Questo non è l’amore

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QUESTO NON E’ L’AMORE

Commedia in tre atti

di GUIDO CANTINI

PERSONAGGI

ANDREA

EDMONDO

LEONARDO

CIRILLO

ALESSIO

IL CAMERIERE DEL I ATTO

IL CAMERIERE DEL II E III ATTO

BARBARA

SAVINA

GIULIA

Il primo atto in un albergo di alta montagna; il secondo e il terzo atto nella villa di Andrea sulla via Cassia, nei pressi di Roma. 1938

Commedia formattata da


ATTO PRIMO

(Un salotto. Caminetto acceso. Fuori, paesaggio di alta montagna sotto la neve. È un salotto d’albergo; d’un grande albergo. Ma si è cercato di togliergli quel tanto di freddo e di provvisorio che hanno simili stanze. Vi son libri e ritratti incorniciati, posati un po’ da per tutto. V’è una macchina da scrivere portatile, su un tavolinetto di metallo lucido.

Savina                           - (alta, rigida: è una donna d'età incerta. Di femminile le resta soltanto ciò che l’abitudine del la­voro non è riuscita a cancellare. Il nero del suo abito è rotto unicamente dalla breve orlatura di pizzo bianco ricadente sul colletto altissimo, dalle manopolette anche di pizzo. Sul petto una stretta guarnizione di mussola, a piegoline - quasi una striscia - interrompe la mo­notonia di quell’abito che il taglio non ha tentato in alcun modo di rendere svelto e grazioso. I capelli dì Savina sono d'un biondostinto. Partiti sul mezzo della fronte dalla scriminatura, discendono fin verso le guance in due lisce bande e si raccolgono in un nodo dietro alla nuca. Per parlare ella sembra compiere uno sforzo; le sue risposte, difatti, sono secche, quasi dure. Il suo sguardo sfugge, ma quando gli accade di fissare qual­cuno è freddo e pungente. Ora siede dinanzi alla mac­china da scrivere e fa scorrere rapidamente le dita su la tastiera interrogando di quando in quando delle carte stenografate che le stanno a lato. A un tratto s'alza, va al tavolo, compulsa altre carte, le confronta, siede di nuovo).

Andrea                          - (è sdraiato su un divano. Potrà avere trenta­cinque anni: porta i capelli lunghi e un poco arruffati; del resto, tutto su la sua persona è leggermente, sebbene elegantemente, trasandato. Indossa una giacca da casa di velluto blu; ogni tanto soprappensiero si reca alle labbra una pipa corta, che sembra spenta, dal momento che non ne esce fumo. Il suo sguardo è perduto in alto. Dopo un poco, senza un movimento, senza distogliere gli occhi) Ecco: scriva.

Savina                           - (s'alza silenziosamente, siede al tavolo, si ac­cinge a scrivere).

Andrea                          - «... I pioppi stormivano sul suo capo con un tremolio secco, un po' aspro: l'acqua del ruscello fluiva con un gorgoglio quasi insensibile vaporando lie­vemente. (Dopo un attimo) A lei piacevano quei tra­monti scoloriti d'autunno. Non già perché le suscitas­sero tenerezze e malinconie romantiche, ma perché quel concerto di toni grigi e bianchi, morbidi, quell'incontro di nuvoli nello spazio, quel fiato dei campi, il candore dei pioppi e dei buoi aggiogati componevano un quadro dove la sua giovinezza metteva una nota squillante. Più il silenzio era gelido intorno, più caldo le sembrava il suo sangue e in quei disfarsi di cose più viva la sua vita ». (A Savina) Va bene? (Ella accenna di sì col capo. E resta con la matita in aria, come sospesa, aspettando) Ma vogliamo smettere per oggi? Sono un po' stanco.

Savina                           - Come crede. (Fa per radunare le carte: ma quasi mormorando, senza guardare in faccia Andrea) Però... potrebbe forse seguire la evocazione dell'infanzia di lei.

Andrea                          - L'infanzia di lei? E come, in questo punto?

Savina                           - Ma... così. Prendemmo degli appunti. Si ricorda? (Sfaglia alcune carte, legge) « Un capitolo della sua esistenza si chiudeva per sempre; e poiché nessuna vita di quelle trapassate e di quelle a venire era stata o sarebbe stata uguale alla sua, stava in lei a comporre un'opera magnifica su quel libro ancora tutto bianco ».

Andrea                          - (balzando in piedi) Ah sì: benissimo. (Con fervore) Continui. «Bianco? Ella sorrise. Evocò l'im­magine di Gino Scarlatti, di Diomede Chiarini, di tutti i bellissimi ragazzi che aveva presi e lasciati tra le pareti di tela delle baracche balneari, nell'ombra not­turna delle pinete intorno, quasi senza amore, arsa da una curiosità che non riusciva ad estinguersi mai e che anzi ogni nuova esperienza maggiormente inaspriva ». Già. Ma ecco che ci allontaniamo di nuovo. L'infanzia. A me preme l'infanzia. Vado troppo fuori del seminato. E' mutile: bisogna che emetta.

Savina                           - Un momento. Non le pare che... così..: «Fin dalla più lontana infanzia ella s'era posta questa terribile interrogazione: Che cos'è l'amore? Epperò sin dai primi anni era andata in cerca dell'amore, non po­tendo aspettare che l'amore le venisse incontro...».

Andrea                          - E' vero. E? vero. Attacca benissimo. Con­tinui: «Ma le mancava il dono degli abbandoni as­soluti. Anche nei momenti più dolci o più disperati, non poteva far a meno di osservarsi e di osservare ». Qui mi ci vorrebbe un'immagine. Un'immagine evidente.

Savina                           - Ne ebbe una bellissima, l'altro giorno. L'immagine di un prisma.

Andrea                          - Di un prisma?

Savina                           - Disse: « Come in un prisma si sciolgono i colori, tutto passando per le sue pupille si scompo­neva ».

Andrea                          - E' vero. (Continuando a dettare) « Ho degli occhi anatomici, pensava. E quella incapacità di godere di un'ebrezza completa la esasperava. Come la esasperava la sua incapacità di annientarsi nel dolore. Anzi era proprio allora che i suoi sensi si facevano più attenti, più squisitamente acuti... ». (Andando su e giù concitato) Ed ora evocherò la morte della madre, la sua impossibilità di raccogliersi... Ah, Savina, lei è me­ravigliosa. Senza di lei fin da stamani avrei piantato li tutto, avrei preso anch'io gli sci e sarei andato come gli altri a esplorare le chine nevose di queste montagne; invece... Savina, si prepari a passare una nottata tutta bianca. Ci terremo su a forza di tè. Ma da stasera alle dieci a domattina alle sei noi dobbiamo lavorare.

Savina                           - (semplicemente) Come desidera.

Andrea                          - Lei mi dirà che non sarebbe la prima volta.

Savina                           - Oh no. E sono stati i momenti che lei ha lavorato meglio.

Andrea                          - In grazia sua, ho ritrovato il filo. E la figura della mia protagonista uscirà viva dalle pagine del mio nuovo romanzo.

Savina                           - In grazia mia? Per carità. Vuol farmi troppo onore.

Andrea                          - Sì, in grazia sua. Da quando il mio lavoro è diventato disciplinato, metodico? Da quando ho in­contrato lei.

Savina                           - Basta, basta, maestro, la prego. Io non sono che un semplice strumento.

Andrea                          - Non lo dica neppure.

Savina                           - Badi, potrei inorgoglirmi, montarmi la testa.

Andrea                          - Oh no, impossibile. Montarsi la testa lei: l'equilibrio personificato.

Savina                           - Non si sa mai.

Andrea                          - Si dimentica che io sono uno psicologo.

Savina                           - Oh la psicologia! Non v'è scienza più incerta.

Andrea •                       - Incerta?

Savina                           - Sì, perché varia col variare degli individui. Ciascuno di noi è un mondo inesplorato.

Andrea                          - Giusto, ma se io non conoscessi lei come la conosco, non potrei dirle i miei pensieri più riposti, e tanto meno potrei farla assistere a quel processo così intimo e segreto com'è il processo della creazione arti­stica. Perché nell'artista - e in me poi in modo par­ticolare - v'è un pudore che vince qualsiasi altro pu­dore. Guai se tira il poeta e l'altro che vede, ode, non si crea una perfetta rispondenza...

Savina                           - Oppure bisogna che l'altro sia come se non esistesse.

 Andrea                         - Cioè?

Savina                           - Una specie di macchina.

Andrea                          - Intelligente.

Savina                           - Ma macchina. E io non sono altro per lei.

Andrea                          - - Perché vuole umiliarsi così?

Savina                           - Perché è la verità.

(Qualcuno batte alla porta).

Andrea                          - Avanti.

Leonardo                      - (entra. P un uomo d'oltre cinquant’anni. Bellissima testa di prolissi capelli grigi. Al primo ve­derlo chiunque deve dire: quello è un musicista. Ma un musicista placido che forse ode un coro d'angeli tutte le volte che s'addormenta. Porta un costume da sciatore) E' permesso?

Andrea                          - Ma sì, Leonardo, entra.

Leonardo                      - Ho sentito delle voci. Non la tua solita di quando detti.

Andrea                          - Infatti avevamo interrotto.

Leonardo                      - Anch'io, come vedi, ho interrotto. Certi sdruccioloni, caro mio! Per poco non mi son rotto l'osso del collo.

Andrea                          - Oh povero Leonardo.

Leonardo                      - Ma come si fa a dire di no a Barbara?

Andrea                          - Lo vedi come si fa.

Leonardo                      - Oh con te è un'altra faccenda. Sa che devi lavorare, che sei venuto qua per questo.

Andrea                          - Ma anche tu dovresti lavorare. Il tuo nuovo poema sinfonico?

Leonardo                      - (enfatico) Tu sentissi che melodie ha il vento quando si vola fendendo l'aria, vergando la neve intatta! (E con improvvisa comicità) Andando a ruzzo­lare in qualche burrone!

Andrea                          - Ci voleva proprio Barbara per rivelarti la bellezza di certe cose.

Leonardo                      - Che altrimenti avrei ignorato per sem­pre. Ogni mattina mi alzo col proponimento di mettermi al pianoforte, e ogni mattina è una cosa irresistibile: correre dietro a quella frotta di giovani. Come li in­vidio, Andrea! Mi sai dir tu cosa facevo io alla loro età? Chiuso fra le quattro pareti grigie di quella mia stanza; al Conservatorio...

Andrea                          - Sognavi la gloria.

Leonardo                      - Già. Povero illuso. E a cinquant'anni sonati

Andrea                          - Sei uno dei più delicati musicisti del nostro tempo.

Leonardo                      - Delicato. Tu l'avessi detto a Beethoven, ti avrebbe scagliato il calamaio in testa. Delicato! Io volevo essere come Beethoven, capisci? Più di lui. E son diventato il più delicato... Ah! Ah!

Andrea                          - Lavora.

Leonardo                      - Oh sì, naturalmente. Cosa vuoi che faccia? Ormai. Ma se potessi tornare indietro...

Andrea                          - Saresti ancora il più delicato...

Leonardo                      - Finiscila con questa parola odiosa.

Andrea                          - E tu, levati quel costume. E' quello che ti rende così triste.

Leonardo                      - Forse.

Andrea                          - Oh, ma che ore sono? Dovrebbero essere già tornati.

Leonardo                      - Sai bene che tardano sempre.

Andrea                          - Quando li hai lasciati?

Leonardo                      - Io? Son loro che hanno lasciato me. E' bastato un attimo perché fossero come tanti puntini neri su tutto quel bianco.

Andrea                          - Ma via, non ti affliggere così. Guarda me. Ogni mattina non posso fare a meno di mettermi là a infilare parole una dietro l'altra.

Leonardo                      - Per conservarti la fama d'essere il più delicato romanziere...

Andrea                          - (ridendo)    - Non conta. Cavallo di ritorno.

Leonardo                      - E' vero. Tu sei il più forte...

Andrea                          - No. Sono un lavoratore. Per lo meno da che ho Savina... E questo è il titolo che mi piace di più. Che poi io sia il più forte o il più débole... che importanza ha? Ho fede nel mio lavoro. Il mio lavoro e Barbara. Sono felice.

Leonardo                      - E non hai paura a pronunciare questa parola?

Andrea                          - Paura? Perché? Sono felice! Sono felice! Se potessi gridarlo, lo griderei.

Leonardo                      - Un artista, felice! Ma ti par possibile?

Andrea                          - Forse non sarò neppure un artista. Non so. Può darsi. Ma certo sono un uomo felice.

Leonardo                      - E il tormento che dai spesso ai tuoi personaggi?

Andrea                          - Ma è il mio tormento di prima: di quando non conoscevo questa felicità. Di quando non avevo ancora incontrato Barbara.

Leonardo                      - Hai ragione. Adesso siamo tutti felici. Tutta la masnada.

Andrea                          - E forse sono felice anche perché ho con me tutta la masnada. Perché la masnada non mi ha mai abbandonato dopo il mio matrimonio. Può darsi che senza la masnada mi sentirei meno felice.

Leonardo                      - Ah, quello che dici è molto carino.

Andrea                          - Non far l'imbecille. Non lo dico mica per fare un complimento a te o a loro, sai? Ma perché è così. Senza te, Edmondo, Cirillo, Alessio mi parrebbe di non essere più la stessa persona. Ho bisogno di voi. Da troppi anni si lavora insieme. Ci siamo troppo so­stenuti l'un con l'altro quando a noi non ci credeva nessuno. Sposandomi, temevo che l'incantesimo della nostra amicizia si sarebbe rotto, e invece...

Leonardo                      - Scommetto però che per Barbara avresti rinunciato a noi.

Andrea                          - . Lo puoi giurare. Per fortuna Barbara vi ha accolti così fraternamente. Siete diventati anche per lei i buoni compagni che eravate per me. La nostra vita quasi in comune è continuata come prima. Vuol dire che un altro affiliato si è aggiunto alla masnada: un buon compagno in sottana.

Leonardo                      - Intanto uno non lo avresti perduto, in qualunque modo.

Andrea                          - Chi?

Leonardo                      - Tuo fratello Edmondo.

Andrea                          - Ah, lo credo bene!

(Nel frattempo delle voci si sono avvicinate).

La voce di Barbara       - Silenzio! Silenzio! Silenzio, vi dico! Non bisogna disturbare il maestro.

La voce di Edmondo    - Per solito a quest'ora ha già smesso.

La voce di Cirillo          - E' immorale che lui lavori e noi non si faccia nulla.

(Avranno parlato tutti insieme, rubandosi le parole. Poi, spalancata la porta, spingendosi l’un l’altro, preci­piteranno nella stanza).

Barbara                         - (ventidue anni. Bellissima. Bionda) Eccoci di ritorno.

Edmondo                      - (trent'anni. Abbronzato. Maschio) Cosa avevo detto? Ha smesso.

Cirillo                            - (ventuno anni. Simpatico. Scanzonato) Quante pagine del nuovo capolavoro, oggi?

Andrea                          - Buongiorno, ragazzi. Sì, stamani ho lavo­rato proprio di voglia.

Barbara                         - (abbracciandolo) Sarai stanco.

Andrea                          - Io no. Tu, piuttosto.

Cirillo                            - Macché! Abbiamo sete e una gran fame, invece.

Andrea                          - Vi farò portare...

Barbara                         - Inutile. Provveduto già.

Edmondo                      - Tra poco arriveranno le vettovaglie.

Cirillo                            - Cattive. Come tutto, in questo albergo.

Barbara                         - H solito scontento.

Edmondo                      - Cocktails e sandwiches...

Andrea                          - Quando sta per suonare la campana!

Barbara                         - ...riservati però ai veri sciatori. Esclusione assoluta dei pigri (batte sulle spalle di Leonardo).

Leonardo                      - Vi prego credere...

Cirillo                            - Ma se ti abbiamo visto fuggire!

Edmondo                      - Un po' di rispetto all'età, via!

Leonardo                      - Oh lascia stare l'età, che non c'entra.

Barbara                         - Ha ragione. Leonardo è il più giovane di voi tutti.

Cirillo                            - Non ci credere.

Edmondo                      - Fa per adularti.

Cirillo                            - O per prenderti in giro.

Barbara                         - No! no! Nessuno di voi: né tu (a Cirillo) dinanzi ai tuoi marmi, né Alessio dinanzi alle sue tele....

Andrea                          - A proposito, dov'è Alessio?

Barbara                         - E' rientrato prima di noi. Non sta punto bene quel ragazzo.

Andrea                          - Nemmeno l'aria d'alta montagna riesce a giovargli.

Leonardo                      - Avanti, Barbara. Finisci. Cosa volevi dire?

Barbara                         - Volevo dire che nessuno di loro ha la tua freschezza di ispirazione.

Leonardo                      - Oh! (è rapito).

Barbara                         - La delicatezza...

Leonardo                      - (tirandosi i capelli) Ecco che mi rovina tutto. No no no!

Barbara                         - Perché?

Leonardo                      - Ah, questa fama di musicista delicato! Quando me la caverò da dosso?

Barbara                         - Se a me, a noi piaci così? L'ultimo pezzo, quello degli « Usignoli », per esempio....

Leonardo                      - Ed io che credevo che non vi fosse piaciuto!

Barbara                         - Perché?

Leonardo                      - Non avevate detto nulla.

Barbara                         - Ma perché eravamo rimasti là, come inton­titi. Ecco perché.

Cirillo                            - Sì, quel pezzo può andare.

Barbara                         - E se lo dice quella linguaccia, ci puoi credere.

(Entra un servitore portando un vassoio con su cock­tails e sandwiches).

Cirillo                            - Oh finalmente. Se no, Leonardo ci attac­cava un bottone coi suoi usignoli.

Barbara                         - I signori affamati sono pregati di divorare. (Anch'elio si serve; poscia si avvicina al marito. Il servi­tore è uscito) E tu? Non vuoi nulla?

Andrea                          - Oh io, lo sai: quando lavoro, perdo l'ap­petito.

Barbara                         - Ma siamo in montagna! Lavorato bene, stamani?

Andrea                          - Sì, tesoro. Benissimo. .

Barbara                         - Quando mi leggerai qualcosa?

Andrea                          - Quando avrò corretto, limato. Ma tu, che hai?

Barbara                         - Che ho?

Andrea                          - Occhi lucidi. Ciglia tremanti. Mani troppo calde.

Barbara                         - Sarà ancora l'eccitazione della corsa. Pec­cato, Andrea, che non possa venire qualche volta anche tu.

Andrea                          - Io, gli sci...

Barbara                         - Tu lavori, già.

Andrea                          - Per te.

Barbara                         - Mi par d'essere una sanguisuga, qualche volta.

Andrea                          - Ma cosa dici. Oh, ecco Alessio.

Alessio                          - (entra. E' un giovine di ventiquattro anni. Pal­lido. Le guancie un po' infossate Ma i suoi lineamenti sono fini e puri).

Barbara                         - (andandogli incontro premurosamente) Co­me va, Alessio?

Andrea                          - Beh, Alessio, cos'è stato?

Leonardo                      - Siedi.

Cirillo                            - Non gli date importanza. Tutte pose.

Alessio                          - Vado meglio. Grazie.

Barbara                         - Vieni, Alessio. Siedi qui. Un cuscino, Ci­rillo. Ecco.

Alessio                          - (cercando di sorridere) Ma via, non son poi moribondo.

Barbara                         - (obbligandolo a sedere) Non far lo sciocco. Mettiti qui. Guardate che capelli in disordine         - (glieli ravvia con le dita). Adesso sì che stai meglio. Vuoi qualcosa?

Alessio                          - No, grazie. (L'atmosfera, con l’entrata di Alessio, si è fatta un poco pesante. Un silenzio).

Barbara                         - Sai, Andrea? Edmondo ha rinunciato al suo viaggio nei mari del sud.

Andrea                          - Ah, questa sì che è una buona notizia. E come ci sei riuscita?

Barbara                         - Io?

Andrea                          - Eh, sì: non puoi averlo convinto che tu. Io, non c'era stato verso...

Edmondo                      - Ho deciso di portare a termine, prima, il mio libro sui Patagoni.

Andrea                          - (battendogli una mano su le spalle) Son con­tento. Ma qui, sbaglierò, vedo lo zampino di Barbara.

Edmondo                      - (sorride senza rispondere).

Andrea                          - (a Barbara) Bisogna proprio dire che il tuo potere taumaturgico sia straordinario.

Barbara                         - Non esageriamo. (Si è avvicinata di nuovo ad Alessio. Gli ha messo una mano su la fronte) Come va ? Un po' di febbre, sai? Sarebbe meglio che tu te ne andassi a letto.

Alessio                          - Ma no, ma no.

Barbara                         - A uno a uno ti faremo da infermieri.

Alessio                          - Sarebbe bella davvero. Siete venuti in mon­tagna per divertirvi, ed io dovrei...

Barbara                         - Sciocchezze. Può capitare a chiunque. Avanti, a letto.

Alessio                          - Ma...

Barbara                         - Lo esigo. (Egli si alza).

Andrea                          - Va. Ti terremo compagnia.

Barbara                         - Ma prima, un dottore.

Alessio                          - Oh un dottore. Per dirmi che? Che sono tubercolotico? Bella scoperta! Questo lo so da cinque anni. E non potrà certo impedire lui che io me ne vada all'altro mondo. (Esce). (Un silenzio).

 Leonardo                     - Dovrebbe entrare in sanatorio.

 Andrea                         - Impossibile. Si è cercato di convincerlo in tutti i modi.

Barbara                         - Andrea gli ha detto di non preoccuparsi. Che penserebbe a tutto lui, come l'altra volta. Nulla.

Orillo                             - Io gli dò perfettamente ragione. Tanto sa di dover morire.

Barbara                         - Bel modo di ragionare.

Ctrillo                            - Ah, già: uno in quei casi dovrebbe isolarsi per non infettare gli altri. Ma degli altri chi se ne...

Barbara                         - Cirillo, sei troppo cinico.

Cirillo                            - Che vuoi, alle donne io piaccio soltanto così.

Barbara                         - Presuntuoso.

Cirillo                            - Chi balla lo slow-fox come me?

Barbara                         - Questo è vero.

Cirillo                            - Chi scia come me?

Barbara                         - Anche questo è vero. E saresti anche un grande artista, probabilmente, se tu avessi, niente niente, una fede.

Cirillo                            - Sono cristiano apostolico romano.

Barbara                         - Ma non credi a nulla. Ne nelle cose ter­rene ne in quelle divine.

Cirillo                            - Ah, come t'inganni.

Barbara                         - In che cosa credi, sentiamo?

Cirillo                            - Ah, questo non lo saprà mai nessuno.

Andrea                          - Un segreto, Cirillo? Possibile mai?

Leonardo                      - Lui che si Vanta di -dir sempre tutto a tutti?

Cirillo                            - Ma sì, avete ragione. Volevo bluffare.

Barbara                         - Ah, ora ti ritrovo. Ed oggi, il mio primo slow-fox sarà per te.

Cirillo                            - Bello sforzo. Con chi balleresti se no?

Savina                           - (seccamente ha chiuso un grosso libro. Forse un vocabolario. Il colpo li ha fatti ammutolire, li ha fatti volgere, meravigliati. Un silenzio glaciale sì spande in­torno. Si ode il fruscio delle carte che la segretaria raduna nervosamente. Ecco, il tavolo è libero, ordinatissimo. Ella esce).

Edmondo                      - Dio ti ringrazio! Quella donna è un in­cubo.

Cirillo                            - E' come se si fosse spalancata una finestra.

Leonardo                      - Ma di', Andrea, non ti potevi scegliere una segretaria meno... meno…..

Cirillo                            - Dillo in musica. Chi sa che non ti venga l'aggettivo.

Leonardo                      - Scostante.

Cirillo                            - Almeno Thai trovato originale.

Barbara                         - Non ci crederete, la prima volta che l'ho vista mi ha messo i brividi addosso.

Tutti                              - (tranne Andrea) Ci crediamo! Ci crediamo!

Andrea                          - Ma via! Giurerei che dev'essere stata una bella donna, invece.

Leonardo                      - Donna! Ma se di femminile non ha nulla.

Cirillo                            - Le sottane, per fortuna.

Andrea                          - Di femminile ha una grande sensibilità.

Leonardo                      - Sotto quelle spoglie, quei modi?

Andrea                          - Senza di lei credo che non saprei più la­vorare.

Leonardo                      - Ti denigri.

Andrea                          - Sarà forse una disciplina troppo dura, ma mi ci voleva. Mi disperdevo, come fate voi. Non avevo ancora un metodo di lavoro. Obbedivo soltanto all'ispi­razione «he per la verità era troppo capricciosa. Lei un metodo me lo ha dato. Mi si è imposta. Da che lei mi è vicina ho iniziato il « Ciclo del Tempo ritrovato ». E sono i miei romanzi migliori. Mercè sua, le mie opere sono state tradotte nelle lingue principali. « Bonaccia nel golfo » deve uscire perfino in giapponese.

iEdmondo                     - Le dai troppa importanza. A un certo mo­mento il tuo nome si è imposto. Era naturale. Succede sempre così. Duri gli inizi, poi».

Andrea                          - No, no, no. Non siete giusti.

Edmondo                      - Ma, andiamo, Andrea. Come se io non ti conoscessi. Non avrai avuto questo... metodo come lo chiami tu; ma anche prima lavoravi. E come! Lavoravi anche per me!

Andrea                          - Che c'entra!

Leonardo                      - Ma sì. Edmondo ha ragione. Ora ti sei messo in mente di non essere più buono a far nulla senza quella là. Ma io, invece, sono sicuro che anche oggi potresti benissimo farne a meno.

Andrea                          - E io vi dico...

Leonardo                      - Ma andiamo! Se hai cominciato a lavo­rare a sedici anni, se a diciotto avevi già il peso di una famiglia, di un figlio... perché, se pure Edmondo non era tuo figlio, questo non significa che tu non pensassi a lui come un padre... togliendogli dopo ogni preoccupazione materiale perché pensasse sole ai suoi studi.

Andrea                          - Perché rivangare?... Una cosa è certa: che oggi per me Savina è un aiuto quasi necessario...

Barbara                         - Il merito delle tue opere dallo a lei e falla finita.

Andrea                          - Ecco che ora si cade in un'altra esagerazione.

Cirillo                            - Però non ha tutti i torti: da che c'è lei ha imparato a scrivere.

Barbara                         - Come quella un'altra al mondo non c'è.,

Andrea                          - Proprio così.

Leonardo                      - Ha ragione: un'altra come quella dove la trovi?

Andrea                          - Non c'è, dal momento che lei... non esiste.

Cirillo                            - Mi par che tu esageri.

Andrea                          - Lo diceva lei stessa, poco fa: io non esisto.

Leonardo                      - Si fa delle illusioni.

Andrea                          - E' così. Un esempio: per lavorare io ho sempre avuto bisogno di un silenzio assoluto, la menoma cosa poteva distrarmi; ora lei può anche interrompermi senza riuscire a turbarmi.

Leonardo                      - Lo credo bene!

Andrea                          - Anche i suoi consigli son come se partissero dal mio intimo. Non vi posso spiegare. Èmeravigliosa.

(Un coro d'indignazione parte da tutti i petti).

Barbara                         - Speravo che almeno, venendo quassù, non se la sarebbe portata dietro; macché! Ci aveva preceduti, anzi. La prima faccia che vedo entrando in questo albergo è la sua.

Andrea                          - Ma, scusa, dovevo lasciare a mezzo il mio romanzo? Lo sai quanto mi è faticoso, poi, riprendere...

Barbara                         - Quegli occhi sempre fissi su di te.

Andrea                          - Su di me?

Barbara                         - Non lo so. Su di me, certo.

Andrea                          - Io non me ne sono mai accorto.

Barbara                         - Ma io sì. Li sento. Feroci penetranti cattivi.

Andrea                          - Oh che esagerazione.

(Leonardo                     - Buoni no, veh!

Cirillo                            - Ma belli, molto.

Andrea                          - Va bene. D'ora in poi la recluderò nelmio studio. Dove voi, d'altra parte, potrete benissimo far a meno di venire.

Barbara                         - Chiusa. Quella? Ma se l'abbiamo a tavola mattina e sera. Uno non può attraversare una stanza, un corridoio, lei, sempre, da per tutto.

Andrea                          - Ma è una specie di fissazione collettiva.

(Una campana, fuori).

 Andrea                         - La campana. Dovrete cambiarvi, no?

Leonardo                      - Sì, che dobbiamo cambiarci. Andiamo.

Cirillo                            - Giù, tra mezz'ora.

Edmondo                      - Diciamo pure tre quarti d'ora, per Barbara.

(Leonardo, Cirillo, Edmondo escono. Restano Barbara e Andrea).

Andrea                          - Sei in collera con me? (l’abbraccia).

Barbara                         - (indifferente) No!

Andhea                         - Sì, invece.

Barbara                         - (sciogliendosi doli'abbraccio del marito) Ma no! Ma no!

Andrea                          - Il primo screzio tra noi.

Barbara                         - Peccato.

Andrea                          - Per una sciocchezza.

Barbara                         - Non tanto.

Andrea                          - Come potrei fare senza questo aiuto? Dim­melo tu.

Barbara                         - Potresti avere me.

Andrea                          - Ma via! Vorresti che ti sacrificassi dalla mattina alla sera... Non potrei. Non lavorerei più.

Barbara                         - Non hai fiducia in me.

Andrea                          - Ma se non stampo una riga senza che tu l'abbia letta e approvata.

Barbara                         - Però mi tieni da parte.

Andrea                          - Un giorno per una ragione, un giorno per un'altra, si finirebbe col lavorare poco, credi. Tu sei troppo intelligente.

Barbara                         - Ora è l'intelligenza che mi guasta.

Andrea                          - Spesso vorresti impormi il tuo gusto, le tue idee. Ti conosco. Succederebbe quello che succede con la masnada. Ti corrono tutti dietro come       - (Cagnolini. Mi riempiresti la mente di dubbi. Sarebbe una lotta con­tinua. Non siamo felici così? (Un silenzio). Guarda, non abiterà più con noi. Verrà ad ore determinate, come una impiegata qualunque. Per quanto averla sempre a portata di mano mi facesse tanto comodo.

Barbara                         - Bada, non lasciarglielo indovinare che ti è diventata così preziosa.

Andrea                          - Perché?

Barbara                         - Potrebbe vantarsene.

Andrea                          - Non è possibile.

Barbara                         - Del resto non ingiustamente.

Andrea                          - Ah.

Barbara                         - Dal momento che senza di lei ogni giorno di più diventi incapace di scrivere una sola riga.

Andrea                          - Infine, perché non la puoi soffrire?

Barbara                         - Perché vorrei che tu ti liberassi da questa specie di ossessione prima che fosse troppo tardi.

Andrea                          - Un'ossessione?

Barbara                         - Ma se ti sgomenti al solo pensiero di non averla più a portata di mano, come ora! Dimmi un po' cosa sarebbe fra un anno, fra due. Ti conosco, ormai.

Andrea                          - Dunque ti preoccupi soltanto di me? Di quello che potrà succedere nell'avvenire?

Barbara                         - Naturalmente.

Andrea                          - Non c'entra un'antipatia istintiva e inspie­gabile?

Barbara                         - Può darsi. Ma non ne parliamo più. (Con brusca risoluzione) Vado a cambiarmi. E' tardi.

Andrea                          - Aspetta.

Barbara                         - Ma no: fa quello che vuoi. Sei padrone tu.

Andrea                          - Padrone, io? Padrone di che? Se tu non sei contenta?

Barbara                         - D'altronde, se tutti gli uomini di affari, o gli scrittori, insomma tutti quelli che hanno una segre­taria, dovessero disfarsene soltanto perché non è simpa­tica alla moglie...

 

 Andrea                         - E' appunto questo che non so capire: questa •etinazione.

Barbara                         - E ti vanti di essere uno psicologo?

Andrea                          - Evidentemente m'inganno.

Barbara                         - Tu ti fermi qui: al capriccio. Non vai, non cerchi di andare più in là.

Andrea                          - Più in là?

Barbara                         - Oh, è stupido. Non ne parliamo più, ti ho detto.

Andrea                          - No, parliamone invece.

Barbara                         - Sono gelosa.

Andrea                          - (scoppiando in una risata) No!

Barbara                         - Sono gelosa! Gelosa!

Andrea                          - Ma via, Barbara.

Barbara                         - Non della sua bellezza.

Andrea                          - Oh meno male.

Barbara                         - Sono gelosa perché ti domina. Perché attimo per attimo diventi di più una cosa sua.

Andrea                          - No!

Barbara                         - Non te ne accorgi: ma spesso ripeti quello che ho sentito dire a lei; perfino certi movimenti bruschi della testa: precisi.

Andrea                          - Io. E tu sei gelosa... di questo?

Barbara                         - Un tempo eri là... solo, al tuo lavoro. Dalla mia stanza seguivo tutti i tuoi movimenti. Quasi sentivo la penna correre su la carta, poi, a un tratto, ti alzavi, ti precipitavi da me. D'un fiato mi leggevi tutto quello che avevi scritto. Non lo fai più. Ora vi sono zone segrete, misteriose nella tua esistenza... delle zone impenetrabili. Oltre un certo limite io non posso, non debbo più andare. Proibito.

Andrea                          - Ah, senti. Tutto avrei potuto aspettarmi, tranne questo.

Barbara                         - Si capisce.

Andrea                          - E quando è cominciato?

Barbara                         - Cosa?

Andrea                          - Ma... questa specie idi gelosia. Non l'hai chiamata così?

Barbara                         - Quella mattina, ti ricordi?, che siamo an­dati in campagna tu, Leonardo, lei ed io. Noi due, tu ed io, eravamo rimasti indietro. A un tratto mi hai stretta, mi hai quasi trascinata dietro un gruppo d'alberi e hai cominciato a baciarmi in un modo quasi furioso. La cosa era stata così improvvisa, così inaspettata che io mi ero abbandonata tra le tue braccia, col cuore in gola, senza essere capace di dire nulla. E mi pareva che da qualche mese tu mi volessi meno bene!

Andrea i                        - Io?

Barbara                         - Sì; ima in quel momento capii quanto mi fossi ingannata. Come mi sentii felice, Andrea!

Andrea                          - Cara.

Barbara                         - Ma bisognò risvegliarci. Quei due ci chia­mavano. Credevano di averci perduti. Li trovammo acca­lorati in una discussione. Lei chiese il tuo parere. Da quella entraste nel vivo del tuo nuovo romanzo. E due minuti dopo fu come se io non esistessi più. Mi avevi completamente dimenticata. (A un gesto di lui) Sì, di­menticata. Eravamo due esseri separati, lontani. Poi andasti avanti, con lei, ed io rimasi indietro con Leonardo. E quando ci ritrovammo tu avevi gli occhi lucidi, il viso colorito, come... Oh non come poco prima, no. Di più, meglio. Con me avevi obbedito al tuo istinto di maschio. Lo avevi fatto con me come forse in quel momento l'avresti fatto con qualunque altra. Con lei-, con lei era ben altro... Eravate smarriti come se, allora, discendeste da mondi dove io, con te, non avrei mai potuto salire, dove tu non mi avresti mai lasciato salire». Mai. Capii che lei ti rubava a me, che vi erano ore del giorno e della notte in cui ti avrei perduto. E allora cominciai ad odiarla. E non sognai che il momento di poterla cac­ciar via, come un'intrusa, come una nemica. Capisci?

Andrea                          - No.

Barbara                         - Non ti sei nemmeno accorto che da quel giorno noi non siamo stati più gli stessi l'uno per l'altro?

Andrea                          - Come? Continuavi ad essere il mio amore: come prima, come sempre.

Barbara                         - Quella che ti accoglie fra le sue braccia. E basta.

Andrea                          - Quella che è presente al mio spirito in tutte le ore della mia giornata. Se no, per chi lavorerei tanto?

Barbara                         - Ah, già: perché io possa farmi bella e poi si dica: quella è la donna di Andrea Varni.

Andrea                          - La moglie.

Barbara                         - La donna, la moglie: in questo caso è lo stesso.

Andrea                          - Per darti ciò che ogni uomo desidera dare alla donna sua.

Barbara                         - A te basta questo?

Andrea                          - A me, sì.

Barbara                         - E se a me invece non bastasse?

Andrea                          - Mi parrebbe una cosa troppo strana.

Barbara                         - Ah, va bene. (Ella fa per uscire).

Andrea                          - (trattenendola) Ma ti par possibile che io possa sopportarlo? Tu in collera con me? Tu offesa con me?

Barbara                         - Offesa?

Andrea                          - In fondo, hai ragione. In questi ultimi tempi ci siamo allontanati l'uno dall'altra. Io non so più quello che fai. Ti affido alla masnada, così, come farei con una figliuola...

Barbara                         - Un poco ingombrante.

Andrea                          - Non so che m'abbia preso. Questa febbre di lavoro. Tutte queste idee. Perdonami. Infine quella... quella tua gelosia, non so come chiamarla, per quanto incredibile possa sembrare, è una prova d'amore. Ed io, stupido, quasi vi ho scherzato su. Tesoro mio: appena finito il nuovo romanzo, Savina scomparirà dalla nostra esistenza.

Barbara                         - Sei mesi almeno.

Andrea                          - Lo temo...

Barbara                         - Oh, beh: avremo tempo di riparlarne. (Ella di nuovo si libera dall'abbraccio del marito: fa per uscire).

Andrea                          - Ma cosa vuoi, cosa vuoi, dimmi: vuoi che la mandi via subito?

Barbara                         - Per carità. Non voglio di questi rimorsi.

Andrea                          - Che rimorsi! Non mi son mica rimbecillito» sai? Se questo ci deve rendere infelici... Ma vedi, prima non sapevo. Non me ne avevi mai parlato. Cara, cara. Ascolta. Vuoi che la licenzi subito?

Barbara                         - Non credo che lo farai mai.

Andrea                          - Neanche se può far piacere a te?

Barbara                         - Neanche.

Andrea                          - Sarebbe la prima volta che ti rifiuto qual­che cosa.

Barbara                         - Ma nemmeno io ti ho mai chiesto un sacri­ficio così grande.

Andrea                          - A maggior ragione dunque non debbo rifiu­tartelo. Lo farò.

Barbara                         - Sul più bello ti pentirai.

Andrea                          - Ti ripeto che lo farò. Subito.

Barbara                         - E allora... lascia che lo faccia io.

Andrea                          - Tu? E perché?

Barbara                         - Non sono la padrona di casa?

 

 Andrea                         - Ma Savina non è una domestica.

Barbara                         - Non vuoi darmi questa piccola soddisfa­zione?

Andrea                          - Non capisco.

Barbara                         - Una soddisfazione tutta... femminile. Tu, già, non la guardavi, non sapevi: non ti sei accorto di nulla.

Andrea                          - E di che dovevo accorgermi?

Barbara                         - Quell'aria di superiorità che aveva sempre verso di me, quelle occhiate di commiserazione...

Andrea                          - Questo poi!

Barbara                         - e Da donna brutta che pure fa quel che vuole di un uomo giovane e intelligente...

Andrea                          - Quel che vuole!

Barbara                         - Per lo meno lei lo credeva. Era insultante. Spesso ne ho pianto... di rabbia.

Andrea                          - Davvero? E non mi dicevi nulla.

Barbara                         - Speravo che lo capissi da te. (Dopo un attimo) Lasciami questa piccola rivincita.

Andrea                          - E che le dirai?

Barbara                         - Che hai deciso di sostituirla, con me.

Andrea                          - Non potrei dirglielo io?

Barbara                         - Vedi? Hai paura di offenderla. Pur sapendo che mi ha fatto soffrire. Hai paura che io la mortifichi troppo. Quasi ti preme più lei di me,

Andrea                          - Sciocchezze.

Barbara                         - Ma sì. Dillo una buona volta. Tu farai finta dì licenziarla. Poi sei capace di prendere uno studio fuori, di continuare a vederla. Hai paura che io frapponga tra voi qualcosa che lo impedisca. Come sei mutato, Andrea.

Andrea                          - Ma via!

Barbara                         - Oh sì. Prima sarebbe bastata una mezza parola perché tu...

Andrea                          - Ma anche ora. E' la prima volta che ti vedo così. Siamo stati tanto felici! E non voglio essere io la causa, sia pur involontaria... (La bacia con passione) Fa tu, Barbara. Fa quel che vuoi.

Barbara                         - E allora, subito. E' meglio. Così non ci si pensa più, ti pare?

Andrea                          - Va bene. Vuoi che resti? Vuoi che ti lasci sola?

Barbara                         - Lasciami sola. Preferisco. Mi sarà più fa­cile.

Andrea                          - Come vuoi. (Egli esce).

Barbara                         - (sola, resta un attimo perplessa: quindi si av­vicina a una porta e chiama) Signorina.

Savina                           - (dopo un momento entra) Mi ha chiamato, signora?

Barbara                         - Sì. Ho da comunicarle una decisione che mio marito ed io, di comune accordo, abbiamo presa.

Savina                           - (resto in piedi, rigida, dinanzi a Barbara, in attesa).

Barbara                         - Una decisione che forse la stupirà.

Savina                           - (non batte ciglio. Aspetta).

Barbara                         - Dobbiamo privarci dell'opera sua...

Savina                           - (non ha un movimento).

Barbara                         - ...Da... da domani.

Savina                           - Sta bene.

Barbara                         - Naturalmente, le verrà corrisposta una in­dennità di licenziamento, oltre qualunque altra indennità che sia stata convenuta al momento...

Savina                           - (fermandola con un gesto della mano) Nes­suna indennità. Non ho diritto a nessuna indennità.

Barbara                         - Pure noi...

Savina                           - E' mia abitudine non accettare che quanto mi spetta.

Barbara                         - Va bene.

Savina                           - (avvicinandosi al tavolo) Vi son qua molti appunti... Gli appunti che io prendevo man mano, anche quando il maestro parlava: osservazioni spesso profonde. Sono stenografate. E poi molte annotazioni, su letture fatte insieme. Insomma, tutto un materiale molto interes­sante. (Ella ha tratto da un cassetto degli scartafacci. Le sue mani tremano un poco e questo è il solo segno visi­bile del suo turbamento) A chi dovrò consegnare tutto questo?

Barbara                         - A... a me.

Savina                           - (alza gli occhi. La guarda).

Barbara                         - A me. D'ora innanzi sarò io la segretaria dì mio marito.

Savina                           - (non può reprimere un sorriso quasi imper­cettibile).

Barbara                         - Sorride?

Savina                           - No, no, signora.

Barbara                         - Non me ne crede capace?

Savina                           - (non risponde).

Barbara                         - (la fissa un istante).

Savina                           - (accennando agli scartafacci) Ecco qua, si­gnora. Questo è il manoscritto del nuovo romanzo. Que­ste cartelle slegate contengono appunti variì: descrizioni di personaggi, schizzi di paesaggi; e inoltre tutto un ca­pitolo abbozzato. Doveva andare in principio, andrà in­vece a metà. Qui... (ma le sue mani tremano talmente che lo scartafaccio cade e le cartelle si sparpagliano sul pa­vimento) Oh! (Ella sì china subito. Mentre Barbara in piedi la sta a guardare. E" come se a Savina si fosse versato un calice sacro. Raccoglie a una a una le carte con una specie di religione) Fortunatamente sono tutte numerate. E' facile riordinarle. (Raccolte le carte, ella si alza. Nello sforzo si è leggermente colorita; ma i suoi occhi si sono ancor più infossati e riempiti d'ombra). Ecco. Mi pare che qui non ci sia altro. Molte cose sono rimaste a Roma. Ma tutto è così esattamente ordinato, che non è possibile imbrogliarsi. Ah, vi sono alcune pra­tiche con editori stranieri e con case cinematografiche americane; ma di questo è al corrente il maestro. Ve­diamo... Corrispondenza, no. La sbrigavo regolarmente ogni giorno. (Sembra che volutamente ella adoperi ter­mini burocratici e commerciali. Ma la sua voce trema come le sue mani) Non c'è proprio altro. Ma non partirò domattina.

Barbara                         - Ah!

Savina                           - Partirò stasera. Approfitterò della macchina di Jack Stolson che stasera torna a Roma. Vado a pre­parare la mia roba.

Barbara                         - Faccia come crede. (Mentre Savina s'incam­mina verso la porta, Barbara esce dalla parte opposta. Ma quand'ella è scomparsa, Savina indugia un momento. Torna indietro. Pone le mani, le sue mani bianche e tremanti, su gli scartafacci che son rimasti sul tavolo. I suoi occhi restano secchi, senza lagrime, sebbene tutta la sua persona pianga).

Andrea                          - (entra. Ha mutato giacca).

Savina                           - (si scuote. Si ricompone. "Dice con voce ferma) Ho già dato le consegne alla signora.

Andrea                          - Grazie. Lei avrà certamente capito...

Savina                           - Perfettamente.

Andrea                          - Mia moglie le avrà spiegato...

Savina                           - No. Ma io ho capito lo stesso.

Andrea                          - Creda che per me, privarmi...

Savina                           - Lo so, maestro, lo so.

Andrea                          - Ciò non toglie che noi potremo lo stesso qualche volta...

Savina                           - Non credo.

Andrea                          - Capisco. Il modo così brusco...

Savina                           - No, non per questo; ma perché parto. Vado all'estero.

Andrea                          - Ah.

Savina                           - Sì. Approfitto dell'invito di una mia amica norvegese.

Andrea                          - E allora, signorina, non mi resta che augu­rarle...

Savina                           - Non mi auguri la buona fortuna, per carità. La mia buona fortuna sarebbe stata qui, presso di lei: la mia buona fortuna era questo nostro lavoro. Mi per­metta per un momento di dire: nostro.

Andrea                          - Lo so. E la mia gratitudine...

Savina                           - Non dica questa brutta e banale parola. Lei. A me. Fra noi s'era creato qualcosa che andava al di là dei rapporti comuni tra le persone. E a un tratto, tutto spezzato.

Andrea                          - Non creda che io non sappia...

Savina                           - Lo so. Non dica nulla.

Andrea                          - E' meglio forse, sì. Non ci vediamo più? Arrivederci, Savina.

Savina                           - Arrivederla. (Si stringono la mano. Savina fa per uscire. D'improvviso, tornando indietro) Tanto dunque le vuol bene?

Andrea                          - (stupito, la fissa un momento, quindi) Sì.

Savina                           - Certo, è bella.

Andrea                          - La mia vita è incominciata il giorno che ho incontrato lei. Prima non esistevo.

Savina                           - Non esisteva, lei, col suo ingegno!

Andrea                          - Evidentemente. Le mie cose migliori non le ho scritte forse dopo che ho incontrato Barbara?

Savina                           - Quando il suo ingegno si è fatto maturo.

Andrea                          - I due fatti in ogni modo coincidono. E credo che se lei mi mancasse, diventerei assolutamente incapace di qualunque cosa. E' soltanto al suo contatto, al pen­siero di lei, che le idee germogliano nel mio cervello... Lei non può capire.

Savina                           - E se un giorno dovesse mancarle?

Andrea                          - Non lo dica neppure.

Savina                           - Succede.

Andrea                          - Sarebbe finita per me.

Savina                           - Un uomo come lei non dovrebbe essere schiavo di una donna.

Andrea                          - Tutti gli uomini lo sono o lo sono stati.

Savina                           - - La donna in generale non lo merita.

Andrea                          - Forse; ma non quella.

Savina                           - Tutte.

Andrea                          - Non quella.

Savina                           - (sorride).

Andrea                          - Perché sorride? Non le sembra abbastanza intelligente?

Savina                           - Oh quanto a intelligente, molto.

Andrea                          - E allora? Perché ha sorriso?

Savina                           - Nulla, le ripeto.

Andrea                          - No. Ormai io la conosco bene, Savina. Lei voleva dire qualcosa. Poi si è pentita. L'ho visto. Che cosa?

Savina                           - E' inutile. Da me non saprà mai nulla.

Andrea                          - E cosa c'è da sapere? Cosa ci sarebbe da sapere?

Savina                           - (tace).

Andrea                          - Io conosco la vita di Barbara minuto per minuto.

Savina                           - Nessuno può conoscere la vita, la vita inte­riore, di una donna, minuto per minuto.

Andrea                          - Ah, Savina! Ed io che la credevo un essere superiore!

 Savina                          - Non ho detto nulla.

Andrea                          - E? peggio che se avesse parlato. Tanto vale che butti fuori tutto. Avanti: sentiamo.

Savina                           - Mi lasci andare, la prego.

Andrea                          - Ah no. (Impedendole il passo) Lei non se ne andrà se prima non avrà detto tutto. Non si accusa così una persona.

Savina                           - Io non ho accusato nessuno. E' un'idea sua.

Andrea                          - Ma via! Siamo troppo abituati a capirci a volo, noi due. Non giuochiamo su le parole.

Savina                           - Mi lasci passare.

Andrea. No.

Savina                           - Mi lasci passare.

Andrea                          - No. No. Voglio sapere. Più per conoscere lei fino in fondo, Savina, che per altro. Ah, come ci s'inganna su le persone. Lei, far questo! E per mostrarle tutta l'assurdità di quello che lei pensa... Perché io so quello che lei pensa, lo so... le dirò perché io sono stato costretto a privarmi di lei. Perché Barbara è gelosa.

Savina                           - Gelosa! (Ride aspra).

Andrea                          - Non gelosa della donna».

Savina                           - (amara) Già, già, naturalmente.

Andrea                          - Gelosa della sua intelligenza.

Savina                           - Ma via!

Andrea                          - Ha una strana, incredibile paura di lei.

Savina                           - Ecco. Paura.

Andrea                          - Non la stupisce?

Savina                           - No. Lo sapevo.

Andrea                          - Lo sapeva?

Savina                           - Paura di me; ma non la paura che crede lei. Aveva paura che io vedessi dove lei non arrivava a vedere. E parlassi.

Andrea                          - Come? (non sa raccapezzarsi).

Savina                           - Ah, ora basta. Mi lasci andare.

Andrea                          - E cos'avrebbe potuto dire?

Savina                           - No! No! No! Basta.

Andrea                          - Cos'avrebbe potuto dire? (l'afferra per i polsi).

Savina                           - Mi fa male.

Andrea                          - Avanti! Avanti!

Savina                           - Mi fa male.

Andrea                          - Fuori! Cos'è che io non arrivo a vedere? Barbara non sarebbe quello che sembra?

Savina                           - (torce la testa, per non sentire il fiato di lui, serrando le labbra).

Andrea                          - (lasciandola, gettandola quasi contro il muro) Ah, no, via! Una simile stupidaggine non le sarebbe passata per la testa, se l'avesse sentita parlare. Soltanto mezz'ora fa.

Savina                           - (sordamente) L'ho sentita.

Andrea                          - Ascoltava?

Savina                           - Sì. Sapevo da parecchio tempo che si tra­mava qualcosa contro di me, nella masnada. Era nel mio diritto di sapere. Ho ascoltato.

Andrea                          - Peggio di una serva.

Savina                           - Una serva non lo confessa mai spontanea­mente. Ho ascoltato. Tornerei a farlo.

Andrea                          - Perché?

Savina                           - Perché non si è odiati senza una ragione.

Andrea                          - La ragione glie l'ho detta.

Savina                           - Quella? Ah no! Ci vuole una bella dose di ingenuità per crederlo. La verità vera è quell'altra. Te­mevano che io vedessi troppo.

Andrea                          - Ma si può essere più stupidi? Barbara non avvicina nessun altro. Non va con nessun altro. I nostri amici della masnada. E basta.

Savina                           - (con un sorriso che rende ancor più invisibili le sue labbra sottili) E non è sufficiente forse?

Andrea                          - Ah, le mancava dir questo? Io rido, vede, rido. Tanto la cosa è assurda. Ma non lo sa dunque cosa sono questi miei amici per me? Abbiamo fatto dieci anni di vita in comune. Tutti i giorni. Tutte le notti. La fame. Gli insuccessi. I successi. Bastava che ci pensasse un mo­mento... Non l'ha dunque sentita un momento fa? Co­s'ascoltava a fare se non l'ha sentita?

Savina                           - Ah, sì: stupefacente.

Andrea                          - Fingeva? Fingeva per ingannarmi meglio? Ridicola! Ridicola!... E quale, sentiamo, quale? Badi, son più che fratelli per me. Quale? (Le è sopra col pugno chiuso. Ella è ripiegata su se stessa, in attesa, quasi spe­rando che il colpo le arrivi. Andrea, a un tratto, come ravvedendosi, con voce strozzata) Vada via! Vada via! Vada via subito! (Ma quasi involontariamente) Cosa ha detto? Cirillo? Vorrebbe dire Cirillo?

Savina                           - (non risponde).

Andrea                          - Alessio? Pensava ad Alessio? Avanti! Sen­tiamo. Fuori questo veleno! Fuori!

Savina                           - (aspramente) Cerchi.

Andrea                          - (scoppiando in una grande risata isterica) Ah no! No! Via! E' troppo puerile.

Savina                           - Cerchi.

Andrea                          - No. Non mi lascio prendere al laccio. Non mi ci lascio prendere. (Con allegria forzata) Se ne vada, se ne vada pure, Savina. E buon viaggio. (Savina china la testa. Esce. Egli corre verso la camera della moglie gridando) Barbara! Barbara!

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

(Nella villa d'Andrea. Giardino d'inverno. Notte. Sono in scena Barbara, Giulia, Cirillo. Vestono abiti da sera).

Barbara                         - (al telefono) Come? Come? Non potete venire? Eh già, si capisce. Addio. (Lascia l’apparecchio).

Cirillo                            - Povera Barbara. Un bellissimo abito come quello, sprecato!

Barbara                         - Oh finiscila, Cirillo.

Giulia                            - Del resto a tutti può capitare di far forno. Uno invita, invita...

Cirillo                            - E non viene nessuno.

Barbara                         - Con questo tempaccio!

Giulia                            - E con questa distanza. Chi vuoi che si muo­va con una serata simile?

Alessio                          - (è appoggiato ai vetri detta finestra).

Barbara                         - Ti pare che rallenti un po'?

Alessio                          - Macché! Raddoppia, anzi.

Cirillo                            - Se ti levassi un po' dai vetri, Alessio?

Alessio                          - E perché?

Cirillo                            - Sembra che tu la stia tirando giù col tuo malumore, la pioggia.

Alessio                          - (alza le spalle).

Barbara                         - Fortunatamente forno completo non lo fa­remo: i Giustiniani verranno.

Giulia                            - Quelli non mancano mai quando c'è per aria un rinfresco.

 Cirillo                           - Si dice che non mangino in tutto il giorno... per far più onore agli ospiti.

Barbara                         - Ma, almeno, su loro si può contare! (Ten­dendo l’orecchio) Un'automobile. (Tutti corrono alla fi­nestra).

Giulia                            - (lasciando cader le braccia) E' passata. (Tutti tornano malinconicamente ai loro posti. Breve silenzio. Il telefono squilla).

Barbara                         - Oh, Dio, il telefono, ancora. Chi sarà que­sta volta?

Cirillo                            - Saranno i Giustiniani che si scusano.

Giulia                            - Ma via, Cirillo, non faccia l'uccello di ma­laugurio.

Barbara                         - (al telefono) Pronto! Pronto! Non si ca­pisce nulla. Cosa? Ah, va bene. Già già, naturalmente. Con questo tempo. Ma ti pare. Arrivederci. (Depone il ricevitore).

Giulia                            - Chi era?

Cirillo                            - Chi volete che fosse? Lea Giustiniani.

Barbara                         - Proprio.

Giulia                            - Dice che tardano?

Barbara                         - No. Che non vengono. Non se la sentono di affrontare...

Giulia                            - Neanche loro!

Cirillo                            - Ah beh, potevi almeno risparmiarci di met­terci il frac. Bella figura faremo! Dieci sonatori e quattro ballerini.

Giulia                            - Ma è arrivata l'orchestra?

Barbara                         - Sentiamo un po'. (Suona. Appare un servi­tore). E' arrivata l'orchestra?

Il Servitore                    - No, signora.

Barbara                         - Meno male. Si potessero arrestare.

Cirillo                            - Vuoi farli arrestare? Poveracci.

Barbara                         - Si potesse avvertirli. (Al servitore) Tele­fonate.

Il Servitore                    - (esce).

Giulia                            - Andrea sarà il solo a gongolare per questo ballo mancato, immagino.

Barbara                         - Ma cosa dici? Se è lui che da un pezzo i» qua non pensa ad altro che a feste, a tè...

Giulia                            - Lui! E il suo lavoro?

Barbara                         - Lavora così poco da qualche tempo.

Cirillo                            - Poco? Nulla, vuoi dire.

Barbara                         - Dice che si sente stanco. In realtà, quella... quella sua segretaria lo sottoponeva a fatiche eccessive, per lui.

Giulia                            - A proposito, ne avete sapute- più nulla?

Barbara                         - No: scomparsa.

Cirillo                            - Io l'ho incontrata una sera. In via del Ba-buino. Camminava svelta, lungo il muro. Ha preso per via Margutta. Secondo me, andava a trovar Alessio.

Alessio                          - (risentito) Me? Ma sei pazzo? Cosa volevi che venisse a fare da me?

Barbara                         - Ma no. Cirillo ha scherzato.

Cirillo                            - Avete sentito? Quasi farebbe credere che avessi dato nel segno.

Alessio                          - Sei poco stupido!

Barbara                         - (a Cirillo) Di' un po', non l'hai fermata?

Cirillo                            - Ma cosa dici? Anzi, ho toccato ferro e ho tirato di lungo.

Barbara                         - Certo, da che quella se n'è andata, Andrea non è più lo stesso. E' nervoso. Non sa mai quello che vuole. Allegro ora, di un umore impossibile cinque minuti dopo.

Giulia                            - E il suo nuovo romanzo?

Barbara                         - Restato lì, a mezzo. Ho tentato di aiutarlo. Mi ha riso in faccia. Anzi, non solo mi ha spinta a fare una vita più mondana di prima; ma spesso anche lu

Giulia                            - Anche lui?

Baebaba                        - Dopo che ha detto: non vengo, capita all'improvviso.

Cirillo                            - Ma no! Andrea è quelle di prima. Un po' nervoso, ecco tutto ; ma soltanto perché non può lavorare.

Barbara                         - E perché non può lavorare, secondo te?

Cirillo                            - Ma perché era abituato a lavorare in un certo modo, e lì per lì si è trovato sbalestrato. Non c'è altro.

Edmondo                      - (entrando) Buonasera a tutti. Sono in ritardo? Ma le adunanze alla Società Geografica non finiscono mai. (A Barbara) Tieni    - (le dà una scatola).

Barbara                         - (come una bambina) Cosa sono? Le cosine buone buone che mi piacciono tanto?

Edmondo                      - Son passato davanti ad Aragno.

Barbara                         - Grazie. (Apre la scatola). Proprio quelle. (A Giulia) Se lo merita un bacio il cognatino, no? (Gli dà un bacio su una guancia). Molto più che non viene a casa una volta senza una cosa o l'altra. (A Giulia). Prendi.

Giulia                            - (prende un cioccolatino) Grazie.

Barbara                         - A voi, nulla.

Cirillo                            - Brutta egoista che non sei altro (fa per toglierle la scatola).

Barbara                         - (sfuggendogli, correndo per la stanza) Nulla. Nulla.

Cirillo                            - Adesso vedrai se non ti prendo.

Barbara                         - Aiuto, Edmondo, aiuto.

Cirillo                            - (l'ha raggiunta. Le ha tolto la scatola).

Barbara                         - Ma guardate che razza di cavalleria. Uno mi porta un regalo e lui se ne impadronisce. Ma via, Edmondo, Alessio, ditegli qualche cosa. Dategli una lezione.

Edmondo                      - (sorridendo) Cosa vuoi farci? E' sempre stato un villano.

Cirillo                            - (si è servito abbondantemente) Uhm, buoni.

Barbara                         - (a Giulia) Che scroccone! Non si può la­sciare in giro nulla. Quel che trova è suo.

Cirillo                            - (restituendole la scatola) E' così bello vivere alle spalle degli altri! Specialmente delle donne!

Andrea                          - (entrando con Leonardo) Beh, mi pare che si potrebbe anche cominciare, no?

Barbara                         - A far che?

Andrea                          - Ma... a divertirci. Avanti! Ballare. Bisogna ballare.

Barbara                         - Stasera non ne abbiamo voglia.

Andrea                          - E perché?

Barbara                         - Ma, scusa, questa serata andata a male.

Andrea                          - Niente, niente. (Va al grammofono, mette in moto un disco. Si ode uno slow fox). Signori, le danze sono aperte. Beh? Rimanete tutti là come incantati? Su su, Edmondo, invita Barbara. E tu, Cirillo, balla...

Cirillo                            - (senza lasciarlo terminare) Scommetto che dice: con Giulia.

Andrea                          - Sicuro.

Cirillo                            - Lo sapevo. (A Giulia) Sa che ho un debole per lei.

Giulia                            - Non si faccia bello col sol di luglio. Non ci sono altre dame.

Cirillo                            - Ah già, è vero.

(Si allacciano. Le due coppie volteggiano per la stanza seguite dallo sguardo degli altri uomini. Andrea ha degli occhi fosforescenti, magnetici. Egli è sul davanti della scena, mentre Alessio è restato nel fondo).

 Leonardo                     - (si è avvicinato ad Andrea).

Giulia                            - Questo slow-fox è delizioso.

Cirillo                            - Non lo dica troppo forte.

Giulia                            - Perché?

Cirillo                            - Leonardo potrebbe sentire.

Giulia                            - E in questo caso?

Cirillo                            - Lui detesta la musica americana. Tutta invidia.

Edmondo                      - (si è chinato' all'orecchio di Barbara. Le ha sussurrato qualche cosa. Ella ha riso brevemente. A sua volta, mormora a bassa voce qualcosa a Edmondo. Che accenna di sì col capo, sorridendo).

Leonardo                      - (piano ad Andrea) Ma cosa fai, Andrea?

Andrea                          - Cosa faccio?

Leonardo                      - Non guardare così.

Andrea                          - Come guardo?

Leonardo                      - Se tu potessi vederti... Finiranno con l'accorgersi di qualcosa. (Di nuovo Edmondo si è pie­gato verso Barbara).

Andrea                          - Basta. (Le coppie si arrestano, stupefatte. Egli va al grammofono, prende il disco, lo spezza).

Barbara                         - Andrea!

Andrea                          - Non lo potevo soffrire, quel disco.

Barbara                         - L'avevi messo tu.

Andrea                          - Soprappensiero. Riudendolo l'ho odiato.

Edmondo                      - Odiato, addirittura.

Andrea                          - Lo sonate sempre. Eppoi, tutte le orche­strine, questo. Gli organetti, questo. Non si vive più.

Cirillo                            - Bah, mettiamone un altro.

Andrea                          - No.

Barbara                         - E perché?

Andrea                          - Tra un po'. Riposatevi ora.

Edmondo                      - Ah.

Barbara                         - Avete sentito? Ordine: riposarci, anche se non siamo stanchi.

Cirillo                            - Quando penso che mi avete fatto mettere il frac. E per di più ho una scarpa che mi fa male! Un'altra volta non mi ci riprendete mica.

Edmondo                      - Cirillo non ha tutti i torti. Se tu non stai bene, Andrea, non è una buona ragione per imporre agli altri...

Andrea                          - Io non impongo nulla.

Edmondo                      - Ma sì: imponi il tuo malumore, o per lo meno le oscillazioni del tuo umore.

Andrea                          - Mi pare che tu dovresti essere l'ultimo a parlarne.

Edmondo                      - Ah va bene, se adoperi cotesto tono...

Andrea                          - Macché tono! Che tono! Sta a vedere che per parlar con te ora dovrò prendere il dizionario dei sinonimi.

Edmondo                      - Ma no, Andrea, non è un'idea mia. Pos­sono dirlo tutti.

Leonardo                      - Andiamo, ragazzi, andiamo.

Edmondo                      - Finché siamo soli, passi; ma di fronte agli estranei™

Andrea                          - Estranei loro! Estranea la masnada!

Edmondo                      - In ogni caso può seccare lo stesso.

Barbara                         - Ma sì, Andrea, Edmondo non ha poi tutti i torti.

Andrea                          - Bene! Dagli anche ragione.

Barbara                         - Non dico per dar ragione a lui; ma quello che fai con Edmondo lo fai con me, lo fai con Cirillo, con Alessio, sempre, per le cose più stupide: senza mai una ragione plausibile. Hai visto dianzi, volevi che si ballasse; poi, dopo pochi momenti...

 

 Andrea                         - Scusate. Non ci fate caso. Ora è già pas­sato... Non so neanche io... Volete ballare ancora?

Barbara                         - Quanto a me, non ne ho più voglia davvero.

Giulia                            - Figurati io.

Barbara                         - Già era una serata poco felice, se poi ti ci metti anche tu.

Andrea                          - Andiamo, via, cosa posso fare per farmi perdonare?

Barbara                         - Che discorsi. Qui non si tratta di perdo­nare. Ma dovresti sorvegliarti di più, dominare un poco di più i tuoi nervi.

Andrea                          - Più che darti ragione! (Silenzio). Oh via, non vorremo restar qui impalati tutta la sera... Un'idea. Leonardo ci farà sentire l'adagio del suo nuovo' poema « Gli Ulivi ». Vieni al pianoforte, Leonardo.

Leonardo                      - Ma ora, veramente...

Andrea                          - Avanti, su. (L'ha preso- per mano. Lo tra­scina verso la stanza del pianoforte. Gli altri li seguono. Tranne Barbara che resta immobile al suo posto). Tu non vieni, Barbara?

Barbara                         - Sento meglio di qua. Son più raccolta.

(Gli altri scompaiono. Dopo un poco si udrà l’adagio de « Gli Ulivi ». Restata sola, Barbara si avvicina nervo­samente allo specchio, se ne allontana senza guardarsi nemmeno, si inette a passeggiare incrociando le braccia).

Edmondo                      - (dopo qualche istante si riaffaccia alla porta) Barbara.

Barbara                         - Ti pare che questa stato di cose possa con­tinuare?

Edmondo                      - No. Hai ragione. E' una vita impossibile. Povera Barbara. (Le prende una mano. Glie la tiene affet­tuosamente nette sue).

Barbara                         - Qui bisogna prendere una risoluzione.

Edmondo                      - Pazienza. Anch'io, vedi, ora mi pento dello scatto di poco fa. Non dovevo.

Barbara                         - Pazienza. Ne ho avuta anche troppo. Sono stanca... Se non avessi te, che cosa sarebbe ora la mia vita?

Edmondo                      - (baciandole la mano che ha continuato a tenere tra le sue) E io non ti abbandonerò. Stai tran­quilla.

(D'improvviso, silenziosamente, compare Alessio. I due si scuotono).

Alessio                          - Che hai, Barbara?

Edmondo                      - Niente. Vuole stare un momento tran­quilla. Vieni, Alessio.

Alessio                          - Ti darei noia, se restassi di qua anch'io, Barbara?

Barbara                         - Ma no. Però non li abbandonate tutti. Va almeno tu, Edmondo.

Edmondo                      - Sì. Vado. (Esce).

Barbara                         - (apre la « trousse », si rifa gli occhi, le labbra).

Alessio                          - (timidamente) Ti piace, Barbara?

Barbara                         - Che cosa? Questa musica?

Alessio                          - Sì.

Barbara                         - Non ho ascoltato. E a te?

Alessio                          - Non ho ascoltato nemmeno io.

Barbara                         - Povero Leonardo. Lui che ci crede tutti con gli orecchi tesi.

(Silenzio).

Alessio                          - Perché non hai più voluto venire al mio studio ?

Barbara                         - Non ho mai potuto.

Alessio                          - Si dice sempre così, quando non si vuol fare una cosa. Dall'ultima volta non m'è riuscito di portare in fondo neanche un disegno. Chiamo i modelli e li rimando via, spesso senza farli nemmeno spogliare. Ho la mano paralizzata. Se tu non torni...

Barbara                         - Ma ti rovini, così.

Alessio                          - Quando uno ha tanto poco da vivere, può anche rovinarsi. Non ho in mente che quello. Non penso che a quello. Ah, tu non puoi sapere che cos'è! (Ansio­samente) Domani?

Barbara                         - Non so, non credo... Non posso promet­tere.

Alessio                          - Sono un moribondo, Barbara!

Barbara                         - (spiegazzando nervosamente il fazzoletto) Andiamo, esageri. Stai benissimo, ora.

Alessio                          - (sorridendo) Benissimo? Non me lo di­resti così.

Barbara                         - Va bene, Alessio, domani alle cinque, spero.

Alessio                          - Grazie.

(Nel frattempo, senza che i due se ne siano accorti, la musica è cessata, fra radi applausi).

Andrea                          - (entra) Che ve n'è parso?

Barbara                         - (si scuote, esita dinanzi alla risposta).

Alessio                          - Sì, certo...

Andrea                          - Un pezzo meraviglioso. La più bella cosa di Leonardo.

Barbara                         - E' vero. Un tema così nuovo.

(Qualcuno dall’altra stanza sì e messo a suonare un ballabile).

Andrea                          - Ah, bisogna proprio dire che il demone del ballo non li abbandoni un momento.

Barbara                         - Sarà meglio che non lasci Giulia troppo sola (fa per andare).

Andrea                          - (trattenendola per una mano) Guarda, Ales­sio, che hanno già cominciato a passare i rinfreschi. Avevano preparato un subisso di roba. Almeno voialtri fate onore. Non mi dire che non hai voglia di nulla, sai? Stasera non lo ammetto. Va, te ne prego.

Alessio                          - (esce).

Barbara                         - Beh, cosa vuoi?

Andrea                          - Me lo domandi? Farmi perdonare. Sono stato... inqualificabile.

Barbara                         - Meno male che lo riconosci da te.

Andrea                          - E questa è già un'ammenda. Ti basta?

Barbara                         - Mi basta... fino a quest'altra volta (fa per allontanarsi).

Andrea                          - No. Non così presto.

Barbara                         - I nostri invitati.

Andrea                          - Non ne abbiamo.

Barbara                         - Quella povera Giulia, almeno.

Andrea                          - Tra tanti uomini non si annoierà.

Barbara                         - Ma infine...

Andrea                          - E hai detto di avermi perdonato!

Barbara                         - Non capisco che cosa...

Andrea                          - Che cosa voglio? Voglio te: ti voglio un poco tutta per me. Non ne ho il diritto ? Stasera sei cosìbella.

Barbara                         - Ti ringrazio per le altre sere.

Andrea                          - Hai un vestito meraviglioso. Disegno tuo?

Barbara                         - Quasi. L'idea.

Andrea                          - Dammi un bacio.

Barbara                         - Sciocchezze.

Andrea                          - Un bacio.

Barbara                         - Ecco. Va bene?

Andrea                          - Un bacio a fior di pelle. Non l'ho quasi sentito.

Barbara                         - Per non macchiarti le labbra di rossetto.

Andrea                          - Prima non avevi di questi timori.

Barbara                         - Prima, prima... Da un pezzo in qua non fai che parlare di prima.

Andrea                          - ET che prima s'era felici.

Barbara                         - Colpa tua.

Andrea                          - Mia, sì, lo so. Ma mi ami proprio ancora, Barbara?

Barbara                         - Ci risiamo? Scegli almeno un momento migliore.

Andrea                          - Eh, lo so, non mi ami più.

Barbara                         - Questa è nuova di zecca. Ieri cosa facevo? Ah, «ì. Ieri non sapevo più capire la tua arte. Oggi non ti amo più. (Ella ride).

Andrea                          - E se è vero, perché non lo dici? Perché non trovi questo1 coraggio?

Barbara                         - Se accadrà, lo troverò.

Andrea                          - Ammesso pure che ci sia questo bisogno. Quando si ha la febbre si sente. Si può fare a meno di misurarsela. E' la stessa cosa. Si prova lo stesso males­sere vago.

Barbara                         - (prendendogli una mano. Carezzandogli la fronte) Andrea! Mio povero Andrea. Hai lavorato troppo. Hai la mente esaltata.

Andrea                          - Che stupido! Che stupido! Ma cosa vado cercando? Non ti ho qui, vicina a me? No, non levare quella mano. Continua a tenermela su la fronte. Ecco. (Un silenzio. Ella gli passa e ripassa la mano su la fronte. Improvvisamente) Di', ti ricordi di Marinella Chigi?

Barbara                         - Marinella Chigi?

Andrea                          - Ora non sai più nemmeno chi fosse Mari­nella Chigi.

Barbara                         - Ah sì, è vero, la Marinella del tao ro­manzo.

Andrea                          - Finalmente! Ce n'è voluto!... Ti ricordi come Marinella Chigi sapeva illuder bene il marito?... Erano le stesse parole, quasi le stesse carezze.

Barbara                         - (alzandosi di scatto) Ah, ora basta.

Andrea                          - E anche lei aveva le medesime rivolte. Strano. La nostra precisa situazione. Lui sentiva che in lei l'amore declinava e non voleva ammetterlo, lottava contro la dissoluzione del suo sentimento a forza di menzogne: con sé e con gli altri. Ti ripeto, la nostra precisa situa­zione. E io l'ho vissuta nella mia fantasia, prima ancora...

Barbara                         - Ti ho detto basta.

Andrea                          - Ma via, che male ci sarebbe? Succede. Due credono di volersi bene, per l'eternità, e poi, a un tratto... Non ti condannerei. La colpa forse sarebbe più mia che tua... La colpa non è mai di chi non ama più. Ma di chi non sa farsi più amare. Se l'amore è uno stato di feli­cità, chi vi rinuncia deliberatamente? Non si fa mica apposta a non amare più. Va via da sé. All'improvviso. Però, in questo caso, bisognerebbe dirlo. Il nostro dovere è di dirlo.

Barbara                         - Ma che gusto ci provi a frugare così come fai? Son mesi che io mi sento osservata, continuamente. Più che osservata. Sezionata. Viviamo tutti e due in uno stato di agitazione che ci toglie perfino il sonno.

Andrea                          - E con tutto ciò, non sai trovare una di quelle parole chiare precise definitive che dissolvono ogni dubbio, che ti mettono in pace per sempre.

Barbara                         - Non ti basta la vita che faccio? Chi vedo? Cirillo, Alessio, Leonardo. Nessun altro. Domandalo a loro se avvicino qualchedun altro. Dovrebbero saperlo. (Silenzio). E allora? Sarebbe finita così... perché tutto ha un fine. Questo supponi?

Andrea                          - Non so. Non riesco a capirti. Mi sembravi la cosa più limpida che ci fosse al mondo. Credevo di poter seguire i tuoi pensieri anche da lontano...

Barbara                         - E non puoi più farlo?

Andrea                          - Del resto, è naturale. Tutti noi siamo degli enigmi. Non credo più a nulla. Non credo più a nessuno.

Barbara                         - Ah, così?

Andrea                          - Vedi che non trovi nulla da dire?

Barbara                         - Che vuoi, è troppo difficile.

Andrea                          - Risposta comoda.

Barbara                         - I? l'unica che io posso darti.

Andrea                          - Davvero?

Barbara                         - Nessun'altra (fa per uscire).

Andrea                          - (correndo a lei. Trattenendola) Se sono stato ingiusto, se sono stato cattivo, perché non ti ribelli? Di' che ti rendo la vita impossibile. Gridalo a tutti. Liberati.

Barbara                         - Spero che un giorno tutto cambi finalmente.

Andrea                          - Che io mi assuefaccia a questo spaventevole stato di cose?

Barbara                         - Che in qualunque modo tu ritrovi la tua pace.

Andrea                          - E niente altro? Non sai dire niente altro?

Barbara                         - Che potrei dire? Aspetto. Non mi resta altro da fare.

Giulia                            - (entra seguita da tutti gli altri personaggi) Sentite, che ci invitiate per una gran festa e poi non venga nessuno, passi: un infortunio come un altro. Ma che i padroni di' casa se la squaglino così, questo poi...

Cirillo                            - L'ho detto io, ci considerano quanto il due di briscola.

Leonardo                      - Questa volta non hanno mica torto.

Edmondo                      - (s'avvicina a Barbara: a bassa voce) Cos'è successo ?

Barbara                         - (incipriandosi) Ti dirò. (Forte) Figuratevi che Andrea non ha saputo trovar momento migliore per raccontarmi il suo nuovo dramma.

Cirillo                            - Scrivi un dramma, Andrea? Oh disgraziato!

Giulia                            - E cos'è questo dramma?

Barbara                         - Quello di una donna che non sa più se ama o non ama il marito.

Cirillo                            - Consigliale una chiromante.

Barbara                         - E al marito?

Cirillo                            - Un dottore.

Barbara                         - Ma non vi eravate messi a ballare?

Giulia                            - Io mi sono prodigata quanto ho potuto, però

Cirillo                            - Non ha la menoma resistenza. Quattro no­mini, anzi tre, perché Leonardo non conta...

Leonardo                      - Oh!

Cirillo                            - L'hanno fiaccata in un momento.

Barbara                         - Povera Giulia! Vengo io a darti man forte. Vedrai che li metteremo tutti e tre knock-out. (Spinge Alessio e Cirillo nell’altra stanza. Li segue con Giulia ed Edmondo. Dopo un attimo ricomincerà la musica da batto).

Andrea                          - (a Leonardo) Dove vai? Aspetta. Possono fare anche senza di noi. Ci siamo parlati.

Leonardo                      - Le hai detto... tutto?

Andrea                          - Ah, no. Sarei stato troppo stupido. Volevo spingerla a confessare.

Leonardo                      - E lei?

Andrea                          - Ha fatto finta di non capire.

Leonardo                      - Sicché quel dramma...?

Andrea                          - Il nostro. E’ un'atroce alternativa di dubbi e di certezze.

Leonardo                      - Perché non parlar chiaro invece? Dovevi precisare il tuo sospetto. Era il solo modo di uscirne.

Andrea                          - Quale sospetto?... Di chi sei l'amante? Qualcuno mi ha detto che tu hai un amante tra questi nomini. Avanti, di chi sei l'amante? Avrebbe riso. Ma scusa, anche quel giorno in montagna non corsi forse da lei, risoluto a ripeterle tutte le assurde cose che aveva detto Savina?... Stava dinanzi allo specchio. Era bellissima, sor­rideva. Pensai in un lampo: perché non sarebbe vero che uno di loro...? Che fa lei mentre io sto qui, chiuso nel mio studio? Che ne so io della sua vita? Bisogna fingere. Nessuno deve sospettare. Starò con gli occhi aperti. Non parlerò. E da allora è cominciata la terribile ossessione che non mi abbandona neanche un momento... Quale, quale di questi miei amici? La cosa più naturale sarebbe stata che la masnada dopo il mio matrimonio si fosse dispersa. Invece, no. E perché? Costoro stanno più con lei, ora, che con me. Dunque non sono restati per me, ma per lei. Se non che degli uomini non restano mai così, intorno a una donna, senza una ragione. Dunque lei li ha allettati. Possono essere civetterie ingenue; ma può essere anche di peggio. Ci può essere uno, tra questi, che lei ama davvero. Mentisce forse con gli altri per non perdere quell'uno, per ingannarmi meglio. Che ha detto Savina? Cercarlo. Oh, sapeva bene quello che faceva. Era una donna raffinata nella sua perversità. Cosi, dove prima non scorgevo che un sentimento ingenuo d'amicizia, ho visto...

Leonardo                      - (interrompendolo) Oh basta. Io so a me­moria tutto questo. Ma come puoi pensare a un'infamia simile?

Andrea                          - Ti ricordi, prima? Tutti voialtri potevate ballare con lei, scherzare, parlare tenendole le mani nelle mani. Per me non erano altro che segni d'una intimità fraterna. Ebbene, improvvisamente, ogni gesto, ogni sguardo si è tramutato ai miei occhi in un segno chiaro, evidente, d'amore. Ogni parola mormorata, ogni stretta di mano sono altrettante prove, capisci?

Leonardo                      - E allora tutti, tutti si sarebbe colpevoli.

Andrea                          - Di amarla, sì.

Leonardo                      - Andrea!

Andrea                          - Via, Leonardo. Son vent'anni che ci diciamo tutto. Fra noi, si può dire anche questo. (Dopo un at­timo) Un tempo il centro della nostra amicizia ero io, adesso è lei. Te lo dimostra il fatto che quei ragazzina ricordati che discussioni interminabili, su tutti gli ar­gomenti, purché fosse arte; e ora... ballano.

Leonardo                      - Bada, hai detto il centro della nostra «amicizia ».

Andrea                          - Amicizia? Per una donna? Per quella donna? Ma via!

Leonardo                      - E tutto non può essersi arrestato lì?

Andrea                          - Ammettiamolo. Ma come non si è accorta che non era più soltanto amicizia? Una donna le ha sulla pelle queste sensazioni.

Leonardo                      - Questa silenziosa adorazione può averla lusingata.

Andrea                          - No, se mi ama ancora come mi ha amato, dovrebbe provare per forza una specie di ripugnanza per tutti questi uomini mescolati. Ah, non mi far dire. Per disgrazia mia sono abituato a trattare le passioni dei miei personaggi con freddezza e con crudeltà. Certe volte, figurati, mi dimentico perfino di essere in gioco io, mi dimentico che si tratta della creatura, delle creature che amo di più al mondo, e mi sorprendo a guardare... a guardare dentro... quasi con curiosità. Gli abissi di qualunque specie hanno una attrazione terribile.

Leonardo                      - Parti con lei.

Andrea                          - Per restare con questo dubbio? Impossibile. Io debbo arrivare alla scoperta della verità. Mi sono ri­dotto alle cose più vili: a seguirla, a farla seguire, ad ascoltare dietro le porte, a sorprenderla quando meno se l'aspetta-.

Leonardo                      - Ebbene?

Andrea                          - Nulla.

(Leonardo                     - Vedi?

Andrea                          - Ma Cirillo la ama...

Leonardo                      - E? un cinico, mentre lei è una sentimentale.

Andrea                          - Alessio però è un povero malato. Non vedi con che dolcezza lo tratta?

Leonardo                      - Quando uno sta per morire si può bene illuderlo.

Andrea                          - Sì. Ed è quello che credo anch'io...

Leonardo                      - Vedi?

Andrea                          - ... Come mi sono convinto che Cirillo, facile, futile, sventato, sarebbe troppo poco per lei.

Leonardo                      - Ma allora?

Andrea                          - (senza lasciarlo continuare) D'altra parte, come ti ho detto, non ho indietreggiato dinanzi a nessuna ignominia. L'ho pedinata, l'ho fatta pedinare. Nulla. La sarta, la modista, dei tè insieme a cento altre persone...

Leonardo                      - Quand'è così...

Andrea                          - Ma ciò che non avviene fuori può benissimo avvenire qui sotto il mio tetto. Ne dimenticavi uno, Leonardo.

Leonardo                      - (respingendo quel pensiero) Oh!

Andrea                          - E perché no?

Leonardo                      - E' tuo fratello.

Andrea                          - Di più: quasi un figlio.

Leonardo                      - E dunque?

Andrea                          - Ma Edmondo è un uomo capace delle più violente passioni. L'ho dovuto constatare mille volte. E’ uno spirito chiuso. D'altronde, in certi casi, chi si ricorda più di nulla? Si dimentica il padre, la madre; figurati un fratello. Eppoi, di', succederebbe per la prima volta?

Leonardo                      - Ma è orribile.

Andrea                          - Spaventoso. E anch'io, come te, dapprima ho respinto questo pensiero con orrore... Per giorni e giorni. Ma quando mi si è ripresentato alla mente, era come un martello che picchiasse sempre nel medesimo punto, sai? Ed io quasi odiavo me stesso perché non sapevo libe­rarmene. Non ti so dire quanto tempo ho lottato contro questa ossessione. Chiudevo gli occhi per non vedere, scappavo dalle stanze per non essere obbligato a guardare. Eppure, involontariamente, mi sorprendevo a conside­rare i fatti più minuti: le piccole premure che lui ha per lei, quelle che lei... Mai che una volta, quando lui ha da uscire di sera, non gli domandi se ha preso una sciarpa di lana, se si è coperto bene... Tutte le cose che un tempo faceva soltanto con me... Eppoi, non ti so dire... Quel carezzarlo continuamente, che sui primi tempi mi faceva anzi piacere, perché volevo che Edmondo quasi parte­cipasse della mia felicità, quel correre da lui a farsi ba­ciare quando torna da fuori... Non so dirti: una tenerezza esagerata, morbosa... Ma ancora di più. Ti ricordi che lui voleva partire? Da anni sognava quel viaggio. Tutto era preparato, e a un tratto... E non è stata forse Barbara a convincerlo? L'hanno ammesso loro.

Leonardo                      - Mi ricordo.

Andrea                          - Ma ti potrei citare centinaia di questi fatti, insignificanti apparentemente, ma che sono oggi, per me, altrettante prove schiaccianti. (Dopo un silenzio). Vedi? Non trovi più nulla da dire. Io ti seguo, con la mente: colleghi fatti, coordini idee, confronti circostanze. Non è così?

Leonardo                      - Mi hai comunicato la tua ossessione e naturalmente... mi par di vedere anche quello che non è.

Andrea                          - Ma confessa invece che ti ho convinto; e che il mio dubbio ora è anche il tuo.

Leonardo                      - Il dubbio è una cosa, la certezza un'altra.

Andrea                          - Ed è appunto alla certezza che io debbo arrivare. Bisogna che io giunga alla verità. Bisogna. Bisogna. Non sai cosa sono le mie notti. Un'altra nottata così, no. Non posso.

Leonardo                      - Cosa vuoi fare?

Andrea                          - Non lo so. Non lo so. Non lo so. Si crede di conoscersi, è vero. No. La nostra coscienza è una cosa oscura e misteriosa, impenetrabile. Ed io sono abi­tuato a trattare le passioni come il chirurgo tratta la carne infetta... Io so meglio di tutti che, qualunque risoluzione prenda, il fatto resta incancellabile, che nulla potrà più impedire che sia avvenuto. Nonostante, credi, io e un qualunque vinattiere, la medesima cosa... Da dove è scaturito tutto quest'odio? A poco a poco, insensibil­mente, me lo sono sentito arrivare alla gola... Edmondo, un estraneo, uno che si vede per la prima volta, che si sorprende nella nostra camera a derubarci, pronto a sgozzarci... La nostra infanzia in comune, la nostra vita confusa nelle stesse amarezze e nelle stesse gioie, dimen­ticata... Un uomo di fronte all'altro, con la mano in tasca e il coltello aperto... Che pena, Leonardo. Si crede di essere lassù e a un tratto ci si trova giù giù, più in basso di tutti, accomunati alle bestie che si sbranano per la femmina in caldo. Millenni di' civiltà, svaniti. Un bruto, mi sento diventato un bruto. L'intelligenza e l'astuzia imi servono solo per mascherare alla meglio il mio tormento d'uomo offeso. Vedi come si fa presto a diventare nemici? Ti amo, purché tu non mi tolga nulla del mio. Sempre così!

Leonardo                      - Povero Andrea!

Andrea                          - Ah, sì, puoi dirlo. Povero Andrea!... Ma io non voglio affrontare questa situazione coi soliti mezzi, capisci? Questa condizione di Gianciotto in ritardo, di Otello in sessantaquattresimo mi umilia; io voglio scavare fino a trovare la verità, qualunque sia. Non la temo, anche se debba quasi uccidermi. Sorprendere il tradimento nella sua manifestazione bestiale non voglio, non vorrò mai. Quello che abbiamo da dirci, diciamocelo in faccia.

Leonardo                      - Intendi parlare di Edmondo?

Andrea                          - Sì, è stasera stessa.

Leonardo                      - Ma...

Andrea                          - Mi par d'avertelo detto: un'altra nottata come quella passata, no.

Leonardo                      - Potresti aspettare...

Andrea                          - Che foste andati via voi? No. Chi tratter­rebbe Barbara? Va di là e mandami Edmondo. Leonardo i    - Andrea, mi raccomando.

Andrea                          - Non ti parlavo d'astuzia, poco fa?

Leonardo                      - Ma nello stato di eccitazione in cui ti trovi...

Andrea                          - Quale? Guardami. Come ti sembro? (Sor­ride). Ecco. Diresti che son quello di cinque minuti fa? Va. Diglielo piano. Senza che gli altri si accorgano di nulla. Va.

Leonardo                      - Ma...

Andrea                          - Fammi questo piacere, Leonardo.

Leonardo                      - (china la testa. Esce).

Andrea                          - (resta in piedi, meditabondo, sul davanti della scena. Come ode i passi di Edmondo, siede, prende su un tavolo una rivista, la sfoglia con aria indifferente).

Edmondo                      - (entra) Mi volevi?

Andrea                          - Sì, ma forse ho interrotto.»

Edmondo                      - Oh no, si parlava.

Andrea                          - Di che?

 Edmondo                     - Non so più.

Andrea                          - Distratto, al solito?

Edmondo                      - E' stato sempre il mio grande difetto, lo sai bene.

Andrea                          - Che però si è accentuato da qualche tempo.

Edmondo                      - Forse. Che vuoi, si invecchia.

Andrea                          - Lascialo dire a me. Guarda quanti fili bianchi.

Edmondo                      - (avvicinandoglisi) E' vero. Non l'avevo no­tato. Li sai nascondere bene.

Andrea                          - Non li nascondo io: si nascondono da se. Forse sono un po' vergognosi. (Ridono). Però, ci sono; e se anche non si vedono, chi li porta, se li sente pesare.

Edmondo                      - E' per questo che sei così mutato, Andrea?

Andrea                          - (continuando a sfogliare la rivista) Mutato?

Edmondo                      - Molto. Lo notava poco fa anche Barbara.

Andrea                          - E che trovi di così mutato in me?

Edmondo                      - Ma... tutto. Il tuo modo di fare, di parlare, di guardare la gente. Si capisce bene che tu non te ne accorgi; ma a noi che ti osserviamo...

Andrea                          - Mi osservate?

Edmondo                      - Oh, non è da dire che si debba fare uno sforzo esagerato. Salta agli occhi.

Andrea                          - E non ti sei mai domandato, non vi siete mai domandati, perché io possa essermi cambiato così?

Edmondo                      - Al contrario, molte volte.

Andrea                          - E a che l'avete attribuito?

Edmondo                      - Ma... a questa tua improvvisa impossibilità di lavorare.

Andrea                          - Ah!

Edmondo                      - Si è creduto che essendoti venuta a man­care Savina, tu non abbia saputo ritrovare l'equilibrio di un tempo.

Andrea                          - Però Barbara non mi ha mai detto di ri­prenderla.

Edmondo                      - Ah, no?

Andrea                          - Si capisce; lei aveva così poca simpatia per Savina!

Edmondo                      - Penserà che se tu volessi, potresti benissi­mo farlo, senza chiedere il permesso di nessuno.

Andrea                          - Qui non si tratta di chiedere o non chie­dere permessi. Ma la verità è che io mi sono disfatto di Savina unicamente perché Barbara lo ha desiderato.     - (Dopo un istante). Ma questo non e'entra. La cosa che volevo dirti era un'altra. Ho deciso di partire. Accetterò l'invito della « Metro » per quello scenario. Vado a Hollywood.

Edmondo                      - E quanto starai via?

Andrea                          - Non so: dipende.

Edmondo                      - L'hai già detto a Barbara?

Andrea                          - No. Perché forse partirò solo.

Edmondo                      - Ah.

Andrea                          - Che vuoi, laggiù avrò molto da lavorare. Do­vrei abbandonarla troppo, mentre qui, tra voi... Consi­gliami tu.

Edmondo                      - Ma...

Andrea                          - Son dibattuto. Molto più che, non trovan­domi bene, non si sa mai, col mio maledetto carattere, potrebbe anche darsi che decidessi di ritornar via subito. E, capirai, l'America non è proprio dietro l'uscio. Sa­rebbe una spesa non indifferente. Cosa faresti tu nei miei panni?

Edmondo                      - Come si fa a dirlo?

Andrea                          - Anzi, è proprio in questi casi che il giu­dizio è più spassionato. Avanti.

Edmondo                      - Certo, laggiù, in un paese nuovo...

Andrea                          - Mentre qui, tra voi, con te. Del resto, voi due potete raggiungermi in un secondo tempo.

Edmondo                      - Tutto sommato, parrebbe anche a me la cosa più conveniente.

Andrea                          - Non ne dubitavo. Ero sicuro che tu, col tuo buon senso, mi avresti consigliato in questo modo. E' infatti la cosa più ragionevole.

Edmondo                      - Quando partiresti?

Andrea                          - Ma., al più presto. Tra pochi giorni. Però... sii sincero, credi proprio che io faccia bene ad agire così?

Edmondo                      - Certamente.

Andrea                          - Senza che la mia pace coniugale abbia a cor­rere troppi rischi?

Edmondo                      - Che rischi?

Andrea                          - (piano, quasi all’orecchio) No, Edmondo. Io non partirò, o per lo meno non partirò solo... Non mi guardare con quegli occhi. Non sono diventato matto... Di' un po', non ti è venuto in mente che questo mio mutamento abbia un'origine più profonda e più dolo­rosa? Ho lavorato tanto tempo senza Savina. Non mi sa­rebbe difficile rimettermi a tavolino come prima di cono­scere lei. Del resto, sai, io tenevo volentieri Savina perché in un certo modo mi cullava nella mia pigrizia. Mi toglieva subito certi dubbi e mi obbligava a un lavoro metodico di cui, prima, non ero mai stato capace. Ma se volessi...

Edmondo                      - E allora, perché non vuoi?

Andrea                          - Perché? Ma perché in me c'è un ben altro tormento. Atroce. Intollerabile.

Edmondo                      - Andrea!

Andrea                          - Barbara non mi ama più!

Edmondo                      - (impallidisce, ma non parla).

Andrea                          - Come? Non dici nulla?

Edmondo                      - Che debbo dire?

Andrea                          - Non mi dai su la voce? Te n'eri accorto? Lo sapevi? Di' la verità.

Edmondo                      - Ma no™

Andrea                          - E se lo sapevi, come hai potuto un mo­mento fa consigliarmi di partire senza di lei?

Edmondo                      - Ti assicuro... Ma come puoi affermare... Te lo ha detto lei?

Andrea                          - Stupido. Se me l'avesse detto lei, in questo momento non sarebbe di là... a ridere. Senti, senti come ride. Nessuna donna sa ridere come lei, non è vero? Non è vero, Edmondo, che è la più deliziosa delle creature, non è vero che la sua bellezza è perfetta? (Lo tiene per le spalle obbligandolo a guardare nella stanza dove si trova Barbara) Guarda la sua bocca. E le sue spalle nude in quell'abito d'argento.

Edmondo                      - (svincolandosi) Ma che hai? Che fai?

Andrea                          - Che faccio?

Edmondo                      - E' insensato... Non ti vergogni?

Andrea                          - Di che?

Edmondo                      - E' spaventoso.

Andrea                          - Che io ti abbia detto di guardarla? Cosa c'è di male? Non sei mio fratello? Volevo dirti semplice­mente che quella creatura, che fino a poco tempo fa era una cosa mia, qualcuno che vive qua, tra mezzo a noi, me l'ha presa.

Edmondo                      - Qualcuno qui?

Andrea                          - Sì.

Edmondo                      - Ma va. Tu farnetichi.

Andrea                          - Credi proprio?

Edmondo                      - Sì, e mi meraviglia che tu possa dire una simile cosa di Barbara.

Andrea                          - E allora, perché avrebbe cessato di amarmi?

Edmondo                      - Può succedere.

Andrea                          - Raramente, se non c'è di mezzo un altro.

Edmondo                      - Ed io ti dico

Andrea                          - Ma perché la difendi così prima che io ti abbia detto tutto? Che prove hai?

Edmondo                      - Credo in lei.

Andrea                          - In lei, sì. E nel mio dolore, no... Perché tu vedi che io soffro. Non puoi non vederlo.

Edmondo                      - Qualche volta si soffre anche per nulla.

Andrea                          - I pazzi, già. E anche se io ti dicessi... chi è, continueresti a difenderla?

Edmondo                      - Avanti, chi è?

Andrea                          - Che importa, se tu non mi credi?

Edmondo                      - Avrai delle prove, no?

Andrea                          - Nessuna. O meglio... infinite.

Edmondo                      - Sentiamo.

Andrea                          - Impossibile. Non mi capiresti, me ne accorgo bene. Non mi capiresti.

Edmondo                      - A ine piacciono i fatti precisi, chiari. I sospetti vaghi, le cose campate in aria non mi dicono nulla. Ecco perché non posso capirti. Fammi un nome e io ti dirò quello che penso. Così, mi dispiace, non posso seguirti.

Andrea                          - (lo fissa intensamente) Se fosse vero.

Edmondo                      - Che cosa?

Andrea                          - Nulla. Ah, sono sicuro che se ti trovassi nel mio caso andresti diritto allo scopo, non staresti a barca­menarti come invece faccio io. Non avresti di queste puerili esitazioni, di queste sciocche paure sentimentali.

Edmondo                      - Non ne ho mai avute io.

Andrea                          - Lo so, vuoi che non lo sappia? Non ti co­nosco forse? Ti ho fatto io così. E ora eccomi qui a in­vidiare la tua padronanza, la tua forza di volontà. E’ triste che un padre debba riconoscere la superiorità di un figlio. E tu sei un poco... mio figlio. Non è vero forse? Chi ti ha portato su su fino a questo punto? Non siamo sempre stati due cose in una? Ti ricordi quando morì nostra madre?

Edmondo                      - Ma sì, ma sì, Andrea!

Andrea                          - No, no, eri troppo piccolo. Morì quasi dispe­rata, perché ci lasciava così giovani e così «oli... Pure, i pochi anni che io avevo più di te parevano tanti e mi raccomandò di essere un padre per il suo... Dino.

Edmondo                      - (nervosamente) Ma sì, Andrea, vuoi che non sappia?

Andrea                          - E' bene riparlarne lo stesso. Può essere l'ultima volta.

Edmondo                      - L'ultima?

Andrea                          - Di tutte le cose può sempre essere l'ultima volta. Si fa così presto a sparire... A tavola, spesso, io facevo finta d'avere poca fame perché tu mangiassi più di me. Questo non l’hai mai saputo. E infatti tu sei cre­sciuto più forte, più bello... E credo che alle donne tu debba piacere più di me.

Edmondo                      - Oh!

Andrea                          - Figurati che ne ero quasi orgoglioso io delle tue fortune femminili. Sì, me ne vantavo coi nostri amici: Edmondo fa questo, Edmondo fa quest'altro... Guarda, io penso a quegli anni come agli unici veramente perfetti della nostra vita. Poi è venuta... chiamiamola pure così, la gloria; poi... Barbara. Ebbene, nulla nulla ha mai supe­rato in dolcezza quei nostri primi anni, quando tutti e due si era così soli, e il mondo ci sembrava una cosa tanto grande, ma tanto bella. Tu non ci pensi.

Edmondo                      - Ma sì.

Andrea                          - No, no. Tu non ci pensi mai. Ed è colpa mia, perché io ho fatto di tutto perché tu non crescessi un sentimentale, come me. Ti volevo uomo. E un poeta, sai, è sempre un po' donna. Pure, avresti dovuto pensarci. Son cose che non si debbono dimenticare. Due fratelli che si vogliono bene davvero, Edmondo, son rari. Ma noi, si doveva esser di quelli. Nessuno più di noi. E invece di farci del male, avremmo dovuto... (Ritrovandosi improvvisamente) Ma cosa sto dicendo? Ah, si, veramente debbo parerti un po' stupido. Ah, ah! Vien quasi voglia di ridere... Dunque? Vuoi proprio sapere chi è? Vuoi saperlo?... E' Alessio.

Edmondo                      - Cosa?

Andrea                          - Sicuro. Alessio.

Edmondo                      - (a voce strozzata) Come lo sai?

Andrea                          - Che importa? Lo so.

Edmondo                      - Alessio! Che verme! E' venuto qui, si è sfamato. L'abbiamo aiutato in tutti i modi. L'abbiamo perfino mantenuto in sanatorio. Altrimenti a quest'ora sarebbe crepato cento volte... Ma che fai? Continui a tenertelo in casa? Non lo cacci via? Non lo cacci via? Ma vado io. Lo prendo a calci. Lo butto fuori dalla finestra.

Andrea                          - Ehi! Ehi! Piano, ragazzo.

Edmondo                      - (asciugandosi il sudore, calmo improvvisa­mente) Hai ragione, scusa. Mi sono sentito rivoltare.

Andrea                          - Rivoltare! E' troppo. Ah, non ti sei visto. Se ti avessero detto che portavano via, non la mia, ma la tua donna, non ti saresti potuto comportare diversa­mente. Avevi il viso congestionato, gli occhi fuori, le mani tremanti... E tremano anche ora. Guarda guarda.

Edmondo                      - Cosa vuoi dire, Andrea?

Andrea                          - (afferrandolo per i risvolti della giacca) Non è vero di Alessio. Non è vero nulla. Capisci ora? Capisci quello che voglio dire?

Edmondo                      - Andrea! (Lo guarda con occhi spalancati, fissi, quasi non comprendendo le parole del fratello, in­dietreggiando sotto la spinta dì questi).

Andrea                          - E non hai esitato dinanzi a questa cosa mo­struosa. Nella nostra casa. Dove siamo cresciuti. Dove io ti ho allevato.

Edmondo                      - (quasi senza voce) Andrea!

Andrea                          - Andrea! Andrea! Non sai dire altro? Un altro, a un'accusa simile, si sarebbe rivoltato. Era quello che aspettavo. Andrea! Andrea! Cos'è? Hai paura? Hai paura perché sai che io sono nel mio buon diritto?... Ma di' qualcosa.

Edmondo                      - Non posso, Andrea.

Andrea                          - Ah, aveva ragione Savina. Cercare. Dovevo cercare. Ed ho incontrato questa melma, dove non avrei mai creduto. Che schifo! Che schifo!

Edmondo                      - (sempre più soffocato) Andrea! Andrea! (E’ giunto alla parete, ha incontrato una sedia, vi h caduto. Si nasconde il volto tra le mani, piange).

Andrea                          - Ma cosa fai? Cosa fai? Piangi ora? Sei no vigliacco dunque? Per di più, sei un vigliacco?

Edmondo                      - (con un gesto della mano) Zitto, Andrea. Zitto! Zitto!

Andrea                          - Ma cosa dici?

Edmondo                      - Sta zitto, Andrea, te ne prego... (Dopo un momento). Ma allora non mi conosci. Esser vissuti trent'anni insieme, l'avermi tu allevato, cresciuto, non significa nulla. E' bastato nulla: un sospetto perché si diventasse due estranei... Ah, non sai il male che hai fatto!

Andrea                          - Ma tu l'ami.

Edmondo                      - Perché vuoi obbligarmi tu a guardare dentro di me, quando nemmeno io ho osato farlo?

Andrea                          - Confessa che per te non è soltanto ima sorella.

Edmondo                      - Non lo so, non lo so. Forse... Ebbene, nonostante, io non ho mai permesso, mai permesso, capisci, che lei potesse nemmeno sospettarlo... Le vo­levo bene... come tutti le vogliamo bene qui... Ah, non dovevi lasciarla tra noi. Era una donna... E in questa casa, dopo la morte della mamma, non ce ne erano mai state... Lei vi ha portato... Non so dirti...

Andrea                          - Ma lei...

Edmondo                      - No, te lo giuro. Un fratello. Non suppone altro. Io mi sono talmente tenuto chiuso questo senti­mento, che Io negavo perfino a me stesso. Tu mi hai obbligato. Come hai potuto farlo, Andrea?

Andrea                          - Non lo so. Non lo so. Sono pazzo. Debbo essere diventato pazzo. Non ho più pace. Ah, bisogna dimenticare tutto.

Edmondo                      - E come sarà possibile, ora...? Se non potremo più neanche guardarci in faccia? Hai voluto sapere per forza quello che non avresti mai dovuto sapere... Che gran male hai fatto! Distrutto. Distrutto tutto.

Andrea                          - Non tutto. Credevo di doverti odiare. E invece ti debbo quasi compiangere. Vedi che per me non è distrutto tutto. Anche se dovremo vivere lontani. (Lo prende fra le braccia, Edmondo vorrebbe sottrarsi). No, Edmondo, nostra madre. Ricorda.

Edmondo                      - Peccato! Peccato!

La voce di Barbara       - Andrea! Edmondo!

Edmondo                      - Barbara! Non voglio che mi veda, così. Non voglio che mi veda più.

Andrea                          - Più! Aspetta.

Edmondo                      - No. Lasciami andare. (Esce in fretta).

Barbara                         - (comparendo sulla porta) Andrea! Ma che fai? Che fate?

Andrea                          - (ricomponendosi sollecitamente) Cosa vuoi che faccia? Eccomi, cara, eccomi.

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

 (La medesima scena. La fine di un pomeriggio. li caminetto è acceso).

Andrea                          - (in, piedi presso la finestra, aspettando. Tutt'a un tratto ha un movimento. Ha visto qualcuno. S'allon­tana un poco. S'avvicina alla porta. Ma, pentito, torna subito indietro. Accende una lampada da tavola, si spro­fonda in una poltrona, prende un libro a caso, l'apre, vi posa gli occhi).

Barbara                         - (entra. Impellicciata. Bellissima. Attraversa la stanza, fa per scomparire da un'altra porta. Ma)

Andrea                          - (chiamandola) Barbara.

Barbara                         - (volgendosi di scatto). Eh?

Andrea                          - Buonasera.

Barbara                         - Buonasera. Qui? Non nel tuo studio?

Andrea                          - Ci faceva un po' freddo.

Barbara                         - Non ne dubito. Credo che voglia nevicare.

Andrea                          - A Roma? Non mi dispiacerebbe. Ma perché uscire con questa giornata?

Barbara -                       - Avevo da far mille cose.

Andrea                          - ...E senza macchina per di più.

Barbara                         - Non volevo far aspettare Giovanni a quel gelo. Ho preso dei tassì.

Andrea                          - Hai fatto bene.

Barbara                         - Giovanni era cosi raffreddato... Vado a spogliarmi.

Andrea                          - Scaldati. Guarda che bel fuoco. L'ho fatto preparare proprio per te. Chissà com'è infreddolita, quando rientra, ho pensato.

Barbara                         - Ti ringrazio. (Si toglie il cappello, la pelliccia).

Andrea                          - Dove sei stata?

Barbara                         - In tanti posti.

Andrea                          - Dalla sarta?

Barbara                         - Anche.

Andrea                          - Bella la collezione d'estate?

Barbara                         - Abbastanza.

Andrea                          - Che cosa userà quest'anno?

Barbara                         - (dopo un momento) ...press'a poco!

Andrea                          - La fantasia è morta. Ho visto su una rivista che tornano di moda gli aspri.

Barbara                         - Già.

Andrea                          - Le aigrettes, i begli uccelli di paradiso che portavano le nostre mamme... E poi, dove sei stata?

Barbara                         - Dove? Ah, da Leone.

Andrea                          - Leone?

Barbara                         - Sì, Leone.

Andrea                          - Probabilmente è un signore che mi ha divorato molte migliaia di lire, ma io non lo conosco. Fortunati paga, ma non dice mai chi.

Barbara                         - Ecco, questo è Leone (mostra un piede).

Andrea                          - Ah sì: il calzolaio. E poi?

Barbara                         - Poi da Giulio. Vuoi che ti dice anche chi è Giulio?

Andrea                          - Quello, so chi è: il parrucchiere. (Dopo un poco). Non mi meraviglio che tu abbia preso freddo, con tanti giri! Dove sta la sarta?

Barbara                         - In via Paisiello.

Andrea                          - E Leone?

Barbara                         - In via Sistina.

Andrea                          - E Giulio?

Barbara                         - Oh, a due passi: in piazza Barberini.

Andrea                          - E non sei stata in nessun altro luogo?

Barbara                         - No. Perché?

Andrea                          - A che ora sei stata dalla sarta?

Barbara                         - L'hai trovata una buona. Chiedere l'ora a me!

Andrea                          - Press'a poco. Le cinque?

Barbara                         - Ecco, sì: le cinque immagino.

Andrea                          - Andiamo: fa bene il conto: a che ora sei uscita di casa?

Barbara                         - Ma...

Andrea                          - Erano le tre.

Barbara                         - Se lo sai, perché me lo domandi?

Andrea                          - Erano le tre: in punto. Hai preso l'autobus quasi alla porta di casa...

Barbara                         - Sai anche questo?

Andrea                          - Sei scesa a piazza Venezia. Là hai preso un tassì.

Barbara                         - Ma che hai fatto? Mi hai seguita?

Andrea                          - E non sei andata né dalla sarta in quel momento, né da Giulio, né da Leone. Sei andata in piazza di Spagna.

Barbara                         - Oh, senti: dura da troppo tempo. Sono stufa. Eppure dovresti esserti persuaso che i tuoi so­spetti sono per lo meno stupidi.

Andrea                          - Non tanto, forse. Dal momento che sei andata in piazza di Spagna. E questo non me l'hai detto. Cosa ci sei andata a fare?

Barbara                         - Sono andata... (Subito pentita). No. Mi rifiuto di risponderti.

Andrea                          - Ti rifiuti?

Barbara                         - Mi rifiuto, sì. Perché mi sento offesa.

Andrea                          - Come atteggiamento, è interessante. Avanti. Cosa ci sei andata a fare in piazza di Spagna?

Barbara                         - Nulla. Visto che non imi ci sono fermata.

Andrea                          - Infatti hai proseguito per via del Babuine.

Barbara                         - Poi sono sboccata in vicolo Valadier, i vero?

Andrea                          - Sì.

Barbara                         - Eppoi in via Margutta.

Andrea                          - Precisamente.

Barbara                         - Via Margutta, numero cinquantatrè. Un grande palazzo, pieno di studi: scultori, pittori...

Andrea                          - Non ti sei soffermata dal portiere neppure un attimo: non hai avuto bisogno di domandargli nulla; ti conosceva: ti ha salutata.

Barbara                         - Poi ho preso la scala a destra: terzo piano.

Andrea                          - Hai fatto tutti quegli scalini quasi d'un! fiato.

Barbara                         - Che vuoi, ero ansiosa d'arrivar su.

Andrea                          - Da Alessio?

Barbara                         - Da Alessio.

Andrea                          - E' il tuo amante.

Barbara                         - Perché non sei salito? Potevi assicurartene.

Andrea                          - Lo studio di Alessio ha due uscite.

Barbara                         - Potevi mettere qualcuno di piantone all'altra uscita. Ma ti seccava mischiare altra gente in quella faccenda.

Andrea                          - E" il tuo amante?

Barbara                         - Non voglio risponderti. Credilo pure, se ti accomoda.

Andrea                          - Che cosa allora saresti andata a fare da lui?

Barbara                         - Quand'anche io potessi dimostrarti la mia innocenza, non lo farei. Hai capito? Non lo farei.

Andrea                          - Ancora! II solito atteggiamento di supe­riorità.

Barbara                         - Chi a poco a poco li ha allontanati i nostri amici?

Andrea                          - Tu.

Barbara                         - Avevo capito tutto: erano la tua ossessione: te ne ho liberato.

Andrea                          - - Questo però non ha impedito che tu li andassi a trovare di nascosto.

Barbara                         - Uno, semmai: oggi.

Andrea                          - Oggi ti ho vista. Ieri puoi essermi sfuggita.» I Del resto, ieri, oggi, che importanza ha?... Chissà da i quanto tempo dura. E se con gli altri hai allontanato! anche Alessio Tiai fatto forse per assopire i miei sospetti,

Barbara                         - Può darsi.

Andrea                          - E lo confessi?

Brabara                         - Lo confesso perché io non ti amo più.

Andrea                          - Barbara!

Barbara                         - L'hai voluto sapere? E' così: non ti amo ; più. Una volta dicesti: l'amore se ne va via così, non si: sa perché. Io lo so perché il mio se n'è andato. E, ripeto, anche se io fossi innocente, non muoverei un dito perché tu lo credessi. La cosa non m'interessa più.

Andrea                          - Però hai mentito, poco fa.

Barbara                         - Quando? No, non ho mentito. Ti volevo j tener nascosta una cosa che... Volevo risparmiarti... Volevo ritardare...

Andrea                          - Che cosa?

                                      - Non per me, sai. Ma per la pietà che, nonostante tutto, m'ispiravi tu.

Andrea                          - Pietà per il male che m'hai fatto?

Barbara                         - Io?... E il male che tu hai fatto a me?

Andrea                          - Quando?

Barbara                         - Già: è naturale: domandi, quando. Un male così grande, vedi, che è giusto oggi tu soffra quello che ho sofferto io. Te lo meriti troppo. Potrei parlare. Non parlerò.

Andrea                          - Cosa vogliono dire queste parole ambigue? Non credere che io me ne contenti. Da quanto tempo sei la sua amante?

Barbara                         - Che importanza ha?

Andrea                          - Voglio saperlo.

Barbara                         - Ti ho detto che non ti risponderò.

Andrea                          - Me lo dirà lui.

Barbara                         - Lui! Ah!...

Andrea                          - Ci vado e... vedremo.

Barbara                         - Lui non ti risponderà.

Andrea                          - Vedremo.

Barbara                         - Non ti risponderà.

Andrea                          - (fa per uscire. Un servo entra recando un bi­glietto su un vassoio. A Barbara) Guarda.

Barbara                         - (dopo aver gettato un'occhiata sul biglietto) Ora puoi anche riprenderla, tanto... (Ella esce).

Andrea                          - (al servo) Le hai detto che sono in casa?

Il Servo                         - Sissignore. Credevo...

Andrea                          - Non importa. Fa entrare.

Savina                           - (entra. È quella del primo atto; ma più pal­lida ancora, se è possibile: gli occhi ancora più cupi e infossati).

Andrea                          - Oh, Savina... Mi scusi, ma debbo uscire su­bito... Un'altra volta...

Savina                           - Perdoni, ma... (ella fa qualche passo avanti. Vacilla).

Andrea                          - (sorreggendola) Savina! Che ha?

Savina                           - (dominandosi) Nulla! Nulla!

Andrea                          - Lei sta male.

Savina                           - Sì, un poco...

Andrea                          - Un cognac?

Savina                           - (fermandolo con un gesto) No, no, grazie. E' già passato. (Siede o meglio si lascia cadere su una sedia).

Andrea                          - In che posso?...

Savina                           - Non si meraviglia di rivedermi qui?

Andrea                          - Un poco, sì, lo confesso.

Savina                           - E' per l'ultima volta. Non tema. Per l'ultima volta.

Andrea                          - Perché dovrei temere?... Lei sa che...

Savina                           - Non avrei mai dovuto ritornare, ma era necessario... Quante cose sono successe da quel giorno-Si ricorda? Preparai tutto prima idi partire per la mon­tagna. Si doveva star via pochi giorni... Si ricorda? E io non dovevo mai più rimetterci i piedi qua dentro, prima di oggi!

Andrea                          - Ricordo, sì; ma...

Savina                           - Lei non può neanche immaginare che cosa è stata la mia vita nel tempo che ho vissuto qua, vicina a lei. Prima la mia esistenza era trascorsa in una specie di dormiveglia, in attesa dell'avvenimento che doveva finalmente sconvolgerla tutta... E fu quando io mi pre­sentai in questa casa, e lei acconsentì a prendermi, sol­tanto allora mi parve di cominciare a vivere.

Andrea                          - Lo so, Savina. E' inutile...

Savina                           - No, bisogna anzi parlarne. E' necessario. Lei non sa forse ancora che cosa è accaduto.

Andrea                          - Ma che cosa, in nome di Dio?

Savina                           - No, non ancora. Bisogna, prima, che lei sappia... tutto.

Andrea                          - Tutto che?

Savina                           - Io sono stata sempre così, Andrea, sempre questa cosa sgraziata che lei vede. Non ho mai avuto giovinezza, nemmeno a quindici anni. La freschezza dell'età supplisce spesso alla mancanza della bellezza. Io sono nata vizza. Oh, lei non può capire, nessuno può capire. Perché una donna non le confessa mai queste cose. Io non ho mai saputo correre, ridere, cantare, avere delle amiche. Fino dalla prima volta che mi ero guar­data in uno specchio m'ero sentita condannata. « Tu non avrai nulla di quello che hanno le altre », avevo pen­sato. E allora, come può una fanciulla correre ridere cantare? E così mi sono sepolta nelle biblioteche, come un uomo, come un uomo d'altri tempi, voglio dire. Purché la gente mi vedesse il meno possibile, purché avessi da parlare il meno possibile... La vita non mi aveva dato nulla di quello che dà agli altri. Non era colpa di nessuno. Non importa: ho odiato ugualmente la vita: gli uomini, le donne sopratutto. E cercavo nella poesia il rifugio che non poteva darmi il mondo: ma la poesia non si impastava, non poteva impastarsi con l'anima mia: diventava cultura, arida cultura. Nondi­meno credevo di poter arrivare a dominare con l'intel­ligenza, dimostrare almeno con quella la mia superiorità su gli altri, su le altre... E invece... Una qualunque... La consuetudine dei capolavori mi faceva apparire niente altro che un triste ciarpame quello che io facevo... E' naturale; quasi tutti si parte pieni di sogni, ma che dico di «ogni, pieni di certezza e all'improvviso ci accorgiamo di essere delle povere cose... Fu allora, in uno di quei momenti di disperazione, che mi capitò tra le mani il suo primo libro... E da quel momento io' non ebbi che un desiderio, una sola volontà; arrivare fino a lei, mescolarmi nel suo lavoro, partecipare alla vita del suo spirito... Ecco' perché quel giorno mi presentai qui.

Andrea                          - Ed io l'accolsi...

Savina                           - Oh sarebbe forse stato meglio che lei non mi avesse accolta così. Meglio le solite parole fredde che uno scrittore dice alle solite visitatrici che non vedrà mai più. Una dedica e basta. Ma lei aveva capito che io non ero una delle solite visitatrici, forse aveva sentito inconsciamente... Il magnetismo della mia volontà aveva agito... Lei mi disse di tornare, ed io tornai l'indomani, e l'indomani ancora...

Andrea                          - Mi rimprovera dunque di avere...

Savina                           - (con un gesto) No... Che dice?... No, ma una donna non può vivere a lungo vicina a un uomo, una donna che non ha mai amato... Oh, era terribile questo sentimento che mi conquistava giorno per giorno, ora per ora... Eppure avrei sempre taciuto... Che cosà chiedevo infine? Di restare qui, vicino a lei. Nessuna donna avrebbe avuto da temer nulla da me... Che ombra potevo dare io?... Nessuna, credevo; e invece... Ha visto che gelosia sorda, opaca, che odio. Quello che lei, Andrea, non aveva mai indovinato, l'altra lo- aveva sentito... Vi sono creature che vogliono regnare com­pletamente, che non ammettono spartizioni nemmeno di un dominio che non potrà mai essere il loro. Non le bastava quello che aveva? Lei è bella, lei è giovane, lei è la moglie... Io mi contentavo di un posto all'ombra. Ma l'intelligenza spettava a me. Io ne avevo di­ritto. Invece ha vinto lei... Era naturale... Via via via, anche di qua... Da per tutto mi avevano- sempre cacciata... Ah, lei, non lo sa, ma vi sono alcuni che portano in se questo destino terribile... La società li espelle, non li vuole, li rifiuta, sin dal momento che vengono al mondo. Io sono uno di quelli. Un animale randagio. E anche di qua, via... Ma questa volta ero diventata una donna: ero ritornata donna... Non ero più la creatura neutra di un tempo. Di fuori sì, ancora, disgraziatamente; ma dentro... nell'anima mia... Ah l'anima mia era quella di una donna che ama, Andrea, di una donna che ama con tutta la passione che ha accumulata in sé dalla nascita. E come tutte le donne che amano mi sono vendicata. Provando la prima vera intensa gioia della mia vita. Potevo final­mente far sentire che esistevo. Ero anch'io qualche cosa. Fino ad allora mi avevano preso a calci, mi avevano buttata in un canto, ora potevo rivoltarmi, alzare la testa, mordere. E l'ho fatto.

Andrea                          - Non era vero?

Savina                           - No, no, no! Non era vero... Ma che impor­tava? Il mio veleno sarebbe penetrato lo stesso, avrebbe circolato, si sarebbe comunicato a tutti quelli che si trovano qui... Quelle' risa, quella gioia intorno a me, tutta quella giovinezza... li odiavo. Via io, ma via anche loro. E non soltanto su la donna che mi portava via tutto mi sono voluta vendicare; ma anche su lei, Andrea, che mi aveva lasciata offendere così, che non aveva capito...

Andrea                          - E c'è riuscita. Ha rovinato la mia vita, la mia felicità. Ha spazzato via i miei amici, mio fratello ha dovuto andarsene lontano, ha distrutto il mio amore...

Savina                           - E non avevo forse cercato, sperato questo?

Andrea                          - Ma allora che specie d'amore era il suo?

Savina                           - Che specie d'amore? Era l'amore.

Andrea                          - Ed è tornata per dirmi questo?

Savina                           - Questo? A che scopo ormai? Sapevo bene che la mia accusa era puerile, che prima o poi la verità si sarebbe scoperta... Perciò era necessario proseguire, far di peggio, se occorreva.

Andrea                          - Quale altra infamia? Avanti, parli. Quale altra infamia?

Savina                           - Io volevo tornarci qua dentro. Io volevo riprenderlo il mio posto.

Andrea                          - E che ha fatto?

Savina                           - Che ho fatto?... Avevo continuato a vedere Alessio.

Andrea                          - Perché?

Savina                           - Perché avevo indovinato il suo segreto.

Andrea                          - Ama Barbara.

Savina                           - Ma amava anche lei, Andrea!

Andrea                          - E allora?

Savina                           - Io andavo là, esasperando il suo sentimento... A uno a uno facevo crollare i suoi scrupoli, i suoi timori... Continuamente gli parlavo di Barbara, gli avevo riempito lo studio di fotografie sue, ingrandimenti di istantanee che io serbavo... E il povero ragazzo si era lasciato ubriacare. Finalmente gli avevo suggerito che il suo capolavoro doveva essere il ritratto di Barbara. Speravo in quelle lunghe sedute. Ed egli aveva persuaso Barbara a venire; ma era stato imprudente, aveva troppo osato... Ella si era accorta del pericolo, non aveva mai voluto tornare... Intanto la masnada si era dispersa... Preso dalla disperazione, in questo inverno così rigido, invece di riguardarsi, Alessio ha commesso delle imprudenze... Pareva quasi che andasse in cerca della morte. E infatti...

Andrea                          - E' morto!

Savina                           - (china il capo) Stanotte.

Andrea                          - Alessio è morto.

Savina                           - Era un povero malato: ma io ne ho affret­tato la fine.

Andrea                          - L'ha ucciso lei.

Savina                           - E questo non volevo farlo. Uccidere, no. Quando mi son trovata dinanzi a quel cadavere, ho ca­pito... Soltanto allora ho capito. E ho avuto paura di me. E' stata una ribellione di tutta la mia coscienza. Ah, lo vedesse, Andrea: un viso disperato. Duro. Sembra che prima di chiudere gli occhi abbia maledetto qualcuno. Ha maledetto me, probabilmente. Ecco perché... sono qui.

Andrea                          - Allora Barbara, poco fa...

Savina                           - Le aveva scritto di andarlo a trovare-. prima, prima della fine, ma sola: lei sola. Capisce ora?

Andrea                          - No... Perché Barbara non mi ha detto nulla, ma perché non mi ha detto nulla?

Savina                           - Per vendicarsi forse anche lei, a suo modo.

Andrea                          - Vendicarsi?

Savina                           - Prolungare un poco la sua sofferenza.

Andrea                          - Eppure era facile provarmi la sua inno­cenza.

Savina                           - Non ha voluto. Per punirla. Evidentemente.

Andrea                          - Punir me? E che cosa dovrei fare io a lei, Savina?

Savina                           - Son qui. Sono venuta apposta.

Andrea                          - Che miseria! Che miseria! E diceva di avermi voluto bene. No, Savina, non si ama così.

Savina                           - Si ama come si può.

Andrea                          - Non si ama così. Io lo so, adesso. So che per la felicità dell'essere amato si può anche dile­guarci... Ed è quello che avrei fatto io. Non ci si ven­dica, non si uccide, quando il nostro amore è veramente « amore ». Me l'ha insegnato Edmondo. Andarsene. Sepa­rare le nostre esistenze. Bisogna avere questa forza. Vuol dire che qualcosa è finito, che un capitolo è ter­minato, che bisogna portare con noi un peso di più... Ecco quello che io ho imparato da tutto questo, Savina... Quando lei è entrata stavo per andare da Alessio. Per sapere tutto. E se avessi capito che ormai Barbara... A che prò?

Savina                           - Quello che avevo da dire, l'ho detto.

Andrea                          - Troppo tardi.

Savina                           - Troppo tardi... sempre... tutto. (Esita un istante, quindi esce).

Barbara                         - (dopo un momento appare, si dirige verso la pelliccia e il cappello che ha lasciati su una sedia).

Andrea                          - Barbara. So tutto. So di Alessio... Era stata Savina... Ha confessato. Tutta una menzogna... Peggio. Ora... (s'arresto. La guarda. Ella è immobile, glaciale).

Barbara                         - (dopo un momento) E con questo, credi che tutto sia accomodato?

Andrea                          - Ma una volta che...

Barbara                         - ...che tu sai la verità, che non hai più da dubitare di me?

Andrea                          - Dopo questa bufera, ci ritroviamo... Ci ritroviamo. Non ti basta?

Barbara                         - No, non mi basta. Tu hai dubitato di me.

Andrea                          - Ma scusa, chiunque...

Barbara                         - No. Non chiunque. Tu, non avresti dovuto mai.

 

Andrea                          - Ma avevo la febbre. Non capisci cosa vuol dire essere in preda al delirio'?

Barbara                         - E perché avevi la febbre? Perché eri in preda al delirio?

Andrea                          - Ma Savina...

Barbara                         - Aveva mentito. E che aveva mentito avresti dovuto saperlo fino dal primo giorno. Invece hai bran­cicato i nostri poveri cuori, hai fatto cenci di tutti i nostri sentimenti. Hai fatto il deserto intorno a noi.

Andrea                          - E' vero! E' vero!

Barbara                         - Mi amavi forse... Questo sì, ma non mi stimavi... M'hai sospettata quando avresti dovuto avere la certezza che io non amavo nessuno di loro come amavo te. Al contrario, come ti è balenato alla mente il primo sospetto, invece di scacciarlo, invece di correre da me, di dirmi ogni cosa, hai cominciato a cercare, a dar corpo alle ombre... a insudiciare tutto.

Andrea                          - E se fossi corso da te, come in un primo tempo ho fatto... tu non sai... che avresti detto?

Barbara                         - Ti avrei dato la prova che non bisognava aver dubbi sul mio amore. Ma per te ero una qualunque. Peggio. Perché non hai esitato ad attribuirmi un sen­timento quasi... contro natura. Mi hai obbligata a guar­darmi dentro, a scrutarmi fino in fondo, a domandarmi se i baci che io davo a Edmondo non erano solamente i baci di una sorella... Poteva darsi. Che ne sapevo io? Succede, dicono. Non si conoscono ornai a fondo i nostri sentimenti! Adultera, incestuosa... Che mai di più?

Andrea                          - (chinando la testa) Hai ragione, Barbara.

Barbara                         - E da quel momento, vedi, da quando ho visto tutto questo, mi sono sentita talmente rivoltare, talmente rivoltare, che tu improvvisamente mi sei apparso totalmente nuovo. Non eri più l'Andrea di prima, quello che io avevo incontrato e amato subito... Un altro. Un estraneo, Uno che evidentemente era vissuto per anni vicino a me, senza conoscermi... Si era appagato- del mio corpo e non aveva domandato di più. Il mio spirito, l'anima mia, lui non li aveva mai -conosciuti, non aveva mai cercato di conoscerli.

Andrea                          - Ma ora, Barbara, so tutto... So che quando la prima volta andasti da Alessio...

Barbara                         - Sì: quasi scappai... E il povero ragazzo ne è morto.

Andrea                          - Perché non me l'hai detto?

Barbara                         - Sarebbe stata una prova troppo facile: e tu non te la meritavi.

Andrea                          - Dimentichiamo.

Barbara                         - Che dici? Non vedi che avevo già preso il cappello?

Andrea                          - Per uscire?

Barbara                         - Per andar via.

Andrea                          - Via!

Barbara                         - Che ragione, dimmi tu, c'è ormai di conti­nuare a vivere insieme? Se avessimo dei bambini, forse. Ma così! Basta una incrinatura... Forse sono le prime manifestazioni della stanchezza. Chissà?... Noi siamo stati sempre due amanti. E questa è forse la nostra colpa maggiore. Tu nel tuo studio, io di là... Ho tentato di averti tutto per me... Volevo fare di te veramente, non più il mio amante, ma mio marito... Lo credesti un capriccio. No, non era un capriccio. Io lo facevo per il nostro amore, io non volevo essere soltanto colei che si prende fra le braccia per calmare il sistema nervoso eccitato dal troppo lavoro; ma colei che si tiene vicina e si scinge con lo stesso ardore, anche quando non è più giovane e non è più bella». Ridesti. Ero come una bambina che si deve contentare per forza, altrimenti si mette a piangere... Non avevi capito nulla. E subito, invece di accogliermi, di provarmi, che cosa facesti? Ti mettesti a delirare... Peccato! (Con improvvisa riso­luzione) Ma ora debbo uscire, Andrea.

Andrea                          - Per andar dove?

Barbara                         - (lo fissa. Sorride tristemente) Dove?... Da Alessio. Qualcuno deve ben vegliarlo, no? E' così solo. Un povero corpo solo steso su un lettuccio di ferro in una stanza nuda e fredda. Tu lo vedessi.

Andrea                          - Dice che ha un'espressione spaventosa di disperazione, vero?

Barbara                         - Chi te l'ha detto? Anzi. A me sembrava che sorridesse. Più che un ragazzo... pare un bambino. La­sciami andare. Debbo portargli dei fiori, almeno.

Andrea                          - (spingendola fuori con una mano, brusca­mente) Sì. Andiamo. Lo veglieremo insieme.

FINE