intensa commozione si avvicina ad Augusto e lo abbraccia, sincero e affettuoso) Grazie, Augusto. Grazie. (Pausa; si allontana da Augusto) Io non so cosa dire, cosa fare per...

Augusto — Sarebbe necessaria un'infermeria, alla « Casa del Fanciullo». Servirebbe all'intero paese.

Carlo — (Commosso, deciso e sincero) Sta bene, Augusto. Fai il preventivo e ci penserò io. Piuttosto... Vuoi proprio partire domani?

Augusto — Eh, sì... Lontano dall'ombra del mio cam­panile divento triste.

Giustino — (Si avvicina ad Augusto, timido, miagolan­do) Anch'io.

Augusto — (Severo) Anche tu, «cosa»?

Giustino — (Mogio mogio) Anch'io mi sento triste lon­tano dalle mie campane. (Aspetta che Augusto dica qualcosa, ma questi guarda fisso dinanzi a sé, con espressione imbronciata. Allora riprende, con il tono che aveva usato quando gli aveva annunciato il suo ma­trimonio) Don Augusto... Lei non può negare che non c'è in tutta la provincia un sagrestano che sappia suo­nare le campane a festa come me!... Il maestro, che non è un ignorante, dice sempre che soltanto in Para­diso sanno suonarle come le suono io! (Idem come pri­ma) Don Augusto...

Carlo — (Si avvicina a Giustino, sincero) Non vorrei che per colpa mia. In questa casa c'è posto anche per lei.

Giustino — (Senza degnarlo di uno sguardo, lo sposta da un lato con una manata e gli rifà il verso) Si tolga di mezzo! (Idem come prima) Don Augusto... Non è mica facile trovare un sagrestano come me... E non dimentichi   che   io   sono   pure   un   «sagrestano-imbianchino-lattoniere-gasista». (Pausa. Con il pian­to in gola) Vuole che torni, don Augusto?

Augusto — (Commosso e sincero, lo abbraccia) Come farei senza di te?

Giustino — (Appena sciolto dall'abbraccio, si rivolge a Carlo) Parli lei con Palmira... Le dica che io non la sposo, perché le campane fanno ombra... E all'om­bra delle campane si sta bene da soli!

Carlo — (Sorride) Glielo dirò. (Vede Renata che si è po­sta in disparte) Renata... (Renata si avvicina a Carlo, evidentemente colpita e sconvolta) Prega lo zio di scu­sarti, come lo prego io, con tutto il cuore.

Renata — (Solleva la testa e guarda Augusto, che le sor­ride dolcemente. Con tono di sincera fermezza) In po­chi minuti ho capito tante cose... Tu sei buono, zio... Mentre io... Io ho bisogno di te. Vuoi insegnarmi co­me si fa per diventare buoni, e «rimanere» buoni, per tutta la vita?

Augusto — (Apre le braccia) Si fa così. (Renata va a ri­fugiarsi fra le braccia di Augusto, mentre)

Giustino — (Si fa avanti) Vuole che l'abbracci anche me? (E sulla risata dei quattro si chiude il sipario).

FINE DELLA COMMEDIA