Riccardo V

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Riccardo V

ovvero

Re per un sogno

Commedia in due atti

D Arminio 2015

Personaggi

RICCARDO V, alias RICCARDO BARBERO, commerciante FERDINANDO, suo segretario e maggiordomo

La CONTESSA del GRANFOSSO, alias ZABETTA, sorella di Riccardo Il DUCA di CASBILENCA, alias GOFFREDO, marito di Zabetta

IL BARDO, cantastorie-narratore

PALMIRA MAGGI

SINDACO

NOTAIO

CITTADINO

Cittadini, che parlano

Guardie, che parlano

AMBIENTAZIONE: piccolo paese di provincia italiana; anni’50-‘60

NOTA: il corsivo nelle battute indica gli “a parte”.

APERTURA

[entra il Bardo]

BARDO:

Messeri, madame, salute a voi tutti;

dolce vi sia questa serata.

Il nome mio è il Bardo,

girovago per necessità,

poeta per vocazione, ma di nascita

collezionista di storie.

Nella mia saccoccia ne ho di ogni genere:

quale festosa, quale tragica, quale curiosa.

Mi basta aprire un poco il mio sacco, così,

e subito la storia salta sul mio naso

e da lì alla mia bocca

perché la possa raccontare.

E poiché mi parete attenti e acuti,

miei buoni signori,

questa sera ne ho per voi una


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davvero singolare.

[pausa]

Tra le tante ombre dell’animo umano

c’è forte il desiderio del comando,

che ora carisma, ora potere si chiama.

Pochi l’hanno veramente provato,

ma tanti, troppi lo desiderano,

lo vogliono, lo pretendono.

Ed è facile sentire dire ora qua ora là

una tipica frase come

“Oh, se fossi io a comandare…”.

Ma chi davvero saprebbe farlo

se il destino lo mettesse

al giusto posto?

Ed ecco perciò la storia

che vi voglio portare stasera,

dell’uomo che un giorno

si ritrovò a essere un re,

e di quel che visse,

e di quel che imparò.

[musica (*suggerita Zadok the Priest; G. F. Handel)]

ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Ufficio dell’impresa di Riccardo

RICCARDO e FERDINANDO

[due scrivanie; a una, quella più ricca e fornita, sta Riccardo che legge un giornale; all’altra Ferdinando che scrive, circondato da faldoni e documenti vari; la musica indugia qualche decina di secondi, mentre gli attori restano immobili; poi cala e la scena inizia]

RICCARDO: Corpo d’un boia! Ferdinando, hai letto?!

FERDINANDO: Cosa, signore?

RICCARDO: Qui qui! Hai letto cosa scrive il giornale?

FERDINANDO: No, signore.

RICCARDO: Il governo sta pensando a una nuova regolamentazione per le attività commerciali. Ma corpo d’un boia!, vogliono vederci morti? Non bastano tutte le leggi, leggine, regolamenti, codicilli, tasse, balzelli, postille che dobbiamo già sopportare?! Ah, maledetti! Ah, corpo d’un boia!...

FERDINANDO: Ah, che lagna…

RICCARDO: E qui, qui sotto! Ancora meglio! Hai letto?

FERDINANDO: No, signore…

RICCARDO: Il nostro caro… che dico? Il nostro amabile signor sindaco ha ben deciso di chiedere a noi cittadini una tasserella addizionale per…

FERDINANDO: …per?


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RICCARDO: Per rinnovare il canale che irriga i fondi verso il fiume. Ma corpo d’un boia!, non hanno già abbastanza aiuti questi contadini? E a noi commercianti chi pensa? Ah, corpo d’un boia! Ah, maledetti!...

FERDINANDO: Ah, che noia…

RICCARDO: Cosa dici?

FERDINANDO: Nulla, signore.

RICCARDO: Se lasciassero a me il comando, se potessi essere io a decidere cosa fare e non fare in questo paese, allora sì che le cose andrebbero meglio! La gente sarebbe felice e il commercio prospererebbe…

FERDINANDO: …e gli asini volerebbero.

[suona il campanello]

RICCARDO: Cosa dici?

FERDINANDO: Non ho aperto bocca, signore.

RICCARDO: [seccato] E invece mi sembrava proprio di sì. Va’ ad aprire, almeno fai qualcosa di utile!

FERDINANDO: Sì, signor Barbero.[si alza ed esce]

RICCARDO: [leggendo ancora il giornale] Ah, maledetti! Ah, corpo d’un boia! Se ci fossi io vedrebbero!... Ah, maledetti!...

[Ferdinando rientra]

FERDINANDO: C’è la signorina Maggi per lei.

RICCARDO: Falla venire.

SCENA SECONDA

RICCARDO e PALMIRA

[entra Palmira]

PALMIRA: Buongiorno, signor Barbero.

RICCARDO: Palmira… sì, diciamo che può essere un “buon giorno”…

PALMIRA: [a Ferdinando, piano] Cos’ha oggi?

FERDINANDO: [a Palmira, piano] Cosa vuole che abbia? Il solito…

Ferdinando esce.

RICCARDO: È venuta per quell’ordine?

PALMIRA: In effetti sì.

RICCARDO: La merce non è ancora arrivata; ho sollecitato il grossista in città ma ha fatto solo promesse vaghe.

PALMIRA: Non importa, ripasserò…

RICCARDO: Ah, corpo d’un boia!, funzionasse mai qualcosa a questo mondo…

PALMIRA: Ma perché è sempre così imbronciato?

RICCARDO: Perché, lei vede motivi per essere gioiosi? Il lavoro langue, le tasse aumentano, i clienti sono ingrati e le giornate sempre uguali.

PALMIRA: Io proprio non la capisco, Riccardo; come fa a vedere sempre così nero? L’attività rende, il suo nome è noto e stimato da tutti, non le mancherebbe nulla… [pausa] Se non fosse…

RICCARDO: Se non fosse cosa?

PALMIRA: Qualcuno con cui condividere il cuore… [arrossisce]


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RICCARDO: Ah, une femme lei dice. No, grazie; ho già abbastanza grattacapi, non posso anche imbarcarmi in una simile impresa. E poi tanto… chi mai vorrebbe un uomo della mia età?

PALMIRA: Ah, Palmira, perché non glielo dici? Forse questo è il momento giusto. Senta, Riccardo…

RICCARDO: Mi dica.

PALMIRA: C’è una cosa che vorrei dirle.

RICCARDO: La ascolto.

PALMIRA: Io…

[bussano]

[sospira] Ah, nulla.

[entra Ferdinando]

FERDINANDO: È arrivato il notaio per quella transazione.

RICCARDO: Oh sì, fallo passare.

[Ferdinando esce]

SCENA TERZA

Detti e ILNOTAIO

[entra il Notaio]

RICCARDO: Signor notaio, buongiorno.

NOTAIO: Buongiorno a lei, signor Barbero. [a Palmira, salutando] Signora Maggi… Sono venuto a portarle il baule e trascrivere l’atto. RICCARDO: Sì sì, certo.

PALMIRA: Di che si tratta?

RICCARDO: È morto un mio vecchio zio un paio di giorni fa.

PALMIRA: Oh, me ne dispiaccio.

RICCARDO: Un tipo molto bizzarro. Amava collezionare oggetti strani, soprammobili da tutto il mondo, libri che nessuno leggeva, cose così. Negli ultimi anni si è ritirato a vivere da solo. Il notaio mi ha informato che tutto ciò che resta dei suoi beni è un baule.

PALMIRA: Davvero una magra eredità…

RICCARDO: Purtroppo… [amaro] Nessuno ha mai regalato nulla a Riccardo Barbero, e non mi aspetto che le cose cambino…

NOTAIO: Di prassi ora apriremo il baule alla presenza dei testimoni e trascriverò agli atti il suo contenuto.

RICCARDO: A proposito, dov’è il baule?

NOTAIO: Lo sta portando in qua il suo segretario.

SCENA QUARTA

Detti e FERDINANDO

[entra Ferdinando con gran fatica trascinando il baule] RICCARDO: Forza, sfaticato! Quanto ci vuole?

FERDINANDO: Ah, che il diavolo lo fulmini! Ohi, la mia schiena…

RICCARDO: Corpo d’un boia, e che sarà mai? Forza, posalo qui.


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[Ferdinando trascina il baule fino alla scrivania e ve lo poggia sopra]

FERDINANDO: Che fatica!...

NOTAIO: Possiamo ora procedere all’apertura del baule…

PALMIRA: Allora, signor Barbero, io la lascio…

NOTAIO: Veramente, signora Maggi, servirebbero due testimoni per garantire l’integrità dell’atto. Uno può essere il qui presente Ferdinando.

RICCARDO: Suvvia, notaio, bisogna incomodare la signora per quattro cianfrusaglie?

NOTAIO: Ho paura di sì.

RICCARDO: Corpo d’un boia, quanta burocrazia! Eh, ma se fossi io a comandare… Signora Palmira, può restare? Credo non ci vorranno più di dieci minuti.

PALMIRA: Nessun problema, non ho alcuna fretta.

NOTAIO: Molto bene [trascrive sul foglio]

SCENA QUINTA

Detti e ZABETTA e GOFFREDO

[entrano Zabetta e Goffredo]

ZABETTA: Buongiorno a tutti!

GOFFREDO: Buongiorno!

RICCARDO: Ah, eccovi. Notaio, signora Maggi, credo che conosciate già mia sorella Zabetta e suo marito Goffredo.

NOTAIO: Signori…

PALMIRA: ‘Giorno…

ZABETTA: Che cosa si fa qui di bello oggi?

GOFFREDO: Già, che si fa di bello?

RICCARDO: Stavamo aprendo il baule di zio Gerolamo alla presenza del notaio.

ZABETTA: Oh sì sì, bene. Fate, fate. [a Goffredo, piano] Chissà che magari non venga fuori qualcosa di buono anche per noi.

GOFFREDO: Spero che siano soldi. Con tutto quello che hai speso in vestiti non ci è rimasto nulla…

ZABETTA: Shht, sta’ zitto, idiota.

NOTAIO: Bene, procediamo. [apre il baule] Il primo articolo contenuto è un parrucchino verde. [trascrive]

FERDINANDO: Un parrucchino? Verde?

RICCARDO: Zio Gerolamo era calvo ma amava essere appariscente.

[il Notaio passa l’oggetto a Riccardo che lo passa a Goffredo (così anche per i prossimi oggetti); Goffredo indossa il parrucchino e si mette in pose femminili]

ZABETTA: Ma cosa fai, cretino?

GOFFREDO: Ma mi dona.

ZABETTA: [glielo strappa dalla testa] Non dire sciocchezze!

NOTAIO: Un volume dell’Enciclopedia De Fabbris “Sui tipi e i colori delle biglie” datata 1923…

[Goffredo lo riceve e lo apre a rovescio; resta a lambiccarsi per un po’ cercando di decifrare; Ferdinando glielo prende e glielo gira; Goffredo ringrazia ma gli è ancora più difficile leggere; allora lo gira nuovamente e sorride soddisfatto; poi lo mette via]

NOTAIO: Un calendario di modelle femminili in abiti succinti…

[Goffredo riceve il calendario e inizia a sfogliarlo con facce sempre più inebetite] ZABETTA: Che cosa guardi, deficiente?!


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GOFFREDO: [finge di mettere via il calendario] Nulla, nulla, cara. [lo piega e se lo infila alla cintura]

NOTAIO: Una pergamena in discrete condizioni, contenente… [apre la pergamena e legge] Oh!

RICCARDO: Oh?

ZABETTA: Oh?

GOFFREDO: Oh?

RICCARDO: Cosa c’è, notaio?

NOTAIO: Su quest’atto c’è il sigillo reale… e mi pare autentico.

ZABETTA: E cosa dice? Cosa dice?

GOFFREDO: Sì sì, cosa dice?

NOTAIO: [legge tra sé] Ah!

PALMIRA: Ah?

RICCARDO: Ah?

ZABETTA: Ah?

GOFFREDO: [distratto, si aggiunge in ritardo dopo che tutti si sono voltati stupendosi di non averlo sentito] Ah?!

ZABETTA: Non ci tenga sulle spine, che c’è scritto?

NOTAIO: Ehm… dunque… In forza legis primius iuri eccetera eccetera… ex aliquando et admodum eccetera eccetera… exemptio inverata suprema lege eccetera eccetera…

RICCARDO: Suvvia, notaio, corpo d’un boia!

ZABETTA: La faccia breve.

GOFFREDO: Anzi, brevissima.

NOTAIO: …“chi possegga quest’atto come legittimo titolare potrà vantare per sé e per i suoi eredi il titolo reale sovra il paese e i suoi abitanti, nonché legiferare e promulgare atti in forza del potere sovrano. E a null’altro sia fatto diritto di negare tale autorità”.

GOFFREDO: Non ci ho capito niente.

ZABETTA: Perché sei il solito tonto. Significa che Riccardo – mio fratello – è re!

PALMIRA: Ma è assurdo!

ZABETTA: Ma è meraviglioso!

RICCARDO: Ma… ma… ma… [si avvicina al Notaio] Faccia vedere. [prende l’atto in mano]

PALMIRA: Cosa significa questo, notaio?

NOTAIO: Nulla, se questo fosse un inutile pezzo di carta… Ma di prima occhiata o si tratta di un falso davvero ben realizzato… oppure…

ZABETTA: Oppure mio fratello è re!

GOFFREDO: Reissimo.

PALMIRA: Non diciamo sciocchezze.

ZABETTA: [a Palmira] Nessuno ha chiesto il suo parere.

GOFFREDO: Nessuno.

PALMIRA: E io invece lo esprimo perché non credo che assecondare questa burla faccia bene al signor Riccardo.

ZABETTA: Cosa ne sa lei, di cosa fa bene a mio fratello? Lasci fare a chi lo conosce davvero.

PALMIRA: Ah, davvero?!

ZABETTA: Sì, davvero. Pensi al suo negozietto. PALMIRA: Lei invece non pensi troppo o le fuma il cervello. [Palmira e Zabetta si fronteggiano minacciose] GOFFREDO: Coraggio, signore… non esageriamo… PALMIRA e ZABETTA: Taci tu! PALMIRA: [a Zabetta] Sciacquetta.

ZABETTA: [a Palmira] Oca.


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PALMIRA: Ruffiana.

ZABETTA: Ficcanaso.

PALMIRA: Profittatrice!

ZABETTA: Invadente!

GOFFREDO: Per favore…

PALMIRA e ZABETTA: Sta’ zitto!

RICCARDO: Ora basta! Basta strepiti, corpo d’un boia! Vi prego, desidero restare solo con i miei familiari. Notaio, Ferdinando, signora Maggi… attendete fuori dalla stanza.

ZABETTA: [a Palmira, piano, velenosa] Hai visto che non conti nulla, tesoro?

PALMIRA: Ma io… [fa per aggredire Zabetta, ma viene trattenuta dal Notaio che la porta fuori]

SCENA SESTA

RICCARDO, ZABETTA e GOFFREDO

RICCARDO: Allora?

ZABETTA: Allora cosa?

GOFFREDO: Già già, cosa?

RICCARDO: Cosa dovrei fare?

ZABETTA: Ma sei impazzito? Ti si offre il titolo di sovrano su un piatto d’argento e mi domandi ancora che fare? Accetta!

RICCARDO: Ma mi pare tanto una burla…

ZABETTA: Quale burla!, quest’atto è vero quant’è vero Iddio.

GOFFREDO: Quant’è vero Iddio.

ZABETTA: Ascolta, pensaci: tutti conosceranno re Riccardo, un sovrano giusto e illuminato…

GOFFREDO: Giusto e illuminato.

ZABETTA: Vivrai negli agi e nella prosperità…

GOFFREDO: [enfatizzando] Prosperità.

ZABETTA: Governerai sulle genti e amministrerai la giustizia…

GOFFREDO: Genti e giustizia.

ZABETTA: Riccardo, non è quello che hai sempre sognato?

GOFFREDO: Non è vero? Non è vero?

RICCARDO: [sognante] Re Riccardo…

ZABETTA: [melliflua] Re Riccardo… il gran monarca, principe di Cipro e Gerusalemme…

GOFFREDO: …duca di Nuova York…

ZABETTA: …cavaliere di Aragona…

GOFFREDO: …marchese di Casalpusterlengo…

[Zabetta lo guarda male]

RICCARDO: Oh, Dio… Io… io… mi sento tanto confuso… Dov’è Ferdinando? Il suo parere è sempre meditato e preciso.

ZABETTA: Se parla con Ferdinando, qui mi sfuma l’affare. Ehm, lo cerchiamo noi. Tu invece hai una pessima cera; l’emozione non ti fa bene. Vai a sciacquarti la faccia e prendi una boccata d’aria. Noi intanto chiamiamo Ferdinando, d’accordo?

[così parlando, lo accompagna verso l’uscita] RICCARDO: Io… va bene d’accordo… cercate Ferdinando. [Riccardo esce]


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ZABETTA: Presto, va’ a cercare Ferdinando e portalo qui.

GOFFREDO: A cosa stai pensando, cara?

ZABETTA: Non fare domande, sbrigati!

[Goffredo esce]

ZABETTA: [tra sé] Questa è l’occasione di una vita, Zabetta. Se ti riesce bene… è fatta!

SCENA SETTIMA

ZABETTA, GOFFREDO e FERDINANDO

[rientra Goffredo con Ferdinando]

FERDINANDO: La signora voleva vedermi?

ZABETTA: Sì, esatto, Ferdinando. Accomodati. Voglio farti una domanda, e voglio che tu mi risponda in assoluta sincerità.

GOFFREDO: Assoluta sincerità.

FERDINANDO: Certamente.

ZABETTA: Cosa pensi di questa storia del signor Barbero mio fratello che potrebbe diventare

re?

FERDINANDO: Penso che sia una gran sciocchezza.

GOFFREDO: Come, indegno?!

ZABETTA: Goffredo, taci! E perché lo pensi?

FERDINANDO: Perché prima di tutto essere re ormai è… è… passato di moda… E poi perché, a dirla tutta, il signor Ferrero non ha quelle qualità che si richiederebbero a un governante…

GOFFREDO: Che dici, sciagurato?!

ZABETTA: Goffredo, sta’ zitto! E quali sono queste qualità che il signor Ferrero non avrebbe?

GOFFREDO: Esatto, quali sono?

FERDINANDO: Beh, innanzitutto per governare bene occorre sapere come governare. E il signor Ferrero in questo non ha alcuna esperienza. Se non quello che crede di sapere.

ZABETTA: E poi? Continua.

FERDINANDO: E poi, a parere mio, occorrono temperanza ed equilibrio, e capacità d’ascoltare. Cose che al signor Ferrero, talvolta, difettano.

GOFFREDO: Che cosa ti fa essere così certo di quello che dici?

FERDINANDO: Lavoro in questa ditta da dieci anni, signore, credo di saperlo.

ZABETTA: E non ritieni che, benché non ancora formato al ruolo di re, se fosse adeguatamente consigliato mio fratello potrebbe governare bene su questo paese?

FERDINANDO: Consigliarlo? E chi potrebbe farlo bene?

ZABETTA: Tu, per esempio… O no…

FERDINANDO: Io? Oh, no di certo. E quanto a voi… ancora meno…

Le rispondo quello che le ho detto prima e che direi in faccia al signor Ferrero se me lo chiedesse: no.

ZABETTA: Ferdinando, ascolta. Quando dieci anni fa mio fratello ti assunse che eri appena un ragazzo non dicesti che avresti fatto ogni cosa per ricambiare l’averti dato un impiego?

FERDINANDO: [sdegnoso] Io… sì, lo dissi… Ma…

ZABETTA: E non credi che in questa cruciale occasione egli possa avere più che mai bisogno del tuo sostegno e della tua lealtà?

GOFFREDO: Del tuo aiuto sincero?

ZABETTA: Della tua entusiasta adesione?

FERDINANDO: Ma… ma… non posso… non posso… Io non credo che lui possa governare.


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ZABETTA: Santa pace, questo ragazzo mi costringe a usare le maniere spicce. [con finta noncuranza] Ferdinando, la tua casa è ancora pericolante?

FERDINANDO: [impallidendo] Sì…

GOFFREDO: E il comune sta per sfrattarvi, vero?

FERDINANDO: Sì…

ZABETTA: E tu, tua madre e tua moglie state ancora cercando un posto più sicuro ma economico?

FERDINANDO: Sì…

GOFFREDO: E non l’avete trovato, giusto?

FERDINANDO: No…

ZABETTA: [melliflua] Pensaci… un maggiordomo reale può aspirare a una sostanziosa gratifica… Abbastanza per poter acquistare una bella casetta nuova, con un giardino dover far correre dei bei pargoli…

GOFFREDO: [mellifluo] …e un garage per farci stare una luccicante utilitaria…

ZABETTA: …soprattutto se gode dei favori dei membri della famiglia reale… Spero che tu mi abbia capito…

FERDINANDO: Sì, signora, credo di aver capito benissimo.

ZABETTA: Allora quando il signor Ferrero mio fratello ti chiederà se ritieni che possa fare il re, saprai cosa rispondere, vero?

GOFFREDO: Vero?

FERDINANDO: Sì…

ZABETTA: Benissimo. Non è necessario dirci altro. Puoi andare.

[Ferdinando esce, pallido e visibilmente combattuto]

SCENA OTTAVA

ZABETTA e GOFFREDO, poi CITTADINO

GOFFREDO: Complimenti, cara. Lo hai lavorato a puntino.

ZABETTA: Sì, ma non basta. Ci servono altri alleati.

GOFFREDO: Altri alleati? Non capisco…

ZABETTA: Questo è normale… Intendo dire qualcuno che sostenga la nostra proposta di far eleggere quell’incapace di Riccardo a re. Qualcuno di esterno, di non… come posso dire?...

compromesso.

GOFFREDO: E dove troviamo una persona così?

ZABETTA: Serve un paesano, uno qualunque, che si possa facilmente convincere.

GOFFREDO: Non è difficile. Questa è gente semplice, sono dei bambinoni.

[si sente bussare; subito dopo entra il Cittadino] CITTADINO: Buongiorno. Scusate… GOFFREDO: [a Zabetta, piano] Proviamo con lui?

ZABETTA: [a Goffredo, piano] Proviamo. [al Cittadino] Venga, venga avanti.

CITTADINO: Non c’è il signor Ferrero? Che io venivo per un ordine…

ZABETTA: Oh, ora è un attimo impegnato. Ma senta, le posso chiedere una cosa?

CITTADINO: Dica, signora.

ZABETTA: A lei piacerebbe se invece della repubblica ci fosse un re?

GOFFREDO: Le piacerebbe?

CITTADINO: Signora, che vuole… io son nato che c’era il re e ora vivo che c’è la repubblica. A me basta che facciano il bene dei cittadini…


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ZABETTA: E quindi se venisse un re buono, generoso e giusto lei lo appoggerebbe?

GOFFREDO: Lo appoggerebbe?

CITTADINO: Boh, penso di sì…

ZABETTA: E mi dica… che opinione ha del signor Ferrero?

GOFFREDO: Che opinione?

CITTADINO: Mah, mi sembra una brava persona.

ZABETTA: E se, mettiamo per ipotesi, fosse lui a diventare re?

CITTADINO: Chi? Ferrero? Ah ah beh io non ce lo vedrei mai ma tutto è possibile…

GOFFREDO: Perché non lo vedrebbe?

CITTADINO: Perché un re dovrebbe avere un certo stile… e invece doveva vedere il signor Ferrero l’altra sera in osteria… [ammicca] insomma…

ZABETTA: Ma se Ferrero diventasse re e abbassasse le tasse?

CITTADINO: Allora firmerei subito.

ZABETTA: Bravissimo, amico mio! Ma non c’è bisogno di firmare. È sufficiente che lei… [gli sussurra all’orecchio; il Cittadino annuisce un po’ inebetito]

CITTADINO: Va bene, va bene. Ho capito.

ZABETTA: Bravo. E poi stasera passi da noi; il suo aiuto sarà ricompensato. Ora resti qui nei paraggi, per quando la chiameremo.

CITTADINO: Va bene, vi aiuto volentieri. Basta pagare meno tasse… [il Cittadino esce]

SCENA NONA

ZABETTA e GOFFREDO, poi RICCARDO e FERDINANDO

ZABETTA: Tutto sta procedendo per il meglio.

GOFFREDO: Le nostre fortune si avvicinano, vero tesoro?

ZABETTA: Sì. Agi, ricchezza, potere; tutto ciò che ho sempre sognato si sta per avverare. Ma ora è il momento più importante, più delicato. Segui quello che faccio io.

GOFFREDO: Sì, mia cara.

ZABETTA: Sta tornando Riccardo. Va’ a chiamare Ferdinando.

GOFFREDO: Corro.

[entra Riccardo]

ZABETTA: Caro fratello, come stai? Meglio?

RICCARDO: Sì, sì. Meglio. E Ferdinando?

ZABETTA: Goffredo è andato a cercarlo. Eccoli appunto che vengono.

[entrano Ferdinando e Goffredo] FERDINANDO: Il signore voleva vedermi? RICCARDO: Vieni, Nando. Ho bisogno del tuo consiglio.

ZABETTA: Che sarà sicuramente prezioso… [insinuante, a Ferdinando] Non è vero?

[per tutta la scena Zabetta e Goffredo, alle spalle di Riccardo, minacciano Ferdinando con sguardi e gesti]

RICCARDO: Ferdinando, se io mi candidassi in politica pensi che farei bene?

FERDINANDO: Beh, perché no? Ma le elezioni sono ancora lontane…

RICCARDO: Ecco, ma mettiamo che sia un incarico che non abbia bisogno di elezioni… Insomma, se io diventassi re… tu…

FERDINANDO: [fingendo di non capire] Io?...


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RICCARDO: …pensi che sarei un buon re?

FERDINANDO: [imbarazzato] Io… ecco io… in un caso del genere… io onestamente credo…

RICCARDO: Credi?

ZABETTA: [minacciosa] Credi cosa?!

GOFFREDO: [minaccioso] Già, cosa credi?!

FERDINANDO: …che sì, lei sarebbe un buon re.

RICCARDO: Corpo d’un boia! Dici davvero?

FERDINANDO: [senza convinzione] Sì, signore…

RICCARDO: Grazie, Ferdinando, grazie. Ora puoi andare. Ti chiamerò tra poco.

ZABETTA: Proprio bravo, Ferdinando.

GOFFREDO: Bravissimo.

[Ferdinando esce]

ZABETTA: Allora, soddisfatto? Hai visto?

RICCARDO: Mmm… sì, però…

GOFFREDO: Però cosa?

RICCARDO: Nando dopotutto è un mio dipendente, il suo giudizio è pur sempre di parte.

ZABETTA: Sei un testone, Riccardo! Vuoi chiedere a una persona imparziale? E va bene, chiediamo a un passante, il primo che si trova.

RICCARDO: Ecco, brava.

ZABETTA: [indica fuori] Guarda, c’è giusto un signore là fuori in strada. Goffredo, vallo a chiamare.

GOFFREDO: Subito.

SCENA DECIMA

ZABETTA, GOFFREDO e CITTADINO

[Goffredo esce e rientra con il Cittadino]

CITTADINO: ‘Giorno a tutti.

RICCARDO: Buongiorno a lei, buon uomo.

CITTADINO: Ah, signor Ferrero! La stavo giusto cercando per quell’ordine…

ZABETTA: Parleremo dopo dell’ordine. Ora il signor Ferrero deve farle una domanda. Abbiamo bisogno del suo parere onesto e disinteressato. [ammicca] Mi ha capito?

CITTADINO: Ma lei sa già il mio parere…

ZABETTA: [ammicca più forte] Mi-ha-capito?!

CITTADINO: Oooh, sì certo.

RICCARDO: Mi ascolti, a lei io piacerei come sindaco?

CITTADINO: Beh, sì…

RICCARDO: E come re?

CITTADINO: Beh, come dicevo alla signora… [Zabetta lo fulmina] Cioè, come pensavo di dire alla signora se me lo chiedeva, io credo di sì… basta che mi abbassa le tasse.

ZABETTA: Grazie, ci è stato utilissimo. Ora può andare. [lo spinge verso l’uscita]

CITTADINO: Allora poi stasera passo da voi?

GOFFREDO: Sì, ma ora vada.

[Goffredo e Zabetta fanno uscire il Cittadino]


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SCENA UNDICESIMA

ZABETTA, GOFFREDO e RICCARDO

ZABETTA: Hai visto, Riccardo? Anche la gente di strada pensa che saresti un buon sovrano.

RICCARDO: Sì, ma quello era uno… bisognerebbe chiedere a…

ZABETTA: [rabbiosa] Ora basta! [addolcendosi bruscamente] Non serve chiedere ad altri; non l’hai capito che il popolo non aspetta altro che di essere governato da te?

RICCARDO: E sia dunque! Sarò re!

ZABETTA: [applaudendo] Bravo, così mi piaci!

GOFFREDO: Ce n’è voluta…

ZABETTA: E quale nome desideri portare insieme alla tua corona?

GOFFREDO: Quale nome?

ZABETTA: Alessandro, come il grande conquistatore? O Luigi, come il potente re dei francesi?

O Nicola, in onore dello zar di tutte le Russie?

Mentre Zabetta elenca i nomi, Goffredo mima i sovrani. Poi si ferma, perplesso. GOFFREDO: Ehm, sì… però… Non è che portino molto bene… Uno è morto di malaria a

trent’anni, l’altro è stato ghigliottinato e il terzo scannato dai… ZABETTA: Sta’ zitto, imbecille!

RICCARDO: No no, niente Alessandro, Luigi o Nicola. Userò il mio nome, Riccardo!

ZABETTA: E basta?

GOFFREDO: E basta?

RICCARDO: In che senso?

ZABETTA: Non so, mi sembra un po’ corto così. E se ci mettessi un numero?

RICCARDO: Un numero?

GOFFREDO: Sì sì, Riccardoventi.

ZABETTA: Ma no, cretino! Intendo qualcosa come… Riccardo secondo.

RICCARDO: Secondo? Ma non c’è nessuno prima di me.

ZABETTA: Ma non importa! Bisogna dare il senso della discendenza, della dinastia. I Barbero dovranno regnare su questo borgo per secoli e secoli.

RICCARDO: Uhm… sì, però non “secondo”… È un po’ poco… Facciamo “quinto”.

ZABETTA: Quinto?

GOFFREDO: Quinto?

RICCARDO: Sì, perfetto! Riccardo V!

ZABETTA: [a Goffredo, piano] Contento lui…

RICCARDO: Riccardo V… Riccardo V… Corpo d’un boia, come suona bene!

ZABETTA: Inchiniamoci allora alla tua maestà.

[Zabetta si inchina, poi si accorge che Goffredo è ancora eretto, gli tira un calcio sugli stinchi] [a Goffredo] Ho detto “inchiniamoci”!

GOFFREDO: Sì sì, inchiniamoci. [si inchina]

RICCARDO: Quale gioia!

ZABETTA: Adesso, come ogni buon sovrano dovresti…

GOFFREDO: Dovresti…

RICCARDO: [non capisce] Dovrei?

ZABETTA: …ricompensarci con…

GOFFREDO: …ricompensarci con…


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RICCARDO: …una bottiglia di cognac, giusto.

ZABETTA: Ma no, idiota! Ehm… volevo dire… che la ricompensa adeguata per i familiari è onorarli con un titolo nobiliare.

GOFFREDO: Sì sì, un titolo nobiliare.

RICCARDO: Aaah, ma sì, certamente… Dunque… Ecco… Però mi serve uno scettro, senza non posso dare nessun titolo.

GOFFREDO: [prende un righello dalla scrivania] Prova con questo.

RICCARDO: Ecco, andrà benissimo. Inginocchiatevi dunque. Zabetta e Goffredo, per gli altissimi meriti che avete ottenuto servendo la causa della mia maestà… nonché per il fatto d’essere miei parenti… io vi faccio dono d’un titolo nobiliare.

Zabetta, ti nomino Contessa di Granfosso; e tu, Goffredo, tu sarai Duca di Casbilenca. Ecco, così è deciso.

ZABETTA: Non stai dimenticando qualcosa?

RICCARDO: Qualcosa cosa?

ZABETTA: [fa con le dita il gesto dei soldi] Ogni conte e duca che si rispetti riceve anche un generoso vitalizio direttamente dal re.

GOFFREDO: Un generoso, generosissimo vitalizio.

RICCARDO: A-ehm… di quello parleremo più tardi.

ZABETTA: Maledizione!... Coraggio, Zabetta, un passo alla volta.

RICCARDO: Ora procediamo. [va alla scrivania e attiva l’interfono] Ferdinando, vieni qui e fa’ entrare anche la signora Palmira e il notaio.

SCENA DECIMA

Detti, PALMIRA, FERDINANDO e NOTAIO

[entrano Ferdinando, Palmira e il Notaio]

FERDINANDO: Desidera, signor Ferrero?

RICCARDO: Carissimi, ebbro di gioia vi annuncio che accetto l’investitura a re conferitami dal documento trovato nel baule…

FERDINANDO: Speravo non lo dicesse…

RICCARDO: E che pertanto da ora assumo il nome di Riccardo V, re di questo paese, principe di Cipro e Gerusalemme, duca di Nuova York, cavaliere di Aragona, marchese di Casalpusterlengo…

FERDINANDO: Poveri noi…

PALMIRA: È il colmo!

ZABETTA: Shht, zotici!

RICCARDO: Ferdinando, da ora non sei più segretario ma maggiordomo reale. Di conseguenza dovrai trovarti un vestito più adeguato al tuo nuovo ruolo.

FERDINANDO: Cos’ha il mio vestito che non va?

ZABETTA: Non temere, ci penserò io, caro.

GOFFREDO: Sì sì, ci penserà lei.

RICCARDO: Notaio, andate a dare la notizia al sindaco. Che tutto il paese sappia che da oggi inizia per loro un’era di felicità e prosperità sotto il mio regno.

NOTAIO: Ehm… io… va bene…

PALMIRA: [a Ferdinando, piano] Ferdinando, si’ qualcosa al tuo padrone. Fallo ragionare!

FERDINANDO: [a Palmira, piano] Ma… ecco, io… non penso… non credo…

RICCARDO: Ah, un’altra cosa, importantissima. D’ora in avanti vi prego di rivolgervi a me con il titolo che mi si addice, ovvero “Vostra Maestà”.

PALMIRA: [a Ferdinando, piano] Ti facevo meno pauroso. Lo farò io, allora.


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[il Notaio esce]

PALMIRA: Riccardo, la prego, non sia ridicolo…

ZABETTA: Come osa rivolgersi così al suo re?

PALMIRA: Ma quale re?! Viviamo in una repubblica… Mi ascolti Riccardo, non sia avventato, non si copra di ridicolo…

RICCARDO: Signora Palmira, lei mi sembra molto irragionevole…

ZABETTA: …e assolutamente impudente.

PALMIRA: Impudente io?

ZABETTA: Dovrà imparare ad avere più rispetto per il suo re.

PALMIRA: E vorrebbe insegnarmelo lei, ranocchia?

ZABETTA: Come osi rivolgerti alla Duchessa di Granfosso con questi toni?

PALMIRA: Duchessa di che?!... Ah ah ah, ma mi faccia il piacere!

ZABETTA: Riccardo, ride di me! Mettila alla gogna!

FERDINANDO: Signore, per favore…

PALMIRA: Fatua!

ZABETTA: Stracciona!

PALMIRA: Impostora!

ZABETTA: Villana!

RICARDO: Ora basta! Corpo d’un boia! No, cioè… pofferbacco! Non intendo tollerare queste scene nel mio uff… nel mio palazzo! Ferdinando, accompagnateli alla porta.

PALMIRA: Non si disturbi, Nando. Esco da sola. Non intendo assistere un minuto di più a questa pagliacciata.

[Palmira esce furibonda]

ZABETTA: Rozza importuna, prima o poi ti vedrò a pane e acqua nelle prigioni. Come vostra maestà desidera…

[Zabetta e Goffredo escono]

SCENA UNDICESIMA

RICCARDO e FERDINANDO

RICCARDO: Ora che c’è finalmente un po’ di pace… Ferdinando…

FERDINANDO: Mi dica, signor… vostra maestà.

RICCARDO: Credi che sia necessaria una pubblica incoronazione?

FERDINANDO: Ma che diavolo dice?... Penso di no, maestà.

RICCARDO: Invece forse sarà opportuna. Desidero che la cittadinanza festeggi e gioisca insieme a me.

FERDINANDO: Devo dirglielo? Oppure taccio? Ma se parlo la Zabetta…

RICCARDO: Vai e da’ istruzioni; la faremo domattina in municipio. Spendi quanto necessario, ti autorizzo.

FERDINANDO: Va bene, signor… maestà.

RICCARDO: E comunica che per mia volontà domani sia giorno di festa; tutti siano esentati da lavorare e da andare a scuola.

FERDINANDO: D’accordo… Signore… Maestà… mi permette una domanda?

RICCARDO: Ti permetto, parla.

FERDINANDO: È sicuro di stare facendo la cosa giusta?

RICCARDO: Vorresti dire che mi sto comportando da ingenuo e sprovveduto e che mi sto cacciando in un guaio più grosso di me?


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FERDINANDO: Ecco… no no, signore.

RICCARDO: Bene, sono contento di poter contare sul tuo appoggio. Ma a chi la pensa così dimostrerò che si sbaglia. Ora va’.

FERDINANDO: Come vuole. Che Dio ci aiuti…

[Ferdinando esce]

[musica (*suggerita Mozart, concerto per flauto e orchestra K314; Rondò)]

[Riccardo da solo, si atteggia in pose “regali”; poi sposta la sedia da dietro la scrivania al centro del palco e prova e sedersi in modo ieratico e a fingere di reggere lo scettro; quindi figura di conversare con i cortigiani, di dare ordini, di legiferare ecc.]

SCENA DODICESIMA

RICCARDO e SINDACO

[bussano]

RICCARDO: Avanti, avete il permesso di entrare.

[entra il Sindaco, visibilmente nervoso]

RICCARDO: Cosa posso fare per lei, signor sindaco?

SINDACO: Ecco… Signor Ferrero… è una cosa abbastanza imbarazzante… Il notaio, poveretto, si vede che deve aver avuto una brutta insolazione… è venuto da me… ha parlato di carte, documenti… di titoli reali… che lei sarebbe il nuovo re… Ora, se lei potesse spiegarmi… chiarire…

RICCARDO: Il notaio le ha detto quanto corrisponde a verità. Anzi, la prego innanzitutto di rivolgersi a me come “Vostra maestà”.

SINDACO: Cospetto, dunque è tutto vero!

RICCARDO: Sissignore.

SINDACO: Ma suvvia, non si prenda gioco di me e della cittadinanza!

RICCARDO: Io non mi prendo gioco di nessuno. Un re non lo fa mai.

SINDACO: [ride nervosamente] Ah ah ah.

RICCARDO: Ride, signor sindaco?

SINDACO: Certo, rido. Ora lei mi dice che è tutta una grande ragazzata e la finiamo qui, e io posso tornare a occuparmi del mio incarico.

RICCARDO: Nessuna ragazzata, e la prego di non sfidare la mia pazienza. Ho il potere di farla finire al fresco, si ricordi.

SINDACO: Oh, questa poi!...  Voglio vedere se saprà usarlo nel modo giusto, questo potere.

RICCARDO: Esattamente. Governare è un’arte, sindaco, e glie ne darò dimostrazione.

SINDACO: Ah ah! Ne è davvero convinto? Si accomodi!... Ma non finisce qui.

RICCARDO: No, è vero… Anzi, questo è solo l’inizio. Faccia preparare il municipio per l’incoronazione.

SINDACO: Che cosa?

RICCARDO: Non mi ha capito? Il mio segretario… volevo dire, il mio maggiordomo Ferdinando le spiegherà i dettagli. Domattina alle nove. E che sia invitato tutto il paese.

SINDACO: Ci sarà da ridere!


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RICCARDO: Ora sparisca, l’ho già sopportata abbastanza. E veda di trovarsi un vestito decente per domani.

SINDACO: Questa poi!... [fa per andarsene]

RICCARDO: A-ehm!

SINDACO: Cosa c’è ancora?

[Riccardo con un gesto indica di inchinarsi]

SINDACO: Che cosa dovrei fare?

RICCARDO: Preferisce la gogna, caro signor sindaco?

SINDACO: [paonazzo di rabbia; si inchina stizzito] Mi inchino a voi… Vostra Maestà. Metterò tutto in conto, re da strapazzo! La vedremo! [esce]

RICCARDO: Quant’è gratificante fare il monarca.

SCENA TREDICESIMA

RICCARDO e BARDO

[Riccardo si immobilizza; entra il Bardo]

BARDO: Via, ben vedete

quale storia vi ho portato a conoscere;

di come un uomo da un momento all’altro

da nulla si ritrovi re.

Mio buon Riccardo,

domani è il tuo giorno,

dunque va’

[fa un gesto, e Riccardo esce]

e si prepari ogni cosa.

Anche noi, madame e messeri,

indossiamo presto il nostro vestito

più bello;

già è la notte, e già subito

il crepuscolo di un nuovo dì –

il giorno di Riccardo V.

Al municipio ogni cosa è pronta:

sventolano gli arazzi,

cespi di fiori profumano alle finestre,

la gente si affolla

per assistere a questo evento

insolito e straordinario.

E dunque andiamo,

cerchiamoci un posto:

si aspetta anche noi.

[il Bardo si ritrae sul fondo e resta a guardare l’intera scena seguente]


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SCENA QUATTORDICESIMA – INCORONAZIONE

RICCARDO, FERDINANDO, poi EUGENIA, NOTAIO, SINDACO,

ZABETTA, GOFFREDO, cittadini e cittadine

[musica (*suggerita The King shall rejoice, HWV 260; G.F. Handel)]

[entra Ferdinando e allestisce il trono (in tutta la scena cerca di darsi un tono ma litiga con il vestito, con una mosca, ecc.); entrano via via tutti gli invitati: Palmira, il Sindaco, il Notaio, vari cittadini; Zabetta e Goffredo indossano vestiti ridicolmente appariscenti (Zabetta è cerimoniosa e melliflua, Goffredo la imita in maniera ridicola);

quando attacca il coro entra Ferdinando portando corona e scettro e prende posto accanto al trono; segue Riccardo, con un ricco abito, che incede solenne davanti al pubblico e siede sul trono;

seguendo un cerimoniale ostentatamente elaborato Ferdinando cinge il capo di Riccardo con la corona e gli consegna lo scettro, inchinandosi a lui;

poi fa cenno agli invitati di fare altrettanto: Zabetta, Goffredo e il Notaio si inchinano, poi alcuni cittadini; Palmira, imbarazzata, fa appena un gesto del capo; infine il Sindaco, irritato, che fa segno di non volersi inginocchiare; dopo vari tentativi, Ferdinando lo costringe a farlo;

Riccardo si alza, saluta il pubblico in maniera regale ed esce solennemente, seguito da Ferdinando, Zabetta e Goffredo che si atteggiano; il pubblico esce a sua volta; il Sindaco è stizzito e gesticola veementemente, mentre Palmira cerca di placarlo; i due escono confabulando; il Bardo al termine della musica esce a sua volta chiudendo il sipario (o in alternativa portando un cartello “Fine primo atto”]

SIPARIO


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ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Ufficio dell’impresa di Riccardo, riccamente adornato come palazzo reale con drappi e stendardi; al posto della scrivania di Riccardo, un trono; ai lati del trono, due sedie

RICCARDO, ZABETTA, GOFFREDO, PALMIRA, SINDACO e CITTADINI

[musica: Marche du régiment de Turenne; Jean-Baptiste Lully

che accompagna in crescendo l’incedere solenne dei personaggi]

[entrano Palmira e il Sindaco e restano sullo sfondo; entra Ferdinando dalla parte opposta con il bastone da cerimoniere e annuncia i personaggi]

FERDINANDO: Il duca di Casbilenca!

[entra Goffredo trotterellando con poca grazia, e si siede a un lato del trono] FERDINANDO: La contessa del Granfosso!

[entra Zabetta impettita e solenne, lanciando sguardi e salutando come una diva; saluta con alterigia il Sindaco e con sufficienza Palmira; poi si siede all’altro lato del trono]

FERDINANDO: Sua maestà, re Riccardo V!

[entra con ricco vestito, corona in testa e scettro; avanza solenne fino al trono, dove si siede; la musica termina]

FERDINANDO: Sua onorata maestà, pieno di giustizia e virtù, viene a compiere i sacri doveri di offrire udienza al suo popolo. S’introducano quindi i sudditi questuanti.

[entra il Cittadino]

CITTADINO: Signor Barbero…

FERDINANDO: Deve dire “Vostra maestà”.

CITTADINO: Come?

FERDINANDO: “Vostra maestà”.

CITTADINO: Aaaah… Signor Vostra maestà, ho una cosa importante da chiederle.

GOFFREDO: [a Zabetta] Devo veramente chiamarlo Signor Vostra maestà?

ZABETTA: No, idiota, taci.

RICCARDO: Dimmi, caro suddito.

CITTADINO: Il Comune mi ha detto che devo riverniciare la casa perché è malandata, e vabbene. Io ha casa ho una latta di vernice grigia, ma al Comune dicono che no va bene, che c’è una regola per i colori e che devo usare il giallo. Ma io non ho voglia di comprare una latta gialla, costa accidenti! Perciò chiedo a lei cosa posso fare.

RICCARDO: È semplice, ti farò un nullaosta per riverniciare la tua casa. Non dovrai usare il giallo…

CITTADINO: Grazie, maestà…

RICCARDO: …però di grigio non se ne parla.

CITTADINO: Come?

RICCARDO: Ma no, che tristezza una casa grigia. Bisogna dare colore a questo paese, bisogna che la gente parli di noi con elogi. Perciò la dipingerai di rosa.

CITTADINO: [sbigottito] Di rosa?

RICCARDO: Di rosa, così ho deciso! E si faccia quanto prima, pena una multa di lire cento.

CITTADINO: Ma… ma…

ZABETTA: [applaude] Che splendida idea, una casa rosa! Che inventiva, che innovazione!


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GOFFREDO: [a Zabetta] Ma tu odi il rosa…

ZABETTA: Ti ho detto di stare zitto.

RICCARDO: Puoi andare. Hai scritto, Ferdinando?

FERDINANDO: Ho scritto, maestà.

[il Cittadino se ne va frastornato; entra il Cittadino 2] CITTADINO: Maestà, ci vengo a dire una cosa importante. RICCARDO: Ti ascolto, caro suddito.

CITTADINO: Io coltivo grano, come mio padre e come mio nonno prima di lui. Ora, un mio amico m’ha detto che dove vive lui si coltiva il riso, e che il riso rende molto bene. Ora, io ci chiederei, maestà, se posso trasformare il mio campo di grano in un campo di riso.

RICCARDO: Un campo di riso?

CITTADINO: Sì, maestà. Basta allagare tutto, e poi ci si pianta il riso. Le piantine crescono e si raccolgono, come tutte le altre. Ma i chicchi sono più bianchi e più buoni del grano. E soprattutto [abbassa la voce] rendono molto, molto di più.

RICCARDO: Bravo, bene! È una splendida idea. Anzi, faremo di più: si dia ordine di allagare tutti i campi. Trasformeremo questa monotona campagna in fertili risaie.

CITTADINO: Bravo, maestà. Mi pare una grande idea.

GOFFREDO: Tutti i campi?

RICCARDO: Tutti i campi, ho detto.

FERDINANDO: Maestà, se mi permetto… Ma e gli altri contadini? Se allaghiamo i campi i loro raccolti saranno danneggiati. E poi saranno d’accordo?

RICCARDO: Sciocchezze, non serve chiedere; capiranno quando vedranno i proventi delle nuove colture. E il nostro paese diverrà famoso per il riso migliore del mondo.

ZABETTA: Ma che lungimiranza! Che spirito imprenditoriale! Bravo!

GOFFREDO: Io il riso non lo posso mangiare, ché mi gonfia la pancia…

CITTADINO: Allora posso aprire le chiuse, maestà?

RICCARDO: Sì, apri tutte le chiuse. Hai la mia autorizzazione.

CITTADINO: Grazie, maestà. Ci porterò un sacco intero di riso solo per lei.

[il Cittadino 2 esce; entrano Cittadini 3 e 4]

FERDINANDO: L’ultima udienza della giornata riguarda…

CITTADINO 3: …la mia oca!

CITTADINO 4: Niente affatto, è la mia!

CITTADINO 3: No, mia!

CITTADINO 4: No!

RICCARDO: Calma, uno alla volta! [a Cittadino 3] Inizia tu.

CITTADINO 3: Vede, maestà, io due settimane fa comprai un’oca…

CITTADINO 4: Me l’hai rubata, vuoi dire!

CITTADINO 3: Rubata un corno, è mia!

CITTADINO 4: È Adalgisa!

CITTADINO 3: No!

GOFFREDO: Adalgisa? Come la cugina di mia zia…

ZABETTA: Shht!

RICCARDO: Basta! Andiamo avanti.

CITTADINO 3: Maestà, appena l’ebbi comprata questo signore, che è il mio vicino di casa, s’è messo in testa che quell’oca era sua.

CITTADINO 4: Non me lo sono messo in testa: quella è Adalgisa, la mia oca!

CITTADINO 3: Ma se è scomparsa!

CITTADINO 4: Non è scomparsa; me l’hai rubata.

CITTADINO 3: No!

RICCARDO: Come fai a dire che ti è stata rubata?


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CITTADINO 4: Maestà, la mia Adalgisa aveva una macchia di piume marroni sul collo, più o meno qui. D’improvviso Adalgisa scompare e due giorni dopo non ti appare un’oca nell’aia di questo ladruncolo? E maestà, quest’oca ha una macchia scura nello stesso punto!

CITTADINO 3: Ma è un caso, mio Dio!

CITTADINO 4: Non è un caso, me l’hai rubata!

RICCARDO: Allora dovrei pronunciarmi sulla proprietà di questa oca?

CITTADINO 3: No, maestà, la storia purtroppo non è finita. Da quando costui si è messo in testa che la mia oca fosse la sua Adalgisa ha tentato in tutti i modi di prendermela…

CITTADINO 4: Vorrei vedere, mi appartiene!

CITTADINO 3: …ieri, non so come, con uno stratagemma l’ha attirata verso la staccionata che separa le nostre case.

CITTADINO 4: Perché, come la mia Adalgisa, anche la “tua” oca è golosa di miele.

RICCARDO: E dunque?

CITTADINO 3: E dunque l’oca ha tentato di attraversare le assi ma è rimasta incastrata. Metà di qua e metà di là.

CITTADINO 4: E da allora non siamo più riusciti a liberarla. Completamente bloccata.

CITTADINO 3: Ma siccome questo signore non aspetta altro che riusciamo a liberarla per portarmela via, vostra maestà dovrebbe dirgli che se la può scordare.

CITTADINO 4: E invece vostra maestà potrà ben darmi ragione che si tratta della mia Adalgisa.

Tanto più… tanto più che la testa dell’oca è ora sul mio terreno.

CITTADINO 3: E quindi?

RICCARDO: E quindi?

CITTADINO 4: E quindi, essendo il cervello come ora tutti dicono la sede di tutte le facoltà e anche dell’anima, si può dire che spiritualmente l’oca è ora di fatto nella mia proprietà, quindi anche il suo corpo mi appartiene.

CITTADINO 3: Ma quale asino ti ha insegnato queste cialtronate?!

CITTADINO 4: Quell’asino di tuo nonno!

[si accapigliano]

ZABETTA: Che scena, smettetela subito!

FERDINANDO: [li divide] Via, signori, siete davanti al re.

CITTADINO 3: Maestà, faccia qualcosa.

CITTADINO 4: Sì, faccia qualcosa.

RICCARDO: Ho ben deciso che cosa fare.

CITTADINO 3: Oh, bene.

CITTADINO 4: Benissimo.

GOFFREDO: Sarà una sentenza esemplare.

RICCARDO: L’oca sia divisa in due; quanto è da un lato della staccionata rimarrà all’uno, quanto è dall’altro lato rimarrà all’altro.

[i due Cittadini restano sbigottiti]

ZABETTA: Che senso della giustizia! Che magnanimità! Degno erede di Salomone!

RICCARDO: Così ho deciso. Potete andare.

CITTADINI: Ma… ma…

GOFFREDO: Non mi sembra una sentenza così esemplare…

ZABETTA: Sua maestà ha detto che potete andare. L’udienza è finita.

RICCARDO: Ferdinando, assicurati che quanto ho deciso sia fatto.

FERDINANDO: Certo, Maestà.

RICCARDO: Ora sono stanco. Tutto questo spargere giustizia e ragione mi consuma. La mia maestà si ritira.


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[si alza, si alzano tutti inchinandosi; la musica riparte; Riccardo esce con solennità, seguito da Ferdinando; poi escono Zabetta e Goffredo, allo stesso modo in cui sono entrati]

[musica: Marche du régiment de Turenne; Jean-Baptiste Lully (finale)]

SCENA SECONDA

PALMIRA e SINDACO, poi ZABETTA

[vengono avanti nella scena]

SINDACO: Assurdo! Inconcepibile!

PALMIRA: Via, si calmi, signor sindaco.

SINDACO: Calmarmi? E come faccio? Ha visto? Ha visto di quanto ridicolo si sta coprendo la nostra comunità? Sa che tutti già in giro ci chiamano il “Regno di Re Pasticcione”?

PALMIRA: Me ne rendo conto…

[entra Zabetta, e non vista si trattiene sul fondo]

SINDACO: Ma certamente non starò a guardare. Ho chiesto un appuntamento con il prefetto.

PALMIRA: Pensa che servirà?

SINDACO: Deve servire. Questo re Riccardo deve scendere dal suo trono al più presto.

PALMIRA: Penso sia la cosa giusta per tutti.

SINDACO: La sa l’ultima? [con spregio] Sua Maestà ha deciso che da oggi le auto e i carri debbano circolare sulla sinistra perché è il suo lato preferito. Ci sono già stati quattro tamponamenti e un trattore è finito in un canale. E non le dico che ingorgo in centro…

PALMIRA: Proverò a parlare col signor Barbero, per convincerlo a smettere con questa assurdità.

SINDACO: Eh, se ci riesce mi faccia sapere, prima che qualche cittadino infuriato… [mima il gesto di un attentato] lei capisce…

PALMIRA: Mio Dio, no! Non arriveremo a questo punto.

SINDACO: Chi può dirlo?... Lei non sa cosa si sente stando nel mio ufficio… Ora vado dal prefetto… sperando di non tamponare per uscire dal paese…

[il Sindaco esce]

PALMIRA: [spaventata, mormorando tra sé] Ah no no, non deve accadere. Pazzie… pazzie… [esce]

SCENA TERZA

ZABETTA sola, poi FERDINANDO

ZABETTA: Ah e così si complotta per detronizzare il re? Bravo, sindaco. Ma soprattutto brava la nostra signora Maggi. Perfetto, era l’occasione che aspettavo per togliermela di torno. Quella impicciona!...

Ma nuovamente avrò bisogno di un fedele alleato. [guarda verso l’esterno] Giustappunto, eccolo che viene.

[entra Ferdinando]

ZABETTA: Nando, avevo giusto bisogno di te.


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FERDINANDO: Sì, signora?

ZABETTA: Ho bisogno del tuo fidato aiuto.

FERDINANDO: Di nuovo? Per fare che?

ZABETTA: I nemici complottano contro il nostro sovrano, per strappargli la corona e condannarlo all’esilio. O anche peggio…

FERDINANDO: I nemici?

ZABETTA: Ho udito io stessa un attimo fa il sindaco e la signora Maggi.

FERDINANDO: Ah ma no, certamente si scherzava…

ZABETTA: [minacciosa] Non stavano scherzando, di questo sono certa. Bisogna fermarli.

FERDINANDO: Fermarli?

ZABETTA: Vuoi forse che riescano nel loro intento? Vuoi che perdiamo tutto quello che abbiamo ottenuto? [insinuante] Vuoi già perdere la casa nuova che grazie a me il re ti ha promesso?

FERDINANDO: No, signora…

ZABETTA: Allora farai quello che ti dirò?

FERDINANDO: Sì, signora…

ZABETTA: Bene. Vieni e ascolta qual è il mio piano.

[escono]

SCENA QUARTA

PALMIRA e FERDINANDO, poi ZABETTA

[entra Palmira]

PALMIRA: Perché mai Ferdinando mi avrà mandata a chiamare? Sembrava una cosa urgente. Scoprirò di che si tratta. In ogni modo l’occasione va sfruttata; devo parlare con Riccardo… il signor Ferrero… e convincerlo a smetterla con queste bambinate.

[entra Ferdinando]

PALMIRA: Buongiorno, Nando.

FERDINANDO: Buongiorno, signora.

PALMIRA: Allora, che succede? Perché volevi vedermi?

FERDINANDO: È arrivato il vostro ordine.

PALMIRA: Oh, bene, ma dal tono che avevi al telefono credevo si trattasse di cose più gravi.

FERDINANDO: Eh, sapevo che lo aspettavate con ansia.

PALMIRA: Sì, ma dov’è?

FERDINANDO: È nell’orangerie reale.

PALMIRA: Nella cosa?

FERDINANDO: Nel magazzino. Abbiamo dovuto chiamarlo in modo più consono.

PALMIRA: Oh, santa pace!... [scuotendo la testa] In modo più consono…

FERDINANDO: Venite, lasciate qui la borsa, lo spazio di là è stretto.

PALMIRA: Uhm… va bene. [posa la borsa sulla scrivania] Andiamo.

[escono]

[entra Zabetta reggendo un pugnale]

ZABETTA: Bene, e mentre Ferdinando tiene impegnata la nostra bella signorina Maggi, io provvedo a posare un altro mattoncino nel mio castello di gloria.

[apre la borsa di Palmira e vi mette dentro il pugnale]

Ecco fatto. Ora spero che Nando segua le istruzioni che gli ho dato. Tra poco sarò libera da quell’odiosa impicciona, e libera di istruire Riccardo a mio piacere. Ho ben visto come lo guarda,


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quell’ochetta, e anche se lui non sembra essersene accorto, ha troppo fascino su di lui, troppo mordente. E questo non posso permetterlo.

[esce]

[rientrano Ferdinando e Palmira]

FERDINANDO: Dunque glielo farò spedire questo pomeriggio in negozio, d’accordo?

PALMIRA: Benissimo, Nando. Vi pagherò alla consegna. Ora, visto che ho ancora del tempo…

FERDINANDO: Ha bisogno di altro?

PALMIRA: Sì. Il signor Barbero è in ufficio?

FERDINANDO: Vuole dire il re?

PALMIRA: [gelida] No, ho detto “il signor Barbero”.

FERDINANDO: Ehr… Sì, è qui.

PALMIRA: Allora digli che voglio vederlo.

FERDINANDO: Ma… bisognerebbe aspettare il giorno di udienza…

[Palmira lo fulmina]

Sì, vado.

[mentre sta per uscire Palmira lo ferma parlando] PALMIRA: Nando?

FERDINANDO: [senza guardarla] Sì, signora.

PALMIRA: [dura] Non hai mai avuto paura di dire nulla al tuo padrone. Perché stavolta sì?

FERDINANDO: [imbarazzato, senza guardarla] Io… non lo so, signora.

[pausa]

PALMIRA: [idem] Va’, chiamalo.

[Ferdinando esce senza parlare; Palmira si aggira nervosa per la stanza]

SCENA QUINTA

RICCARDO e PALMIRA

[entra Riccardo]

RICCARDO: Signora Palmira…

PALMIRA: Riccardo…

RICCARDO: Veramente dovrebbe dire “Vostra maestà”…

PALMIRA: Mi dica, Riccardo, da quando ci conosciamo?

RICCARDO: Una decina di anni. Perché?

PALMIRA: E le ho mai mancato di rispetto?

RICCARDO: Non che io ricordi.

PALMIRA: Lei mi ritiene una persona onesta?

RICCARDO: Sì, corpo d’un… perbacco! Certamente, onesta.

PALMIRA: E crede che io le mentirei mai sulle mie opinioni?

RICCARDO: Non credo che lo farebbe mai.

PALMIRA: Ecco. Allora di cuore, per tutta l’amicizia che le posso offrire, la prego di smetterla una volta per tutte con questa storia di essere re.

RICCARDO: Ma cosa sento?! Sono io che dovrei dirlo a lei: ancora con queste manfrine?

PALMIRA: Sia ragionevole, è già durata abbastanza e prima che qualcuno possa averne danno…

RICCARDO: Durerà finché lo vorrò. Sono io il re!

PALMIRA: Ah, Dio, ma perché non vuole sentirmi.


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RICCARDO: La vera sorda qui è lei. Perché, perché non riesce a essere felice per me? Finalmente si avvera il sogno della mia vita. Posso disporre di genti e ricchezze e realizzare tutte le cose che ho sempre desiderato fare per costruire qualcosa di dignitoso a questo mondo.

PALMIRA: Io invece la vedo come una barca in balia della tempesta. Si può essere felici anche con molto meno di questo, mi creda. Potessi dirti davvero tutto quello che ho nel cuore.

Riccardo, ci sono scure nubi attorno…

RICCARDO: Scure nubi? Che vuol dire?

SCENA SESTA

Detti, ZABETTA e GUARDIE

[irrompe Zabetta con Ferdinando e due guardie]

ZABETTA: Fermati, sciagurata!

PALMIRA: Che succede?

RICCARDO: Zabetta? Ferdinando? Che ci fate qui?

ZABETTA: Siamo venuti a salvarti.

RICCARDO: Salvarmi?

ZABETTA: Costei ti stava inducendo a cedere con le parole, ma davanti al tuo fermo contegno era pronta a tutto. A tutto!

Guarda! [va alla borsetta di Palmira e ne estrae il pugnale] Ecco il frutto dell’invidia verso la tua felicità. Questo pugnale era affilato per te.

PALMIRA: Io non ho mai visto quel pugnale!

ZABETTA: Bugia! Il maggiordomo del re ti ha vista mentre lo riponevi nella borsa prima di entrare.

PALMIRA: Ma è falso! Ferdinando, diglielo!

RICCARDO: Ferdinando, è così come dice la contessa del Granfosso?

FERDINANDO: [sospira] Sì… l’ho veduta dalla finestra…

PALMIRA: Ah, no! Non è vero! Perché, Nando? Non ne so nulla! Riccardo, mi creda!

RICCARDO: Palmira… uccidermi…

PALMIRA: No no! È una calunnia, una bugia! Le giuro, mai avrei voluto…

ZABETTA: Ora basta. Ferdinando, portala via. Sia condotta in cella.

PALMIRA: No no! Riccardo! Riccardo, lei mi crede?

RICCARDO: [fissa il vuoto, sconvolto; poi si nasconde il viso in una mano e fa un gesto] Nando, portala via.

PALMIRA: No! Riccardo! Non potete! Sono innocente! Nando, perché? Perché?! [Palmira viene portata via dalle guardie]

ZABETTA: Hai visto quanti nemici si annidano attorno a te? Anche chi credevi amico è pronto a tradirti.

RICCARDO: [assente] Palmira… ma come ha potuto?…

ZABETTA: Bisogna prendere provvedimenti duri e decisi. Per i delitti contro la persona del re

c’è una sola pena possibile: la ghigliottina!

RICCARDO: [riavendosi] La ghigliottina?...

ZABETTA: Certo, bisogna che tutti abbiano monito di cosa succede a congiurare contro re Riccardo. [estrae un foglio e lo porge a Riccardo con una penna] Firma qui.

RICCARDO: Cosa?

ZABETTA: [imperiosa] Firma.

RICCARDO: Io… d’accordo. [firma il foglio]


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ZABETTA: Ben fatto, Vostra maestà. Ah ah la bella signora Maggi è fuori gioco. Provvederò a istruirle un processo coi fiocchi. E dubito dopo [mima il gesto della decapitazione] zac! Ah ah

[rientra una guardia]

ZABETTA: La signora è in cella?

GUARDIA: Sì, contessa. Guardata a vista dal custode.

ZABETTA: [a Ferdinando, piano] Ottimo lavoro, Nando. [a Riccardo] Chiedo permesso, Maestà, mi devo ritirare.

RICCARDO: Sì sì, vai…

ZABETTA: Ferdinando…

FERDINANDO: [si inchina] Contessa…

[Zabetta esce con la guardia]

RICCARDO: Oh, ma Palmira… io non capisco… Nando, perché dev’esserci qualcuno che mi vuole male?

FERDINANDO: Non so proprio dirlo, signo… maestà. Davvero non lo so… Ah, che vergogna.

RICCARDO: Ma pensi che volessero davvero uccidermi?

FERDINANDO: Io… io non credo, maestà. Forse volevano solo convincerla a… dimettersi…

RICCARDO: Beh, se ne facciano una ragione, non lascerò mai il trono, corpo d’un boia! E chi oserà mettere in dubbio la mia autorità dovrà vedersela con la mia spada impietosa!

FERDINANDO: [turbato] Sì, certo… la spada impietosa… [pausa]

FERDINANDO: Vostra maestà mi permette una considerazione?

RICCARDO: Parla.

FERDINANDO: Per governare bene… cioè, per fare le scelte più giuste, più opportune, per il paese… non sarebbe forse saggio che Vostra maestà si facesse aiutare da un Consiglio?

RICCARDO: Un cosa?

FERDINANDO: Un Consiglio, un Parlamento di uomini e donne scelti per le loro qualità, perché le decisioni del re siano sempre ben ponderate e appoggiate ai desideri e ai bisogni del popolo…

RICCARDO: [irritandosi] Pensi che le mie decisioni non siano ponderate? Che io non ascolti i bisogni del popolo?!

FERDINANDO: No, io non…

RICCARDO: Corpo d’un boia, non sai di cosa parli! Ora vai, non mi scocciare con simili discorsi.

FERDINANDO: Va bene… Come piace al re.

[si inchina ed esce]

RICCARDO: Consiglio? Parlamento? Bah, sciocchezze… Il governo dei nostri Stati ha perso tutto il suo vigore, ed è proprio perché il potere è stato via via disperso in una moltitudine di poltrone, di uffici, di scrivanie. La vera forma del potere è la monarchia. La folla non decide, la folla non sceglie; rumoreggia e basta. Occorre uno, uno solo, che ascolti, giudichi, misuri e infine tragga le scelte migliori per la comunità.

[esce]


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SCENA SETTIMA

BARDO, poi FERDINANDO

[entra il Bardo]

BARDO: “Occorre uno, uno solo”

disse Riccardo Barbero, il re;

ma ne sei sicuro, Riccardo?

Quanto quest’uno è ispirato

dalla giustizia

e quanto invece accecato

dalla sua solitudine?

Ma vedremo ben presto

quale che sia il fato;

intanto c’è chi già lotta

colla propria coscienza.

[entra Ferdinando]

FERDINANDO: Mio Dio, mio Dio, cosa stiamo facendo? Sono andato in paese – la folla rumoreggia, è scontenta, irritata, arrabbiata. Parla del re con facce scure e voci maligne. E volan già parole grosse, e cose che non si vorrebbero sentire: “Abbiam tirato giù un re, possiamo tirarne giù un altro”… Questo, al mio re!

Ah, ma perché lo chiamo “re”? È Riccardo Barbero, il mio buon padrone. E non merita tanta collera…

BARDO: [facendosi avanti] Perché non la merita, dici?

FERDINANDO: Chi è lei?

BARDO: L’importante non è chi io sia;

l’importante è cosa io dica.

Hai paura, Ferdinando?

FERDINANDO: Sì, ho paura…

BARDO: Per te o per il signor Barbero?

FERDINANDO: Per re Riccardo, vorrà dire…

BARDO: Perché continui a chiamarlo così?

FERDINANDO: Io… ah, non lo so nemmeno! Sono talmente dentro questa macchinazione...

BARDO: Allora liberatene.

FERDINANDO: E come? Come?! Ho tradito il mio padrone, ho fatto incarcerare la signora Maggi, una donna buona e onesta… E per cosa?

BARDO: Esatto. Per cosa?

FERDINANDO: Cosa faccio, ora? Cosa faccio?

BARDO: Perché me lo chiedi? Lo sai già.

FERDINANDO: Devo correre alle prigioni…

BARDO: Esatto.

FERDINANDO: …liberare Palmira e chiedere perdono…

BARDO: Bravo.

FERDINANDO: …e poi correre dal signor Barbero…

BARDO: Bene.

FERDINANDO: …prima che…

[si interrompe, inorridendo]

BARDO: Corri, Ferdinando –


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ché il tempo è poco.

FERDINANDO: Sì sì! Corro. Grazie, chiunque lei sia.

[Ferdinando esce di corsa]

BARDO: Ah, buon giovane,

s’impara a volte più in un giorno

che in una vita tutta.

Ma la storia freme,

si dibatte inquieta,

vuole essere narrata;

e dunque, attenti:

si compie l’ultimo atto.

SCENA OTTAVA

ZABETTA e GOFFREDO

[entrano Zabetta e Goffredo, spaventati] ZABETTA: Ah, Goffredo, sono già nel cortile? GOFFREDO: Hanno varcato il cancello. Sono un centinaio. ZABETTA: E sul lato del canale?

GOFFREDO: Ve n’è un gruppetto anche lì. Agitano forconi e roncole.

ZABETTA: Ah, Dio!

GOFFREDO: S’avvicinano alle porte, tentano di forzarle.

ZABETTA: Sono chiuse?

GOFFREDO: Sono chiuse… ma chissà…

ZABETTA: [come ossessa] Li sento gridare fin qui!

GOFFREDO: [imita i cittadini in rivolta] “A morte! A morte! A morte il re!”

ZABETTA: Siamo perduti!

GOFFREDO: Perché ti inquieti cara? Cercano il re... taglieranno a lui la testa…

ZABETTA: Ma cretino, non capisci? La taglieranno anche a noi!

GOFFREDO: A noi?! La mia testa?! Aiuuuto!

ZABETTA: Ah, se potessimo fuggire… Sia maledetto il momento in cui tutto questo è iniziato.

GOFFREDO: Ho paura, Zabetta. Ho tanta paura… [cerca di abbracciarla]

ZABETTA: Via, levati! Dobbiamo trovare un modo per andarcene…

SCENA NONA

Detti e RICCARDO, poi PALMIRA e FERDINANDO

[entra Riccardo]

RICCARDO: Cos’è tutto il vociare che sento provenire da fuori?

ZABETTA: Nulla, nulla…

GOFFREDO: La folla!

RICCARDO: La folla?

GOFFREDO: La mia testa!

RICCARDO: Quale testa?

GOFFREDO: [abbraccia Riccardo] Ho tanta paura!

RICCARDO: Ma cosa fai? Non capisco nulla. Come osi toccare il re? Corpo… pofferbacco!

ZABETTA: Basta, Riccardo.


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RICCARDO: [confuso] Basta?

ZABETTA: È finita.

[entrano Palmira e Ferdinando]

PALMIRA: Sì, è proprio finita.

ZABETTA: Voi qui? Ma lei non era in cella?

PALMIRA: Esatto, lo ero. Prima che un bravo giovane venisse a liberarmi. [a Riccardo] I

cittadini sono qua fuori, e hanno uno scopo preciso: il regno di Riccardo V è finito.

RICCARDO: Dovrebbe essere in cella, lei, per aver attentato alla mia maestà, e non qui a raccontare simili frottole.

FERDINANDO: [si getta ai piedi di Riccardo] Signor Barbero, pietà! Palmira è innocente. La colpa è mia…

ZABETTA: Sta’ zitto, sciocco.

RICCARDO: Tua, Nando? Che dici?

FERDINANDO: Sì, ho mentito e l’ho ingannata. Ho mentito quando mi ha chiesto se avrebbe dovuto fare il re. Ho mentito quando le ho detto che la signora Maggi complottava per ucciderla. Ma è stata Zabetta, sua sorella, a chiedermelo… ha messo lei il coltello nella borsetta di Palmira…

RICCARDO: Zabetta?! Tu?!

PALMIRA: [a Zabetta, dura] Dove pensavi di arrivare? Il tempo dei re è ormai passato.

ZABETTA: Sii maledetta, vipera. Forse avrei anche potuto farcela…

RICCARDO: Zabetta, che cosa hai fatto?

ZABETTA: Sei proprio un ingenuo, Riccardo. Lo sei sempre stato. Come re non vali nulla. Nulla! Tieniti pure il tuo impiegato così fedele e questa damina di paese. E resta pure qui a languire nella tua mediocrità. Io volevo altro, di più, di meglio. Ma con la tua incapacità hai rovinato tutto…

FERDINANDO: La smetta di denigrarlo così! Il signor Barbero è una persona onesta, corretta e buona. Tutto il contrario di lei!...

ZABETTA: Basta, non starò qui a subire il tuo destino, Riccardo. La folla è qui sotto e vuole te.

Addio, comunque vada.

RICCARDO: Vattene, strega! Fallo! Corpo d’un boia, che io non riveda mai più te e quel fantoccio di tuo marito.

ZABETTA: Ognuno si tenga stretti i suoi. Il cielo giudicherà. Via, Goffredo, filiamo!

GOFFREDO: Stammi vicino, Zabetta, ho paura!

ZABETTA: Muoviti, deficiente!

[Zabetta e Goffredo escono]

SCENA DECIMA

RICCARDO, PALMIRA e FERDINANDO

RICCARDO: Mio Dio… mio Dio… che cosa ho fatto?... Vi prego, perdonatemi. Nando, t’ho sempre trattato come un idiota…

FERDINANDO: Oh, ma signore, lo so che mi vuole bene.

RICCARDO: E lei, Palmira, ho dubitato di lei… pensato che…

PALMIRA: A volte ci facciamo ingannare da chi crediamo ci voglia aiutare. La perdono, Riccardo. Nessun rancore.

RICCARDO: Ah, ma ora? I cittadini sono qui. E vogliono me.

Con quanta superbia ho preteso di fare il re, senza sapere nulla, credendo che esercitare il potere possa dare qualità anche a chi non ne ha alcuna. E invece ho fatto solo male, e danno.


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PALMIRA: Non si incolpi. Lei è un uomo buono, Riccardo. Quello che ha fatto non fu per cattiveria, ma per ingenuità. Il potere ha questo strano effetto sugli uomini. Lo si può esercitare male o con animo corrotto, e così viene semplice. Ma per esercitarlo bene bisogna essere avveduti, e sapersi far consigliare da chi ne è all’altezza.

RICCARDO: È vero, è vero. Ma ora che farò? La folla è qui…

PALMIRA: [dolcemente gli prende la mano] La affronterà e chiuderà questa vicenda. E noi saremo qui ad aiutarla.

RICCARDO: Palmira…

[si ode gridare dall’esterno]

VOCE: [con ira] Ecco, il tiranno è qui! Abbattiamo la porta!

RICCARDO: Ah, corpo d’un boia!, la folla è qui. Per me è la fine.

PALMIRA: Non dica sciocchezze. Questa farsa è già durata abbastanza.

SCENA ULTIMA

Detti, CITTADINI, poi SINDACO e NOTAIO

[la folla irrompe]

CITTADINO: Eccolo! Eccolo!

CITTADINO 2: Prendiamolo!

[Palmira si para davanti a Riccardo]

CITTADINO 2: Signora Maggi, si tolga di lì, dobbiamo arrestare questo impostore.

CITTADINO: Ha detto che mi avrebbe abbassato le tasse!

CITTADINO 3: A morte!

CITTADINO 2: Impicchiamolo!

RICCARDO: Pietà!

PALMIRA: Fermi, fermi, perdio! Signori, per pietà, recuperate il senno. Non vedete? Questo non è un re, è solo un uomo. Un uomo che fu re per un soffio; re per un sogno.

CITTADINO: Io ho una casa dipinta di rosa!

CITTADINO 2: Io un’oca senza testa!

CITTADINO 3: Io i campi allagati, da cui non crescerà nulla!

RICCARDO: Io… io vi ripagherò tutti. Fino all’ultimo soldo. Per ogni danno che ho causato.

CITTADINO 2: Dice davvero?

RICCARDO: Davvero.

CITTADINO 3: Fino all’ultimo soldo?

RICCARDO: Fino all’ultimo soldo.

[i cittadini restano interdetti, poi si guardano tra loro grattandosi la testa e abbassando forconi]

CITTADINO 3: Beh…

CITTADINO 2: Allora…

CITTADINO: Stando così le cose…

[entra il Sindaco con il Notaio]


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SINDACO: Via, fatemi passare. Sta bene, Barbero?

RICCARDO: Sì, signor Sindaco. Ora è tutto a posto.

SINDACO: Può dirlo forte. Può dire addio alla corona.

RICCARDO: Come?

SINDACO: Ho la parola del prefetto… che parlerà col viceministro… che parlerà col

ministro… Insomma, il governo emanerà un decreto per dichiarare illegittimo questo regno da

operetta.

RICCARDO: Ah, ma non servirà che scomodi il prefetto, e neppure il viceministro, e neanche il ministro, e nemmeno il governo. Corpo d’un boia, son ben io cosa fare. [strappa l’atto] Ecco, non son più re! E non ce ne saranno mai più altri.

PALMIRA: Ecco, con questo tutto è finito. Soddisfatti? Notaio, possiamo considerare che il signor Barbero non ha più nulla a pretendere sui cittadini?

NOTAIO: Distrutto l’atto, decade qualunque impugnazione.

FERDINANDO: E che né lui né altri potranno più vantare il titolo di re?

NOTAIO: No, nessuno più.

PALMIRA: Signor sindaco, cittadini… tutto quello che il signor Barbero ha fatto, per quanto maldestro e inesperto, era dettato dal sincero desiderio di essere d’aiuto alla comunità. Nessuno, dobbiamo ammetterlo, ne ha tratto vero danno per sé e nulla è avvenuto a cui non si possa riparare. Per questo vi chiedo di perdonare e di lasciare che questa storia diventi solo quel che merita, una favoletta che racconteremo ai nostri nipoti.

SINDACO: Credo a questo punto di poter dire due parole. Amici, quanto detto dalla signora Maggi è giusto e onesto. Ben fatto, signor Barbero. Con questo gesto si è riscattato. Sono certo che onorerà l’impegno di risarcire chi ha avuto qualche guaio, e il Comune non le farà mancare il suo aiuto, glielo prometto.

Non vogliamo rancori e non ce ne saranno; vogliamo guardare al futuro tutti insieme, in armonia e collaborazione. Per quanto mi riguarda siamo lieti di considerarvi nuovamente tra i nostri più illustri concittadini.

CITTADINO 2: È vero, bravo!

CITTADINO 3: Allora viva il signor Barbero!

CITTADINO 2: Sì, viva il signor Barbero!

CITTADINO: Viva Riccardo V! [tutti si girano a guardarlo] Volevo dire… Viva il signor Barbero!

CITTADINO: Viva il sindaco!

CITTADINO 3: Viva la repubblica!

FERDINANDO: Viva tutti!

RICCARDO: Grazie, signor sindaco. Grazie a voi tutti. E… perdonatemi.

Senza dubbio apprendiamo oggi tutti una grande lezione sul potere. Mi resta la convinzione che il governo del nostro mondo non può essere messo nelle mani della folla, dei tutti che si dibattono e non decidono. Ma, accanto a questa natura, ho appreso con questa strana e insolita vicenda che ne esiste un’altra: ed è che il potere, per poter ben decidere, deve essere condiviso, mitigato, ridotto a misura da altri poteri che, come fiammelle, restino sugli scogli fra le tempeste e non guidino la nave comune contro gli scogli.

E l’alta missione a cui siamo chiamati è bilanciare queste due anime del potere, affinché i migliori governino e i tutti siano vigilanti.

Allo stesso modo, nella nostra vita, si trovano a convivere le nostre personali aspirazioni e le nostre volontà e il bisogno che qualcuno ci guidi, ci consigli, ci conforti o rimproveri. E mi ricordo ora di una frase che mi sentii dire prima che tutto questo iniziasse: qualcuno mi disse che quello che


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mancava nella mia vita era “qualcuno con cui condividere il cuore”. Finalmente ho capito il significato di quelle parole.

[si volta verso Palmira] Signorina Maggi, volete essere voi quel qualcuno?

PALMIRA: [arrossendo] Sì, lo vorrei.

[si alza la musica]

[musica (*suggerita Ouverture – da Music for the Royal Fireworks;

G.F. Handel, ultimi 30’’)]

[Riccardo tende la mano a Palmira; si abbracciano. La folla intorno, felice, si avvicina per congratularsi: prima Ferdinando, poi il Sindaco e il Notaio e tutti gli altri, tra strette di mano e sorrisi; infine tutti si fanno indietro e Riccardo e Palmira improvvisano qualche passo di danza, fermandosi abbracciati in mezzo al palco; il Bardo appare all’inizio del finale “dirigendo” la musica, e termina sulle ultime note guadagnando il centro e inchinandosi al pubblico – oppure portando il cartello “Fine”]

SIPARIO

FINE


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