Questioni di famiglia

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QUESTIONI DI FAMIGLIA

QUESTIONI DI FAMIGLIA

Di Gérald Aubert

Traduzione di

Giulia Serafini

PERSONAGGI

Charles

Georges, il padre di Charles

Louise, la madre di Charles

Jean, il fratello maggiore di Charles

 

_______ 1 _______

Questa è la storia

Scena vuota.

Charles è solo.

Luce piena.

CHARLES (Al pubblico.)

Ecco. Questa è la storia. C'è stato il passato che non mi piaceva tanto e c'è il presente di cui non mi posso lamentare. (Pausa.) Oh, non dico di essere felice, no, è ovvio… Ma ho voluto certe cose e quelle cose, beh, le ho ottenute. Ho lottato, ho sofferto… Ma ce l'ho. Ecco. E' una forma di felicità abbastanza accettabile, no? (Riflette.) Insomma… Non lo so. E' complicato, eh! Certo. (Pausa.) Beh, mi presento: ho quarant'anni e sono uno scrittore. Con questo voglio dire che penso come uno scrittore, respiro come uno scrittore, mangio e bevo come uno scrittore… E per di più scrivo come uno scrittore. Insomma, cerco di fare più o meno tutto come uno scrittore. (Pausa.) E del resto, adesso che ci penso, mi viene abbastanza bene, visto che più o meno tutti mi considerano uno scrittore…

Buio rapido poi luce.

Charles ha cambiato posto e atteggiamento.

CHARLES

Mi chiamo Dram… (Sorride.) Già… Dram. Charles Dram… Dram senza "a"… Esatto, sì… Senza "a"… Esattamente. (Con aria ispirata.) Un po' come se una storia triste si fermasse prima della fine. (Ride.) E' strano, lo so. (Spia una reazione del pubblico che non arriva.) Insomma, neanche tanto poi. (Pausa. Serio.) Dram è un cognome interessante, è… come dire? Che ne so… Si può immaginare… Il senso del dramma, il gusto del dramma. Queste cose qua, ecco. E' letterario. (Pausa.) E poi la "a" che manca, è più… cioè, è meno… Voglio dire, la "a" in meno, potrebbe significare… Come dire… Il tragico senza la catarsi… Felicità contrastata ma pure sempre felicità. In fin dei conti. "Una storia triste che si ferma prima della fine". Ecco. E' un po'… insomma, è come una… Beh, lo sapete che c'è?… Non è neanche questo… (Pausa. Come se rispondesse ad una domanda.) E' uno pseudonimo, sì, non lo nascondo. (Pausa.) Il mio vero cognome l'ho lasciato nel baule dell'infanzia comune. Mi piace tanto questa frase. (Assaporando le parole.) "Nel baule dell'infanzia comune". E senza rimpianti, devo dire. Ho tenuto soltanto il nome. Siamo fatti così, noi scrittori. La nostra originalità nasconde abbastanza bene le ferite. Dico ferite ma nel mio caso esagero un po', beninteso. Come uno scrittore. "La mia ferita è una piaga non grave e il mio dolore un piccolo mal di testa." (Ride.) Il mio vero cognome, insomma, voglio dire quello dei miei genitori che me l'hanno regalato con tanto calore, è Tessier. Charles Tessier. Oh, non è un cognome ridicolo, per carità, ma insomma, sono desolato, non è… (Secco.) Insomma, è così e basta. Adesso mi chiamo Charles Dram.

Buio rapido poi luce.

Charles adesso è seduto su una sedia.

Come se rispondesse ad un'intervista.

Scrivo da vent'anni, mi faccio leggere da dieci e mi pubblicano da cinque. Cosette, all'inizio, come tutti. Bisogna fare la gavetta. (Pausa.) Un lungo poema pubblicato a spese dell'autore, una pièce mai messa in scena, testi di canzoni senza musica, un giallo strano che tutti hanno trovato troppo strano… (Pausa.) Insomma, parecchio lavoro, sì, parecchi problemi… (Pausa.) No, non è il mio primo vero romanzo, ma è il primo che pubblico in buone condizioni… Insomma, voglio dire, con un grande editore. Dopo tutto questo tempo non è una fortuna, è quasi una consolazione. (Pausa.) Il romanzo si intitola Questioni di Famiglia. Ah, un altro aneddoto carino: ho trovato il titolo prima di scrivere il libro!

Ride poi smette bruscamente.

Pausa.

CHARLES

Oh, buonissime! Eccellenti, anzi!

Tira fuori un foglietto dalla tasca interna della giacca. Lo apre e lo legge.

CHARLES

"Una scrittura serrata, immagini taglienti, un tono ironico e tenero insieme, e anche se a volte…" (Legge rapidamente qualche riga mormorando. Poi, distintamente.) "… Un vero scrittore di talento." (Brandisce il biglietto.) Vedete, non mi posso lamentare.

_______ 2 _______

Ho messo molto di me stesso in Questioni di Famiglia

Buio poi luce.

Un salotto modesto nell'appartamento modesto di un modesto palazzo alla periferia est di Parigi.

Arredamento curato ma datato: credenza di teck, divano vagamente Luigi qualcosa, poltrone dello stesso genere, tavolo e sedie stile campagnolo, tappeto moderno degli anni Sessanta (figure geometriche sovrapposte.), riproduzioni alle pareti (un clown di Bernard Buffet in una cornice dorata, un sole tappezzato di Jean Lurçat, un disegno di Ricasso.), soprammobili slavi (matriosche disposte in ordine di grandezza, un samovar mai usato, un posacenere cosacco, un tagliacarte slovacco col manico a "zampa di capriolo".), lampadario a false candele con bracci audaci che illuminano di tutto e di più, libreria a vetri (opere complete di Hugo, Zola, Lenin, I Più Grandi Romanzi d'Amore della Letteratura.), un tavolino basso con sopra un vaso di Murano.

Una parte del salotto dà sulla cucina, un'altra sul corridoio.

Georges, il padre di Charles, è seduto sul divano.

Davanti a lui, sul tavolino, un vassoio con una teiera, delle tazze, un tovagliolo con dei biscotti.

Charles è appoggiato alla credenza.

CHARLES (Al pubblico.)

Ho messo molto di me stesso in Questioni di Famiglia.

GEORGES (Al pubblico.)

Un po' di se stesso e parecchio degli altri.

CHARLES (Al pubblico.)

E comunque tenendomi alla larga dall'autobiografia pura e semplice. Ci tengo a dirlo con tutta la forza della mia convinzione, io detesto l'autobiografia romanzesca.

GEORGES (A Charles, sorpreso.)

Ah sì?

CHARLES (Al pubblico.)

Nel mio romanzo difendo un'idea… Insomma, è più complicato di così, ma comunque… Difendo l'idea che in una famiglia non ci si ama. Insomma, voglio dire, non ci si ama nel modo giusto, non davvero, non completamente. (Guarda Georges che sospira e lo indica vagamente al pubblico.) Questo è mio padre. (Torna alla sua spiegazione.) E se non ci si ama, l'amore, appunto, diventa obbligatorio. Fa parte delle abitudini. Allora, per una specie di stupida cortesia, tutti si sentono in dovere di amare tutti. E comunque di dirlo o di crederlo. Ed è qui il problema.

GEORGES (Tra i denti, divertito.)

Ma che novità! Grazie signor André Gide!

CHARLES (Al pubblico.)

Non si ha il coraggio di ostentare la propria preferenza, allora cominciano gli imbrogli, la menzogna si insinua e si finisce per odiarsi sotto la maschera cortese della tenerezza filiale. (Pausa.) Così sembra complicato, ma nel mio romanzo è più semplice.

GEORGES (Al pubblico.)

Quando era ragazzo, si chiudeva in camera sua per ore, sbracato sul letto, con una penna in mano e un quadernetto a quadretti grandi a dieci centimetri appena dagli occhi. Quando sua madre o io aprivamo la porta, per chiedergli di apparecchiare la tavola o di andare a prendere il pane, lui nascondeva il quaderno sotto al cuscino in tutta fretta, ci guardava con l'aria vagamente idiota dell'adolescente che ha già scoperto l'amore ma non la persona da amare e poi, alla fine, si alzava con la pesantezza del condannato a morte che vengono a prendere all'alba. E allora diceva: "Vado a prendervi il vostro sporco pane!" E' sempre meglio quando le cose vengono fatte col cuore.

Charles si sposta e va ad appoggiarsi allo stipite della porta che dà sulla cucina.

CHARLES (Al pubblico.)

Questioni di Famiglia parla della fuga di un ragazzo che soffoca tra una madre possessiva ed un padre inconsistente. (Georges alza la testa e guarda suo figlio.) Lui fugge… Insomma, parte… E poi si fa una vita all'estero, da solo. Si immerge in parecchi lavoretti diversi per sopravvivere e tenta di diventare uno scrittore. Ma è uno strazio. Si ferma sempre dopo qualche pagina come se, per una strana maledizione, gli fosse proibita ogni creazione. (Con un tono di confidenza.) Nel frattempo intrattiene una relazione perversa con una donna sposata che ha vent'anni più di lui e molta immaginazione. (Pausa.) Beh, è vero che nel libro ci sono una o due scene un po' calde, ma insomma…

GEORGES (Al pubblico.)

Un po' calde, un po' calde… Bollenti, sì! Ci sono certi passaggi, io sono stato perfino costretto a fare dei disegni per capire!

CHARLES (Al pubblico, a voce più alta.)

E poi un giorno lui si rende conto, dopo alcune peripezie molto significative, che quello che lo corrode, insomma, forse, è la cattiva coscienza di aver lasciato i suoi.

GEORGES (Felicissimo, al pubblico.)

Questo è gentile.

CHARLES (Al pubblico.)

Quindi decide di tornare a trovare i suoi genitori. Ma ovviamente è pericoloso. Esorcizzerà il suo male oppure, semplicemente, annegherà nel suo passato?

GEORGES (Al pubblico.)

E' strano, io questo non l'avevo proprio capito, nel libro. Nel libro lui torna per vendetta. Per chiudere la bocca ai suoi ignobili genitori che non hanno creduto in lui. Gli dice: "Ecco cosa sono diventato malgrado voi".

CHARLES (Al pubblico.)

E quindi eccolo di ritorno. Suo padre sta morendo di cancro.

GEORGES (Al pubblico.)

Questo fa sempre piacere.

CHARLES (Al pubblico.)

Si lascia andare con ostentazione e trova rifugio nell'evocazione divertita di una vita irrisoria.

GEORGES

Che programma!

CHARLES (Al pubblico.)

Sua madre, a pezzi per la partenza dell'eroe, ha messo una croce sopra a quel figlio che l'ha abbandonata. Non ne parla più, molto semplicemente. Fa come se non fosse mai esistito.

GEORGES (Al pubblico.)

Questa è proprio un'idea da scrittore.

CHARLES (Al pubblico.)

C'è anche il fratello maggiore, che vorrebbe tanto l'armonia in mezzo al suo caos personale, e la figlia più piccola, una specie di personaggio cecoviano che moltiplica i fallimenti e crede in giorni migliori.

GEORGES (Al pubblico.)

Ha sempre voluto avere una sorella.

CHARLES (Al pubblico, pomposamente.)

La riunione di questo piccolo mondo dopo tanti anni rivelerà delle ferite segrete, e distruggerà l'anima candida della famiglia. Ci si sbranerà, ma su questo terreno incolto nascerà tuttavia una nuova specie di amore, magari meno filiale, ma più naturale.

GEORGES (Al pubblico.)

Come l'ha detto bene!

CHARLES (Al pubblico.)

Il romanzo finisce con la morte del padre e la certezza, da parte dell'eroe, di poter scrivere in piena libertà, finalmente senza più il peso della sua infanzia.

GEORGES (A parte.)

Un giorno si dovrebbero contare i romanzi che finiscono con la morte del padre. Il grande dizionario dei papa ingombranti che lasciano il posto. Il cimitero pratico della letteratura. Come se questo potesse cambiare le cose!

CHARLES (Al pubblico.)

Questioni di Famiglia è uscito ad aprile. E a settembre mi sono ritrovato sulla lista dei candidati al Goncourt.

GEORGES (Al pubblico.)

E' arrivato un giovedì sera di novembre, con l'aereo, veniva da Edimburgo. Vive da qualche parte lassù, in una casetta, in mezzo a un campo che non finisce più e che si confonde con una collina. Pare che sia una casa da scrittore. Un giorno ha mandato una foto della famosa casa e assomigliava a una casa qualsiasi.

CHARLES (Al pubblico.)

Un rapido weekend a Parigi, una trasmissione culturale in diretta alla televisione. Due o tre passaggi radio. E, ovviamente, una visita ai genitori. Una volta ogni cinque anni, non può far male.

GEORGES (Al pubblico.)

Eh no!

CHARLES (Al pubblico.)

Perché è la regola.

GEORGES (Al pubblico.)

Eh già!

CHARLES (Al pubblico.)

In generale, quando vengo, non va mai bene. In somma, non come vorrei che andasse. Non ci diciamo quello che conta e non andiamo d'accordo sul resto. Allora, visto che mi annoio, parto più in fretta, prima. Ma, almeno, ho fatto la mia visita. In più, invecchiando, mi rendo conto che sono sempre più sensibile al fatto di avere degli obblighi verso i miei genitori.

GEORGES (Al pubblico.)

E questo finirà sicuramente con un bel posticino in un ospizio.

CHARLES (Al pubblico.)

Che ci posso fare?

Charles si dirige verso una delle poltrone.

GEORGES (Al pubblico.)

L'ho trovato piuttosto cambiato fisicamente. Più massiccio. Più adulto. Più vecchio, ecco.

Charles si siede.

CHARLES (Al pubblico.)

I miei amici dicono che sono sempre lo stesso.

GEORGES (Al pubblico.)

Sono gentili.

Pausa.

Il padre ha in mano una teiera e riempie la tazza di Charles.

GEORGES (A Charles.)

E' the.

CHARLES (Fingendo interesse.)

Ah sì?

GEORGES

The inglese.

CHARLES

Ah.

GEORGES

Tua madre ed io abbiamo pensato che fosse una buona idea. Voglio dire fare il the.

CHARLES

Ah sì?

GEORGES

The inglese.

CHARLES

E' vero, è una buona idea.

GEORGES

Abbiamo pensato tanto, sai, tua madre ed io.

CHARLES

Ah.

GEORGES

Soprattutto tua madre.

CHARLES (Al pubblico.)

Mi sembra che gli tremi un po' la mano.

GEORGES (A Charles.)

Pare che gli inglesi bevano the ogni cinque minuti.

CHARLES (Al pubblico.)

Non so perché, ma provo sempre un certo fastidio con mio padre. Allora per forza ci sono dei vuoti nella conversazione. E' tremenda questa specie di disagio. Non so quando è cominciata né da dove venga. Ci sono momenti che ho l'impressione, insomma, voglio dire in cui ho l'intima convinzione che sia la persona che amo di più al mondo, allora è normale che questo mi renda felice, sono tutto commosso, mi faccio girare l'idea in testa per ore, cerco di trovare mille buone ragioni per questo amore, e poi, all'improvviso, non so perché, l'emozione se ne va così com'era venuta, velocissima, e finisco col dirmi che, pensandoci seriamente, si tratta di una tenerezza in fondo molto comune e che mi faccio delle idee stupidamente filiali.

GEORGES

Pare che gli inglesi bevano the ogni cinque minuti.

CHARLES (Al pubblico.)

Sono sicuro che se ci dicessimo, almeno una volta, che non abbiamo niente da dirci, beh, finiremmo per dirci cose niente male.

CHARLES

Pare che gli inglesi bevano the ogni cinque minuti.

CHARLES

Ah sì?

GEORGES

Insomma, è quello che dicono.

CHARLES

Ah. (Pausa.) E cos'altro dicono?

GEORGES

Di cosa?

CHARLES

Beh, che ne so, degli inglesi. Parlavi degli inglesi.

GEORGES

Uhm… Beh… se avessi saputo che l'argomento ti interessava, avrei…

CHARLES

L'argomento non mi interessa per niente, papà.

GEORGES

Ah.

Si sorridono.

Buio.

_______ 3 _______

Mi chiamo Jean Tessier

Sul proscenio, in un cerchio di luce, Jean, solo.

JEAN (Al pubblico.)

Mi chiamo Jean Tessier. Ho quarant'anni e rotti. Rotti parecchio. Tessier è il mio vero cognome. Una volta me l'hanno dato e io, allora, me lo sono tenuto. Lavoro in un ufficio. Sono un funzionario. Con questo voglio dire che penso come un funzionario, respiro come un funzionario. Mangio e bevo come un funzionario. Rido e piango come un funzionario. Mi sforzo di fare più o meno tutto come un funzionario. (Pausa.) E del resto mi viene abbastanza bene, visto che più o meno tutti mi considerano un funzionario. Mi sono sposato due volte e ho divorziato due volte. E' una specie di cartella piena. Del mio primo matrimonio ho un ricordo bellissimo, e del secondo ho un figlio di sesso maschile che vedo una domenica su due e un mercoledì su quattro. E' un bambino fragile che sembra ancora troppo piccolo per sapere che lo amo. Ma non mi importa, sono paziente. Spio la sua adolescenza necessariamente turbata  per potergli finalmente mettere la mano sulla spalla e dirgli dritto negli occhi: "Che ne diresti di una gomma, vecchio mio?"

Al momento non sto con nessuno. Voglio dire, relazioni. Amore. E' bruttissimo. Allora, per ammazzare il tempo, vengo a mangiare dai miei genitori tre sere a settimana. Mi guardano perennemente con un'aria desolata. Io gli racconto storie di lavoro. Loro fanno finta che gli interessi e io faccio finta di credere che gli interessi. Insomma, ci amiamo normalmente. (Buio rapido e luce.) Ho un fratello scrittore. Ha talento, questo è vero. Vive all'estero. Lontano. Ma, come dice il mio capo servizio che scrive poesie ridicole che pubblica e compra solo lui. "Uno scrittore non è sempre uno straniero?" (Sghignazza.) Che coglione! Odio il mio capo servizio. (Pausa.) Mio fratello ha scritto un romanzo sulla famiglia, un cazzo di romanzo, accidenti a lui. Si intitola  Questioni di Famiglia. C'è un padre che somiglia a mio padre, una madre che somiglia a mia madre, un fratello come me, un eroe gentile come sempre. E' un romanzo. E' candidato al Goncourt. (Pausa.) Ne ho visti tanti candidati al Goncourt che non avevano neanche vinto il Renaudot. (Pausa.) Amo mio fratello. L'ho sempre amato. Quando eravamo piccoli, era la persona più importante della mia vita. Era il mio zimbello preferito. Ogni sera gli raccontavo storie orrende con il solo scopo di fargli paura per poi consolarlo. Gli fregavo le cose e gliele nascondevo. Facevo delle stupidaggini e poi andavo a dire a mia madre che le aveva fatte lui. Allora lui si faceva sgridare e io lo trovavo divertente. Era l'infanzia, già. Adesso non racconto più storie a nessuno. Adesso leggo i libri di mio fratello.

Buio.

  

_______ 4 _______

Vedi, Charles…

Il salotto.

Charles è in piedi con la tazza in mano.

Georges non ha cambiato posizione.

GEORGES

Vedi, Charles… io… io non pensavo che fosse così difficile… Voglio dire, è strano rivedersi, così… e… cercare di riprendere una discussione senza sapere neanche più dov'era stata interrotta. Bisogna dire che è sacco di tempo, eh! Sei anni, è…

CHARLES

Cinque anni, papà.

GEORGES

Mi ero preparato tutta una serie di cose da chiederti e poi mi sono completamente dimenticato. E' stupido, eh! Non so più dove ho messo il foglio. (Sorriso di Charles.) Stai bene, Charles?

CHARLES

Benissimo, papà. E tu?

GEORGES

Oh io tiro avanti. Come sempre. (Pausa.) Va benissimo.

CHARLES

Mamma non c'è?

GEORGES

No.

CHARLES

Ah.

GEORGES

Sta facendo la spesa.

CHARLES

Ah. Doveva fare la spesa? Proprio adesso?

GEORGES

Oh sai, io non ho mai capito molto bene perché tua madre faceva le cose quando le faceva. (Riso un po' forzato di Charles.) Era qui, ti aspettava, diceva questo, diceva quello, era tutta nervosa, tutta contenta di aspettarti, e poi, mezz'ora fa, si è alzata così, all'improvviso, come se andasse a fuoco la casa e ha detto: "Io devo andare a fare la spesa." Ecco. Io non so altro. (Al pubblico.) Certo che so altro. Scherziamo! Ma non vedo che interesse ci sia a parlarne. Se mia moglie ha dei problemi personali con suo figlio, beh, io non ci posso fare niente. Mi dispiace ma ne prendo atto. Io sono qui, lo ricevo e bevo il the. (A Charles.) E poi ormai è uscita. Andando via mi ha spiegato per la ventottesima volta come si fa il the, ha preso il cappotto, la borsa e ha sbattuto la porta.

CHARLES

L'ha sbattuta veramente?

GEORGES

E' uscita veramente.

CHARLES

Capisco.

GEORGES

Beh, meglio così.

CHARLES

Sta bene?

GEORGES

Sì.

CHARLES

Sempre militante, immagino.

GEORGES

Oh! Più che mai. Meno comunisti ci sono e più lei si eccita.

CHARLES

Che idiozia.

GEORGES

Ma no. Ha sempre amato le avversità, lo sai. Ha il senso del complotto. Non prendeva più gusto in niente da tanto tempo, militava sottovoce, non amava più il "suo" Georges Marchais, il "suo" Partito non era più il suo vero Partito, passava le ore in poltrona, e poi all'improvviso ecco che cade il muro di Berlino, così, senza avvertire, e poi l'Unione Sovietica che vacilla, e per finire Gorbaciov che scompare nelal scia, e hop, lei si rimette a comprare L'Huma. Ogni giorno. Un vero miracolo. E poi non si ferma più. E' completamente accanita, vuol fare aderire tutti, dice che le basi sono nuove, che il comunismo ha fallito perché non era davvero completamente comunismo. Allora si entusiasma, urla, conosci tua madre, corre a destra e a sinistra… insomma, a sinistra e a sinistra, ovviamente.

Ridono.

CHARLES

E tu?

GEORGES

Oh, io! Io sono il movimento. Io non mi faccio domande. Vado a votare. Mi adatto. Per me la fedeltà è sempre stata più forte della convinzione, lo sai. Quindi, va tutto bene.

CHARLES

Vi penso spesso, sai.

GEORGES

Ah.

CHARLES

Il passato, l'infanzia, tutte queste cose…

GEORGES

Sì, lo so, la letteratura.

Charles sorride.

Pausa.

GEORGES (Al pubblico.)

Se c'è una cosa che ho sempre detestato, è proprio ritrovarmi solo coi miei figli. Trovo che sia sempre un po' pesante. Insomma, non proprio pesante, ma… E poi questa ridicola impressione di avere una parte da recitare! Di avere sempre qualcosa di importante da dire, solo perché uno è un vero papà. Che stupidaggine! Il lato educativo, non ci posso fare niente, mi ha sempre annoiato… Non sono mai stato bravo a dare lezioni di vita ai miei ragazzi, o fargli delle riflessioni. Non sono uno specialista, mi dispiace, non ho nessun diploma, non ho idee in proposito, nessuna esperienza formidabile da raccontare, niente. Non ho niente da dire. C'è la scuola, i libri, gli altri, il mondo, è tutto più affidabile. Non sono altro che un povero padre da niente, io. La mia unica qualità umana, in fondo, è di aver messo in orbita due spermatozoi ambiziosi, questo è più meno tutto. Peri il resto…

Charles beve un po' di the.

GEORGES

Però li ho sempre adorati, i miei marmocchi, eh! Non c'è da sbagliare. Darei un occhio, se potessi evitare di fargli portare gli occhiali. (Pausa. A Charles.) Sono contento che tu sia passato a trovarci, Charles.

CHARLES

E' normale, papà. E' normale.

Georges prende la zuccheriera.

GEORGES

Quanto zucchero?

CHARLES

Niente zucchero, grazie.

GEORGES

Quando eri più giovane, ti piaceva mettere lo zucchero nel caffè.

CHARLES

C'erano un sacco di cose che mi piaceva fare quando ero più giovane e che non faccio più, papà.

GEORGES

Ah sì?

CHARLES

Sì. (Pausa.) Anch'io sono contento di essere qui, papa.

GEORGES (Al pubblico.)

Abbiamoricevuto Questioni di Famiglia per posta con una parola di Charles, scritta a mano, sulla prima pagina.

CHARLES (Al pubblico.)

"A voi, miei cari genitori, questo romanzetto familiare, in cui mi auguro che non vi riconosciate. Con affetto, Charles."

GEORGES (Al pubblico.)

E noi ci siamo riconosciuti alla perfezione. (A Charles.) Allora, è sempre bella l'Inghilterra?

CHARLES

La Scozia, papà.

GEORGES

Ah, è vero, la Scozia, scusami. Allora, è bella?

CHARLES

Sì, è bella.

GEORGES

Ah.

CHARLES

Ogni volta che ci vediamo mi fai la stessa domanda, allora io ti do la stessa risposta.

GEORGES

Oh, sai, io, le risposte… (Pausa.) E così è bella?

CHARLES

Sì. (Pausa.) Diversa.

GEORGES

Ah. (Pausa.) E cos'è diverso?

CHARLES (Infastidito.)

Ma non lo so, papà! Le cose, la vita, i piccoli dettagli. E' tutto un insieme di cose. Gli odori, il senso del tempo. L'atmosfera è particolare. Ecco.

GEORGES

C'è atmosfera?

CHARLES (Sorridendo.)

Sì. Esatto, sì.

Pausa.

GEORGES

Un'atmosfera scozzese, immagino.

CHARLES

Già.

Pausa.

GEORGES

Beh, parlami un po' dell'atmosfera scozzese.

CHARLES

Ma che vuoi che ti dica, papà? E' un'altra cosa, ma è un po' come qui, è…

GEORGES

Sicuramente non è come qui. Se fosse come qui, non saresti andato via.

Charles ride.

CHARLES

In ogni caso, è un paese bellissimo.

GEORGES

Non posso saperlo se non ci ho mai messo piede.

CHARLES

Non perché non vi abbia invitati alla mamma e a te.

GEORGES

Questo è vero. Mi dispiace, ma lo sai com'è…

CHARLES

No, non lo so, papà.

GEORGES (Al pubblico.)

Volevo rimproverarlo e risultato: sono io che mi scuso. Che tristezza!

Pausa.

Bevono il the.

Buio.

_______ 5 _______

Non me ne frega niente di essere ridicola

Louise sul proscenio. Una mantella sulle spalle. Una busta della spesa in mano.

LOUISE

Non me ne frega niente di essere ridicola. Sono uscita perché mi andava, ecco. Perché ne avevo desiderio. Esattamente. E mi sembra di avere il diritto di avere desideri. Dopo tutti questi anni, è sempre normale, no? (Pausa.) Sono uscita perché tutta questa storia mi dà fastidio. Mio marito mi dà fastidio, mio figlio mi dà fastidio, mi dà fastidio tutto… Anche io mi do fastidio. Stavo seduta in salotto, aspettavo, guardavo la teiera, i pasticcini, sembrava tutto normale. E all'improvviso sono stata sommersa da un incredibile sentimento d'ingiustizia. Come io, una madre affettuosa e piena di attenzioni, come potevo aspettare con calma, quasi religiosamente, questo figlio snaturato che aveva vigliaccamente cercato di uccidermi con le parole? E tutto è diventato insopportabile, all'improvviso. La mia attesa, l'appartamento, la memoria, i buoni sentimenti. Cos'era quella commedia? Quindi sono uscita. (Tira fuori dalla borsa il libro di suo figlio.) No, aspettate… (Apre il libro e cerca una pagina.) Ah, ecco qua! "Mathilde…" E' il nome della madre nel romanzo… "Mathilde era una di quelle donne che credono che un bambino sia una specie di animale domestico… (No, ma un animale domestico!…) una specie di animale domestico cui basta dar da mangiare e cambiare la sabbia regolarmente per stimolare il suo amore riconoscente ed esclusivo!" Vi sembra giusto? (Richiude il libro e lo rimette in borsa.)  E poi non capisco perché mi porto sempre appresso questo libro. (Pausa.) E' normale farsi insultare dal proprio figlio in nome di non so che letteratura? E' giusto diventare famosi parlando male della propria madre? E perché poi? Per fare soldi? Per cattiveria? Per farsi compatire alla televisione da Bernard Pivot? La madre eccessiva, la madre cattiva, la madre che sta tutto il tempo a cercare di sviare il suo povero rampollo indifeso dal suo destino letterario! Non sono una vergogna, queste cose? Ha spalle buone, il romanzo, ve lo dico io. (Pausa.) Bah, d'accordo, lo confesso: suo padre ed io abbiamo saputo che aveva talento solo dopo che se n'erano già accorti tutti quanti. Quando era già lontano. Questo lo ammetto. Sono onesta io! Ammetto che all'inizio abbiamo pensato che perdesse il suo tempo, che si facesse strane idee, che si prendesse per non so chi. Ma è del tutto normale. E io non ho neanche l'ombra di un atomo di coscienza sporca in proposito. Non faceva parte del nostro ruolo sapere che avevamo messo al mondo un piccolo genio. Al contrario, forse era perfino nostro dovere dubitarne. Per evitargli le disillusioni. Ma abbiamo fatto di meglio. Perché, in fondo, a pensarci, se non gli avessimo curato le bronchiti, se non avessimo controllato la temperatura del biberon, se non avessimo spiato la sua acne, la linea stupida della scoliosi, se non l'avessimo circonciso quando era necessario, se non avessimo pagato i conti del riscaldamento, fatto la spesa, passato lo straccio, raccontato cento volte la storia di Cappuccetto Rosso aggiungendo quella fine imbecille con i sassi nella pancia del lupo, se non gli avessimo comprato i libri di scuola, e i quaderni, e le matite. In somma, voglio dire, se non l'avessimo amato come un bambino normale, beh, mi dispiace, non avrebbe mai avuto… l'idea di avere voglia di scrivere. (Pausa.) E' tanto semplice, mi vergogno. L'altro giorno vado al mercato, come tutti i venerdì, non siamo religiosi ma faccio lo stesso il pesce di venerdì, mi sembra sempre che il pesce sia più fresco il venerdì, non so perché… E chi incontro? Incontro Gardinier, il segretario della sezione del Partito! Con la moglie.  Allora facciamo due parole, parliamo male dei socialisti, insomma, le solite cose, ecco, e all'improvviso mi guarda con una faccia furbetta e mi dice così: "Ah, a proposito, ho letto il libro di tuo figlio." Non so come ha fatto a indovinare che Charles Dram in realtà era Charles Tessier, io non gliel'ho detto comunque. Insomma, mi spara questa cosa e poi aggiunge: "Mica male come romanzo, Questioni di Famiglia!" Una botta per la madre di Charles Tessier! E se aveste visto che sorriso! Io non sapevo più che fare, che dire. (Pausa.) E per di più ero orgogliosa. E' questo il peggio. (Pausa. Fa qualche passo.) Il problema non è alzarsi e mettersi il cappotto. Né avere un accesso di cattivo umore. Né avercela col proprio figlio. E neanche dire che uno va a fare la spesa. No. Il problema è chiedersi cosa farà uno, davvero, una volta fuori. Insomma, voglio dire, quando a uno non gliene frega niente di fare la spesa. Quando uno non è uscito per quello. Allora ho fatto il giro dell'isolato… Ho guardato qualche vetrina… E poi, quando ho cominciato a sentirmi… Insomma, sempre un po' ridicola, in fin dei conti… Beh, ho preso l'autobus e sono andata fino al capolinea. E quando sono arrivata al capolinea, ho preso lo stesso autobus e sono tornata a casa. Insomma, davanti a casa. Sapevo che Charles era arrivato, allora, per poter dire di aver fatto lo stesso questa maledetta spesa, perché, in fin dei conti, ero andata via per questo, insomma, era quello che avevo detto, ovviamente, allora sono andata a comprare un po' di verdura, parecchia verdura. Non va mai a male la verdura. Se torna a trovarci prima di ripartire, gli faccio il minestrone. Gli è sempre piaciuto il minestrone.

Buio.

_______ 6 _______

Ho letto il tuo libro

Charles e Georges sono seduti uno accanto all'altro sul divano.

GEORGES

Ho letto il tuo libro.

CHARLES

Ah.

GEORGES

E' scritto benissimo.

CHARLES

Grazie.

Pausa.

GEORGES

Mi sono piaciuti i caratteri così grandi. Capisci, alla mia età a volte è difficile…

CHARLES

Ti è piaciuto? (Il padre non risponde.) Ti è piaciuto, papà?

GEORGES

Non me lo sono chiesto.

CHARLES

Come?

GEORGES

Non credo che tu scriva perché mi piaccia.

CHARLES

No, certo, ma io, insomma…

GEORGES

Mi è piaciuto molto, Charles. Veramente tanto. Interessantissimo. (Pausa.) Sì, sì, lo posso dire. Mi è piaciuto enormemente. (Pausa.) Mi sono detto che avevi talento… un talento meraviglioso. (Pausa.) Mi è piaciuto molto. Davvero. (Pausa.) Pensi che lo vincerai, questo famoso premio Goncourt?

CHARLES

Che idea, papà! Certo che no!

GEORGES

Come certo che no? E' già deciso?

CHARLES

E' molto complicato, papà. Non ho proprio voglia di parlarne adesso.

GEORGES

Onestamente, mi stupirebbe che qualcuno avesse scritto un romanzo migliore di quello di mio figlio.

CHARLES

Papà!

GEORGES (Paterno.)

Nervoso, eh?  

CHARLES (Infastidito.)

Ma no!

Pausa.

GEORGES

Sai, se dipendesse da me, beh, quel premio…

CHARLES

Lo so, papà.

Pausa.

GEORGES

Vedi, nel tuo romanzo, il personaggio che mi ha interessato di più… Insomma, mi interessava tutto, certo, ma… il personaggio che preferisco, vedi… beh, è il padre del tuo eroe. Lo sai, sono fatto così, quando leggo devo sempre fissarmi su un personaggio. Ha un nome questa cosa… Come si chiama?

CHARLES

Identificazione, papà.

GEORGES

Ecco. Quello. Come dici tu. Identificazione. Quindi ho scelto lui, capisci. Per caso. Il padre del tuo eroe. Mi sono identificato. (Guarda il figlio in modo insistente.) E' strano, no?

CHARLES (Circospetto.)

No.

Pausa.

GEORGES (Sorridendo.)

Il padre dell'eroe! Il magnifico genitore del personaggio principale! Che responsabilità! Che figura, eh! Mi sono detto: Visto che l'eroe del romanzo è un tipo formidabile, suo padre, automaticamente, dev'essere una persona per bene. Per forza. Sai come si dice, no, tale padre tale figlio. Insomma, questo è quello che ho pensato… E' vero, sai, è il genere di cosa che ti viene da pensare, è normale! Nel quadro dell'uso normale della vita. Beh, no. Avevo capito male. Non è per bene, il padre. Stranamente mi sono sorpreso, sai. Non è affatto perbene. Oh! Non è cattivo, nota bene, né perverso, niente di tutto ciò. No, no. E' un poveraccio, tutto qui. Un padre senza interesse. Guarda, da una parte mi sono sempre piaciuti i poveracci. Nei romanzi, intendo. Davvero. In fondo, siamo sempre abbastanza gentili con chi è abbastanza stupido. Questo si sa. Ci lasciamo andare tanto non siamo al centro dell'azione, la storia va avanti anche senza di noi, e moriamo di cancro alla fine del libro, per distrazione. E' anche più facile. Siamo tutti così, noi imbecilli. Insomma, dico noi, parlo di lui, eh, del tuo personaggio. Ovviamente. Non sono ancora così stupido da confondere.

Pausa.

Il padre poggia la mano sul braccio di Charles.

GEORGES

Benedetto Charles!

Ride. Bevono il the.

Charles si alza e si guarda intorno.

CHARLES (Sorridendo.)

Qui non è cambiato proprio niente, eh…

GEORGES

Perché dovrebbe?

CHARLES

Il clown di Bernard Buffet, ma prima non era su quella parete?

GEORGES

Sì, sì. Era proprio sopra la credenza.

CHARLES

Mi pareva. (Guarda con aria da intenditore.) Beh, vedi, è un peccato averlo spostato.

GEORGES

Ah.

CHARLES

Mi piaceva di più dov'era prima.

GEORGES

Certo, prima era meglio. Bevi il the, si raffredda.

Charles continua ad ispezionare l'appartamento.

CHARLES (Al pubblico.)

Sono andato via di casa a diciott'anni. Appena finito il militare. Quindici giorni dopo. Oh, ammetto di non averlo fatto in modo molto signorile. Ma, dopo tutto, la fuga è mai stata considerata per la sua eleganza?

GEORGES (A Charles.)

Personalmente, ho sempre odiato Bernard Buffet.

CHARLES (A Georges.)

Anch'io.

GEORGES

Ma conosci tua madre. Lo trova decorativo. Dice sempre: Un Buffet decora, un Lurçat è impegnativo e un Ricasso fa moderno.

CHARLES (Al pubblico.)

Quando sono tornato dal militare, non volevo più studiare, allora mia madre ha cominciato a sognare, ovviamente. Già mi vedeva che entravo alle Poste, o che vincevo il concorso delle ferrovie. Terrificante. Io già volevo fare lo scrittore. E uno scrittore… per me… era… la libertà, l'originalità, l'ispirazione, i lavoretti, essere in bolletta, la vita così come viene…

GEORGES

E' stata tua madre a spostare il quadro.

CHARLES

Ah sì?

GEORGES

Un giorno ha fatto una riunione di partito a casa. C'era un tizio della sezione che era stato invitato per portare la buona parola della direzione, come si diceva all'epoca, genere staliniano gioviale, hai inquadrato, la voce abbastanza alta e i denti piuttosto lunghi, insomma, si è piantato davanti al quadro e ha detto sghignazzando: "Mah, che idea buffa mettere un Buffet sopra a una credenza." Tutti hanno riso. Anche tua madre ha riso. Ha riso persino più degli altri, credo. Non si riusciva a farla smettere di ridere. Che serata! E il giorno dopo ha spostato il quadro.

CHARLES

Che stupidaggine!

GEORGES

Già, ma che disciplina!

CHARLES (Al pubblico.)

Quindi, una mattina, senza dire niente, me la sono filata. Avevo un compagno di reggimento che aveva trovato un lavoretto a Londra, così l'ho raggiunto. La mattina ero nel mio letto e la sera ero in Inghilterra. (Pausa. A Georges.) Come va con mamma?

GEORGES

Come al solito.

CHARLES

E com'è al solito?

GEORGES

Il solito.

Charles beve il the, suo padre lo guarda bere, con interesse sostenuto.

Pausa.

GEORGES

Allora, è buono?

CHARLES

Normale.

GEORGES (Deluso.)

Ah.

CHARLES

Sembri deluso.

GEORGES

Che idea!

CHARLES

Suppongo che avrei dovuto trovarlo eccellente.

GEORGES

Già. Anzi no. Anzi sì. Insomma, non lo so.

Charles beve un sorso.

CHARLES

E' the, sai, papà. Non c'è niente di più comune del the. Insomma, comunemente.

GEORGES

Capisco, già. Comunemente, è…

CHARLES

Ti scoccia che te lo dica?

GEORGES

Oh no! No, no. Ma pensa!

CHARLES

Guarda, non dico che sia cattivo, eh! Anzi, sicuramente, nella sua categoria, è un the eccellente… Solo, credo che…

GEORGES

Quindi è la categoria che non ti piace?

CHARLES

Ma non lo so, papà, dicevo categoria così… Storia di…

GEORGES

Il viaggio è andato bene?

CHARLES

Benissimo, sì.

GEORGES

Non hai avuto problemi alla dogana? Non ti hanno perquisito?

Charles guarda suo padre, stupito.

Sta per lanciarsi in una accurata spiegazione, poi cambia idea.

CHARLES (Sorridendo.)

No. C'è l'Europa unita, sai, papà.

GEORGES

Io ho sempre avuto paura di andare all'estero. Per questo. La dogana. Una volta, con tua madre, prima che tu nascessi, siamo andati ad Andorra. Sai com'è, vedi delle cose, ti sembrano a buon mercato e finisce che le compri. Risultato: ci siamo fatti perquisire da un doganiere che aveva la faccia da assassino. E ci hanno confiscato una bottiglia di vino. No, dico, ti rendi conto! Una bottiglia di vino! In Indocina si ammazzavano a vicenda, in Spagna perseguitavano i repubblicani, Stalin faceva Dio sa che coi suoi amici d'infanzia, e a noi ci fermavano su una strada di montagna per una bottiglia di vino non regolamentare.

CHARLES

Ti ho portato una stecca di gauloises.

GEORGES

Gentile, ma non fumo più.

CHARLES

Da quando?

GEORGES

Da quando tua madre ha visto in televisione una trasmissione di François de Closets.

CHARLES

Comunque questo the è abbastanza buono, a pensarci meglio.

GEORGES

Le cose sono sempre buone, quando ci pensi. E' quando le assapori che si rovinano. (Pausa.) Onestamente, figlio mio, di quello che pensi di questo the, ti dico la verità, non me ne frega niente. (Pausa.) No, più che altro è per tua madre che vorrei che fosse buono…

CHARLES

Ah.

GEORGES

Perché l'ha comprato lei, capisci.

CHARLES

Ah.

GEORGES

E' andata a Parigi apposta.

CHARLES

Capisco.

GEORGES

La tua lettera era arrivata da appena due minuti, e lei già era sul piede di guerra. Come trovare del the inglese che facesse onore al suo piccolo Charles cui, per forza, devono piacere i migliori the del mondo?

CHARLES

Capisco.

GEORGES

Immaginati un po' tua madre, lanciata per Parigi come un missile americano appresso a Saddam Hussein, solo per trovare una scato la di the inglese, di marca inglese, per suo figlio che vive in Inghilterra e che ha gusti inglesi. Ha chiamato sei volte l'ambasciata britannica, alla fine l'hanno per una cattolica dell'Irlanda del Nord. (Pausa.) Vedi, quello che mi piacerebbe è che le dicessi che è il miglior the che tu abbia mai bevuto. Mi piacerebbe così tanto che le dicessi che ha fatto quello che ci voleva, che è la migliore delle madri possibili, che pensi a lei ogni volta che hai un momento libero, che le vuoi bene, ecco. Credi di poterlo fare?

CHARLES

Certo.

GEORGES

Vedi, quello che dovresti fare è fingere di essere felice di essere qui. Felice di vedermi, felice di abbracciare tuo fratello, felice di dire cose gentili a tutti.

CHERLES

Ma insomma, papà, io sono felicissimo di essere qui con voi, io…

GEORGES

Sai, Charles, tua madre ha sempre preferito le dichiarazioni d'amore all'amore in sé per sé. Quindi, falle questo favore, ti prego. Non sarà molto impegnativo, dopo tutto.

Un rumore, probabilmente proveniente dal pianerottolo. Georges alza l'indice. Ascolta.

Pausa.

GEORGES

Niente.

CHARLES

E la pensione? Va bene?

GEORGES

Senza infamia e senza lode.

CHARLES

Sei sempre indaffarato, però?

GEORGES

Come un pazzo, figlio mio, come un pazzo. Non mi fermo più, tanto semplice. Mi sveglio la mattina, apro gli occhi, mi stiracchio, metto il piede sul tappeto di montone accanto al letto, mi gratto la chiappa sinistra, meccanicamente, sai, come faccio sempre, guardo nel vuoto, laggiù, lontano, tra la specchiera Conforma e l'armadio Lévitan, e mi dico: Oh! Quanto tempo ho per fare finalmente tutto quello che voglio fare!

CHARLES (Sorridendo.)

D'accordo, ho capito.

GEORGES

Mi dico: Santo Dio, adesso sì che ne approfitto! Mi dico un sacco di cose. (Pausa.) Allora sto lì, tutto pieno di fervore, di febbre, ci sono immagini che mi sfilano nella testa, andrò al museo, comincerò a collezionare francobolli, metterò a posto il mio tavolo in cantina, e poi, tutto d'un botto, mi vedo nello specchio che tua madre ha voluto mettere per forza davanti al letto. Allora mi guardo, un bel pezzo. E poi mi rimetto a letto.

Charles scoppia a ridere.

CHARLES

Mi piace il modo che hai di raccontare storie. Mi piaceva già da piccolo.

GEORGES

Prendi un biscotto, li ha fatti lei.

CHARLES

No, grazie.

GEORGES

Prendine uno, ti dico.

CHARLES

No. Grazie.

GEORGES

Beh, allora lo prendo io per te. Diremo che l'hai mangiato tu. Diremo che te lo sei gustato. Tua madre ti farà notare che erano i tuoi biscotti preferiti di quando eri piccolo e tu dirai che te lo ricordi.

CHARLES

Che stupidaggine.

Il padre tende l'orecchio.

GEORGES

Aspetta! (Ascolta.) Mi pare di sentire i passi di tua madre per le scale. (Ascolta.) Già, sì. Aspetta… (Si sente una voce da lontano.) Sì, è lei. Sta discutendo con quella del piano di sotto, la vedova allegra. (Si alza.) Bene. E' meglio che ti lasci un po' solo con lei.

CHARLES

Ma dai, papà, rimani!

GEORGES

Ma no, è meglio che…

CHARLES 

Per favore, papà.

GEORGES

Va bene. D'accordo. (Si rimette a sedere. Prende un biscotto e lo sgranocchia.) Li ha bruciati un'altra volta, questo schifo di biscotti!

Buio.

_______ 7 _______

Nella storia dei miei rapporti

con la famiglia ci sono tre epoche

Georges mangia i biscotti.

Charles è sul proscenio.

CHARLES (Al pubblico.)

Nella storia dei miei rapporti con la famiglia ci sono tre epoche. La prima è l'infanzia. Su questo, certo, non ho granché da dire. C'era amore senza riserve. Capitava così, senza bisogno di scegliere, mi pulivano, mi baciavano, mi adoravano, spiavano i miei sorrisi, mi asciugavano le lacrime, mi davano certe sberle così come si fanno le carezze. Era bello. (Pausa.) La seconda epoca, direi, per semplificare, dai dieci ai vent'anni, è quella dell'ordinaria vergogna. E' arrivata poco a poco. (Pausa.) Un giorno ho scoperto che gli altri bambini avevano dei genitori, così ho dovuto cominciare per forza a guardare i miei. (Sorride.) Certo, oggi tutto questo sembra ridicolo, è ovvio… (Pausa. Fa qualche passo.) Ma è vero che mi sono vergognato. Loro non erano istruiti e io andavo a scuola. Mia madre non era la più bella di tutte le mamme, contrariamente a quanto avevo creduto per così tanto tempo. Era bella ma non era la più bella. Non era neanche la più affascinante. Né la più allegra. Né la più intelligente. Era tutte queste cose, ma le altre madri avevano delle qualità insospettate, un fascino devastante. Dei misteri sconosciuti. E mio padre, invece, stava zitto. O se ne stava in un angolo, al lavoro, e leggeva il giornale. Intorno a me, i bambini avevano genitori eroici, padri che giocavano coi figli alle macchinine, madri che si mettevano vestiti stravaganti, che scambiavano futilità con i maestri ridendo a crepapelle. Genitori che portavano i loro marmocchi al Salone dei giocattoli, che li abbonavano al Corriere dei Piccoli, a Topolino e a Superman. E noi nel frattempo, a casa, eravamo comunisti. Con ostinazione. E questo era tutto. Tutto passava di là. La vita come in un imbuto. Eravamo comunisti, pensavamo comunista, compravamo comunista. Oh, era bello, non dico di no! La felicità sulla terra, la pace nel mondo, le manifestazioni, le petizioni, i dischi con dedica dei Cori dell'Armata Rossa. A me non dispiaceva di avere dei genitori comunisti e neanche di diventarlo anch'io un giorno o l'altro. Non ero contrario, dopo tutto. Le basi non erano cattive. Ma io avevo sogni consumistici. Ero un perfetto prodotto del baby-boom. Quello che mi sarebbe piaciuto è essere comunista con tutto quello che comporta. Comunista e francese medio. Comunista e ricco. Comunista e scout, come Patrick Desfossés, che era il mio compagno di banco a scuola e sapeva accendere il fuoco su un terreno in pendenza. Comunista e cocker, comunista e hippy, comunista e sinistrorso. Comunista e anticomunista. Tutto quello che vi viene in mente. Mi sarebbe piaciuto cambiare idea ogni cinque minuti. Sbagliarmi, non essere sicuro di niente, tornare indietro. Come gli altri, come tutti. Mi sarebbe piaciuto leggere Boris Vian senza chiedermi se fosse politicamente corretto. Mi sarebbe piaciuto guardare la televisione senza pensare ogni secondo che era nelle mani del potere. Mi sarebbe piaciuto essere un liceale ribelle, tirare sassi addosso ai poliziotti nel sessantotto. E con allegria, anche. Ma no, mi conformavo a quello che erano i miei genitori. Incollato alle loro idee da bravo figlio, docile. Conforme a quei vestiti che mi stavano così male. Bravissimo. Ero come quei figli di dottori che in segreto odiano la medicina, quei figli di macellai che sognano di diventare vegetariani. E che sanno di non avere il coraggio di ribellarsi apertamente. E quindi si fanno furbi. Ecco. Esattamente. Io mi sono fatto furbo. Mi sono sentito diverso ma in segreto. (Pausa.) E poi c'era il resto. Certo. (Pausa.) Ed è stato in quel momento che ho cominciato a scrivere. Eh già. In un colpo solo ho abbandonato ogni interesse per lo studio e mi sono buttato nella letteratura. Ecco, mi ricordo che il giorno che ho compiuto quindici anni gli ho fatto leggere la mia prima poesia. L'hanno letto distrattamente. Mio padre ha notato che avevo fatto un errore di ortografia e mia madre ha detto: "Beh, se hai così tanta fantasia, perché non hai mai la sufficienza nei temi?" E io non dicevo niente. (Pausa.) E a diciassette anni ho anticipato la chiamata. Seconda classe a Mutzig. Questo lo chiamo il mio anno alsaziano. Ho imparato ad usare un vecchio fucile. Ogni venerdì sera mi riempivo la gola di birra cattiva e avevo un sacco di compagni formidabili che poi non ho mai rivisto. Tranne uno. Quello di Londra. Quello di Londra era così diverso, era…

Prende un biscotto e lo mangia.

CHARLES

Sono buoni, questi biscotti. (Mastica.) Ahhh! Questo retrogusto! (Mastica.) Dev'essere anice o qualcosa del genere! (Mastica.) E' proustiano questo sapore in fondo alla bocca! (Fa qualche passo.) La terza epoca è quella dell'allontanamento. Della fuga e della distanza. Loro qui e io laggiù. Il tempo della tenerezza diffusa… delle cartoline dell'anno nuovo, delle telefonate veloci. Delle visite al volo. La vita, insomma. (Pausa.) Il…

_______ 8 _______

Buongiorno mamma

Si apre la porta.

Louise, la madre di Charles, entra, mantella sulle spalle, dei pacchi in mano.

Georges fa come se lei non esistesse. Prende un giornale sul tavolino basso e ci si immerge.

Lei vede suo figlio, ma fa finta di non farci caso. Sembra infervorata e si muove precipitosamente, come se avesse sempre mille cose da fare.

Charles si avvicina.

CHARLES

Buongiorno mamma.

LOUISE (Indaffarata, senza guardare Charles.)

Toh, prendimi questo, tesoro, per favore. Non so più dove mettere le mani, io!

Charles prende i pacchi e li posa per terra.

Nel frattempo, lei si toglie la mantella e la butta sul divano.

LOUISE

E' la settima lettera che mando per farci mettere un ascensore e ogni volta mi rispondono che costa troppo. Troppo, prima di tutto che vuol dire troppo, quando agli inquilini fanno male le gambe e hanno desideri di progresso tecnico elementare? Ci guadagnano abbastanza coi nostri affitti, no? I pacchi non per terra, per piacere. Sul tavolo. (Charles riprende i pacchi e li posa sul tavolo.) Credo che farò una petizione nel palazzo. Qualcosa di forte. Che ne pensi?

CHARLES (Interdetto.)

Di cosa, mamma?

LOUISE

Ti ho chiesto se faccio bene a fare una petizione.

CHARLES

Ma che ne so.

LOUISE

Come che ne sai?

CHARLES

Mamma…

LOUISE

Non ti interessano i problemi dei condomini del palazzo dove tua madre ti ha cresciuto?

CHARLES

Senti, mamma, ascolta…

Lei si avvicina a suo figlio e gli dà un bacio furtivo.

LOUISE (Sdolcinata.)

Almeno hai fatto buon viaggio, tesoro?

CHARLES

Non male.

LOUISE

Bene. Non c'era troppa gente in aereo?

CHARLES

No.

LOUISE

Niente vuoti d'aria?

CHARLES

Tutto tranquillo.

LOUISE

Non faceva troppo caldo sul sedile?

CHARLES

No.

LOUISE

La hostess è stata gentile con te?

CHARLES

Normale.

LOUISE

Non ti hanno perso la valigia all'aeroporto?

CHARLES

No.

LOUISE

Lo sai che il sindacato della CGT di Roissy si è fatto battere alle ultime elezioni del personale?

CHARLES

Ma come vuoi che le sappia quese cose, mamma?

LOUISE

Beh, già, figurati. Da Autonomia Operaia.

CHARLES

Ah.

LOUISE

Questo è tutto l'effetto che ti fa?

CHARLES

Beh… Sì.

LOUISE

Non lo trovi tremendo?

CHARLES

Ma che ne so, mamma.

LOUISE

Perché tu, per esempio, avresti votato Autonomia Operaia?

CHARLES

Mamma…

LOUISE

Questa è bella! (Alza le mani al cielo.) E' vero che la vita degli scrittori e quella dei lavoratori… non è proprio lo stesso mondo, ovviamente. Anzi, è molto diverso. Ci sono quelli che fabbricano la penna e quelli che ci scrivono. Questa è la vita. E il problema, se vuoi che te lo dica, è che quelli che scrivono con la penna, non scrivono proprio la vita di quelli che la fabbricano. A meno che non abbiano una coscienza, se si chiamano Victor Hugo o Emile Zola. Ma, certo, tu non sei Emile Zola.

Pausa.

CHARLES

Cosa intendi esattamente?

LOUISE

Non intendo niente. Quello che voglio dire è che c'è gente che ha dei fine mese difficili e gente che ha solo problemi con le cartucce d'inchiostro, tutto qui.

GEORGES (Al pubblico.)

E' da prima che mi chiedevo come avrebbe fatto il suo ingresso. Ero in dubbio tra il genere "è tutto finito, abbracciamoci" e qualcosa di più energico. Vedo che ha scelto la seconda soluzione.

LOUISE (Al pubblico.)

Non avrei dovuto dirglielo, è stupido, lo rattristerà.

CHARLES (Al pubblico.)

Una serata dai miei genitori consiste nel sapere, pressappoco, in quale momento si potrà andare via. A scelta. Dipende dall'umore. Si può farlo prima che la discussione si avveleni, oppure durante, facendo una prodezza (questo mi piaceva quando ero più giovane), oppure subito dopo il dolce, ma allora era una specie di sconfitta.

GEORGES (Al pubblico.)

Io, sinceramente, non avrei mai rischiato con l'accostamento tra Victor Hugo, Emile Zola e le elezioni del comitato di fabbrica di Roissy.

LOUISE (Al pubblico.)

Mi sa che ho fatto una stupidaggine. (A Charles.) Lasciamo stare, tesoro. Tu sei un artista, vivi all'estero, quindi è normale che… (Guarda Georges.) Tuo padre è rimasto sconvolto.

GEORGES (Al pubblico.)

Ma di che sta parlando? Cos'è che mi ha sconvolto?

LOUISE

Oh, non è che sia proprio un'aquila in politica, ma almeno ha una coscienza di classe, lui. Quindi queste elezioni l'hanno scioccato, per forza. (Grida.) Eh, papà?

GEORGES (Al pubblico.)

Da quando sono in pensione, mi parla come se fossi diventato sordo.

LOUISE

Insomma, come dico sempre, i lavoratori sono dei gran bravi ragazzi. Si faranno un po' d'esperienza, come al solito.

CHARLES

Non so se resterò a cena, mamma.

LOUISE

Lo dici ogni volta che ci vieni a trovare.

CHARLES

Lo so, ma…

LOUISE

Lo vedranno quanto gli costerà non votare per un sindacato realmente operaio. Gli do due anni prima che… Non ti avranno fatto problemi alla dogana, almeno?

CHARLES

La dogana non c'è più, mamma.

LOUISE

Beh, meglio così. Questo dimostra che l'Europa ci sa fare con le cose senza importanza. Lo sai che ci è successo un giorno, a tuo padre e a me, tornando da Andorra?

CHARLES

La bottiglia di vino, lo so, sì.

LOUISE

Ah sì, te l'ho già raccontato?

CHARLES

Papà, poco fa.

LOUISE

Ah! (Chinandosi verso di lui.) Di certo non ti ha detto che se l'è fatta sotto davanti al doganiere, e che sono stata io a tenergli testa.

CHARLES

No.

LOUISE

Mi stupisci. Prima di tutto, quella bottiglia di vino non era di contrabbando. Era un piccolo piacere superfluo che due onesti lavoratori si sono concessi col frutto del loro lavoro. Non capisco perché ci hanno spulciato. (Guarda Charles con insistenza.) Sembri sfinito.

CHARLES

No, ma io…

LOUISE (Al pubblico.)

Quando sono arrivata in maternità, il dottore mi ha detto: "Non si preoccupi, andrà tutto benissimo." Un'ora dopo mi stavano facendo il cesareo. In fondo, era un parto indolore doloroso lo stesso. (Indica Charles con la mano.) Pesava i sui bei quattro chili e mezzo, bisogna dirlo. E, chissà come, è uscito col culetto all'insù, con due spalle da scaricatore. E cacciava degli urli d'inferno, come se venire al mondo gli creasse delle altre preoccupazioni… Ha preso parecchio spazio fin dall'inizio.

Dà un'occhiata alle sue buste della spesa.

LOUISE (A Charles.)

Non badare alla casa, lo so, qua dentro è una vera porcheria, ma non ci posso fare niente. Da quando tuo padre è in pensione, fa di tutto per sporcare. Non lo so che gli prende. Dà fastidio, rovina, rompe. Gira in ciabatte. (Con un tono di confidenza.) E la cosa peggiore lo sai qual è?

CHARLES

Mamma!

LOUISE

La cosa peggiore è che fa finta di non sapere dov'è l'aspirapolvere.

Si dirige verso un armadio, lo apre, prende l'aspirapolvere, attacca il tubo, mette la spina.

CHARLES (Al pubblico.)

Mia madre è più o meno l'unica persona al mondo capace di mettere qualunque persona normale in uno stato simile all'isteria. Soprattutto me. Oh, un'isteria che non si esprime, certo, che rimane a fior di labbra, ma isteria comunque. E le basta un niente, una parola, a volte anche un aggettivo, per rendere tutto elettrico e pericoloso.

Louise comincia ad aspirare con ostentazione.

Passa regolarmente davanti a Georges, che alza i piedi meccanicamente.

Gira anche intorno a Charles velocissima.

LOUISE (Urlando.)

Che vita, ma guarda che vita!

CHARLES (Al pubblico.)

Non l'ho mai retta, mia madre.

GEORGES (Al pubblico.)

Neanch'io.

CHARLES (Al pubblico.)

E non perché non ci abbia provato.

GEORGES (Al pubblico.)

Anch'io.

LOUISE (Sempre urlando.)

Che vita, dimmi tu che vita! Guarda, lo dicevo ieri mattina alla signora Valenti… Sai, la signora Valenti, terzo piano a sinistra.

CHARLES

Mamma…

LOUISE

Ma insomma, non puoi non ricordarti la signora Valenti. Lo so che ci stai raramente in questa casa, ma comunque! La signora Valenti! Stavi sempre a giocare con il figlio. Eravate in classe insieme, alla scuola Gabriel-Péri. Con la signorina Chalon. (Spegne l'aspirapolvere.) Almeno te la ricordi la signorina Chalon, no? Una piccoletta con gli occhiali che adorava metterti zero perché le piaceva la faccia che facevi quando eri triste… Non mi dire che non ti ricordi niente!

CHARLES

Ma me lo ricordo benissimo il figlio della Valenti, mamma!

Louise riaccende l'aspirapolvere.

LOUISE (Urlando.)

Povera signorina Chalon. A quarantanove anni, ha finito per sposare un tipaccio, una vera catastrofe quell'uomo. Uno tracagnotto, tipo sanguigno, con degli avambracci pelosi. Contabile, a quanto diceva. Insomma, per contare contava. Le fregava i soldi per andare a giocare alle corse. E poi una sera, così, senza avvertire, l'ha pugnalata perché aveva messo troppo sale nella sgaloppina. No, ma senti che storia? Perché c'era troppo sale. E' quello che ho detto alla signora Lenoir, sai, la vietnamita del sesto piano a destra, le ho detto così: "Beh, se mio marito avesse dovuto pugnalarmi per aver messo troppo sale in un piatto, non avrebbe più posto per darmi una coltellata da un pezzo." (Spegne l'aspirapolvere.) E' morta, sul colpo.

CHARLES

E allora?

LOUISE

E allora niente. E' morta. La signorina Chalon è morta, Charles. Come ti ho detto.

CHARLES (Al pubblico.)

Sono cinque volte che mi racconta questa storia. Ogni volta che vengo, ricomincia con la signorina Chalon! (Urlando.) Ma che me ne frega della signorina Chalon?

LOUISE

Ma che hai da gridare, Charles?

CHARLES (Urlando anche lui.)

Ho sempre odiato la signorina Chalon! I suoi sorrisi materni, la pelle, l'odore, il modo di ridere, le sue carezze nei capelli! Tutto! Tutto! Tutto! Sono felice che sia morta, ecco! Non ne parliamo più! Non parlare più della signorina Chalon, mamma, o me ne vado per sempre da questa casa!

Pausa.

LOUISE

Sono d'accordo con te, neanche a me è mai piaciuta molto, quella donna.

Toglie il tubo, va a rimettere l'aspirapolvere nell'armadio.

Torna alla tavola, apre i pacchi, tira fuori la verdura, si siede e comincia a pulirle.

LOUISE

Beh. Allora, l'altro giorno incontro la signora Valenti. Lo sai, mi piace fare due parole con lei da quando è vedova. Parla molto meno adesso, certo, ma ascolta un po' di più. E la cosa più strana, non la sai la cosa più strana? L'altro giorno mi ha confessato che da quando suo marito è morto, beh, lei vota comunista. E' incredibile, no? Questa è una donna che per tutta la vita, per avere la pace in famiglia, ha fatto credere a suo marito che era gaullista, come lui. Il marito crepa e, zac! Lei passa a sinistra. Guarda che un bene, è un giornale da vendere in più la domenica.

Charles guarda sua madre, un po' affascinato.

Pausa.

Senti, la incontro per le scale, aveva la sacca per la spesa. Una volta ce l'avevo anch'io una sacca così, e poi adesso, lo sai, coi supermercati, sono passata alle buste di plastica, come tutti. Io dico sempre: Con tutti i benefici che fanno, ce le devono quelle buste di plastica. Allora, le faccio, buongiorno signora Valenti, come sta suo figlio? Sai, con le vedove è meglio parlare di vivi, perché se no giù con lacrime, ricordi e tutto il resto, eh. E io, tu lo sai, non le sopporto le lacrime. E allora lo sai lei che mi risponde? (Pausa. Charles non risponde, come rimbambito.) Lo sai lei che mi risponde?

CHARLES

No, mamma, non lo so.

LOUISE

Ti interessa, almeno, quello che ti sto raccontando?

CHARLES

Mamma…

LOUISE

Vieni qui una volta ogni dieci anni o quasi e storci la bocca perché ti dico cos'è successo mentre non c'eri? Te ne freghi, è così?

CHARLES

Ma no, mamma, io…

LOUISE

Ti farei notare, figliolo, che non è che mi impressioni solo perché sei uno scrittore che fa successo parlando madre di sua madre.

CHARLES

Mamma, per favore…

LOUISE

Se volevi parlar male di qualcuno, perché non hai scelto mia sorella, per esempio? Eh? Lei è un ottimo soggetto! E' una mascalzona, lo sanno tutti. Non era difficile. Mi dovevi solo chiedere: "Mammina mia cara, nel mio nuovo romanzo mi piacerebbe tanto fare le scarpe a qualcuno della famiglia, quindi vorrei scegliere con te la persona migliore. Anzi, la peggiore", e io ti avrei risposto: "Beh, prendi Berte, ben le sta!" E sarebbe andato tutto per il meglio. Ma tu, spiritoso ocme sei, hai scelto da solo e hai scelto me.

CHARLES

Ma insomma, mamma! Io non ho scelto nessuno!

LOUISE

Guarda, come tutto il resto. Cosa ci si può aspettare da un figlio che scappa di casa senza dire niente e che viene a trovarli una volta ogni sei anni?

CHARLES

Cinque anni, mamma. Cinque anni! (Al pubblico con crescente eccitazione.) Mi ero detto: Charles, adesso sei uno scrittore famoso, uno scrittore rispettato dai suoi pari, forse un po' troppo adulato dal pubblico, un uomo serio nel suo mestiere, un uomo che lavora ogni giorno al suo tavolo letterario, un uomo di cui nessuno discute lo stato di uomo di lettere, Charles, mi ero detto, sei riuscito a realizzare il tuo sogno. E anche a casa tua, ormai, anche con la tua famiglia, nel cuore dei tuoi che ami e che si suppone ti siano affezionati, avrai questa nuova conoscenza, tu sarai quest'uomo inedito, e ognuno ti parlerà in modo diverso, come si parla ad uno scrittore, non ad un ragazzino, non ad un bambino stupido, non ad un figlio indegno, ad uno scrittore, Santo Dio, una cosa magnifica e nuova, un uomo nuovo, uno scrittore, mamma, papà! Parlatemi come se fossi uno scrittore!

Pausa. Si guardano.

LOUISE (Quasi calma.)

Allora la signora Valenti mi risponde così, mi risponde che suo figlio è all'ospedale. Allora io le faccio: Che cosa triste, e che cos'ha? Problemi, mi fa lei. Allora io le faccio: Ah sì, ma che genere di problemi? Allora lei mi fa: Problemi del genere respiratorio, allora io le faccio: Ed è grave? E lei dice: Non lo so. Allora io le faccio… Beh, in effetti, non le ho detto niente. Le ho detto: Non si deve preoccupare, signora Valenti. Sono sicura che andrà tutto bene. Incredibile, no?

CHALRES

Cos'è incredibile, mamma?

LOUISE (All'improvviso misteriosa.)

No. Perché, in effetti, bisogna che ti dica, lo so per un'indiscrezione della segretaria medica del centro di salute, sai, Geneviève, e nel Partito anche lei, insomma, mi ha detto… a quanto si dice… sembrerebbe che… insomma, è un segreto e io, lo sai, i segreti… (Cospiratrice.) Insomma, dicono che l'abbia preso.

CHARLES

Chi ha preso che, mamma?

LOUISE

Il figlio della Valenti.

CHARLES

Che ha il figlio della Valenti?

LOUISE

Beh, lo sai… Quella malattia, il coso, lì.

CHARLES

Ma quale coso, mamma? Non capisco niente. Che ha il figlio della Valenti?

LOUISE (Articolando in silenzio.)

AIDS.

CHARLES

Cosa?

LOUISE (Forte.)

L'AIDS, Charles! Ecco, l'AIDS! A perso l'immunità!

Pausa.

Esce con la verdura in mano.

Si sente scorrere l'acqua.

LOUISE (Da fuori.)

E tu, stai bene, tesoro? (Charles non risponde.) Che dici?

Charles non risponde.

Louise appare dalla porta della cucina, con le mani bagnate.

LOUISE

Te lo metti il preservativo, almeno?

Charles scuote la testa, prostrato.

Louise scompare.

Charles si siede, pensieroso.

Louise torna e viene a sedersi accanto a suo figlio.

LOUISE

Sono felice che sei qui, lo sai?

CHARLES

Anch'io, mamma.

LOUISE

Dico certe cose, certo, ma mi sei mancato così tanto.

CHARLES

Anche tu, mamma.

LOUISE

Ti penso così tanto.

CHARLES

Anch'io, mamma.

LOUISE

Penso a te tutto il tempo. Non smetto mai.

CHARLES

Anch'io, mamma.

LOUISE

A volte sono così triste.

Georges alza gli occhi dal giornale.

GEORGES

Anche lui, mamma.

Louise guarda Georges.

LOUISE

Anche tuo padre ti pensa tanto.

CHARLES

Me l'ha già detto, mamma.

LOUISE

Non dai un bacio alla tua vecchia mamma?

Si baciano.

GEORGES (A parte.)

Non mi ricordo più se gli ho dato un bacio quando è arrivato. Che abbiamo fatto, esattamente? L'ho baciato, mio figlio, quando è entrato in salotto?

LOUISE

Bambino cattivo! (Charles alza gli occhi al cielo.) Tu sei il mio piccolino, lo sai. Hai voglia a fare il grand'uomo adesso, tu resti sempre il mio piccolino. (Charles sorride un po' forzatamente.) Il mio piccolino di quarant'anni. La mia cosetta. (Pausa. Si guardano.) Di', non sei un po' ingrassato?

CHARLES

Sto attento.

LOUISE

Fai bene. Gli uomini di quarant'anni devono avere un bel torace. Un pochino di pancia ti fa sembrare un uomo realizzato. Soprattutto adesso che sei famoso, è importante. Mangi bene, almeno, nel tuo paese di selvaggi?

CHARLES

Sì, mamma.

LOUISE

Non è che mangi troppi hamburger con la salsa alla menta?

CHARLES

No, mamma.

LOUISE (Al pubblico.)

Quello che mi piace è che è vestito come un uomo di mondo. Sono sicura che quel vestito è di tweed. E' normale per un inglese. Di certo vale una fortuna. Avrei dovuto mettere un vestito un po' più elegante. Quello coi bottoni dorati. Mi fa sembrare più giovane. Non sarei dovuta uscire quand'è arrivato. Ho fatto una stupidaggine, adesso lo so. Avrei dovuto essere qui, prenderlo tra le braccia e dirgli che ero fiera di lui, fiera da morire e avrei dovuto chiedergli di perdonarmi per non aver creduto in lui quando era un ragazzino. E poi dirgli che il suo romanzo era il più bel romanzo che io avessi mai letto.

GEORGES (Che sgranocchia un biscotto, a Charles, con un tono leggermente sostenuto.)

Mmmh! Non li trovi eccezionali questi biscotti, Charles?

CHARLES (Perso.)

Prego?

GEORGES (Facendogli un piccolo cenno discreto.)

I biscotti! Voglio dire, non è che non li trovi eccezionali, per caso?

CHARLES

Ah, sì! Oh! Buonissimi! Sono veramente buonissimi, lo sai, mamma! Ma buoni buoni buoni! Veramente! Non puoi sapere quanto sono buoni! E' impossibile dire quanto sono buoni!

GEORGES (Al pubblico.)

Non mi pare il caso di esagerare tanto.

LOUISE (Sdolcinata.)

Se ti dicessi a che ora mi sono alzata per farli! Ti faccio ridere: non mi ricordavo più la ricetta. Stavo là, come una cretina, a fare su e giù davanti al tavolo, a cercare nei ricordi, a pensare a tutto queste cose, a chiedermi quanto burro ci voleva e tutto il resto… Ah! Devo dire che mi erano prese belle angosce!

Durante la battuta, Geroges fa dei segni a Charles perché si ricordi di parlare del the. Fa finta di bere dalla tazza.

Charles lo guarda, cercando di capire.

CHARLES

Che vuoi, papà?

GEORGES (A disagio.)

Niente.

LOUISE (Con aria bonacciona.)

E il the?

CHARLES (Al pubblico.)

Merda, il the! (A Louise.) L'ho ripreso tre volte, mamma.

LOUISE

Oh, è un the molto comune, sai. The del supermercato. L'ho comprato qui accanto.

CHARLES

Beh, è un successo.

Pausa.

Louise prende la mano di Charles.

LOUISE (Tutta eccitata.)

Tre giorni fa, te lo devo raccontare, sono andata a prendere il giornale dalla signora Mouchard, sai no, quella dove tu ti compravi i quaderni, beh, adesso è anche libreria. Insomma, libreria, ha messo due tascabili di Barbara Cartland in vetrina, ma questo è pure normale, è il commercio medio. Allora, le faccio così… (Pausa. Guarda suo figlio.) Comunque, hai una faccetta. Sei sicuro che stai bene?

CHARLES

Un po' stanco. Guarda, è normale con tutte queste…

LOUISE

Allora le faccio così: Signora Mouchard, spero proprio che abbia ordinato qualche copia del libro di mio figlio che, quest'anno, è diventato uno scrittore famoso, e ha scritto un bellissimo libro su suo padre e sua madre che vincerà il premio Goncourt, sempre se, finalmente, quest'anno daranno il premio Goncourt a chi lo merita… (Pausa.) E lo sai lei che mi risponde, quella imbecille? Certo che è proprio stupida, eh! (Imita grossolanamente la signora Mouchard.) Non si può mica avere tutto, signora Tessier! Me lo dice così. Cosa? Le faccio. Ma signora Mouchard, lei deve sapere che mio figlio è uno del quartiere e io credo che, a questo titolo, abbia il diritto di stare in un bel posto nella sua vetrina, dato che ha scritto un sicuro best-seller. E aggiungo, un po' sorniona, senti, aggiungo: E soprattutto, signora Mouchard, non si scordi che io le compro L'Umanità ogni mattina e che prendo tutta la mia cancelleria da lei da sedici anni. (Pausa.) Insomma, a parte i dettagli, dopodomani gliene arrivano cinque copie. D'altronde le ho detto che tu eri disponibilissimo a fare degli autografi, e credo che questo le sia piaciuto.

Charles alza gli occhi al cielo.

CHARLES

Ma non si fa così, mamma, e…

LOUISE

Ma si che si fa così. Si fa sempre così. Basta volerlo. Ti piace la carne di cavallo?

CHARLES

Mah, non lo so. Sì, sicuramente.

LOUISE

Pare che gli inglesi non mangino mai carne di cavallo. (Si alza e sistema dei soprammobili sulla credenza.) E poi ad un certo momento mi fa…

CHARLES

Ho un regalino per te.

Si alza e si dirige verso una busta poggiata accanto all'attaccapanni dove ha appeso il suo soprabito.

LOUISE

Mi fa: E come si chiama il romanzo del nostro giovane Tessier? Allora io faccio una faccia molto superiore e le ho fatto notare che mio figlio aveva preferito scegliersi uno pseudonimo, come Voltaire e Troyat.

Pausa.

Ride. Charles sorride.

LOUISE

Naturalmente, perché suppongo che Tessier non sia un nome abbastanza degno per uno scrittore.

Charles cerca nella borsa.

CHARLES

Naturalmente, mamma.

Pausa.

GEORGES

A che ora arriva Jean?

LOUISE

Cosa vuoi che ne sappia, io? (A Charles.) Allora, hai trovato quello che cerchi?

Charles continua a frugare nella borsa.

CHARLES (A parte.)

Dove cazzo l'ho messo, quell'affare?

Buio.

_______ 9 _______

Ad un certo momento, mio padre è uscito dalla stanza

Charles è in piedi, di fronte al pubblico. Ha un pacchetto in mano.

CHARLES (Al pubblico.)

Ad un certo momento, mio padre è uscito dalla stanza. Non so perché, esattamente. Deve aver detto una delle sue solite parole di scuse di cui detiene il segreto e che, in bocca a lui, sembrano sempre un po' ridicole. Quello che credo è che se ne sia andato per mia madre. Per lasciarci soli. Non si è chiesto se io ne avessi desiderio ma sapeva che mamma ne aveva voglia. E' così. E' un padre discreto. Suppongo che, per lui, andarsene sia come lanciare un messaggio.

Viene a sedersi sul divano, accanto a sua madre.

CHARLES

Io stavo seduto, in quel momento. Stavo bevendo il the, ancora the, sempre the. Avevo il mio pacchettino in mano. Mamma era lì. Vicinissima. Allora abbiamo discusso. Mi ha chiesto subito, come fa ogni volta, perché mi ero fermato in albergo, perché facevo così tanti complimenti quando si trattava di passare una o due notti a casa dei miei genitori, eccetera eccetera. E poi abbiamo parlato della vita in generale, del mondo in particolare, della Scozia. Ha voluto sapere tutto, come ogni mia visita: se piove due giorni su tre sulla landa,  se l'aria della sera profuma di whisky quando si alza il vento, se si può diventare pazzi ascoltando per troppo tempo il suono della cornamusa… E poi le ho regalato un piccolo scialle di tartan.

Le dà il pacchetto che lei apre con delicatezza.

LOUISE

Oh, quant'è bello! Com'è elegante!

CHARLES (Al pubblico.)

Lei se l'è messo sulle spalle.

Louise si mette lo scialle intorno alle spalle. Sembra meravigliata.

LOUISE

E quanto mi sta bene! E' proprio la mia misura.

CHARLES (Al pubblico.)

L'ho notato subito che il regalo non le piaceva. Nel momento preciso in cui si è meravigliata ho saputo che non se lo sarebbe messo mai, quello scialle, che sarebbe finito in fondo ad un armadio, e che l'avrebbe tirato fuori solo per le mie visite. E mi ha fatto piacere sentirla estasiata quando non pensava neanche una delle parole che diceva. Davvero un piccolo piacere da scrittore.

Louise si toglie lo scialle.

LOUISE

Ovviamente, non c'entra niente col resto.

CHARLES

E' come tutto il resto, mamma. (Louise ripiega lo scialle e lo appoggia sul tavolino basso. Al pubblico.) Poi abbiamo parlato di casa mia, di soldi, del tempo che passa. E poi mi ha chiesto, sempre col suo modo sornione ovviamente, se ero contento di me, chi frequentavo, se trovavo piacere nelle cose della vita. Per mamma, piacere nelle cose della vita vuol dire sesso.

LOUISE

Ti devi divertire parecchio, laggiù.

CHARLES (Al pubblico.)

Mia madre pensa che un uomo non sposato a quarant'anni o è impotente o è un pervertito. Non un seduttore, attenzione! Il seduttore è un uomo obbligatoriamente sposato che ha delle amanti. Per mamma, non si è mai infedeli a se stessi, solo agli altri. L'impotenza non le dà fastidio. Lla trova ridicola ma onesta, almeno. E' sfortuna. Una fatalità strappalacrime. La perversione è un'altra cosa, ovvio. Mia madre pensa che perversione sia un sinonimo di omosessualità.

LOUISE (Al pubblico, con un sorrisetto ironico.)

Sono così stupida!

CHARLES (Al pubblico.)

E odia l'omosessualità. La disgusta. Non sa neanche perché. Crede che sia una vocazione. Una scelta fatta per calcolo. Ride molto quando vede un omosessuale in televisione. Anzi, non ride, sghignazza. Dice: "Oh, quello, non c'è neanche da chiedersi come ha fatto a sfondare." Mamma adora i luoghi comuni. Le piace sguazzare nelle frasi fatte. Usa certe espressioni stupende. Certe storie esilaranti di froci che fanno ridere solo lei.

LOUISE

Bello come sei, ne devi avere di donne ai tuoi piedi!

CHARLES

Oh, mucchi, mamma, mucchi!

LOUISE (Allegra.)

Che meraviglia!

CHARLES

Già.

LOUISE

Sei come tuo padre. Piaceva tanto alle donne, alla tua età.

CHARLES

Ah sì?

LOUISE

Già.

Pausa. Guarda Charles.

LOUISE

E quella che hai adesso, insomma, voglio dire la donna con cui stai in questo momento, com'è?

CHARLES

Oh, è splendida, mamma.

LOUISE

Alta?

CHARLES

Media.

LOUISE

Ah. Bionda, bruna, rossa?

CHARLES

Oh, sai, io i colori…

LOUISE

Gentile?

CHARLES

Parecchio.

LOUISE

Libera?

CHARLES

Liberata, vuoi dire?

LOUISE

Voglio dire nubile.

CHARLES

Credo di sì… Sì… E' nubile.

Pausa.

LOUISE

Beh, così, almeno, è più semplice.

CHARLES

Più semplice per cosa, mamma?

Pausa.

LOUISE

Peccato che non sei venuto con lei.

CHARLES

Sì, lo so.

LOUISE (Al pubblico.)

Non gli piace che gli faccia delle domande. Per questo gliene faccio. Non gli piace che gli parli d'amore, per questo gliene parlo. Non so bene cosa gli piaccia e non lo voglio neanche sapere. Voglio solo fargli delle domande.

CHARLES

E' molto occupata, sai.

LOUISE

Che lavoro fa?

CHARLES

Lavora.

LOUISE

E' un bene avere qualcosa da fare quando l'uomo che si ama se ne va dall'altra parte del pianeta.

Pausa.

CHARLES (Al pubblico.)

Mi ricordo che un po' più tardi, ho cominciato un lungo monologo sulla mia vita, anzi, sulla vita in generale… Su di me, insomma. Ho parlato della mia scrittura, della mia voglia di annegare nella letteratura, questo desiderio di morire per una frase, questa strana forza che mi spinge verso le parole. Credo di essere stato lirico. Brillante. Avevo qualcosa da dire. Mamma ascoltava. E più io parlavo, più lei ascoltava, e più avevo l'impressione di essere finalmente un vero scrittore, insomma, un uomo di spirito, senza legami, senza passato, un uomo che si riduce a quello che dicono i suoi libri, e non un bambino, non il suo bambino. E poi, all'improvviso, ho smesso. C'è stato un lungo silenzio. Si sentiva papà, da lontano, che smuoveva una pentola o Dio sa che. E poi ancora silenzio. Lunghissimo. E allora ho notato lo sguardo che mia madre mi puntava adosso. Uno sguardo pacato, pesante, freddo e bollente insieme.

Louise sta effettivamente fissando Charles, piuttosto a disagio con questo sguardo.

CHARLES

Ma insomma, che c'è?

LOUISE

Niente.

Pausa.

LOUISE

Ti guardo.

CHARLES

Ah sì?

LOUISE

Sì.

CHARLES

Ah.

Pausa.

CHARLES

E' un po' fastidioso, sai.

LOUISE

Lo so.

CHARLES

C'è qualche problema? Qualcosa?

LOUISE

No.

CHARLES

Ah.

LOUISE

Ti guardo e basta.

CHARLES

Ah.

LOUISE

E, detto tra noi, direi che rischia di durare ancora parecchio.

CHARLES

D'accordo.

LOUISE

Mi stupirebbe.

Charles alza gli occhi al cielo.

Pausa.

LOUISE

Prima di tutto, cos'è che capisci?

CHARLES (A parte.)

Mi sarebbe piaciuto tanto essere orfano. Orfano con una storia: dei genitori che vanno contro a un platano con la macchina mentre io sono dalla nutrice. Avere solo il vago ricordo di averli visti vivi.

LOUISE

Comunque, non ha importanza. Non ti guardo perché tu capisca perché ti guardo.

CHARLES

Benissimo, mamma.

LOUISE

E' normale.

CHARLES

Bene.

LOUISE

E' normale ed è naturale.

CHARLES

E' tutto quello che vuoi, mamma.

Pausa.

LOUISE

E anche se ti dà fastidio, anche se ti scoccia, beh, peggio per te.

CHARLES (Al pubblico.)

Dice peggio per te come direbbe meglio così.

LOUISE

Cos'è che ti dà più fastidio, in fondo, Charles? Che ti guardi o che sia tua madre?

CHARLES (Al pubblico.)

Difficile da dire. (A Louise.) Non dire stupidaggini, mamma.

LOUISE

In ogni caso, io non ci posso fare niente. Non è colpa mia. Quando siamo in due, non so come ti metti, ma sei sempre nel mio campo visivo. (Pausa.) Secondo me, è una specie di fatalità. Dobbiamo essere legati, noi due, da un meccanismo particolare. Non so come funziona. Sicuramente è molto tecnico. (Al pubblico.) E la cosa peggiore è che non so se è bello o brutto. Insomma… A volte è bello e a volte è brutto. (A Charles.) E' come una specie d'amore, però più grave.

Charles alza le spalle.

Pausa.

LOUISE

Guarda, non è che mi lamento, eh! Prendo atto.

CHARLES

A questo ci credo.

Pausa.

LOUISE

In effetti, sai, quando ci rifletto, lo so benissimo perché ti guardo.

CHARLES

Anch'io, mamma, quando ci rifletto, lo so che sai benissimo perché mi guardi.

LOUISE (Quasi aggressiva.)

Ti guardo, perché è un mio diritto.

CHARLES (Al pubblico.)

Ovviamente è una cosa giuridica!

LOUISE

Ho tutti i diritti, Charles.

CHARLES (Divertito.)

Oh, questa è grandiosa, mamma.

LOUISE

Lo so. E' grandiosa ma è giusto. Perché questi diritti, me li sono guadagnati, Charles. E' vero. (Pausa.) Tu sei l'unico essere al mondo ad aver avuto il privilegio di osservarmi dall'interno, nella matrice, lì dove avevo depositato parecchi segreti. E tu hai visto tutto, tranquillo, curioso, hai scoperto tutto, le pareti, i recessi, i respiri, le contrazioni. Tutto quanto. E io non dicevo niente, certo, ero contenta. Tu stavi sempre lì a succhiare le mie forze, ad ascoltare il mio minimo rumore, a rigirarti tra le mie vene, a sbattermi la testa contro il cuore, a costringermi a pensare a te ogni istante. Mi hai spaventato e mi hai fatto ridere. Mi hai fatto male, ma io ero felice di soffrire per te. Perciò, mio piccolo Charles, questo si paga. Adesso è un credito che tu devi rimborsare. Un mostruoso credito d'amore. Il prezzo della tua curiosità. La tassa per la vita. Nuove mesi di affitto, una bella cifra. E tu non sei ancora pronto per affrontare l'ultima tappa. L'ultima tappa, mio piccolo Charles, preferisco dirtelo subito, l'ultima tappa è la mia morte. Ecco. Io ti amo ad un punto che tu non puoi neanche immaginare, Charles. E' quasi indecente. Quasi animalesco. Anche quando ti odio, beh, ti amo. (Pausa.) Quindi, finché avrò occhi che funzionano, non mi perderò uno sguardo.

Pausa.

Poi Charles scoppia a ridere.

Si volta verso sua madre.

CHARLES

E Jean?

LOUISE

Jean che? Che c'entra tuo fratello, adesso?

CHARLES

Jean! Dici anche a Jean la stessa cosa? Anche a lui fai questo pezzo dello sguardo?

LOUISE

Ma che idea! Certo che no. (Al pubblico.) Certe volte i figlio sono così ridicoli. Hanno così paura di essere amati meno degli altri e sono così spaventati che non li si preferisca al mondo intero. (A Charles.) Ma come ti vengono in mente certe idee! Tuo fratello è diverso.

CHARLES (Al pubblico.)

In mancanza del fatto di essere orfano, mi sarebbe piaciuto avere una madre che guardasse i suoi due figli nello stesso modo. Intendo per lo stesso numero di secondi.

LOUISE

Jean è una persona molto più semplice di te, lo sai. E' semplicissimo, anzi. (Pausa.) Gentilissimo e semplicissimo. Lui sogna di avere una briciola di talento per qualcosa, tu scrivi. E' questo che fa la differenza. Lui non ha torture. Solo piccoli desideri che somigliano a voglie, nient'altro. Una vita fatta come una linea retta. Con delle gioie di repertorio e dei rimpianti comuni. Un uomo, dico. E poi non si fa domande sull'amore che gli viene dato. Ne approfitta e basta. Quindi non c'è bisogno di fare granché perché capisca.

CHARLES

Capisco.

LOUISE

Non ho bisogno di guardarlo lui, sai. (Pausa.) Lui è fedele. E' vicino. Non ho mai avuto paura di perderlo di vista. Sa che io ci sono. Non ha bisogno di tanta intensità nella passione che ho per lui.

CHARLES

Nessuno ha bisogno di tanta intensità, mamma.

LOUISE (Al pubblico.)

Si sta chiedendo se mio dia o mi ama, adoro questa cosa. Adoro il suo viso un po' scomposto, quello sguardo febbrile. Quando era piccolo, se faceva una stupidaggine, gli dicevo sempre: "Da questo preciso momento, non ti voglio più bene, è finita." E allora lui mi guardava con quella faccia che ha ancora oggi. Quel misto di rabbia e di disperazione.

Guarda Charles con insistenza.

LOUISE

E poi c'è un'altra cosa, Charles. C'è una vera differenza tra voi due. (Pausa.) Suppongo che tu la voglia sapere.

CHARLES

Non particolarmente.

LOUISE

Quando ho avuto Jean, amavo tuo padre. Ma quando ho avuto te, beh, amavo te.

CHARLES

Che cazzo!

LOUISE

Come vuoi.

Pausa.

Charles si alza, seguito da Louise. Fanno qualche passo per la stanza, in direzioni diverse, toccano un soprammobile qui, spostano un libro sullo scaffale là o rimettono dritto un quadro al muro.

CHARLES (Al pubblico.)

Se devo essere sincero, e riflettendoci bene, non sono sicuro che quest'ultima conversazione sia avvenuta veramente.

LOUISE (Al pubblico.)

Neanch'io.

CHARLES (Al pubblico.)

Anzi, ne sono certo. Questa conversazione non è mai avvenuta.

LOUISE (Al pubblico.)

E' vero.

CHARLES (Al pubblico.)

Ho smesso di parlare, lei mi guardava, io le ho chiesto cosa c'era, lei mi ha detto che non c'era niente, e basta. Ha distolto lo sguardo e abbiamo parlato d'altro.

LOUISE (Al pubblico.)

Del tempo che passa.

CHARLES (Al pubblico.)

Sì, esatto. Del tempo che passa.

Pausa.

Buio.

_______ 10 _______

Sono stato trattenuto

Charles e Louise sono nella stessa posizione. Si sente il rumore di una chiave nella serratura. La porta d'ingresso si apre.

Arriva Jean.

Molto somigliante a Charles. I tratti un po' più marcati, forse.

Jean è leggermente alticcio. O piuttosto eccitato da quello che ha bevuto. Guarda sua madre e suo fratello.

JEAN

Sono stato trattenuto. (Pausa.) Chiedo scusa.

Pausa. Eloquio tagliente e rapido.

JEAN

Il lavoro in ufficio una cosa sto facendo un lavoro assurdo in questo momento non so come si fa a tirare avanti con tutto questo lavoro è incredibile i fascicoli sono piccoli e coi fascicoli piccoli non ci fai un cazzo e non c'è un cazzo altro e quindi con la merda è tutto un lavoro perché ci vuole tempo e io allora mi ero stufato e poi dopo c'era questa riunione di cui non mi fregava niente quindi ci sono andato e mi sono annoiato ma ho preso la parola non avevo niente da dire ma ho preso la parola e poi dopo ho preso la mia carretta e quella puttana di strada mi si è bucata la ruota davanti quella di sinistra e io non mi ricordavo più dov'era il cric allora ho cercato il cric e poi ho trovato il cric e poi ho cambiato la ruota e dopo che avevo cambiato la ruota e messo a posto la ruota vecchia e poi il cric c'era quel tizio accanto a me non so perché quel vecchio compagno di scuola insomma non della mia classe una persona abbastanza gentile che prima abitava qui nel palazzo e poi ha voluto offrirmi da bere e dopo abbiamo discusso e poi voleva raccontarmi la sua vita e mi ha detto un sacco di cose tra l'altro che è malato di quella malattia del cazzo che fa paura e allora io ho avuto paura perché era la prima persona con cui discutessi che ha l'AIDS allora io mi sono chiesto un sacco di cose sempre continuando a discutere se potevo toccarlo stringergli la mano respirare la sua  stessa aria e nel frattempo mi dicevo che ero una persona di merda perché appunto pensavo che era pericoloso avere pensieri così brutti davanti ad un uomo che era così gravemente malato e poi alla fine lui se n'è andato e io mi sono lavato subito le mani e mi sentivo proprio uno schifoso a comportarmi così e più mi facevo schifo più strofinavo e più sapone prendevo che schifo questa cosa mi ha distrutto il buonumore perciò ho bevuto altri due bicchieri e poi volevo telefonarvi. (Pausa. Deglutisce.) Vi volevo telefonare. (Pausa.) La prima cabina non prendeva le monete. La seconda le accettava ma non le mie. (Pausa.) E la terza cabina era rotta. Sono sempre rotte le terze cabine. Allora ho lasciato perdere. (Pausa.) Beh, adesso sono qui. Che ore sono?

LOUISE

E' tardi.

Jean scuote la testa.

JEAN

Mi sa che ho bevuto troppo. (Pausa.) Salve, fratellino.

CHARLES

Ciao.

JEAN

Come stai dopo tutto questo tempo?

CHARLES

Bene.

Pausa. Si guardano esitanti.

JEAN

Allora, che si fa? Ci abbracciamo o no?

Charles si avvicina. Si abbracciano.

Jean vacilla leggermente.

Charles lo trattiene.

JEAN

Io sono completamente fatto! (Ride.) Scusa per le parolacce. Lo so che non sono proprio davvero sinceramente per niente completamente letterario. Insomma, bisognerà sopportarlo, eh! (Ride ancora.) Tutto bene, mamma? (Lei scuote la testa.) Papà non è della partita?

LOUISE

E' in cucina, non so che sta facendo. (Urla.) Georges!

JEAN (Al pubblico.)

Mi ero preparato qualcosa di carino da dire a mio fratello, qualcosa di perfetto. Molto sentito. Quasi profondo. Ma ecco. Stamattina. Stasera non mi va più di essere carino. Né perfetto, né niente. Sono strane le cose, eh… I sentimenti, voglio dire. Fai delle previsioni sul suo piacere, ti fai delle idee, e quando finalmente il piacere arriva, ti rendi conto che non è più quello che ti piaceva veramente. Ma sto dicendo cazzate. (A Charles.) Sono contento di rivedere il mio fratellino.

CHARLES

Anch'io.

Arriva Georges, con una bottiglia di champagne in mano.

GEORGES

E' fresco.

Louise gli fa segno di posare la bottiglia sul tavolo.

Georges domanda a gesti se deve aprire la bottiglia. Louise gli fa segno di aspettare.

JEAN

Suppongo che vi siate già detti tutto.

CHARLES

Non lo so.

Jean si siede pesantemente su una delle poltrone.

JEAN

Il romanzo, i rimproveri, la famiglia, tutto insomma! Come ogni rimpatriata. Avete fatto il punto, immagino.

CHARLES

Abbiamo parlato.

JEAN

Bene.

CHARLES

E tu, la tua vita?

JEAN

Oh, io! (Pausa.) Io ho un mal di testa! Tremendo!

Si dà delle botte sulla fronte col palmo della mano.

LOUISE

Dovresti andare in bagno a darti una rinfrescata, tesoro, io…

JEAN (Dopo una pausa di riflessione.)

Sì, credo che tu abbia ragione.

Si dirige verso la porta. Si ferma e si volta.

JEAN

Anch'io da piccolo scrivevo bene.

LOUISE

E allora?

JEAN

E allora niente. Dicevo per dire. (Charles guarda suo fratello.) In ufficio mi hanno rotto le palle tutta la giornata con mio fratello di qua e mio fratello di là, il suo talento, il suo mestiere, la sua faccia da seduttore, gli autografi, la sua vita, il suo destino, la sua penna, i suoi libri, le sue storie, quindi stasera lo dico a tutti. Anch'io da piccolo scrivevo bene! Cazzo!

Scompare.

Pausa.

GEORGES

Che faccio con la bottiglia?

Charles si dirige verso la porta.

CHARLES

Vado a parlarci.

LOUISE

Ma no, lascialo stare. Sai, non sta bene in questo periodo, è meglio…

Jean apre la porta e ricompare.

E' in maglietta e mutande.

JEAN

Comunque, avevo talento! Questo è sicuro. (Pausa.) Un meraviglioso talento di ragazzino che fa i compiti nel tempo stabilito e che sa la lezione quando gliela chiedono!

LOUISE

Siamo tutti fieri di te, Jean…

JEAN

Eh!

Scompare, richiude la porta, poi la riapre subito…

JEAN

Te li ricordi i miei bellissimi temi, mamma? (Pausa.) Te le ricordi, mamma, le mie sublimi cartoline quando ero in vacanza in colonia?

LOUISE

Oh, ma certo, tesoro. "Cara mamma, caro papà. Dormo bene, mangio bene, sto bene, è bel tempo. Va tutto bene. Baci, Jean."

JEAN

Sì, va bene, d'accordo, questo non era un buon esempio.

LOUISE

Ho fatto un esempio.

JEAN (Infastidito.)

Mamma!

LOUISE

Mi hai scritto delle bellissime lettere, è vero.

JEAN

Ah! Già va meglio. Spero che tu le abia tenute.

LOUISE

Non dire stupidaggini.

CHARLES

Beh, allora la apriamo, questa bottiglia?

GEORGES

Lo sanno tutti che eri un bravo studente, Jean. Qui siamo tutti contenti che anche tu abbia fatto qualcosa della tua vita. Capufficio è stupendo. Non hai niente da rimproverarti.

JEAN

Già. Perfetto. Straordinario. L'eccellente capufficio Jean Tessier. Formidabile scribacchino. Ottimo studente da piccolo. Enormi possibilità. Enorme felicità. (Pausa.) Sì, sì, questo si sa. Beh, allora adesso vi faccio una domanda.

LOUISE

Prima di tutto vatti a fare una boccetta, poi vediamo.

Jean guarda tutti. Deglutisce.

JEAN

Vi faccio una domanda. (Prende un respiro.) Attenzione, ecco la domanda. (Al pubblico.) Adoro l'istante in cui uno sa perfettamente che sta per dire una stronzata. C'è qualcosa di tragico in questo. Qualcosa di estremo. Di estremamente idiota, ma estremamente godurioso. (Guardando Charles.) Perché io, che ero un bravo studente, non sono mai stato capace di scrivere un cazzo di romanzo di merda, e perché Charles, che era meno bravo di me, beh, perché lui ci è riuscito?

Punta il dito verso Charles.

LOUISE

Hai una macchia sulla maglietta.

JEAN

Se riprendiamo il problema da zero, è strano lo stesso, no? Abbiamo gli stessi genitori, siamo nati nella stessa città, abbiamo dormito nella stessa stanza per anni. Quando i pantaloni mi stavano piccoli, se li metteva lui. Siamo andati alla stessa scuola. Abbiamo riso delle stesse cose per anni. Abbiamo mangiato la stessa roba. Ci assomigliamo. Allora che c'è? Non possiamo anche fare la stessa cosa, no? Voglio solo sapere questo.

LOUISE

Siete diversi, tutto qui.

JEAN

Diversi, diversi! Cos'è diverso? (Guarda Charles.) Tu, Charles, hai qualche idea su quale sia la differenza?

Charles alza la testa, un po' smarrito.

CHARLES

Io? No.

JEAN

Mi stai prendendo per il culo o che? Non mi dire che non hai in proposito. Tu che hai idee su tutto. Tu che sei la gloria romanzesca della casa, il messia dell'immaginazione straripante, il genio della letteratura francese contemporanea…

CHARLES (Al pubblico.)

Mio fratello ha una specialità. L'ha sempre avuta, del resto. Se gli salta una valvola, tutto l'impianto segue il movimento. (A Jean.) Ma è così e basta. Non si può fare niente.

Jean guarda suo fratello.

JEAN

Già, sì, d'accordo. Mi vado a fare la doccia.

Esce. Pausa.

GEORGES (Al pubblico.)

Credo di essere stata la prima persona a cui Charles abbia fatto vedere quel che scriveva.

LOUISE (Al pubblico.)

Smettila coi ricordi, papà, sei noioso.

GEORGES (Al pubblico.)

Era una poesia. Dodecasillabi. A parte un verso di tredici sillabe. Non ho avuto il coraggio di chiedere perché. Come fai a far notare ad un bambino che ha peccato di goffaggine? La poesia si chiamava "Autunno". La so a memoria ancora oggi. Volendo, la posso anche recitare.

CHARLES (Al pubblico, disperato.)

Oh no, questo no!

GEORGES (Al pubblico.)

"Autunno.

Gli alberi hanno i brividi, come un cuore che ha freddo

E le foglie ingiallite cadono a due, a tre

L'estate se n'è andata e poi ecco l'autu…"

LOUISE (A Charles, indicando la porta da cui è uscito Jean.)

Da quando la moglie l'ha lasciato, non c'è più niente da fare. E' terribile. Sai, un giorno dovresti scrivere un romanzo su tuo fratello. Hai presente, il tipo d'uomo che seduce piuttosto bene ma che non tiene le distanze. (A Georges.) Del resto, anche tu sei un po' così, papà. A volte mi chiedo se Jean non abbia preso da te.

GEORGES

Non so se io tengo le distanze, come dici tu, ma in ogni caso noi due stiamo ancora insieme.

LOUISE

Bell'impresa! (Al pubblico.) Jean è un ragazzo gentile. Io lo amo molto. Ha un gran cuore, è un buon funzionario. Ma il problema è che è incostante. Fin da piccolo. Cominciava mille cose e non ne finiva nessuna. Il suo problema principale è sempre stato la mancanza di fiducia in sé. Questa paura idiota di riuscire. Insomma, voglio dire, di averne la sensazione. E questo non da oggi. E' dall'asilo. All'inizio è entusiasta delle cose, è una febbre, si crede migliore degli altri, all'improvviso, quando comincia a diventare bravo sul serio, beh, gli vengono mille dubbi, si fa mille domande, comincia a dirsi che c'è gente che ha più talento di lui, quindi, ovviamente, una volta su due, è la fine. No. La verità è semplice. E' la prospettiva di avere talento che l'ha sempre angosciato. Quant'è strano, a pensarci!

CHARLES

Mamma, lascia perdere, per favore!

LOUISE

Ma ti dico la verità, Charles. Non lo dico per farti dispiacere. (Jean compare sulla porta. Si è rimesso i vestiti.) Gli insegnanti me lo dicevano a scuola. Se il suo Jean fosse più organizzato…

JEAN

Io sono qui, mamma.

LOUISE

Già? Non ti sei fatto la doccia?

JEAN

No. Mi sono detto: A che serve, in fondo, mettere la testa sott'acqua se mia madre lo sta già facendo nella stanza accanto. Davvero, è inutile. (Va a sedersi accanto a Charles.) Beh, scusa, fratellino. Non so cos'ho detto prima. Tu sei un buon fratello, hai tanto talento e io ti amo come si può amare qualcuno della famiglia dopo quarant'anni. Con impegno. (Ride.) Su, scordati tutto quello che ho detto. (Pausa.) Come di certo saprai, perché suppongo che tutti qui ti abbiano messo al corrente con tonnellate di dettagli, mia moglie se n'è andata. Ecco. Si è data. E questo è molto scocciante. Insomma, per lei non so. Ma per me, è abbastanza… Insomma, ci tenevo a lei… (Pausa.) Ma adesso lei non c'è più. E non è il genere di cosa che si scorda facilmente, ovvio, anche quando l'odio diminuisce.

Pausa.

Sguardo pietoso di Charles.

JEAN

Beh, almeno non mi guardare con quella faccia da assistente sociale. Sono triste, ma… resto degno. E' successo lo scorso luglio. Mese di merda, luglio, eh. All'inizio prevedevano un'estate piovosa. Cominciava bene. Pioveva. Ce ne stavamo lì, tutti e due, e poi all'improvviso lei non c'era più. (Pausa.) Oh! Sospettavo che un giorno sarebbe successo, guarda… Lo sospettavo da… pfff… non lo so, toh, lo sospettavo dal novantuno novantadue. Esattamente. Dalla mia storiella con… Insomma, quella storia non era proprio niente, del resto… Una specie di flirt finito abbastanza bene, e poi… Una cazzata, ecco. Ma lei se n'è accorta. Allora, crisi di pianto e tutto il resto, certo, immaginati la scena. E io, da bravo, ho chiuso tutto. Il che non era poi così difficile da fare, in fondo, visto che era già finita. La mia storiella, intendo. E poi è tornato tutto come prima, a parte che, certo, niente era più come prima… C'era una strana atmosfera. Ma la cosa mi ha stupito lo stesso… Insomma, voglio dire quando se n'è andata. Anzi, non quando se n'è andata ma quando mi ha comunicato che se ne sarebbe andata. La cosa più dura è stata questa: l'annuncio. Perché ovviamente se n'è andata col bambino, per di più. Povero ragazzino. Per agosto avevamo affittato un piccolo bungalow in Bretagna e lei mi ha lasciato a luglio. Per uno di Brest. E già, lo so. Normalmente è il genere di coincidenza che può farmi ridere, ma al momento non più di tanto, in fin dei conti. Insomma, così non va, non sono al meglio della forma, sono infelice e non concepisco che qualcuno possa avere anche il minimo milligrammo di felicità accanto a me. Questo mi fa incazzare!

GEORGES

Si sta comodi su queste sedie, eh? Non trovate?

Tutti guardano Georges.

CHARLES (Al pubblico.)

Mio padre è sempre stato il campione del diversivo che non funziona. L'effetto mancato non ha segreti per lui. E' uno specialista.

Pausa.

GEORGES

Senti, sono andato dal dottore l'altro mese.

LOUISE

Non scocciare i ragazzi con le tue storie, papà.

GEORGES

Ma è molto interessante.

LOUISE

Alla tua età è normale essere malati.

GEORGES

Oh, se ne parlo è solo per informarvi. Per farvi un piacere. (A Charles.) E poi lo dico perché c'entra col tuo romanzo, figlio mio. Pare che gli scrittori siano tutti un po' visionari. Mi sbaglio?

CHARLES

Allora, che ti ha detto?

GEORGES

Aspetta, aspetta. Sono andato dal dottore perché mi sono detto che avevo dei dolori strani. Una specie di fitta nella schiena. O nella pancia. Una cosa complicata. Allora ho voluto vederci chiaro. Quindi sono andato dal dottore per sapere se tante volte non fosse una specie di cancro.

CHARLES

Quant'è stupido quest'uomo!

JEAN

Il cancro non dà quei dolori, papà.

GEORGES

E' possibile, mi ha detto il dottore.

Louise ha un soprassalto.

LOUISE

Non mi hai mai detto che il dottore aveva detto che era possibile.

GEORGES

E' possibile che non te l'abbia mai detto ma è certo che il dottore mi ha detto che era possibile.

JEAN (Al pubblico.)

Papà è sempre stato molto chiaro nelle sue spiegazioni.

GEORGES

Allora ho fatto le analisi.

CHARLES

Beh?

GEORGES

Mi interessava parecchio il risultato, per forza. Un padre che rischia di morire di un male incurabile, è sempre una notizia importante, no? Già in un libro è commovente, figurati nella vita vera… (Tira fuori un foglio dalla tasca.) Ho ritirato i risultati ieri.

LOUISE

Ma insomma, non mi hai detto niente!

JEAN (Inquieto.)

E allora?

GEORGES

E allora li ho letti, ovviamente.

CHARLES (Inquieto.)

E allora?

LOUISE (Ancora più inquieta.)

Già, e allora?

GEORGES

Allora è scocciante.

LOUISE

Cosa? Cos'è scocciante?

Pausa.

GEORGES

Non ho niente. Desolato. (Ride.) Beh, allora, la apriamo questa bottiglia di champagne, sì o no?

Louise si lascia cadere sul divano.

Jean e Charles scoppiano a ridere.

LOUISE

Che imbecille! Ma che imbecille!

CHARLES

Era uno scherzo, mamma!

LOUISE

Odio gli scherzi stupidi di tuo padre.

Pausa.

Finisce per sorridere. Tutti ridono sempre più forte. Un riso anche troppo rumoroso.

Louise si alza, apre la credenza, prende dei bicchieri. Georges fa delle smorfie per aprire la bottiglia di champagne (fa finta di mirare i suoi figli o sua moglie.). Jean sgranocchia un dolce. Georges riempie i bicchieri. Ognuno alza il proprio bicchiere.

JEAN

Al miglior scrittore della famiglia!

LOUISE e GEORGES

Al miglior scrittore della famiglia!

Bevono.

GEORGES

E' buono.

CHARLES

Ottimo.

JEAN

Delicato.

LOUISE

Delizioso.

GEORGES

E fresco. Quant'è fresco!

JEAN

Al punto giusto.

LOUISE

Volete degli stuzzichini?

Gli altri fanno cenno di sì con la testa.

Louise si dirige verso la credenza, apre un pacchetto di noccioline e le versa in una ciotolina.

Ne offre a tutti.

JEAN (A Charles.)

Senti, a proposito, lo sai che ti ho visto stamattina?

CHARLES (Stupito.)

Ah sì?

JEAN

Beh sì. Insomma… sì. (Beve.) Pensa, dovevo fare una commissione per il ministero, dovevo vedere un fornitore, insomma, il solito lavoro, ecco, e avevo appuntamento a boulevard Saint-Michel. Il tuo albergo è proprio all'angolo, mi sbaglio?

CHARLES

Sì, sì. All'angolo.

JEAN

Il Royal Paris!

CHARLES

Esatto.

JEAN

Beh, allora ho visto proprio te. Sono passato davanti all'hotel proprio quando tu stavi uscendo. Il Royal Paris. Non ho voluto disturbarti, sai…

CHARLES (Freddo.)

Che bello.

Incrocio di sguardi tra Jean e Charles.

GEORGES (Indicando la bottiglia di champagne.)

Ancora un po'?

Gli tendono i bicchieri. Georges versa.

LOUISE (A Jean.)

Ma insomma Jean, non mi dire che non sei andato ad abbracciare tuo fratello quando l'hai visto davanti a quell'albergo!

JEAN

Sembrava molto occupato, sai… (Allegro.) Allora… Che si mangia stasera?

LOUISE

Occupato a fare che?

JEAN

Niente. Stava… Parlando.

LOUISE

E allora?

JEAN

Non ho voluto disturbare, mamma. Ecco. Stava parlando. Uno scrittore discute. E io non disturbo le persone che stanno… Insomma, quelli che parlano. Li lascio stare… Io…

Nuovo incrocio di sguardi tra Jean e Charles.

Jean all'improvviso sembra desolato.

JEAN

Non avrei dovuto dirlo.

Charles fa un lieve movimento col braccio, fatalista.

LOUISE (A Charles.)

Mi pareva strano che fossi venuto da solo.

CHARLES

Bene. Prima avevi il dubbio, adesso sei sicura. E' tutto a posto. Ecco.

LOUISE

E, beninteso, suppongo che tuo padre e io, ovviamente, siamo troppo mediocri per avere il privilegio, l'insigne onore di incontrare questa famosa persona! Oh, ma io capisco. Una coppia di vecchi stupidi che vive in un appartamento datato, manca di classe, certo. (Pausa.) Abbiamo fatto bene a metterti al mondo, eh! E soprattutto siamo stati tranquilli ad aspettare che diventassi sdegnoso. Comodi i genitori modesti, vero! Fanno figli migliori di loro, non rivendicano granché, si nascondono facilmente! E poi uno se li scorda, come un pezzo di pane sotto a un mobile. (Pausa.) Magari uno si ricorda il nome. In mancanza del resto.

JEAN (A parte, con la testa fra le mani.)

Merda!

Pausa.

Charles riflette.

CHARLES (Pacato e secco.)

Beh, d'accordo. Peter. (Pausa.) Si chiama Peter.

Pausa.

Louise è gelata. Georges tiene la bottiglia come sospesa in punta di dita.

Jean si morde le labbra.

CHARLES

E' giovane. E' alto. E si chiama Peter McLeod. Un uomo di sesso maschile. Gentile. Molto gentile. Capelli rossi. Parla inglese. E' andato a passare la giornata al Louvre. Gli piace il vino bianco, le cose cotte in umido, la poesia del Settecento, il romanzo dell'Ottocento, l'architettura del Novecento. E un sacco di altre cose. Lavora alla biblioteca di Edimburgo. E' il responsabile. Non si può dire che sia bello. Ma non si può neanche dire lo stesso di me. Legge i miei manoscritti. Mi dà il suo parere. Mi piace quando mi dà il suo parere. Si chiama peter McLeod.

Pausa.

LOUISE (Con la vocina.)

Benissimo. (Pausa.) Vado a mettere in forno l'arrosto di cavallo. (A Georges.) Vieni, papà?

Scompare in cucina seguita da Georges.

Jean guarda Charles che prende un gran respiro.

JEAN

Mi sa che ho fatto una stronzata.

CHARLES

Ah sì, tu credi?

Si guardano e finiscono per sorridere.

Buio.

_______ 11 _______

E la serata è passata

Luce smorzata.

Charles e Jean sono entrambi seduti a tavola.

Davanti a loro, una bottiglia di whisky già iniziata e due bicchieri.

CHARLES (Al pubblico.)

E la serata è passata. Non peggio di un'altra, dopo tutto. Magari un po' più riuscita. Abbiamo parlato tanto. Di tutto e di niente.

JEAN (Al pubblico.)

Soprattutto di niente.

CHARLES (Al pubblico.)

Facevamo degli sforzi notevoli per dare l'impressione di essere gente ragionevole, gente che capisce le cose.

JEAN (Al pubblico.)

Mamma rideva un po' troppo forte. E' il suo modo di essere triste quando c'è gente.

CHARLES (Al pubblico.)

Papà era pieno di attenzione verso tutti quanti noi. Come se il destino del mondo dipendesse da questo. Sembrava un maitre in un ristorante che vuole la terza stella. Però l'arrosto era troppo cotto e le verdure troppo poco. E il dolce galleggiava nello zucchero.

JEAN (Al pubblico.)

Alla fine abbiamo aperto un'altra bottiglia di champagne, però tiepida, in onore di non so cosa.

CHARLES (A Jean.)

Tiepida non è la parola giusta, non era abbastanza fresca.

JEAN

Come vuoi.

CHARLES (Al pubblico.)

Mamma, di tanto in tanto, mi lanciava certi sguardi, di nascosto. Mi sembrava che cercasse di capire qualcosa.

JEAN (Al pubblico.)

E Charles sembrava felice di esserci. Sì, contro ogni previsione. Felice di essere seduto a quel tavolo, con quelle persone. Non aveva più quell'aria frettolosa che aveva in ogni altra visita. Quella sera, insomma, dava l'impressione di non avere nessuna parte da recitare.

CHARLES (Al pubblico.)

Forse, comunque restavo sulle mie.

JEAN (Al pubblico.)

E' quasi arrivato, così, come se niente fosse, a darci due o tre dettagli della sua vita, laggiù, nella sua casa scozzese. Almeno un'altra volta, insomma, mi sembra, ha rifatto il nome di Peter.

CHARLES (Al pubblico.)

E poi, all'improvviso, mamma ha sbadigliato dopo aver dato una gomitata a papà che si è messo a sbadigliare anche lui.

JEAN (Al pubblico.)

"Avrete un sacco di cose da dirvi, tu e Jean, ha detto mamma. Tra fratelli è normale." (A Charles.) E' vero, è normale, tra fratelli.

CHARLES (Al pubblico.)

"Li faccio domani, i piatti", ha detto papà, come se la cosa lo facesse felice.

JEAN (Al pubblico.)

Poi si sono alzati, degnissimi, come si deve, ci hanno augurato la buonanotte. Ci hanno baciato. Il bacio di mamma a Charles è durato un po' più del previsto.

CHARLES (A Jean.)

Non c'era niente di previsto.

JEAN (Al pubblico.)

Un po' più del solito, se preferisci. A me è sembrata un'eternità. Sulla porta, mamma voleva dire qualcosa ma poi ci ha ripensato.

CHARLES (Al pubblico.)

"Spegnete la luce, uscendo", ha detto papà.

JEAN (Al pubblico.)

E sono andati a dormire.

Pausa.

Jean versa un whisky a Charles e si riempie il bicchiere.

Beve.

Pausa.

JEAN (A Charles.)

E così pare che dobbiamo dirci delle cose.

CHARLES (Con un sorriso.)

Pare proprio di sì.

Pausa.

JEAN

Beh, dai.

CHARLES

Dai.

Bevono. Pausa. Jean si alza. Prende dalla credenza un giornale e lo guarda.

JEAN

Peter McLeod?

CHARLES

Sì.

JEAN

Suppongo che sia uno simpatico.

CHARLES

Già, simpatico.

Pausa.

JEAN

Beh, allora, insomma… Cioè, voglio dire… per semplificare… Dormite nello stesso letto, eh?

CHARLES

Per semplificare, sì.

Jean ridacchia.

JEAN

Non mi dà fastidio, eh!

CHARLES

Questo lo vedo.

JEAN

Non è facile immaginarti nella situazione, tutto qui. E' stupido, lo so! Magari solo perché sei mio fratello. In effetti, credo che fino ad oggi, non mi sono mai fatto domande sulla tua sessualità. Che imbecille! Ho sempre creduto che non ci fossero problemi con te… che fossi normale e…

CHARLES

Normale?

JEAN

Oh, lascia perdere! Certe volte sono proprio una nullità. Scusa. (Pausa.) L'essenziale è che tu sia felice. Chi se ne frega del resto, vero? Sei felice, almeno?

CHARLES

Sì, almeno.

JEAN

Allora va bene.

Pausa. Jean volta le pagine del giornale.

Charles lo guarda.

CHARLES

Buone notizie?

JEAN

Ottime. Ottime… Senti questa. (Come se leggesse un articolo.) Da stasera in poi il signore e la signora Tessier hanno l'onore di far sapere al mondo intero, ai loro congiunti e ai membri del Partito che è giunta l'ora del loro contributo, che, dopo anni di silenzio e molta esitazione, hanno deciso di accettare i loro due figli: lo scrittore che non ama le donne e il fratello grande che ha buttato via la sua vita. (Charles ride.) Ma se rimangono convinti che lo scrittore che non ama le donne forse un giorno ci riuscirà, sono molto meno ottimisti riguardo al destino del fratello maggiore.

CHARLES

Ma che stai dicendo, tu non hai buttato la tua vita.

JEAN

Se lo dici tu. In ogni caso, è vero che non ho buttato via granché, visto che non ho fatto niente. (Alza il bicchiere.) Su! Beviamo alla salute di papà e mamma! Se lo meritano.

Charles alza il bicchiere.

Bevono.

JEAN

Beh, vedi, io, le tue piccole rivelazioni di stasera, così, davanti a tutti, subito prima di mangiare, le ho trovate di un fascino folle. "Vi dico con chi scopo durante l'aperitivo e vi spiego come al dolce." Bello come un romanzo. Ancora un goccetto?

CHARLES

No.

JEAN (Servendosi da bere.)

E poi è tipicamente comunista, no? Davvero: confessare spontaneamente davanti a tutta la famiglia delle colpe che non hai commesso, è comunque la fine della fine quando sei a casa di comunisti che hanno visto gli anni Cinquanta. Mi vengono dei ricordi. Guarda, tu sei stato fortunato, sei stato perfino perdonato. Niente gulag familiare per Charles Tessier detto Charles Dram! Reintegrato in pompa magna! Eh sì, che vuoi, i tempi cambiano.

CHARLES

Mi sa che hai bevuto troppo.

JEAN

E' possibile. Tu vai a letto con un inglese che si chiama Peter e scrivi dei romanzi che meritano il premio Goncourt, e io bevo come una spugna. A ciascuno le sue glorie.

CHARLES (Al pubblico.)

Non so esattamente da quando mio fratello sia diventato cinico.

JEAN (Al pubblico.)

Io lo so benissimo da quando. (A Charles.) Quello che mi affascina, sai, è che fra un giorno o due, dopo le solite lamentele, mamma si sentirà in dovere di trasformarsi tutto d'un botto in una pasionaria della differenza! Poterà la tua croce, puoi starne certo. Militerà, è ancora quello che sa fare meglio. Per lei sarà una vera prova d'amore. E questo, sai, questo spettacolo, beh, sarà grandioso.

CHARLES (Sorridendo.)

Preferisco essere lontano di qui quando succederà!

JEAN

Ti capisco.

Pausa.

CHARLES

Perché, quando i genitori invecchiano, ce l'abbiamo meno con loro?

JEAN

Paura di finire per assomigliargli.

Pausa.

JEAN (A Charles.)

Questo fine serata mi ricorda quando eravamo giovani, io e te. Cioè, quando io ero giovane e tu eri piccolo. Ti ricordi?

CHARLES

Già, era bello quand'ero piccolo.

JEAN

I genitori andavano a letto e noi due restavamo qui in salotto, oppure andavamo in camera nostra e parlavamo per ore.

CHARLES (Al pubblico.)

Lui parlava per ore e io stavo a sentire.

JEAN (Al pubblico.)

Avevamo i letti a cassettone. Ma, durante la giornata, era il letto di Charles che spariva sotto al mio.

CHARLES (Al pubblico.)

Io mi mettevo le sue camice quando diventavano troppo piccole per lui.

JEAN (Al pubblico.)

Facevamo la bella vita. A Natale sognavamo dei regali che eravamo sicuri di non ricevere mai.

CHARLES (Al pubblico.)

Mi obbligava ad adorare i Rolling Stones mentre io preferivo i Beatles.

JEAN

Ti volevo così bene a quei tempi.

CHARLES

Non è cambiato niente.

JEAN

Ovviamente.

Si versa un bicchiere.

CHARLES

Tu bevi troppo.

JEAN

Faccio quello che posso. (Pausa.) Tu mi guardavi con gli occhi sgranati. E io ti parlavo del mondo, della vita, del mio destino.

CHARLES (Al pubblico.)

Ho benedetto i tempi in cui era convinto di avere un futuro.

JEAN

Ti parlavo del mio genio.

CHARLES

Ah sì, il tuo genio! Il tuo famoso genio. Beh, sai, io ci ho sempre creduto.

JEAN

Tu sei troppo buono.

CHARLES

Anzi, ancora mi chiedo se ci credo ancora. Insomma… Ogni tanto.

Strizza l'occhio a Jean che sorride.

JEAN

Ti leggevo le poesie che scrivevo e tu le trovavi… Com'è che dicevi?

CHARLES (Con una voce goffamente infantile.)

Favolose!

Charles si versa da bere.

JEAN

Esatto. Favolose. Quanto potevo essere favoloso a quei tempi! Super, maxi, gigante, geniale! Coi capelli fino alle spalle, i pantaloni a zampa e le clark ai piedi, ero pronto a mangiarmi il mondo. Ero ambizioso a quei tempi. Cioè, voglio dire, tutti erano ambiziosi. Era più facile. Io ero il fratello maggiore ideale. E tu il fratellino dei sogni.

CHARLES

Le tue famose poesie!

JEAN

"La notte ci guarda e noi guardiamo la notte

Siamo stufi di credere in Dio.

Le stelle del caso brillano in un cielo senza nubi.

E noi viviamo quest'istante come pura felicità terrena.

E tuttavia da lontano…"

CHARLES

"… E tuttavia da lontano si sente una sirena d'ambulanza

Forse l'ultimo lamento d'un anonimo cugino

D'un essere qualunque che muore d'essere qualunque

Senza aspettare l'alba.

E senza credere in Dio."

JEAN (Leggermente commosso.)

No, te la ricordi ancora?

CHARLES

Tu che pensi?

JEAN   

Dieci anni fa ho buttato tutto.

CHARLES

Bella stronzata.

JEAN

Ma io sono il campione delle belle stronzate, non lo sapevi? Faccio la collezione.

CHARLES

Ti faccio una confidenza. Forse ti sorprenderà: ci ho pensato spesso, e credo che se io oggi scrivo un po' è grazie a te.

JEAN

Tutti i fratelli piccoli hanno dei debiti verso i fratelli grandi. Si sa.

CHARLES

Mi dicevo: Forse un giorno, chissà, avrò talento quanto lui.

JEAN

E no, cazzo! (Merda.) Lo sapevo che avresti detto una cosa così. Che pena! Che spreco! (Pausa.) Lo sai che ho fatto due mesi fa? (Charles fa cenno di no.) Adesso ridi. Insomma, non lo so se ridi, però… Per farti capire le circostanze… con mia moglie avevamo litigato un'altra volta, eh già… lei mi rimproverava… non so neanche più che… l'assegno del ragazzino… diceva che un'altra volta era arrivato in ritardo, una cosa così… Comunque, oggi mi odia con tutta la forza con cui mi ha amato prima. E però, Dio solo sa se… Bah, allora, mi ha detto una di quelle frasi categoriche che ti distruggono. Non so perché, mi ha fatto più effetto del solito. Senza contare che in ufficio… insomma… Sorvoliamo… Insomma, ho avuto come un calo di zuccheri, sai. Un colpo di sole.

CHARLES

Avresti dovuto parlarmene, scrivermi.

JEAN

Come fosse facile. (Pausa.) Allora lo sai che ho fatto? (Charles fa di no con la testa.) Ho cercato di spararmi in testa. (Charles ha un soprassalto.) Sì, ho detto proprio così! Tanto per sapere se conviene essere morti o infelici.

CHARLES (Incredulo.)

Spararti in testa?

JEAN

Oh, te l'assicuro, non ci sono mica riuscito. Tecnicamente, voglio dire. (Pausa.) In effetti non sono riuscito ad aprire il tamburo. (Charles ride.) Ssì, lo so, è ridicolo. (Pausa.) Non ho trovato il meccanismo. (Ride.) Guarda, in ogni caso non è grave, perché poi mi sono accorto che, per di più, mi ero scordato di comprare i proiettili. Ma questo è un altro problema. (Charles scoppia a ridere.) Ma quel cazzo di tamburo, capisci, resisteva. E più io mi ci accanivo, più resisteva. Mi sa che non sono ancora pronto per fare un film di Tarantino! Io, comunque, con le mani… Sempre troppo incapace anche per cambiare un fusibile o per piantare un chiodo. (Pausa.) Sempre troppo incapace per tutto, del resto. Anche per morire! Dovremmo lasciare la disperazione agli artigiani, sarebbe più efficace…

Entrambi hanno una crisi di riso incontrollabile.

Si sente un po' di nervosismo in quest'allegria.

CHARLES

E' veramente stupido!

JEAN

Eh sì. Beh, sai, in fin dei conti, mi è piaciuto. Il gesto. L'ho trovato bello. Perché almeno avevo vissuto qualcosa. Mi ha rimesso in sesto. E poi ci ho pensato. Mi sono detto: Hai buttato la tua vita, beh, va bene! Avevi dei sogni e non ne hai fatto niente? Non è così grave! Ti spegni dolcemente? Non è mortale! E poi, soprattutto, ho capito un'altra cosa. (Pausa. Si serve da bere.) Già. Ho capito che in una famiglia… bisogna sapersi spartire i ruoli. Ci sono quelli che sognano e quelli che i sogni li realizzano. Ci sono quelli che vorrebbero essere geni e quelli che hanno talento sul serio. E non ce li eravamo spartiti male, in fondo. A ciascuno le sue piccole gioie e i suoi piccoli fallimenti. Quello che uno desidera l'altro lo fa. Salta una generazione o due, circola, cambia sesso, è la sorella che realizza i progetti del fratello, o il figlio che costruisce quello che il padre aveva immaginato. Ma non esce dal cerchio. Questo è la famiglia. Una grande storia. (Pausa.) Quindi, in fondo, è tutto a posto. Abbiamo due genitori formidabili che volevano dei figli ancora meglio di loro. Con più diplomi, e più soldi da spendere. Allora sì, beh, è vero, io ho i diplomi. Magari volevo fare lo scrittore, solo che, ecco… mi mancava qualcosa. Una ferita, uno scopo, una rivincita da prendermi. E sei tu che hai tutto questo. Mi dico anche che i miei libri li scrivi anche un po' tu, in fondo. Allora, di cosa dovrei lamentarmi, onestamente? Penso di essere completamente andato. Questo whisky non è che attacca, annienta. (Pausa.) Beh, che si fa adesso?

CHARLES

Non lo so. Dovresti venire a trovarmi ogni tanto, in Scozia. Non è così lontano.

JEAN

Hai ragione.

Si alza e va a cercare nel cappotto un mazzetto di fogli nella tasca esterna.

Torna verso Charles.

CHARLES

Che cos'è?

JEAN

Non mi prendere per il culo, per favore. Leggerai. E' una cosetta che ho scritto poco tempo fa, insomma… Mi sono rimesso a… Veramente, non è niente, sai. Un racconto. Per divertirmi. Per vedere se, tante volte…

CHARLES

Ma è grandioso!

JEAN  

Sai come vanno le cose. Tu i dici che ti sei messo a scrivere perché io scrivevo, beh, io, sai, forse mi ci rimetto perché tu pubblichi… Non lo so… Mi dirai solo che ne pensi… eventualmente.

CHARLES

Ma te lo dico subito. (Comincia a sfogliare il manoscritto.) Mi ci vuole solo…

JEAN

Ah no, adesso no. Ti prego…

CHARLES

Perché no? Un racconto si legge in fretta.

JEAN

Mi scoccia… Non me lo chiedere perché mi scoccia. No, meglio che te lo prendi, che te lo leggi tranquillamente. Ne parliamo un altro giorno. Abbiamo tutta la vita davanti.

CHARLES

Spero che tu non abbia paura del mio giudizio.

JEAN

No, certo. Ma che ti viene in mente? (Si sente che è nervoso.) Bene. Visto che hai voglia di leggere questa cosetta subito, allora io me ne vado a letto.

CHARLES

Come vuoi, non insisto.

Comincia a leggere.

Jean va a prendere il cappotto e fa per infilarlo.

JEAN

Ti assicuro che staresti meglio in camera tua, in albergo, per…

CHARLES

Ma sto benissimo qui, Jean. Stai tranquillo. Mi va di leggerlo adesso. (Mostrando il manoscritto.) Mica male l'inizio.

JEAN

Ah sì? (Charles si è rimesso a leggere.) Beh, ti lascio.

CHARLES (Assorto.)

Ti chiamo domani, allora.

JEAN

Perfetto. Perfetto. Buonanotte fratellino.

Si abbracciano.

Jean è nervoso, Charles è tutto preso dalla lettura.

CHARLES

Buonanotte.

Jean esce.

Charles legge.

Si sentono i rumori della strada, come attutiti.

L'orologio del salotto batte i dodici colpi della mezzanotte.

Charles legge, volta le pagine, a volte cambia posizione. Si versa un bicchiere. Legge.

Pausa.

Charles finalmente volta l'ultima pagina del manoscritto. Lo butta sul tavolo. Alza la testa.

CHARLES (Al pubblico, con una smorfia enigmatica.)

Sì.

Si alza, prende il cappotto, se lo infila, prende la borsa, ci mette il manoscritto di Jean. Tira fuori il telefono cellulare dalla borsa. Compone un numero.

CHARLES

Sono io, ho finito, arrivo… Oh sì, benissimo… No, no, nessun problema… Interessante, ti racconterò. Sì… Sì… Ok, arrivo.

Riattacca. Mette a posto il cellulare.

La madre entra nella stanza. E' in camicia da notte.

LOUISE

Non sei ancora andato via? Stavi telefonando?

CHARLES

Sì.

LOUISE

A qualcuno?

CHARLES

Già. A qualcuno.

LOUISE

Ah.

Charles si avvicina a sua madre.

CHARLES

Buonanotte, mamma. E' stata una bellissima serata.

L'abbraccia ed esce. La madre si siede in poltrona.

Pausa.

Buio.