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QUELLA

Commedia in tre atti

Di CESARE GIULIO VIOLA

PERSONAGGI

“QUELLA”                                     46 ANNI

SEBASTIANO MERATTI            50 ANNI

NINO                                               17 ANNI

IL SENATORE ROSTAGNI         70 ANNI

CAMILLO                                       60 ANNI

LISABETTA                                   64 ANNI

CORINNA                                      62 ANNI

RANGONI                                      60 ANNI

MARGHE                                       22 ANNI

GUIDO                                            21 ANNI

L’AVVOCATO CORSARI            60 ANNI

ASSUNTINA                                  20 ANNI

Commedia formattata da


ATTO PRIMO

La casa di Sebastiano Meratti, in pro­vincia.

Una grande stanza da pranzo: mobili di stile Luigi Filippo: alle pareti carte a fiora­mi, grevi tende alla finestra e agli usci. Una consolle con un grande specchio nella pa­rete di fondo. Sulla stessa parete, a destra, una porta. Nella parete dì destra una porta. Nella parete di sinistra una porta, e più indietro una finestra che affaccia sul cortile. Ai centro la tavola da pranzo, che Meratti usa anche per redarre i suoi conti.

(Quando s'alza la tela la scena è deserta, Voi dalla sinistra entra Assuntina, va verso la porta a destra).

Assuntina                      - (sulla soglia) Signora, è tor­nato quel signore di stamattina... Cerca dei signor avvocato... Che debbo dire? La voce di « Quella » Aspetti... Vengo io, Fallo passare...

Assuntina                      - (va verso la porta a sinistra) il signore vuole accomodarsi...(Corsari entra) La signora viene subito...

Corsari                          - Grazie... (Attende).

Quella                           - (entrando dalla sinistra: ha i capelli rossi, la faccia imbellettata: è la corista d'operetta) II signore?

Corsari                          - L'avvocato Corsari, di Roma...

Quella                           - Quel signore che ha chiesto, stamani di mio marito?

Corsari                          - Sì, signora... Mi hanno detto che ornava alle due... Son le tre... Allora mi son permesso...

Quella                           - Quello quando dice di tornare alle due, torna sempre a sera...

Corsari                          - Ad ogni modo poiché il treno parte alle tre e quaranta... Mi son permesso di ritornare perché sona venuto unicamente per parlare con lui...

Quella                           - Ho capito... Senta, io le consiglio di scrivere a mio marito, se non può citarlo... Lei è avvocato, mio marito è avvocato... Fra avvocati s'intendono benissimo anche per iscritto... Se poi vuole attenderlo ancora il tempo che manca al treno o vuol rimanere qui in paese stasera... C'è un albergo... - Vuol fumare?...

Corsari                          - (cavando di tasca il portasigarette e offrendo da fumare a « Quella») Grazie. Lei fuma?

 

Quella                           - Vecchia fumatrice... Queste sono inglesi...

Corsari                          - No, si fabbricano in Belgio...

Quella                           - Estere... (ha accesa una sigaretta) Buona... Anche io in gioventù fumavo si­garette estere... Ma qui, in provincia... - Vuole una tazza di caffè?.., Lei avrà pranza­to al «Giglio Rosso»: si pranza male... E si beve un pessimo caffè... Quindi... (va alla porta) Assuntina... Due espressi... S'accomo­di, prego...

Corsari                          - Grazie... - Ecco, Signora, io cre­do forse inutile che io vegga suo marito, ora che ho avuto il piacere di incontrarmi con lei...

Quella                           - Senta: se lei parla con me, son sicura che le faccio un guaio... Son diciot­tenni che sono sposata, e negli affari di mio marito... non ho mai messo parola... Anche perché gli affari son pochi: luì ormai da tanto tempo fa più il campagnolo che l'av­vocato... - Mi parli, piuttosto, di Roma: lei viene da Roma: beato lei che vive a Roma... Io lo dissi a mio marito, allora, quando ci sposammo: «restiamo qui »... Perché noi ci siamo sposati a Roma... E lui, no... Ha voluto tornare in questo paese di talpe... - Ma, forse, non si poteva fare diversamente...

Corsari                          - Lei... signora, prima dì sposare il suo attuale marito... era vedova, se non erro...

Quella                           - Sì... Vedova di Sandrino Rostagni: il figlio del senatore Rostagni... L'ha conosciuto, lei, forse il mio Sandro?... Avreb­be ora la sua età all'inarca...

Corsari                          - No: io non l'ho conosciuto, ma io conosco e sono molto amico del senatore Rostagni...

Quella                           - (sardonica) Ah! - Bernardo Rostagni! - Sta bene Bernardo Rostagni?...

Corsari                          - Ormai è molto vecchio...

Quella                           - Settant’anni! Se sono passati per me saranno passati anche per lui... - Ma scusi, come sa che io ero vedova di suo fi­glio? Gliel'ha forse detto luì?

Corsari                          - Precisamente.

Quella                           - Ah! Le ha dunque, parlato dì me?... Si ricorda ancora di me?... - E come, in che tono le ha parlato di me?! Dica, av­vocato, m'interessa...

Corsari                          - (evasivo) Ecco, signora.

Quella                           - Dica, dica la verità! Ancora be­stemmia contro dì me, quel cane?

Corsari                          - Signora...

Quella                           - Quel cane... Nessuno lo conosce meglio di me... E quando dico «quel cane »...

Corsari                          - Io non posso consentire che d'un mio amico...

Quella                           - È amico suo, ma è nemico mio... Se le ha parlato di me, vuoi dire che lei sa tutto, avvocato... - Son ventidue anni: da quando è morto il mio Sandro! E nella mi­seria, sa! Lasciar morire il suo unico figliolo a quel modo! E questo, perché aveva spo­sato me! Oh io non mi vergogno: lui, avreb­be dovuto vergognarsi di quello che ha fatto! Ma io, no: io l'ho amato, suo figlio: e non ho amato che lui, badi! Il solo torto di Sandro è stato d'avermi voluto sposare contro la vo­lontà di suo padre! Non che io lo volessi! Non me ne importava nulla di diventare la Signora Rostagni... Mi sarebbe bastato il suo bene... Ma lui... E allora suo padre... - E la piaga è ancora viva, qui dentro... Ed io sono scomparsa dal mondo, mi son chiusa qui, a marcire: per lui...

Corsari                          - Non soltanto per lui.

Quella                           - E per i ragazzi... Oh! Sì, certo: per i miei due piccoli... Me li portò via, sen­za pietà... - Lasciarli a lui... Non esistere più per loro... Scomparire... Farmi dimenti­care... E che dovevo fare? Sola, giovane, povera com'ero... Con la disperazione di aver perduto a quel modo il mio Sandro... E acconsentii a tutto quel che si voleva... Sì, lei ha ragione: i ragazzi almeno avranno una posizione: saranno ricchi... E allora una madre può anche sacrificarsi. Fra la fame, la vita randagia, che dovevo fare io... Do­vevo tornare sulle tavole del palcoscenico, a sgambettare? Dovevo trascinarmi forse di città in città, di paese in paese, le due mie creature, nell'incertezza di poter loro procurare persino un tozzo di pane?... E allora dissi: - Pigliateli tu... Se non altro la loro vita è salva... Poi lui mi fece sposare: già, perché perdessi anche il nome che mi aveva dato suo figlio...

Corsari                          - Ma lei, oggi, ha un nome ono­rato... Ha, credo, anche un altro figliolo...

Quella                           - Sì... Mio marito è un brav'omo, e il mio ragazzo, una perla... Ma, che vuole: quando una donna ha fatto ciò che ho fatto io, è come se si fosse svuotata del sangue... Da allora, sa, io vivo, così... Mio marito dice che sto sempre tra le nuvole... È perché ci penso sempre ai miei piccoli! Ed è lui, Bernardo Rostagni, che ha colpa di tutto... Perché lui non ha capito chi ero io... Si ver­gognava che il suo nome fosse portato da una canzonettista...

Corsari                    - Ma no: che c'entra, signora...

Quella                           - Sì: perché ero una canzonetti­sta: ma non ho voluto bene che a lui, al mio Sandro... E, dopo, certo, a mio marito….Se il figlio si fosse sposato a una donna che non l'avesse amato, non l'avesse rispettato, ma che avesse portato i milioni e lo spolvero d'un bel nome, oh! allora!; invece il mio nome s'era letto sui manifesti: dunque, a mare... - Ma giacché lo vede, - lo vedrà, è amico suo, gli dica che m'ha parlato, e che io son sempre « quella »: come allo­ra! Che gli anni sono passati, ma qui dentro, resto la stessa... E sto sempre con gli occhi fissi a lui... Da lontano... fissi... (entra Assuntina col caffè) Ecco il caffè... (offre la tazza all'avvocato) Mi scusi se le ho parlato così, di cose che non l'interessano... Io non posso sfogarmi con nessuno... E quando capita una persona che d'improvviso mi ricongiunga al mio passato, è come se mi s'aprisse una fi­nestra chiusa da tanti anni... E rivedo tutto... E non resisto... Lei intanto era venuto per parlare d'affari con mio marito, e s'è sor­bita, invece, una predica dalla moglie... Mi scusi: sia come non detto...

Corsari                          - No, ecco, io invece ero venuto per parlare proprio con lei, signora...

Quella                           - Con me?

Corsari                          - Già! Avrei voluto incontrarmi prima con suo marito, ma lo scopo vero era di parlare con lei...

Quella                           - Per conto di chi? Per conto di...

Corsari                          - Già...

Quella                           - (con ansia crescente) Che ha da dirmi, avvocato? È accaduto qualche cosa ai miei ragazzi?

Corsari                          - No, signora...

Quella                           - Per carità, avvocato: non mi in­ganni... Oh! Dio... Qualche cosa è accadu­ta... Mi dica... Mi dica subito... Una disgra­zia?... Una malattia...

Corsari                    - No, signora: le assicuro: no­lo dovevo solamente comunicarle che i suoi figlioli da due mesi sono tornati a Roma... Che il senatore li ha presso di sé... E che...

Quella                           - Che cosa?

Corsari                          - Che stanno bene... Ecco tutto...

Quella                     - E per dirmi questo lei ha fatto un viaggio?... E voleva parlare prima con mio marito... Avvocato!...

Corsari                          - Non per questo... Per comuni­carle che in questi due mesi...

Quella                           - Lei gli ha visti?...

Corsari                          - Sì, signora... Ho visto la signo­rina Marghe e il signor Guido... E stanno benissimo...

Quella                           - Ma allora?! Da due mesi... tor­nati in Italia... Me li ha tenuti sempre all'estero... E lei viene qui... a chiedere di me. Avvocato... Avvocato... Forse... Forse, final­mente il Senatore s'è messa una mano sulla coscienza... Vuole forse finalmente che io ri­veda i miei ragazzi?... Mi dica...

Corsari                          - Ecco: vuole che lei riveda i suoi figlioli...

Quella                           - Mi chiama?! (esaltandosi) Do­veva venire quest'ora... L'ho attesa, avvoca­to... Tanti anni... chiusa... sepolta viva... qui, in questa tana... Per quest'ora... (s'è le­vata, passeggia emozionata per la stanza).

(Entra d'improvviso dalla porta di sinistra, Sebastiano Meratti. È un uomo corpulento, vestito dimesso).

Meratti                          - (a veder sua moglie che passeg­gia concitata, in su e in giù, la guarda, guar­da l'avvocato) Che succede ? !

Quella                           - (seguitando) ...dal giorno che è morto il mio Sandrino, dall'attimo in cui ha dato l'ultimo respiro: da allora... ad attendere... Ed ora mi chiama, sai, mi chiama...

Meratti                   - Ma chi è, chi è che ti chiama? Scusi, il signore? !

Corsari                          - (presentandosi) L'avvocato Cor­sari...

Quella                           - (presentando Sebastiano Meratti) Mio marito... - Mio suocero mi chiama...

Meratti                          - Tuo suocero?! Tu non hai che un suocero: mio padre... Se non ti dispiace...

Quella                           - Sì, ma anche il senatore Rosta­gni è mio suocero...

Corsari                    - (tenta di intervenire fra i due) -Se permettono...

Meratti                          - Scusi, signore: io non ho ben capito il suo nome...

Corsari                          - II prof. Corsari...

Meratti                   - Dell'Università di Roma?

Corsari                          - Per servirla...

Meratti                          - L'illustre professore di Diritto Civile?... E tu davanti a un professore, stre­piti a quei modo... T'ho sentita dalle scale...

Corsari                          - Per carità non si preoccupi, col­lega Meratti... La signora - si comprende - è un po' emozionata... Si calmi, signora...

Quella                     - Ma che vuole che mi calmi... Vent'anni... Lei non può capire... Ma lui, sì... Lui che per tanti anni...

Meratti                          - Ma il professore non può inte­ressarsi a queste cose...

Quella                           - Ed io zitta, sempre zitta... E finalmente - lo dice lei avvocato - oggi mio suocero mi chiama...

Meratti                   - II senatore Rostagni sa che, fino a prova contraria, il capo di questa casa sono io...

Corsari                          - E infatti, avvocato, a lei io avrei dovuto parlare, prima che alla signora... Ma lei era assente... Abbiamo supposto che sa­rebbe tornato a sera... Intanto ho avuto il piacere d'incontrarmi con sua moglie! Lei comprende: una parola tira l'altra...

Meratti                          - (a sua moglie) E allora tu la­sciaci soli: il professore mi spiegherà ogni cosa...

Quella                     - Oh! In quanto a questo... Io non ho niente in contrario... Purché tu non mi incominci a fare opposizioni... Parla pure quanto ti pare... Si tratta di cose lecite... Ma ti avverto che per conto mio ho già deciso... Io vado a vedere i miei ragazzi... Capisci... I miei ragazzi... (esce dalla porta di fondo).

(Restano in iscena Meratti e Corsari. Pausa),

Meratti                          - (appena la porta si chiude) Non si meravigli... Sa: è una donna che s'accende come una latta di benzina... Io ho voluto parlarle a quattrocchi perché se rimaneva qui... Le dico subito che, a quanto ho po­tuto capire, ciò che accade mi pare una cosa enorme... Lei è inviato dal senatore Rosta­gni?...

Corsari                          - Precisamente...

Meratti                          - Ma lei sa come il senatore Rostagni s'è comportato con la moglie di suo figlio, in altri tempi?

Corsari                          - Sì... Purtroppo... Anche la si­gnora poc'anzi mi diceva...

Meratti                          - Sa che non ha voluto mai parlarle... Credo che non l'abbia nemmeno mai vista...

Corsari                          - Si...

Meratti                          - E allora pensi un po': io che torno a casa e mi sento dire d'improvviso:! - Mio suocero mi chiama! - Se non avessi incontrato qui lei, che è persona seria, avrei detto che mia moglie è impazzita...

Corsari                          - Ed è per questo che io volevo] parlare prima con lei, avvocato. Per quelle strane svolte che pigliano spesso le conversazioni, specialmente con le donne, sua moglie mi ha sopravvanzato, ha colto ciò che le pareva più utile al suo sentimento, e non mi ha dato il tempo di spiegarle... Dunque: è vero che il senatore Rostagni, dopo venti anni, si rivolge alla madre dei suoi nipoti, ma è anche vero che sua moglie non mi hai consentito dì dirle le ragioni per le quali lai si chiama... Queste ragioni devo dirle a lei...

Meratti                   - Un momento: perché vuoi ; dirle a me?...

Corsari                    - Perché sono gravi...

Meratti                   - È morto qualcuno?

Corsari                          - No...

Meratti                   - E allora?... Gravi perché... per chi?

Corsari                          - Per i figli della signora... (con intenzione) Anzi per la figlia...

Meratti                          - Mai conosciuta! - E subito le dichiaro che in queste faccende io non voglio entrarci... Dal giorno in cui ho sposa­to mia moglie, del nome Rostagni qui s'è i perduta la traccia... Mia moglie, per la verità, ha tenuto fede ai patti... Mordendo il fre­no, ma ha tenuto fede... Ed ecco che arrivai lei - con tutto il rispetto che le è dovuto - e vuoi proprio parlarmi di ciò che ho scansato per vent'anni... (S'ode la voce di « Quella » che canterella di dentro una vec­chia canzone napoletana) E così quella, ora mi mette anche in subbuglio la casa...

Corsari                          - Io sono dolente... Io non sapevo...

Meratti                   - Eh!, già! Lei non sapeva! - Vede, avvocato, questa è una casa dove vivo­no un uomo che ha rinunciato forse a un J avvenire, ad ogni ambizione, e s'è ridotto qui, a fare il campagnolo - vede: come son vestito? Una donna che è stata molto bella ed ora vivendo qui in paese, sì s’è trascurata; e un ragazzo che è nato da questa coppia... Vivono ormai in pace: in quella relativa pace che è consentita da una vita grigia, monotona, di paese... Ebbene io non permetto, avvocato, che questa pace mi ven­ga turbata da chi ha fatto la mia rovina… - Perché fu lui, sa: lui era deputato nel mio collegio, allora... E fu lui che mi portò ver­so questo matrimonio... Certo la donna mi piaceva... E lui, con tante lusinghe... Lo ri­peto: la donna mi piaceva... Ci sono cascato... Non mi lamento... Ma di figli non ce n'è che uno, ed è mio figlio... E solo a que­sto figlio deve pensare sua madre…. Agli  altri ha voluto pensarci luì?... Dunque: se li tenga e non ci disturbi...

Corsari                          - Mi pare che così abbia fatto fino a questo momento...

Meratti                          - Ebbene, séguiti così...

Corsari                          - Sì, ma può accadere a volte che un fatto nuovo...

Meratti                          - Vede: quando si pigliano certe responsabilità bisogna vedere e prevedere i fatti, Ì vecchi e i nuovi... Io li ho preveduti, sposando mia moglie... Io ho preveduto che un giorno forse qualcuno sarebbe venuto qui a nome del senatore Rostagni... Mi dispia­ce che sia stato proprio lei, caro professore... E mi dispiace di doverle dire che la mia ri­sposta è come se l'avessi scritta in un bigliettino che cavo da un vecchio cassetto e che leggo a lei: No! Qualunque cosa voglia il senatore Rostagni da me  e per me intendo la casa, la moglie, il figlio, l'asino, la serva, tutto - la risposta è: no...

Corsari                    - Ma scusi... E come facciamo ora... Sua moglie vuoi venire... Lei ha sen­tito...

Meratti                   - Mah! Si regoli lei... - No...

(Dalla porta di fondo riappare « Quella ». È vestita goffamente, con un cappello a grandi piume, com’era di moda molti anni fa. Reca una valigetta e un ombrello).

Quella                           - Allora, avvocato, eccomi qui, io sono pronta... A te non dispiace che l'avvo­cato m'accompagni?... Non ho pensato a te, perché capisco che a te... Ho già dato ordini ad Assuntina per questi giorni... Volevo ve­dere Nino, ma ancora non è rientrato... In­tanto come si fa: l'ultimo treno parte alle tre e quaranta... Dunque me lo saluterai tu... E poi, se mai, gli scriverò...

Meratti                   - Ma scusa, e dove vai?

Quella                     - Come! Dove vado? A Roma.

Meratti                   - E invece, l'avvocato ha parla­to con me, ed ha capito che non era il caso che tu ti muovessi...

Quella                     - (con sorpresa) Che ha det­to lei?

Corsari                    - Ma io direi signora...

Meratti                          - Ripeto: l'avvocato parte solo...

Quella                     - Ma chi l'ha detto, scusa...

Meratti                          - Lo dico io... Conto pure qual­che cosa, io, in questa casa...

Corsari                    - Prima di decidersi, signora, io le consigliere! di « conferire » con suo ma­rito... Noi abbiamo avuto un breve collo­quio ed egli si è mostrato così « ragione­vole » che non è il caso di... Io partirei col prossimo treno... e lei, domani, dopo aver vagliato le cose, potrà raggiungermi a Ro­ma... Anzi, se permettono, io toglierei loro subito il disturbo... Arrivederla, collega, lie­to di averla conosciuto; i miei rispetti, si­gnora... (esce rapido dalla porta di sinistra).

Quella                           - (quasi con un grido) Ma, av­vocato!... (la parola le si mozza; al marito) Ma che burla è questa...

Meratti                          - No, cara: non è una burla... L'avvocato ci ha dato un ottimo consiglio...

Quella                     - Ma io intanto perdo il treno...

Meratti                   - E forse è il primo treno che si perde?

Quella                           - Senti: io non ho voglia di sop­portare il tuo spirito... Lasciami andare... Se tu fossi tornato stasera... Non mi avre­sti trovata a casa... Dunque, fingiamo che tu non sia tornato... E lasciami andare... Insomma mi son vestita... Mi son messo il cappello... Ho fatta la valigia...

Meratti                   - E tu ti levi il cappello, e disfa la valigia... che ci vuole...

Quella                           - Oh! Signore! Oh! Signore! Ma l'hai avuta tu tanta pazienza con i tuoi ne­mici, Signore...

Meratti                   - E quella che ho io da vent'anni, dove la metti?

Quella                     - Tu? Con chi? Con me? E avrai pazienza per altri due giorni, finché vado a Roma e torno... Bada non ti mettere ora sulla mia strada, per carità... Guarda: per quel figlio che è nato da noi due... Fallo per Nino...

Meratti                   - Non nominare mio figlio...

Quella                     - L'ho lasciati soli per vent'anni... E son figli miei anche quelli... E a pa­ragone, due giorni, che sono?

Meratti                   - Quelli? Ah! Ah! Ah!

Quella                     - E perché ridi? Che hai da ri­dere?

Meratti                          - Disfa la valigia e togliti il cap­pello, senti a me... Lasciali crepare tutti, quanti sono... Non ti immischiare con loro... Che c’entri tu: che c'entri con i guai loro … Che centriamo noi?! Io non so perché ti chiamano laggiù: non me lo son fatto dire neppure, perché non mi importa niente... Certo non è per una testa di famiglia... Cre­di che ti chiamino per un abbraccio gene­rale:? - E mi fai pietà... pietà: con quel cappello, con quelle penne, con quel vestito sgargiante... Ti presenti là, dopo vent'anni... in questo stato... Che figura ci fac­ciamo... Che  figura ci faccio io...

Quella                           - Ecco: è per te che parli così... Non ti preoccupare... La figura la faccio io... E la faccia mia che deve diventar ros­sa... Diventa rossa per i miei figli, non m'importa...

Meratti                   - Fino ad oggi sono loro che hanno arrossito di te...

Quella                           - Non m'importa! Ti ripeto, non m'importa niente... Mi chiamano? Si? Vuoi dire che hanno bisogno di me... Tu non ne sai la ragione... E neppure io la so... Ma io non ho bisogno di saperla... Vado... Capi­sci... Vado... E tu lasciami passare, sai... Vedi: tu sei grosso come un bue, ma io ho tanta forza, sai... Bada... (poi umile) Perché fai così?... Perché?... Sii buono... Torno de­mani sera... Non più d'un giorno... Te lo prometto... Mancano dieci minuti al treno...

Meratti                          - (va alla porta di sinistra, gira la chiave nella toppa e l'infila nella tasca).

Quella                     - E che fai, ora?

Meratti                   - Niente... Metto la chiave in tasca...

Quella                     - Ed io mi butto dalla finestra...

Meratti                   - E buttati...

Quella                           - (gridando d'improvviso) Aiuto... Aiuto... Aiuto...

Meratti                          - (sconcertato: tappandole la boc­ca con la mano) Silenzio, pazza! Ma che vuoi, lo scandalo?!

Quella                           - (stravolta: s'è abbattuta sopra una sedia: quasi istericamente) Aiuto... Aiuto... (la voce le si fa più acuta) Aiuto...

Meratti                          - (deciso: aprendo la porta) Ta­ci, dunque, taci! Nessuno ti fa niente... Esci... Esci... Esci... (L'ha presa pel braccio, l'ha spinta, quasi con violenza, fuori della porta) Fuori... Tu, e il tuo cappello, e la tua valigia... Fuori! Andatevene...

(Meratti è solo per la stanza: ha chiuso porta con violenza).

 Meratti                         - (brancolando) Maledetta... Ma­ledetta te... Maledetto il momento in cui t'ho conosciuta... Maledetta la vita... la vita mia... (quasi piangendo) La povera vita mia... Vent'anni... Distrutta... (si è fermato di fronte alla specchiera che sta sulla parete di fondo) Eccolo... Sebastiano Me­ratti... senza cravatta... con tre soli bottoni al .gilè... Calvo... Sebastiano Meratti... Il bel giovane... La bella speranza del Foro-Contadino... E niente più... Zero... E tutto per... (entra dalla porta di destra Nino. Sor­prende suo padre che parla allo specchio).

Nino                       - Papa...

Meratti                          - (volgendosi e ricomponendosi) -Ah!

Nino                       - Che fai?

Meratti                          - Niente... Che? Non posso guardarmi allo specchio?

Nino                       - Parlavi solo...

Meratti                          - Io?

Nino                       - M'era parso... Assuntina mi ha detto che la mamma è partita...

Meratti                          - Già... Per Roma... Torna do­mani a sera... Ti saluta... Non poteva per­dere il treno...

Nino                       - Che è andata a fare, a Roma?

Meratti                   - L'hanno chiamata... Affari suoi...

Nino                              - Così?... Sola?...

Meratti                          - È meglio che sia andata sola... Quando tornerà ti spiegherà tutto, se ne avrai voglia... E tu che hai fatto?

Nino                       - Sono stato da padre Soncini...

Meratti                   - Ah! Il latino...

Nino                       - Già…

Meratti                   - Hai diciassette anni! Perché non ti iscrivi alla squadra di football, tu? Non vedi? Sei pelle e ossa... Che te ne fai del latino, scusa...

Nino                       - Papa...

Meratti                          - No, dimmi: che te ne fai del latino...

Nino                       - Oh! Dio: studio...

Meratti                   - E che te ne fai degli studi... Non ho forse studiato, io?

Nino                       - Sì, papa...

Meratti                   - E ora faccio il contadino... E se anche tu un giorno dovessi fare il con­tadino?

Nino                       - Ma io spero...

Meratti                   - Già... Tutti speriamo... Iscri­viti alla squadra di foot-ball, che almeno ti troverai dei buoni muscoli...

Nino                       - (mutando discorso) E tu, oggi, resti a casa?

Meratti                          - Perché?

Nino                              - Perché io dovrei andare dal prof. Conti...

Meratti                   - E tu vacci; qui c'è la serva... C'è la mula, giù... C'è il cane...

Nino                       - Perché? Se vuoi rimango con te...

Meratti                   - No... No... - Che devi fare col prof. Conti?...

Nino                              - Lo aiuto nelle ricerche sulla Cat­tedrale... Sai, lui non vede bene...

Meratti                          - (indicando gli occhiali di Nino) Tu invece hai un paio d'occhi... Va be­ne... Ti aspetto per la cena...

Nino                       - Sì, papa... (fa per uscire).

Meratti                   - Anzi, no... Ceniamo fuori, stasera: al «Giglio Rosso».... Nel giardi­netto del « Giglio Rosso»!... Una volta tan­to, mangiare a una tavola che non è la so­lita tavola: qualche cosa che non sia la so­lita roba che ci danno a casa!... Con un suonatore che strimpella quattro musiche da marciapiede... Sai che son più di dieci anni che non ceno fuori di casa? - Se però qual­cuno ti domanda di tua madre... (fa segno di tacere) L'hanno chiamata i Rostagni...

Nino                       - Ah!

Meratti                          - Già! - e noi stasera si va fuori! Va, a ravviarti i capelli... Mettiti in ordine... Usciamo insieme...

Nino                       - Sì, papà... (esce dalla porta a destra).

Meratti                          - Assuntina!...

Assuntina                      - (sulla porta a sinistra) Che vuole?...

Meratti                   - Noi si cena fuori, stasera.

Assuntina                      - Ma la signora m'aveva detto di prepararle...

Meratti                   - Sì... Lo so... Ma noi si cena fuori... Portami il registro...

(Assuntina esce. Torna col registro- Intanto Meratti è già seduto alla tavola, ha inforcato gli oc­chiali. Poi apre il quaderno, e inizia la so­lita registrazione di conti, come ogni sera. Pausa).

 (Poi sulla soglia della porta a sinistra riap­pare con la valigia « Quella ». È accasciata.

 Si trascina, quasi. Meratti finge di non ve­derla).

Quella                     - (quando è nel mezzo della stan­za, alle spalle di Meratti) Mi hai fatto perdere il treno... Ora sei contento?

Meratti                          - Io?... - Puoi fare ormai quello che vuoi...

Quella                     - Oh! Certo... Domattina... All'alba sarò in viaggio...

Meratti                          - E allora?... Anzi, sincera­mente, sono scontento che tu sia qui... Per­ché, visto che ci avevi lasciati liberi, avevo de­ciso di cenare fuori stasera... L'avevo detto anche a Nino...

Quella                     - Ecco, sì: io vi sarei tanto gra­ta se cenaste fuori... Poiché - non si sa mai - una parola tira l'altra... E stasera, sai, stasera... (si toglie lentamente il cap­pello, lo depone sopra una sedia, tutta as­sorta nel suo pensiero, estranea, indiffe­rente).

Meratti                          - (s'è levato dalla sua tavola: s'è messo il cappello: la guarda, poi con ironia) Beh! E allora buona notte... E buon viaggio...

Quella                           - (senza volgersi) Grazie! Buona notte...

Meratti                          - (esce lentamente).

Quella                           - (siede, s'abbandona al suo fanta­sticare: è interrotta da Nino che entra dal­la destra).

Nino                              - Oh! Mamma, sei qui?... Non sei, dunque, partita?

Quella                           - Parto domattina, all'alba...

Nino                       - Ah! (pausa) Allora...

Quella                           - Va', figliolo... Va col babbo...

La voce pi

Meratti                          - Nino, dove sei? Vieni o non vieni?

Nino                              - Vengo, papa... Vengo... (mentre si avvia alla porta di sinistra) Allora... Buona sera, mamma... (esce).

Assuntina                      - (dalla porta di destra) Deb­bo preparare la cena solo per lei, signora:

Quella                           - No... No... Niente cena... Pre­parami, più tardi, una tazza di té e porta­mela in camera mia...

Assuntina                      - Sta bene, signora... (esce).

Quella                           - (è sola, nella casa deserta: si guarda intorno: s'accovaccia come se l'imma­gine dei suoi piccoli finalmente dal silenzio le fiorisca dinanzi, ed ella possa giocare, ridere, con essi: sono lì presenti, vivi, per il miracolo della sua spasmodica rievocazione. Li vede) I miei ragazzi... I miei ragazzi...

CALA LA TELA

ATTO SECONDO

Lo studio di Bernardo Rostagni. Una porta a sinistra, una a destra. Alla parete di fondo il ritratto di Sandrìno Rostagni.

Sono adunati i parenti: il fratello Camillo, le sorelle Lisabetta e Corinna, il cognato Rangoni, Quando s'alza la tela sono tutti se­duti in silenzio. Bernardo Rostagni li guarda.

Bernardo                 - Dunque?... Ma è possibile che nessuno parli?

Lisabetta                       - E che dovremmo dire?

Bernardo                       - Per tanti anni mi son sentito ripetere: - Se tu non ti fossi mostrato co­sì inesorabile con tuo figlio, se ci avessi consultato... - E allora, in questa sciagu­rata occasione, prima di muovere un passo, vi chiamo, si decide nel senso che sapete: Corsari torna, ci comunica che a un inter­vento di quella donna non c'è da pensare. Vi si chiede la vostra opinione, e tutti tacete...

Rangoni                        - (timido) Io...

Bernardo                       - Su: parla...

Rangoni                        - Io mi rimetto a quello che di­ranno gli altri... Dal resto io non ho avuto figli e un giudizio esatto sopra una fac­onda di questo genere non saprei darlo...

Bernardo                       - Ma, scusa, non sei tu che in un primo momento hai proposto di rivol­gersi alla madre?

Lisabetta                 - Fu proprio lui...

Rangoni                        - Vuoi dire che ho dato un con­siglio sbagliato... Volete farmene una col­pa?... Io almeno un consiglio l'ho dato, ma voi? - E, in fine, caro Bernardo, vuoi sa­pere la verità?... Prima c'era l'avvocato, e non si poteva parlare: ma, ora, fra noi... Io sono il meno interessato in questa storia: io fo parte della tua famiglia perché ho sposato la povera Fanny, ch'era vostra sorella... Ma io mi chiamo Rangoni... Siete voi (alle due donne) che portate ancora il nome della vostra casa... È tuo fratello...

Camillo                         - Io?

Rangoni                  - Non ti chiami Rostagni? Scusa...

Camillo                   - Rostagni per modo di dire... Di Rostagni che contino non c'è che lui... Io vivo a Milano: dimenticato: nell'om­bra... Ma la verità non è quella che tu hai detta: è un'altra: noi chiacchieriamo, ma lui ha già deciso ciò che si deve fare... È inutile che perdiamo tempo...

Rostagni                 - Sei sempre lo stesso tu...

Camillo                         - Come se non ti conoscessi... Come se quelle due disgraziate non fossero della mia stessa opinione... Non parlano perché non hanno parlato mai... Vuoi che ti dica io, ciò che pensi?

Bernardo                       - Dillo... Sentiamo...

Camillo                         - Visto che non sei riuscito ad appiopparla a sua madre tu pensi di con­segnare tua nipote o a Rangoni, o a Corinna e a Lisabetta, o a me... Per conto mio mi rifiuto...

Lisabetta                       - Anche noi...

Rangoni                  - Io l'ho già detto: sono il me­no interessato...

Bernardo                       - Ed io vi ringrazio: dovevo giungere a settant’anni per constatare che io non ho famiglia: che sono solo...

Camillo                   - Tu? Tu l'hai voluto...

Rangoni                        - Taci Camillo...

Camillo                         - Ma perché? Abbiamo i capelli bianchi e dobbiamo burlarci ancora? Ma che ha fatto lui per noi... Voi due vi siete risecchite come due aringhe perché vi ha impedito di sposarvi... A te con la sua au­torità poteva procurare quelle soddisfazioni che si dovevano a un uomo che ha raggiun­to il tuo grado nell'esercito... Bastava una parola del senatore Rostagni... Ti ha ridot­to, invece, a coltivare garofani in quei quat­tro campi che circondano la tua villa a Mon­te Mario... - A me, quando viene a Mila­no, offre la colazione al « Continental »... Ciarliamo del più e del meno, eppoi, « ad­dio»... Come due estranei... - E parla di fa­miglia, lui! E si lamenta d'essere solo... Senti: io sono qui di passaggio, e tua nipo­te l'ho vista solo una volta: è come se non la conoscessi... Ma scommetto che se le chiedessi le ragioni... per le quali s'è buttata nella sua pazza avventura mi rispondereb­be che qui, tra queste mura, moriva dì freddo: come siamo morti tutti di freddo, noi... Anche tuo figlio... Fuggì perché sotto le tue grinfie non resiste nessuno... E si cer­cò un po' di caldo fra le braccia della pri­ma donna che gli capitò: e che forse seppe amarlo... Fece benissimo... E ha fatto forse benissimo anche sua figlia... a buttarsi sul primo uomo che...

Bernardo                       - Basta: non ti permetto di par­lare così...

Camillo                   - Già! Appena si dice una ve­rità, qui s'appicca il fuoco alla tappezzeria... Ma voi avete voluta la mia opinione? Ed io l'ho detta.... Ora me ne posso andare... La seduta è sciolta...

Rangoni                        - No... Fermati- Non potete lasciarvi così... Suvvia! Siete due fratelli...

Camillo                   - Non ti preoccupare... Non ci sarà nulla di mutato fra noi... È vero, Bernardo?... Appena passerai da Milano, mi inviterai al «Continental »... Perché da die­ci anni il direttore dell'albergo ha l'ordine di telefonarmi... E se una volta io mancassi alla tavola del senatore, il cameriere po­trebbe pensare che fra i fratelli Rostagni può essere nato qualche dissapore... Mentre tutto dev'essere in regola... Almeno per gli estranei... Questa è la ragione perche la fi­glia di Sandrino che ha fatto uno scandalo, non può più stare qui, in questa casa: a ca­sa mia, sì, a casa vostra, sì, a casa di quella donna cui l'ha strappata bambina, sì, ma qui, no... Questo è il tempio...

Bernardo                 - È il tempio... È il tempio... E io non tollero che vi rimanga chi lo in­fanga...

Camillo                         - Non esageriamo!... Se Io scan­dalo non fosse noto...

Bernardo                       - Si capisce: in certi casi l'oc­chio del mondo... (è interrotto dalla voce di « Quella »).

La voce di

Quella                           - Ma no, avvocato... Io entro... È inutile che lei...

Tutti                              - (si levano in piedi).

Quella                           - (entrando d'improvviso, seguita dall'avvocato Corsari) Insomma è inutile che lei tenti d'opporsi... (a tutti) Domando scusa... Buon giorno... Mi scusino... Ma è da ieri che io non vivo più... Ed ecco, lui m'incontra per la strada, e giù al portone mi dice che non sa se loro potranno rice­vermi subito... Eh, no, caro avvocato... Mio marito mi ha già accennato... E io voglio vedere la mia bambina... Voglio vedere la mia bambina...

Corsari                          - Si calmi, signora... È per que­sto che l'abbiamo chiamata... È vero signor senatore?...

Quella                           - Ah! È lei... Il senatore Rosta­gni... Lei che non ha voluto mai ricevermi ne! suo palazzo, lei il padre del mio      (vede alla parete il ritratto di Sandrino Rostagni) Sandro... Sandro... (d'improvviso si chiude in un cupo silenzio) Mio...

Tutti                       - (si volgono a guardare il ritratto).

Quella                           - (a se stessa) Sandro... Il mio povero Sandro....

Corsari                    - Ecco, vede: se avesse seguito il mio consiglio...

Quella                     - No: me lo lasci guardare... È come se mi accogliesse lui, qui, in questa casa....

Camillo                   - (avvicinandosi a Quella) Sì segga, prego... (offre da sedere).

Quella                     - Chi è lei?

Camillo                   - Io sono Camillo Rostagni...

Quella                           - Grazie... Lei è lo zio... Camil­lo... Lui mi parlava spesso di lei... (quasi celando a se stessa l'immagine del marito). Lei capisce, eh?: a trovarsi, così, di fronte, d'improvviso..." Io ho sempre una sua pic­cola fotografia, ma s'è cosi sbiadita... E al­lora...

Lisabetta                       - (tagliando netto) ... E allora noi possiamo andare, Bernardo? Non credo che la nostra presenza... Andiamo, Co­rinna...

Corinna                         - (timidamente a Bernardo) Ber­nardo, se vuoi che io resti...

Bernardo                       - Grazie Corinna... Non distur­biamo Lisabetta...

Quella                           - (mentre Lisabetta e Corinna escono con un tono un po' ironico) Zia Lisabetta... (Lisabetta s'impettisce ed esce rigi­da seguita dalla sorella).

Bernardo                       - (a Rangoni e a Camillo) E anche voi, se volete... Tanto C'è qui l'av­vocato...

Rangoni                        - (dopo uno stretta di mano, esce).

Quella                     - (guarda Rangoni con la stessa aria canzonatoria con la quale ha seguito Lisabetta).

Camillo                   - No... Io resto qui...

Quella                     - Grazie, zio Camillo.... Lei sta­va a Parigi, allora! E lui mi diceva: - Se torna lo zio Camillo le cose si accomode­ranno.... - Ma lei non tornava mai...

Camillo                   - Sì, ma ora non. è più il caso di parlare del passato... - Bernardo: qui c'è... la mamma di Marghe...

Bernardo                       - (dominandosi) Io ringrazio la signora d'essere venuta: l'avvocato Corsari mi ha riferito in quale difficile situazione ella si sia trovata... E come subito abbia aderito....

Quella                           - No! No... Questo no, per la ve­rità: io ho subito detto male di lei, signor senatore... Poi ho creduto che lei mi chia­masse per premiarmi di questi venti anni... di silenzio, di rassegnazione... Ma non aveva essere così: perché c'è della gente che una gioia - che cos'è una gioia! non la deve avere, perché è destino che non la debba avere...

Bernardo                       - Non è lei sola, signora, a su­bire questa condanna... Anche io non pos­so dire d'essere nel numero di quelli che la gioia l'incontrano ad ogni passo... E quan­do questa constatazione si deve fare a settant'anni, coi capelli bianchi, è grave... è molto grave.... Tuttavia... Lei sa perché l'abbiamo chiamata...

Quella                           - Io no... Appena... Così! Mio ma­rito, ieri sera, mi ha fatto intendere, così, come fa lui... È un uomo che a cavargli di bocca una parola!... Del resto, signor sena­tore, l'importante è che io sia qui... Ho preso il primo treno: quello delle sette: non ho potuto prima... Perché, lei, avvocato, ha visto che iersera: mio marito non vole­va lasciarmi partire...

Corsari                          - E infatti io non credevo che lei avrebbe potuto...

Quella                           - Ah, no!... Con me: con me non si scherza... Quando voglio una cosa, nem­meno il diavolo può trattenermi... Si figuri, poi, mio marito... Sarei partita a costo di passare... Insomma, eccomi qui... (con una qualche fierezza) Al mio posto, signor se­natore...

Bernardo                       - Ognuno, per quanto gli spet­ta di responsabilità, credo che sia al suo po­sto, qui, signora... Io ringrazio mio fratel­lo Camillo che ha voluto rimanere al mio fianco.... Ringrazio l'avvocato Corsari per l'assistenza...

Corsari                          - Prego, senatore....

Bernardo                 - ... davvero fraterna.... È a lui che dobbiamo il suo intervento, signora: non si può negare che si trattava d'una missione difficile...

Quella                           - Perché, signor senatore?...

Bernardo                 - Perché, dopo tanti anni...

Quella                     - No, signor senatore... Per me è come se non fossero passati... Tutto quel­lo che è venuto dopo non conta... Ma come si fa! Quando la vita si ferma!... E la mia s'è fermata... L'ho amato, io, zio Camillo... Sapeste quanto l'ho amato... E lui.... Lui, poveretto! Se fosse vissuto lui! (piange in silenzio).

Corsari                          - (avvicinandosi, cauto) Ora, pe­rò, bisogna farsi coraggio, signora... E biso­gna che lei metta tutta la sua buona volon­tà ad aiutarci... Io oso interpretare il pen­siero dei mio amico senatore Rostagni, per­ché meglio d'altri conosco i suoi sacrifizi e la sua abnegazione... Egli ha compiuto ver­so i figli di suo figlio tutto il suo dovere... Li ha educati all'estero...

Quella                           - Per tenermeli lontani...

Corsari                          - Li ha fatti viaggiare... Li ha preparati, insomma, a quella vita degna del nome che portano...

Quella                           - (meccanicamente) Grazie...

Bernardo                 - (c. s.) Era mio dovere!

Corsari                          - II signor Guido ha studiato a Oxford... Ed entrerà presto in diplomazia... È la carriera più brillante che oggi si possa offrire a un giovane... La signorina Mar­ghe...

Bernardo                       - (lento e severo) Permetta, av­vocato... L'altra non ha corrisposto, come si sperava... L'altra...

Quella                     - Che ha fatto «mia figlia»?...

Bernardo                       - L'avvocato è persona di fa­miglia... (con altro tono, di scatto) Del resto lo sanno tutti, è inutile che ci inganniamo...

Camillo                         - Bernardo!

Bernardo                       - Ditelo voi alla signora... Io non ho la forza di fingere... Io non posso assistere a queste scene... Mi si viene a pian­gere di fronte al ritratto di mio figlio, quan­do questa donna è l'origine di tutta la ro­vina della mia famiglia... - Perché anche io, lo sappia, mi son fermato a vent'anni fa... E non perdono: no: non perdono...

Camillo                         - Ma insomma, Bernardo... Che dici... Allontanati, piuttosto...

Quella                           - No: un momento... (dominan­dosi) Io, forse, ho avuto il torto di dimen­ticare che mi trovavo di fronte a lei... Ma, giacché le mie lacrime le danno fastidio, vuoi dire che le asciugheremo... Si fa tanto presto: ecco fatto: con un fazzoletto... Dunque, lei non perdona! Ma io non sono venuta a chiederle perdono... Io, invece, po­trei essere venuta per chiederle conto dì ciò che ha fatto di mia figlia...

Bernardo                 - (c. s.) Che cosa ho fatto di sua figlia? Sua figlia mi ha tradito.... Sua figlia è indegna di portare il mio nome...

Camillo                         - Bernardo, non così: finiscila...

Bernardo                       - Ma lasciatemi dire... Io ho avuto il coraggio di far morire sulla paglia mio figlio... .

Quella                           - Bel coraggio!

Bernardo                 - ... figuratevi se non mi sen­to di buttare fuori della porta... la figlia di questa signora...

Quella                           - Lo faccia presto, signor sena­tore... Ci sono io sulla porta a prenderme­la... E se no, perché esisterebbero le madri! È questo dunque che voleva? Le togliamo subito l'incomodo... La chiami... E non c'è bisogno che lei mi dica ciò che ha fatto... Me lo dirà lei stessa... - Lei, però, avvocato, ora se ne va: io la ringrazio, ma lei se ne va: e anche lei, zio Camillo; ce la sbri­ghiamo fra noi: io e mio suocero... Sì, mio suocero... Poiché lei è mio suocero... È un suocero che s'azzuffa con la nuora, ma è mio suocero... Ed io, finché sono qui, mi sento un poco in casa mia... E non permet­to che si parli di mia figlia e di me come fa lei... (indicando il ritratto) È lui che me lo ordina... Mi ordina anche di farmi rispettare, me e la nostra figliola... Perché se fos­se vivo lui, lei non parlerebbe come ha par­lato né di me, né di sua figlia...

Bernardo                       - Se fosse vivo lui, io non mi troverei in questa situazione...

Quella                     - E neppure io, signor senatore! E neppure la mia bambina... Forse...

Camillo                         - Bene! Molto bene! E ora? Io vorrei sapere, giunti a questo punto, come volete seguitare... Avvocato, accompagni di là mio fratello...

Bernardo                       - Lascia fare, Camillo! Sono io che debbo rispondere... Riconosco di esser­mi fatto trasportare a un eccesso che deplo­ro, e se sono desolato... Ma ora gradirei che tanto tu, Camillo, quanto l'avvocato mi la­sciaste solo qualche momento con la si­gnora...

Camillo                         - Come vuoi, Bernardo... (esco­no Camillo e l'avvocato Corsari).

Bernardo                       - Senta, signora: perché noi si possa parlare con una relativa serenità è ne­cessario che si depongano per il momento Ì vecchi rancori... E si guardi, invece, a quel­li che sono i problemi d'oggi, più urgenti e più pratici... Parliamoci chiaro: due mesi fa Guido, come già le ha detto l'avvocato, ha ultimato i suoi studi in Inghilterra... Al­lora io ho provveduto perché con sua so­rella tornasse in questa casa che - ad onta di quanto è accaduto in altri tempi - re­sta sempre la casa del loro padre... Io non ho che a lodarmi del ragazzo: le confesso che l'ultimo filo al quale s'attacca questa mia vita che non è sempre stata felice...

Quella                     - E la mia, signor senatore?...

Bernardo                       - Anche la sua sarà stata infe­lice... Vuoi dire che si tratta di due vite in­felici... Con la differenza che... - Ma s'è detto che non bisogna rivangare il passato! Consideriamolo come una cosa morta, che sta nel fondo degli anni, sepolto! E resti, lì, sepolto!... - C'è un presente, invece, ch'è vivo, e d'improvviso ci avvicina, ci mette di fronte, e costringe me e lei a parlare di qualche cosa che francamente...

Quella                           - Dica, signor senatore...

Bernardo                       - ... mi repugna!... - Una setti­mana fa, sua figlia è scomparsa da questa casa...

Quella                           - No!

Bernardo                       - Sì: scomparsa! Ma poi è tor­nata: non s'allarmi: tre giorni fa...

Quella                           - Dove è andata, signor senatore?

Bernardo                       - Lo sa lei?

Quella                           - Come posso saperlo?...

Bernardo                       - E neppure io lo so... Scom­parsa, portandosi via una valigetta e il gram­mofono...

Quella                           - II grammofono?...

Bernardo                       - Già: perché lei non sa: sua figlia vive col grammofono: mangia, beve, dorme col grammofono... Dice che in Ame­rica, in Inghilterra, s'usa così...

Quella                           - Ebbene?... Ma non mi pare che questa sia una cosa importante... È una ra­gazzata...

Bernardo                       - Già: non parrebbe che una ragazzata... Ma è un segno... di tutta que­sta gioventù che balla, balìa, balla... Non fan­no che ballare! È tutto uno smodato deside­rio di divertirsi, sempre, dovunque: è un ritrovarsi ad ogni ora, col pretesto del ballo... E da questo a compromettersi, che ci vuo­le?... È un passo... Sua figlia, signora, oggi è in condizioni che se un gentiluomo volesse sposarla!... Ha capito? Insomma, siamo allo scandalo... E per la seconda volta nella mia vita debbo curvare il capo e arrossire per la vergogna che entra nella mia casa... (s'apre una grande pausa).

Quella                           - Ma è sicuro che la cosa sia così grave...

Bernardo                       - Oh! non c'è dubbio... C'è stata una sorpresa in un piccolo albergo... E solo perché portava il mio nome mi è stata ricon­dotta a casa, e i giornali non ne hanno par­lato...

Quella                     - E chi è l'uomo che... Lei non può dirmelo?

Bernardo                       - Glie lo direi, se lo sapessi! (con ironia) Lui è fuggito e lei, sì.. La si­gnorina si circonda di mistero...

Quella                           - E lei, lei che può tutto non è riuscito...

Bernardo                       - Ho tentato tutte le strade! Neppure a suo fratello ha parlato... A suo fratello, tanto perché non pensassimo che era andata a finire nel Tevere, ha scritto un breve biglietto per dirgli che la lasciassero in pace!... Ha avuto persino quest'impuden­za... Poi si è ripresentata qui, lei e il gram­mofono... Ed ora sta tranquilla nella sua ca­mera: fa colazione, pranza, sola: legge ro­manzi, passeggia nel giardino, gioca coi cani... E tace... Sì, tace! Ecco le ragioni per le quali io l'ho chiamata... Ecco che cosa ha fatto, ecco che cos'è sua figlia...

Quella                           - (umiliata) Sì, è una cosa orribile, signor senatore... Tanto orribile e grave che io le chiedo perdono per lei... Ma pensi che è una bambina...

Bernardo                       - Una bambina?... Ha vent'anni... È più alta di lei...

Quella                     - Sì, certo!... Ma chissà come l'hanno ingannata!... Che ci vuole a far girare la testa ad una ragazza...

Bernardo                       - Già... Una volta è la ragazza che fa girare la testa all'uomo: un'altra è l'uomo che fa girare la testa alla ragazza... E la vita diventa tutto un carosello!... Eh, no, signora: c'è della gente cui la testa non gira... Io l'ho tenuta sempre ferma sulle mie spalle...

Quella                     - E perciò, signor senatore, lei parla così...

Bernardo                       - Del resto è inutile che ci per­diamo in commenti... Quale che debba es­sere la soluzione di questa faccenda, resta di fatto che, dopo quanto è accaduto, per sua figlia in casa mia non c'è più posto... E bisogna provvedere... E subito... Poiché, a parte quelle che possano essere le mie deci­sioni, che hanno tutto un carattere morale e sulle quali non transigo, la mia casa non può dare uno spettacolo di disordine: e per me, e per Guido, e per tutti quelli che abi­tano qui... E allora si taglia il ramo secco, e via... Chi non è degno, via...

Quella                           - E sta bene! E io ringrazio il Si­gnore che m'ha fatto vivere: se no chi lo raccoglieva il ramo secco?...

Bernardo                       - Vuoi dire che lo raccoglie lei,..

Quella                     - E se non c'ero io?...

Bernardo                       - Non so, signora... Ora c'è lei...

Quella                           - Ma io vorrei sapere che avrebbe fatto lei di mia figlia se non ci fossi io... - Lei ha ragione, signor senatore, ragione da vendere, ma non pensa che è più difficile te­nerseli che tagliarli i rami secchi... Lei invece sta sempre con l'accetta in mano... E taglia, taglia... Da tanti anni taglia... Ed è tutto sangue, questo, signor senatore, tutto sangue che cola... Ma perché? Perché? Non s'è stan­cato, ancora! E non s'accorge che l'unico a non ferirsi è sempre lei?...

Bernardo                       - Io?...

Quella                           - Non si ferisce, senta a me... Lei urla, strepita, ma non si ferisce mai... Sem­pre a posto: con la testa sulle spalle... E i massacrati son sempre gli altri: quelli che hanno torto, sì, quelli che sbagliano, quelli che amano sbagliando, non importa... Tutti giù... Senza pietà... Questo glielo dico non perché non voglia riprendere mia figlia: in tanto dolore, forse questa è una giornata di gioia per me! Ma non posso tollerare che lei parli, come ha parlato, della mia creatura: mia con tutti gli errori... S'è ricordato del grammofono, dei cani, dei romanzi, dei balli: e non s'è ricordato che era tanto piccola quando l'ha portata via dal collo della mam­ma: e che in tanti anni forse le avrà offerto un fiore; che l'avrà condotta per mano qual­che volta per le strade: che avrà scritto a lei le sue prime lettere, quelle lettere che non ha scritto a me... Questo avrebbe dovuto ricordare... Perché da questo le sarebbe nata dentro un poco di pietà e di tenerezza... Quella pietà e quella tenerezza che ora è qui... E che la difende anche se ha sbagliato, appunto perché ha sbagliato! È facile amare chi è degno, ma chi non lo merita... - Mi chiami mia figlia... Parlerò io con lei... E a me dirà tutto...

Bernardo                       - (freddissimo) E sta bene, si­gnora: è quanto desideriamo... Io potrei ri­sponderle che anche sua figlia avrebbe po­tuto ricordarsi di quanto ho fatto io per lei... Ma forse in questa casa, di memoria ce n'è poca... Che vuoi farci! - Volevo an­che comunicarle che con l'avvocato Corsari noi abbiamo provveduto a un assegno men­sile... E, se verrà il momento, a una dote...

Quella                           - Son cose che non mi riguardano, queste... Lei se l'è presa che aveva appena di che vestirsi, e così può restituirmela...

Bernardo                       - (suona il campanello. Al came­riere che è apparso sulla soglia) Chiamatemi mio fratello Camillo... (Il cameriere esce. Subito dopo entra Camillo) Ti prego dì dire a Marghe, che noi l'attendiamo...

(Camillo esce, rientra dopo qualche mo­mento con Marghe. A un cenno di Bernardo si eclissa dalla porta a destra).

Bernardo                       - (a Marghe) Ecco... Avvicina­ti... Questa signora è tua madre...

Marghe                          - (esita, poi va verso la madre e le tende la mano).

Quella                           - (stringe la mano: poi in un im­peto irresistibile, s'aggrappa alla figlia, la serra sul cuore, forte).

Marghe                          - (è rigida, pallida, non batte ci­glio: finalmente appena la madre si stacca da lei le si allontana d'un passo, e attende che Bernardo parli).

Bernardo                       - Tua madre sa tutto...

Quella                           - Sì... Tutto...

Bernardo                       - Tua madre ha una sua casa... E non si oppone a ospitarti.,.

Marghe                          - Io la ringrazio... - Ma chi ha deciso questo?

Bernardo                       - Io...

Marghe                          - Così: senza interrogarmi?

Bernardo                       - L'unica persona da interro­gare era tua madre, perché dopo quanto è accaduto poteva anche... rifiutarsi...

Quella                     - Io! no... Io no... Io ho accet­tato subito, Marghe: la prego di dirlo, si­gnor senatore...

Marghe                   - Le ripeto: io la ringrazio... Non si tratta di lei.... Si tratta che qui ancora non ci siamo capiti

Bernardo                       - Ma guardatela... guardatela...Dovrebbe curvare il capo, e invece è tutta una sfida... Ma io non cedo... Non ho1 pau­ra dì te... io...

Marghe                          - E neppure io ho paura di lei...Lei mi scaccia di casa?... E a me non mi importa niente... Sono pronta ad uscire in questo momento... Non appena fuori, sarò libera di fare quello che mi pare e piace...

Bernardo                       - Ecco: la sente?

Quella                     - No, Marghe, bimba mia, tuo nonno non ti scaccia di casa... Tuo nonno ti affida a me, Marghe...

Marghe                          - Mi dispiace: ma io non posso accettare...

Bernardo                 - E che vorresti fare, dunque?

Marghe                   - Voglio tornare in Inghilterra...

Bernardo                       - Per unirti a quel mascalzone...

Marghe                   - Non ho detto questo...

Quella                     - Signor senatore, vorrebbe la-scarci un momento sole? Vorrei parlare da sola con mia figlia! Vuole accordarmelo?

Bernardo                       - E sia!

Quella                           - (gli si avvicina e con trepidazione) La ringrazio... E le chiedo perdono...

Bernardo                       - (fissa la donna: poi le tende la mano: « Quella » la stringe, come a sanare tutto il passato: poi Bernardo esce).

(Ora sono sole la madre e la figlia. Marghe non s'è mossa. « Quella » ha seguito con lo sguardo Bernardo finché non ha varcato la soglia per uscire).

Quella                           - (avvicinandosi alla figlia che le volge le spalle) Se n'è andato... Ora puoi parlare...

Marghe                   - Ma non ho nulla da dire, io...

Quella                           - (toccandole le spalle) Sei più alta di me, Marghe...

Marghe                          - (sorpresa) Non so...

Quella                           - Fatti guardare... (la fissa. E ora non può più parlare, presa da una grande emozione) E Guido?.., Com'è Guido... È biondo?... Tu invece hai i capelli del povero papa... Lui giocava sempre con te... Avevi tre anni... Quando tornava la sera dal la­voro tuo padre ti metteva sulle ginocchia... E ti faceva saltare... Finché tu ridevi, ridevi... Ricordi?...

Marghe                   - Io non lo ricordo... Non ricor­do niente... Io so che.., lei...

Quella                           - Sì, dammi del lei: non impor­ta... È troppo presto per te darmi del tu...

Marghe                          - Lei non doveva venire... Ecco... Non si fa venire così una persona...

Quella                     - Ma io sono la tua mamma...

Marghe                          - Sì... Ma lei non doveva venire...

Quella                           - Perché?

Marghe                          - Per evitarsi una delusione... Io so di non essere quella che forse lei mi pen­sava...

Quella                     - Ma tu sei la mia bambina... Quando la mia bambina era felice, carezzata da tutti, non c'era bisogno di me...-E invece, ora...

Marghe                          - Io non ho bisogno di nessuno...

Quella                           - No, non così... Questa è super­bia, bambina mia...

Marghe                   - Eppoi: l'errore è in voi... In luì che ha fatto uno scandalo maggiore... Se invece di mettervi tutti dal vostro punto di vista...

Quella                     - Ci mettessimo dal tuo?...

Marghe                          - Capireste che tutto questo bac­cano è inutile...

Quella                           - Ah! Davvero?

Marghe                   - Io ne sono indignata...

Quella                     - Ma allora non è vero che tu...

Marghe                   - Sì... Ho fatto quello che le avranno detto... E con ciò, che vuoi dire?...

Quella                           - No... Non può essere ... Tu non sei così...

Marghe                          - Che ne sa lei di me...

Quella                           - So che hai nelle vene il sangue, sì, dì lui, che era un galantuomo: so che per tanti anni t'ho cresciuta diversa, qui dentro, da lontano... Non voglio che sia così... Non è possibile che sia così... Diciott'anni d'attesa per trovarmi di fronte...

Marghe                   - Di fronte alla vita...

Quella                     - Eh! No! La vita non è questa...

Marghe                          - Per lei...

Quella                     - Per rutti quelli che hanno un filo di sentimento... Diciott'anni per dar ra­gione a lui... Eh! no... Non mi dare questo colpo, per carità... Mi si spezzano le braccia...

Marghe                   - Oh! Certo... Se le cose sì ve­dono così... Capisco...

Quella                           - E dunque, se capisci, ascoltami, ragiona...

Marghe                          - Ma io ragiono benissimo... Pro­prio perché ragiono e non fo scenate siamo giunti a questo punto... E vorrei che si ca­pisse che non è per cattiveria, per mancanza di rispetto, per ostinazione, per ingratitudi­ne... Tutte grosse parole alle quali non sono abituata... - È che non sento d'aver fatto del male... Sento che la mia vita non si compro­mette per una sciocchezza cui do quell'importanza che può darle un ragazza educata come sono stata educata io... Insomma... È un mondo diverso, il mio!.., Io so che tante mie compagne, laggiù, bene o male, hanno fatto la loro esperienza, e vivono benissimo: e si sono poi sposate e sono delle ottime madri di famiglia... E perché dovrei considerare fallita la mia vita se ho visto che quella delle altre, non certo migliori di me, si è svolta, così, normalmente...

Quella                           - Ma no... Non parlare così, bim­ba mia: tu non sai che gli uomini...

Marghe                          - Non conosco, forse, gli uomini del mio paese... Ma io non voglio sposarmi con un uomo del mio paese...

Quella                           - Intanto mi dirai chi è questo mascalzone...

Marghe                          - Ma perché mascalzone?... Era un bravo ragazzo, un po' sventato... E forse mi è piaciuto per le sciocchezze che era capace di fare e che ha fatte... Ma unirmi a lui per tutta la vita: no... Non mi sono data a lui col pensiero di sposarlo... Mi piaceva e mi son data: senza preoccupazioni: senza patti.

Quella                           - Ma come?! Così...

Marghe                          - Sì, come una creatura giovane che ama.

Quella                           - Ma non parlare dell'amore tu: ma che ne sai dell'amore, se hai già dimen­ticato l'uomo che...

Marghe                   - No: non è vero... Ma lui con la mia famiglia non c'entra... Se venisse qui e dicesse: Sono stato io! - Io lo ne­gherei...

Quella                           - E non vorresti sposarlo neanche se venisse al mondo una creatura...

Marghe                   - Sarebbe figlio mio... Gli darei il nome mio... Quando si affronta l'amore come l'ho affrontato io, le responsabilità si assumono tutte, fino all'estremo... Così la penso io... Così sento io... E se non mi si vuole intendere non so che farci... Non pos­so mutare la mia natura, per far piacere a lui...

Quella                           - ...e a me...

Marghe                          - Non dico questo! - Ora poi mi si vuole impacchettare e seppellire in pro­vincia...

Quella                           - Da me...

Marghe                          - Ed io mi ribello... Io mi difen­do... - Mi dispiace che queste cose io abbia dovute dirle a voi, ma siete l'unica persona che m'abbia permesso di parlare... E di que­sto vi sono grata...

Quella                           - Riconosci, almeno, che la pre­senza di tua madre a qualche cosa è servita, è vero ?

Marghe                          - Certo... E voi potrete spiegargli ogni cosa... E così si metterà il cuore in pace...

Quella                           - Io?

Marghe                   - Ah! Io non gli parlo...

Quella                           - Nemmeno io posso parlargli, perché non posso difenderti: non lo posso più... Purtroppo anche io la penso come lui... Non sono d'accordo con lui quando ti scaccia di casa... Non si fa questo con una ragaz­za... Ma capisco che si ribelli al tuo modo di fare... Non può capire... Come non posso capire io... (con altro tono: decisa e un po' severa) Ma ora più che mai, tu verrai con me... Tu partirai questa sera con me...

Marghe                          - Con.,, lei?

Quella                           - Sì... Lei, voi, tu... Tu parti con me... Tuo nonno ti scaccia da casa ed io ti porto a casa mia... In provincia: in una casa molto semplice, molto modesta, molto bor­ghese... Non ci intenderemo i primi giorni... Poi spero che ci intenderemo... E riuscirai a darmi del tu... - In questo momento, hai anche tu la tua ragione... Una sola cosa tu non mi hai detto, e, bada, era la cosa più giusta. Dovevi dirmi: - Se volevate una donna che vi obbedisse, dovevate tenermi con voi... - Giustissimo... Ma tu sei giovane... E quello che non s'è fatto prima si può farlo dopo: si tenta, almeno, di farlo... Ricomin­ciamo... Sono qui per ricominciare, dopo averti chiesto perdono di averti lasciata sola a tre anni... Ho creduto di fare il tuo bene... Errore grande; mio e suo... Ma si è sempre in tempo: bisogna sperare d'essere in tempo, per riparare... C'è tutta la tua vita di fron­te... - E c'è questo cuore: che lo tengo stret­to perché non mi scoppi: che non si è offeso per tutte le tue parole che mi sono entrate qui dentro, come stilettate... Mentre parlavi mi dicevo: - lasciala dire... Ascoltala... Fal­la parlare... - Ed ora che hai parlato mi di­co: No... No... Portala via con te... Salvala tu, la tua creatura... Salvala... (avanza verso la figlia: è commossa: quasi vorrebbe ab­bracciarla).

Marghe                          - (arretra, riluttante) No: la­sciatemi...

Quella                     - Ma come! Non vuoi neppure che t'abbracci...

Marghe                          - Non so... Mi lasci...

Quella                           - (non dominandosi) Cos'è?! Hai vergogna di me forse? E non hai vergogna dì te... Di tutto quello che hai detto... dì quello che fai... Non m'abbracci? Non vuoi abbracciarmi?

Marghe                   - Io non so fingere...

Quella                           - Ma devi fingere... Hai il dovere di fingere... Devi capire che da un'ora ti sto di fronte sperando in una parola a cui ag­grapparmi... Perché voglio essere ingannata da te... Anche se non ti piaccio, anche se hai vergogna di me, del modo come sono vesti­ta, del modo come parlo: voglio essere ab­bracciata... Voglio che tu ti faccia baciare ….. Perché siamo una mamma e una figlia, e una mamma e una figlia non s'incontrano così...

Marghe                          - (quasi gridando) Ma che posso farci io, se qui dentro...

Quella                           - Lì dentro non c'è niente. Ti ho capito, sai! - Per nessuno, né per quel vec­chio che dopo tutto t'ha tolto dalla miseria e ti ha educata e ti ha data una vita da regina... Né per me che t'ho messa al mon­do, né per l'uomo che t'ha fatta donna... Per nessuno: non ci sei che tu, lì dentro, tu sola, con la tua superbia, con la tua pazzia, con la tua stupidità... Oh! Sì, perché sei stupida, sai... Hai studiato, hai viaggiato, ed io so appena leggere e scrivere... Ma sei stupida e ignorante...

Marghe                          - Io non vi permetto...

Quella                     - A chi non permetti...

Marghe                          - A voi.. Io non vi conosco...

Quella                           - E impari a conoscermi adesso... Ora che mi rivedi e riprendo il mio posto... Quel posto che ho tenuto tanti anni, chiu­so, qui, dentro di me: ho sacrificata la mia vita per custodirlo: per esserne sempre de­gna... E non vuoi dire se non ti sono stata vicina... Non t'ho abbandonata, no, perché se sei stata lontana da me, l'ho fatto pel vo­stro bene: per me, no: non ho chiesto mai nulla per me... E sono rimasta tua madre, ti piaccia o non ti piaccia... (avvicinandosi a Marghe e ghermendola per una matto)Ed ora te ne vieni con me...

Marghe                          - (ribellandosi) No... Con voi, a casa vostra, non vengo...

Quella                           - Ed io ti porto via, dovessi trasci­narti con la forza...

Marghe                          - (tentando di svincolarsi) Ma insomma... Io non vi conosco... Io non vi voglio come madre...

Quella                           - (nel parossismo, non pia padrona di sé, fa quasi per colpire la figlia) E tu osi dire questo... (è tutta protesa nel suo impeto) Io... ti...

Marghe                          - (con un grido) Non mi toccate...

Quella                           - (d'improvviso ritraendosi) Scu­sami...

Marghe                          - (a denti stretti) Io non sono abi­tuata a queste scene... Permettetemi di an­darmene... (s'avvia rigida verso la porta di destra).

Quella                           - (quasi balbettando) Scusami...

Marghe                          - (esce senza volgersi).

Quella                           - (è sola, tende la braccia verso la porta come a fermare l'immagine di sua figlia) La prima volta che ti vedo... e t'ho quasi battuta... Io... con queste mani... Marghe... Marghe... (avanza fino alla porta: è tutta un tremito, quasi s'accascia sullo stipite, ed ecco che volgendo lo sguardo per la stanza deserta s'incontra nel ritratto di Sandrino Rostagni) Come faccio, ora... Che debbo fare, ora... Aiutami... Dimmi tu... Aiutami tu... È mia... È mia, la colpa!... Lei, no: lei è la più infelice bambina del mondo, ed io t'ho tradito perché me la son fatta portare via... E tu non volevi forse... Non l'hai vo­luto mai... Ed è lei che deve colpire me... che deve schiaffeggiarmi... Così... così... Io sono la colpevole... Giudicami tu... Con­dannami tu, e se puoi, perdonami, tu... San­drino... Sandrino... Mi vedi? Ci vedi tutti quaggiù, a soffrire? A morire di pena?... Perché? Che abbiamo fatto... (entra d'improvviso Guido. Pausa. « Quella » non lai vede, raccolta nel suo dolore).

Guido                            - (alle spalle, avvicinandosi) Mam­ma...

Quella                           - (volgendosi, con. un grido) Gui­do... M'hai chiamato «mamma»!...

Guido                     - E come vuoi che ti chiami?...

Quella                           - (s'è aggrappata al figlio dispera­tamente) Chiamami ancora così! (ripete meccanicamente la parola « mamma », men­tre stringe al cuore Guido).

Guido                            - Su: calmati... Ho visto Marghe,., Marghe s'è comportata malissimo con te...

Quella                           - (fra i singhiozzi) No: pove­retta...

Guido                            - Sì: sì! Vedi: l'unica persona che Marghe stia a sentire sono io.. La persua­derò io... Non proprio come vuole il nonno... Ma a venire un po' di tempo da te...

Quella                           - (c. s.) Non importa, purché ven­ga... Perché io ho una piccola villa in cam­pagna... Ce ne staremo noi sole, lì.. E tu verrai a trovarci...

Guido                            - E sta bene! Ora andiamo... Io t'accompagno... A che ora devi partire?...

Quella                           - Alle tre...

Guido                            - Son le due... Vieni, faremo co­lazione insieme alla stazione... Andiamo...

Quella                           - (fa per avviarsi: poi si volge a guardare il ritratto di Sandrino Rostagni. Lo fissa. Batte sulla spalla il figliolo, come per dire «Questo è buono ». Poi s'avvia verso la porta) Sì, con te... Grazie, caro... Grazie...

CALA LA TELA

ATTO TERZO

La stessa scena del primo atto, qualche giorno dopo. Quando s'alza la tela Meratti è solo. Entra subito Assuntina dalla sinistra.

Assuntina                      - C'è... quello delle carte da parati...

Meratti                          - Chi?

Assuntina                - Quello delle carte da pa­rati...

Meratti                          - (con voce stentorea, in modo che lo si oda oltre la porta) Io non uso carte da parati... Io imbianco tutto a calcina... Io non ho ordinato carte da parati...

Quella                           - (che intanto è apparsa sulla porta di fondo) Le ho ordinate io... Fate entra­re... (Assuntina esce) È inutile che fingi di non sapere...

Meratti                          - Io non so niente...

Quella                           - Eh! Va bene... Non sai nien­te... (entra dalla sinistra un garzone con due rotoli di carta da parati).

Quella                     - Date qui... (svolge ì rotoli) Ma è possibile che in questo maledetto paese non si debba mai avere un servizio ben fatto? Io non ho ordinate queste, e lo sa benissimo il tuo « principale »! Lui ha fat­to venire queste perché deve fare sempre a modo suo... Portale indietro!... Questi car­ciofi li metta alle mura della sua bottega... Io ho scelto fiori... E fiori debbono essere... Del resto ho i campioni: ora passo io in piazza... (il garzone esce) E così perdiamo un altro giorno di tempo...

Meratti                   - Spese inutili... Quattrini get­tati dalla finestra...

Quella                     - Son denari tuoi? Invece di far­mi un vestito nuovo, e ne avrei bisogno perché tutto ciò che porto addosso non va più, addobbo la casa...

Meratti                          - Per ricevere la principessa...

Quella                     - La ricevo in casa tua? La rice­vo nel villino che ho comprato con la mia dote...

Meratti                          - Villino? Un casolare con quat­tro cipressi che fanno la guardia...

Quella                     - Ma c'è aria, c'è luce...

Meratti                          - (con ironia) ... e ci sono i pas­seri che cantano al mattino...

Quella                           - Sì, anche i passeri! Sarà bellis­simo! In questo siamo d'accordo... Del re­sto io e te abbiamo già tutto deciso: io ho fatto in modo che né tu né Nino abbiate noie di nessun genere: e tu ad ogni occa­sione, dai, dai, a ribattere il chiodo...

Meratti                          - Ma se io ne sono felicissimo!... Tu sei tornata da Roma ringiovanita: in tanti anni non. ti ho mai vista così arzilla e contenta...

Quella                           - E pare che questo ti dia fastidio... E tutto perché ho avuto a Roma una magnifica accoglienza... Magnifica, è inutile che tu sorrida... Questo ti da fastidio...

Meratti                   - A me? Figurati! Io penso... Non posso pensare?... Fumo, penso, e qual­che volta rido... Dì me: sai: non degli al­tri: di Sebastiano Meratti... (prendendo il cappello che ha lasciato sopra una sedia) Che ora si mette il cappello e se ne va pel paese: e tutti lo salutano, ed è come se di­cessero «Evviva, Sebastiano Meratti»! Os­sequi!... (esce dalla porta a sinistra).

Quella                           - Assuntina! (ad Assuntina che entra dalla sinistra) Tu, poi, c'era bisogno che facessi entrare quello della carta da pa­rati mentre c'era il signore...

Assuntina                      - Che sapevo io?...

Quella                           - Portami il pacco che è arrivato iersera...

(Assuntina esce. Poi torna con un pacco postale. « Quella », quando Assuntina è tor­nata ad uscire, lo apre: ne cava un «nécessai­re » da toletta, di vetro, d'un gusto molto di­scutibile. Lo guarda, lo ammira pezzo per pezzo. È sorpresa da Nino che entra dalla porta di destra; non fa. a tempo a riporre i pezzi nella cassetta).

Quella                           - Oh! Tu...

Nino                              - Mamma...

Quella                           - Che?

Nino                              - Io volevo parlarti... II babbo è uscito?

Quella                           - Sì... Dimmi, Nino...

Nino                              - (esitando) No... Niente... - Que­sto è un servizio da toletta?

Quella                           - Sì: ti piace?

Nino                              - Mi pare bello...

Quella                           - Capirai: non sì può fare una brutta figura... A te le posso mostrare que­ste cose... Ma se le vede lui... Bisogna fare tutto di nascosto... Tutto da Roma ho fatto venire... Anche Ì mobili per la sua camera da letto... Con i cataloghi si fa presto... Non credevo...

Nino                              - Quando giungerà?

Quella                           - Al massimo, alla fine della set­timana... Ma non credere, per questo, che io t'abbandoni, Nino...

Nino                              - No, mamma... Proprio dì questo ti volevo parlare...

Quella                           - Saresti geloso?

Nino                              - No: volevo dirti: fa ciò che devi fare... E non ti preoccupare di me... A casa c'è Assuntina... Eppoi...

Quella                           - Di'...

Nino                              - Ora che sarò più libero, io potrò andare più spesso da padre Soncini... Pa­dre Soncini aveva un progetto... E voleva che io te ne parlassi... Ma ora non hai tempo...

Quella                           - Di'...

Nino                              - No: ora non hai tempo per me...

Quella                           - Ora debbo andare a prendere pel collo quello de!le carte da parati... Ma tu sei pallido! Che hai?...

Nino                              - Niente...

Quella                           - (fissandolo lo paragona mental­mente a Guido) Assuntina!... (ad Assuntina che è apparsa dalla sinistra) Portami la borsa e il cappello...

Assuntina                      - Quello nuovo?

Quella                           - Si capisce... Nascondiamo in­tanto queste cose... (ripone e chiude a chia­ve in un cassetto il servizio da toletta. In­tanto Assuntina le ha portato il cappello e la borsa. Il cappello e un modello nuovo, diverso da quello del secondo atto: lo calza. S'imbelletta di fronte allo specchio) Mi sta bene ?

Nino                              - Sì, mamma...

Quella                           - E tu che fai? Non esci?

Nino                       - No: ripasso un po' di musica per domenica...

Quella                           - Arrivederci, allora... Torno presto... (esce).

Assuntina                      - Signorino, dimenticavo che poco fa, in piazza, Padre Soncini mi ha detto che lo aspetta...

Nino                              - Ah! Ti ha detto... Va bene... Appena torna mamma o papa ci vado...

(Assuntina esce. Anche Nino esce dalla porta a destra. Pausa. Nella casa deserta si udrà il suono del pianoforte sul quale Nino esegue un pezzo di musica sacra. Poi en­trerà Assuntina, dalla sinistra, seguita da Guido: è vestito con un cappotto d'auto­mobile),

Assuntina                      - Se attende, chiamo il signo­rino... (esce per la destra. La musica s'in­terrompe).

Nino                              - (rientra dalla destra, seguito da Assuntina che attraversa la stanza ed esce per la porta a sinistra) Vuole me?

Guido                            - Veramente!... (s'avvicina a Nino e gli stringe la mano) Guido Rostagnì...

Nino                              - Ah! Voleva la mamma allora!...

Guido                            - Parlo con Nino...

Nino                              - Sì...

Guido                            - Piacere!... Non c'è, la mamma?

Nino                              - È uscita, ma torna subito.,. Vuole aspettarla qui?

Guido                     - Potremmo anche darci del tu, no?

Nino                              - Come... Come vuoi.,.

Guido                            - Vogliamo aspettarla insieme?

Nino                              - Non so: se ti fa piacere... Vuoi... sederti ?

Guido                            - No: preferisco stare in piedi, sgranchirmi le gambe... Tre ore d'automobile... Avete delle buone strade qui: da non invidiare affatto quelle d'Inghilterra...

Nino                              - Non saprei, veramente...

Guido                            - Dunque, tu sei Nino! Abbiamo parlato molto di te con la mamma...

Nino                              - Ah! Sì?... Si sarà burlata di me...

Guido                            - Anzi... Dice che studi molto, che suoni... e che vai molto in chiesa.

Nino                              - Non è meglio che andare al caf­fè, o a giocare al bigliardo?

Guido                            - Perché? Il bigliardo è un bellis­simo gioco... Io sono un buon caramboli­sta... Nel nostro collegio facevamo tutti gli sports... E si giocava anche a bigliardo, quando pioveva e non si poteva andare all'aperto...

Nino                              - Sì: ma qui è un'altra cosa...

Guido                            - (battendogli sulla spalla) Nino! Quanti anni hai?

Nino                              - Diciassette...

Guido                            - Sei simpatico: ti credevo di­verso...

Nino                              - Anche io credevo diverso te...

Guido                            - E ora?

Nino                              - Eh! Che ti debbo dire?...

Guido                            - Che classe fai?

Nino                              - La terza liceale...

Guido                            - L'anno venturo andrai all'Uni­versità... E fra quattro anni sarai dottore in lettere...

Nino                              - Io?

Guido                            - La mamma mi ha detto che ti piace il latino...

Nino                              - Sì... Ma chissà se andrò all'Uni­versità... Dipende... Anche a me la mamma ha parlato di te... Di tutti voi... Siete stati buoni con lei... Specialmente tu: avete pran­zato insieme al ristorante.,. Sarà molto contenta di questa tua visita... È una sor­presa...

Guido                            - Già: non m'aspetta...

Nino                              - (non sapendo più che dire) E sei venuto in automobile...

Guido                            - Già: ho una piccola macchina...

Nino                       - E la guidi tu?

Guido                            - E chi vuoi che la guidi? Tu non sai guidare?

Nino                              - No: non saprei...

Guido                            - Ma tu suoni: cosa che io non so fare... Eri tu che stavi al piano quando sono entrato?

Nino                              - Sì... provavo uno studio...

Guido                            - Ti piace la musica?

Nino                              - Molto...

Guido                            - E allora, scusa, perché non studi musica? Bisogna fare ciò che si sente, sem­pre nella vita...

Nino                              - Se dovessi fare ciò che sento, io!... Tu, mi ha detto la mamma, hai avu­to la fortuna di girare il mondo...

Guido                            - Sì... Ho viaggiato...

Nino                              - Io invece, guarda... Ma tanto è inutile...

Guido                            - No: Di' Nino...

Nino                              - Anche io vorrei girarlo... Sì, ma non credere: niente avventure... Io mi son fatto un'idea della vita: solo: sì, perché nessuno ha pensato a me... Cioè: a me han­no pensato i miei maestri... Ed io vorrei andarmene, se potessi, per quella strada... Ma come faccio a dirlo a mia madre, a mio padre... Ci vuole molto coraggio... E siccome non l'avrò mai, farò sempre quello che vorranno gli altri...

Guido                            - Ma di', allora tu vorresti...

Nino                              - Vorrei farmi missionario... E ora che voi vi siete avvicinati alla mamma la cosa mi pare più facile... Senza volere, voi mi siete venuti in aiuto... La mamma è così contenta di avere qui... tua sorella...

Guido                            - Lo so...

Nino                              - Ho capito, sai, che in tutto que­sto tempo ha pensato tanto a voi... Certe volte io la vedevo strana, di malumore, e non capivo... Ora sì... E son convinto che, se io me ne vado, soffrirà meno di quanto pensassi: di quanto potevo temere...

Guido                            - Nino... Ma, e tuo padre?

Nino                              - Ah! Sì: mio padre, certo: gliene ho accennato... Ma c'è un padre più alto... E se t'ordina d'obbedire, come fai tu quaggiù...

Guido                            - E allora, se tu ci credi, sarà Lui che ti darà il coraggio...

Nino                              - Tu non ci credi?

Guido                            - Io?... Io farò il concorso in di­plomazia a ottobre: e lassù non ci sono legazioni. - Sicché non è improbabile che ci si debba incontrare un giorno in qualche pae­se della Cina o dell'Africa... Ti do appunta­mento, Nino...

Nino                              - Eh! Chissà! Ma ti prego, non una parola alla mamma, finché non avrò potuto dirglielo... Ecco la mamma che torna,..

Quella                           - (sulla porta, come se parlasse ad Assuntina) Direte che non ci sono, per nessuno! Scusami: sanno che sono andata in piazza, e non vengono a chiamarmi... E anche tu, Nino: questo figliolo mio è buo­no come il pane, ma è ancora un pulcino nella stoppa... Non l'hai fatto neppure se­dere...

Nino                              - È stato lui che non ha voluto...

Quella                           - Lui è un uomo di mondo, e avrà fatto cerimonie, e tu dovevi insistere... Qui non troverai una casa come è quella dove siete abituati voi... Ma qualche sedia c'è... C'è anche una tavola, e se vuoi un caffè e un liquore...

Guido                            - No, grazie, mamma... Per cari­tà, non t'affannare... Questa è una casa de­liziosa...

Quella                           - Macché; non c'è il gusto mio... Vedrai il villino...

Guido                            - Deliziosa... Sono giunto e sono stato accolto dalla musica...

Quella                           - Era lui che si preparava per la messa di domenica... Vedi: ti fai burlare...

Guido                            - Niente affatto!... Nino suona benissimo... parla benissimo... Ci siamo co­nosciuti e abbiamo fatto subito lega...

Quella                           - Merito tuo, caro... Anche l'al­tro giorno se non era per te... (riprenden­dosi) Cioè... Io non posso che essere con­tenta dell'accoglienza che ho avuta... L'ho detto a tutti... Ma ho anche detto che una speciale attenzione l'ho avuta da te... E la prova è che anche oggi chi sta qui? Tu... (a Nino) Tuo padre dice che io mi son rin­giovanita... E si capisce: io vivo, ora... Va, Nino, va a cercarlo nel paese... No... Vo­glio che venga: ti deve conoscere...

Nino                              - Sì, mamma.... (esce dalla sini­stra).

Quella                           - (appena sola con Guido, si appog­gia alla tavola come stremata di forze).

Guido                     - Che hai, mamma?

Quella                     - Sai: non t'aspettavo! Mi seggo... Sono un po' stanca... Perché in questi giorni su e giù dal paese al villino, a rifar tutto da cima a fondo: una fatica... Con gente, poi, che non sa far niente... E allora i quarantasei anni di tua madre si fanno sentire...

Guido                     - Tu sei giovane...

Quella                           - Sarei stata giovane ancora, se... Tu avrai capito che non ho detto una paro­la della faccenda di Roma, a nessuno... Io per loro, sono stata ricevuta con tutti gli onori... La storia dì Marghe s'è ridotta a una sciocchezza... Mia figlia passerà in que­sta casa, a testa alta, come una regina...

Guido                            - Ecco, mamma, di questo volevo parlarti...

Quella                           - No, no: non guardare questa consolle, quel divano, quello specchio... Non è roba per Marghe... Quando io mi sposai per la seconda volta - non so se te l'ho detto quella mattina a colazione - con la dote... Sì... Il senatore mi dette anche la dote... Io comprai una casa di campagna... È roba vostra... Perché quelli non sono da­nari miei... Ed ora se la godrà Marghe... Fino a quando vorrà... L'ho tutta rimessa a nuovo: mancano le carte da parato, ma ver­ranno domani... Marghe è giovane, ed io ho ordinato una carta tutta a mazzi di ro­se... Così la mattina si sveglia e la sua ca­mera è allegra... Ci sarà anche una stanza per te... Se vuoi venire... Ma tu hai tanto da fare...

Guido                     - Sentì, mamma... Volevo appun­to dirti: questa gita di Marghe sarà forse rinviata....

Quella                           - Come?

Guido                     - Tu sai che io e Marghe ci di­vidiamo il sonno!

Quella                           - Sì, lo so che siete molto uniti...

Guido                     - Ebbene, in questi giorni abbia­mo avuto dei lunghi colloqui... E abbiamo preso d'accordo qualche decisione. Avrem­mo potuto mandare l'avvocato Corsari a ri­ferire il risultato di questi colloqui... Ed io ho detto: no! andrò io dalla mamma... Ed eccomi qui...

Quella                           - Grazie, caro! Mi dici che Mar­ghe vorrebbe rinviare il suo arrivo... E te­mi che questo mi dispiaccia... Infatti... Ma sarei anche contenta di poter mettere su la casa come dico io... E allora chissà che questo ritardo non faciliti...

Guido                     - No, mamma! Quel giorno in cui ci siamo rivisti, dopo tanti anni, io ho sentito che tu avevi diritto, in qualunque modo, ad una riparazione...

Quella                     - Io? No... Io ho visto che uno dì voi correva un pericolo... E questo... Mi bastava per....

Guido                            - Tu, però, nei due brevi incontri non ti sei potuta formare una idea esatta della vita che io e Marghe abbiamo condotta in questi anni... La vita è fatta di af­fetti, sì, ma anche di abitudini... di rap­porti sociali... Di amicizie...

Quella                           - (dopo averlo fissato) Perché giri tanto al largo, Guido...

Guido                     - Ecco: vorrei spiegarti, in modo che tu potessi farti una ragione...

Quella                     - Tu stai per dire una cosa cat­tiva contro di me...

Guido                     - Infatti è una cosa che può ap­parire cattiva, e invece non lo è...

Quella                           - Marghe?!

Guido                     - Sì, mamma: Marghe è partita ieri per l'Inghilterra... (Pausa lunghissima).

Quella                     - E... per sempre?

Guido                            - Come se fosse per sempre... Ab­biamo tanto ragionato... e abbiamo deciso...

Quella                     - Ah, sì? Così: voi due soli...

Guido                     - S'è visto che quella era la stra­da migliore... O per lo meno più adatta a lei...

Quella                           - E suo nonno, sì, il senatore, ha consentito?...

Guido                     - Sono riuscito a fargli compren­dere che era la migliore soluzione per Mar­ghe.... Poiché...

Quella                     - ...poiché?!.... Parla...

Guido                            - ... poiché si rifiutava...

Quella                     - ... Di': di venire qui: da me...

Guido                     - Già!... Se la si fosse costretta, forse un giorno sarebbe fuggita, o sarebbe stata infelice, e avrebbe reso te infelice, mamma...

Quella                     - Ah! Me!

Guido                            - Del resto io la raggiungerò pre­sto... E spero di arrivare a una soluzione che per il momento s'impone: farle spo­sare quell'uomo... Poi, una volta sposata, farà ciò che vorrà...

Quella                           - Cosicché?

Guido                     - Già... Così, ho creduto di ve­nire io... Ho capito che era una grande pena per te... E ho voluto venire io adirti...

Quella                           - Grazie...

Guido                     - Marghe mi ha detto di portarti questa sua fotografia... (cava dalla tasca un ritratto di Marghe).

Quella                           - Grazie! (lo prende: lo preme nervosamente al seno; poi lo guarda) È somigliantissima... Somigliantissima....

Guido                     - Lo fece tre mesi fa, prima di partire da Londra...

Quella                     - È tornata a Londra... È natu­rale!... Lì ha le sue amiche... Le sue abi­tudini... I suoi rapporti - come dici tu - i suoi rapporti sociali... Ed ora tuo non­no è contento... Lei è contenta... E siamo tutti contenti... E lontani, come prima...

Guido                     - Ma resto io qui, a Roma...

Quella                           -Sì: ci sei tu... Quante ore hai messo a venir qui?

Guido                     - Tre ore circa...

Quella                           - E la volta ventura, vedrai, ci vorranno... dieci ore... venti giorni... dieci anni... circa... Forse giungerai quando non ci sarò più... Ora vedo tutto chiaro, davanti a me... Da oggi vi ho veramente perduti... Prima no... Dovevate dirmelo voi... Prima lei... Poi tu... Tu me lo dici in questo momento... Pare che esageri, no? Non esa­gero affatto... - Una volta stavamo seduti sopra un asse di legno, in giardino, io nel mezzo e voi due ai miei lati... L'asse a un tratto si spezzò... E voi, piccoli, cadeste, e vostro padre vi prese in collo per consolarvi... Questa volta sono caduta io, e...

Guido                     - Mamma, ma io ti prometto...

Quella                     - Sì... Tu mi prometti tante co­se... S'è spezzato l'asse, figlio mio... Ed io non posso prendermela con nessuno: nep­pure con quel vecchio... Eh, no! Perché or­mai sono d'accordo con lui...

(Dalla sinistra entra Sebastiano Meratti).

Guido                            - (inchinandosi) Permette?    - (gli si avvicina, gli stringe la mano).

Quella                           - (presentando il figlio) Mio fi­glio Guido! Ti ha atteso per salutarti... È venuto a dirmi che Marghe dovrà ritardare di qualche giorno il suo arrivo... E lui ha pensato che mi sarei preoccupata e allora e venuto... (e poiché Meratti guarda il ritratto) È il ritratto di Marghe... Così per questi pochi giorni è come se già stesse con me...

Guido                     - (impacciato) Io domando scu­sa, ma...

Quella                     - Tu vuoi partire... L'avevo in­vitato a colazione...

Meratti                          - Se vuoi restare...

Quella                           - No: non può... L'ho tanto pre­gato... Ma non può...

Guido                     - Infatti... Per le due dovrei es­sere a Roma... Sono le undici: in tre ore... Allora... (con intenzione alla madre) Arrive­derci...

Quella                     - Sì, caro... (lo bacia).

Guido                            - (dopo aver salutato Meratti) Mi dispiace di non poter salutare Nino...

Meratti                          - Grazie: ci penso io...

(Guido esce. «Quella» prende il ritratto di Marghe, quasi lo nasconde nel palmo della mano, va alla finestra, saluta).

Meratti                          - Sicché la Principessa verrebbe la settimana ventura...

Quella                           - È inutile che la chiami Princi­pessa... Chiamala Marghe e basta...

Meratti                   - DÌ': mi hanno detto che sta-mani alla stazione è giunto al tuo indirizzo il mobilio di una camera da letto...

Quella                           - Davvero?

Meratti                   - Non lo sai?...

Quella                     - Sì: Io so, l'avevo ordinato io... a Roma...

Meratti                   - E che altro hai ordinato?

Quella                     - Tante altre cose...

Meratti                   - Ma sei impazzita? Io ti met­to sotto tutela, sai?

Quella                     - Hai ragione: la tutela ci vuo­le! Immagina, per esempio, che io avessi già rimesso a nuovo la casa: il parato a fiori, i mobili moderni, un servizio di toletta, le lenzuola di lino fino: e me ne fossi già andata, lassù, ad aspettare l'arrivo di mia figlia... Lavando ogni giorno i vetri alle fi­nestre, spazzando ogni giorno la casa da cima a fondo, rimettendo ogni mattina i fiori freschi nei vasi... E ogni giorno, al po­meriggio, mi fossi messa alla finestra, con un ricamo in mano, a spiare la strada... Il primo giorno... Il secondo giorno... I! terzo giorno... Eppoi le settimane, i mesi, sem­pre lì, ad aspettare... dietro la finestra..

Meratti                   - Ma che hai?

Quella                           - Stammi a sentire: tu non ti sei mai accorto d'avere sposata una pazza?... D'avere dormito vicino a una pazza.... D'a­ver mangiato per tanti anni, alla stessa ta­vola, con una pazza?...

Meratti                   - Mi pare che pazza vai diventando in questo momento...

Quella                           - E invece è probabile che ora rinsavisca...

Meratti                   - Tu?

Quella                     - Eh! Chissà...

Meratti                   - Pazza eri e pazza resti! Ora, poi, hai raggiunto il colmo... Ed io ti la­scio fare: perché sono stanco... Non ho più voglia di lottare... È bastato che tu ti al­lontanassi un giorno da questa casa perché io capissi... Non so se te ne sei accorta; ma al tuo ritorno m'hai trovato diverso... È stato un riposo: una pace... E anche tu sei tornata felice, diversa... Come se tutti e due avessimo corso vent'anni per raggiungere questo giorno... E un passo avanti l'ho fat­to... Proprio quel giorno in cui sei stata fuori...

Quella                     - Che hai pensato, in quel giorno...

Meratti                   - ... che stavo benissimo lonta­no da te... E giacché anche tu pare che fossi della stessa opinione nei riguardi miei, quando mi hai annunciato che te ne sare­sti andata laggiù con tua figlia, mi son detto: - Ma guarda un po': avevamo due case, e non avevamo mai pensato ad usufruirne... - Pensa a quelli che non hanno due case: come fanno?!

Quella                           - Come abbiamo fatto noi per vent'anni...

Meratti                          - (dopo una lunga pausa) Og­gi poi quest'arrivo di tuo figlio... Non è contro di lui che parlo... Ma, vedi, d'una cosa ti prego... Evitami questi incontri...

Quella                     - Te li eviterò, non dubitare... (dopo una lunga pausa) Sai, Sebastiano, quanto costa quella camera da letto?

Meratti                          - Son cose che non mi riguar­dano...

Quella                     - Tremila! E allora è bene anda­re alla stazione e rimandarla indietro... Ba­sterà un lettino di ferro... Perché al villino ci andrò a stare io qualche giorno...

Meratti                   - E quando viene l'altra?

Quella                     - L'altra... Non viene più...

Meratti                          - E tuo figlio è venuto per dirti questo?

Quella                           - ...non viene più... (si apre una lunga pausa).

Meratti                          - Sicché... Ah! È per questo che parlavi... parlavi... Del resto io non avevo mai creduto che venisse... Una sola cosa rimpiango: che tuo figlio non t'abbia dato la notizia alla mia presenza. Gli avrei detto: - Senta, caro figliolo, lei prima di andar­sene, a nome suo e di sua sorella, deve rin­graziarmi dell'ospitalità che per vent'anni io ho loro offerto nella mia casa!

Quella                           - Che vuoi dire?

Meratti                   - Per venti anni mi sono stati fra i piedi: è come se avessero dormito in casa mia, è come se avessero mangiato alla mia tavola: per venti anni hanno usurpato il posto di mio figlio! Eppoi, alla conclu­sione, ti riducono così...

Quella                     - E come mi hanno ridotto? Ma io sto benissimo! - Se non fosse per la noia di quelle piccole spese che ho fatto... Uno rinuncia a tante cose per mettersi a parte un soldo... Andrò in campagna: que­sto sì...

Meratti                          - Ma io in questo momento non posso: i miei affari...

Quella                     - Ah! non con te: io vado sola...

Meratti                          - C'è Nino che potrebbe accom­pagnarti...

Quella                     - Sì, figurati se Nino lascia pa­dre Soncini, il latino, la chiesa. No... Vado sola...

Meratti                          - Abbiamo capito: ora si ricomin­cia la solfa della solitudine... E noi?... Che dovremmo dire io e Nino?

Quella                           - Già: è proprio quello che mi domandavo... Nino, non se l'è potuta sce­gliere una madre... Ma tu: una moglie!... Ed io non so capire come diavolo ti sia ve­nuto in mente di sposare me... Ma non c'e­rano altre donne, al mondo? Qualche buona ragazza che poteva farti felice, perché tu lo meritavi: tu sei un brav'omo, Sebastiano: ed eri anche un bel giovane... E invece chi ti sposi?... Una donna che sta con i piedi qui e con la testa... (indica un punto lontano) E per vent'anni ti sta accanto con i piedi qui, e la testa... E non t'è mai venuto l'impeto di levartela di torno in qualche momento dì rabbia?... Almeno sarei morta con l'illu­sione che quei due, lì, dall'altra parte... (d'improvviso si leva, va verso il mobile dove ha riposto il servizio da toletta. Trae dal pacco una fiala di vetro) Ti piace questa?... È ima delle cose che avevo fatto venire... Vedi... Guardala alla luce (conduce il marito verso la finestra) Vedi? (getta la fiala dalla finestra: s'ode il frantumarsi del vetro sulla strada).

Meratti                   - Che fai?...

Quella                           - Lasciami... Che fai qui, perché mi guardi?... Vattene: va a prender aria...

Meratti                   - (calmissimo) Ti guardo e mi dico: Quanto è ingenua ancora... Crede di far piazza pulita, rompendo un servizio da toletta... - E non vado via... Mi seggo e aspetto che Nino rientri; proprio per evi­tare che Nino ti dica qualche cosa, per la quale forse toccheresti con mano, veramente, ciò che, senza volerlo - diciamo pure, sen­za volerlo - hai fatto, qui, in questi venti anni... È una cosa che luì non ha detto a me... Ma io l'ho saputa da padre Soncini...

Quella                     - Che vuoi dirmi, Nino...

Meratti                          - Niente... Nino non vuoi dirti niente... Non ti dirà mai niente... Seguiterà a stare con noi, e non ti dirà mai niente... E con lui, bada, resterà l'unica cosa pura che fra tutta questa gente, me e te compresi, quelli di qua e quelli di là, sia apparsa nella nostra vita... Quando ti sarai asciugata le lacrime: non queste: quelle che verserai dopo, che saranno tante, guardalo un po' me­glio: più attentamente... Ti assicuro che ne vale la pena...

Quella                           - (annuendo meccanicamente) Sì... Sì... Ma ora esci, Sebastiano... Fa quattro passi prima di colazione...

Meratti                          - (un po' risentito) Già! (ripren­dendo il discorso con una punta d'ironia) Non è bello... Non è uno di quei ragazzi di cui si mostra in giro la fotografia... Ma può diventare bellissimo: basta montarsi un po' la testa!... Come hai fatto con gli altri.., Fallo un po' con noi... Anche con me: e vedrai che marito ti divento io... Un po' di fantasia, anche per noi: è capitale impiegato al cento per cento... Hai capito? Un po' di capitale, anche qui: di quel poco che n'è restato...

Quella                           - (ora cammina per la stanza come ebbra del suo dolore) Quello che è restato?... E che vuoi che sia restato!... Niente... Nien­te è restato... (Parla come a se stessa. Entra timido Nino. Vede sua madre che quasi non s'accorge della sua presenza).

Nino                              - (a parte, a Meratti) Papa: hai par­lato alla mamma?... Padre Soncini vuole una risposta... per una decisione...

Meratti                          - Sì... Sì... Va di là, Nino... Par­lerò io alla mamma...

Nino                              - (esce).

Quella                           - Che c'è?... Che decisione?...

Meratti                          - Niente... C'è che Nino ci chiede di mandarlo agli studi a Roma... C'è che, poi, vorrebbe andare nelle Missioni... Ecco...

Quella                           - Ah! (S'è fermata: tace) Nelle Missioni... Sicché... Sicché anche lui... Anche lui per la sua strada... E così tutto il sangue mio, via... per il mondo... E se ne vada an­che lui, dunque... Via... Via tutti... Meglio così... Sola (siede come stanca) Sola...

Meratti                          - (s'è addossato allo stipite della porta e la guarda) Beh!

Quella                     - Che vuoi?

Meratti                          - È pronto... Non vieni a tavo­la?... (e poiché « Quella » non risponde) Che hai?

Quella                           - (volgendosi e guardandolo, senza levarsi dalla sua sedia) Sola... Noi due qui, soli... Sebastiano... (d'improvviso rompe a ri­dere).

Meratti                          - E perché ridi...

Quella                           - Rido... (riversando il capo sulla spalliera della sua sedia) Mi viene da ridere... Ah! Ah! Ah!... Noi due soli... Te l’immagini?... Tutta la vita... Io e te, Sebastiano... Che vuoi che ti dica: mi vien da ridere... Ah! Ah! Ahi...

(È un riso spasmodico, quasi Isterico, di­sperato, sul quale cala la tela. L'uomo, fer­mo presso lo stipite, la guarda).

FINE