Introduzione
L’ occhio di bue illumina il centro del palcoscenico dove una donna è adagiata su di una sedia come fosse una bambola sgonfia. Si avvicinano due sagome di maschi primitivi con clava in mano, la osservano incuriositi, le girano intorno lentamente, uno di essi le solleva un braccio e poi lo lascia cadere inerte. Quindi si guardano interdetti e uno chiede : “come la chiamiamo questa cosa misteriosa che non si sa da dove venga, cosa voglia, a cosa serva, e se faccia comodo oppure no? ” Dopo qualche istante di riflessione l’altro si illumina e come folgorato grida: “ se è una cosa indecifrabile e incomprensibile ma che può essere utile la chiameremo donna! “ E come risvegliata dal suono di quella parola, lei comincia a muoversi, prima incerta poi più sicura, come se l’aria entrasse in lei dandole corpo e consistenza , la musica cresce di tono e le luci si accendono. “Gentili signore e signori, pare sia nata la donna! Non sarà stato proprio così ma la cosa importante è che sia accaduto, altrimenti stasera staremmo tutti davanti alla televisione a subire la tortura di B. Vespa con l’ennesima puntata di Porta a Porta. Grazie per essere qui numerosi, anche da parte del botteghino che, poverino, anche lui ha da magnà. L’annuncio del lieto evento, liberamente tratto dalla fantasia che, grazie a Dio, è ancora libera, può sembrare un po’ tardivo e superato dalla cronaca di tutti i giorni, ma non è proprio così visto che molti sono convinti che ad essere nato sia un elettrodomestico universale, un divano su cui sdraiarsi quando si ha voglia, un giocattolo, più che smontabile, montabile a piacimento, ma che sia nata la donna non sono poi in tanti ad essersene resi conto. Dunque, essendo nata, stasera parleremo di lei e, inevitabilmente, anche degli uomini e lo faremo in assoluta libertà. Parleremo del bene che ci vogliamo e di quello che non ci vogliamo. Parleremo di quote rosa e,di conseguenza, anche di quelle blu. A proposito diamo un rapido sguardo per vedere quali sono le maggiori fra le due in platea. Direi che sono, clamoroso al Cibali, come dicevano un tempo, vicine alla parità. Bene allora possiamo cominciare, e come ogni spettacolo che si rispetti dobbiamo prima dire a chi è vietato per non incorrere in sanzioni e multe, tanto care a giudici e politici. Non ai minorenni ma di certo ai minorati che ritengono la donna un essere inferiore da possedere, godere come un giocattolo e buttare via quando non piace più. Non è vietato ai sinceri che si sforzano, tra errori e debolezze, di migliorare sé stessi e il loro rapporto con le donne e con la vita, ma di sicuro lo è agli ipocriti che riescono a speculare su di esse, sul loro essere facile bersaglio di prepotenze e poi, alla prova dei fatti, le tradiscono senza battere ciglio. Non è vietato a coloro che accettano un dialogo, anche aspro, pur di arrivare il più vicino possibile alla verità, di certo lo è a quelli che non accettano critiche e, quando è necessario, anche un salutare vaffa. Care spettatrici e cari spettatori, lasciate che vi chiami cari adesso perché può darsi che alla fine della serata non sia così scontato che io lo sia per alcuni di voi, devo premettere, infatti, che questo non sarà un monologo civettuolo o tanto per parlare. Le parole che dirò potranno non essere gradite a certe orecchie ma, per una volta, più che gli applausi facili, proviamo a cercare sorrisi difficili, che solo la verità sa conquistare. State comodi anche se faremo discorsi scomodi perché, come dice il prete al quale scappa un’imprecazione, quando ci vuole ci vuole! Grazie ancora e benvenuti a Quote Rosa! Stacco musicale e sorso d’acqua.
Quote rosa
Da qualche anno è in voga l’espressione “ quote rosa”. Tutti ne abbiamo parlato almeno una volta e, come immancabilmente accade in Italia, su di esse si sono formati i soliti due schieramenti dei favorevoli e dei contrari. Il motivo del contendere ha appassionato tanto che nella politica, sempre pronta a cogliere al volo ogni occasione, è diventato un totem intorno al quale far girare una sapiente e per nulla disinteressata strategia. Ma cosa sono queste quote rosa? Mi sono presa la libertà di chiederlo un po’ in giro e c’è chi ha risposto che sono le quote date dai bookmakers agli scommettitori sugli incontri di calcio femminile, e chi, con un sorrisetto ebete, ha risposto che sono le misure di Eva 90-50-90. No, niente di tutto questo. Sono qualcosa di più serio e al contempo di più ridicolo: sono l’unità di misura della donna. La quantità di femminile utile e necessaria affinché il mondo resti maschile. E’ la concessione magnanima che il re maschio fa alla donzella perché essa allieti, guarnisca e insaporisca, la tavola imbandita per il divino detentore dello scettro universale … ma che avete capito? Intendevo i pantaloni. L’assurdo è che si parla e si discute delle quote rosa nella società moderna e globalizzata! Dove non esistono più distanze e le differenze di ogni tipo ormai vanno sfumandosi come le dissolvenze cinematografiche. Tutto evolve, tutto cambia ma non la libertà vigilata cui è soggetta la donna. Vi ricordate le storie e le lotte per concedere il voto alle donne? E lo scandalo di quelle che volevano lavorare? L’eresia delle donne medico? Beh, siamo ancora lì. Non facciamoci incantare dalla favoletta della donna liberata che culmina con la festa della donna, pacchiana occasione nella quale anche noi giochiamo a fare i maschi. Usciamo tutte agghindate, indossiamo tutto il campionario della perfetta maliarda per poi stare nella platea di locali per sole donne a goderci quattro palestrati, poco più che analfabeti, che si dimenano, imbranati come spaventapasseri, in spogliarelli che non ecciterebbero nemmeno una naufraga a digiuno di sesso da secoli. Sono solo patetiche ore di libera uscita, poi di nuovo nella caserma della condizione femminile a fare le madri, sorelle, mogli e suffragette, con in più l’amaro in bocca per una serata poco meno che idiota da ripetere il prossimo anno. Sapete cosa mi piacerebbe realizzare? Un Crazy Horse dove sia uno stuolo di maschietti a sculettare sotto un gioco di luci ed ombre, con dei perizomi color carne e piume di struzzo infilate dappertutto. Li farei ballare, saltare e obbligherei a delle spaccate da dividerli in due. Dite che sono perfida? Ebbene sì, lo sono! Ma lasciamo i sogni di vendetta e torniamo alle quote rosa. Esse dunque rappresentano la lunghezza del guinzaglio che il solito magnanimo re lascia a disposizione della solita donzella affinché possa fare la pipì nel suo giardino, sia pubblico che privato, senza allontanarsi troppo. Ma perché non si parla e non si discute delle quote blu, che del cielo hanno il colore e l’estensione? E perché non si è mai posto il problema se esse debbano o no rientrare in limiti imposti per legge? Semplice. La donna si propone e il dio maschio ne dispone. Dunque queste stramaledette quote rosa alla fine sono la quantità contingentata di aria da respirare, la possibilità minima di carriera stabilita per legge, un po’ come le tutele per i disabili . Pensare che la presenza di donne nei Consigli di Amministrazione o nelle giunte Comunali, Regionali e Provinciali debba essere stabilita per legge e che non si possa andare sotto il minimo da essa fissato, è qualcosa che fa ribollire di rabbia fino ad esplodere quando tale “privilegio” viene contrabbandato come una conquista femminile, essendo invece il più avvilente segno del l’insopportabile paternalismo maschilista. La donna è una categoria svantaggiata da protegger con norme che, in caso di civiltà, appena appena accennata, sarebbero superflue. E tutto questo è, ovviamente , rimesso al buon cuore del re maschietto che di solito ci mette furbescamente secoli prima di elargire doni. Un vecchio, anzi vecchissimo luogo comune, tutt’ora saldamente impresso nella mente maschile, dava la donna 7 a 1 contro il maschio, come le partite di calcio scontate, sette dame per un cavaliere che, quando va bene, è appena sufficiente per tre quarti di donna. Figuriamoci! E’ questa inesistente ma fortemente consolatoria abbondanza che deve aver dato alla testa al pargolo: se madre natura (o padre natura? Va bene lasciamo perdere) me ne ha destinate tante vuol dire che valgo per sette! Deve aver pensato il tapino ( lasciamo ancora perdere che è meglio). E per governare questo harem statistico, il maschio, sì perché di uomini in giro ci sono solo sporadiche tracce e tante leggende, il maschio dicevo, ha inventato dei cliché, dei modellini, non di quelli fai da te ma proprio fatti per sé, con i quali controlla e amministra quella che, fin da bambino, gli viene indicata come la sua riserva di caccia privata. Il modello di pensiero fondamentale è: se la donna è bella è anche oca, concetto con cui si é creato il falso scientifico che della specie oca esista solo la femmina, mentre si sa che il maschio di essa, il papero, é dotato dello stesso identico cervello. Quando si parla della donna si usa la insopportabile formula onnicomprensiva “sì, però …” da cui “è bella sì, però …” oppure “sì è brava, però in quei giorni …” e infine “ con quel corpo che ha non può essere anche capace”. Altra massima prediletta dei maschi è il vecchio detto “chi dice donna dice danno”. O, ci fosse stata una guerra che sia una, ma anche, che so, una piccola minuscola battagliuccia dichiarata da una donna , o un piccolo campo di concentramento, magari sottoforma di bed and breakfast, allestito da una donna ! Dite che la Thatcher ha fatto la guerra della Falkland? E sì lo so ma io parlavo di donne. Ecco proprio la lady di ferro ci porta nella politica. La politica è il regno delle quote rosa, è quel mondo virtuale che le ha inventate per stabilire, mettendo nero su bianco, che la donna, come antibiotico, va assunta in dosi misurate, che devono ingentilire ma non snaturare la fisiologia totalmente maschile di quella che è la fiera delle vanità per eccellenza. Oltretutto anche le cariche politiche soffrono al femminile: ministra sa di minestra, che per altro in politica è sempre la stessa e riscaldata, segretaria di partito sa di dattilografia spinta, presidentessa della repubblica fa venire l’ affanno, senatora grida vendetta lessicale e onorevole è maschio doc. Se pensiamo che la Corte Costituzionale, il tempio supremo che stabilisce, senza che possa essere messo in discussione da alcuno, nemmeno da Dio, cosa sia giusto o sbagliato in materia di leggi, non ha mai avuto un componente donna prima del 2005 e a tutt’oggi, soltanto tre sono state ammesse a far parte del più maschilista degli organismi pubblici; se pensiamo che molti dei così detti padri costituenti discussero animatamente e animosamente sulla possibilità che la donna potesse svolgere mansioni di giudice, capiamo come le palafitte non siano poi così distanti dai nostri giorni. E volete sapere perché ne discussero? Perché, secondo questi eccelsi pensatori, nella struttura mentale della donna prevale il sentimento sul raziocinio, e ciò spiegherebbe come faccia a sopportare certi maschi, mentre nella funzione di giudice deve avvenire il contrario. Oltre a questo non poteva mancare il ricorso al dogma della supremazia maschile che afferma esserci studi specifici, ma non meglio identificati, sulla capacità della funzione intellettuale in rapporto alle necessità fisiologiche di donne e uomini specialmente in certi periodi. Come dire che una donna giudice, in certi giorni, condannerebbe tutti essendo, in quei giorni, praticamente incapace di intendere e di volere. D’altra parte Salomone era maschio, ve la immaginate una Salomona? Improbabile! Quando si pensa alla donna in politica riaffiorano tutti i luoghi comuni del provincialismo maschioide. Ogni volta che parla, magari dallo scranno parlamentare, la si immagina o in babydoll o con creme e bigodini, e se accavalla le gambe perde consensi e diventa orizzontale. I suoi capelli devono essere obbligatoriamente raccolti a crocchia o sobriamente tagliati, guarda caso, alla maschietta; le gonne sono ammesse dalla taglia 54 in su, per le quali i pantaloni non risulterebbero sufficientemente coprenti. Le donne belle o almeno piacevoli alla vista, devono castigarsi con abiti alla Humphrey Bogart di “Casablanca”. Una bella donna che riesce ad avere successo nella carriera politica, indovinate perché ci riesce? La risposta è sempre la stessa e la sappiamo tutti. E allora mi chiedo e vi chiedo: e quelle bruttine, tanto da aver bisogno del documento di identità per attestare che non sono maschi venuti male, come ci riescono? Come dite? Ah perché non danno fastidio e nessuno le invidia? Ma che pubblico cattivo! La verità è che la donna in politica giuoca sempre fuori casa, non è nel suo elemento naturale, perché ha l’ handicap fisiologico di utilizzare i due emisferi. Voi dite che ne ha sei? Ma io sto parlando di quelli cerebrali, di quelli che il maschiuzzo ne ha collegato solo uno e, si fa per dire, in funzione, l’ altro infatti è soltanto d’ arredo e serve per non far stare troppa aria fra le orecchie. Cosa c’ entrano gli emisferi? C’entrano, c’ entrano, e ve lo dico subito. Siccome in politica pare che più si è ebeti e più si arrivi in alto, più impreparati si è e più si è ricercati, che sì vuol dire no e mai vuol dire sempre, la donna ci prova a ragionare al maschile ma è un gioco troppo semplice, troppo viscido , per il quale, appunto, le avanzano gli emisferi. Poi , che ce ne siano alcune che si trovano a loro agio e vivono bene nel regno dove valori come la lealtà, la coerenza, la fedeltà a un giuramento fatto agli elettori, sono relativi, aleatori e subordinati alle convenienze del momento, e visto anche il loro esiguo numero, non attenua una differenza strutturale e rende solo necessaria, come dicevamo, l’ esibizione del documento di identità. Questa idiosincrasia verso le donne di cui soffre la politica è testimoniata, oltre che dalla sparuta pattuglia che ne fa parte, anche da quanto hanno dichiarato, recentemente, due esponenti politici molto conosciuti, uno di area cosiddetta moderata e uno di quella supposta progressista. Il primo, per una volta ed eccezionalmente senza giri di parole, ha detto che le donne in politica creano soltanto problemi, tanto è vero che il suo piccolissimo partito ne è pressoché sguarnito, e tanti saluti alle quote rosa. Il secondo, al lordo di un alcoltest o di un consulto psichiatrico, ha dichiarato che la vera donna, la sola che può fare la felicità di un uomo (?) è il modello transessuale, inneggiando, con buona pace delle quote rosa, alle quote rosa-blu. Credo che questa confusione di genere sia dovuta a quella primordiale per cui la politica, linguisticamente di genere femminile, sia in realtà il vero regno maschile. O intendiamoci, le quote rosa sono anche qualcosa di bello, di ambìto, un articolo da collezione molto ricercato, e fanno bello chi ne può vantare di più. Il maschio con tante quote rosa in portafoglio è un campione e, orgoglioso, le espone come trofei da caccia appesi alla parete: gambe, tette e culi impagliati, per l’ invidia di tutto il bar dello sport. Di teste nemmeno l’ ombra, a lui non interessano e, come quelle dei polli, le butta via. In questo senso le quote blu, al contrario, sono segrete e le donne che ne posseggono molte preferiscono non farsi la pubblicità, perché se le esponessero, difficilmente verrebbero considerate delle campionesse, e inoltre dovrebbero riempire le pareti di casa di cappelli per renderla visitabile. Ma a proposito di pubblicità, vediamo come funzionano le cose nel mondo dello spot. E anche qui non c’è da stare allegri. E’ dal tempo degli egizi che la donna della pubblicità fa il bucato nella vana ricerca del bianco assoluto, e adesso ti arriva, cacchio cacchio, l’ingegnere nucleare, momentaneamente senza lavoro, che insegna a platee di casalinghe, evidentemente de coccio, come far sparire l’alone di sudore dalle camicie. Sono secoli che donne e mogli invecchiano litigando con forni che non vogliono saperne di sgrassarsi, che raccontano i loro sogni di pulito alla scopa antipolvere, che fanno le più intime confidenze alla lavatrice. Molte di loro son dovute ricorrere allo psicanalista per insanabili incomprensioni col lavandino e il water. Le più audaci hanno immaginato serate erotiche con mastro lindo pur di veder brillare piastrelle e stoviglie. E ora compare, come dal nulla, il casalingo single e cocco di mamma che, dopo aver nascosto per decenni le cicche sotto l’ armadio e senza aver mai sparecchiato la tavola o aver mai lavato un piatto, si scopre cuoco, lavandaio e castiga macchie insuperabile. Non c’è che dire, il maschio quando decide di fare la donna sa farlo molto meglio e non c’è Eva che tenga. Lui ci mette quel quid di scientifico, di geniale e di ovvio, che, secondo l’ advertising pensiero, mancherebbe alla donna. Qualcuna di voi ha il leggero sospetto che la pubblicità sia maschilista? Di sicuro femminista non lo è stata mai. Ma torniamo a loro, alle eterne dilettanti delle faccende domestiche. Loro si sono spaccate la schiena su macchie che non vanno più via, e lui, il professionista del pulito, spruzza un po’ della sapienza di maschio lindo e tutto risplende d’ incanto. Con il dopobarba poi si raggiunge l’ apoteosi e basta che apra il tappo della confezione perché lei gli svenga tra le braccia, vinta dalla mascellona profumata e liscia. E mentre tutte cadono in trance davanti alla tartaruga scolpita ed eternamente abbronzata del maschio, in ascensore due giovani amiche confessano afflitte di vergognarsi per la loro precoce ed incipiente incontinenza, i cui effetti olfattivi si sentono a distanza. A lui bastano due gocce di profumo per avere l’effetto irresistibile di una cascata di freschezza, lei si deve imbottire di congegni salva slip se vuole essere abbracciata su un divano. Di certe pubblicità vorrei conoscere l’ ideatore, il creativo, come si fa chiamare in chiaro delirio di onnipotenza, e vedere che cavolo di faccia possa mai avere uno che riesce a “partorire” simili idiozie. Ma non basta: lei fa sempre più fatica ad entrare nei vestiti della passata primavera e muore d’ angoscia tutto l’ inverno pensando alla fatidica prova costume che verrà, a lui basta un filo d’ olio di semi per essere in forma da olimpiadi e saltare la staccionata, che tutti ovviamente abbiamo nei nostri iperspazi osi appartamenti di settanta metri quadrati, come un cervo in amore. E’ evidente che nella pubblicità le quote rosa non sono contingentate e le donne te le ritrovi dappertutto: il silicone lo usa l’ idraulico ma se non lo reclamizza una dea in costume da bagno non se ne vende un tubo, e chi è che, con un outing planetario, confessa di avere la dentiera? Solo una postina che, invece di consegnare la posta passa il tempo a ritirare manciate di noci e noccioline come una scimmia allo zoo, ha tanto coraggio. Lasciamo perdere poi la donna-leopardo distesa sul cofano delle fuoriserie: al salone automobilistico ce ne sono anche due per vettura, come i primi air-bag. Ma quando la pubblicità si fa seria e il gioco si fa duro ecco tornare la supremazia scientifica e biologica del maschio: lui beve per digerire e vincere campionati di calcio, lei solo per fare plin-plin! E le quote rosa nel mondo del lavoro? Vogliamo parlarne? E parliamone. Anche se la situazione generale non è più ottocentesca, esse confermano ancora il teorema storico secondo cui se il lavoro è maschio la disoccupazione è donna. Sì è vero, la donna che lavora è un po’ come la seconda casa o la seconda macchina: se ce l’ hai vivi meglio, se no campi lo stesso. E’ l’uomo che deve mantenere la famiglia e deve poter contare su quel benefit universale a basso costo che è la moglie casalinga, madre, sorella, e se trova il tempo, anche amante. Il maschio può fare tutti i lavori, anche la donna, no, non intendevo dire che la donna può farli tutti, dicevo che può fare anche il lavoro di donna e con tutte le tutele del mondo: se vuole, da “ donna “, può avere perfino i figli e senza doverli partorire. Mi spiego. Prendiamo il secondo mestiere più antico del mondo, la prostituzione. Quale è il primo? Ma lo sanno tutti che è la politica, basta guardare Andreotti! Dicevo della prostituzione. E’ ancora come era al tempo dei Faraoni: disonorevole, pericolosa e non protetta, per le donne. Ora che la praticano maschietti e maschiette, la società si è improvvisamente evoluta e aperta, è diventata buona e comprensiva. Un esempio classico è il gigolò. Chiamarlo puttano suona male vero? E zoccolo? Ancora peggio. Mignotto è proprio impossibile, e certo, questi sono tutti titoli onorifici adatti solo per le donne e pensati per loro da lui. Dunque gigolò. In cosa si differenzia dalle sue colleghe? Prima di tutto è selettivo e un po’ razzista, come del resto si addice al maschio, perché lui mica ci va con una brutta! Nemmeno se lo ammazzi o lo ricopri d’ oro, ti fa sesso con una camionista panciuta e sudaticcia. Le sue clienti sono tutte belle, in carriera, profumate (come le donne in genere), e anche colte e danarose, perché lui costa molto, il gigolò è un lusso per poche e sicuramente diverrà anche un indicatore fiscale di reddito che i fabbricanti di tasse inseriranno nel redditometro. I clienti delle zoccole, sentite come suona bene, eh? I clienti delle mignotte dicevamo, sono invece così brutti, almeno quelli ufficiali visto che nessuno ha il coraggio di ammetterne la frequentazione si può soltanto supporre che fra loro ci siano anche dei belli, così in basso nella scala sociale, che sotto di loro c’è solo quello di Neanderthal, e così vecchi che la pensione la prendono da quando la gigolina, (vi piace il termine?) nemmeno era nata. Sapete una cosa? Avrei una voglia matta di chiedere ai qui presenti uomini di alzare la mano se sono andati, almeno una volta, con una prostituta, ma non lo faccio perché sono buona e non così scema da credere che in platea ci siano solo dei mutilati. Mi basta la paura che vi ho messo. Inoltre il gigolò non si deve vergognare di quello che fa, e certo mica è una zoccola! Anzi fare il gigolò è un titolo di merito, cavolo, soltanto se hai gli attributi puoi farlo. Chi non ha visto gli ettari di guardaroba del Gigolò cinematografico? Eserciti di calzini, legioni di camicie e cravatte, armadi pieni zeppi di abiti. Alle zoccoline invece è concesso un corredo di tre reggicalze, una guepiere e un paio di trampoli, il tutto valido per ogni stagione. Quindi il macho si costruisce il piedistallo e ci sale sopra orgoglioso anche se si prostituisce. La donna, al contrario, non solo si prostituisce ma, soprattutto, si butta via, è lei per prima ad essere convinta che, per ciò che fa, non valga nulla e non meriti rispetto alcuno nemmeno da se stessa e quando “lavora” non deve andare per il sottile o fare la schifiltosa perché questi sono privilegi del macho. Quando ci penso mi arrabbio come una belva e purtroppo ci penso continuamente. La donna è quella specie di alberello gracile che cresce poco e male all’ ombra del baobab maschio, e l’ ombra che questo le fa la rende debole impedendole di diventare una grande pianta. E anche nei pochi casi in cui lei prova a fare la sequoia, finisce in analisi psicoanalitica o in anoressia, più spesso in tutte e due, perché il suo destino è di essere scelta, come un qualsiasi oggetto esposto in vetrina, è il macho che sceglie e detta le regole. Quando prova a farlo la donna diventa subito zoccola e lui scappa spaventato, o, schiacciato, si rifugia da mammà. Ma ora parliamo di un lavoro normale. Come dite? Ah, è questo quello normale? Va bene, intendevo quello d’ ufficio dove non si dovrebbe parlare di sesso. Meglio mi sento. Insomma, dove in genere c’è un capo e a volte una capa, che di solito è meno femminile di lui. Chi di voi si è trovato almeno una volta in tribunale per una causa penale o civile? Così pochi? Ma che bugiardi! E di chi sono allora le cause che intasano la cosiddetta giustizia. Mie soltanto? Lasciamo ancora stare che è meglio. Dunque, in tribunale vedi questi principi del Foro (risatina) che sono in genere bruttini, panciuti, calvetti e occhialuti, con al seguito certe stanghe inguainate in quei tailleurs stretti a tubo che permettono loro di fare solo dei passettini svelti svelti su tacchi modello Manhattan, le quali portano grosse borse di cuoio, invecchiato da mille trasporti, stracolme dei famosi fascicoli. Le poche principesse del Foro (risatina) invece non hanno collaboratrici modello Hollywood e di grosse borse ne portano una ciascuno. E in medicina? Luminari come sopra e segretarie da cinema, o ce ne fosse una bruttina! Forse lo fanno apposta per rendere meno dolorose sia la terapia che la parcella, come si dice: basta un poco di zucchero e la pillola va giù. O forse sarà il camice appena sopra il ginocchio e abbottonato solo sul girovita, a conferire quell’ aria fatale e piena di promesse, al contrario quello indossato dai luminari, lungo fino alle caviglie e che, insieme agli occhialetti da vista, uccide l’ estetica. Dal camice alla tonaca il passo è breve. Vogliamo toccare la gerarchia ecclesiastica? Proviamoci cercando di non fare danni, e, non potendo parlare di sessi, la cosa si fa difficile. Facciamo così: per non sbagliare parliamo di suore e sacerdoti, e chi si è visto si è visto. I sacerdoti possono fare carriera fino a diventare Papi. Le suore possono, al più, passare da sorelle a madri superiori, quasi come succede nella vita normale con il matrimonio: prima sorelle sotto i genitori, poi madri sotto i mariti, con la piccola differenza però che si resta sempre inferiori. I sacerdoti da grandi diventano Vescovi, Arcivescovi, Cardinali e vice Dio. Possono confessare, perdonare e punire, rappresentando essi l’ immagine di un Dio maschile. Governano la Chiesa dettando le regole e i comandamenti dall’ undicesimo in poi. Non c’è organismo di autogoverno di essa che preveda la presenza di quote rosa e, da questo punto di vista la donna che, volenti o nolenti, si cela sotto l’ abito monacale, semplicemente non esiste. In compenso le suore possono lavare i pavimenti, vivere in clausura e non, ma sempre cercando di cancellare ogni traccia di donna dalle loro sembianze, ed essere servizievoli, devote e remissive, rispetto alla figura teologicamente imponente del Padre Spirituale, il prete, che, bontà sua, le aiuterà e soccorrerà ogni qualvolta dovessero trovarsi nella difficoltà di capire o ricordare il loro ruolo nella Chiesa. Con o senza l’ abito talare l’uomo governa sulla donna, sempre. Scusate ma adesso voglio fare una domanda provocatoria: chi l’ ha detto che Dio non possa essere Dea? Se l’ albero si può chiamare anche pianta e la lacrima è la parte bella del pianto, perché di Dio deve esistere un modello e non una modella? In Paradiso del resto pare che il problema delle quote rosa sia stato risolto alla radice visto che gli Angeli non hanno sesso. Per la verità anche qui da noi, sulla terra, qualcuno si sta attrezzando a fare altrettanto e, considerato che non è possibile realizzare la parità dei sessi, si cerca di cancellarli. Ma forse le quote rosa sono un falso problema inventato dalla lettera “o”, per far dispetto alla “a”, invidiosa che sia la prima dell’ alfabeto. Infatti se proviamo a vedere un centimetro oltre il nostro naso scopriamo che nella realtà delle cose che contano c’è una conclamata, e a noi sconosciuta, parità: sono più le parole o i vocaboli? Sono più i problemi o le soluzioni? Sono più i giorni o le notti? La partite o gli incontri? Le partenze o gli arrivi? Le gioie o i dolori? I numeri o le cifre? Gli amori o le storie d’amore? Forse abbiamo bisogno di quote solo perché troppe teste sono vuote.