Questo piccolo mondo

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ATTO PRIMO

 


(This Happy Breed)

di Nöel Coward

Traduzione di GIULIANO TOMEI

Personaggi

in ordine di entrata in scena

Età

Atto I

Atto II

Atto III

Scena

1

2

3

1

2

3

1

2

3

SIGNORA FLINT, Madre di Ethel

60

66

67

72

72

73

-

-

-

ETHEL, Moglie di Frank

34

40

41

46

46

47

51

53

54

SILVIA, Sorella di Frank

34

40

41

46

46

47

51

53

54

FRANK GIBBONS

35

41

42

47

47

48

52

54

55

BOB MITCHELL

37

43

44

49

49

50

54

56

-

REG             

-

18

19

24

-

-

-

-

-

QUEENIE         figli di Frank

-

19

20

25

25

-

30

-

-

VI

-

20

21

26

-

27

30

-

-

SAM LEADBITTER

-

19

20

25

-

-

30

-

-

PHYLLIS BLAKE

-

18

19

24

-

-

-

-

-

EDIE, Cameriera

-

25

26

31

-

32

-

-

-

BILLY

-

21

-

27

-

-

32

-

-

ATTO PRIMO

Quadro I • Giugno 1919

Quadro II • Dicembre 1925

Quadro III • Maggio 1926

ATTO SECONDO

Quadro I • Ottobre 1931

Quadro lI • Novembre 1931

Quadro III • Maggio 1932

ATTO TERZO

Quadro I • Dicembre 1936

Quadro II • Settembre 1938

Quadro III • Giugno 1939

L'azione ha luogo nella stanza da pranzo dalla casa dei Gibbons, al N. 17 di Via del Sicomoro, nel sobborgo di Clapham, Londra.                                                                                                                                   

SCENA UNICA

La scena.

La stanza da pranzo dei Gibbons In fondo una porta finestra che si apre su una piccola strìscia di giardino. Avanti a destra una porta chs da nell'anticamera. Attraverso la porta aperta è visibile la scala.


ATTO   PRIMO

Quadro I

Giugno 1919.

Sono circa le otto e mezza, di sera, e fuori è ancora chiaro.  Lo porta finestra è aperta e, oltre il recinto che chiude il giardino, si vede un albero in fiore.

La famiglia Gibbons si è appena trasferita nella casa, e quindi la stanza è in estremo disordine. Sulle pareti vi sono delle zone scolorite nei punti in etti erano appesi i quadri dei precedenti inqui­lini. Una confusione dì mobili diversi, parecchie casse da imballaggio e pacchi d'ogni genere. L'u­nico mobile è posto è una grossa credenza- contro la parete di destra, oltre la porta.

La SIGNORA FLINT è seduta presso il cami­netto vuoto, su una poltrona antiquata. E una don­na di circa sessanta anni, sobriamente vestita di nero. Ha indossato per il trasloco il suo abito mi­gliore, temendo si rovinasse in una cassa. ETHEL, sua figlia, una donna di alta statura sui trentaquat-tro anni, si affaccenda a sistemare mobili e ad aprire  pacchi. Ha l'aspetto accaldato e non troppo in ordi­ne, dopo una giornata così faticosa.

Dal piano superiore giunge, ad intervalli, il ru­more di colpi di martello.

ETHEL trasporta un vasetto di terracotta e una scatola da tabacco da una cesta alla- credenza.

S.  FLINT  (lamentosamente,  guardando il soffitto) -  Che sta facendo Frank?

ETHEL (tornando verso la cesta) - Mette le ten­dine alle finestre della camera da letto.

S. FLINT - Farà venire giù tutta la casa.

ETHEL (togliendo carta da imballaggio dalla cesta) - Bisogna che siano a posto prima che andia­mo a letto. Non vorrai mica che il vicinato si diverta a guardarci mentre ci spogliamo!

S. FLINT - Con la strada di mezzo c'è poco da vedere.

ETHEL - Prima o dopo le tendine devono essere messe a posto.

S. FLINT - Nessuno ha pensato a metterne in ca­mera mia. E non ci sono nemmeno gli scuri. Evi­dentemente io conto poco.

ETHEL (affrontando la madre) - Oh, finiscila di brontolare, mamma. Sai benissimo che gli scuri non sono ancora arrivati. Ed in ogni caso la tua stanza non dà sulla strada.

S. FLINT - Sarà piacevole se il signor Come-si-chiama, della casa accanto, capita in giardino e dà un'occhiata in alto.

ETHEL (divertita) - Gli manderemo un biglietto pregandolo di tenere La testa bassa. (Portando la carta a destra e mettendola in una scatola).

S. FLINT - Sì, c'è proprio da ridere.

ETHEL (tornando presso la cesta) - Non so pro­prio che hai oggi, mamma. Davvero! Un trasloco non è certo una gita di piacere e il lamentarsi senza Interruzione non fa che peggiorare le cose.

S. FLINT - Mi lamento? Questa sì che mi piace. E' dalle due che ho un mal di testa da scoppiare e non ho nemmeno fiatato. Sfacchinare per tutta la casa... su e giù... ed ecco il ringraziamento.

ETHEL (prendendo un sopramobile) - Va bene, mamma, coraggio! Ti sentirai meglio dopo una bella tazza di tè.

S. FLINT - Se riuscirò ad averlo il tè.

ETHEL - L'acqua è già calda; ma Silvia non è an­cora tornata.

S. FLINT (con aria di disprezzo) - Silvia...

ETHEL - Doveva andare fino ai Grandi Magazzi­ni, ed è un bel po' di strada, (Durante la battuta seguente Ethel sistema una. pianta ornamentale).

S. FLINT - Ne avrebbe potuto fare a meno se non avesse dimenticato la metà delle commissio­ni che le avevamo date. Quella ragazza diventa sempre più sciocca, ogni passo che fa. Non mi meraviglierei affatto se avesse dimenticato il nu­mero di casa e sifosse sperduta, lei e la sua anemia.

ETHEL (va verso la credenza con la pianta) - Non è mica colpa sua se ha l'anemia, non ti pare? (Torna di nuovo al tavolinetto).

S. FLINT - Non capisco come tu e Frank riu­sciate a sopportarla, parola d'onore.

ETHEL  (va verso il caminetto con il vaso e il so­pramobile) - Lo sai meglio di me, mamma, che non potrei lasciare sola come un cane mia co­gnata. Specialmente dopo tutto quello che ha passato.

S. FLINT - Tutto quel che ha passato!

ETHEL (voltando le spalle al caminetto) - Adesso verrai a dire che non è stata fidanzata con Berto, che Berto non è morto in guerra, e che hanno vissuto felici e contenti,

S. FLINT - Silvia non ha sofferto più di tante altre donne, anzi molto di meno, a dir la verità. Silvia ha bisogno di un'occupazione, di lavorare.

ETHEL - Non ci resisterebbe; è troppo delicata. Sai bene quello che ha detto il dottore.

S. FLINT - Quel dottore è un esagerato di prima forza. Ricordati quello che disse, quando Queenie ebbe la tosse convulsa. Ci terrorizzò tutti.

ETHEL - Dammi una mano a portare questa li­breria. Mettiamola per ora in un. angolo. Non è pesante.

S. FLINT (alzandosi di malavoglia e aiutando la figlia) - Sai benissimo che non dovrei sollevare nessun peso, con la mia  salute.

ETHEL - Sta tranquilla, non ne morirai. Piano, piano. (posano lo libreria a sinistra). Ora puoi di nuovo sedere tranquillamente. (La signora Flint torna a sedere e Ethel torna al centro).

S. FLINT - Questa casa puzza di umido. Speriamo che non lo sia.

ETHEL (seguitando sempre a sistemare oggetti) -Non vedo perché dovrebbe essere umida. Non c'è acqua nei dintorni.

S. FLINT - Non si sa mai... La signora Wilcox si trasferì in quella casa a Leathead, e prima di averci passato tre mesi era a letto con le febbri reumatiche.

(Si ode suonare il campanello d'in­gresso).

ETHEL (andando verso la libreria con alcuni oggetti) - Così va bene, cara. Sii sempre ottimista. (Torna verso il centro).

S. FLINT - Non hanno suonato alla porta?

ETHEL (scartando un orologio e portandolo sulla credenza)- Sì. Ho dato la chiave a Silvia e pro­babilmente l'avrà perduta.

S. FLINT - Forse è stata investita ed è la Polizia che viene ad avvertirci. 

ETHEL (Va nell'anticamera. Dopo un momento en­tro Silvia. E' una donna pallida, di 34 anni. Ha con sé un grosso pacco e lo lascia cadere, con un sospiro, sullo credenza. Poi va verso il centro) -Bene, l'hai presa comoda. Pensavamo che ti fosse accaduta qualche cosa.

SILVIA - Avrei voluto vedere te con tutta que­sta roba. (Con un gemito) Oh, la mia povera schiena!   (Siede  sull'estremità  della cesta).

S. FLINT - Prima erano i piedi a farvi male.

SILVIA - Bene, ora è la schiena. (Aspra).

ETHEL (prendendo il pacco) - Lo porto in cucina.

SILVIA - Se devo dire la mia opinione questa casa mi sembra umida.

ETHEL (mentre esce) - Tutte le case sembrano umide, appena, entrati.

SILVIA - Credevo dì avere uno dei miei attac­chi, proprio mentre giravo in via Abboville. Mi sono dovuta appoggiare a un pilastro.

S. FLINT - Penso che non abbiate ritenuto oppor­tuno di ricordarvi delle mie pasticche di menta.

SILVIA - Me ne sono ricordata. Sono nella borsa. (Fruga nella borsa) Eccole... (Si alza e le dà le pasticche. Di nuovo colpì di martello dall'alto;.

S.FLINT (prendendo le pasticche) - Bene. Sia lo­dato il Cielo che m'ha fatto la grazia. Ne volete una?                                      

SILVIA - No, grazie. Non me lo permetterei mai. (Andando verso il centro) Che sono queste mar­tellate?

S. FLINT - Frank. Sta mettendo le tendine nella camera da letto.

SILVIA (sedendo di fronte alla cesta) - Vi giuro

. che non vedo l'ora che tutto sia in ordine. Che giornata!                  

ETHEL (rientrando) - Non c'è nemmeno un apri­scatole.

S. FLINT - Frank ne ha uno nel suo temperino.

ETHEL (va nell'anticamera e chiama) - Frank!... Frank! Butta giù il temperino. Dobbiamo aprire la scatola dei fagioli.

FRANK - Un momento... Ecco!

(Una pausa e il temperino cade ai piedi di Ethel, che rientra).              

ETHEL - Ecco, Silvia. Pensaci tu per favore. Io ho da mettere un po' d'ordine in questa stanza. Puoi aiutarla tu, mamma. La tavola è quasi pron­ta e le casseruole sono a terra in cucina.

SILVIA (prendendo il temperino) - Non c'è pace per gli sciagurati. (Esce da destra).

ETHEL - Su, mamma. Oramai sei stata seduta abbastanza.                                                  

S. FLINT (alzandosi) - Avremmo dovuto tratte­nere Gladys ancora un giorno, per aiutarci nel trasloco...

ETHEL - Gladys ci dava più fastidio che aiuto. Preferisco fare da me. (Va a sinistra con il ce­stino dei rifiuti).

S. FLINT - Per te andrà benissimo... Sei giovane; ma aspetta di avere la mia età. (Esce).

ETHEL - Su, vi raggiungo subito. (Andando verso la porta) Il burro l'ho messo sulla finestra. (Ethel, rimasta sola, continuai a mettere in or­dine la stanza. Canticchia tra sé. Dopo un poco entra Frank. E' un uomo dì 35 anni, dall'aspetto comune. Ha in mano un martello e un barattolo di chiodi, che posa sulla credenza).

FRANK - Per ora le ho solo appuntate. Ci sarà da toglierle di nuovo quando verranno gli scuri.

ETHEL (andando alla finestra) - Tra poco sarà pronta la cena. (Scioglie le tendine dello finestra).

FRANK - Hai aspetto stanco. Stai faticando troppo.

ETHEL - Non dire sciocchezze.

FRANK (avvicinandosi a Ethel) Hai sfacchinato tutto il giorno.

ETHEL - Cosa credi che debba fare? Star seduta accanto al fuoco a leggere un romanzo?

FRANK (ridendo) - Va bene... va bene, brontolo-na. (Va sulla soglia della porta finestra e guarda fuori) Hanno lasciato il giardino in condizioni pietose. Aspetta che ci metta le mani io. Qui, guarda. (Ethel lo raggiunge) Quei fiori ci porteran­no  fortuna. (Indica l'albero in fiore).

ETHEL - Non l'avevo notato.

FRANK - Lo prevedevo.

ETHEL (lasciandolo e tornando nella stanza) - A-vevo proprio il tempo di stare con le mani in ma­no a guardare gli alberi.

FRANK (rientrando nella stanza) - Dov'è Percy?

ETHEL - Appena arrivati qui ha cominciato a mia­golare e cosi l'ho lasciato andare fuori. Starà combinando qualche guaio...

FRANK - Avremmo dovuto educarlo meglio quan­do era piccolo.

ETHEL - Oh Frank... (Si guarda intorno) Ti pia­ce?

FRANK (voltandole le spalle alla ricerca dei fiam­miferi) - Che cosa ?

ETHEL (seduta su una cassa con le spalle al pubbli­co) - La casa, sciocco. Non hai detto una sola parola.

FRANK (accendendo una sigaretta e voltandosi) -Sicuro che mi piace.                                         

ETHEL - Sai, quasi non mi sembra vero. E' stato tutto così improvviso. Il tuo ritorno a casa dopo il congedo, l'impiego con, il signor Baxter... ed ora il trasloco qui. Tutto in meno di sei settimane.

FRANK - Caro vecchio Baxter. Dovremmo bere qualche cosa alla sua salute,               

ETHEL - Non c'è altro da bere che la china di Silvia.                                        

FRANK - Bè, si accontenterà della buona inten­zione, allora.

ETHEL - Oh, caro!

FRANK - Che c'è? (Siede sulla cesta).                 

ETHEL - Non so... (Guardandolo) Non avere più

quel peso nella mente, giorno e notte.

FRANK - Che vuoi dire ?

ETHEL - Oh, tu lo sai.

FRANK (voltandosi verso di lei) - Che ci lasciassi anch'io la pelle in quella carneficina? Una bella possibilità.

ETHEL - La possibilità c'era. Ogni minuto di ogni giorno, per quattro anni. Non lo dimenticare. Mi sentivo male tutte le volte che veniva il po­stino, tutte le volte che il campanello suonava.

FRANK - Bè, ormai tutto è finito. E non è il caso di parlarne ancora.

ETHEL - Noi siamo fortunati. Non è finito bene per qualche altro. Pensa alla povera signora Worsley. Due figli ed il marito morti. E lei non ha di che vivere. La signora Cross... Suo figlio di cui era così orgogliosa; rovinato per tutta la vi­ta. Non può neanche mangiare da sé. Noi siamo fortunati e dovremmo esserne grati.

FRANK - Eh già... Invece di starmene supino lag­giù in una buca di granata ora siedo qui vivo al numero 17 di Via del Sicomoro, Clapham Com-mon. E andata così.

ETHEL - Andasti in guerra perché era tuo dovere...

FRANK - Ci andai perché lo volli.

ETHEL - E ci andresti ancora ?

FRANK - Credo di sì.

ETHEL (piangendo quasi) - Io non te lo permetterei, capisci? Mai più. Piuttosto ti ucciderei con le mie mani.

FRANK - Sarebbe una soluzione alquanto sciocca.

ETHEL - Mi fai venire il mal di testa a parlare così. Non c'è senso. (Andandogli di fronte).

FRANK - E quali sono le cose sensate? Vorrei proprio saperlo.

ETHEL (con calore) - Tante. Ci sono io e i bam­bini, non ti pare? Il tuo lavoro, questa casa e la vita che vi dobbiamo vivere insieme, e tu gua­sti tutto parlando di guerra e  dicendo che ci andresti dì nuovo, se qualcuno te lo chiedesse...

FRANK - Non ho detto niente di simile.

ETHEL - Sì che l'hai detto, lo sai benissimo, ed io non posso pensarci... Dopo tutto quello che ho passato. Aspettarti sempre con tanta ansia. E' una crudeltà che tu mi ci faccia solo pensare.

FRANK - A che scopo affliggerti? In ogni caso non ci sarà un'altra guerra...

ETHEL - Ci saranno sempre guerre fino a che gli uomini saranno così stupidi da volerci andare.

FRANK (avvicinandosi a lei lentamente) - Finia­mola con questo discorso, non ti pare? Ora, tutto è in ordine. Tu sei qui. Io sono qui, i bambini stanno bene, tranne le tonsille di Queenie, e final­mente abbiamo una casa nostra. Le cose vanno più che bene, vanno a meraviglia.

ETHEL (lasciandosi cadere sulla cassa, spalle al pubblico) - Oh! Frank!

FRANK (sedendole accanto, fronte «il pubblico) -Vivere quattro anni sola con tua madre, non deve  essere  stato  tutto miele,  direi. Penso che

stavo meglio io in trincea.  

ETHEL (soffocando una risata) - Dovresti vergo­gnarti di dire certe  cose.                

FRANK - Oh! Tua madre è una perla a modo suo, ma quella casa a Battersea... cara mia... Mi dava la nausea dopo cinque settimane, figurati dopo quattro anni... Finalmente abbiamo una vasca da bagno, dove non ci si scortica vivi.  

ETHEL - Prestami il fazzoletto.

FRANK - Ecco, tieni.              

ETHEL (soffiandosi il naso) - Devo andare ad aiu­tare la mamma e Silvia a preparare la cena.

FRANK (facendola voltare) - Qui... Lasciati guardare.                    

ETHEL - Perché?                                      

FRANK - Solo per vedere che ne è della tua fac­cia... Non mi sembra di avere avuto il tempo di guardarti come si deve, da quando sono tornato.

ETHEL - Finiscila... Lasciami...

FRANK - Ferma così, un momento.                     

ETHEL - Sentimi bene, Frank Gibbons... (Si di­vincola, ma senza convinzione).                        

FRANK - Bè, direi che, coi tempi che corrono, non c'è male.

ETHEL - Grazie tante.

FRANK - Naturalmente non è più tanto fresca, come quando ci siamo sposati.

ETHEL - Lasciami andare.

FRANK - Ma comunque, a conti fatti, non la cambierei. Sarebbe forse opportuno darci una pu­litina,  ma non la cambierei.

ETHEL (sforzandosi di liberarsi) - Pulirla? Dove?

FRANK - Sapevo che ti saresti risentita. (Risolu­to) Sta ferma... qui... (Le stropiccia la guancia con il fazzoletto) Va meglio.. ed ora...

ETHEL - Ed ora che?

FRANK - Dammi un bacio.

ETHEL - Neanche per sogno.

FRANK - Parché no?

ETHEL - Perché on abbiamo tempo da perdere in  simili sciocchezze, e lo sai benissimo.

FRANK - Diventiamo cattive? La vedremo...

ETHEL - Frank Gibbons...

FRANK (la bacia con decisione) - Chiudi il becco.

(A questo punto appare sulla soglia dello porta finestra, Bob Mitchell, un uomo dall'aspetto sim­patico, di 35 anni. Bussa educatamente. Frank e Ethel si separano).

FRANK - Proprio  al momento giusto.

BOB - Spero di non  essere importuno.

ETHEL - Oh! santo Dio...

BOB (entrando) - Abito al N. 15, la porta accanto. Tanto io che mia moglie abbiamo pensato che se aveste bisogno di qualche cosa...

FRANK (fissandolo attentamente) - Mi venga un accidente...

ETHEL - Frank!                                        

FRANK - Mitchell. Bob Mitchell.

BOB (un po' perplesso) - Appunto.

FRANK - Non ti ricordi di me? Frank Gibbons, Teste di Buffalo, Seconda Compagnia, Festubert, 1915?

BOB - Per Dio! Il vecchio Gibbo!

- (Si precipitano uno sull'altro, si stringono la mano e si danno dei colpi sulle spalle).

ETHEL - Non ho visto mai...

FRANK - Tu, figlio di un cane...

BOB - Per Dio! Ed io che ti credevo morto e sotterrato, dopo quell'attacco... quando noi prose­guimmo per Givensy e lasciammo il vostro grup­po nel fango...

FRANK - Io morto? Ho la pelle dura, io! Solo un buchetto in una gamba, in quattro anni... E tu, come te la sei cavata?

BOB - Non c'è male. Ho preso i gas nel '17; ma ora sto perfettamente. Solo i polmoni un po' in­deboliti. Questo è tutto.

FRANK - Bene, bisogna proprio dire che il mon­do è piccolo.

ETHEL - Non ti pare che sarebbe opportuno fare le presentazioni?

FRANK - Ah, già. Questa è mia moglie Ethel... Bob  Mitchell.

BOB - Lieto di conoscervi, signora Gibbons.

ETHEL - Piacere mio. (Sì strìngono la mano),

BOB - Che combinazione! Non riesco a persuadermene.

FRANK - Da quanto tempo abiti qui?

BOB - Da oltre un anno. Prendemmo questa ca­sa nel '19, quando fui congedato... Per un po' di tempo non fui in grado di lavorare; ma avevo la pensione, e Nora, la mia signora, aveva qual­cosa da parte. Ma ora gli affari vanno bene. As­sicurazioni. (Pausa; poi rivolto a Ethel) Nora a-vrebbe voluto venire personalmente, ma è un tantino giù, stasera. Da un giorno all'altro aspet-tiamo un piccolo Mitchell...

ETHEL - Non si tratta del primo, spero?

BOB - No, abbiamo già un ragazzo di 14 anni, che vuol fare il marinaio, ed avevamo anche una bambina che però morì nel '16, subito dopo la mia  prima  licenza...

FRANK - Che combinazione! Che combinazione, dopo quattro schifosissimi anni.

ETHEL - Frank!

FRANK - Se non erano schifosi quelli...

ETHEL - Temo che non abbiamo nulla da of­frirvi, signor Mitchell. Ma, vedete, è ancora tutto sottosopra.

FRANK - Può rimanere, se si accontenta di quello che c'è per noi.

BOB - No, grazie lo stesso. Devo tornare da Nora,

FRANK - Dobbiamo pure celebrare in qualche modo l'avvenimento.

BOB (alzandosi) - Ho una bottiglia di Johnny Walker. Vado e torno in un minuto...

ETHEL - Voi due non vi muovete. Prendo la chi­na di Silvia... (Esce in fretta da destra).

FRANK - Poveri noi!

BOB - Mi basta un attimo per andare a prendere il whisky.

FRANK - Cosa credi? A casa mia offro io. Più fardi piomberò da te a bere il tuo whisky. Sigaretta?

BOB - Grazie, Hai già  trovato lavoro?  (Vanno tutti e due verso la cesta).               

FRANK - Sì, ho avuto un colpo di fortuna. Un certo Baxter, del mio reggimento, fu assegnato ad Arras nel febbraio del '17. Prima della guerra aveva un'Agenzia di Viaggi in Oxford Street. Poi fu ferito e congedato. Bene, puoi  credermi o no, è stata la prima persona che ho incontrata quando sono tornato nell'aprile scorso. Aveva ripreso i suoi affari, le cose andavano bene e mi ha as­sunto.

BOB - Un'Agenzia di viaggi...

FRANK - Escursioni sui campi di battaglia. Non ti dico altro.

BOB (ridendo) Questa è buona. (Siede sulla cesta di fronte a Frank).                                       

FRANK - C'è della gente che si diverte in modo assai strano.

BOB - Tu hai figli, vero? Ricordo che laggiù me ne parlavi.

FRANK - Sì, tre. Due femmine e un maschio. Stanno con la zia di Ethel in Broadstairs. Non volevamo averli tra i piedi durante il trasloco.

BOB - Che età hanno?                                

FRANK - Reg, il maschio, ha dodici anni. Queenii tredici, e  Vi quattordici.                             

BOB - Il mio Billy va per i quindici.

FRANK - Sembra buffo, non ti pare? Quando penso all'ultima volta che abbiamo preso una sbornia insieme. Ricordi quell'osteria?  

BOB - Poco prima di Natale, la notte prima che tu partissi per la linea. Come si chiamava quella gentildonna dietro il bar, che ti diceva «povero caro »?

FRANK - Già, come si chiamava? Mi pare di ve­derla. Era un bel pezzo di ragazza.

BOB - Che ne è del vecchio Shorty?

FRANK - Parli di quel pancione basso, coi ca­pelli rossi, che era nella mia Compagnia?

BOB - Proprio lui.

FRANK - Ha avuto il fatto suo sulla Somme, po­vero diavolo. Non erano nemmeno due secondi che era uscito dalla trincea, che lo beccarono.

BOB - Presto e bene, senza neanche il tempo d'aversela a male.

FRANK - Proprio, così.

(Rientra Ethel con una bottiglia e due bicchieri. Bob e Frank si alzano).

ETHEL - Ecco. La cena sarà pronta in un minuto. (Posa la bottiglia e i bicchieri sulla cesta). Siete ben sicuro che non volete restare ad avvelenarvi con noi, signor Mitchell?

BOB - Grazie mille, signora Gibbons. Ma devo proprio tornare a casa.                             

ETHEL - Volete chiedere a vostra moglie quando potrei farle una visitina?                               

BOB - Quando volete, signora. Quando volete.

ETHEL - Bene. Buona notte, signor Mitchell.

FRANK - Non bevi un goccio con noi?          

ETHEL - No, mi guasterebbe la cena. Non tardare.

BOB - Non vi dimenticate, signora, se avete biso­gno di qualche cosa...

ETHEL - Grazie mille. Buona notte.

BOB - Buona notte.

(Ethel esce. Frank mesce).

FRANK (porgendo un bicchiere a Bob) - Tieni, vecchio.

BOB - Grazie.                                                

FRANK - Ha un. sapore un po' buffo; ma è meglio

di niente.

BOB - Alla salute!

FRANK - Salute! (Bevono, mentre la luce si abbassa lentamente).

sipario

Quadro ii

Dicembre 1925.

Sono circa le tre pomeridiane del giorno di Natale. Il pranzo è finito.                           

Avanti, a destra, c'è la tavola dai pranzo. Nove se­die sono intorno alla tavola: una a ciascuno delle due estremità, quattro fronte al pubblico e tre spal­le al pubblico. Ci sono due poltrone. Il divano è contro la parete di fondo, a sinistra. La credenza a destra, come nella scena precedente. Un tavolinetto  circolare, con sopra il cestino da lavoro della Signora Flint, sta tra le poltrone e il caminetto. La libreria è avanti a sinistra. A tavola sono seduti: Reg, all'estremità destra, Sam Leadbitter, all'estremità si­nistra, Queenie e Phyllis Blake, fronte al pubblico, Vi, spalle al pubblico. Tutti hanno in testa cappelli di carta.

Le sedie di Frank, Ethel, Silvia e Signora Flint sono vuote. I grandi si sono ritirati nel salotto che viene usato raramente, per lasciare i ragazzi in libertà.

Vi è una graziosa ragazza ventenne, senza spe­ciali caratteristiche. Queenie, più giovane di un an-no, è più graziosa e appariscente. Reg, diciotto an­ni, è un bel ragazzo intelligente. Sam Leadbitter, un anno più grande di Reg, ha l'aspetto piuttosto scontroso. E' un carattere profondamente emotivo, fornito di scarso senso dell'umorismo e un tantino consapevole della propria superiorità intellettuale. Reg lo ammira in un modo straordinario. Phyllis Blake, un'amica di Queenie, è una tranquilla ra-gazza di diciotto anni.

La porta e la porta finestra sono chiuse a metà. All'alzarsi del  sipario Reg sta iniziando un di­scorso.

REG - Ed ora farà un brindisi ai due ospiti entro la nostra dimora.

QUEENIE - Attenzione, attenzione!

VI - Silenzio, Queenie!

REG (ignorando  l'interruzione)  -  Benvenuti,  tre volte benvenuti, Sam Leadbitter e Phillis Blake.

(Alza il bicchiere e invita gli altri a bere).

QUEENIE - Avresti dovuto nominare prima la si­gnora.

REG (magnanimo) - Trascurando le fastidiose interruzioni della mia giovane sorella che, come al solito, si dà troppe arie, voglio ora pregare il mio vecchio evalente amico, Sam Leadbitter, di dirci qualche parola...

QUEENIE - Vecchio e valente amico... Se lo conosci solo da Ferragosto... Dacci lo schiacciano ci, Phyl.                                                      

VI   (ride, eccitata) - Discorso, discorso, discorso! Oh... Che bellezza!        

REG - Avanti, Sam.                

QUEENIE - Sputa l'osso, Sam. Edie sta per venire a sparecchiare.                                                              

(Sam si alza tra applausi fragorosi).

   

SAM - Signore e signori... Compagni!        

QUEENIE - Deciditi.                                                  

REG - Tu le vuoi, Queenie, e, se non la smetti di fare la spiritosa, le buscherai... Prosegui, Sam, non ti curare di lei.                                                           

SAM - Nel ringraziarvi, compagni... della vostra cortese ospitalità in questo giorno festivo, vorrei dirvi che è per me un piacere e, al tempo stesso, un privilegio trovarmi qui.                                        

QUEENIE - Udite, udite!                                             

SAM - Benché, come sapete, le mie idee e i miei principii, mi impediscano di familiarizzare troppo con la borghesia...

QUEENIE - Che cosa è?

VI - Credo che sia un modo gentile per dire che siamo gente banale.

REG - All'ordine!

SAM - Non posso fare a meno di sentire che oggi, tra il Natale, e una cosa e l'altra, è più che giu­sto e opportuno, mettere da parte ogni pregiu-dizio ed odio di classe...

QUEENIE - Molto gentile da parte tua.

SAM - Come voi ben sapete, ci sono oggi in questo paese milioni e milioni di case in cui il Natale non è che una beffa, dove non c'è calore, né ci­bo e nemmeno quanto basti a soddisfare le più elementari esigenze della vita, dove i bambini, vecchi anzi tempo, si stringono davanti ad una griglia senza fuoco.

QUEENIE - Se il fuoco è spente non vedo per­ché non restino in mezzo alla stanza, non ti pare?

REG - Zitta. Queenie. Sam ha ragione.

SAM (severamente) - Queste tue parole, Queenie, sono dettate dalla soddisfazione, dall'arroganza e dallo stomaco pieno.

QUEENIE - Non tirare in ballo il mio stomaco.

SAM - E' proprio la gente come te, apatica e in­differente, docile sostegno di un sistema capita­listico, ad essere la rovina della civiltà, ad essere responsabile di  almeno  tre  quarti  delle  crudeli sofferenze del mondo. Non ha nessuna importan­za per voi che sotto i vostri occhi si stia com­battendo  la  più  colossale  battaglia  della storia per il miglioramento dell'umanità. No, voi non . ve ne accorgete nemmeno, siete troppo occupate a commuovervi pel Rodolfo Valentino, per trova­re  una  lacrima  per  i  lavoratori  del mondo, la cui vita è resa orribile dall'oppressione, dall'In- giustizia e dalla ingordigia capitalistica.

VI - Non ti eccitare, Sam. Queenie non parlava sul serio.

SAM (violento) - Non sono affatto eccitato. E in ogni modo, Queenie non significa nulla per me.

QUEENIE - Chiedo scusa a tutti. Vado a suici­darmi,

SAM - Ma ciò che essa rappresenta, ciò che essa simbolizza, ha una grande importanza. Essa è una dei tanti che, quando verrà il gran giorno, saranno spazzati via come cenere al vento.

QUEENIE - Buono a sapersi, no?

SAM  (sedendo bruscamente)  - Ho   detto  quello che avevo da dire. Vi ringrazio.

REG (doverosamente) - Udite, udite! Bravo!

QUEENIE - Non so perché dici bravo. Penso che Sam sia stato molto villano.

REG - Tu non hai capito, Queenie, altrimenti non avresti interrotto continuamente, cercando di essere spiritosa. Sam ha perfettamente ragione in tutto quello che ha detto, solo tu non hai abba­stanza buon senso per accorgetene.

QUEENIE - Suppongo che tu abbia capito tutto,  non è vero?

REG - No, ma mi sforzo di capire.

QUEENIE - Suppongo che presto ti metterai in piedi su una cassa di sapone in Hyde Park, a farti ridere in faccia.

VI - Queenie, va a dire ad Edie che può venire a sparecchiare. Dille che l'aiuteremo noi. (Queenie si alza) I ragazzi possono intanto andare in salotto. Abbiamo lasciato i vecchi troppo tempo soli.

REG (sarcastico) - Forse, se glielo chiediamo gen­tilmente, zia Silvia ci canterà i canti d'amore indiano.

VI - Non parlare in. questo modo della povera zia Silvia. Non si sente bene.

QUEENIE  (uscendo dalla stanza) - Non si sente mai bene.                             

REG  (alzandosi) - Vieni Sam. Andiamo nella mia stanza a fumare una sigaretta.

VI - Bada di non farti sorprendere da papà.

SAM (alzandosi) - Mi dispiace di essere stato scortese, Vi.

VI  (cominciando o riunire i piatti) - Non importa, Sam. Solo non puoi pretendere che tutti, in que­sto mondo, la pensino come te.

REG (con calore) - Sam ha più intelligenza e cultura di tutti noi messi insieme.

VI - Se è così, non gli farebbe male di ricordar­sene, qualche volta, e di non urlare tanto.

REG (irritato) - Andiamo Sam. (Esce sbattendo la porta, seguito piuttosto remis­sivamente da Sam).

PHYLLIS - Posso aiutare, Vi ?

VI - Sì, Phyl. Metti la frutta sciroppata nella credenza, ed anche i dolci; ma lasciane fuori un piatto da portare in salotto.

PHYLLIS (eseguendo) -: Sam era proprio fuori di sé, non ti pare?

VI - E un po' rossastro. Il suo male è tutto qui.

FHYLLIS - Non ho capito nemmeno la metà di quello che ha detto.

VI - Non garantirei che egli stesso ne capisse molto  di  più.                                                        

PHYLLIS - Reg pensa che Sam è meraviglioso...

VI - Reg  giudica  meraviglioso  chiunque sappia mettere  insieme  qualche  parolone.  Gli  passerà presto.                                                     

(Rientra Queenie, seguita da Edie, con un vassoio. Edie è una ragazza di 25 anni, piuttosto rozza. Du-rante tutta la scena seguente le ragazze sparec­chiano, cambiano la tovaglia e mettono in ordine la stanza).

                                                         

QUEENIE - E' andato di sopra Trotsky?          

VI  (mettendo a posto due sedie) - Sei stata tre­menda, Queenie. Se non l'avessi preso di petto in quel modo, non si sarebbe scaldato tanto,               

QUEENIE - Stupido che non è altro! (Dandosi da fare).

VI - Non è necessario che resti a rigovernare, Edie. Va a casa. Ci penseremo noi più tardi.

EDIE - Mille grazie.

VI - Come va il collo di tuo padre?

EDIE - Tutta la notte la mamma gli ha messo gli impiastri; ma questa mattina quando sono uscita gli  doleva ancora  maledettamente.

PHYLLIS - Si dice che dopo il primo torcicollo ne vengono sempre altri sei.

EDIE - Benone. Questo è il terzo; così ce ne re­stano soltanto quattro.

VI (radunando oggetti sul vassoio) - Nella creden­za ci sono dei biscotti. Puoi prenderli e portarli al tuo fratellino.

EDIE (dopo averli trovati) - Grazie.

QUEENIE - Qui... Puoi metterli in cima. Così... (Posa la scatola dei biscotti in cima ai vassoio ca­rico ed Edie esce dalla stanza traballando. Le tre ragazze piegano la tovaglia, la ripongono e met­tono una coperta sulla tavola).

PHYLLIS (all'estremità della tavola) - E' stato pro­prio gentile farmi passare il Natale con voi. Non so che ne sarebbe stato di me in quella casa a Wandsworth, con la zia inalata e tutto il resto.

VI - Non migliora?

PHYLLIS - Macché! Sempre lo stesso. Oggi la si­gnora Watts rimane con lei fino alle sette, perciò posso stare fuori fino a quell'ora.

QUEENIE - La mamma di una delle commesse del mio negozio è inchiodata a letto, da cinque anni. Non può nemmeno lavarsi da sola. Pensate un po'!

PHYLLIS - Certa gente ne ha di guai!

(Si ode battere un colpo alla porta finestra).

QUEENIE (guardando verso la finestra) - Dio mio, chi è?

(VI va alla finestra e f. entrare Billy, C'è ancora un po' di luce, via fuori la nebbia offusca le cose. Bill Mitchéll entra. E' un simpatico giovanotto di circa 21 anni. E' in uniforme di marinaio, ma sen­so berretto).

VI - Billy! Che sorpresa! Credevo che fossi par-tito questa mattina.                                       

BILLY (avanzando) - No, parto stasera. Ciao... Queenie.                                

QUEENIE - Ciao. (Vi chiude la finestra).

BILLY - E' meglio che la lasci socchiusa. Papà sarà qui tra poco

VI (avvicinandosi a Bill e facendo le presentazioni). - Il signor Mitchell... la signorina Blake...     

BILLY (stringendole la mano) - Lieto di conoscervi.

QUEENIE - Vuoi un cioccolatino?

(Phyllis siede sulla sedia a sinistra della tavola, VI va vicino al fuoco).

BILLY - No, grazie. Sono pieno fino al collo... Dovè Reg?

VI - Di sopra. Con Sam. (Siede a sinistra).

BILLY - Oh! E' qui anche lui?

QUEENIE - Direi di sì. Mi meraviglio che tu non l'abbia  sentito.  Muggiva come un toro. (Siede presso la tavola).

BILLY (sedendo accanto al fuoco) - Abbasso i lu­ridi capitalisti, no?

QUEENIE - Proprio così.

BILLY - La so a memoria, tutta questa storia. A bordo ce ne sono due come lui. Bravi ragazzi, in fondo. Solo un tantino spostati.

PHYLLIS - Deve essere bella la vita del marinalo.

BILLY - Bella proprio non, direi; ma non è male... Si viaggia...  Arruolati in marina e vedi il mondo, si dice,

QUEENIE - Via... Finora non sei arrivato più in là dei mari del Sud.

BILLY (allegramente) - C'è tempo. Probabilmente l'anno venturo sarò assegnato a una base in Cina, pensate!

QUEENIE - Bene, mandaci una cartolina illustra­ta per dirci che sei arrivato sano e salvo.

PHYLLIS - Una base in Cina... Deve essere buf­fo. Non è vero? Ci saranno i pirati? (Ridacchia).

VI - Ora bisognerebbe andare in salotto. La mam­ma si domanderà che ne è di noi.

BILLY - Da brava, Vi,va avanti. Vorrei parlare un momento con Queenie.

VI - Oh!... Se è cosi...

QUEENIE - Non so di che cosa stai parlando.

VI (si alza e va verso destra) - Andiamo Phyl. Sappiamo che la nostra presenza non è gradita.

(Phyilis si alza e va verso la parta di destra, se-guita da VI).

QUEENIE (alzandosi) - Non vedo perché non andiamo anche noi.                                  

BILLY - Mi sembra d'averti detto che voglio parlarti un momento.

(Phyllis esce. VI esita un attimo al tavolo per sce­gliere un cioccolatino).

QUEENIE - Potrebbe darsi che non lo voglia io.

BILLY - Bene, se hai l'intenzione di fare la su­perba, niente da dire. (Va verso il camino) Solo pensavo che dovendo ripartire questa notte...

VI  (andando verso la porta) - Billy, certo che Quee­nie rimane. Fa così per darsi delle arie.

QUEENTE - Vi Gìbbons, sei pregata di occuparti dei tuoi affari. Parlo con  chi voglio e quando voglio.

VI - E chi ti dice niente? Ci vediamo dopo, Billy. Non te ne andare senza salutare papà e mammà.                                                              

BILLY - Sta' tranquilla.

(VI esce da destra chiudendo la porta. Queenie rimette in ordine le sedie intorno allo tavola).

QUEENIE - Allora?

BILLY (sorridendo) - Allora che cosa?

QUEENIE - Che hai da dirmi di tanto urgente?

BILLY - Non lo so più con precisione. Il tuo at­teggiamento me lo ha fatto uscire dì mente.

QUEENIE (siede sulla poltrona accanto al fuoco)- Ti chiedo scusa.                                            

BILLY - Non è il caso di parlarne. Incerti del mestiere.

QUEENIE - Mandar via Phyllis e Vi per restar soli... Avresti dovuto pensarci due volte. Ora non la finiranno più di prendermi In giro.        

BILLY - Allora è questo che ti preoccupa?

QUEENIE (scrollando le spalle) - Non mi preoccu­po affatto. Solo... la cosa mi è sembrata sciocca.

BILLY - Non ci vedo nulla di sciocco. VI sa che venerdì sera siamo andati insieme al Majestic e domenica ci ha veduti mentre passeggiavamo so­li nel Parco. E deve bene immaginare che c'è sotto qualche cosa.

QUEENIE - Se lo pensa si sbaglia. Non c'è niente tra noi.

BILLY - Ehi... piano! Che ti prende? Non ti ho mica fatto qualche torto?

QUEENIE - Non mi piace che mi si creda troppo condiscendente. A nessuna ragazza piace.

BILLY - Che intendi dire «condiscendente»? Non puoi stare mano in mano con uno durante tutta la proiezione di « Amore nel deserto » e, un mi­nuto dopo, pretendere che ti tratti come l'Impe­ratrice di Russia.

QUEENIE - Non dire sciocchezze.

BILLY - Sei tu che sei sciocca.

QUEENTE - Sarà meglio  andare in salotto.

BILLY - Va bene, se questa è la tua idea.

QUEENIE - Non vedo il motivo di restare qui. Non facciamo che irritarci a vicenda.

BILLY - Chi ha incominciato?

QUEENIE - Oh... finiscila!

BILLY (abbattuto) - Non vuoi darmi un bacio di addio? Di là non sarà possibile.

QUEENIE - Direi proprio di no, BILLY (avvicinandosi) - Vedi, Queenie: se pensi che non avrei dovuto dire davanti a Vi che desi­deravo rimanere solo con te, perdonami. Non pos­so dire di più, non ti pare?                    

QUEENIE (occhi bassi) - No. Credo di no.

BILLY - E allora?

QUEENIE (con un impercettibile movimento verso di lui) - Va bene...

(Billy la prende tra le breccia e la bacia).

BILLY (dolcemente) - Ti voglio bene, Queenie. Lo sai, non è vero?

QUEEN1E (posando la testa sulla spalla di lui) - Sì.

BILLY - E non farei nulla che potesse dispiacer­ti... Voglio dire di proposito. Anche questo lo sai,  vero?                       

QUEENIE - Oh, Billy, vorrei che tu non partissi così presto.

BILLY - Mi scriverai qualche volta? Magari anche una semplice cartolina.

QUEENIE - Se tu scriverai a me,

BILLY - Puoi contarci. Promesso?

QUEENIE - Sì, promesso.

BILLY  (prendendole  le  mani)  - Sei  la  ragazza più cara che ho conosciuto in vita mia e non ne conoscerò mai una migliore.

QUEENIE - E' facile a dirsi. Ma come fai a saperlo?                                

BILLY (le cinge la vita con un braccio e la conduce verso il caminetto) - Stai tranquilla. E' così. Ho pensato a te sempre, fin da quella licenza a Whitsun, quando andammo insieme al Parco di Richmond. Te ne ricordi?

QUEENIE - Certo che lo ricordo.

BILLY - Tra qualche tempo, quando guadagnerò di più, che ne diresti se cominciassimo a pensare al matrimonio?

QUEENIE - Oh, Billy, come posso saperlo? Tu po­tresti essere in Cina, o chi sa dove... Potresti an che avermi dimenticata del tutto. (Va alla sedia a sinistra della tavola).

BILLY - E più probabile il contrario. Una bella bambina come te, che fa la manicure, che passa la giornata a chiacchierare con i tipi più diversi...

QUEENIE - Non deve essere rose e fiori diventare moglie di un marinaio, vero?

BILLY - Se avrò la promozione e seguiterò a fare carriera, non sarà poi tanto brutto... (Avvicinan­dosi a lei) Ora non dirmi più nulla, pensaci sol­tanto...

QUEENIE (con impeto) - Oh, Billy, non sarei certo la moglie adatta per te... Voglio troppo. Non fac­cio che pensare alle cose che desidero. E i miei desideri non sono quelli che tu vorresti fossero.

BILLY - Che intendi dire?

QUEENIE - Ti sembrerà ridicolo, ma io non sono come Vi... E' un tipo calmo, lei; io sono diversa, (Siede sulla tavola all'estremità di destra) Mam­ma dice alle volte che io non penso che a di­vertirmi, ma non è solamente questo...

BILLY - Non vedo niente di male nel volersi di­vertire. E' quello che tutti desiderano in un mo­do o nell'altro.

QUEENIE - Debbo dirti una cosa terribile. Non posso sopportare di vivere qui dentro, in una casa uguale a centinaia di altre... Tornare a casa in tram, dopo il lavoro, lavare i piatti ed aiutare la mamma a rammendare i calzini di papà, stare a sentire la zia Silvia che parla in continuazione dei suoi malanni. E c'è di più. Odio tutto questo perché è banale. Ecco! (Scendendo dalla tavola) Ora penserai che ho idee troppo grandiose per quella che sono, e non potrei darti torto... For­se è vero, ma non posso farci niente. Capisci ora perché non saprei essere una buona moglie per te, per quanto bene ti volessi? E te ne voglio, sai, te ne voglio tanto. Oh, Billy... (Scoppia in lagrime).

BILLY (abbracciandola) - Sì, cara, non c'è niente

da piangere. Capisco benissimo quello che pensi E' naturale che tu senta la vita così.

QUEENIE - Allora, non mi credi cattiva e... meschina?  Vero?

BILLY - Ma no... no. Su, allegra! Non devi avere

gli occhi rossi il giorno di Natale.

QUEENIE (asciugandosi gli occhi con il fazzoletto) - Mi dispiace, Billy, perdonami... (Lo bacia improvvisamente e corre via, Billy rimane fermo e la segue con lo sguardo, perplesso. Poi, con un sospiro, si avvia verso la porta finestra. L'ha quasi raggiunta  quando entra Frank, da destra.  Non   è molto cambiato in questi sei anni. I capelli sono più radi con qualche filo grigio. Ha in testa un cappello di carta, Billy si vol-ta verso li lui).                  

FRANK - Billy, che fai qui tutto solo?    

BILLY - Ho parlato un momento con Queenie.  

FRANK - Era lei a correre su proprio ora? (Va verso la tavola).

BILLY - Credo di sì.

FRANK  (malizioso) - Oh!   Capisco.  (Si avvicina   al  fuoco).

BILLY (avvicinandosi a lui) - Ero venuto per dirvi addio.

FRANK (rivolto verso il caminetto) - Non è sim­patico dover tornare al lavoro, proprio la notte di Natale, vero?

BILLY - Oh, non so... Appena arrivati non ci si pensa più.

FRANK - Quanti anni hai, Billy?

BILLY - Quasi Ventuno.

FRANK - Beato te!

BILLY - Signor Gibbons...

FRANK - Di', figliuolo.

BILLY - Se, fra due o tre anni, quando mi sarò aperta una strada, Queenie ed io ci sposassimo, vi dispiacerebbe?

FRANK - Se Queenie sarà d'accordo, la mia opi­nione non avrà importanza. Farà a modo suo, come sempre.

BILLY - Ha una volontà di ferro.

FRANK - In ogni modo possono accadere molte cose da qui a tre anni.

BILLY (sedendo sul bracciolo destro della poltro­na) - Verso il mese di aprile lascerò la nave dove sono imbarcato ora, e probabilmente sarò assegnato oltremare. Ma, al mio ritorno, avrò una paga molto più elevata, se mi sarò comportato bene.

FRANK- Che ne dice Queenie?                     

BILLY - Questo è il guaio! Pensa che la moglie di un marinaio non abbia la vita facile...

FRANK - Alla nostra Queenie piace divertirsi; ma col tempo si calmerà, forse. C'è da sperarlo, almeno.

BILLY - Se poteste dire di tanto in tanto una buona parola per me...

FRANK (sorridendo) - Bene, figliolo. Farò del mio meglio                       

BILLY - Grazie, signor Gibbons. Credo che dovrò andarmene. Quando la mia licenza scade la mam­ma è sempre un. po' depressa.

FRANK - Come sta?                                               

BILLY - Abbastanza bene, date le sue condizioni.

FRANK - Non vuoi venire un momento in salotto?

BILLY - Preferirei di no, se  non vi dispiace.

FRANK - Bene. Li saluterò io per te.       

BILLY - Grazie di nuovo, signor Gibbons.

FRANK - Coraggio, ragazzo. E buona fortuna.

(Si  stringono la mano. Billy esce dalla porta finestra. Frank, rimasto solo, accende una sigaretta. Aggiunge carbone al fuoco e si sdraia comodamente sulla poltrona. Dal salotto si ode il pianoforte e la voce di Silvia, che canta  «Al momento di morir». Si apre delicatamente la porta di destra ed Ethel scivola dentro).

ETHEL - Sei tremendo a svignartela così. Sapevi che Silvia stava per cantare.

FRANK - E tu allora?

ETHEL  (andando verso la tavola) - Io sono venuta a cercare te.                     

FRANK - Sì, la sai lunga.

ETHEL -  Vuoi che accenda la luce?

FRANK - No, va bene così. Vieni a sederti qui accanto.

ETHEL - Edie è andata a casa e le ragazze rigoverneranno dopo il tè.

FRANK - Reg è di là?

ETHEL - Sì. E' venuto proprio ora con Sam Leadbitter.

FRANK (ridacchiando)  - Vuoi   scommettere  che

sono stati a fumare come ciminiere in camera di Reg?

ETHEL - Oh, oggi è Natale... Non ho una grande opinione di quel Sam Leadbitter; mi sembra un po' tocco.

FRANK - Tocco proprio non direi.

ETHEL - Tu capisci quello che intendo. Uno di questi giorni finirà col trovarsi nei pasticci, con quei suoi discorsi. Ricordati di quel che ti dico.

FRANK - Vedrai che gli passerà. Anch'io strepi-tavo come un ossesso quando avevo la sua età.

ETHEL - Però non come lui. Tutta quella storia di una rivoluzione mondiale, del grande giorno che  verrà...  e abbasso questo e  abbasso quello. Tu eri molto più sensato. Del resto non me ne importa un gran che, se non fosse per Reg che prende per Vangelo  ogni sua parola.  E  se non stiamo attenti lo vedremo presto con i capelli lunghi e la cravatta rossa.

FRANK - Se fossi in te non direi una. parola. La­scia che ne escano fuori da soli.

ETHEL - E' tutta un'assurdità questa faccenda del bolscevismo; non è vero ?

FRANK - Qualche punto buono c'è. In ogni cosa della vita c'è sempre un che di buono. Dove sba­gliano è quando pensano di risolvere tutto in un baleno. Nel nostro paese non ci piace fare le cose In fretta. E' come coltivare un giardino. Ci fu chi disse una volta che siamo un popolo di giardi­nieri e non era tanto lontano dal vero. Siamo abi­tuati a seminare, a seguire il  maturarsi delle

cose, tenendo gli occhi bene aperti sui capricci delle stagioni...      

ETHEL - Tu poi con i tuoi giardini...

FRANK - Ma è proprio così. Pensa che ira di Dio se i fiori, gli erbaggi, i raccolti spuntassero dal­la terra tutti in una volta. E' quello che vorreb­bero tutti questi riformatori della società. Ciò che

funziona in altri paesi, non funzionerebbe qui da

noi. Noi abbiamo un nostro modo di sistemare le cose; potrà essere lento, potrà essere un po' ot­tuso, ma è quello che ci vuole e ci vorrà sempre per noi. (Si ode di nuovo il canto di Silvia).

ETHEL (alzandosi) - Oh, senti Silvia? Adesso si è tuffata in «Uccel d'amor divino». Figurati come riderà Reg!        

FRANK - Povera vecchia Silvia!      

ETHEL (voltandosi verso Frank) - Dobbiamo as­solutamente tornare dì là. E' ora di prendere il tè.                                                             

FRANK - Si sta così bene qui. (Ethel siede sul bracciolo destro della poltrona).

ETHEL (appoggiandosi a Frank) - Comincia a farsi buio, non è vero?

(Siedono insieme in silenzio, mentre le luci si abbassano).

SIPARIO

Quadro iii

Maggio 1936.

Sono quasi le dieci e mezzo di sera. La porta fi­nestra è spalancata per il caldo. La signora Flint è seduta in una poltrona presso il caminetto. Ethel Silvia, Vi e Queenie sono a tavola e cenano con pro­sciutto, pomodori, formaggio, sottaceti e tè. Ethel siede a destra con Vi da una parte e Queenie dall'altra.

ETHEL - Fa un salto in cucina, Queenie, da bra­va, e dà un'occhiata alla minestra. Papà dovrebbe arrivare da un momento all'altro. Sono quasi le undici.                                                       

QUEENIE - Va bene, purché le gambe mi reggano. (Alzandosi di malavoglia).

ETHEL - Subito dopo sarà bene che tu vada a letto... E anche tu, Vi, devi essere stanca morta. In piedi tutto il giorno...

QUEENIE (Avviandosi) - Chi sa se domani riapri­ranno il negozio ? Dovrò alzarmi presto ed andare a vedere.

VI - Mamma, tu resti su ad aspettare papà?

EHTEL - Sì, mi sento benissimo. Al Parco han­no detto che il suo autobus sarà di ritorno pri­ma delle dieci. Mi dispiace di non averlo trovato per dargli quei panini. E' stupido aver fatto tan­ta strada inutilmente.

SILVIA - Si ha una sensazione di vuoto, ora che tutto è finito, non è vero ?

S. FLINT - E' un'infamia, ecco quello che è, una vera infamia ! Questi scioperi che sconvolgono il paese intero...

ETHEL - Vorrei che Reg fosse tornato a casa. O almeno sapere dov'è, ora.

VI - Gli dirò il fatto suo a quel Sam Leadbitter, quando lo vedo. Spingere Reg a perdere la testa... Gli darò una lezione. Vedrete se non lo faccio!

ETHEL - Dare lezioni non serve a nulla, quando chi le riceve pensa di aver ragione.

SILVIA - Parlavo con il signor Rogers, un paio di settimane fa. Suo fratello, come sapete, lavora nel Nord, e mi diceva che lassù le condizioni so­no terribili, veramente terribili.

S. FLINT - Oh! Ci risiamo col nostro signor Rogers!

SILVIA (rivolta alla signora Flint) - E' stato mol­to gentile con me ed io lo stimo, ecco. S.

FLINT - Lo stimate, eh?... Lo sappiamo... Non fate altro che servirci il signor Rogers in tutte le salse, dalla mattina alla sera. Desidererei pro-prio sapere che ne pensa la signora Rogers.

SILVIA - Prego, signora Flint, se volete insinuare...

S. FLINT - Mi fa pena, Silvia, veramente mi fa pena il vostro modo di comportarvi con quell'uomo... Solo perché ogni tanto vi dà qualche scellino per disegnare quelle cartoline e quei calendari, non fate né più né meno che gettarvi nelle sue braccia.

SILVIA (alzandosi furiosa) - Signora Flint, come osate?

ETHEL (stanca) - Oh! Finitela voi due. Ne ho ab­bastanza di preoccupazioni per dover sopportare anche i vostri battibecchi. Per quel che me ne importa, Silvia può andarsene a vivere con il signor Rogers.

SILVIA (dietro la sua sedia) - Questa è veramente una maniera gentile di parlarmi, Ethel, debbo riconoscerlo.                

ETHEL - Senti, Silvia. Sono stanca, capisci? Sia­mo tutti stanchi e per di più sono mortalmente in ansia per Reg. Sono tre notti che non dormo, pensando  a quello che gli può essere accaduto. E se, oltre tutto, debbo anche sorbirmi voi due che  continuate  a  punzecchiarvi  non  risponderò più di  me, puoi  esserne certa.  Non vi fermate un momento ed io non ne posso più.

S. FLINT - Sono sicura di non aver detto nulla.

ETHEL - Oh!  Hai  detto anche  troppo.  Non  fai che punzecchiare Silvia con il signor Rogers. Sai benissimo che Silvia non è forte abbastanza per un lavoro continuo. Gli incarichi saltuari che le vengono affidati a quell'emporio giungono a pro-posito. Se il signor Rogers l'ha presa in simpatia, tanto meglio. Silvia è abbastanza matura per ba­dare a sé stessa e se lui anche dovesse uccidere la moglie, strangolare i figli e scappare in Australia con lei la cosa non ti riguarderebbe. Quin­di smettila!

S. FLINT (cercando di alzarsi) - Aiutatemi ad al­zarmi. Non voglio restare qui ad ascoltare gli in­sulti del frutto delle mie viscere.

ETHEL - Nessuno ti insulta, sta' tranquilla!

SILVIA - E' tutta colpa mia, Sono un'intrusa in questa casa e lo sono sempre stata, e non dovete credere che non lo sappia...

ETHEL - Hai fatto male, allora, a non andartene via prima, Silvia.

SILVIA (scoppiando a piangere) - Oh!... Ethel, che dici. Partirò domani, e non metterò più piede in questa casa.

S. FLINT - Non sarebbe una cattiva idea.

VI - Non piangere, zia. Mamma non diceva sul serio. E' nervosa stasera e lo siamo tutti,

SILVIA (singhiozzando) - M'importa assai dei suoi nervi! Se la salute e la forza mi assistessero, sono sicura che non dovrei ringraziare nessuno.

S. FLINT - Salute e forza, eh...? Se siete forte come un cavallo da tiro.

ETHEL - Vi, per l'amor di Dio, porta la nonna a letto.

VI (alzandosi)  Andiamo, nonnina, ti aiuto a salire...

ETHEL - Smettila di piangere, Silvia. Non parlavo sul serio. Tra una cosa e l'altra non so dove sbattere la testa, questa sera.

S. FLINT - (allontanando Vi) Non ho bisogno del vostro aiuto, grazie tante.

SILVIA - Se volevi offendermi, ci sei riuscita perfettamente.

ETHEL - Nessuno voleva  offenderti... Smetti di piangere. Ti farai venire uno dei tuoi soliti mal di testa.

(Queenie entra).

QUEENIE (sulla porta) - Che sta succedendo? Cre­devo che la casa fosse stata invasa dagli scioperanti.

VI- No... Zia Silvia,  e la nonna. Come al solito.

SILVIA - E' giusto. Date la colpa a me. Io sono sempre la causa di tutto.

S. FLINT - Sono vecchia e prima morrò tanto meglio sarà. So che tutti voi non aspettate altro che di vedermi nella bara.

VI  (avvicinandosi alla  nonna) - Non dire sciocchezze, nonna. Vieni, andiamo di sopra.

S. FLINT - C'è da stare allegri quando la carne della tua carne ti si rivolta contro come se fossi una criminale.

VI  Non ci pensare, nonna. Domattina tutto sarà dimenticato e perdonato...

(Sostiene la signora Flint. Escono da destra. Ethel poggia la testa sulle braccia e Queenie le si avvicina).

QUEENIE - Prendi una tazza di tè, mamma. Ti tirerà su.

ETHEL - Sto benissimo

QUEENIE - Qui... Te la verso io.

ETHEL - Danne una anche alla zia Silvia.

SILVIA - Non voglio che nessuno si sacrifichi per me.

QUEENIE - Nessuno si sacrifica, zia. Lo zucchero

è lì vicino. (Versando un'altra tazza alla madre). Questa è per te, mamma.

ETHEL - Grazie, cara. E adesso subito a letto. Da brava!

QUEENIE - Preferirei, aspettare che torni papà. Non può tardare molto  ormai.

ETHEL - Come credi.

SILVIA (con gentilezza da martire) - Vuoi andartene a letto? Vuoi che stia qui io ad aspettare Frank, Ethel?

ETHEL - No, grazie, Silvia. In ogni caso non potrei dormire.

SILVIA - In questi ultimi giorni ho dormito terribilmente male tra il caldo, le preoccupazioni, e tutto il resto.

ETHEL - Va subito, allora, e prendi un'aspirina.

SILVIA -  Non ne ho il coraggio. Mi  mette sempre   il cuore sottosopra. Il dottor Morgan dice che fa questo effetto a molta gente. Mi ha dato delle altre  compresse,  ma  temo che valgano poco   Ne prenderò due questa sera tanto per vedere quello che succede.    

ETHEL - Se fossi in te non esagererei.

SILVIA - Sono assolutaménte  innocue. Il tè lo prenderò  su. (Prende la tazza e si dirige verso destra).

ETHEL (con sollievo) - Non c'è niente di meglio di una bella tazza di tè a letto.

SILVIA (con un  pallido  sorriso) - Buona notte, Ethel. Buona notte, Queenie.

QUEENIE - Buona notte, zia Silvia.

ETHEL - Buona notte, Silvia. Dormi  bene.

SILVIA   (uscendo) -   Ci  spero  poco.   (Chiude  la porta).

ETHEL - Povera Silvia, a volte è proprio snervante.

QUEENIE - Non so come fai a sopportarla, mamma.

ETHEL - Non ha che noi al mondo, lo sai, e non è in grado di vivere sola. Non saprebbe cavarsela.

QUEENIE (andando verso la tavola) - Basterebbe che lavorasse un po'.

ETHEL - Ci ha provato due o tre volte, ma sem­pre senza risultato. Ti ricordi quando nel 1923 rispose a quell'inserzione e si trascinò fino a Bexhill, come dama di compagnia della signora Philips? Che risate! (Ride) Tornò acasa dopo quindici giorni e rimase a letto per trenta. Se Bertie non fosse morto in guerra, tutto sarebbe andato di­versamente, credo.

QUEENIE - Che tipo era?

ETHEL - Mi è sembrato sempre un po' stravagante. Ma a lei piaceva.

QUEENIE - Che cosa terribile far dipendere tut­ta la propria esistenza dalla vita o dalla morte di un uomo... Non credo che per me sarebbe possibile.

ETHEL (togliendo gli avanzi della cena) - Non es­serne tanto sicura. Se tuo padre fosse morto, non sarei certo la  donna che sono ora.

QUEENIE - Ma non ne saresti rimasta afflitta per tutta la vita, vero?

ETHEL  - Non saprei dirtelo.  Il cuore, mi si sa­rebbe spezzato e penso che avrei dovuto fare ogni sforzo per rimetterlo a posto alla meglio.

QUEENIE - Oh, mamma!...

ETHEL (prendendo alcuni piatti) - Che c'è?

QUEENIE- Certe volte, mi fai sentire così meschina...

ETHEL - Ma perché, bambina mia?

QUEENIE - Così...

ETHEL (guardandola con la coda dell'occhio) - Hai avuto più notizie di Billy?

QUEENIE (disinvolta) - Sì, una cartolina illustra-ta con un cammello.             

ETHEL - Un cammello?

QUEENIE - La nave si è fermata in qualche posto dove ci sono i cammelli, e così me ne ha man­dato uno.

ETHEL - Sua madre ne sente tremendamente la mancanza. Ed anche tutti noi, non è vero?  

QUEENIE (guardando altrove) - Credo di sì.

(Si ode il campanello d'ingresso).

ETHEL (bruscamente) - Hanno suonato!

QUEENIE (saltando su) - Vado io. (Corre verso l'anticamera. Vi ha aperto la porta prima di lei. Si odono delle voci e Phyllis Blake entra, seguita da Vi e da Queenie).      

PHYLLIS (entrando) - Perdonatemi se vengo così tardi, signora Gibbons. Ho fatto un salto in bicicletta per vedere se Reg era tornato.            

VI  (va verso il fuoco) - Ancora no. (Queenie va accanto al tavolo).                       

ETHEL - Ma certo, cara. Prendi una tazza di tè?

PHYLLIS (sedendo) - Grazie, signora Gibbons. Non posso trattenermi.

ETHEL - Solo il tempo di berne una tazza. (Siede e versa).

QUEENIE - Neanche papà è tornato, ma l'aspet­tiamo da un momento all'altro. Lui e il signor Mitchell, il nostro vicino, stanno guidando un autobus. (Siede).

PHYLLIS - Tutti e due?                    

VI  (siede sul bracciolo della poltrona) - Il signor Mitchell fa da fattorino.

PHYLLIS - Avete notizie di Reg, signora Gibbons?

ETHEL - Purtroppo no, cara. E' da qualche parte con Sam Leadbitter o con gli altri della lega... Non so cosa stiano combinando.

VI  - Due giorni fa sono stata alla libreria di Sam in via della Corte. Quel giorno in cui Reg ebbe una lite con papà e se ne andò sbattendo la porta e dicendo che non 'sarebbe più tornato. Sam mi disse che Reg stava benissimo, ma gli aveva pro­messo di non dire dove si trovava, finché non fosse cessato lo sciopero,

QUEENIE - La mamma ha paura che si sia cac­ciato in qualche pasticcio.

PHYLLIS - Andrà tutto bene, signora Gibbons, non vi preoccupate.

ETHEL - Si fa presto a dirlo! Quando in questi giornalacci che ci sono in giro non si parla altro che di sommosse e di gente arrestata, di case in­cendiate e dì truppa che carica la folla, e di or­rori di ogni genere...

QUEENIE - Non è il caso di credere a tutto quel che stampano i giornali.

VI - Secondo me, tutta l'attività sovversiva di Reg si limita a girare per le strade schiamazzando. E quello che fanno gli altri, in fondo.

ETHEL (abbattuta) - Vorrei che tornasse a casa, qualunque cosa stia facendo. Vorrei che vostro padre non avesse trasceso in quel modo. Non a-vrò un momento di pace fino a che non lo vedrò al sicuro.

VI - Domani mattina la prima cosa che farò sarà di  andare  a  trovare Sam Leadbitter  e, se non mi dice dove si trova Reg, mi metto a urlare nel suo negozio, finché non parlerà,

(In questo istante si ode un grande trambusto nel giardino. Tutti si alzano in piedi. Si sentono le voci di Frank e di Bob che cantano il « Rule Britannia» a piena voce, Entrano sporchissimi, ma allegri. Bob è alla destra di Frank).   

FRANK (assumendo di colpo un atteggiamento eroi­co, appena varcata la soglia, cantando ul motivo di  « Rule Britannia ») - « I Britanni mai saran­no schia-a-vi!»

ETHEL - Smettila, Frank Gibbons, sveglierai tutta la strada.

FRANK (avanzando) - Che importa! Ritorniamo Incolumi, il mio amico ed io, dopo aver attra­versato pericoli inauditi, e tu brontoli per un po' di chiasso.

ETHEL - Secondo me, tornati incolumi dopo aver attraversato anche parecchie osterie.

BOB (avanzando) - Ebbene, signora Glbbons, è inutile negarlo. Ne abbiamo bevuti un paio all'«Aratro» con il capitano Burchell il quale poi ci ha accompagnato fin qui con la sua macchina, da Baker Street. E infine solo un altro a casa mia.

FRANK - Quindi tre in tutto, e non è certo troppo se pensate che abbiamo salvato il nostro paese dagli orrori di una sanguinosissima rivoluzione, di una porca, sanguinosa rivoluzione.

ETHEL - Non usare parole scorrette, Frank.

FRANK - Sono stato anche troppo moderato ne­gli aggettivi, Ethel.

ETHEL - Faresti meglio ad andarti a lavare, men­tre porto in tavola la cena. Vi fermate a mangiare un boccone, Bob?

BOB - No, grazie lo stesso. Nora mi ha già preparato qualche cosa.

FRANK - Un bicchiere?  

ETHEL - Hai bevuto abbastanza, Frank, e lo sai bene.

BOB - Meglio di no, vecchio mio. Ethel ha ra­gione. Le donne hanno sempre ragione. Ed è per questo che ci sono care, non è vero, Queenie?

ETHEL - Meglio che lo andiate a dire a casa vo­stra, Bob Mitchell. Nora avrà una delle sue crisi, se vi ha preparato qualche cosa di caldo, e voi tardate ancora.

BOB - Bene, bene... Sono venuto soltanto per ac­compagnare vostro marito sano e salvo nelle vo­stre braccia amorose. Buona notte a tutti. (Si vol­ta per andare. Frank gli mette una mano sul braccio).

FRANK - Benone! Metti alla porta il mio più caro amico. Ecco il ringraziamento che riceve per a-vermi salvato la vita.

ETHEL - Che intendi dire?

FRANK - A Crickbewood una vecchia signora mi ha aggredito con un ombrello e lui, rapido come un baleno, glielo ha strappato di mano e glielo ha dato nel sedere.

VI (ridacchiando) - Papà, sei terribile!

FRANK - Buona notte, capo. A domani.

BOB - Senz'altro. Sogni d'oro! (Si volta verso la porta finestra) Adios a tutti quanti. (Esce dalla porta finestra).

ETHEL - Su, Frank. (Taglia il pane). Queenie, questo pane è duro come una pietra. Corri in cucina e bruscane qualche fetta per papà, men­tre io metto in tavola la minestra.

QUEENIE (prendendo il pane e uscendo) - Subito, mamma.

FRANK (esce dopo di lei).

VI - Penso io alla minestra. Tu sei stanca. Non ti muovere.

PHYLLIS - Posso aiutare?

ETHEL - No, grazie, cara. (Vi esce da destra).

PHYLLIS - Il signor Gibbons e il signor Mitchell hanno fatto la guerra insieme, non è vero?

ETHEL - Sì, e a sentirli parlare sembra che l'abbiano fatta solo loro due.

(Suona di nuovo il campanello d'ingresso).

PHYLLIS - Vado io, signora Gibbons.

(Phyllis cor- re fuori. Ethel rimane davanti al caminetto in  attesa ansiosa. Rumore di  voci nell'anticamera, poi entra Sam sorreggendo Reg. Phyllis li segue. Reg ha la testa fasciata. Ethel dà un grido).

ETHEL (andando verso il centro) - Reg! Che è successo?

SAM  (conducendo Reg verso la, tavola) - Sta be­nissimo, signora Gibbons.

ETHEL (prendendogli un braccio) - Vieni, Reg. Siedi qui, caro. (Lo aiuta a sedere a sinistra della tavola).

REG (sedendo) - Non impressionarti, mamma. Sto benissimo.

SAM - E' successo ieri, c'è stato qualche disordine a Whitechapel, e Reg è stato colpito da un sasso. (Si sposta prudentemente verso sinistra).

ETHEL (presso la sedia di Reg) - Che stava fa­cendo a Whitechapel?

PHYLLIS(si è spostata verso il centro e Reg la vede).

REG (con un leggero sorriso) - Ciao, Phyllis. Co­me mai qui?

PHYLLIS - Sono venuta per sapere tue notizie.

REG - Ah... Grazie.

(Phyllis  siede all'estremità destra1 della tavola).

ETHEL - Sono stata terribilmente in pena per te. Dovresti vergognarti.

(Entra Frank, seguito da Vi che porta una sco­della di minestra).

FRANK - Eccomi! Che succede? (Va verso la de­stra della tavola).

ETHEL (dietro Reg) - Reg. E' stato ferito.

SAM (presso  la poltrona) - Niente di serio. Al­l'Ospedale, ieri sera, il dottore ha detto che si tratta di una semplice scalfittura.

VI (con astio davanti alla tavola) - E tutta col­pa tua, Sam. Tu lo sai, non è vero? (Posa la mi­nestra sulla tavola).

FRANK - Taci un momento, Vi. Ti senti bene, ragazzo?

REG (scontroso) - Certo che mi sento bene.

ETHEL - E' meglio che vada subito a letto, no?

FRANK - Lascia che rimanga un momento.

ETHEL - Non maltrattarlo ora, Frank. Non vedi che è esausto?

FRANK - Non  maltratto nessuno,  io.  Voglio  la mia cena, io. (Siede a tavola. Vi viene alla sua destra con un cucchiaio e  una salvietta. Ethel siede a tavola e prende una roano di Reg. Entra Queenie con il pane abbrustolito e lo posa a de- atra di Frank).                                                

VI - Tu puoi non voler maltrattare nessuno, papà. Ma io, sì!                                                      

SAM (bordeggiando verso la porta) - Credo che dovrò andarmene,                                            

VI - Nossignore. Non prima di aver sentito quello che ho da dirti.

(Sam si ferma sulla porta).

  

REG - Smettila, Vi. Che diavolo c'entri tu?    

VI - E' molto comodo per te, Sam, dire che non è successo nulla di grave. Ma devo farti notare, e subito, che non è certo merito tuo se è andata così. Reg ti considera un Dio, ma io non la pen-so allo stesso modo. Ti stimerei di più se facessi più fatti e meno parole. E la prossima volta che verrai qui, la domenica sera, a girarmi intorno e a dirmi che l'Amore è la cosa più bella del mon-do, tanto per i ricchi che per i poveri, ti prende­rai un tale schiaffo sul muso da farti desiderare di non essere mai nato. Ed ora vattene da questa casa, una volta per tutte, e non rimetterci il na-so, finché non avrai cambiato modo di pensare. Avanti, fuori. Non voglio più rivederti finché campo.

(Sam, silenzioso, si volta ed esce. Vi aspetta finché il rumore della porta d'ingresso si è sentito,  poi scoppia in pianto ed esce correndo in giardino. Ethel si alza per seguirla).

FRANK - Dove è andato a finire il pepe? (Queenie lo prende e glielo dà).

ETHEL - Oh, Signore.., voglio andarle vicino.

FRANK - E' molto  meglio  lasciarla sola.

ETHEL (esita un momento davanti alla porta fine­stra, poi torna indietro).

REG - Vi  non aveva  nessun  diritto di trattare Sam a quel modo. Che cosa ne sa lei, in fin dei conti?

FRANK - Tu sta zitto, ragazzo, ne parleremo tra poco.

ETHEL (andando verso il fuoco) - Reg deve an­dare subito a letto. E' sfinito... (A Reg). Ti fa molto male la testa, caro?

REG (aspro) - No, mamma, appena un pochino.

PHYLLIS - Penso che sia proprio ora che me ne vada, signora Gibbons.

ETHEL - Va bene, cara. Fai attenzione per la strada. Probabilmente ci sarà molta gente in gi-ro, questa notte.

PHYLLIS - Buona notte, Queenie.

QUEENIE - Buona notte, Phyllis.

PHYLLIS  - Buona  notte, signora  Gibbons.

FRANK - Buona notte, Phyllis.

PHYLLIS (guardando Reg) - Spero che ti sentirai meglio domani, Reg.

REG - Grazie di essere venuta.

PHYLLIS - Buona notte.

REG (guardandola) - Ci vedremo domani?

PHYLLIS - Sì... Va bene. (Esce).

FRANK (finendo la minestra e il pane) - Queenie, va in giardino e riporta dentro Vi. A quest'ora dovremmo essere tutti a letto.

QUEENIE - Subito, papà. (Va in giardino).

FRANK (allontanando il piatto) - Va  su,  Ethel. Penserò io a spegnere.

ETHEL - Promettimi di non essere troppo duro, Frank. Non vedi che è bianco come un panno lavato?

REG (In tono di sfida) - Mi sento benissimo, mamma. Non ti preoccupare di me.

FRANK - Almeno questa è una buona notizia.

ETHEL - E va bene... (Si dirige verso la porta e si volta a guardare Reg) Prima di andare a letto passa a darmi la buona notte.      

REG - Sì, mamma. 

                        

(Ethel resta immobile un istante, indecisa, poi, con un ultimo sguardo implorante a Frank, esce. Frank si alza, va alla credenza, prende una bottiglia di whisky, un sifone e due bicchieri).

FRANK - Te la senti di bere, Reg? 

REG (sorpreso) - Sì, grazie.                  

FRANK (versa in silenzio due bicchieri e ne porge uno a Reg) - Tieni.                                    

REG (prende il bicchiere e si alza) - Grazie, papà.

FRANK - Salute! (Beve).

REG- Salute! (Beve).

(Frank va verso il caminetto. Entrano Vi e Queenie dai giardino, Vi non piange più).

QUEENIE - Mamma è andata su?

FRANK - Sì, da un paio di minuti.

QUEENIE - Spegnete voi?                                 

FRANK - Sì, ma puoi chiudere la porta. E' rientrato Percy?

QUEENIE (chiudendo la porta finestra) - Sì, è in cucina che dorme.

VI - Buona notte, papà.

FRANK (baciandola) - Buona notte, piccola.

VI - Buona notte, Reg.

QUEENIE (guardando la tavola) - Sarà meglio che metta in ordine la tavola.

FRANK - Lascia andare. Ci penserà Edie domattina.

QUEENIE - Va bene, papà. (Va verso il padre) Buona notte, papà.

FRANK (con un bacio) - Buona notte, Queenie.

QUEENIE - Buona notte, Reg. (Prende la borsetta e le sigarette da un tavoli-netto).

REG - Buona notte. (Queenie esce). Allora, papà... Sistemiamo questa faccenda.

FRANK - E' più facile a dirsi che a farsi. Tu ed io non vediamo le cose nello stesso modo, non ti pare?

REG - Credo di no. (Va verso il caminetto).

FRANK - E' proprio questo il guaio. E' un pec­cato, ma non vedo che cosa possiamo farci. Tu che ne pensi?

REG (sedendo) - Non sono più un bambino, lo sai, papà. Sono cresciuto.

FRANK - Sì, me ne rendo perfettamente conto.

REG - So che tu giudichi false tutte le cose in cui io credo.

FRANK - E' qui che ti sbagli, figliolo. Non è af­fatto così. Tu hai il diritto di avere le tue opi­nioni, come io le mie. L' unica cosa che mi preoc­cupa è che ti sei messo in testa che tutti siamo contro di te, e che tutte le idee che hai preso in prestito da Sam e dai suoi amici siano nuove. Non sono nuove, sono vecchie come il mondo. Chiun­que abbia un po' di buon senso ha sempre ca­pito che è ingiusto che vi sia gente che ha tutto e gente che non ha nulla; ma dove non sono d'accordo con voi è nel darne la colpa ai sistemi e ai governi. Bisogna andare più addentro per trovare la causa della maggior parte dei mali di questo mondo, e se avrete guardato bene, vedrete che alla base di tutto c'è la solita, vecchia na­tura umana. (Sorseggia il suo whisky).

REG - Se a tutti fossero date le stesse possibilità, la natura umana sarebbe migliore, non ti pare?

FRANK - Non credo che potremo mai trovarci una soluzione. E' un vicolo cieco.

REG - Finché continueremo a vederla così, i la­voratori di tutto il mondo continueranno ad es-sere calpestati ed i capitalisti continueranno ad ingrassare con il loro sangue e con il loro sudore.

FRANK - Oh!... Non cominciamo con queste ti­rate, adesso. Usiamo parole nostre e non quelle degli  altri. (Posa il bicchiere sulla tavola).

REG - Non so che vuoi dire.

FRANK - Oh! Finiscila, Reg. Un ragazzo della tua età che parla di sangue, di sudore e di capitali­smo! Quando avevo vent'anni, pensavo a cose ben più allegre di queste, te lo dico io.

REG - I vecchi credono che i giovani non pensino ad altro che a divertirsi,

FRANK - Non vorrai mica dirmi che in questi ultimi giorni non vi siate spassati un mondo a correre per le strade, lanciando sassi e urlando con quanto fiato avevate in corpo?

REG - E' inutile parlarne, papà. Tu non capisci e non capirai mai.

FRANK - No, hai ragione. Le discussioni non concludono mai nulla. (Si avvicina alla poltrona) Voglio  darti  un solo  consiglio,  e poi basta. Va bene?                                        

REG (sospettosamente) - Che cosa?                   

FRANK - Questo, figliolo. Io appartengo ad una generazione di uomini, di cui la maggior parte se n'è andata... Tutti abbiamo fatto la stessa cosa, per la stessa ragione, senza badare alle no­stre idee politiche. Ora è passata è facciamo del nostro meglio per tirare avanti come se nulla fosse accaduto. Ma effettivamente sono accadute molte cose, ed una di queste è che il paese, all'improvviso, si è sentito stanco, e lo è tuttora. Ma la vecchia barca ha la chiglia solida, ricordalo! E sta a noi, uomini della strada, di farla na­vigare ancora. Questo è il tuo compito, figlio mio, non dimenticarlo! E se un'altra volta te ne vai da casa senza una parola, e lasci tua madre in pena per tanto tempo, avrai da fare i conti con me. Ed ora va su, e cerca di dormire.

REG (alzandosi) - Va bene, papà. (S'avvia verso destra).

FRANK - E non ti dimenticare, passando, di dare la buona notte a tua madre.

REG - Va bene. Grazie, papà.

(Reg esce, chiudendo la porta. Frank si guarda intorno, si avvicina alla tavola e finisce il  suo bicchiere. Poi spegne la luce ed esce).

SIPARIO


ATTO    SECONDO

Quadro i

Ottobre  1931.

Sono circa le 10 del mattino. Le finestre sono chiuse e le tende aperte.

Frank è solo nella stanza, sta finendo di fare cola­zione e legge il «Daily Mirror». Siede alla tavola di fronte al pubblico. E' invecchiato parecchio in questi ultimi sei anni. I suoi capelli sono molto più radi e gli occhi non sono più quelli di prima, tanto che per leggere ha bisogno degli occhiali. Ha un vestito nuovo, color sale e pepe. E' senza giacca. Ha il colletto floscio, una grande cravatta di seta grigia ed è in pantofole. Queenie, vestita con un kirnono di seta giapponese e con l capelli raccolti m una rete, entra correndo, prende dal camino la sua borsetta, ed esce dì nuovo. Frank alza gli oc­chi, mescola pensieroso il suo tè e continua a leg­gere. Entra Edie con un vassoio e lascia la porta aperta.

Durante le scene seguenti si odono vari rumori in casa: correre su e giù per le scale, porte che sbottono, acqua del bagno che scorre, echi di liti fra i componenti la famiglia.

EDIE (All'estremità destra della tavola) - La si­gnora Gibbons dice che devo sparecchiare subito. Così poi avrò tempo di vestirmi.

FRANK - Va bene, Edie, lasciami solo il tè.

EDIE (riunendo i piatti nel vassoio) - La vasca da bagno ci mette un'eternità a vuotarsi. Credo che il tubo di scarico sia otturato.

FRANK - Dovresti fare un salto dal tabaccaio e telefonare al signor Freeman.

EDIE - Non ne avrò il tempo questa mattina.

FRANK - Andrà bene anche domani!

EDIE - Non è tremendo quello che è accaduto al­l'abito della signora Flint?

FRANK - Che è stato?

EDIE - Percy ci ha dormito sopra tutta la notte e lo ha riempito di peli. C'è mancato poco non le prendesse un colpo quando se n'è accorta. E' stra­no che non abbiate sentito il fracasso.

FRANK - Dalle otto in poi tutta la casa è stata un inferno.

EDIE - Un matrimonio non capita mica tutti i giorni.

FRANK - No, grazie a Dio.

EDIE (andando via col vassoio) - Però il tempo è magnifico.

FRANK - Già.

(Edie  esce, Frank  riprende il giornale.  Rientra Edie).

EDIE - Vi dispiace se metto, per un momento, il vostro tè  sulla credenza?  Devo  cambiare la tovaglia.

FRANK (alzandosi) - Va' bene. Ti darò una mano.

(Posa tutto il servizio da tè sulla credenza, e du­rante le battute seguenti aiuta Edie).

EDIE - Ieri sono andata con la signora Gibbons alla « Vecchia Inghilterra » a vedere la sala dei

ricevimenti. L'hanno aggiustata che è proprio un amore. Abbiamo dato un'occhiata anche alla torta... E' splendida! La signora Gibbons mi ha detto che me ne darà una fetta da portare a Ennie. Su, prendete. (Gli getta un capo dello tovaglia. Insieme la piegano).

FRANK - Ennie sarà ormai un ragazzone.

EDIE - Sta per finire 16 anni,  ma ne dimostra meno. E' basso come papà.

FRANK - Ah... sì?

EDIE - L'altro giorno ha tentato di farsi la barba con  il rasoio  di  papà.  Avreste  dovuto  vederlo! C'era da morire dal ridere.

FRANK - Si è tagliato?

EDIE - No, solo un paio di graffi.

(Edie esce. Frank riporta il tè sulla tavola e siede di nuovo.  Bob Mitchell bussa ai vetri. Frank, lo fa entrare).

BOB - La giornata non poteva essere più bella, vero?

FEANK - Vuoi una tazza di tè?

BOB - No, grazie. Una sigaretta invece, se ne hai.

FEANK - Ce ne è un pacchetto sul camino. Ti­rane una anche a me, giacché ci sei.

(Bob prende una sigaretta e getta ti pacchetto a Frank, che non lo afferra).

FRANK - Cilecca! Con questi occhiali non rie­sco a vedere un accidente.

BOB - Ti ci abituerai. (Accende la sua sigaretta e poi quella di Frank).

FRANK - Come sta Nora?

BOB - Un po' più sollevata. E' sempre così quando Billy è a casa. Le gambe ormai non le fanno male. E' come se non le avesse più. Il dottore dice che non migliorerà, né peggiorerà. Rimar­rà sempre così.

FRANK - Bè, se davvero è un po' più su di mo­rale, non c'è da lamentarsi, mi sembra.

BOB - E' stato l'aborto di sei anni fa che l'ha ri­dotta così. Altrimenti ora starebbe bene.

FRANK - Povera cara Nora.

BOB - Bè, non direi che questo sia il discorso più adatto per un giorno di festa. Come sta lo sposo felice?

FRANK (seduto alla tavola.) - Lo sposo felice que­sta mattina si è tappato nel bagno per più di un'ora.  Si  sarebbe  detto che non  si lavava  da un mese.

BOB - Mio caro, la sua ansia è più che giustificata. Non so dargli torto.

FRANK - Fa un effetto strano pensare a due che partono per il viaggio dì nozze. Non ti pare? Sembrano secoli da quando partimmo noi.

BOB - Dove andaste?

FRANK - A Bamsgate, e per tutto il tempo venne giù acqua a catinelle.

BOB - Noi andammo a Swanage. Nora aveva dei parenti da quelle parti. Fu tremendo.

FRANK - Reg e Phyllis, invece, dovrebbero di­vertirsi un mondo. Il solo fatto di andare all'este­ro per la prima volta, sarà una bella emozione. Sono riuscito a fargli avere, la tariffa ridotta per tutto il viaggio. Perfino il principale se ne è in teressato.                                                         

BOB - Dove sì fermeranno questa notte?          

FRANK - A Dover. Poi s'imbarcano al mattino e 24 ore dopo, saranno a Nizza.                           

BOB - Elegante andare in luna di miele sulla Costa Azzurra, « n'est ce pas»?                     

FRANK - « Oui, oui  ».                              

BOB - Tu hai sempre lavorato con Tickler da dopo la guerra, è vero?                                   

FRANK - Sì, ma una volta c'è mancato poco non perdessi il posto.                                                 

BOB - Come mai?               

FRANK - Tu sai  che in contabilità me la cavo bene, e così anche in assegni di viaggio, in let-tere di credito, eccetera. Una volta, però, uno dei nostri impiegati agli sportelli, si ruppe le ossa in un incidente d'auto ed io dovetti sostituirlo per un mese... Accidenti, un giorno il signor Baxter mi disse: «Sta a sentire, Frank, Abbiamo avuto delle lagnanze.   Hai   distribuito   non   meno   di quattro blocchi  di biglietti, sbagliando la  desti-nazione. E questo per non saper pronunciare cor-rettamente  i nomi   stranieri.  Ora,  siccome   non possiamo permetterci il lusso che i nostri clienti si sperdano per tutto il Continente, sarà meglio che tu torni alle tue cifre ». Dopo di che assunse un paio  di  sbarbatelli  con l'accento  di Oxford. Avresti dovuto sentirli! L'altro giorno credevo che ad uno di essi fosse andata di traverso una spina di pesce, ma invece stava semplicemente dicendo  « Marseille »,

(Silvia entra correndo nella stanza. Indossa una vecchia vestaglia  ed ha la testa avvolta in un asciugamano. Vede Bob, ha un urlo di  orrore e fugge via di nuovo. Dice le battute che seguono attraverso la porta semiaperta).

SILVIA - Pensare che sono entrata conciata in questo modo davanti al signor Mitchell. Che avrà pensato?                                                        

FRANK - Non ti preoccupare: E' un uomo di larghe vedute.                                                    

SILVIA - Sono stata dal parrucchiere ieri sera, temevo che nel bagno mi si sciupasse la pettinatura.                                                              

FRANK - Che cosa cerchi qui?

SILVIA - Il boa di piume della signora Flint. De­ve essere in una scatola sul tavolinetto vicino al : fuoco.  Uno degli anelli s'è staccato.                

FRANK (alzandosi) - Aspetta un momento. (Pren­de la scatola dal tavolinetto) E' questa? C'è scrit­to «Fragile» (Va alla porta).

SILVIA - Sì, è questa. Grazie.

(Frank le porge la scatola attraverso la porta. Silvia va via).

FRANK (chiude la porta e torna verso la tavola) Da stamane questa casa è un circo da fiera. Parola d'onore.

BOB - Reg si è sistemato bene, no?

FRANK - Sì, ha un buon posto. E segretario di uno dei direttori.                                        

BOB - Niente più manie bolsceviche?

FRANK (sedendo) - Oh, no... In fondo ha una certa dose di buon senso. Ha dato un'occhiata al go­verno laburista, ed ha veduto che razza di pasticci stavano combinando, in ogni campo. Avre­sti dovuto vederlo l'altra sera, quando hanno comunicato i risultati delle elezioni! Saltava su e giù come un grillo. D'ora in poi sarà un vero borghese.              

BOB - Questa è una notizia che fa piacere.

FRANK - Anche Sam è servito a scuoterlo, quan­do ha dato via quella sua libreria incendiaria e si è sistemato sposando Vi.

(Entra Reg in manica di camicia. Ha in mano due cravatte).

REG - Papà. (Vede Bob) Ciao, zio Bob.

BOB - Ciao, Reg. Un po' nervoso, eh?

REG  (ridacchiando) - Non mi sento troppo sicuro sulle gambe. E' pronto Bill?

BOB - Quasi. Ed ha già preso l'anello, Ho visto che se lo metteva in tasca. Sarà qui a momenti.

BEG - Quale cravatta devo mettere, papà? Quella a nodo o quella lunga?

FRANK - Fammi vedere. (Prende le due cravatte) I colori sono tutti e due belli. Metti quella a nodo, veste di più. (Reg va a sinistra).           

REG (mettendosi la cravatta.) - Zia Silvia è su che piange come una fontana.

FRANK - E perché?

REG - Oh... Prima di tutto dice che si sente esaurita, e che i matrimoni in genere la sconvolgono, poi la nonna l'ha investita dicendole che se anche lei avesse avuto il buon senso di spo   sarsi ci avrebbe risparmiato un sacco di fastidi.

FRANK - Non so come farebbero ad andare avan­ti, quelle due donne, senza la possibilità di ac­capigliarsi in continuazione.

BOB - Bene... Bisogna che vada anch'io a lustrarmi, per il fausto evento,

FRANK - Fa pure.

 BOB (andando verso la porta) - Ci vediamo in chiesa, Reg.

REG - Dovreste dire a Billy di sbrigarsi.

BOB - Senz'altro. (Esce. Frank va, alla porta, guar­da fuori, la richiude e guarda Reg).

FRANK - Allora, figliuolo!...

REG (finendo di aggiustarsi la cravatta) - Allora, papà...?

FRANK - Suppongo che ora dovrei darti qualche consiglio paterno, come di regola.

REG (voltandosi quietamente) - A che proposito, papà?

FRANK - Sui casi della vita, per esempio.

REG - Credo che anch'io potrei dirtene qualcosa.

FRANK (andando verso la sedia accanto al fuoco) - Non lo metto in dubbio. (Pausa) Reg...

BEG (serio) - Sì, papà?

FRANK- Devo pregarti di togliere dal tuo viso quell'aria di innocenza, prima di dirti quel che ho da dire.

REG - Ma che cosa hai da dire, papà?

FRANK - Così va bene. Rendimi facile la cosa.

REG - Non so di che stai parlando.

FRANK - Finora non sto parlando di niente. Siedi. REG - Fuori, allora!  (Siede sulla poltrona).

FRANK-  Dunque, Reg...                                  

REG - Sì, papà.                                             

FRANK (con. uno sforzo) - Potresti dire di essere  stato un bravo ragazzo, in tutto e per tutto, da quando sei diventato grande?                                

REG - Dipende da quello che intendi per bravo ragazzo.                                                     

FRANK - Sai benissimo quello che intendo, e cerca di non fare l'ingenuo.                                   

REG - Le donne?                         

FRANK - Sì.                                                        

REG - Oh... Ho avuto di tanto in tanto qualche piccola avventura.

FRANK  -  Non ti sei  mai cacciato in qualche grosso guaio, senza dirmelo?                                  

REG - No, papà.                                      

FRANK - Il matrimonio è un po'  diverso dalle piccole avventure.                                              

REG (impaziente) -  Sì,  lo credo anch'io. FRANK - Le donne non sono tutte uguali. Alcune non si curano di ciò che accade, purché la loro vita sia facile. L' importanza del matrimonio per loro si  limita a  portare l'anello e chiamarsi là signora Tal dei Tali. Ma tua madre non era di questo tipo e credo che neanche Phyllis lo sia. E' una cara ragazza e ti vuole molto bene.

REG - Lo so, papà.                                                 

FRANK - E quando una donna ama tanto, è fa­cile che diventi ipersensibile. Farai bene a non dimenticarlo.                                                      

REG - Me ne ricorderò, papà.

FRANK  - Devi  trattarla  con  molta  delicatezza, essere gentile. Avrete tanti anni da vivere insieme. Tutta la vita, spero. Vale la pena di proce­dere senza  attriti  e di conoscersi  l'un l'altro,  a poco a poco. Metti sempre tua moglie innanzi a tutto. Molte piccole cose possono  accadere, cose di poca importanza, che non recano gran danno, purché tu non perda la testa e ti mantenga discreto. Ma tutto quello che anche lontanamente    potrebbe turbare la tua casa, la vita con tua moglie e i figli, è da evitare. Ricordati di ciò e sarai   sempre nel giusto.                                                 

BEG - Va bene, papà. Ti ringrazio.

FRANK - Spero solo che tu abbia una buona mo­glie come l'ho avuta io. Non potrei augurarti di meglio.

REG - No, papà.

FRANK - Ed ora, sarà meglio che vada a finire dì vestirmi. A più tardi, ragazzo mio.      

(Con un certo imbarazzo abbraccia Reg ed esce. Reg, rimasto solo, va lentamente verso il centro della scena, prende una sigaretta dal pacchetto   sulla tavola, l'accende e torna davanti allo spec­chio.  Dalla  porta finestra   entra  Bill.  S'è fatto più uomo, e indossa l'uniforme di sottufficiale di marina).                                                     

BILLY (venendo avanti) - Non ti preoccupare, vecchio mio, hai un aspetto magnifico.                       

RiEG - Oh... Sei tu?                                           

BILLY - Sei pronto per la catena al collo?           

REG - Sei maledettamente spiritoso.               

BILLY - Naturalmente. Non sono forse un marinaio? Tutti i marinai sono vivaci e brillanti, fa parte dei regolamenti.                      

REG - Devi essere la vita e l'anima della tua nave.

BILLY - Sicuro che lo sono. Anche l'altro giorno l'Ammiraglio mi mandò a chiamare: «Mitchell - mi dice - fammi ridere! Io gli racconto quella storiella, del pappagallo. E lui: «Mitchell, la na­ve è tua». Io gli chiedo: «Che devo farmene?» « Mandala a fondo » dice lui, e giù a sganasciarsi dalle risa.

REG - Hai portato l'anello?

BILLY - Veramente devo dirti che m'è caduto... : in  un  certo posto,  ma,  sta tranquillo,  abbiamo mandato a chiamare l'Idraulico.

REG (avviandosi) - Sarà bene che vada a finire di vestirmi. Dovremo metterci in moto da un mo­mento all'altro.

(Reg apre la porta e va ad urtare con Queenie che sta entrando. Queenie indossa un abito blu da damigella d'onore, con cappello. Ha in mano un mazzo di fiori).

QUEENIE - Potresti anche guardare dove metti i piedi! (Avanzando di un passo) A momenti mi fa­cevi cadere.

REG - Scusami, sorellina... (Reg esce. Queenie scorge Billy).

QUEENIE - Ah, sei tu?

BILLY - Sì. (Va verso il caminetto).

QUEENIE- E' una bella giornata, vero?

BILLY - Magnifica.

QUEENIE  (posa i fiori sulla tavola e va verso la poltrona) - Non hai detto niente a Reg, vero? E nemmeno a nessun altro?

BILLY - No, certamente,

QUEENIE - Sono terribilmente desolata per ieri sera, Billy, davvero. (Va a sedersi all'estremità sinistra della tavola).

BILLY - Non ne vedo la ragione. Non è colpa tua.

QUEENIE - Quando sarai via di nuovo tutti mi faranno mille domande... ed io non saprò come rispondere.

BILLY (senza guardarla) - Di' loro la verità, Io ti amo e ti ho chiesto di sposarmi. Tu non mi ami e hai detto di no. Più semplice di così...

QUEENIE - E'  orribile, quando lo dici in questo  modo.

BILLY - E inutile fingere, non ti pare?

QUEENIE - Sì, è inutile. Ma ne sono dispiacente, in ogni caso. Mi credi?

BILLY - Sì, ti credo.

QUEENIE - Io non ti ho mai detto che ti avrei sposato, è vero? Voglio dire... non t'ho mai la-

sciato pensare che...

BILLY - Non sono in collera con te, te l'ho già detto ieri sera. Solo non posso fare a meno di essere un po' giù. E' naturale, non ti sembra?

QUEENIE - Credo che ora non mi scriverai più... (Alzandosi).

BILLY - Devo proprio dire che sei una strana ragazza.

QUEENIE (voltandosi a guardare Billy) - Non ci vedo niente di tanto  strano.

BILLY - Tu vorresti tutto, non è vero?

QUEENIE - Non sei gentile a parlarmi così.

BILLY (avvicinandosi a lei) - Tu sai che ti amo più di qualsiasi Cosa al mondo. E che avrei voluto sposarti. L'hai sempre saputo. Mi rifiuti, e poi, pretendi che ti scriva.  Che potrei scriverti, or- . mai? Se ti fossi preso il disturbo di leggere pun­tualmente le mie lettere, ti ricorderesti che par-lavano quasi tutte del nostro futuro, e di quanto bene saremmo stati insieme. Tutto questo ora è finito, no? Ma se lo desideri ti manderò tutte le notizie che vorrai sulla situazione meteorologica.

QUEENIE - Se cominci a diventare cattivo, non c'è più niente da dire. (Va verso il caminetto).

BILLY - C'è qualcun'altro, non è vero?            

QUEENIE (senza voltarsi) - Non so quello che intendi dire.  

BILLY - Esattamente  quello  che ho  detto.  Sei innamorata di un altro, è vero?

QUEENIE (voltandosi) - Non è una cosa che ti riguarda.                                                           

BILLY - Ma è vero, no?

QUEENIE (avvicinandosi) - Sta a sentire, Billy...

BILLY - Perché non me l'hai detto ieri sera? O prima, nelle tue lettere? Non hai fiducia in me?

QUEENIE - Tu non hai il diritto di farmi queste domande.

BILLY (facendo un passo verso di lei) - Ascolta­mi, Queenie. Tu sei la sola ragazza a cui abbia pensato da quasi sette anni, ormai. Non ci siamo potuti veder molto, perché ero sempre imbarcato; ma tu sapevi che io non pensavo che a te e spe­ravo che, con l'andare degli anni, avresti dimen­ticato le tue idee di grandezza e mi avresti giu­dicato degno di diventare tuo marito. Tutto ciò mi dà il diritto di chiederti qualunque cosa.

QUEENIE - No, non è vero.

BILLY - C'è o non c'è questo altro?

QUEENIE - Sì, c'è, se proprio lo vuoi sapere.

BILLY - Vi sposerete?

QUEENIE - Se ti lasci sfuggire una sola parola su questo, non ti parlerò mai più per tutta la vita.

BILLY - Lo sposerai?

QUEENIE - No.

BILLY - Perché no?

QUEENIE - E' affare mio. (Si muove nervosamente.)

BILLY - E' già sposato?

QUENNIE - Vorrei che mi lasciassi in pace.

BILLY (avanzando) - E' sposato?

QUEENIE-Sì, lo è. (siede sul bracciolo della poltrona) Sei soddisfatto, adesso?

BILLY - Oh, Queenie, non so cosa darei per non vederti così fuori di te.                                      

QUEENIE - Perché fuori di me? Non si possono soffocare certi sentimenti.

BILLY - No, ma si può avere tanto buon senso da impedire che essi prendano il sopravvento su di noi. Quello che stai facendo è uno sbaglio, da qualunque parte lo consideri. Tanto per comincia­re ci sono i tuoi genitori. Gli si spezzerà il cuore se lo verranno a sapere, poi c'è la moglie di lui, chiunque essa sia, ed anche lì stai seminando dei guai. (Avvicinandosi a lei) Ma sopratutto ci sei tu. Non farti illusioni, a lungo andare anche tu resterai scottata. Tu non sei una ragazza a-datta per questo genere di cose. Mi sembra che tu stai insudiciando te stessa e coloro che ti cir­condano. (Le volta le spalle).

QUEENIE (alzandosi) - Grazie della predica.

BILLY (avviandosi verso la porta) - Hai ragione. E' inutile continuare. Vado su a parlare con Reg. Addio... e buona fortuna!

(Bill esce rapidamente e Queenie rimane un istan­te immobile, seguendolo con lo sguardo. Si morde le labbra. Sembra che stia per piangere, poi scuote la testa e va allo specchio ad aggiustarsi il cap­pello. Entra Ethel seguita da Frank. Ethel indossa un complicato abito di seta grigia. Frank ha arricchito lo splendore del suo vestito sale e pe­pe, con un grande fiore bianco all'occhiello e con un paio di scarpe evidentemente nuove).

ETHEL - Vi e Sam dovrebbero essere già qui. Chissà dove sono andati a cacciarsi.  (Siede).

FRANK (a Queenie) - Hai parlato con Billy?

QUEENIE - Sì, è andato su da Reg.

(Frank fa alcuni movimenti come per provare le scarpe).

FRANK - Queste scarpe mi stanno già facendo tribolare. Se si comincia così, chissà questa sera! (Prende la  sua tazza e la posa sulla credenza).

QUEENIE (presso il caminetto) - Due matrimoni in un anno sono assolutamente troppi, per il mio gusto.

FRANK (tornando alla tavola) - Bene, c'è da spe­rare che anche tu ti decida, e così saranno tre.

QUEENIE - Vorrei che non parlassi così, papà. E troppo banale.

FRANK - Ti chiedo umilmente scusa. (Porta il bricco del tè sulla credenza).

QUEENIE   (sedendo sul bracciolo)  -  Se mai  mi sposerò, sarà nell'Ufficio del Comune, senza tutta questa confusione.

FRANK - Tua madre non ne sarebbe contenta. Non è vero, Ethel? (Prende una sigaretta).

ETHEL - No, sicuramente.

QUEENIE - Non ve lo farei sapere. Non mi piace l'idea della gente che sta lì a fissarti e a commentare.

ETHEL - Non ho mai sentito simili assurdità.

FRANK - La nostra Queenie ha idee tutte sue, Ethel, o, per lo meno, crede che siano sue.

QUEENIE - In ogni caso non farò mai più la da­migella d'onore, finché campo. Guardate che ve­stito e che cappello!

ETHEL (andando verso il caminetto) - Lo hai modificato, vero?

QUEENIE - Lo credo bene. (Aggiustandosi il cap­pello) Non l'avrei certo messo come era.

ETHEL - Sarai differente da tutte le altre.

QUEENIE - E' quello che spero.

ETHEL - Marjorie si dispiacerà. Si sono preoccupate tanto lei e Phyl.

QUEENIE - Non capiscono niente di moda, né l'u-na né l'altra. Fortuna che nessuna delle mie com­pagne, mi vedrà conciata così.

FRANK  (girando intorno alla tavola) - Ho l'impressione che siano dei bei tipetti, queste famose ragazze del tuo negozio. Dobbiamo sempre sorbirci l'elenco delle loro simpatie e delle loro antipatie. (Siede).

QUEENIE - Papà, non vedo il motivo di fare dell'ironia.                                                                

ETHEL - Non parlare così a tuo padre, Queenie. Non so che ti ha preso da qualche tempo a questa parte.                                                                          

QUEENIE (con voce tagliente) - Niente, solo non mi piace di condurre un'esistenza banale.            

FRANK - Non me ne preoccuperei, se fossi in te. Non c'è niente da fare. Dopo tutto, secondo certi criteri di giudizio, direi che tu sei una ragazza banale...                                                               

ETHEL - Frank, come puoi dire una cosa simile? Queenie non lo è affatto.  (Siede).

FRANK - In fondo la colpa è di tua madre. Mi ha accalappiato. Ero li lì per sposare una du­chessa, quando ti arriva lei, col suo fascino fa­tale, e manda tutto a monte. E quel che è peggio, la duchessa non mi ha mai perdonato. E' per que­sto che da trent’anni non metto piede nel palazzo di Buckingham.                                                  

QUEENIE - Credi di essere molto divertente, papà?

FRANK - Se lo vuoi sapere, sei proprio tu ad essere divertente.

QUEENIE - Perché? Che ho fatto?

FRANK - Non è quello che hai fatto, ragazza mia, ma quello che stai cercando di fare.

QUEENIE - E  che sarebbe, se è lecito?

FRANK - Stai sforzandoti di essere quella che non sei. E non c'è niente di più ridicolo. Vederti sculettare e darti un sacco di arie solo perché hai avuto la fortuna di pulire le unghie alla du­chessa « Baciami la mano », basterebbe a far ri­dere anche un gatto.

QUEENIE (alzandosi in collera) - Non credi che  una  persona  possa  desiderare  di  elevarsi?  Solo perché tu ti sei accontentato di marcire tutta la vita nello stesso buco e di metterti in manica di camicia, il sabato pomeriggio, per innaffiare qualche  pianta in giardino.

ETHEL - Non ti permettere di parlare a tuo padre in questo tono!

QUEENIE - Abitare alla periferia, cucinare, lavare i piatti,  può andare bene per te, non per me.    Sono stufa di questa casa e di tutti voi che ci   state, e non sono disposta  a  sopportare  ancora  per molto tempo questo genere di vita, capite?... 

ETHEL - Sei una ragazza  cattiva ed ingrata e dovresti vergognarti. (Alzandosi).

QUEENIE (andando verso il caminetto) - E invece non mi vergogno affatto, vedi?                         

ETHEL - Se non fosse per il matrimonio di Reg, ti chiuderei in camera tua a chiave e ti ci la-scerei finché non mettessi giudizio.                        

FRANK - Qualche  anno fa Reg  ci accusava  di vivere alle spalle del paese, mentre i poveri operai morivano di fame adesso è Queenie a rivoltarsi contro di  noi, perché non siamo abbastanza grandi per lei. Non so che abbiano questi  nostri figli, Ethel, ragazza mia. Mi sembra che Vi sia la sola ad avere il cervello a posto.

(Ethel siede di nuovo davanti alla tavola).

QUEENIE - Vi! Vi è diversa da me. Non ve ne accorgete? Lo è sempre stata. Non ha i miei gu­sti. Lei è perfettamente felice nel suo misero appartamentino, a badare alle faccende di casa, e a farsi i vestiti da sé. E le piace di tiranneg­giare Sam. E' cambiato dal giorno alla notte, da quando si sono sposati.

ETHEL - Lo spero bene.

QUEENIE - A me sembra che abbia perduto tutte la sua personalità. Adesso è come gli altri... una persona rispettabile.

FRANK - Ebbene, che c'è di male?

QUEENIE - Oh,  niente.  A  che  serve discutere?     Tanto non mi capite...

FRANK (alzandosi) - Allora non sprecare il fiato con noi, Queenie. Siamo quello che siamo, e se­guiteremo ad esserlo. E se non ti va a genio, puoi fare come vuoi. (Di fronte a Queenie) Un giorno o l'altro, quando capirai di più, vedrai che ci sono cose peggiori dell'essere gente comune e ri­spettabile, e di vivere la vita nella quale si è cresciuti. Frattanto e fino a che sei con noi, la mamma ed io ti saremo molto grati se terrai la lingua tra i denti e ti comporterai come si de­ve. Ora faresti meglio ad andare a metterti an­cora un po' di vernice sul viso, in modo da sembrare il più possibile una sgualdrinella e fare onore alle ragazze del tuo negozio. Vattene. Fila!

(Queenie esce sbattendo la porta).

ETHEL - Ora sì. Ci farà perdere la testa fino a stasera.

FRANK - L'abbiamo viziata fin da quando era bambina.  Non  abbiamo fatto  altro che viziarla.

ETHEL - No, Frank. Non è solo questo. C'è qual­cosa che la preoccupa, che la rende nervosa da parecchio tempo. Vorrei proprio sapere di che si tratti.

FRANK - Pensi che si trovi in qualche impiccio?

ETHEL (voltandosi) - Non so cosa pensare. Quando tornò Billy l'anno scorso ed  uscivano insieme quasi ogni sera, pensavo che tutte sareb­be andato per il meglio. Poi si bisticciarono non so perché, e lui ripartì.

FRANK - Non ti preoccupare, vecchia mia, tutto si aggiusterà, alla fine.

(Edie chiassosamente vestita di verde e col cap­pello, irrompe nella stanza).

EDIE - E' arrivata l'automobile. E' bellissima, tutta decorata di nastri bianchi.

FRANK -  Diamole  un'occhiata  Ethel.  Tu,  Edie, va' a dire a Reg che la macchina è qui.

(Edie esce di corsa. Frank e Ethel escono e, dal­l'anticamera, si odono le loro esclamazioni am­mirative. Reg e Billy entrano. Reg è visibilmente commosso. Billy entra per primo e s'avvicina al caminetto).

REG - Mi sembra che dovremmo cominciare a muoverci, ti pare?

 BILLY - Sì, è quasi ora, ormai. Non sarebbe simpatico se la timida sposina arrivasse prima di noi.

(Frank e Ethel rientrano).

                                   

ETHEL - Avete vista la macchina? Il signor Stevens l'ha decorata in una maniera splendida!

REG - Sì l'abbiamo veduta arrivare.              

FRANK - Nervoso, eh... figliolo?

REG - Sì, un po'.                                         

ETHEL (patetica) - Oh, Reg! (Siede).

REG - Coraggio, mamma.                                

ETHEL (cercando il fazzoletto) - Non riesco a crederci... Mi sembra ieri che...                             

REG  (cingendole le spalle con un braccio) - Sì,   mamma. La sappiamo a memoria. Ero un tomboletto che metteva i primi dentini, e, guardatemi adesso, un uomo grande e grosso...

FRANK - Non cominciare a piagnucolare adesso, Ethel. E' un matrimonio, non un funerale.

ETHEL - Sta zitto, Frank,  lasciami in pace.

REG  (baciandola) - Ci vediamo in chiesa, mamma. Ciao, papà. Andiamo, Billy.

FRANK - Ciao, figliolo... Ricordati di rimandare subito la macchina,

BILLY - Ci penserò io. Sarà qui di nuovo tra cinque minuti.

ETHEL - Hai salutato la nonna e ziaSilvia?

REG  (sulla porta) - Sì, le ho viste di sopra.  

BILLY (brusco) - Andiamo.

REG - Eccomi... Addio a tutti! (Reg e Billy escono).

FRANK (accorgendosi che Ethel sta per scoppiare in lacrime) - Su, Ethel, non c'è niente da piangere.

ETHEL - E' più forte di me.

FRANK - Ti verrà il naso rosso.

ETHEL - Non me ne importa. Non è forse il no­stro unico maschio? E non se ne sta andando via da casa? Ce ne è abbastanza per far piangere qualsiasi donna.

FRANK - Tra due settimane ritorneranno dalla luna di miele e verranno ad abitare a pochi passi da qui.

ETHEL - Già, è tutto facile per te. Non l'hai mica partorito tu! Non sei stato mica tu a tenerlo at­taccato al seno...

FRANK - Sarebbe stato piuttosto comico.

(Ethel va a guardarsi allo specchio. Frank pas­seggia tra la tavola e la credenza. Entra Silvia tenendo sottobraccio la signora Flint. Silvia in­dossa un vistoso abito marrone o arancio e una pesante collana d'ambra. La signora Flint è in seta porpora e ha un cappello nero a fiori. Si di­rige verso il caminetto).

                                     

S. FLINT - Se riesco a mettere le mani su quel gatto, l'ammazzo. C'è voluta mezz'ora per to­gliere i peli dall'abito, e il davanti della sottana è rimasto tutto gualcito.

SILVIA - Non si vede.

S. FLINT (siede sulla poltrona, guardando con oc­chio critico Silvia) - E' questo il cappello nuovo di cui abbiamo sentito tanto parlare?

SILVIA - Sì, è questo.

S. FLINT (con una specie di grugnito) - Oh!

SILVIA (voltandosi) - Perché? C'è qualche cosa che non va?

ETHEL (conciliante) - Mi sembra che sia molto grazioso, non ti pare, Frank?

FRANK (dietro  la tavola) - E' bellissimo,  visto

da qui. (Siede sulla tavola).

S. FLINT - C'è un che di buffo sulla cupola, non è vero?

SILVIA - Non so cosa intendiate. (Va a specchiarsi).

S. FLINT - Ad ogni modo contenta voi...

ETHEL - Sta' zitta, mamma. E tu, Silvia, non ti curare di lei.

S. FLINT - Non sarebbe la prima volta.

(Silvia siede vicino al caminetto. Entrano Vi e Sam, inseguiti da Queenie. Sam è migliorato con gli anni. E vestito accuratamente ed ha un'aria di rispettabilità che prima gli mancava. Vi ap­pare sicura di sé ed è molto elegante in abito rosa e cappello).

VI (andando verso Ethel) - La porta d'ingresso era aperta e così siamo entrati senza suonare.

ETHEL (badandola) - Come sei graziosa, Vi cara!

VI (facendo notare il suo abito) - L'ho finito ieri sera alle undici.

SAM - In questi ultimi dieci giorni, tutta la casa è stata piena, di modelli di carta, di pezzi di stof­fa, di spilli. (S'avvicina a Frank) Reg è già andato?

FRANK -  Sì, con Billy, un  paio di  minuti fa. Manderanno subito indietro la macchina.

QUEENIE (presso la tavola) - Spero che si sbri­ghino. Non vorrei arrivare in ritardo...

(Ethel va verso il caminetto).

VI - E' carino quel vestito, non è vero, Sam?

SAM - Graziosissimo davvero.

QUEENIE - Per me è orribile.

VI - Oh! Tu dici sempre così, Queenie. Fu lo stesso anche al mio matrimonio.

(Entra Bob Mitchell dalla porta finestra).

BOB - Ciao Vi, ciao Sam. La macchina non è ancora tornata?    

ETHEL - Queenie, di' ad Edie di stare attenta a quando arriva.

QUEENIE (ad alta voce) - Edie, sta attenta alla macchina! Mettiti vicino alla finestra.

EDIE (da dentro) - Bene...

S. FLINT - Il giorno del mio matrimonio ci fu un temporale tremendo, ed un uomo fu colpito dal fulmine proprio davanti alla chiesa.

FRANK - Chissà che allegria!

S. FLINT - Rimase con il viso tutto contorto da una parte.

QUEENIE - Come, nonna, interrompesti la fun­zione per dare un'occhiata fuori?

S. FLINT - Nemmeno per idea,  e ti sarò molto grata, signorina, se farai meno la scema.

QUEENIE - Scema... Che modo di parlare!

FRANK -Mi meraviglio di voi, mamma. Usare simili espressioni davanti a Queenie. Dovresti sa­pere che ormai frequenta la migliore società del giorno.

QUEENIE - Oh! Finiscila, papà! (Pausa).

FRANK - Meglio sederci tutti, non vi pare? Non c'è motivo di stare in piedi. (Tutti siedono).

ETHEL (guardando l'orologio) - Dovrebbe essere tornata a quest'ora... (Passeggia  nervosamente).

FRANK - Non ti affannare, Ethel.

S. FLINT - Mi sembra appena ieri.

ETHEL Che cosa, mamma? (Siede).

S, FLINT - Il giorno del tuo matrimonio con Frank. Mi pare di vedere ancora la povera zia Connie, che tossiva  da spaccarsi i polmoni, in sacrestia. E solo tre mesi dopo il Signore la prese con sé.

FRANK (ottimista) - Va bene, va bene...

S. FLINT - Mi chiamerei fortunata se campassi un altro anno.

FRANK - La  solita minestra...

S. FLINT - Credo che nessuno si dispiacerebbe troppo. Molti la chiamerebbero una vera bene­dizione, non me ne meraviglierei affatto.           

FRANK - Su, su mamma... Non parlate così.  

S. FLINT - Il dottor Spearman ha detto che il mio cuore è spacciato, dopo la bronchite del febbraio scorso.

SILVIA (ancora nella poltrona presso il caminetto, con aria dispregiativa) - Oh, il dottor Spearman...

S. FLINT - E' molto più bravo del vostro dot­tor Lewis, Questo è poco, ma sicuro. Se non fosse stato per la sua presenza di spirito, a quest'ora la signora Spooner sarebbe morta e sotterrata.

SILVIA - Questo lo dite voi.

S. FLINT - Alle undici era in giro per compere, alle dodici metteva il capretto nel forno - un bel pezzo di coscio - e alla una e mezzo era all'Ospe­dale, lunga distesa sulla tavola operatoria... È se non c'era il dottor Spearman...    

ETHEL - Non capisco che sia accaduto alla mac­china... Si sta facendo tardi.

BOB (alzandosi) - Volete che vada a dare un'occhiata?                                                                  

FRANK - No. (Bob siede di nuovo) C'è già Edie...

ETHEL - Spero che Billy si sia ricordato di dirlo all'autista. Non è lo stesso che c'era al matrimo­nio di Vi. Può darsi che non abbia capito.

FRANK - In caso estremo possiamo anche andare a piedi. E' qui a due passi.

SAM - Vi non deve camminare molto.

VI - Non dire sciocchezze, Sam. Mancano ancora dei mesi.

SAM - Sarà, ma mi sembra sciocco correre dei rischi inutili.

FRANK (ad alta voce, vicino alla porta) - Ancora niente, Edie?

EDIE (da fuori) - No. (Entra) Proprio adesso, sono uscite dal numero 12 la signora Baker e la si­gnorina Whitney. Se le vedeste! Come si sono bardate...

SILVIA - La signorina Whitney... Quella vanitosa!

ETHEL - Le piaccia o no, al rinfresco dovrà se­dere accanto al signor Rolton.                   

FRANK - Torna alla finestra, Edie.

QUEENIE - Ma non sporgerti troppo, non è fine.

EDIE (risentita) - E chi si sporge?

SILVIA - Questa notte ho avuto di nuovo quei dolori, Ethel. Una cosa terribile! Hanno comincia­to verso le due...

S. FLINT - Sono tutti quei dolci che mangiate. Non c'è niente che dia acidità, come I dolci.

SILVIA - Non era acidità.  

QUEENIE - Mancano solo dieci minuti, sarà me-glio che mi avvii.

FRANK - Vorrei che la finiste di agitarvi. Mi fate venire il mal di stomaco.

ETHEL - Reg e Billy non avrebbero dovuto im­piegare più di tre o quattro minuti.

S. FLINT - Spero che non sia accaduta, una disgrazia.                         

VI - Oh, nonna, che vuoi che sia accaduto?

S. FLINT -Può sempre accadere qualche cosa.

QUEENIE - In ogni caso non è probabile che siano stati colpiti dal fulmine.                  

SILVIA - Non vedo che disgrazie possano succedere da qui a S. Michele,

S. FLINT - Eh... non si sa mai.

FRANK (irritato) - Va bene, va bene. C'è stato un gravissimo incidente. Il matrimonio è andato a monte. Reg ha una commozione cerebrale e tutti noi passeremo il resto della giornata a sin­ghiozzare.

SILVIA - C'è della gente che non pensa che a or­rori. E' morboso!

S. FLINT - Vi sarei grata se evitaste allusioni per­sonali, Silvia Gibbons.

SILVIA - Mi stancate proprio.

ETHEL - Non le rispondere, Silvia. Finirete per litigare.                                           

SILVIA - Io non voglio dire niente, ma...

S. FLINT - E perché non tacete, allora?

SILVIA (perdendo il controllo) - Chi siete mai per parlarmi in questo modo? Ne ho abbastanza delle vostre punzecchiature.

FRANK - Finiscila, Silvia.

VI - Sai bene che è inutile discutere con lei, zia Silvia.                                                                

SILVIA (violentemente) - Non so niente io. So solo che ne ho fin sopra i capelli. Mattino, giorno e sera, sempre la stessa storia, sempre contro di me, ed io non lo sopporto più. Ho diritto quanto lei di stare in questa casa. Solo perché è vecchia e sostiene di avere il cuore debole, crede di poter dire quello che le pare. Ma ora voglio dirvi una cosa ed è che in vita mia ho avuto abbastanza pene, dolori e sofferenze, perché possa mandar giù le sue eterne punzecchiature e le sue insinuazio­ni maligne. Non è che una spregevole vecchia gatta, e se continuerà ancora, vecchia come è, le farò ballare i denti, a furia di schiaffi.

(Scoppia, in un- violento pianto isterico. La signo­ra Flint con un grido di rabbia, cerca di alzarsi. Frank le si avvicina, e tenta dì calmarla. Bob, Ethel, Vi e Sam sono intorno a Silvia che sin­ghiozza. Queenie contempla la scena con evi­dente disprezzo. Tutti parlano insieme. Edie en-tra di corsa dall'anticamera).

EDIE (eccitata) - E' arrivata, la macchina!

(La confusione generale  e i singhiozzi di Silvia diminuiscono. Tutti si  ricompongono).

FRANK (con calma) - Su, mamma. E' ora d'andare in chiesa.

VI (si avvicina alla S. Flint) - Su, nonna. Vieni con me. (Guida la signora Flint verso la porta)

S. FLINT .- Non ne ho bisogno.      

VI (affettuosa) - E' mèglio, cara. Sai cosa ti succede sempre e la funzione sarà piuttosto lunga...   

FRANK - Portala a quello esterno, Vi. Non c'è bisogno di farle fare le scale.

                          

(Vi esce con la S. Flint che seguita o protestare. Bob, prendendola sottobraccio, esce con Silvia che fa sforzi eroici per controllarsi. Sam e Queenie li seguono).

FRANK (guarda Ethel e ride. Le cinge le spalle con un braccio e uscendo dice) - Andiamo, ragazza mia...    

(Le luci si abbassano).

SIPARIO

Quadro ii

Novembre 1931.

                                    

E' circa mezzanotte.                                     

La scena è vuota e la porta che dà nell'antica­mera è aperta. Non c'è altra luce all'infuori del chiarore del fuoco del caminetto, che sta morendo. La porta finestra è chiusa e le tende tirate.

Si vede Queenie scendere la scala in punta di piedi. Indossa soprabito e cappello, ed ha con sé una piccola   valigia   che   posa   vicino   alla   porta. Accende la luce e,  sempre in punta di piedi, si avvicina al   caminetto  e  lascia una lettera  sulla mensola.   Poi,  guardandosi nervosamente  intorno, spegne la luce, riprende la valigia e va nell'antica­mera. Si sente aprire e chiudere la porta d'ingresso. C'è una breve pausa. L'orologio suona le dodici. Forte rumore alla porta finestra, che si apre, men­tre il vento agita le tende. Si ode la voce di Bob che dice: «Che tempaccio!», poi entra Bob seguito da Frank. Sono vestiti come il solito, ma sul petto hanno le loro decorazioni di guerra. Sono inoltre, tutti e due, leggermente ubriachi.

FRANK - Iddio assista i poveri marinai in una notte come questa.

BOB - Dove è la luce?

FRANK (chiudendo la finestra) - Là... vicino alla porta. (Bob si dirige verso la porta a destra). For­tuna che l'abbiamo trovata aperta. Avremmo svegliato Ethel se fossimo dovuti entrare dalla porta d'ingresso.

BOB (accende la luce) - Ecco qui!

FRANK - Giacché ci sei, chiudi quella porta. (Si toglie l'impermeabile).

BOB - Bene. (Esegue).

FRANK (posando l'impermeabile sulla spalliera di una sedia) - E adesso... (Si dirige verso la cre­denza).

BOB - Adesso che cosa?

FRANK - Ancora un sorso... (Apre la credenza).

BOB (togliendosi l'impermeabile) - Sentirai do­mattina la testa.  (Posa l'impermeabile).

FRANK (tira fuori whisky e bicchieri) - Perché, tu no?

BOB - Ci sono abituato ormai, vecchio mio.

FRANK - Va bene... Dimmi quanto... (Versa il whisky).

BOB - Ehi, vacci piano! (Andando verso la cre­denza).

FRANK (porgendo un bicchiere a Bob) - Reggilo, mentre verso la soda.

BOB (prendendo il bicchiere) - I tuoi occhi sono in condizioni pietose. Da pesce morto!

FRANK - Lasciali stare I miei occhi. Anche i tuoi non scherzano, visti da qui. (Preme violentemente il sifone e la soda spruzza tutti e due).

BOB - Attento!                             

FRANK - Oh, Dio! Adesso ho bagnato la mia medaglia d'oro.

BOB - Ringrazia il cielo che non te l'abbiano data.

FRANK - Già mi servirebbe a molto... (Si dirige verso la tavola tenendo alto il suo bicchiere). Desidero non lasciarmi sfuggire questa occasione per dichiarare che il mio vecchio reggimento è il più valoroso del mondo.

BOB - Certamente, dopo il «5° Surrey».

FRANK - Alle « Teste di Buffalo! »    (Beve).

BOB - Al « 5° Surrey ».

FRANK (generoso) - Bob, anche il « 5" Surrey » è il reggimento più valoroso del mondo.

BOB - Grazie.

FRANK (bevendo) - Al « 5" Surrey».

BOB (bevendo) - Alle « Teste di Buffalo ».

FRANK - Come è quella storiella sulla coppia nel parco che ci ha raccontato quel tale?

BOB (siede) - Vuoi dire quella della guardia, che arriva e comincia a strillare e la donna gli dice...

FRANK (avvicinandosi a Bob) - No, no, non quella.

BOB - Forse quella che ha raccontato quel pie-colino pelato, con gli occhiali?

FRANK - No, no. Quella la ricordo. Una donna che, mentre stava nel bagno, la casa prendeva fuoco. Anche quella era maledettamente buona, te lo dico io. (Comincia a ridere).

BOB - Non ridere. Se comincio io... (Ride).

FRANK (asciugandosi gli occhi) - Le racconta bene quel figlio di...

BOB (quasi convulso) - Non erano tanto le storiel­le in sé, quanto  il modo come le diceva. Friz-zante, ecco quello che era. Frizzante!

FRANK - Questo mi ricorda che... (S'avvia verso la credenza).

BOB (seguendolo) - Basta, vecchio cammello. Devo trovare la casa...

FRANK (voltandosi verso di lui) - T'accompagne­rò io e poi e poi... ne berremo un altro da te.

BOB - Non ci sarebbe mica qualche cosa da met­tere sotto i denti?

FRANK (versando altri due bicchieri e posandoli sulla tavola) - Guarda nella credenza.

(Bob va alla credenza).

BOB - C'è una scatola di biscotti. (La cava fuori).

FRANK - Ci dovrebbe essere anche della pasta di acciughe. (Raggiunge Bob davanti alla credenza).

BOB (porta i biscotti sulla tavola).

FRANK (Tira fuori un vasetto di pasta di acciughe ed una bottiglia di salsa) - Il burro, è nella di­spensa, quindi sarà bene farne  a meno... Silvia dorme proprio sopra la cucina, ed ha un udito da scoiattolo. Organizziamoci! (Va alla tavola). Possiamo stendere la pasta sui biscotti, poi ag­giungere un po' di salsa per rendere il tutto più piccante.            

BOB - E' quello che ci vuole dopo il pranzo che abbiamo fatto. Dov'è un coltello?

FRANK - Nel cassetto. (Erutta. I due si scambia­no inchini). Meglio fuori che dentro, dico sempre io.                                                   

BOB (Trova un coltello nel cassetto e lo porta sulla tavola. Alzando il bicchiere) - Alle «Teste di Buffalo»! (Beve).

FRANK (alzando il bicchiere) - Al «5° Surrey». Dio li benedica! (Beve e siede a tavola).

BOB (ridacchiando) - Bella figura... se ci pesca Ethel.                                                                 

FRANK - Non è forse casa mia questa? E a casa mia posso fare quello che voglio. La casa di un Inglese è il suo castello.                                  

BOB. (avvicinandogli la pasta d'acciughe) - Odorala un momento.

FRANK - Che c'è?

BOB - Mi sembra un po' passata.

FRANK (odorando) - No... Non essere tanto schiz­zinoso... Solo la gomma, sull'orlo. (Pausa) Hai notizie recenti di Billy?

BOB - Sì, mi scrive una volta alla settimana. E' a Malta, ora.

FRANK - Caro il nostro Billy. Gran bravo ragazzo.

BOB - Sai, non ne ho mai parlato molto, ma ho sempre pensato che un giorno lui e Queenie...

FRANK - Oh, Queenie è una spina per me. Tutte quelle arie, tutte quelle fisime... Una buona dose di  legnate...  ecco di cosa avrebbe bisogno.

BOB - Non servirebbe a nulla. Certe ragazze ven­gono su  così, e non c'è niente da fare,

FRANK (battendo dei colpi affettuosi sul braccio dì Bob) - Ascolta, Bob, vecchio mio. Io desidero esattamente quello che desideri tu. Ho sempre voluto che Queenie e Billy stessero insieme fin da quando erano piccoli. Preferirei che nella mia famiglia entrasse Billy più che qualunque altro al mondo Questo è positivo e tu lo sai, non è vero?                   

BOB - Certo che lo so.                         

FRANK - Ma è inutile cercare di spingere una persona per una strada che non vuole percorrere.

BOB - Credo che Billy le sarà sempre vicino, qua­lunque cosa lei possa fare.               

FRANK (quasi duramente) - Che intendi dire?

BOB - Non so... Voglio dire solo che l'ama, ecco tutto.                  

FRANK - E' strano. Avere dei figli, e poi stare a guardare quello che diventano col passare degli anni.            

BOB - Reg è proprio il tipo che mi va a genio.

FRANK (sorridendo) - Ora sì, che parli bene.

  

(Siedono in silenzio per un istante pensierosamente).

BOB - Però, che mondo strano! Ci pensavo questa sera, guardando tutti quei ragazzi del tuo reggi­mento... Quello che poteva passare nella loro mente...Molti sembravano  sistemati bene,  non   c'è dubbio, ma è chiaro che qualcun'altro era in con­dizioni non troppo buone.

FRANK - Noi siamo stati fortunati.

BOB - Proprio così,

FRANK (alzandosi e facendo qualche passo) - Mi chiedo quando ci sarà la prossima guerra. BOB - Non la vedremo né noi né i nostri figli, grazie al cielo ! Bene, adesso è proprio ora che rientri alla base. (Si alza).

FRANK (prendendo il bicchiere di Bob) - Ancora un sorso prima di andare.

BOB (dietro la tavola) - Senti, ragazzo mio... Sia­mo pieni fino al collo, mi pare.

FRANK (avvicinandosi alla credenza) - Appena appena una goccia per tenerti su durante il viaggio.

BOB - Il viaggio! Sono qui a due passi!

FRANK (versando il whisky) - Non capita mica tutti i giorni una festa come questa.

BOB - Ehi, basta! (Afferra, il braccio di Frank per impedirgli di versare ancora, e la bottiglia cade a terra fracassandosi).

FRANK (mentre Bob fai un passo indietro) - Ve­di che hai fatto? Bè, ne daremo la colpa al po­vero Percy. (Raccoglie la bottiglia, poi si rad­drizza di scatto) Sss... Ascolta!

(Tutti e due sono in ascolto. Rumore di passi per le scale).

BOB - E' meglio che io me la fili. (S'avvia verso la porta finestra).

FRANK - Bravo! Abbandoni il tuo migliore ami­co sotto il fuoco dei grossi calibri.

BOB (tornando indietro) - E va bene... Coraggio, allora! Siamo pronti!

FRANK - Petto in fuori. Mento in alto!

(Rimangono ritti sull'attenti. Entra Ethel. I due salutano militarmente. Ethel è in veste da came­ra ed ha i capelli in piega per la notte).

ETHEL - Che intenzioni avete, se è lecito domandarlo?                                          

FRANK - Bob era proprio sul punto di uscire.

ETHEL - Oh... Proprio sul punto di uscire, eh?

BOB - Ci dispiace di avervi svegliata, Ethel.

ETHEL - Che cosa avete rotto?

FRANK - Quella povera bottiglia di whisky ...

ETHEL - Credo che sappiate che ora è !

FRANK - Gli orari sono stati creati per gli schiavi.

ETHEL - Va a letto, Frank Gibbons. Più tardi ti dirò una parolina.

BOB  - E   stata colpa mia, Ethel...

ETHEL - Dovreste vergognarvi tutti e due. All'e­tà vostra. Tornare ubriachi e svegliare tutta la casa.                                  

FRANK (facendo un passo verso di lei) - Tu non sei una casa, ragazza mia. Tu sei solo una capannuccia nella buona e nella cattiva sorte. (Sorride).

ETHEL - Te la dò io la capannuccia. Su, Bob, è ora di andare a casa.

FRANK - Non lo maltrattare, Ethel, E' il mio mi­gliore  amico. In  questo momento può sembrare un po' sfasato, lo ammetto, ma è pur sempre il mio migliore amico.                                 

BOB - Chi è che sembra sfasato?           

FRANK - Tu.                                           

BOB - E tu, allora?                                              

ETHEL - Siete sfasati tutti e due. Ma non è niente in confronto allo stato in cui sarete domattina. Andate,  Bob. Non  ho intenzione di restare qui a buscarmi una polmonite.

BOB (prendendo il suo impermeabile) - Va bene.     Capisco l'allusione. Buona notte, signora Gibbons. Buona notte, sergente. E stato un vero piacere. All'erta «Teste di Buffalo»!

(Tutti e due, a piacere: « Granatieri della Guar­dia, 5°  Surrei, 3° Artiglieria da Campagna, Fu-   cilieri  del  Galles ».  Bob  esce con vivacità, tra­ballando leggermente, dalla porta finestra. Ethel va verso la tavola, e chiude la finestra. Si volta e guarda Frank pensosa).

                                

FRANK (Alzando una mano) - Mordi, mordi pu­re... Te ne pentirai un giorno.

ETHEL - La prossima volta che partecipi ad un banchetto del reggimento, puoi anche andare a smaltire la sbornia in un albergo. Non permetto, capisci? Questa è la mia stanza da pranzo e non una taverna!

FRANK - Magari lo fosse!

ETHEL - Va su, mettiti a letto e sta' attento a non fare chiasso. (Si volta e vede la lettera di Queenie) Che è?

FRANK - Che cosa?

ETHEL (avvicinandosi al caminetto) - Questa lettera.

FRANK - Io non ho scritto nessuna lettera.

ETHEL (prendendola) - E' calligrafia di Queenie. (L'apre).

FRANK - Ehi... Chi ti autorizza a leggere le let-tere private di nostra figlia?

ETHEL (aspra) - E' indirizzata a te e a me.

FRANK - Che diavolo ... (S'avvicina alla tavola).

(Ethel legge la lettera e poi rimane un momento impietrita, con lo sguardo fisso dinanzi a sé. Frank va verso di lei, Ethel gli porge la lettera).

ETHEL - Se ne è andata, leggi. (Siede quietamente sulla poltrona e si copre il volto con le mani).

FRANK (Legge attentamente la lettera) - Chi è lui? L'hai visto mai?                                              

ETHEL - No.

FRANK - La riporterò in casa e gliene darò tante da ricordarsene per tutta la vita

ETHEL - Non la troverai. Non dice dove è andata.

FRANK (leggendo) - ... Ci amiamo ...  Sua mo- glie non  vuole  divorziare...  Non  possiamo  vivere l'uno senza l'altro... e così ce ne andiamo insieme ». (Gualcisce nervosamente la lettera) E' colpa nostra. Avremmo dovuto capire che sareb­be finita così. L'abbiamo  sempre lasciata troppo libera, da quando era bambina... Queenie... (La voce gli si spezza. Ethel rimane immobile, senza dire una parola. Frank le va vicino) La ritrove­remo ... non stare in pena. Sapremo chi è lui al negozio.  Deve averlo conosciuto lì. La riporteremo a casa.

ETHEL (con improvvisa violenza) - Non la voglio più, a casa! Non è figlia mia. Non voglio più vederla per tutta la vita.

FRANK - Non dire così, Ethel.

ETHEL (controllandosi) - Parlo seriamente. Ho fatto di tutto per insegnarle a vivere onestamen­te, comportarsi bene; ma non è servito a niente.

FRANK - Se davvero ama tanto quest'uomo... Forse è stato più forte di lei... Non ha potuto resistere.

ETHEL (guardandolo) - Tu non giudichi quello che ha fatto con gli stessi occhi miei... è vero?

FRANK - Non so.                                   

ETHEL - Tu ed io non abbiamo mai avuto le stesse idee per quello che è bene e quello che è male. Se tornasse domani, tu l'accoglieresti a brac­cia aperte, non è vero? Ma io no. Tu l'hai sem­pre incoraggiata... lei era tanto intelligente... e ti sei lasciato prendere la mano.

FRANK - Ho solo cercato di non perderla sul serio, invece di sgridarla.

ETHEL - Allora puoi riderci sopra anche adesso, non è vero?

FRANK (avvicinandosi a Ethel) - Non dare tutta la colpa a me, Ethel. E' anche figlia tua.

ETHEL - Non dò la colpa a nessuno. Ho fatto del mio meglio. Non posso fare altro.

FRANK - Non puoi, all'improvviso, smettere di volerle bene, anche se ha sbagliato.

ETHEL - Posso tentare.

FRANK - Non è ragionevole,

ETHEL - Non c'entra la ragione. E' quello che sento.

FRANK - Non ti ho mai vista così. Sei dura, inflessibile...

ETHEL - Come pretendi che sia?

FRANK - Non so. Ho l'impressione che tu non ab­bia mal voluto bene a Queenie, come agli altri due.

ETHEL - Non è bello quello che dici.

FRANK (facendo un passo avanti) - Ma è vero, no? (Siede sulla tavola con pii occhi bassi).

ETHEL - No, non è vero. E' stata quella che m'ha sempre dato più preoccupazioni, questo sì e non ha mai cercato di essermi d'aiuto come Vi, anche questo è vero. Ma le ho voluto bene proprio co­me agli altri e tu non devi sostenere il contra­rio. Non serve a niente dare a me la colpa di quel che ha fatto. Lo ha fatto di sua volontà e non glielo perdonerò mai, sino alla fine dei miei giorni.

FRANK (avvicinandosi al caminetto) - Se la pren­di in questo modo è inutile parlarne. (Resta im­mobile presso il caminetto voltando le spalle a Ethel).   

ETHEL (dopo una pausa) - Spegni tu?

FRANK (voltandosi supplichevole) - Ethel...

ETHEL (dura) - Io torno a letto ora. (Avvicinan­dosi alla tavola) Prima di salire, rimetti questa roba nella credenza.

(Ethel esce senza guardarlo, Frank mette in tasca la lettera di Queenie, poi va stancamente alla tavola, prende i biscotti, la salsa e la pasta di acciughe e mette tutto nella credenza. Siede vi­cino alla tavola per un istante. Poi nasconde il viso tra te braccia. Le luci si abbassano).

SIPARIO

Quadro iii

Maggio 1932.

Sono circa le quattro e mezza di un bel pome­riggio. La porta finestra è spalancata. Fuori, nel giardino, Frank  estirpa le erbacce.

La signora Flint lavora a maglia nella sua pol­trona presso il camino. Silvia è seduta alla tavola, con un giornale e il dizionario, intenta alla solu­zione di parole incrociate. Una radio nuova di zec­ca sta sul mobile in fondo a destra. Suona in sor­dina. Edie va e viene con l'occorrente per il tè.

SILVIA (soddisfatta) - Trovato!

S. FLINT - Che cosa?

SILVIA - Un nome biblico di quattro lettere con una  *s »: Mosè.

S. FLINT - L'avrei indovinato anche io.

SILVIA - Potevate dirmelo quando ve l'ho chiesto, allora.

S. FLINT - Perché preparate il tè così presto?

SILVIA - Perché Frank ci porta al cinema.

S. FLINT - Vorrei che chiudessero quella radio. Mi dà ai nervi.

SILVIA  (alzandosi)  -  Ethel  la  farebbe  suonare  tutto il giorno, solo perché l'ha avuta in regalo da Reg. (Chiude la radio).

S. FLINT - Avremo sicuramente un terremoto. A-vete fatto qualche cosa per me, senza brontolare.

SILVIA (ritornando alla tavola) - Non comincia­mo adesso, signora Flint.

S. FLINT - Non cominciamo un bel niente. Mi li­mitavo a fare una osservazione.

SILVIA (piegando il giornale) - Oh... l'ho fini­to, tranne la lunga orizzontale e la corta verti­cale, con una x.

S. FLINT - Devo dire che quel lavoro stabile alla biblioteca vi ha fatto molto bene.

SILVIA (posando il giornale) - Non so che intendete  dire.

S. FLINT - Non siete più permalosa come prima... quando scattavate alla minima sciocchezza.

SILVIA - E' una cosa che mi rallegra moltissimo.

S. FLINT - E' stato un giorno felice per tutti, quello in cui incontraste la signora Wilmot.

SILVIA - Ancora una volta non comprendo a che cosa alludiate.

S. FLINT - Ma sì che capite...

SILVIA (guardando la signora Flint) - Vorrei che una volta tanto la smetteste di stuzzicarmi. (Pren­de il  dizionario).          

S. FLINT - Dicevo soltanto che è stata una for­tuna che abbiate conosciuto  la signora Wilmot.

SILVIA (verso la credenza, con il dizionario):- Be­ne... E' meglio non discuterne.

S. FLINT - Da qualche settimana non soffrite più dei vostri mal dì testa, non è vero?

SILVIA (tagliente) - Già.

S. FLINT - Vedete, dunque...

SILVIA - Preferireste che fossi come prima, quan­do la notte non potevo chiudere occhio e quando soffrivo, vivendo nell'errore.

S. FLINT - In che?

SILVIA - Nell'errore.

S. FLINT - Ah... Era per questo, allora.

SILVIA - E non è il caso di fare dell'ironia sulla signora Wilmot. E' una donna meravigliosa,

S. FLINT - Dev'esserlo senz'altro, se è riuscita a farvi entrare in testa che tutti i vostri malanni erano tutte fisime. Da anni lo vado ripetendo.

SILVIA (sistema l'occorrente per il tè sulla tavola) Allora non ne parliamo più, va bene?

S. FLINT - Sì, finché non vorremo parlarne più.

(Entra Frank dal giardino. E' in maniche di camicia).

FRANK - Quando sarà pronto il tè?

EDIE (entrando con il latte e lo zucchero) - Tra pochi minuti. Il bricco è sul fuoco.

FRANK - Di' a Ethel di cominciare senza di me, Silvia. Ho un'aiuola da fare,  ancora. Dove sta?

SILVIA - Di sopra, a riposare.

FRANK (vedendo un vaso di fiori sul caminetto) - Chi ha messo questo biancospino qui?

SILVIA - Io. Ha  un  colore così bello...

FRANK (togliendo il vaso) - Dovresti sapere che il biancospino non si porta mai dentro casa.

SILVIA - E perché?

FRANK - Porta sfortuna.

SILVIA (mostrandosi molto divertita) - Come fai a credere a certe cose?

FRANK - Sei nata in campagna, come me, cara Silvia, Molti anni fa, lo ammetto.

SILVIA (scuotendo la testa) - Non hai nessun bi­sogno di essere villano. Tu e il tuo biancospino!

FRANK (uscendo) - Ricordati di non farlo più.

SILVIA (andando verso la tavola, ed occupandosi del tè) - Frank è cambiato molto da quando è andata via Queenie.

S. FLINT - Non mi accorgo di questa differenza.

SILVIA - Credete che finirà per tornare?

S. FLINT - Se torna le darò io la lezione che me­rita. Rovinare così la nostra riputazione.

SILVIA – L’altro giorno Frank ha ricevuto una sua lettera.

S. FLINT (bruscamente) - Come lo sapete?

SILVIA (avvicinandosi alla credenza) - E' arri­vata con la posta di mezzogiorno, insieme con una lettera della signora Wilmot. Edie era di so­pra e così l'ho ritirata io. Ho riconosciuto subito la calligrafia.

S. FLINT - Pensate che Ethel lo sappia?

SILVIA - Non è probabile... Lei non vuole nem­meno sentirla nominare. (Siede alla tavola). Il francobollo era francese.

S. FLINT - Disgustoso!

ETHEL (entrando) - Che cos'è disgustoso?

S. FLINT - Mio Dio, Ethel, mi hai messo paura.

ETHEL (venendo avanti) - Che cos'era disgustoso?

SILVIA - Un francobollo francese.              

ETHEL - Un francobollo francese? Di che dia-volo state parlando?  (Chiude la porta).         

SILVIA - Parlavamo di quella lettera di Queenie che Frank ha ricevuto.                                         

ETHEL - Davvero?                                         

S. FLINT - Allora era proprio eli Queenie?     

SILVIA - Lo sapevi?                                        

ETHEL - Silvia, è un peccato che il tuo «Circolo di Cultura » non ti abbia insegnato, tra le altre cose, a pensare ai fatti tuoi.                                  

SILVIA - Non vedo proprio che ho fatto di male.

ETHEL - Sapete benissimo che non voglio che in questa casa si pronunci il nome di Queenie. S'è scelta una strada, ecco tutto. Non fa più parte della famiglia.                                                       

S. FLINT  (sentenziosa) - Ho sempre saputo che quella ragazza non sarebbe finita bene.

SILVIA (si alza e si volta).

ETHEL - Sia detto una volta per sempre. Tieni la : lingua a posto, mamma. Ne ho fin sopra i capelli dei pettegolezzi che tu e Silvia fate dietro le mie spalle.

S. FLINT - Bella questa!

ETHEL - Ti piaccia o no, finiscila! Dov'è Frank?

SILVIA (sostenuta) - In giardino. Ha cominciato un'altra aiuola.

ETHEL - Il tè è pronto.

SILVIA - Ha detto di non aspettarlo.

 

(Entra Edie con il bricco del tè. Ethel siede a ta­vola,   e comincia a versare. Pausa. Edie via di nuovo).

SILVIA (alla signora Flint) - Venite a tavola, o devo portarvelo lì?                                             

S. FLINT - Rimango qui. Meno apro bocca, meglio è.                                                                      

ETHEL (dando una tazza a Silvia) - Tieni, portaglielo.

SILVIA  (portando la  tazza alla signora Flint) - Pane e burro?

S. FLINT - No, grazie. Vorrei un biscotto, se c'è.

SILVIA - Va bene. (Porge la scatola dei biscotti alla signora Flint che ne prende qualcuno. Poi torna alla tavola e siede. Ancora una pausa. Ethel  si alza e accende la radio).

ETHEL (tornando alla tavola) -  Mi dispiace  di essermi lasciata andare con te, Silvia.

SILVIA  (graziosamente) - Non  importa,  figurati.

ETHEL - Questo pomeriggio ho dormito un po' ed ho fatto un brutto sogno.

SILVIA - Che hai sognato?

ETHEL - Non ricordo. Mi sono svegliata con l'im­pressione che fossimo arrivati alla fine del mondo.

SILVIA (con allegria forzata) - Dicono che acca- de sempre il contrario di quello che si sogna.

ETHEL - Sì, eh?

S. FLINT - I miei denti peggiorano, di giorno in giorno. Non riesco più a masticare.          

ETHEL - Prova a inzupparli.                

S. FLINT - E' quello che sto facendo.

ETHEL - Vorrei che Frank venisse a prendere il tè. Faremo tardi senza accorgercene.

SILVIA - Perché non glielo porti in giardino? Mangia sempre così poco?

ETHEL (guardando l'orologio) - Sono già le quattro e mezza.

SILVIA -Glielo porto  io,  se vuoi.

ETHEL - No, vado io. Quando si mette a traffi­care in giardino, andrebbe avanti per tutta la notte, se lo lasciassimo fare. (Prende una tazza di tè e va in giardino).

SILVIA - Perché non andate a mettervi il cappello, intanto?..

S. FLINT - C'è tempo. Frank dovrà lavarsi prima di uscire.

(Si ode suonare il campanello d'ingresso).

SILVIA - Chi può essere?

S. FLINT - Reg e Phyl, forse.

SILVIA - Non è possibile. Sono andati a Sevenoaks con quei loro amici.

S. FLINT (in ascolto) - Ma va ad aprire Edie?

SILVIA - Sì, l'ho sentita uscire dalla cucina.

(La porta si apre ed entra in fretta Vi. E' palli­da e tremante).

SILVIA - Vi... (Si alza) Che è successo?

VI (chiudendo la porta) - Dove sono papà e mam­ma?

SILVIA - In giardino.

VI (affannosamente) - Porta via la nonna... Una disgrazia... Reg e Phyll... Devo dirlo a papà e a mamma.

S. FLINT - Che c'è? (Posa la tazza sul tavolinetto da lavoro).

SILVIA - Una disgrazia? Che è successo?

VI - Stavano nella macchina di Reg, e un autocarro alla curva...                                              

SILVIA - Si sono fatti molto male?

VI - Sono morti.                                  

SILVIA - Oh, Dio! (Piomba a sedere vicino alla tavola)                                                              

VI - La signora Goulding era con loro. Sapeva il  mio numero di telefono, e mi ha chiamato dal-   l'ospedale. Lei era dietro, ed è stata sbalzata fuori. Ti prego, porta su la nonna. Devo dirglielo da soli...

SILVIA (scoppiando in pianto) - Oh, Dio mio! (Si alza, coprendosi it viso con le mani).   

VI  (avvicinandosi a lei) - Non piangere, zia Sil­via... Ti sentiranno... Non farti sentire. (Da un'occhiata verso la porta finestra).

(Silvia va verso sinistra, facendo ogni sforzo per . contenersi, ma sempre singhiozzando, ed esce so­stenendo la signora Flint. Quando Silvia e la si­gnora Flint sono andate via, Vi chiude un mo­mento gli occhi, si fa forza e va in giardino. La stanza rimane vuota per un minuto o due e non si sente che il suono tenue della radio e il rumore di una falciatrice in un giardino accanto. Poi Frank e Ethel entrano soli. Frank tiene un braccio intorno alle spalle della moglie. Tutti e due tacciono. Egli la guida lentamente alla pol­trona presso il caminetto e, con dolcezza, la fa sedere. Poi avvicina un'altra sedia e le siede ac­canto. Le prende una mano e restano seduti in silenzio. Le luci si abbassano).

SIPARIO


ATTO    TERZO

Quadro i

10 dicembre 1936.

Poco dopo le dieci di sera.

Gli avanzi della cena sano stati messi da parte per fare posto alla radio che è collocata nel mez­zo della tavola. Intorno ad essa siedono Frank, Ethel e Silvia. Vi e Sam sono seduti accanto al ca­minetto. La radio ha appena finito di trasmettere il discorso di addio di Re Edoardo VIII, dopo la sua abdicazione. Silvia piange. Tutti gli altri tac­ciono. Frank ed Ethel sono molto invecchiati nei quattro anni dalla morte di Reg. Hanno rispetti­vamente 52 e 51 anni, ma sembrano più vecchi. Silvia, invece, che ha la stessa età di Ethel, sem­bra persino più giovane di prima. Ciò indubbia­mente è dovuto alla sicurezza di sé acquistata fre­quentando il Cìrcolo di Cultura, ed al brillante esempio della signora Wilmot. Vi e Sam dimostra-no di essere ima coppia di sposi ben sistemata

e  agiata.   Sam è molto ingrassato ed ha preso l'aspetto di un uomo maturo. All'alsarsi  del sipario la radio emette rumori e sibili. Frank si alza e la chiude.

FRANK - Questo è tutto. Strano pensare che è stato ascoltato in tutto il mondo. (Prende una si­garetta) Stasera non c'è altro. Tutte le stazioni hanno sospeso le trasmissioni. (Esce).

(C'è un momento di silenzio, rotto solo dal ru­more che Silvia fa col naso, dopo aver pianto. Ethel si alza, stacca il calendario dalla parete e lo getta nel cestino della cartaccia).

SILVIA - Ethel, che fai?

ETHEL (andando verso la porta) - Tanto siamo quasi alla fine dell'anno. (Esce).

VI - Meglio mettere la radio al suo posto. Aiutami, Sam.

(Sam si alza e aiuta Vi a mettere a posto la radio sul tavolinetto di destra).

SAM - Dobbiamo andarcene subito. La signora Burgess non può rimanere oltre le dieci e mez­za, e non è il caso di lasciare i bambini soli.

SILVIA (si alza e comincia a raccogliere i piatti).

VI - Vado a prendere il cappello. L'ho lasciato nella camera di mamma. (Esce).

SAM (tornando verso il tavolinetto) - Come va la biblioteca, zia Silvia?       

SILVIA (seguitando a sparecchiare) - Benissimo; ma me ne andrò il mese prossimo.

SAM - Credevo che fossi contenta di lavorarci.

SILVIA (prendendo un vassoio dalla credenza) -Sì, ma vado con la signora Wilmot. Vuole che l'aiuti nel suo circolo culturale di Via Baker.

SAM - Ah... capisco.

SILVIA - Come stanno i bambini?

SAM - Sheila benissimo, ma Joan è un po' sciupata in questi giorni.

SILVIA - Povera piccola.

SAM - Il dottore dice che ancora non si è rimessa dal raffreddore del mese scorso.

SILVIA (poco convinta, andando verso la credenza con la zuccheriera) - Davvero?

SAM  (leggermente irritato)  - Ha  avuto qualche linea di febbre  due notti fa, e così la teniamo a letto.

SILVIA (tornando verso la tavola per piegare la tovaglia)  - Se  credi ai  dottori,  è  meglio fare quello che  dicono.

SAM - Tutto fa supporre che se ne intendano un po' più di noi, non è vero?

SILVIA - No, credo di no.

SAM (risentito) - Che faresti se ti rompessi una

gamba? Penso che dovresti chiamare un dottore.

SILVIA  (riponendo  la  tovaglia nel  cassetto  della credenza)  -   Cercherei di non rompermi una gamba.

SAM (insistente) - Ma se te la rompessi? Se ti investisse una macchina senza nessuna colpa da parte tua?

SILVIA (andando verso la porta) - Mi farei curare,  certamente.

SAM - Vedi, allora ?...

SILVIA   (con  un sorriso di compassione,  aprendo la porta) - Tu non capisci, Sam. Dopo tutto non vedo  perché  dovresti  capirmi. Non ti sei mai soffermato sulla questione, vero?  (Esce).

SAM (alzando leggermente la voce) - No.

SILVIA (rientra) - Non mi farei curare il corpo, ma lo spirito.

SAM - E servirebbe a guarire una frattura multipla?

SILVIA - Certamente.

SAM - Prima di crederlo vorrei vederlo con i miei occhi.

SILVIA - Se avessi fede, non avresti bisogno di vedere con i tuoi occhi.

SAM - Oh, no. Dovrei sempre vedere.

SILVIA (con dolce, incrollabile superiorità) - Caro Sam!

FRANK (rientrando) - Dov'è Ethel?

SILVIA - In cucina, credo.

FRANK - Si sente la mancanza di Edie, noi c'è che  dire.  Ho tentato di farle prendere un'altra

ragazza, ma  non vuole.

SILVIA - Non c'è più molto da fare, da quando la signora Flint è passata a miglior vita.

FRANK - Vorrei che non parlassi in questo modo, Silvia. E' idiota.

SILVIA - Non capisco che intendi dire.  

FRANK (fermamente con forza) - La mamma è morta, capisci! Cominciò con l'influenza, poi diventò polmonite. Il cuore, che non era stato mai tanto forte, non ha retto ed è morta.

(Entra Ethel seguita da Vi in soprabito e cappello).

    

ETHEL - Che avete da gridare?                   

FRANK (accanto al caminetto) - Non grido affatto. Stavo solo spiegando a Silvia che la mamma. è morta. E' semplicemente morta.              

ETHEL - In ogni caso non mi sembra un argomento opportuno.

VI - Andiamo. Sam. Buona notte,  mamma. (La bacia).                                                             

ETHEL - Buona notte, cara. Se domami dopo pran­zo vuoi uscire, verrò io a badare alle bambine.

VI - Grazie. Buona notte, papà.

FRANK - Ciao, cara.

VI - Buona notte,  zia  Silvia. Non  fare  caso a quello che dice papà. E' un vecchio impertinente.   (Esce da destra).

SAM - Buona notte a tutti.

FRANK - Vi accompagno alla porta.

(Frank e Sam escono).                                                                

SILVIA - Credo che me ne andrò a letto, Ethel.

ETHEL - Va bene, cara.

SILVIA - E i piatti?

ETHEL - Li laverò io domattina. Ho lasciato tutto nell'acquaio, per stanotte.

SILVIA (baciandola doverosamente) - Allora, buona notte.

ETHEL Buona notte. (Silvia esce).

(Ethel rimasta sola, guarda l'orologio, poi prende alcun calzini dal cesto da lavoro, siede sulla poltrona e comincia a rammendare. Rientra Frank).                                                                   

FRANK - Vi, ha l'aria un po' abbattuta, non ti pare? (Chiude la porta).

ETHEL - E' preoccupata per Joan, credo.             

FRANK (andando verso il caminetto) - Si rimetterà subito. Ti ricordi quante ansie, quando Queenie era piccola ?                                               

ETHEL - Già.                 

FRANK - Scusami. Avevo dimenticato.

ETHEL - Beato te.

FRANK - Sei strana Ethel, lasciatelo dire.

ETHEL - Può darsi. Siamo come Dio ci ha fatti...

FRANK - Allora non posso dire altro che avrebbe potuto farle meglio, certe persone, senza af­faticarsi troppo.

ETHEL - Frank, ti ho già detto tante volte, che

non voglio sentirti parlare così.

FRANK - Non mi riferivo a te.

ETHEL - Non m'importa a chi ti riferivi. Dovresti avere la delicatezza di rispettare le idee altrui.

FRANK - Quanto a questo ci sono molte cose in cui credo.                                                 

ETHEL - Sono lieta di saperlo,                   

FRANK - Ed una di esse è che non è generoso es­sere inesorabili con il prossimo, soprattutto quan­do si tratta della propria figlia.                           

ETHEL - Noti sono inesorabile.  Solo non voglio più pensare a lei.

FRANK - Questa è una delle cose a cui non credo.

ETHEL - Cambiamo discorso, vuoi? (Pausa).

FRANK - Vorrei che tu prendessi un'altra ragazza al posto di Edie. (Si volta e siede sull'orlo della tavola).

ETHEL - Non ne ho bisogno, ora che siamo solo in tre.  Silvia  di  tanto   in  tanto  mi  aiuta,  e,  una volta alla settimana, viene la donna per i lavori pesanti.        

FRANK - Ce lo potremmo permettere senza sforzo.

ETHEL - Può essere... Ma abituare un'estranea al nostro genere di vita, sarebbe più fatica che altro.

FRANK - L'idea che qualcuno avesse il coraggio di sposare Edie, non m'era  mai passata per la testa.

ETHEL - Non vedo perché. E' una buona ragazza e una brava lavoratrice.

FRANK - Le stesse precise ragioni che mi hanno indotto a sposare te.

ETHEL - Non dire sciocchezze.

FRANK (alzandosi) - Non sarà una bellezza - mi dissi - ma è una gran lavoratrice, non c'è dubbio.

ETHEL - Non hai niente di meglio che star lì a fare lo spiritoso?

FRANK - No, niente di particolare.

ETHEL - Perché non ti metti a leggere il giorna-le? (Si sente battere alla porta finestra) Sarà Bob. Finalmente mi lascerai lavorare in pace.

(Frank apre la porta finestra e fa entrare Billy. Billy ha ormai 34 anni ed indossa l'uniforme di ufficiale. Gli anni lo hanno reso più robusto, ma, a parte ciò, è cambiato poco).

FRANK - Questa sì che è una sorpresa! Billy!

BILLY - Salve, signor Gibbons, (Va verso Ethel che si alza. Frank chiude la porta).

ETHEL - Bravo Billy. Non sapevo che fossi tor­nato. (Si stringono la mano).

BILLY - Ho una licenza  di Quindici  giorni. Mi hanno trasferito da un incrociatore a un caccia.

(Ethel siede).

FRANK (con le spalle al caminetto) - Sei contento?

BELLY - Lo credo bene. 

FRANK - Che differenza c'è?

BILLY - Una quantità di piccole cose. Prima di tutto, alloggio nel quadrato, poi ho i miei turni dì  guardia  da sorvegliare  e...  insomma!...  l'am­biente è più simpatico, capite...

FRANK - Vuoi bere?

BILLY - No,  grazie. Ho bevuto proprio  ora con papà.

ETHEL - Viene anche lui?

BILLY - Sì, credo. Un po' più tardi.

ETHEL - Sarà  contento  di  averti  a casa. Deve sentirsi molto solo da quando il Signore ha preso con sé tua madre.

FRANK - Nora è morta, Ethel. (Pausa) Bill, una sigaretta?                                    

ETHEL - Dovresti vergognarti di parlare così da: vanti a Billy.

BILLY (accendendo la sigaretta) - In fondo, è stata per lei una liberazione, signora Gibbons  Dopo tanti anni, di letto...

ETHEL - Vuoi una tazza di tè? Te la preparo in un minuto, sai.

BILLY - No, grazie, signora Gibbons. Veramente

avrei qualcosa da dirvi, a tutti e due.

FRANK - Sì, Billy... Di che si tratta?

BILLY - Mi sento un po' imbarazzato. Volevo che papà venisse anche lui a darmi una mano, ma non c'è stato verso...

FRANK - Un uomo grande e grosso come te che sta ancora attaccato alla giacca di papà! Che t'è successo?

ETHEL (bruscamente, con un improvviso presentimento) - Che c'è Billy?

BILLY - Si tratta di Queenie.

(Pausa, Ethel posa il lavoro).

ETHEL (irrigidendosi) - Ebbene?

BILLY - Andate ancora in collera solo a sentirla nominare.

ETHEL - Non sono in collera.

FRANK - L'hai vista, Billy?

BILLY - Sì, l'ho vista.

FRANK (con ansia) - Come sta?

BILLY - Bene. (Un'altra pausa. Billy si volta im­barazzato).

ETHEL (con evidente sforzo) - Cosa volevi dire a proposito di Queenie?

BILLY (in fretta) - Signora Gibbons, comprendo il vostro stato d'animo, davvero... ed anche lei lo comprende. Sa bene il male che vi ha fatto, andando via così. E non ci è voluto molto per­ché se ne rendesse conto. Non sono state tutte rose per lei, sapete? Ne ha passate molte. (Va verso la tavola) Lui, l'uomo col quale partì - il maggiore Blunt - l'ha lasciata dopo un anno. E' tornato da sua moglie. L'ha lasciata in una specie di pensione a Bruxelles...

ETHEL   (amaramente)  -  Quanto ci ha messo a trovarne un altro? (Riprende a lavorare).

FRANK - Ethel!

BILLY - Molto tempo. Più di tre anni.

ETHEL (curvandosi sul lavoro) - Allora sta bene, adesso, no?

BILLY -  Si...  ora sta bene.

FRANK (andando verso la tavola) - Che intendi dire? Perché ne ha passate tante?

BILLY - Ha cercato di guadagnarsi da vivere, con un lavoro e un altro. Ha fatto l'indossatrice in un negozio di mode per oltre un anno. Era riuscita a mettere qualcosa da parte e stava ritornando in Inghilterra, per riprendere il suo lavoro di manicure, quando si ammalò di appendicite e fu ricoverata all'ospedale.

FRANK - Dove... dove è stata all'ospedale? Quan­to tempo fa? (Siede).

BILLY - A Parigi, circa un anno fa. (Va verso il caminetto) All'ospedale conobbe una vecchia Scoz­zese, una vicina di letto; e poco dopo si trasferi­rono tutte e due a Mentone, nella Francia meri­dionale, ed aprirono una sala da tè, frequentata solo da turisti inglesi. E' li che l'incontrai per caso. Stavamo facendo una crociera estiva e la mia nave si fermò a Mentone. Scesi a terra con un paio di amici, per prendere una tazza di tè... e l'ho trovata.

ETHEL - È ancora lì?

BILLY - No, non più.

FRANK (voltandosi) – Dov’è, allora?

BILLY - Qui.

(Frank si alza).

ETHEL - Qui?

FRANK - Come... qui?

BILLY - A casa mia... con papà.

ETHEL (si alza di scatto, lasciando cadere a terra il lavoro) - Billy!

BILLY - Ci siamo sposati la settimana scorsa a Plymouth.

ETHEL - Sposati?

BILLY (con semplicità) - L' ho sempre amata. E ho sempre detto che l'avrei attesa.

FRANK (con voce rotta) - Oh, figliolo... (Andan­do verso Billy) Non posso crederci. Oh...

(Strin­ge con violenza la mano a Billy e corre fuori. Billy torna da Ethel).

BILLY Ora la perdonerete, signora Gibbons? Non è vero?

ETHEL (con voce alterata) - Non ho altra scelta.

BILLY - Ho sempre pensato che vi sarebbe pia­ciuto di avermi per figlio.

ETHEL - Meglio tardi che mai!... Proprio così, no?... (Ride e piange nello stesso tempo) Meglio tardi che... mai. Oh, Dio... (Billy l'aiuta a sedere).

BILLY - Volete bere qualcosa?

ETHEL - Sì, per favore.

BILLY  - Dove?

ETHEL - Nella credenza.

(Billy va rapidamente alla credenza e versa del whisky puro in un bicchiere. Lo porge ad Ethel che beve, Billy le prende una mano e l'accarezza af­fettuosamente. Frank rientra, conducendo Queenie per mano. E' vestita sobriamente ed è pal­lida. Un momento di silenzio imbarazzato. Frank è alla destra di Queenie. Ethel si alza).

QUEENIE - Mamma!  

ETHEL - Sei tornata, eh... cattiva bambina?

QUEENIE (avvicinandosi lentamente alla madre) -Sì, mamma.

ETHEL (abbracciandola) - Bel modo di comportar­si... Farmi stare  così in pena...

(Le luci si abbassano).

SIPARIO

Quadro ii

10 Settembre 1939.

Sono circa le nove di sera.

Ethel e Queenie hanno finito di cenare e sono salite a vedere se il bimbo di Queenie, che ha quattro mesi, dorme bene. Silvia e Vi sono ancora a tavola.

SILVIA - C'è ancora un po'  d'acqua calda?

VI - No.

SILVIA - Ne avrei voluta un'altra tazza.  

VI - Faccio un salta a prenderla. (Alzandosi)

SILVIA (senza muoversi) - Non ti disturbare Vado io.          

VI - Resta dove sei, zia Silvia. Faccio in un minuto. 

                                           

(Vi esce col bricco. Silvia, rimasta sola, siede pen-sierosa con il mento sulla mano. Subito rientra Vi con il bricco).

                                                 

SILVIA - L'ho sempre detto, io.                       

VI - Che cosa?

SILVIA - Che non ci sarebbe stata la guerra. (Vi posa il bricco).

VI - Io invece pensavo il contrario. Altrimenti non avrei mandato Sheila e Joan dalla signora Marsh nel Dorset.

SILVIA (versando l'acqua nella teiera) - Lo so, cara. Anche tua madre si preoccupava per Queenie e per il piccolo Frankie... ma io no. E nemmeno la signora Wilmot,

VI - Beate voi. (Prende una sigaretta).

SILVIA - La signora Wilmot rideva come una mat­ta, quando entrò quella donna a farle provare la maschera antigas. « Portate via quello stupido ar­nese » disse. Così, né più né meno. La donna se ne andò furibonda. (Si versa del tè).

VI (accendendo la sigaretta) - Non mi sorprendete.

SILVIA - E' buffo vedere come la gente s'infuria quando uno si rifiuta di credere nelle forze del male. (Beve il tè).

VI - E' piuttosto difficile non credere al male, zia Silvia, se si pensa a quello che sta succeden­do, in questi tempi, nel mondo.

SILVIA - Se fossimo in molti a credere nel bene, non accadrebbero cose del genere.

VI - Sì, ma siete in pochi.

SILVIA - A volte, mi ricordi tuo padre, Vi. Siete imbevuti di materialismo.

VI - Che posso farci?

SILVIA - Se mi permetti di dirtelo, qualcosa potresti fare.

VI (sedendo vicino al camino) - Secondo me, i fatti sono fatti, zia Silvia. E se pensarla così significa essere materialisti, io, temo, lo sarò sempre.

SILVIA - Tu non mi comprendi, cara.

VI - No... Ho paura di no.

SILVIA - Prima di tutto quelli che tu chiami fatti, possono anche non essere tali.

VI - E che sarebbero allora?

SILVIA - Illusioni,  errori...

VI - L'errore non è un fatto, dunque?

SILVIA (un po' irritata) - In un certo senso lo è, e qui sta il male. Ma se anche ammetti che è un fatto, e lo consideri come un fatto, lo rendi più che mai un fatto. Non è così?

VI - Non vedo che differenza ci sia.

SILVIA - Ma c'è.

VI - Perciò quando Sheila, l'altro ieri, aveva ma­le di denti, avrei dovuto dirle che non l'aveva?

SILVIA - Non è questo che intendo.

VI - Che cosa allora?

SILVIA - Voglio dire che se fosse stata educata a pensare che il dolore è un male e che il male in effetti, non esiste, non avrebbe avuto mal di denti.

VI - Il fatto è che mangiando un croccante, le si era rotto un dente, e il nervo era scoperto.

SILVIA - Sciocchezze.  (Torna al suo tè).

VI (alzandosi) - Non sono sciocchezze. (Torna al suo tè).

SILVIA - Vorrei che la signora Wilmot fosse qui.

VI - Io, invece, sono felicissima che non ci sia.

SILVIA - Dimostri di essere di mente molto ristretta, Vi... e dovresti vergognartene. La signora Wilmot è una donna eccezionale.

VI - A me sembra un po' toccata.

SILVIA (alzandosi) - Tronchiamo questa discussio­ne.  (Comincia a sparecchiare).

VI - Va bene...

SILVIA - Proprio oggi la tua vita è stata salvata dal trionfo dell'idea giusta sull'idea errata.

VI (tranquilla) - Meglio così.

SILVIA - Ho sempre pensato che il signor Chamberlain sia iscritto anche lui al « Circolo di Cul­tura ».

VI - Speriamo che lo siano anche Hitler e Mus­solini. Così tutto andrà liscio come l'olio.

(Entra Frank con cappello e soprabito).

FRANK - Che avete voi due con quell'aria accigliata?

VI - Parlavamo  di  Chamberlain.  Zia  Silvia  so­stiene che deve essere anche lui un seguace del « Circolo di Cultura ».

FRANK (uscendo) - Questo spiegherebbe molte cose.

SILVIA - Che bisogno avevi di dirglielo, Vi? Sei proprio indisponente,

VI - Scusami.

SILVIA - Solo perché 'tunon credi in nulla, pensi che sia divertente ridere alle spalle di chi ha fede. (Continua a sparecchiare).

VI - Non ridevo affatto.

FRANK (rientrando senza cappello e cappotto) - Dov'è la mamma?

VI - Su con Queenie e Sua Grazia il Piccolo Lord.

FRANK - Non sta mica male, vero?

VI - Oh, no... Sta benissimo. Queenie non si sen­tiva troppo bene, così è andata a letto. Le fa­ceva un po' male la gamba. Il dottore è venuto

nel pomeriggio e ha detto che sono le conse­guenze degli sforzi della settimana scorsa...

FRANK - Tra poco vado su.

VI - Hai veduto la folla nelle strade?

FRANK (laconico) - Sì.

VI (sedendo accanto al caminetto) - Abbiamo sen-tito  alla radio il suo arrivo all'aeroporto.

FRANK - Anche Io.

VI - Sam  mi  aspetta tra  poco all'angolo dello Strand. Vorremmo andare a dare un'occhiata al West End. Deve essere emozionante.

FRANK -. E' emozionante, se ti piace vedere una infinità di persone che urlano da spaccarsi la go­la, senza avere la minima idea di perché stiano urlando.                                      

SILVIA - Come puoi dire una cosa simile, Frank!

E' l'entusiasmo perché siamo stati salvati dalla guerra.

FRANK - Io mi entusiasmerò quando avrò la prova.           

SILVIA (con calore) - A te non importerebbe nul­la se ci fosse un'altra guerra. Sei uno di quelli che se ne infischiano che milioni e milioni di po­veri innocenti vengano bombardati! Solo perché ti sei trovato bene nella guerra passata...

FRANK (con fermezza, avvicinandosi a Silvia) -Ascoltami bene, Silvia. Non sono disposto a sopportare che tu parli in questo modo, capisci? Non mi sono trovato bene, in guerra... Soltanto un maledettissimo incosciente potrebbe dire una co­sa simile. (Silvia siede) E non me ne infischio che milioni e milioni d'innocenti vengano bom­bardati! Così comincia a toglierti dalla mente questa stupida idea. Ma quello che voglio dire è che ho visto oggi qualcosa che non credevo ve­dere nel nostro paese. Ho visto migliaia di per-sone, migliaia di Inglesi, prendi nota!, compor­tarsi come pazzi, scalmanarsi e urlare di gioia, solo perché prima s'erano spaventati a morte e questo mi ha fatto male allo stomaco, ecco! E spero soltanto che ci serva di lezione e che non ci troveremo mai più nella condizione di doverci umiliare davanti a nessuno.          

SILVIA - Tutti voi uomini pensate unicamente a fare gli smargiassi e ad uccidervi l'un l'altro. (Alzandosi) Ma io sono una donna e non m'im­porta di umiliarmi, purché si eviti un'altra guer­ra. La guerra è una cosa malvagia, disumana e abbietta. « Coloro che vivono di spada, di spada moriranno ». Il Signore benedice più chi dona che chi riceve.

FRANK - Non mi sembra esattamente una bene­dizione seguitare a cedere, e ricevere per ricom­pensa un bel calcio nei fondelli.

ETHEL (entrando) - Volete smettere di gridare. Sveglierete Frankie.

SILVIA - E' un guerrafondaio, ecco quello che è. Un guerrafondaio.

FRANK - Perché ti scaldi tanto, Silvia? Pensa al tuo « Circolo di Cultura »  e non parlare di cose che non arrivi acapire.

SILVIA (scoppiando in lagrime di rabbia) - Tu non sei mio fratello. Non voglio più rivolgerti la parola.  (Esce di corsa,  sbattendo la porta).

ETHEL - A che scopo discutere con lei, Frank? Lo sai che finisce sempre così.

VI (alzandosi) - Ha incominciato lei, mamma. E stata sempre scema e lo diventa ogni giorno di più.                          

ETHEL - Non parlare in questo modo di tua zia.

VI (baciandola) - Mammina cara, non ho più quin­dici anni, sai... Ne ho trentacinque.

ETHEL - Ragione di più per comportarti come si deve.                                                                    

VI - Ci siamo... (Voltandosi verso Frank) Mamma non  imparerà mai.

ETHEL - Potresti anche avere cent'anni. Non ti permetto di essere impertinente con la zia, e tanto meno con me.

VI - E con papà? Posso esserlo con lui?

ETHEL - Smettila, signorina Lingualunga.

VI - Ma se vado, sta’ tranquilla. Sam ed io non vogliamo perdere lo spettacolo della folla. (Sor­ride o Frank) Mi dispiace per te, papà.

FRANK - Per conto mio, potete scalmanarvi quan­to volete. Perché non vi portate anche una trombetta?

VI - E' un'idea... Faccio un salto da Queenie. Buonanotte a tutti.

FRANK - Buonanotte. (Va verso il caminetto).

ETHEL - Non dimenticarti di mandare la carrozzina.

VI (sulla porta, voltandosi) - La porterà  domani   Sam. (Esce).

ETHEL (sedendo nella poltrona accanto al cami­netto) - Che settimana! Non avrei mai creduto di potermi stancare tanto.

FRANK (guardandola) - Sei un po' giù, infatti. Come sta Queenie?

ETHEL - Bene. Si direbbe che è la prima volta che in una casa sia nato un bambino. Che confusione, il mese scorso!

FRANK - Ha lasciato il letto troppo presto...

ETHEL - Oggi ha ricevuto una lettera di Billy. Vuole che la raggiunga.

FRANK (voltandosi) - Non può partire, è ancora troppo debole.

ETHEL - Non dice subito. Dopo Natale, se tutto va bene.

FRANK - Il bambino sarà ancora troppo piccolo per viaggiare.

ETHEL - Lo lascerà qui,

FRANK - Con noi?

ETHEL - E' naturale. Non dire sciocchezze. Dove vuoi che lo lasci?

FRANK (sedendo sul bracciolo della poltrona di Ethel) - Sarà bello... no?

ETHEL - Bello per te forse... che non dovrai combatterci.

FRANK - Preferiresti che lo lasciasse con Vi? O magari metterlo in qualche nido d'infanzia?

ETHEL - Non essere più scemo del solito, se ci riesci. Piuttosto va su a darle la buona notte, prima che si addormenti. (Frank la bacia) Via...

FRANK (alzandosi e andando verso la porta) -Deve venire Bob per il bicchierino d'addio. Chiamami quando viene.

ETHEL - Il bicchierino d'addio... Uno solo e pic­colo, amico mio, a costo di venire giù a toglierti di mano la bottiglia.

FRANK (allegramente) - Vorrei vedere anche que­sta. (Esce).

(Rimasta sola, Ethel si alza e va alla credenza. Prende una bottiglia di whisky e un sifone. Bob batte alla porta finestra. Gli apre).

BOB - Salve, Ethel. (Viene avanti).

ETHEL - Frank viene subito. E' salito un istante a dare la buona notte a Queenie.

BOB - Che settimana! La crisi, i sacchetti di sab­bia, l'imballaggio di tutta la mobilia...                                                                                       

ETHEL - E' andato via quasi tutto? (Porto sul tavolo il whisky, ecc.).                       

BOB - Sì, oggi nel pomeriggio. Stanotte dormirò su una brandina.

ETHEL - Frank sentirà molto la vostra mancanza! Ed anche io.                                 

BOB - Non  vado tanto lontano... Verrete a vedermi, non è vero?                

ETHEL (mettendo in ordine la tavola) - Certo che  verremo. Bob,  mi domandavo spesso  perché ri­manevate in quella casa, tutto solo.                      

BOB - Non  so.  Mi sentivo  vicino a Frank e a voi, ed anche perché quando Billy tornava, trovasse una casa.                                  

ETHEL - Penso che vi sentirete un po' sperduto, a vivere in campagna,                             

BOB - Avrò il mio giardinetto, molto più bello di questo... Vicino c'è il mare... e la taverna del villaggio.

ETHEL - Verremo presto a trovarvi. Vado a dire a Frank che siete qui.

BOB - Grazie. (Pausa) Addio, Ethel.                    

ETHEL (commossa) - Addio, Bob. (Gli si avvicina e lo bacia) Riguardatevi. (Esce rapidamente, poi da fuori) Frank, c'è Bob.

FRANK (da fuori) - Va bene. (Dopo un istante entra) Oh, eccoti qui!

BOB - Già.

FRANK   (avvicinandosi alla tavola)   -  Beviamo. Mi sento un po' giù, dopo una giornata come que­sta. (Prepara da bere) C'è solo una cosa di buono.

BOB - Cioè?           

FRANK - Se Queenie parte per Singapore dopo Natale, il bimbo resta con noi.

BOB - Immaginavo che l'avreste tenuto voi.

FRANK - Come potresti prendertelo tu, così solo,

vicino a quel mare malinconico.

BOB - Va bene, va bene... Senza rancore.

FRANK  (alzando il  bicchiere)  - Salute!

BOB (alzando  il suo) - Salute!

FRANK - Ricordi la sera che arrivammo in que­sta casa? Quando  bevemmo la china di Silvia?

BOB - Ne è passato del tempo...

FRANK - Quasi vent'anni.

BOB - Ed eccoci qui, gli stessi di allora.

FRANK - Siamo gli stessi?                         

BOB (con un sospiro, sedendo) - No, credo di no,

FRANK - E'   uno strano mondo...  (Siede al  ta­volo) Tutti questi anni... Tutte le cose che sono successe... Non vorrei tornare indietro per tutto l'oro del mondo. E tu?

BOB - Neanch'io.

FRANK - Ti ricordi quella merenda a Box Hill, nel novecentoventitre, quando bevesti un po' trop­po, e ti slogasti una caviglia, cadendo?

BOB - Come mai t'è saltato in mente?...

FRANK - Non so, pensavo...        

BOB - Ricordi quella villeggiatura che facemmo tutti insieme, prima che Nora si ammalasse?

FRANK - L'anno che andammo a Bognor?

BOB - Precisamente.                             

FRANK - Dev'essere stato anche prima. Vediamo... Reg aveva quattordici anni… Dev'essere stato nel ventidue,

BOB - Mi ricordo di una lite tra te ed Ethel per una gita in barca.

FRANK - SI... (Ride) Ethel ha sempre odiato d'an­dare in barca.                            

BOB - Mi ricordo anche di quella sera che an­dammo al banchetto del tuo reggimento...  La ... notte che Queenie andò via.

FRANK - Reg era ancora vivo, vero?

BOB - Sì, fu quasi un anno prima.

FRANK (guardandosi intorno) - Chissà che cosa accade alle stanze, quando la gente se ne va e lascia la casa vuota.

BOB - Che vuoi dire?

FRANK - Non so. Pensavo alla tua partenza dal­la casa, dove hai vissuto tanti anni e a me e a Ethel che presto faremo lo stesso. Non credo che rimarremo ancora molto qui. Chissà come sarà la gente che verrà ad abitarci... Se sentiranno che qualcosa di noi è rimasto qui dentro...

BOB - Finiscila. Mi fai venire la pelle d'oca.

FRANK (alzandosi)  Un altro bicchiere? (Pren­de il whisky e il sifone). 

BOB - Appena un sorso.

FRANK - Strano che tu vada a vivere poco lon­tano dal luogo dove sono nato.

BOB - Bè, a circa undici miglia, non è vero?

FRANK - Meno, per la strada della palude, ma ci vuole più tempo. Spero di poter tornare laggiù un giorno, se riuscirò a spuntarla con Ethel. Lei non può soffrire la campagna.

BOB - Penso che sia tutta questione di abitudine.

FRANK (porgendogli il bicchiere) - Non credi che i Tedeschi arriveranno mai qui, vero?

BOB - No, certamente!

FRANK - Sono preoccupato per tutta questa storia.

BOB - Neanche io sono del tutto tranquillo.

FRANK - Sentirò maledettamente la tua mancanza.

BOB - Altrettanto lo... Verrai a trovarmi, però, non è vero?

FRANK - Ci puoi contare.

BOB (alzando il bicchiere) - Alla tua salute, vecchio mio!     

FRANK (alzando il bicchiere) - Alla tua, vecchio mio! (Le luci si abbassano).

SIPARIO

Quadro iii

Giugno 1939.

E' urta calda sera d'estate e la porta finestra è spalancata. C'è ancora luce e, come nel primo qua­dro del primo atto, il biancospino del giardino è in fiore. E, come nei primo quadro del primo atto, la stanza è quasi vuota di mobili. I quadri e le ten­de sono stati staccati. Ci sono casse da imballag­gio, pacchi, bagagli, carta e corde. La poltrona è ancora vicino al caminetto; anche la credenza è al suo posto, vuota, ed ha un aspetto di strana deso­lazione. Dal piano di sopra si ode, di tanto in tanto, qualche colpo di martello. VI entra dal giardino

spingendo con molta cautela una carrozzina. Guarda se il bambino è tranquillo e va alla porta.

VI (chiamando) - Mamma...                                 

ETHEL (fuori) - Sì, cara...

VT - Devo andare via, ora.

ETHEL - Bene, cara.                             

VI - L'ho portato qui.

(Entra Ethel un po' in disordine e accaldata).

         

ETHEL - E' stato buono? (Va a sedere vicino alla carrozzina),

VI - Buono come un angelo. Gli ho dato la carto­lina con il cammello, che ci ha mandato Queenie. Gli è piaciuta.                     

ETHEL (guardando nella carrozzina) - Ora dorme.

VI - C'è ancora qualche cosa da fare?

ETHEL - No, grazie, cara... Ormai tutto è fatto. Vengono domani mattina per il resto della roba. Adesso preparo un boccone per papà e per me. E domani andremo nel nuovo appartamento.

VI - Spero che ti ci troverai bene, mamma.

ETHEL - Sì. C'è una bella vista.

VI - Ti troverai meglio con tutte le camere allo stesso plano. Ne sono certa.

ETHEL - Lo penso anch'io.

VI - Mi ha fatto un'ottima impressione. Forse un po' troppo moderno…

ETHEL - Che vuoi farci?

(Altri colpi di martello dal piano superiore).

VI - In ogni modo sarà una comodità l'acqua cal­da corrente, invece di doverti impazzire a riscal­darla sulla stufa.

ETHEL - Tuo padre avrà una ragione di meno da brontolare.

VI (va a prendere la borsa nella carrozzina) - Si diverte, no, con quel martello? (Va verso la porta).

ETHEL (alzandosi e andando verso la carrozzina) - Il suo motto è: più si fa rumore e più si conclude.

VI (chiamandolo) - Papà...

FRANK (di sopra) - Sì...

VI (aprendo la porta) - Io me ne vado.

FRANK - Va bene. Ci vediamo domattina.

VI - Buona notte, mamma.

ETHEL (baciandola distrattamente) - Buona notte, cara.

VI - Domani quando vengo, ti porterò Archie. Le piccole lo rimpiangeranno.

ETHEL - Non vedo perché non  dovresti tenerlo, tu. Dopo tutto, starebbe meglio nel tuo giardi­netto che nel nostro appartamento.

VI - Che ne dirà papà?

ETHEL - Non gli dispiacerà molto. (Avvicinando­si al caminetto) Il suo beniamino era il povero vecchio Percy. Non si è mai affezionato tanto ad Archie.        

VI - Allora, grazie mamma, E se più in là lo volessi riprendere, non hai che a dirlo.

ETHEL - Va bene, cara.

VI - Allora... arrivederci.

ETHEL - Grazie per essere venuta. Saluta tanto Sam e le bambine.

VI (va verso  la porta finestra) - Non dubitare. Buona notte.                  

ETHEL - Buona notte...                           

(Vi esce. Ethel siede sulla poltrona e chiude gli occhi. Frank scende dalla scala ed entra. E' in maniche di camicia ed ha un martello in mano).

FRANK - Ciao... Stai riprendendo flato?

ETHEL - Già. Ho la schiena rotta.

FRANK (posando il martello sulla credenza) - Invecchi, cara...

ETHEL - Senti chi parla!  

FRANK -  Come  sta Sua  Grazia?  (Guarda nella carrozzina).

ETHEL - Non lo svegliare, adesso.

FRANK - Tutto  sbavato.  Brutto porcellino.

ETHEL - Sono sicura che alla sua età anche tu sbavavi.                                            

FRANK - A dir la verità lo faccio ancora, quando mi addormento.dopo  mangiato.

ETHEL - Non è il caso di vantarsene.

FRANK (avvicinandosi cui Ethel) - Siamo un pochino acide, no?

ETHEL - Chi non lo sarebbe dopo tutto quello che ho avuto da fare oggi.

FRANK (chinandosi su lei e baciandola) - Povera vecchia caffettiera...

ETHEL - Smettila, Frank, Non abbiamo tempo di fare i matti.

FRANK - Al contrario, invece... Adesso abbiamo tutto il tempo che vogliamo.

ETHEL - Va bene, fa a modo tuo.

FRANK  (andando  verso  la finestra) - Mi man­cherà questo giardinetto.

ETHEL - La colpa è tua. Sei stato tu a voler cambiare.

FRANK - Lo so.

ETHEL - Comunque avrai il terrazzo e potrai met-terci quanti vasi vorrai.

FRANK - Vasi? Un giorno... più in là, natural­mente... quando smetterò di lavorare, potremmo prendere un posticino in campagna. Non ti pare?

ETHEL - Tra quanto tempo, se non sono indiscreta?     

FRANK - Non  so. Tra qualche anno, credo.

ETHEL - Ci penseremo quando sarà ora.

FRANK - Forse vivendoci la campagna comincerebbe a piacerti.  

ETHEL - Può darsi.

FRANK - E' la troppa quiete che ti spaventa, lo so. Ma quando si diventa vecchi, si comincia a desiderarla,  la quiete.

ETHEL - Non siamo mica poi tanto vecchi.

FRANK - Un giorno o l'altro dovremmo fare un viaggio all'estero.

ETHEL - A che scopo?                     

FRANK - Mi sento un po' ridicolo, a volte. Aver lavorato venti anni a far viaggiare la gente, e dal 1919 non aver più messo il naso fuori dall'Inghilterra.

ETHEL - Se avrai voglia di girare il mondo, dovrai farlo per conto tuo.

FRANK - Magari! Mi correresti dietro come un cane con la volpe...               

ETHEL - Non farti illusioni.             

FRANK (pensieroso) - E' strano...

ETHEL - Che cosa?                                      

FRANK - Si direbbe che senza mobili le stanze dovrebbero  sembrare più grandi. Questa invece sembra più piccola. (Si guarda intorno).

ETHEL (quasi scattando) - Non vedo l'ora di andarmene.                       

FRANK - Anch'io, ma mi dispiace, In un certo senso.                   

ETHEL - Mi sono riposata abbastanza. Devo an­dare a finire di cucinare. (Va verso di lui. Egli in silenzio la prende tra le braccia, Ethel ap­poggia la testa sulla sua spalla. Rimangono fermi per un istante, senza parlare).

FRANK - E' passato tanto tempo, vero?

ETHEL - Già...                                                     

FRANK (gentilmente) - Non m'importa di cam­biar casa, di andare, di restare, di girare... Purché : ti abbia sempre vicino.

ETHEL (sottovoce) - Non dire sciocchezze... (Si libera ed esce rapidamente a testa bassa. Frank la esegue con lo sguardo, poi, sorridendo, si volta e si avvicina alla carrozzina. Guarda il bambino).

FRANK - Ciao, soldo di cacio... Ti sei deciso a svegliarti finalmente! Ancora un po' intontito, eh? Caro il mio Frankie... Chissà cosa verrà fuori da te?... Siamo soli e possiamo fare due chiac­chiere da uomo a uomo. (Prende una sigaretta) Non c'è da spaventarsi, purché tu tenga sempre a mente una cosa. Che la vita non è tutta rose, per nessuno, e che tutti devono avere i loro guai in un modo o nell'altro. Ma se tu non ti lascerai abbattere, qualsiasi cosa ti succeda, ritroverai sempre la tua strada... (Accende la sigaretta) In questo mondo tu dovrai vivere, e bada a non ti­rarti indietro mai, ed essere pronto a tutto per conservare puro il tuo animo e difendere la tua libertà.

ETHEL - Che diavolo stai facendo? Parli da solo?

FRANK - Non parlavo da solo. Parlavo con Frankie.

ETHEL - Spero che si sia divertito...

FRANK - In ogni modo ha smesso di sbavare.

ETHEL - Andiamo, la cena è pronta. E chiudi la finestra, che non prenda freddo.

(Ethel esce. Frank chiude la finestra e torna pres­so la carrozzina).

FRANK - Ciao, soldo di cacio... (Esce).

SIPARIO

(Fine dellacommedia)

Questa commedia è stata rappresentata con grande successo al Teatro delle Arti di Roma e al Teatro Excelsior di Milano nella passata stagione teatrale da Luigi Cimara, Lilla Brignone, Lia Zoppelli, Pao­la Veneroni,Gianni  Santuccio, Pino Locchi.