Rabarbaro

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Autore: Niccolò Matcovich

Mail: n-matcovich@hotmail.it

Cellulare: 3283724237

Posizione SIAE: 232450

Codice SIAE: 920976A

Rabarbaro

o Del riso e del pianto


Atto I


Scena I

La scena si compone di due stanze: la camera da letto e l’atrio/salotto della casa. Quando in una si svolge l’azione, l’altra è oscurata, e viceversa. Il sipario si alza con la camera da letto illuminata e l’atrio/salotto buio.

Il vecchio Rabarbaro giace a letto delirante. Sputa a terra e vòlta il volto a destra e a manca. Chiama, immagina, strilla.

RABARBARO: Pastrano! Porta subito un bicchiere di vincaldo al tuo padrone! Sto male! Non lo vedi che sto male? Pastrano!

Entra di fretta Pastrano, il servitore. Gira per la stanza, intorno al letto, avanti e indietro. Arriva infine vicino al padrone e gli porge il bicchiere di vincaldo, come richiestogli.

RABARBARO: Pastrano! Cos’è questa diabolica mistura? Avevo chiesto spremuta d’amarene! Cosa, mi vuoi forse avvelenare?

PASTRANO: L’ho fatto per la vostra santa salivazione! Guardatevi intorno signore: questa stanza è ricoperta di bava! Dovrò scopare… Torno a momenti con uno straccio. La volete la spremuta d’amarene?

RABARBARO: Credi che te l’abbia chiesta invano? Non son mica delirante, io! Pastrano lo guarda indispettito, volge lo sguardo nell’altra direzione, e fieramente sen va.

RABARBARO: Che d’è tutto questo romor di carriozze? Lasciatemi in pace! Voglio riposare! Voi! Sì voi! Dal volto gentile e i tratti nobili, avvicinatevi cortesemente. Chi d’è quella dama che s’accompagna con l’ombrello vicino alle due cornacchiette lagiù? Rabarbaro si infila le dita in bocca e, rialzando appena un poco la testa dal letto, inizia a fischiare.

RABARBARO: Bèlle damigèlle! Perché non vi girate? Son forse così inane per voialtre? E voi, signorotto di cui inizio a dubitare i nobili natali, perché non datemi retta? Son io invisibile ai vostri occhi di cielo? Mondo infame!

Rientra Pastrano. Gira per la stanza, intorno al letto, avanti e indietro. Raggiunge il padrone e gli porge la spremuta d’amarene.

PASTRANO: Le ho colte nottetempo per voi, poiché sapevo che m’avreste chiesto ante il vincaldo e poi, come se IO fossi impazzito, la spremuta d’amarene. RABARBARO: Pastrano, hai per caso voglia di scherzare oggidì? Dammi subito questo placebo e non discutiamone più!

PASTRANO: Comandi! E mentre bevete il vostro placebo, io ripulirò questa terra di saliva, prima che al prossimo servizio debba accorrere con il costume da bagno… RABARBARO: Cane rognoso! Porta via le tue pulci da quello che pretendo essere il mio letto d’oltrepasso! Vuoi forse che ti sputi addosso per farti usar quelle zampacce malandate? E non guardararmi con quegli occhi languidi! Mi sembri… Mi sembri… Un cane bastonato! (Ride a crepapelle)

PASTRANO: Padrone, la spremuta d’amarene v’ha forse dato alle capocce? Son Pastrano, io! Ecché, avete già scordato la mia faccia?

RABARBARO: Muso rabbioso! Come osi rivolgerti a me cossì? Con codeste parole poi! Non provocarmi, ché se solo le mie bracce potessino levarsi contro il tuo pelame, ti manderei via da qui a calci nel sedere! Ora fuori! Lascia riposare un vecchio malato come me! Via cane! Via!

Pastrano, stupito arrabbiato triste disonorato, lascia la stanza a quattro zampe, volgendosi verso il vecchio delirante poco prima d’uscire.

PASTRANO: Bau!


Resta accesa la luce della stanza da letto e, con il passaggio di Pastrano all’altra, si accende anche questa.

Scena II

Arrivano in casa la Marchesa Therèse, cugina di Rabarbaro, con la figlia Adele.

Pastrano torna da Rabarbaro per annunciarle.

PASTRANO: Signore, vi annuncio con gran disonore che vostra cugina la Marchesa insieme con sua figlia la Marchesina Adele son qui, per voi. Sapendo della vostra infermità, hanno infatti deciso di recarvi saluti, poiché “questi potrebbero esser li ultimi”; testuali parole della Marchesa…

RABARBARO: Lascia che rimembri siffatte insopportabili creature. Che entrino!

La Marchesa si presenta in abito lungo bianco merlettato. In capo porta un cappello nero con piume di pavone che fendono l’aria. Alle mani guanti neri lunghi fin ai gomiti. La figlia indossa invece un completo azzurro con corpetto e gonna fin ai ginocchi. Lunghe calze color latte e scarpette nere con fibulatura dorata.

THERESE: Ma caro cugino! Che desìo di rivederti che aveva la mia figliola! E tu in tal maniera accogli la Marchesina? Ma su! È quasi l’ora del pranzo! Cosa fai ancora a letto? Non è mica buon’educazione accogliere due ospiti così!

PASTRANO: Perdoni l’intromissione signora, ma il padrione è assai malato!

THERESE: E cosa sono tutte queste finestre chiuse? L’aere che circola è divenuto irrespirabile! Su Pastrano! Fa’ entrare un po’ di luce in codesta stanza tenebrosa! PASTRANO: Mi scusi se oso risponderle, gentile signora, ma le ripeto che il padrione è gravemente malato. Non posso aprire, altrimenti se ne morirebbe!

THERESE: Non capisco perché tutta questa tua disobbedienza oggi! Vergogna! Bene, Adele cara, dato che il nostro amico non si degna di far ciò che cortesemente ho chiesto, sarai tu ad obbedirmi. Va’, e lascia che lo sole illumini almeno un poco la bella faccia di tuo zio.

Adele obbedisce alla mamma spalancando i tre grandi finestroni della stanza. Entra una forte luce che finisce dritta negli occhi del vecchio Rabarbaro. Pastrano, per evitare di assistere alla sua reazione, volta le spalle alla scena e fissa il muro.

RABARBARO: Brutti pennuti arroganti! Con quale pudore entrate qui, nella mia caverna, a derubare ombra ai miei stanchi occhi? Siete forse voi li padroni di casa? Cossì mi farete venire un accidente! Oche starnazzanti! Giungete nel mio loco e vi permettete anche di gracchiarmi negli orecchi! Avessi uno ferro occhessìa un alare, vi brustirei sulle braci con pien di penne! E vi siete anche sistemate! Ma brave! Ora prendete quelle vostre zampacce trivalenti e portatele a corsa fuori di qua!

Adele scoppia a piangere.

RABARBARO: O da quando un gallinaccio è anche in grado a lagrimare? Son forse rimasto indietro con li tempi? Ha forse la Scienza donato all’uomo qualcosa a me ancora inconocciuto? Pastrano! Che situazione è mai questa? Perché hai portato due pennuti in casa mia?

PASTRANO: Ma signore…

THERESE: La mia indignazione è tale, che d’ora in poi non vorrò nianche guardart’in faccia. Anzi! Guai a chi proverà riparlarmi di te! Perderà la lingua sotto i morsi dei miei denti aguzzi! Addio, cugino; che il buon giudizzio faccia renderti conto di come tu abbia osato trattare la Marchesa. Con grande offesa e superba melodrammaticità, ti lascio. Addio!

Se ne esce altera insieme con la figlia, ancora piangente.


RABARBARO: Lascia riposare questo povero vecchio, Pastrano. Ti chiamerò io in quanto ne avrò necessitate.

PASTRANO: Obbedisco.

Richiude i finestroni e lascia la stanza.

Scena III

RABARBARO: Fisso. Fisso l’occhi verso quello quadrio. Vedo, guardo, osservo. Ipnosi. Colore. Bello caldo consolatore. È buio! Non vedo quasi nulla qui dentro. Eppure so che è la mia casa, la mia stanza. Lo so! Certo che lo so! Ho conocciuto la luce, anche poco fa; sì, poco fa! Me l’han portata i pennuti! Ed ora sono solo… Chi cerca di me? Chi pensa di me? Codesto quadrio è bello, mi ammala, mi uccide di contentezza. Ma cosa dentro la mia anima? Cos’è questo cheto turbino che mi sento dentro? M’affido ai pensieri, poiché lo corpo mio è morto, è stanco, sta marcendo sotto due o trecchessìano copertoni di pecoro. E fin dove posso giugnere con la mia mente? Ho forse limiti, io? Son pur sempre un uomo! E cos’è l’uomo? È materia o psiche? Se d’è un connubio, allor’io son solo mezzo, poiché materia non ce n’è più, o quasi. Dicono che i pazzi pensano, e pensano male; per quello sono pazzi! Io penso, e come penso? Ho le mani friedde, la mia fronte suda. Ho sete. Come vorrei alzar ritte le mie gambe e condurmi da me et meco infino al pozzo fondo, e immergere le dita nell’acquaneve, e poter bere perché sono libero! Ma questa è una trappola, ed io son come lo topo: catturato, spacciato. Vorrei una candela, sì, proprio una candela! Pastrano! Pastrano!

PASTRANO: Accorro! Spero abbiate riposato bene, anche se cinque minuti son passati… Necessitate qualcosa signore?

RABARBARO: Sì Pastrano: gradirei due bicchieri, uno pieno ed uno vòto, ed una candela.

PASTRANO: In quello pieno che ci metto?

RABARBARO: Pastrano non farmi alterare! Sai benissimo che l’unnica cosa che bevo è vincaldo!

PASTRANO: Il che vuol dire spremuta d’amarene…

RABARBARO: M’hai forse preso per scemo oggi? O son i tuoi orecchi che iniziano a marcire come le mie gambe? Ho detto di volere vincaldo, e non spremuta di nonsocosa!

PASTRANO: Sì signore; sarò subito da voi.

Va’ e rientra dopo pochissimo.

PASTRANO: Ecco qui: il bicchiere vòto, la candela già focosa e, per finire, la vostra bella spremuta d’amarene!

RABARBARO: Grazie buon Pastrano, questa sì che mi rinfrescherà lo spirito!

PASTRANO: Signore, chiamatemi non appena urge qualcos’altro.

RABARBARO: No Pastrano, gradirei che tu rimanessi qua, accanto a me, a tenermi compagnia.

PASTRANO: Ma, signore…

RABARBARO: Non dire no Pastrano. Son tanti anni che sei qui e in tutto questo tempo non ci siamo detti niente. E poi, ora che il senno s’è reinsediato in me, approfittiamone! Ho tante domande da fare, alle quali solo tu puoi dare esito. Ascoltami Pastrano, ascoltami!

Buio.


Scena IV

Atrio della casa. Pastrano è lì. Bussano alla porta. Pastrano apre; gli si para dinanzi un ometto curioso con una montagna di libri tra le mani.

PASTRANO: Il signore desidera fare una deposizione? O ha forse scambiato questa casa per una vecchia biblioteca o per una discarica di libri usati?

LIBRAIO: Sono venuto a consegnare la pila di libri di cui ricevetti ordinazione appena due ore fa…

PASTRANO: Credo che nessuno in questa casa abbia voluto ordinare dei libri, anche perché la lettura non è amica dei nostri occhi. Temo quindi che abbia sbagliato residenza, sempre che non si riferisca alla mia richiesta, fattami dal padrione, di comperare i dieci volumi dell’enciclopèdia universale e quindici o venti romanzi di mio gusto nonché pregiata fattura. Se è questo ciò che intende, allora sì, è giunto a destinazione.

LIBRAIO: Come può vedere, tra le mie mani sono raccolti proprio i dieci volumi e i quindici o venti romanzi che lei stesso era venuto ad ordinare.

PASTRANO: Ecco dunque che si scioglie il nodo. La colpa è infatti sua, poiché si è presentato offrendomi una pila di libri, quando le mie intenzioni erano di comperare i dieci volumi del sapere e quei quindici o venti suddetti romanzi, che non possono considerarsi libri, bensì capolavori!

LIBRAIO: Non son certo di aver seguito tutti i punti del suo filosofare. Ma l’essenziale è che abbiamo risolto la nostra diatriba e possiamo tornare in buoni rapporti come prima di questa discussione, sebbene non ci conoscessimo… PASTRANO: Ora non son certo io di aver capito la sua filosofia, ma lasciamo correre… Posi pure qui tutto ciò che ha tra le mani e attenda che le porti la ricompensa.

Si inchina e sen va. Torna poco dopo con una scatola di latta colorata tra le mani. PASTRANO: Una buona lettura è sempre accompagnata da una tazza di tè, ed io so che lei legge molto… Eccole dunque dell’aroma offerto al mio padrione dalle mani medesime della regina d’Inghilterra. Ne faccia buon uso; non tutti hanno questo privilegio!

Lo accompagna con la mano fuori dalla porta e gliela richiude alle spalle. Il libraio, basìto, sen va.

PASTRANO: E adesso sentiamo come sta il padrione… Bussano alla porta.

PASTRANO: Immagino sia di nuovo quel rileggalibri venuto a reclamare un’altra scatola di tè… Al giorno d’oggi l’uomo non s’accontenta mai!

Apre. È il lattaio venuto a consegnare tre scatoloni colmi di bottiglie di latte fresco. PASTRANO: Desidera?

LATTAIO: Son venuto a portare il latte per il signore. Dove devo lasciarlo?

PASTRANO: Mi duole molto di non averla avvertita, ma è qualche giorno che il padrione si rifiuta di bere latte o qualsiasi altro liquido che non sia spremuta d’amarene…

LATTAIO: Recepisco… E cosa dovrei farmene di questi pesi insostenibili?

PASTRANO: Dica alle sue mucche di riempirsi meno le mammelle. Sono spiacente, ma non posso accettarli… Se li riporti indietro; verranno pagati ugualmente, ma in data ancora da precisare.

LATTAIO: Ho fiducia in voi poiché vi conosco da lungo tempo; spero quindi che mi chiamerete non appena i conti potranno essere saldati. Buona giornata!


Sen va, accompagnato alla porta da Pastrano.

PASTRANO: Scocciatore che non è altro! Non bastava il rileggalibri: ci voleva anche il lattaio! Chissà di chi sarà la prossima visita…

Rabarbaro chiama a voce roca dall’altra stanza.

RABARBARO: Pastrano! Vieni qui! E… Portami un bicchiere vòto…

PASTRANO: … un bicchiere pieno e una candela…

RABARBARO: Pastrano! Sei sordo?

PASTRANO: Arrivo subito padrone!

Prima che possa muovere un passo, si sente nuovamente bussare alla porta. PASTRANO: Ma che passa oggi? Questa casa non è mica una locanda!

Apre. È il padrone che reclama l’affitto. Basso, panciuto, con lunghi baffi neri e pochi capelli. In testa ha un cappello scuro.

PASTRANO: Desidera?

PADRONE: Non desidero nulla: pretendo! E sapete cosa pretendo? La pigione! E sono mesi che vi lascio liberi di insudiciare la mia casa senza spillare un soldo! PASTRANO: Mi spiace ma non ho a mente ciò di cui parlate… Probabilmente è perché finora avete discusso col mio padrione anziché con me. Le mie mansioni sono infatti troppo umili per alzarmi al vostro rango…

PADRONE: Non mi servono adulazioni. Non mi conoscete perché fino a questo momento ho accettato di lasciarvi qui indisturbati, ma mi sono stancato. Vai a dire al tuo padrone o padrione o come diavolo si chiama che pretendo di essere pagato, subito!

PASTRANO: Non vorrei recarvi un dispiacere, ma temo che il padrione non potrà ricevervi né tantomeno pagarvi, poiché molto malato e non in grado neanche di distinguere un uomo da un cane…

PADRONE: Ah! Il padrione è malato! Il padrione non mi può ricevere! E che bella scusa è mai questa? Son forse fesso io? Mi si prende per scemo? Togliti di davanti e lascia che vada io a parlare con il padrione!

PASTRANO: Oh no signore! Questo è fuori discussione! Vi prenderete un accidente e diverrete così malato da non alzarvi dal letto fino alla morte! Date retta a me: lasciate la casa e tornate quando le condizioni del padrione saranno migliorate!

PADRONE: Ah no! Eh non ci casco! Voi siete furbi, ma io son più furbo di voi! E sai che ti dico? Che ti lascio il cappello e me ne sto qui, proprio su questa sedia, finché non avrete adempiuto al vostro dovere.

PASTRANO: Come desiderate… Mi dovete però scusare, perché ora ho il dovere di raggiungere il padrione; non vorrei che le condizioni sue s’aggravassero… Volete che gli lasci detto qualcosa?

PADRONE: Digli che non me ne andrò finché non mi sarà pagata la pigione, e che sono davvero intenzionato a farlo, al costo di dormire e mangiare proprio qui, su questa stessa sedia! Ah! E digli anche che me ne sto qui senza raggiungerlo solo perché sono un vero gentiluomo, altrimenti gli avrei frugato da me stesso le tasche!

PASTRANO: Come desiderate… Tornerò a breve credo. Vi auguro intanto una buona permanenza in questa prigione…

PADRONE: Hai anche il coraggio di chiamarla prigione? Eh certo! Perché ora son io il prigioniero vostro! E voi siete i miei!

PASTRANO: In realtà signore il termine l’ho imparato da voi pocanzi, senza saperne neanche il significato…

PADRONE: Ma sei forse impazzito? Io non ho mai parlato di prigione! E non mi

permetterei mai in casa MIA! Ho invece detto pigione: PI-GIO-NE! Capisci? Ciò che mi dovete in cambio di queste quattro mura!


PASTRANO: Capisco. Adesso fatemi la cortesia di lasciarmi andare. Il tempo stringe, il padrione chiama!

Lascia la stanza. Raggiunge Rabarbaro.

Scena V

PASTRANO: Mi avevate chiamato signore?

RABARBARO: Passò tanto di quel tempo che me ne hai fatto dimenticare! Ma non occorre… Piuttosto… Dove sono li bicchieri e la candela?

PASTRANO: Uh! Perdonatemi, ma ho una tale quantità di pensieri alla mente che li avevo dimenticati! Vedo comunque che il bicchiere è ancora pieno, l’altro ancora vòto, e la candela consumata appena!

RABARBARO: Ah birbante! Dunque me li hai portati! Eh certo! Eccoli proprio qui accanto a me! Sempre voglia d’ischerzare, n’è vero?

PASTRANO: Debbo confessarvi che il primo turno l’avevo già fatto anzitempo… Non ricordate che ante ve li avevo portati?

RABARBARO: Pastrano, Pastrano… Il tuo spirito è la sola cosa che mi permette ancora di guardare il mondo con occhi di gioia!

PASTRANO: Ma il mio non è un ischerzo… Sto dicendo il vero!

RABARBARO: Pastrano… Un vecchio proverbio dice che l’ischerzo è bello solo quando è snello. Smettiamo dunque di giocare assieme e parliamo invece di cose serie. Grazie intanto per queste due armature che mi vegliano e mi proteggono senza tregua alcuna.

PASTRANO: Armature? Io non ne vedo proprio!

RABARBARO: Continui a fare il furbetto? Non me ne diverto più Pastrano! O sarà che la vecchiaia sta colpendo anche te? Le hai portate pocanzi, con li tuoi bracci! E ti ho proprio visto, con questi occhi sani che solo questi mi restano! E le vedo tuttora! Non son mica sognante! E ti parlo! E mi tocco! Mi sento vivo!

PASTRANO: Sarà forse che a voi è consentito veder cose che sono invece a me proibite… Ma passiamo ad altro signore; ho nuove importanti da comunicarvi! RABARBARO: E cosa vuoi dirmi di cossì necessario? Oramai la mia vita è sfumata. Il mio tempo è questo letto, il mio loco queste mura. Sto bene al caldo, sotto queste coperte di pecoro.

PASTRANO: Io non vorrei dirvi proprio niente! È piuttosto il libraio, che reclama il danaro dei libri, e così il lattaio per i suoi barili, ed infine il padron di casa, che pretende la pigione…

RABARBARO: Ah dannati! Hanno anche il coraggio di venire in casa mia quando io, vecchio canuto, son malato e me ne sto ansimante sotto quattro copertoni lanuti? Immagino abbiano lasciato qualche cosa che dirmi!

PASTRANO: Ho congedato il libraio con l’astuzia, il lattaio con promesse, e il padrone…

RABARBARO: E il padrone?

PASTRANO: E’ di là ch’attende la pigione…

RABARBARO: Ma quell’uomo è un diavolo! Miseria dannata! Una pulce di compassione! Ci mancava che venisse qui, in codesta stanza, a frugarmi a manacce sotto il materasso!

PASTRANO: Ah! Dimenticavo… Ha detto di riferirvi che aspetterà seduto sulla sedia finché non verrà accontentato, e che non viene a farvi visita espressa solo perché vero gentiluomo.


RABARBARO: Che razza di furfante! Che entri pure! E vediamo se i miei soldati gli lasceranno indosso la sua pellaccia! Lasciami solo Pastrano, ante che la collera mi squagli sotto queste lane.

PASTRANO: Cosa dico al padron di casa?

RABARBARO: Non dirgli proprio nulla! Tranne che potrà aspettare alquanto, poiché non moverò uno passo verso lo lui fin’al punto che codesto corpo non me lo concederà.

PASTRANO: Come desiderate… Buon riposo!

RABARBARO: Va’ Pastrano, va’…

Scena VI

RABARBARO: Che d’è tutto questo romor di festa? Chi gira per la stanza con volti di Venezia e coriandoli a quintali? Che gioia! Che gioia avervi qui, giullari dai mille fronzoli! E perché venite a visitarmi? Forse perché d’io son malato? E chi v’ha mandato qui da me? Ma questo è turbine di colori e contentezza! Avvicinatevi! Stringetemi le dita! Sfamatemi con molli prelibatezze! E che musica! E che danze! Giù con quei tamburi! Giù con quei campanelli! Oh che gioia! Quante emozioni per queste melodie! E subito è ricordo dei tempi passati, quando le mie gambe correvano e saltavano proprio simili alle vostre! E quanta invidia che provo per voi! Io me ne devo star qui, immobilizzato dal mio stesso corpo. Ma voi! Voi siete qui, dinanzi a me, e siete tanti! E ballate e giocate ridete e scherzate! Oh che gioia! Accorri Pastrano! Accorri alla festa! E porta la musica! E tamburi, e nacchere, e flauti e voci bianche! Accorri Pastrano! Non lasciar che cessi questa festa!

PASTRANO: Signore, mi avete chiamato?

RABARBARO: Ma sì che t’ho chiamato! E guarda che spettacolo che abbiam dinanzi a li occhi! Non ti si scalda il cuore?

PASTRANO: Vi riferite alle due plumbee armature che veglian su di voi?

RABARBARO: Ma quali armature! Non c’è nessun cavaliere qui! Non vedi queste maschere, e questi colori, e queste note che danzano nel cielo? Non senti che festa, che armonia, che gioia di vivere intorno a noi?

PASTRANO: Desiderate forse bere qualcosa per ritornare in voi?

RABARBARO: Ma su Pastrano! Non esser sempre così serioso! Vivi anche tu! Forza! Ecco! Balla con questo giullare che ti si annida tra i capelli, soddisfa il suo sorriso, vola con lui!

Pastrano, per accontentare Rabarbaro, inizia a danzare con l’aria, fingendo di stare a braccetto con uno di questi giullari immaginari.

RABARBARO: Oh sì! Guarda come balla il mio Pastrano! Oh che gioia! Che gioia Pastrano! È questa la vita! Sì sì! Questa! Oh che gioia!

Rabarbaro batte le mani entusiasta.

PASTRANO: Oh signore, che gioia! Che gioia! Salto e ballo, canto e danzo! Che gioia! Dovreste esser qui voi, a tenermi a braccetto!

Rabarbaro diviene improvvisamente cupo. Smette di battere le mani, si rannicchia sotto le coperte e diviene cereo in volto.

PASTRANO: Signore, ho forse detto qualcosa d’errabondo?

RABARBARO: Mi hai solo ricordato la mia condizione infelice, e cossì hai fatto fuggir via i giullari, e le musiche, e i molli dolci e i dolci canti…

PASTRANO: Vi chiedo umilmente scusa signore… Non era mia intenzione rovinar la festa…


RABARBARO: Fa’ niente Pastrano, fa’ niente… Lasciami solo. Chissà che non ritornino i volti di Venezia…

PASTRANO: Subito signore. Io sono di là, per qualsiasi cosa…

Lascia la stanza. Rabarbaro prova a fatica ad alzarsi dal letto. Porta indosso solo una vestaglia leggera. A piedi scalzi si pone debolmente al centro della stanza e inizia a ballare e ridere, le braccia in alto e le mani congiunte, i piedi storti ed instabili. Scambia poi l’anta dell’armadio per una fanciulla e l’apre danzandoci. Si scopre uno specchio. Rabarbaro, spaventato per la propria immagine riflessa, cade in terra.

RABARBARO: Ah! Codardo infame spia assassino ladro! Chi sei? Come puoi entrare in casa mia e nasconderti dentro un armario senza che nessuno se ne dia conto? E guardati come sei vestito buffo! E sei anche poco bello! Ma insomma! Smettila di ripeter tutto ciò che ti dico! Sei tu forse un di quei giullari di Venezia? Avete dunque scelto di farmi un ischerzo? E perché parli come me, e dici le cose stesse, e gli stessi gesti compi? Non hai una bella espressione: sei tristo! E dunque non sei un giullare… Perché non stacchi mai li occhi vecchi da li miei? Non costringermi a nasconderti nell’armario! Va’ via! Non io, tu! Va’ via! Hai note sembianze… Mi risvegli il ricordo… Aspetta invece, lascia che ti tocchi! Oh sì! Avvicina anche tu la mano alla mia! Ecco! Cossì! Con amicizia…

Sfiora la propria immagine nello specchio e ne sente il freddo. Si stacca con rapidità e s’affloscia al suolo svenuto.

Buio.

Sipario.


Atto II


Scena I

Pastrano è nell’atrio, dove ancora si trova il padrone ad attendere il pagamento della pigione.

PASTRANO: Avete bisogno di qualcosa?

PADRONE: Ma sei scemo? Ci siamo conosciuti prima, ti ho detto cosa voglio, ed ora me ne sto qui ad aspettare.

PASTRANO: Chiedevo solo se aveste bisogno di qualcosa!

PADRONE: Non ho bisogno di niente! Spero solo di ottenere ciò che voglio al più presto e poi di essere lasciato in pace.

PASTRANO: Vi stiamo recando disturbo?

PADRONE: Come hai detto?

PASTRANO: Chiedevo se vi stiamo recando disturbo, visto e considerato che avete appena detto di voler essere lasciato in pace…

PADRONE: Penso che qui mi si prenda in giro…

PASTRANO: Non è mio costume, ve l’assicuro.

PADRONE: Bene, allora lasciamo correre… Piuttosto, ascoltavano i miei orecchi che di là si facevan feste…

PASTRANO: Avete forse origliato i discorsi del padrione?

PADRONE: Nient’affatto! È solo che le musiche giungevan fino a me…

PASTRANO: Non dovete dar retta a ciò che il padrione dice e vede: delira!

PADRONE: Ah! Delira, lui! E pur tuttavia gli andavi dietro ballando e strillando!

PASTRANO: Devo assecondarlo, altrimenti se ne diventa pazzo!

PADRONE: Più pazzo di così…

PASTRANO: Scusate se vi correggo, ma il padrione non è pazzo, bensì solo gravemente malato.

PADRONE: Sarà…

PASTRANO: È.

PADRONE: Quanto pensi che dovrò attendere ante che il padrione mi riceva?

PASTRANO: Avete deciso voi di rimaner qui! Nessuno vi sta obbligando…

PADRONE: Oh ma insomma! Non sto mica a perder tempo io! Suvvia! È solo qualche danaro ciò che richiedo! Avrà un portagioie, un cofanetto, un qualcosa che mi possa soddisfare no?!

PASTRANO: Oh sì! Ma lo tiene fisso vicino a sé: ne è terribilmente geloso!

PADRONE: C’è però che se è l’unico modo che ha per saldare i suoi debiti, non vedo altra via d’uscita per risolver la questione!

PASTRANO: Non avete tutti i torti… O forse non ne avete proprio nessuno; ma vi ripeto che neanche per un’assicurata guarigione darebbe un briciolo di ciò che possiede lì, accanto a sé… A meno che…

PADRONE: A meno che?

Bussano alla porta. Pastrano va ad aprire lasciando il discorso in sospeso. LIBRAIO: Mi scusi se ancora una volta le reco disturbo, ma tornando in libreria mi son reso conto di che una scatola di tè non valga a riscattare tutti i libri che le ho lasciato…

PASTRANO: Il padrione ancora non li ha letti!

LIBRAIO: Ma questo non c’entra con i danari che dovrebbero essere dovuti a me!

PASTRANO: La comprendo perfettamente… Allora si accomodi, così facciamo coppia!

LIBRAIO: Come ha detto scusi?


PASTRANO: Nulla di incomprensibile! Dicevo solo che può accomodarsi, così siete in due ad attendere il risarcimento!

LIBRAIO: Ma io son uno! Nessuno m’ha seguito, eccetto la mia ombra e un cagnetto che voleva strapparmi a morsi il lembo di pantalone che mi penzola da qualche dì… PASTRANO: Mi riferivo infatti al padron di casa, che è già da un pezzo radicato sulla sedia e dice di restarvi finché il padrione non gli renderà la somma di danaro richiesta. LIBRAIO: Bene! Allora faremo coppia!

PASTRANO: È ciò che ho detto io un istante fa!

Pastrano introduce il libraio in casa e i due creditori si presentano.

PASTRANO: Lorsignori mi scusino se li lascio soli, ma il padrione ha le sue esigenze! Essendo tanto voi due uomini di vasta cultura e di enorme passione, non credo vi saran problemi di mutismo o timidezza… Anzi! Son convinto che potrà scaturirne una gran discussione! Filosofia forse!

S’inchina e passa nella stanza di Rabarbaro.

Scena II

Pastrano trova Rabarbaro ancora a terra accanto allo specchio.

PASTRANO: Signore ma cosa fate così per terra? Il vostro letto è forse troppo duro?

RABARBARO: Pastrano! È una gioia rivederti! C’era fumo, tanto fumo denso e penetrante, e li occhi miei non vedevan nulla! Ero cieco! Sì! Cieco! E… Ah sì! Tenevo un bastone con entrambi i bracci, e camminavo in codesto fumo, e aprivo la bocca e i denti si macchiavano di buio. Però ridevo, ed ero felice! E sentivo freddo, freddo marmo. Anche allargando le mani sentivo freddo, freddo marmo. Poi il fumo se n’è andato. Lentamente ho rivisto le luci, i colori, i contorni; finché non sei arrivato tu. Chiudi l’armario Pastrano, chiudilo subito!

PASTRANO: Sì signore, però prima ci rimettiamo al caldo.

RABARBARO: Sì hai ragione, debbo dire che il calore m’è mancato. Era tempo che non provavo freddo. Oh che gioia ritrovarmi qui, nella mia casa, nella mia stanza, fra poco nel mio letto!

PASTRANO: Lasciate che vi aiuti.

RABARBARO: No Pastrano! Ce la faccio da me. Son mica rotte le mie gambe! Rabarbaro prova a camminare ma fallisce. Pastrano lo abbraccia e lo adagia nel letto, coprendolo poi con il doppio delle lane.

RABARBARO: Lo vedi Pastrano? Ce l’ho fatta da me. Son mica rotte le mie gambe!

PASTRANO: Signore, quasi dimenticavo di dirvi che di là ad attendervi…

RABARBARO: … v’è il padrone che vuole la pigione… Lo so Pastrano, m’avevi già annunziato la sua ingradita presenza… Ma ho detto e ripeto che potrà restar lì a marcire finché le mie gambe non mi porteran da lui!

PASTRANO: Le vostre gambe dovrebbero forse un poco affrettarsi, poiché è mio compito avvertirvi che di là non v’è solo il sopracitato…

RABARBARO: Spero non ci sia altri all’infuori della sua ombra!

PASTRANO: Le ombre son due, poiché alla prima s’è aggiunta quella del libraio, che tanto astutamente avevo congedato e tanto arrogantemente ha osato ripresentarsi… RABARBARO: Furfante bramino!

PASTRANO: Intendete bramoso?

RABARBARO: Bramino o bramoso che sia, sempre furfante rimane! Possibile che a codesta età non si possa viver sereni un istante? Mi sono stancato Pastrano! V’è modo di provvedere?


PASTRANO: L’unica soluzione auspicabile…

RABARBARO: Eh no Pastrano! Già m’accorgo dove casca il tuo pupillo! No no!

Non si discute! Morirei piuttosto!

PASTRANO: Signore, il portagioie è l’unica ricchezza rimastavi… L’unica possibilità che avete per saldare tutti codesti debiti lebbrosi; non vorrei che col trascinar del tempo aumentasse anche l’interesse dei creditori…

RABARBARO: Oh bella! Abbiamo anche il coraggio di parlar d’interesse? Pastrano, fammi la cortesia di tacere e non prendere le parti del nemico!

PASTRANO: Non prendo nessuna parte signore! Cerco in tutti i modi d’essere imparziale!

RABARBARO: E sbagli Pastrano! Sbagli! Tu sei mio alleato, mio fedele amico! Non tradirmi in tal modo sgradito!

PASTRANO: Cerco solo un compromesso per risolver la questione. D’altronde… Codesti danari di cui tanto si parla è dovere vostro restituirli a chi d’interesse. RABARBARO: Mi sembra che d’interessi ne stiamo a parlare un po’ troppo. Iniziano a darmi i giramenti di stomaco!

PASTRANO: Signore, non vorrei esser pessimista, ma temo ch’a momenti arriveranno altri ospiti ingraditi in casa… Non vogliamo porre fine a questa istoria? RABARBARO: Lo motto “fine” non m’aggrada Pastrano. Troppo spesso rimbomba negli orecchi d’un vecchio, negli orecchi miei. Io voglio essere sereno. Il mio ruolo volge al termine. Lascia che trascorra gli ultimi istanti in questa stanza calda, con la luce soffocata, le coperte di pecoro e i due soldati che mi vegliano imperterriti. La solitudine non s’accompagna con la giovine età, ma quando poi si diventa bianchi, quando le pelli traspaiono le crepe, allora è tempo di restare soli; soli per riflettere, per sognare, per ricordare. È questa la funzione della vecchiezza, no?

PASTRANO: Le vostre sono belle parole signore, ma non abbiamo ancora trovato soluzione…

RABARBARO: Ma è semplice! Codesti arroganti mi lasceranno in pace, e solo quando a me sarà rubata anche l’amara gioia del ricordo, allora tu potrai gestire gli ori e gli argenti per sanar debiti, andare a donne o giocar d’azzardo. Ora va’, e comunica loro le mie istanze. Non tornar da me con notizie inquiete.

PASTRANO: Seguirò il vostro detto, sperando di riuscire a far togliere l’assedio al nemico, o di rimandarlo a data imprecisata, quando il maschio sarà crollato e il castellano proporrà la resa.

RABARBARO: Va’ Pastrano, e portami dei libri quando torni. Voglio leggere. M’aiuterà a ricordare. Va’!

Scena III

Nel salotto/atrio Pastrano trova a far combutta il padrone, il libraio e il neoarrivato lattaio.

PASTRANO: Ah! E lei è entrato dalle finestre?

LATTAIO: Ho avuto la cortesia d’essere accolto da codesti signori.

PASTRANO: Desidera?

LATTAIO: Desidero essere pagato, poiché mi sono dato conta di che il mio serbadanari è alquanto spoglio.

PASTRANO: Immaginavo…

LATTAIO: Immaginava?

PASTRANO: Immaginavo che sarebbe tornato a reclamare!


LATTAIO: Dunque non faceva prima a pagarmi quando già ero venuto?

PASTRANO: Diciamo che la mia condizione, o meglio quella del padrione, non è così distante quanto sembri…

LATTAIO: Or m’è chiaro. Tuttavia non ho alternative; spero che un modo per risanarmi lo abbiate.

PADRONE: Perdonate l’intromissione, ma credo di poter avere voce in capitolo, visto e considerato che anch’io debbo esser ripagato…

LATTAIO: Bene! Dunque siamo in due!

LIBRAIO: Aggiungete anche me, e abbiamo fatto tre!

LATTAIO: Ah però!

PADRONE: Ante che mi perda, stavo ragionando di che prima il qui presente lacchè del là presente padrione mi parlava d’un certo cofanetto contenente gioie e ricchezze… Penso che una piccola parte del custodito basterebbe a noi tutti per saldare i debiti…

PASTRANO: E io penso, come già detto in precedenza, che il padrione non mollerebbe un granello di ciò che custodisce sotto il letto neanche per la sua intera guarizione. A meno che…

I TRE: … A meno che?

Bussano alla porta. Pastrano apre. È la Marchesa Therèse con la figlia Adele. PASTRANO: Quale onore!

THERESE: Mi si lasci entrare. Oh! Vedo che qui si fa la festa! Capitiamo proprio bene allora!

PASTRANO: Ma quale festa e festa! Codesti signori sono venuti a reclamare i danari che spettan loro per questo motivo e quell’altro.

THERESE: Ancora meglio! Poiché al bel trio si può aggiunger coppia, e tre con due fan cinque!

PASTRANO: Non mi direte che siete venute anche voi per la stessa ragione!

THERESE: Ma come sei acuto Pastrano! Spicchi d’astuzia! È ancora per quella vecchia faccenda della sua povera madre, che mi stimava al punto che nel testimento mi lasciò buona parte del suo bottino, anziché consegnarlo tutto al suo unico figlio… PADRONE: E allora s’accomodi. Faccia come se stesse a casa sua!

THERESE: Oh ma com’è gentile lei! Fortuna che ancora esiste qualcuno con un briciolo d’umanità! Vieni avanti Adele, non esser timida!

LATTAIO: Prima dell’interruzione, mi pare si stesse discutendo d’una certa faccenda per sbrogliare i nostri affari…

PADRONE: Ah già!

LIBRAIO: Ah già!

PASTRANO: Ah già…

THERESE: Ah già! Di che si tratta?

LATTAIO: E’ ciò che ci chiediamo da gran tempo…

PASTRANO: E va bene signori, tanto ho capito che le vostre capocce dure non vi faranno muover piede finché non sarete ripagati. Dicevamo prima, giusto per introdurre le nuove arrivate nel discorso, che il padrione serba gelosamente sotto i materassi un cofanetto contenente gioie…

THERESE: Ma che bella notizia! E dunque cosa aspettiamo? Andiamo di là e rubiamolo nel sonno!

LATTAIO: Troppo rischioso. Diamogli una botta sul naso e prendiamogli tutto quanto!

PADRONE: Signori vi prego! Non diciamo scioccherie! L’unica possibilità è addormentarlo con del liquido.


PASTRANO: Avrei una soluzione alquanto più democratica…

I TRE: Cioè?

PASTRANO: Che il padrione mi perdoni per questo…

ADELE: E che soluzione è questa?

THERESE: Adele, sciocchina, fa’ silenzio per cortesia!

PASTRANO: Il padrione, per la sua malattia, vede cose che non esistono, fantasmi dell’immaginazione che prendono vita nella sua stanza.

PADRONE: Ci mancava solo che la mia casa fosse stregata!

PASTRANO: Macché stregata! È la sua follia: delira!

ADELE: Oh!

LIBRAIO: Perdonate se prendo parola or ora, ma quale sarebbe dunque la soluzione?

PASTRANO: Ritengo che l’unica maniera per catturar la sua attenzione sia una

grande mascherata: ognuno per sé, con il proprio personaggio.

PADRONE: Oh bella! Dovrei dunque mettermi in ridicolo così?

LIBRAIO: Mi permetto di tirarmene via; che cosa indegna!

PASTRANO: Potete dunque metter piede fuori di qui; non vedo soluzione alternativa…

THERESE: Permettete d’esprimermi signori: ritengo che il lacchè abbia ragione… Del resto, non sarà altro che un ischerzo, un gioco!

LATTAIO: Io ci sto!

LIBRAIO: E da cosa dovremmo mascherarci noialtri?

PADRONE: Che assurdità!

PASTRANO: V’è una vecchia soffitta qui di sopra dove il padrione era solito lasciare le sue collezioni. Mi basterà ottenere la chiave e vi porterò quaggiù un mondo! LIBRAIO: Dunque attenderemo. Faccia presto!

Pastrano si inchina e si dirige verso l’altra stanza, raccogliendo poco prima d’entrarvi dei libri depositati sull’uscio. I cinque assumono posizioni differenti e rimangono immobili come statue. Buio.

Scena IV

RABARBARO: Pastrano! Son ore che ti chiamo e tu non mi dai retta!

PASTRANO: Signore, non ho sentito proprio nulla io! Sarà che stavate sognando?

RABARBARO: Ma quale sognando! Non son mica rimbambito sa’! Tenevo solo li occhi chiusi.

PASTRANO: Ah ora capisco… Debbo comunque dirvi due cose.

RABARBARO: Che non siano noiose Pastrano, te ne prego. Questa mia condizione inizia ad essere insostenibile!

PASTRANO: Intanto ho esaudito il vostro desiderio: ecco qui una pila di libri che vi terrà compagnia.

RABARBARO: Ma io non so leggere!

PASTRANO: Come avete detto signore?

RABARBARO: Ho detto di non essere in grado di leggere!

PASTRANO: Ma signore, mi avete chiesto dei libri, e siete stato accompagnato da pagine e pagine durante tutta la vostra vita!

RABARBARO: Pastrano, tutto ciò che è vita si perde: io ho perso la capacità di leggere.

PASTRANO: Me ne dispiaccio assai… Allora… Leggerò io tutti questi libri per voi!

E poi… E poi vi racconterò le istorie!


RABARBARO: Sì Pastrano, mi sembra una gran bella idea.

PASTRANO: Non vi vedo così entusiasta…

RABARBARO: E’ la noia di vivere Pastrano, è la noia di vivere…

PASTRANO: Posso passare alla seconda cosa?

RABARBARO: T’ascolto.

PASTRANO: Avrei bisogno della chiave della vecchia soffitta per… portar giù alcuni argenti ch’è troppo tempo che non vengon lucidati… Se riacquistano splendore, possiamo anche esporli nella stanza accanto!

RABARBARO: Ma sì Pastrano, sì… Mi sembra proprio una bella idea. Prendila da te la chiave; si trova da qualche parte sotto i materassi…

PASTRANO: Eccola lì che sporge appena! L’acchiappo all’istante prima che ricacci la testina al caldo sotto il vostro gran corpo!

RABARBARO: Ricorda di richiudere Pastrano, e fa’ presto!

PASTRANO: Più veloce d’un destriero riposato!

S’inchina e sen va.

RABARBARO: L’arte è fugace, come la vita. Avrei voluto scrivere nella mia vita,

scrivere di teatro. Tempo fa ebbi un’idea: una commedia! Avevo a mente il titolo: Rabarbaro, come il nome che vesto. Ma che cos’è l’arte? Che cosa me ne sarei fatto della mia commedia? L’avrebbero forse letta in tanti, forse addirittura rappresentata, e poi? La dimenticanza. Sempre ho pensato che l’arte eleva lo spirito, lo rende nobile, ma mai son riuscito a concretizzare le mie idee, poiché l’arte è fugace, come la vita. La mia unica speranza, l’unica salvezza, sarebbe stata il Capolavoro; è questo che permette di eternare l’anima nei secoli, attraverso l’opera intendo. Il Capolavoro non sono riuscito mai a crearlo, e ora mi ritrovo qui, vecchio, stanco, delirante sotto quattro copertoni di pecoro, a filosofare sull’arte, che proprio del giudizio filosofico dovrebbe esser priva. Quando non sarò più in codesto mondo, verrò presto dimenticato. Non temo la morte, ma non apprezzo l’oblìo. Oramai però è troppo tardi. Non ho speranze, non ho alternative: il mio destino è segnato, ed io rassegnato. Addio mondo, cossì caro e crudele. Tutto ciò che ho appreso è destinato a svanire con me, perlomeno con il mio corpo. Forse la mia anima viaggerà; chissà? Sono stanco di vivere, sono stanco di pensare. Voglio chiudere gli occhi, sì, cossì. Dimenticare.

Lentamente cala il buio.

Scena V

PADRONE: Non per impicciarmi, signori miei, ma cosa vi è dovuto da codesto infermo signore?

LATTAIO: A me devono essere pagati numerosi cartoni di latte che ho portato fin qui a fatica; sono stato rispedito indietro con questi e senza danari.

LIBRAIO: Io ho invece consegnato di persona dei libri, che per fortuna il lacchè mi ha fatto lasciare, ripagandomi tuttavia con una scatola di tè…

THERESE: Io sono coinvolta in un vecchio affare di famiglia…

LIBRAIO: Siete dunque imparentata con l’infermo?

THERESE: Sono sua cugina, e questa la sua nipotina.

PADRONE: Mi sembra dunque che abbiamo tutti validi motivi per esser risarciti…

THERESE: E lei invece? Come casca da queste parti?

PADRONE: Io? Beh, io sono il padrone di casa!

THERESE: Oh capisco! Credo quindi che abbia più ragioni di tutti noi messi insieme! Rientra Pastrano con una gran quantità di vestiti e oggetti vari.


PASTRANO: Questo è tutto ciò che vi occorrerà per la mascherata.

THERESE: Oh ma è fantastico! Vi è veramente di tutto! Avvicinatevi signori, per cortesia!

Iniziano a rovistare tra i vestiti. La marchesa sceglie per sé uno straccio lungo bianco, il padrone una grossa armatura con elmo e spada, il lattaio pantaloni e giubba da giullare più un cappello deformato, il libraio delle ali nere e un lungo vestito ricoperto di piume scure.

PASTRANO: Vedo dunque che avete scelto; posso sapere i vostri ruoli?

THERESE: Ma si capisce! Io sarò il fantasma della casa, grazie al suggerimento del padrone, e la mia amata Adele sarà la mia gobba.

ADELE: La gobba! La gobba!

PASTRANO: Non poteva fare scelta migliore, considerato il colore della sua faccia… E voi, signor padrone?

PADRONE: Io sarò un nobile cavaliere con tutto l’occorrente. Mi sono sempre sentito a mio agio nel ruolo…

PASTRANO: Niente di più adatto! E lei, caro lattaio?

LATTAIO: Io sarò il giullare. Sentii tempo addietro che il gusto per il farsesco era così caro al vostro padrone…

PASTRANO: Nonostante la sua semplicità, lei non sbaglia mai! Ed infine lei, saggio libraio?

LIBRAIO: Io sarò il corvo della morte.

PASTRANO: Mi auguro che il padrione non la cuocia sullo spiedo. Bene! Se qui tutto

èpronto, non mi resta che introdurvi… PADRONE: Ci siamo.

PASTRANO: Attendete di qua. Entrerete uno alla volta per evitare confusioni. Pastrano si dirige verso l’altra stanza. Come prima, i cinque personaggi, vestiti di tutto punto, assumono posizioni differenti e restano immobili come statue. Buio.

Scena VI

Rabarbaro è a letto con gli occhi chiusi, mormorante parole sconclusionate. RABARBARO: Quando intrepido afferrò la lancia e si precipitò contro il suo nemico…

PASTRANO: Signore, state bene?

RABARBARO: Oh! Pastrano! Cosa? Cosa ci fai tu qui? Dov’è andato l’eroe? Chiudi le finestre! Presto! Non lasciarlo fuggire via! Perché i miei guerrieri non l’hanno bloccato? Insolenti!

PASTRANO: Signore, temo si trattasse di un sogno…

RABARBARO: Oh hai ragione Pastrano… Che sbadato! Perdonami… Ero cossì preso! Stavo… Sì! Stavo creando il mio Capolavoro! Beh, peccato, in ogni caso sarebbe rimasto solo un sogno…

PASTRANO: E’ così signore… Avete bisogno di qualcosa?

RABARBARO: Perché, t’ho forse chiamato?

PASTRANO: Oh no signore! Ma lo sapete quanta cura mi prendo di voi! E poi… son venuto a riportar la chiave!

RABARBARO: Ah la chiave! Già me ne ero dimenticato! Mettila qui sotto i materassi.

PASTRANO: Siete sicuro che non vi serve niente?


RABARBARO: Sono sicuro. Necessito solo tranquillità e riposo. Chissà che non riesca a terminarlo?

PASTRANO: Il Capolavoro?

RABARBARO: E tu cosa ne sai?

PASTRANO: Me ne avete parlato appena un minuto fa!

RABARBARO: Sì, il Capolavoro. Ora lasciami solo per cortesia.

PASTRANO: Come desiderate…

Si inchina e lascia la stanza. Rabarbaro chiude gli occhi e ricomincia a brontolare.

Entra la Marchesa insieme con la figlia Adele, che le fa da gobba.

THERESE: Quante cose son cambiate in questo dormitorio!

RABARBARO: E tu chi sei?

THERESE: Io sono la…

ADELE: Il!

THERESE: Io sono il fantasma della casa.

RABARBARO: Ed io il proprietario…

THERESE: Non dovete aver paura di me…

RABARBARO: Non ne ho.

THERESE: Non interrompetemi! Non dovete aver paura di me, perché io sono un fantasma triste e melanconico.

RABARBARO: E perché mai?

THERESE: A lungo sono rimasto incastrato tra due assi del soffitto; a lungo ho tentato di liberarmi senza mai riuscirvi.

RABARBARO: Per questo t’è venuta la gobba?

THERESE: Oh no! La gobba m’è venuta perché… Perché da vivo mi tennero prigioniero in questa stanza, con una catena al collo con ai margini due grandi pesi che mi costringevano a star piegato sempre.

RABARBARO: Oh che cosa triste… Per questo la tua anima è rimasta qui prigioniera! E come hai fatto a liberarti dai due assi?

THERESE: Dopo anni di tentativi, uno dei due legni ha ceduto, ed io ho potuto trarmi in salvo da quella trappola. Tuttavia, non potrò lasciare questa stanza, finché… RABARBARO: Finché?

THERESE: Poco prima della mia morte, mi dissero che l’unica via per scampare all’eterno supplizio di vagare senza mèta in questa stanza era di pagare un’ingente somma di danari per liberarmi dalla condizione di prigioniero.

RABARBARO: E quei danari non sei stato in grado di ripagarli…

THERESE: Eppure esiste una regola tra noi fantasmi: chiunque riesca ad esaudire i desideri di colui che l’ha condannato per l’eternità, potrà riprendere il suo corpo per cento anni ancora, ed infine morire con serenità.

RABARBARO: Come vorrei esserti d’aiuto…

Prende il portagioie da sotto il materasso e inizia a frugarvi dentro.

THERESE: Credo che voi siate la mia unica speranza!

RABARBARO: Avvicinati dunque! Eccoti un anello che scioglierà ogni maledizione. E ti prego di tornarmi a trovare quando riacquisteari il tuo corpo; chissà che fra noi non potrà nascere una profonda amicizia?

THERESE: Vi ringrazio con tutto il mio spirito! Mi avete redento. Tornerò senz’altro a farvi visita!

Il fantasma lascia la stanza. Rabarbaro sorride. Entra il padrone.

PADRONE: Chi è costui che in tempo di guerra osa restare sotto le coperte a prender caldo? Avete forse l’autorizzazione del re?

RABARBARO: E tu chi sei?


PADRONE: Come osate non riconoscermi? Avete già scordato la mia faccia, dopo tutte le battaglie che senza dubbio abbiamo combattuto e vinto fianco a fianco? RABARBARO: Le battaglie non posso di certo scordarmele, ma la tua faccia m’è proprio nuova! Perché non ti togli l’elmo anziché solo la visiera? Cossì forse potrò riconoscerti!

PADRONE: Oh no! Ho… Ho una grande ferita alla testa che preferisco non mostrare ad alcuno fuorché a me stesso! Ma voi state sviando i discorsi! Perché giacete a letto morente quando fuori da questa stessa tenda infuria la battaglia?

RABARBARO: Fosse per la mia anima, sarei già fuori a battagliare, ma le mie gambe non mi concedono il lusso. Sono quindi stato lasciato in questa tenda, con quei due guerrieri a farmi imperterriti la guardia.

PADRONE: Oh! Sì… Sì! Li vedo! Dunque mi dite di non essere in grado di combattere… Siete perlomeno stato censito?

RABARBARO: Non ti seguo…

PADRONE: Il re ha ordinato di che tutti i suoi soldati paghino un’ingente tassa sulle proprie dimore con annesse tutte le suppellettili e mobilie varie.

RABARBARO: Oh! Se è il re che comanda ciò, non posso di certo tirarmene indietro! Avvicinati dunque! Eccoti una collana che ripagherà tutti i desideri di sua Maestà.

PADRONE: Bene soldato. Vi auguro dunque un buon riposo, sperando di vedervi presto al mio fianco con la spada sguainata al cielo.

Con un lieve inchino lascia la stanza. Rabarbaro sorride. Entra il lattaio.

RABARBARO: C’è oggi un gran via vai! Anche tu vieni dalla battaglia?

LATTAIO: Nessuna battaglia signore. Sono un messo della Serenissima: la città è in crisi!

RABARBARO: Placa l’affanno e spiegami cosa corre.

LATTAIO: Il doge ha sentenziato che non si festeggerà alcun carnevale a causa della forte crisi dei mercati con l’Europa.

RABARBARO: E’ questo che tanto ti preoccupa?

LATTAIO: Signore, io son giullare di professione! Il carnevale è il mio periodo di gloria! Con ciò che guadagno in una settimana ci campo per quasi un anno! Se la festa viene abolita io son perduto!

RABARBARO: Oggi mi sento generoso… Avvicinati dunque. Prendi questo gruzzolo di monete per te, e questo copricapo di velluto ricamato d’oro per il doge. In questo modo sarete tutti accontentati!

LATTAIO: Infinite grazie signore! Infinite grazie! Vi devo la mia vita! Ora sono libero! Libero!

Con piroette e salti lascia la stanza. Rabarbaro sorride. Entra il libraio.

RABARBARO: Siete venuto a distruggere la festa, orrendo animale? Chi siete?

LIBRAIO: Io sono l’Apocalisse.

RABARBARO: Affascinante.

LIBRAIO: Vesto le penne del corvo della morte: accompagno gli uomini nell’oltretomba.

RABARBARO: Mitologico.

LIBRAIO: Sono solito non giudicare, ma eseguire ciò che il vostro destino segna.

RABARBARO: E’ dunque giunta la mia ora?

LIBRAIO: Questa è solo la mia prima visita. Te ne farò altre due prima di condurti dove è giusto che tu vada.

Rabarbaro  muta  completamente  umore.  Si  fa  livido  in  volto  e  resta  immobile:

percepisce la presenza della morte.


RABARBARO: Non voglio morire realmente.

LIBRAIO: Non puoi cambiare il tuo destino, ma puoi evitare che io torni a farti visita.

Non avrai così il pensiero di morte.

RABARBARO: Come può accadere questo?

LIBRAIO: L’onestà è causa di infelicità. Io sono il tuo mercenario: corrompimi.

RABARBARO: Cosa se ne farebbe un corvo dell’oro?

LIBRAIO: Non farti tante domande. Ti ho detto che questo è l’unico modo per impedirmi di tornare. Obbediscimi.

RABARBARO: Restate dove siete. Prendete questi bracciali che getterò vicino alle vostre zampe. Non tornate più da me.

LIBRAIO: L’accordo è preso. Addio.

Esce sbattendo le ali. Rabarbaro resta serio. Ripone il portagioie sotto il materasso. Si toglie le coperte dal corpo. Poggia i piedi per terra. Si alza in piedi. Fissa la porta d’accesso all’atrio/salotto. Buio.

Scena VII

I cinque, insieme con Pastrano, si riuniscono nell’atrio/salotto orgogliosi del successo ottenuto. Pastrano se ne resta in un angolino a rosicchiarsi le mani. Eccetto lui, tutti ridono di gusto.

PADRONE: Grande impresa! Grande impresa! Non poteva andarci meglio, no? A me ha donato una ricca collana! Guardate che meraviglia!

THERESE: Oh! Niente in confronto all’anello che ha dato a me! Ammirate signori, ve ne prego!

LATTAIO: Io ho invece guadagnato questo gruzzolo di monete e un magnifico copricapo in velluto ricamato d’oro!

LIBRAIO: E infine io, che son riuscito a spaventarlo a morte! Era diventato bianco per la paura! Mi ha gettato ai piedi questi finissimi bracciali!

THERESE: Possiamo dunque dirci tutti soddisfatti…

PASTRANO: Potete ora farmi la cortesia di lasciare questa casa?

PADRONE: Oh! Non prima di aver festeggiato tutti insieme! Vedo lì del vino. Portaci delle coppe, e abbi la cortesia di unirti a noi!

PASTRANO: Non berrò mai con il nemico.

THERESE: Ma su Pastrano! Non prenderla così sul serio! In fondo, hai ammesso anche tu che così dovevano andar le cose, no?

PASTRANO: Sì signora, ma ora mi rendo conto di che persone siete…

LIBRAIO: Basta signori, basta! Ve ne prego! Abbiamo avuto ciò che ci spettava, no? E allora beviamo, brindiamo tutti assieme! Niente magagne, niente rimpianti! Quel che è fatto è fatto! Alla salute!

Tutti, meno che la piccola Adele e Pastrano, sollevano il bicchiere in aria pronti a bere di gran gusto. Entra nella stanza Rabarbaro, malfermo sulle gambe. Nota la gran festa e i travestimenti in terra. Fissa uno per uno tutti quanti gli ospiti atterriti. Sorride. Guadagna il centro del palco e ruota il corpo verso gli spettatori.


RABARBARO: Chiedo scusa a codesti signori, se son fasulli li argenti e li ori. Avevo

inteso la furberia: non ho voluto trarmene via; e se la vita è un gioco fugace, ciascun di voi è un vile rapace. Ora sereno me ne vo’ lento, accompagnato da un sordo lamento; è proprio quello che vi sta nel cuore: scatena l’odio e forse il rancore. Vi dico addio e tanti saluti, poveri sciocchi restate muti.

Entrano in scena giullari in festa con una musica tonante. Due di questi acchiappano Rabarbaro per le braccia e lo portano giù dal palcoscenico. Egli percorre tutto il corridoio centrale della platea seguito dal corteo di buffoni danzanti. In scena i cinque restano immobili come statue, ognuno con una propria posizione. Si chiude il sipario. Pastrano sporge il viso dal mezzo e si fionda di fuori ad inseguire Rabarbaro.