Ricordo la mamma

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RICORDO LA MAMMA

Dal romanzo di Kathryn Forbes: Il conto in banca della mamma

Titolo originale: I remember Mama

Commedia in due parti

di JOHN VAN DRUTEN

Versione italiana di Laura del Bono

PERSONAGGI

LA MAMMA – IL BABBO

KATRIN - NELS

CRISTINA - DAGMAR

Mr. HYDE - TRINA

SIGRID - JENNY

LO ZIO ORIS - PETER THORKELSON

ARNE - IL DOTTORE

MADDALENA - DOROTEA

MISS MOORHEAD - YESSIE

UNA INFERMIERA

UN CAMERIERE - UN RAGAZZO


PARTE PRIMA

Siamo -nel 1910 circa. Alle due estremità del pro­scenio vi sono due piattaforme girevoli sulle quali vengono rappresentate le scene di proscenio, quelle più brevi; gli sfondi sono resi il più semplicemente possibile, quanto basta per indicare il luogo ove si svolge l'azione. La scena principale è rialzata su due gradini ed è munita di un sipario, formando così come un teatrino dentro al palcoscenico.

(All'alzarsi del sipario principale, quello della ribalta, soltanto Katrin è illuminata; il resto è nell'oscurità. La ragazza è seduta alla scrivania, sulla piattaforma di destra, rivolta verso il pubblico. Sta scrivendo e fumando una sigaretta. Katrin ha poco più di vent'anni; è molto graziosa (bionda); i capelli, che nella prima scena sono tirati su secondo la moda odierna, saranno sciolti sulle spalle nelle scene suc­cessive, quando Katrin dovrà sembrare bambina. Ha un abito assai corto la cui parte inferiore, durante il prologo, è nascosta dalla scrivania davanti alla quale siede. Katrin scrive in silenzio per alcuni minuti, poi posa la penna, prende in mano il manoscritto e inco­mincia a leggere ad alta voce ciò che ha scritto).

Katrin                            - (leggendo) La casa di via Steiner è sem­pre stata la nostra casa. Il babbo e la mamma nacquero in Norvegia, ma poi vennero a San Francisco perché le sorelle della mamma vivevano qui. Noi siamo tutti nati qui: Nels, il mio fratello maggiore, mia sorella Cristina e Dagmar, la nostra sorellina Dagmar... (Posa il manoscritto e guarda davanti a sé) È strano, ma quando penso al passato, Nels e Cristina li vedo quasi come sono oggi. Per Dagmar, invece, la cosa è diversa. Dagmar è sempre stata il baby della famiglia e io la vedo come se fosse ancora un baby. In quanto alla mamma... è buffo, ma la vedo sempre come se avesse quarant'anni. Eppure non è possi­bile che abbia sempre avuto quarant'anni. (Posa la sigaretta, riprende il manoscritto e ricomincia a leggere) Con noi viveva il signor Hyde, il nostro pensionante, un inglese che era stato attore. La mamma lo teneva in grande considerazione per il suo parlare fiorito e per i suoi modi cortesi. Il signor Hyde aveva l'abi­tudine di farci della lettura ad alta voce, la sera. Ma prima di tutti e più di tutti ricordo la mamma. (Le luci si affievoliscono e Katrin resta appena visi­bile. si illumina il resto del palcoscenico che ci mostra la casa di via Steiner. La cucina: al fondo la parete con una credenza nel centro; sopra la credenza por­cellane in bella mostra; ai lati della credenza due porte. La porta di destra dà nella dispensa; quella di sinistra è la comune. La parete di sinistra rappresenta il muro esterno ed in fondo ha una porta che dà sulla strada. Più oltre si vede la strada con un lampione. Appena fuori dalla porta, a sinistra, dietro la stanza, si erge il casamento con le finestre superiori illuminate, e al di là del casamento uno scenario rappresenta le colline e le case di San Francisco. La cucina è ammobiliata con semplicità. Al centro un tavolo con due sedie dietro e due seggiole a bracciuoli ai lati. Davanti al tavolo una panca. Contro la parete di destra, al fondo, una grande stufa, che serve anche per cucinare. Davanti alla stufa un'altra seggiola a bracciuoli. Nella parete di sinistra, prima della porta della cucina, perciò verso il pro­scenio, vi è una finestra).

La voce di Katrin          - (nella semi-oscurità, mentre la scena principale si illumina) Ricordo che tutti i sabati sera la mamma sedeva al tavolo della cucina per contare il denaro che il babbo portava in una piccola busta. (Ora la scena principale è in piena luce e le luci su Katrin sono quasi sparite. La scena è come Katrin l'ha de/scritta).

La Mamma                    - Lara, chiama i bambini. È bene che imparino a conoscere il valore del denaro.

Il Babbo                        - Bambini! Nels... Cristina... Katrin...

La voci dei Bambini     - (di fuori) Eccoci, babbo!

La Mamma                    - Se vuoi chiamare Katrin, devi gri­dare. Dev'essere nel suo studio.

 Il Babbo                       - Dove?

La Mamma                    - Katrin ha trasformato in studio il solaio.

Il Babbo                        - Davvero? (Divertendosi) Katrin!

Katrin                            - (ancora alla scrivania) Sì, babbo.

Il Babbo                        - (rientrando) Nel suo studio? Uh! Ma che diamine studia Katrin?

La Mamma                    - Credo che voglia diventare una scrittrice.

Il Babbo                        - Una scrittrice?

La Mamma                    - Scriverà delle novelle per le riviste ed un giorno forse potrà scrivere anche dei libri.

Il Babbo                        - (tirando fuori la pipa) Si guadagna molto a fare lo scrittore?

La Mamma                    - A scrivere per le riviste sì; a scri­vere dei libri, no.

Il Babbo                        - Allora scriverà per le riviste.

La Mamma                    - Può darsi. A me piacerebbe che scrivesse dei libri. Dei libri come quelli che ci legge il signor Hyde.

Dagmar                         - (entra dalla dispensa. È una bambina di cir­ca otto anni, rotondetta. Ha in braccio un gatto randagio).

La Mamma                    - Dagmar! Ancora con quel gatto?

Dagmar                         - Certo. È la mia Elisabetta. (Va verso la finestra e siede sulla cassapanca).

Il Babbo                        - Povera Elisabetta, si direbbe che ha avuto un'altra baruffa...

Dagmar                         - Non « povera Elisabetta », ma « corag­giosa Elisabetta ». Elisabetta è un gatto vichingo. Lotta per il suo onore.

Il Babbo                        - (divertito, scambia un'occhiata con la mamma) E qual è, piccina, l'onore di un gatto?

Dagmar                         - L'onore di essere il gatto più corag­gioso di San Francisco. (Cristina arriva dalla comune. Ma i capelli giù per le spalle. Il vestito è corto. Ora ha 13 anni circa. È la più pratica e la più saccenteria della famiglia) Non è così, Elisabetta?

Cristina                         - (sedendo dietro il tavolo) Quel disgu­stoso gatto!

Dagmar                         - Elisabetta non è disgustosa. È bella come l'alba.

Cristina                         - E quando hai veduto l'alba, tu?

Dagmar                         - Mai, ma i libri che il signor Hyde ci legge parlano spesso dell'alba. (Il signor Myde entra dalla comune. È piuttosto male in arnese, coi capelli lunghi. È sui cinquant’anni. Il prototipo dell'attore inglese di un tempo) Non è vero, signor Hyde, che voi ci avete letto dei libri che parlano dell'alba?

Hyde                             - È vero, è vero, gioia dei miei occhi! L'alba! L'aurora dalle rosee dita.

Dagmar                         - Quando riuscirò a vedere l'alba?

La Mamma                    - Qualunque mattina, se ti alzi presto.

Dagmar                         - C'è un'alba tutte le mattine?

La Mamma                    - Ma certo.

Dagmar                         - (incredula) È così bella e c'è tutti i giorni? Perché non me lo avete mai detto?

Hyde                             - Bambina mia, per questo ci sono i poeti. Per dirci tutte le belle cose che accadono ogni giorno e che nessuno di noi vedrebbe se essi non ce ne par­lassero. (Si avvia verso l'uscita).

La Mamma                    - Uscite, signor Hyde?

Hyde                             - Soltanto per pochi attimi, signora; per comperarmi una piccola quantità di quell'erba bruna, il tabacco, che ardentemente bramo, come dice Ben Johnson. Sarò di ritorno per la lettura serale. (Esce).

La Mamma                    - (va alla comune e chiama con voce severa e decisa) Nels, Katrin! Non avete sentito il babbo chiamarvi?

Nels                               - (fuori scena, dal piano superiore) Eccomi!

Katrin                            - (sempre alla scrivania) Sì, mamma, vengo. (Katrin si alza; mentre è rimasta nell'oscurità si è sciolta i capelli, che ora ha sulle spalle. si in­cammina verso la scena principale e vi entra salendo dai gradini. Subito dopo Katrin, Nels entra dalla comune. È un ragazzo alto, ben fatto, che dal suo vestire e dal suo contegno potrebbe dimostrare tanto 18anni come 16 anni).

Il Babbo                        - Eccoli tutti qui, ora.

La Mamma                    - Allora avvicinatevi. (Cristina, Nels e Katrin si radunano intorno al tavolo. Dagmar resta dov'è a parlare ad Elisabetta. La mamma, mette in ordine le monete) Per il padrone di casa. (Fa una pila di dollari d'argento che viene passata da uno all'altro, spingendola sul tavolo. Il babbo la riceve per ultimo. Nel passare la piccola pila di monete, ognuno dice guanto segue)

Nels                               - Per il padrone di casa. (E la fa passare).

Katrin                            - (come sopra) Per il padrone di casa.

Cristina                         - Padrone di casa. (Il babbo raccoglie la piccola pila all'estremità del tavolo, scrivendo su di un pezzetto di carta dentro il quale avvolge le monete).

La Mamma                    - (che nel frattempo ha fatto un altro mucchietto) Per il droghiere. (La scena di prima si ripete. La conversazione che Dagmar fa col gatto diventa udibile e si alterna con le ripetizioni di « per il droghiere »).

Dagmar                         - Negli Stati Uniti non vi è mai stata una gattina coraggiosa come Elisabetta. (Più forte) In tutto il mondo non c'è mai stato un gatto così coraggioso.

La Mamma                    - (con dolcezza) Sst! Dagmar. Sotto­voce. Riporta Elisabetta in dispensa.

Dagmar                         - (verso la dispensa, a mezza voce)  Né in cielo ne all'inferno si può trovare un gatto...

La Mamma                    - Per le mezze suole alle scarpe di Katrin. (Passa mezzo dollaro).

Nels                               - Per le mezze suole delle scarpe di Katrin.

Katrin                            - (con orgoglio) Per le mie scarpe.

Cristina                         - (con disdegno) Le vecchie scarpe di Katrin.

Il Babbo                        - Le scarpe di Katrin.

Cristina                         - Mamma, la maestra ha detto che questa settimana avrò bisogno di un altro quaderno.

La Mamma                    - Quanto costerà?

Cristina                         - Dieci cents.

La Mamma                    - (dandole dieci centesimi) Quaderno. Non perderli.

Cristina                         - No, mamma. (Avvolge la moneta nel fazzoletto).

La Mamma                    - Fai attenzione quando ti soffi il naso.

Cristina                         - Sì, mamma.

Il Babbo                        - È tutto? Tutto per questa settimana. E non avremo bisogno di andare alla Banca. E questa è una gran bella cosa. (Comincia a raccogliere le monete rimaste. Katrin si alza e siede sui gradini della scena).

 Nels                              - Mamma. (Essa lo guarda, perché nota in lui un accento di supplica. Il babbo smette di fumare per un momento) Il mese prossimo finisco il ginnasio. Potrò... potrò... andare al liceo? Che ne dici, mamma?

La Mamma                    - (soddisfatta) Desideri andare al liceo?

Nels                               - A me piacerebbe, se tu pensi che sia una cosa possibile.

La Mamma                    - È una bella cosa. (Il babbo approva col capo).

Nels                               - (un po' imbarazzato)  E... costerà un po' caro. Ho tutto scritto qui. (Tira fuori dalla tasca un pezzo di carta, legge) « Per i tram... per i vestiti... i quaderni ». Tutte cose che occorrono. Ho fatto il preventivo con Cy Nichols che è entrato in liceo l'anno scorso. (La mamma e il babbo si accostano uno all'altra, per dare un'occhiata al foglio di carta che Nels ha dato loro).

La Mamma                    - Cristina, portami qui la Piccola Banca. (Cristina prende dal mobile di fondo una piccola scatola).

Katrin                            - (dai gradini, di nuovo a se stessa, nel tempo presente, guardando nel vuoto, davanti a sé) La Piccola Banca! Era la cosa più importante di tutta la casa. Era una scatola che tenevamo per gli impre­visti... come quando Dagmar ebbe la difterite e il babbo dovette comperare una medicina da mesco­lare al vapore della pentola. Mi sembra ancora di sentire l'odore di quella medicina. Quante cose facemmo con la Piccola Banca! La mamma si sarebbe dovuta comperare un mantello caldo e morbido, appena vi fosse stata la somma sufficiente... ma il denaro non bastava mai. (Nel contempo la mamma ha contato i denari nella scatola).

Nels                               - (ansioso) Bastano, mamma?

La Mamma                    - (scuotendo il capo) In questo mo­mento non vi è molto nella Piccola Banca. Sono andati per il dentista, ricordi?

Nels                               - Sì, e resta ancora da comperare il tuo mantello di lana.

La Mamma                    - Il mantello, oh! Quello posso com­perarlo un'altra volta. Ma anche così...

Cristina                         - Vuol dire che Nels non potrà fare il liceo?

La Mamma                    - Qui non c'è abbastanza denaro. Non vorremo mica andare alla banca, vi pare?

Nels                               - No, mamma, no. Dopo la scuola io potrei lavorare nella drogheria di Dillon. (La mamma scrive sul foglio di carta, e comincia a contare sulle dita, il babbo la verifica facendo la somma a memoria).

Il Babbo                        - Non bastano.

La Mamma                    - Non bastano.

Il Babbo                        - (togliendosi la pipa dì bocca e contem­plandola a lungo) lo smetterò di fumare. (La mamma lo guarda, è sul punto di dire qualcosa, ma si limita a posargli una mano sulla manica, poi scrive un'altra cifra e conta di nuovo sulle dita).

Cristina                         - lo, tutti i venerdì sera potrò andare a badare ai bambini Maxwell. Katrin potrà aiutarmi. (La mamma scrive un'altra cifra. Il babbo la verifica e annuisce col capo, soddisfatto).

La Mamma                    - Che bellezza, bastano.

Nels                               - Evviva.

 La Mamma                   - Non dovremo ricorrere alla banca. (Dagmar rientra col gatto).

Dagmar                         - (che ha ascoltato l'ultima battuta) Dov'è la banca?

Cristina                         - In città.

Dagmar                         - Com'è fatta una banca?

Cristina                         - È una casa.

Dagmar                         - Come una prigione?

Cristina                         - Ma nemmeno per sogno.

Dagmar                         - Ma allora perché la mamma dice sempre « speriamo di non dover andare alla banca? ».

Cristina                         - Perché... ecco, perché nessuno desi­dera dover andare alla banca.

Dagmar                         - Perché no?

Cristina                         - Perché se si andasse continuamente alla banca, presto il denaro che c'è là finirebbe. E senza denaro per pagare l'affitto si verrebbe scacciati di casa come è successo alla signora Jansen.

Dagmar                         - Vorresti dire che la banca è come quando uno conserva i dolci per il giorno dopo?

Il Babbo                        - Sì, mia cara Dagmar.

Dagmar                         - Ma se tutti gli altri vanno alla banca non resterà più niente per noi.

Nels                               - (con fare gentile) Non è proprio così. Vedi... non si può ritirare più di un tanto.

Dagmar                         - Quanto?

Nels                               - Quanto uno ha messo alla banca... messo da parte. Capisci, è il nostro denaro che si mette là per tenerlo al sicuro.

Dagmar                         - Quando l'abbiamo messo noi?

Nels                               - Non so quando. Molto tempo fa, credo. Non è così, mamma?

La Mamma                    - Basta, con questa banca.

Dagmar                         - Quanto abbiamo alla banca?

Nels                               - Non so. Quanto abbiamo, mamma?

La Mamma                    - Quanto basta. (Durante queste ultime frasi zia Trina appare dalle quinte, nella strada, verso il proscenio-sinistra. Essa è sui quarant’anni. Timida, piccoletto, spaurita. Da giovane dev'essere stata piut­tosto carina. Indossa un mantello, un cappello e un boa di piume. Risale la strada e bussa alla porta. La mamma, sentendo bussare) È la porta di strada?

Cristina                         - (pronta) Se sono le zie io vado nel mio « buduar ».

Katrin                            - (si alza) E io vado nel mio studio.

La Mamma                    - (fermandole) Non potete scappar via. Dobbiamo essere gentili con le zie. (Il babbo ha aperto la porta) È Trina.

Il Babbo                        - Trina, sola soletta.

La Mamma                    - Bambini, dite buonasera alla zia Trina.

I Bambini                      - (tutti insieme) Buona sera, zia Trina.

Trina                              - Buona sera, bambini. Come stanno bene!

La Mamma                    - Hai un boa di piume. È nuovo?

Trina                              - (con un sorrisetto) È un regalo.

La Mamma                    - (sorridendo) Guarda, Lars, Trina ha avuto un regalo.

Il, Babbo                       - (toccando il boa) Qualità fine. (Pone sulla cassapanca cappello, mantello e boa di Trina).

La Mamma                    - Come mai Jenny e Sigrid non sono venute con te?

Trina                              - Ecco... veramente non ho detto a nes­suno che venivo qui... Desidero parlarti, Marta.

La Mamma                    - (sorridendo) Allora siedi e parliamo.

Trina                              - (agitata, nervosa) Non potremmo restare un momento sole?

La Mamma                    - Sole?

Trina                              - Se non ti dispiace.

La Mamma                    - (andando verso la stufa) Bambini, lasciateci un momentino sole. Poi vi chiamerò.

Katrin                            - (protestando) Oh, ma perché, mamma...

La Mamma                    - Katrin, prendi con te Dagmar.

Katrin                            - (sospingendo Dagmar verso la porta, con risentimento) Andiamo. (I bambini escono).

La Mamma                    - Dunque, che c'è, Trina?

Trina                              - (abbassando gli occhi, impacciata) Marta...

La Mamma                    - (incoraggiandola) Ebbene?

Trina                              - No, non posso dirlo.

La Mamma                    - (ansiosa) Trina, ma di che si tratta?

Trina                              - È... è... una cosa molto personale.

La Mamma                    - Vuoi che se ne vada anche Lars?

Trina                              - Non ti dispiace, Lars? Per un minuto.

Il Babbo                        - (giovialmente) Ma niente affatto. Vado. Conosco i segreti di voi donne.

La Mamma                    - Hai la pipa, Lars? È una così bella serata. (Il babbo tira fuori la pipa, poi la posa) Che succede?

Il Babbo                        - Mi scordavo... ho smesso di fumare.

La Mamma                    - Ma hai ancora un po' di tabacco nella borsa? (Il babbo accenna di sì) Smetterai di fumare quando avrai finito il tabacco che hai.

Il Babbo                        - Ma... non è giusto. (Accarezza la mamma, prende con sé la pipa ed esce).

La Mamma                    - Ed allora, Trina, che cosa ti accade?

Trina                              - Marta... mi voglio sposare.

La Mamma                    - Spiegati. Sei tu che ti vuoi sposare, o c'è qualcuno che vuole sposarti?

Trina                              - C'è qualcuno che vuole sposarmi,

La Mamma                    - Vuole proprio sposarti?

Trina                              - Lui dice che vuole.

La Mamma                    - (felicissima) Trina! È una cosa meravigliosa.

Trina                              - (piangendo) Credo di sì.

La Mamma                    - Chi è?

Trina                              - Il signor Thorkelson.

La Mamma                    - Quello delle pompe funebri? (Trina col capo dice di si. La mamma resta pensierosa).

Trina                              - Lo so che la sua professione non è molto apprezzata dalla maggior parte della gente. Lo so che non è bello, né alto... ma...

La Mamma                    - Lo ami, Trina? (Trina estatica annui­sce col capo) Ed allora va bene. (Le accarezza la mano).

Trina                              - Marta, mi vorrai... mi vorrai aiutare a dare la notizia in casa?

La Mamma                    - Oh, Jenny e Sigrid... Non ne sanno nulla?

Trina                              - No. Temevo che mi ridessero in faccia.

La Mamma                    - Jenny si offenderà che tu abbia dato a me la notizia per prima.

Trina                              - (con disperazione) Questo non potevo evitarlo. Devi dire loro che non mi canzonino. Se mi canzonano io... io... mi ammazzo.

La Mamma                    - (decisa) Jenny e Sigrid non ride­ranno. Te lo prometto, Trina.

Trina                              - Oh, Marta, grazie. E... lo zio Cris?

La Mamma                    - (seriamente) Ah!

Trina                              - Gli parlerai?

La Mamma                    - È il tuo signor Thorkelson che dovrà parlare allo zio Cris. È lo sposo che deve chiedere la mano al capo di casa.

Trina                              - Sì, lo so, ma... vedi, lo zio Cris è un uomo che spaventa, è così grande e grosso e grida così forte... E il signor Thorkelson è... un po' timido.

La Mamma                    - (con molto garbo) Ma, Trina, se deve diventare tuo marito, deve imparare a non essere timido. Tu non puoi prenderti un marito timido. Sei timida tu: non è bene essere timidi in due.

Il Babbo                        - (rientrando in casa) Marta, Trina, mi dispiace interrompere la vostra conversazione, ma Jenny e Sigrid stanno arrivando.

Trina                              - (tutta sossopra) Oh, Dio mio!

Il Babbo                        - Stanno venendo su.

Trina                              - È meglio che io vada un momento in camera vostra. (Si avvia alla comune, torna indietro per prendere dalla cassapanca le sue cose e fugge).

La Mamma                    - Il caffè è pronto. Non ho che da aggiungere qualche tazza. (Durante la scena la zia Jenny e la zia Sigrid sono entrate dalle quinte. Jenny è sulla cinquantina, autoritaria e invadente. Sigrid piagnucolosa e sempre scontenta).

Sigrid                            - (nella strada) Aspetta, Jenny, fammi prender flato. Mi sembra di morire ogni volta che faccio questa salita.

Jenny                             - Hai fatto delle salite ben più ripide in Norvegia.

Sigrid                            - Ero giovane quando ero in Norvegia. (Si avviano alla porta e bussano. Sigrid dietro a Jenny).

La Mamma                    - (aprendo la porta) Jenny, Sigrid... che sorpresa. (A Sigrid) Dov'è Ole?

Sigrid                            - Al lavoro. Sempre al lavoro.

La Mamma                    - (si avvicina alla stufa per prendere il bricco del caffè) Che bella cosa il lavoro.

Jenny                             - (facendo sentire la sua voce) Trina è venuta qui?

La Mamma                    - Trina?

Jenny                             - In qualche luogo è certamente andata. E siccome non conosce nessuno eccetto voi...

La Mamma                    - Questo lo credete voi.

Jenny                             - Che cosa intendi dire?

La Mamma                    - Dai il tuo mantello a Lars. Prima prendiamo una tazza di caffè, poi parleremo di Trina.

Sigrid                            - (mentre il babbo aiuta a togliere i mantelli) È stata qui?

La Mamma                    - Sì, è stata qui.

Jenny                             - Ma che cosa voleva?

La Mamma                    - Voleva parlarmi.

Jenny                             - Di che cosa?

La Mamma                    - Di matrimonio.

Sigrid                            - Che cosa?

La Mamma                    - Matrimonio. (Versando sempre con calma e passando la tazza a Sigrid) Trina desidera sposarsi.

Jenny                             - Bella novità... Si capisce che Trina desidera sposarsi. Tutte desiderano sposarsi.

La Mamma                    - C'è una persona che desidera sposare Trina.

Jenny                             - E chi è questa persona?

La Mamma                    - Il signor Thorkelson.

Sigrid                            - Peter Thorkelson? Il piccolo Peter? (Fa un gesto della mano che significa « piccolo » di statura).

La Mamma                    - Non è tanto piccolo.

Sigrid                            - È appena un po' più alto del mio Arne e Arne non ha ancora dieci anni.

La Mamma                    - Ebbene?... sarà un po' più alto di Arne. Debbono essere tutti alti, i mariti?

Jenny                             - Trina si sta montando la testa.

La Mamma                    - (con fermezza) No, Jenny, è la verità. Il signor Thorkelson vuole sposare Trina.

Jenny                             - (mutando tattica) Il signor Thorkelson! Ma Trina diventerà lo zimbello del vicinato. (Ride).

La Mamma                    - (andandole accanto) Jenny, Trina è di là. Tra un minuto verrà qui. È un momento molto importante per lei. Non devi ridere.

Jenny                             - Io farò ciò che mi parrà.

La Mamma                    - Non lo farai.

Jenny                             - E perché no?

La Mamma                    - Perché io non te lo permetterò.

Jenny                             - Come potrai impedirmelo?

La Mamma                    - Se tu riderai di lei, io le racconterò che tuo marito tentò di scappare alla vigilia delle nozze.

Jenny                             - Chi te lo ha detto?

La Mamma                    - Lo so.

Sigrid                            - Eric... tentò di tagliare la corda?

Jenny                             - Non è vero.

La Mamma                    - Allora posso raccontarlo a Trina.

Jenny                             - Te lo ha detto lo zio Cris.

Sigrid                            - Tentò di tagliare la corda?

La Mamma                    - Lascia andare, Sigrid. Jenny non riderà di Trina e nemmeno tu. Perché se tu lo facessi io le racconterei della tua prima notte di matrimonio, quando piangesti tanto che Ole dovette riaccompa­gnarti dalla mamma.

Il Babbo                        - (divertendosi) Questa poi non la sapevo.

La Mamma                    - (rimproverandolo) Non era neces­sario che tu lo sapessi. Io non racconto queste cose per malignità, ma soltanto perché si sappia che non bisogna ridere di Trina. Per piacere, Lars, falla entrare. Non vuoi un'altra tazza di caffè, Jenny? E tu, Sigrid? (Il babbo va alla comune e chiama Trina. La mamma versa il caffè a Jenny. Il signor Myde riappare da sinistra, verso il proscenio, ed entra in casa aprendosi la porta).

Hyde                             - (vedendo la riunione) Oh, scusate.

La Mamma                    - Signor Hyde, queste sono le mie sorelle.

Hyde                             - Molto piacere, molto piacere signore, madame... madame... le tre Grazie. (Fa un inchino) Mi scusate?

La Mamma                    - Ma ve ne prego, signor Hyde.

Hyde                             - Vado nella mia camera. (Esce).

Jenny                             - E così questo è il vostro famoso pen­sionante. Vi ha pagato l'affitto?

La Mamma                    - È seccante doverglielo chiedere. Ma certamente pagherà al più presto.

Jenny                             - (insistendo) Certamente non pagherà. Se io mandassi avanti la mia pensione con i tuoi sistemi...

Il Babbo                        - ... i tuoi pensionanti non se ne andreb­bero...

 Jenny                            - Se Marta spera di comperarsi il mantello da inverno, del quale ci parla sempre...

La Mamma                    - Jenny, il signor Hyde è un galan­tuomo. Egli ci legge ad alta voce dei libri mera­vigliosi: Longfellow... Dickens... Kipling... (Trina entra silenziosamente dalla comune. La mamma vedendola esitante sulla soglia) Vieni, Trina, il caffè si raffredda. (Gliene versa una tazza. Silenzio) Ho dato loro la notizia.

Jenny                             - Perché sei subito corsa da Marta?

Il Babbo                        - Perché sapeva che Marta l'avrebbe capita.

Jenny                             - Ma non siamo anche noi delle donne maritate, Sigrid ed io?

Il Babbo                        - Voi siete maritate da tanto tempo e forse Trina temeva che aveste già dimenticato.

Jenny                             - Quanto guadagna il signor Thorkelson?

Trina                              - Veramente... non gliel'ho domandato.

Sigkid                           - Può mantenerti?

Trina                              - Se non potesse non credo che mi avrebbe chiesto di sposarlo.

Jenny                             - Potrebbe sperare che tu mantenga lui.

La Mamma                    - (ammonendo) Jenny...

Sigrid                            - Può darsi che speri nella dote.

Trina                              - E perché non dovrei averla? Voi l'avete avuta...

Jenny                             - Noi ci siamo sposate in Norvegia. E i nostri genitori erano vivi. Chi è che ti dovrebbe dare la dote, per piacere?

Trina                              - Lo zio Cris. Egli è il capo della famiglia.

Jenny                             - E chi gliene parlerà?

Trina                              - Non ce ne sarà bisogno... Quando il signor Thorkelson andrà a trovarlo...

Jenny                             - ... lo zio Cris se lo mangerà...

Sigrid                            - (sorridendo maliziosamente) Il piccolo Peter e lo zio Cris.

La Mamma                    - (intenzionalmente) Forse lo zio Cris gli racconterà degli aneddoti familiari... Ne sa tanti... (Le zie posano le tazzine  si arrendono).

Jenny                             - (cambiando discorso) Dove sono i bam­bini? Li vedremo prima di andar via?

Il Babbo                        - Ma certo. Ora li chiamo. (Alla co­mune, sporgendosi in fuori, urla) Bambini, le zie se ne vanno.

Le voci dei Bambini     - (vivaci) Eccoci, babbo.

Jenny                             - Vieni con noi, Trina?

La Mamma                    - Forse Trina preferirà rimanere ancora un po' per ascoltare la lettura del signor Hyde. Non è così, Trina?

Trina                              - Se non do noia. Ho detto al signor Thorkelson di venir a prendermi qui per poi accom­pagnarmi a casa. Posso aiutarti a lavare le tazze. (Prende vassoio e tazze e va in dispensa. Katrin entra dalla comune. Ha seco il suo diario. Dagmar è con lei e dietro segue Cristina).

Katrin e Dagmar           - (con garbo) Buona sera, zia Sigrid. Buona sera, zia Jenny. (Cristina, senza dir parola, abbozza una riverenza).

Jenny                             - Ma dove siete state nascoste tutto questo tempo?

Dagmar                         - (avviandosi in dispensa) Siamo state in camera di Cristina.

Nels                               - (entra dalla comune) Buona sera, zia Jenny. Buona sera, zia Sigrid.

Sigrid                            - (porgendogli la mano) Buona sera, Nels. Dio mio, come sei cresciuto.

La Mamma                    - (con soddisfazione) Sì, è quasi alto come il babbo.

Sigrid                            - Mi sembra che sia cresciuto troppo e che abbia un aspetto un po' gracile. Anche Dagmar mi è sembrata palliduccia. (Dagmar rientra col gatto. Sigrid inorridita) Dio mio, che orrendo gatto!

Dagmar                         - Non è orrendo. È bellissimo.

Il Babbo                        - È la sua nuova amica.

Cristina                         - Proprio così. Fra poco sentiremo che vuol dormire col gatto.

Dagmar                         - (pigliando la palla al balzo) Oh, mamma, posso?

La Mamma                    - Niente affatto. Se si mette un gatto accanto ad un bambino che dorme, il gatto respira tutta l'aria del bambino.

Dagmar                         - Non m'importa. Elisabetta, se vuole, può respirare tutta la mia aria. (Soffia sul muso del gatto) Ecco.

Jenny                             - (mettendosi i guanti) Elisabetta! Che stupido nome da dare ad un gatto.

Nels                               - Specialmente a « quel » gatto. È un maschio.

La Mamma                    - Come fai a saperlo?

Nels                               - L'ho guardato.

Dagmar                         - E come lo si vede!

La Mamma                    - (con fretta) Non dirlo, Nels.

Nels                               - Perciò è meglio che tu pensi ad un altro nome per lui.

Dagmar                         - Non voglio. Il suo nome è Elisabetta.

Il Babbo                        - Potremmo chiamarlo zio Elisabetta.

Dagmar                         - (ridendo, beata) Zio Elisabetta. Hai sentito! Adesso ti chiameranno zio Elisabetta.

Jenny                             - Quante sciocchezze. Bene. Addio a tutti, Marta, Lars. (Scambio di saluti).

La Mamma                    - Arrivederci, Jenny. Addio, Sigrid. Nels, corri a dire al signor Hyde che siamo pronti per la lettura. (Nels esce dalla comune. Le zie escono dalla porta di cucina).

Sigrid                            - (mentre si avviano) Questa poi... Non avrei mai creduto di dover assistere al matrimonio di Trina.

Jenny                             - Ancora non è sposata. Prima se la dovrà vedere con lo zio Cris. (Spariscono tra le quinte).

La Mamma                    - (rientrando, chiama verso la dispensa) Trina, se ne sono andate. Dagmar, metti fuori Elisabetta per la notte.

Dagmar                         - Zio Elisabetta. (Esce dalla dispensa col gatto, mentre il signor Hyde entra dalla comune con Nels).

La Mamma                    - Signor Hyde, questa è mia sorella Trina.

Hyde                             - Onorato.

La Mamma                    - (sedendo a destra del tavolo) Il signor Hyde ci sta leggendo « Le due città ». È una storia bellissima, ma triste.

Trina                              - (allegramente) Adoro le storie tristi. (Pre­para già il fazzoletto. L'intera famiglia è riunita intorno al tavolo).

Hyde                             - Stasera vorrei finirvi il libro.

 La Mamma                   - Molto bene.

Hyde                             - Siete pronti!

I Bambini                      - Oh sì, signor Hyde.

Hyde                             - Continuerò da dove abbiamo lasciato. (Comincia a leggere) « Nella nera prigione della Conciergerie i condannati attendevano la loro sorte. Erano cinquantadue, come le settimane dell'anno. Cinquantadue persone che in quel pomeriggio sareb­bero state portate dalla marea della vita della città verso lo sconfinato, eterno mare... ». (Le luci si smor­zano lentamente, lasciando in luce soltanto il signor Hyde e Katrin).

Katrin                            - Credo che non scorderò mai quella sera. Quando il signor Hyde finì il libro era quasi mezzanotte e nessuno di noi se ne era accorto.

Hyde                             - (leggendo l'ultima pagina) « Sto compiendo la cosa più bella ch'io abbia mai fatto in tutta la vita. Mi avvio verso un riposo che non avevo finora conosciuto. Fine ». (La piattaforma di destra gira in avanti e Katrin si alza, scende i gradini e toma alla scrivania sulla piattaforma).

Katrin                            - Quella sera, prima di andarmene a letto, annotai nel mio diario: (Leggendo dal diario) « Stasera il signor Hyde ha finito di leggerci  Le due città ". Gli ultimi capitoli sono veramente stu­pendi. Che bella cosa è il sacrificio. Vorrei poter morire anch'io per qualcuno ». (Sedendo e guardando nel vuoto, avanti a sé) Il signor Hyde ci leggeva un po' di tutto. Ricordo ancora che la sua voce diventava terribile quando leggeva...

Hyde                             - (sempre allo stesso posto, leggendo) « Il dottor Mortimer ci guardò in modo strano eppoi la sua voce divenne un sussurro: Signor Holmes, erano le orme di un cane gigantesco ». (Chiude il libro) Continuerò domani, se vi diverte.

Katrin                            - (guardando di nuovo davanti a sé) Se ci divertivamo! Non avremmo potuto fare a meno di quella lettura. Non sapevamo pensare ad altro. Anche la mamma era contenta perché Nels non aveva più voglia di andare a zonzo coi compagni. La sera che successe quel pandemonio, quando ruppero la vetrina del droghiere, Nels si trovava a casa. A volte il signor Hyde ci leggeva delle poesie. Certe sere la mia fantasia era così sovraeccitata che stentavo ad addormentarmi. (Leggendo il dia­rio) « Che cosa meravigliosa è la letteratura. Essa ci trasporta nel regno dell'ignoto ». (Parlando con sé stessa) La mia maestra mi spronava a scrivere... a descrivere le cose che vedevo. Scrissi infatti qual­cosa sullo zio Cris, ma essa osservò che non era bello esprimersi così riguardo ad un membro della famiglia. Il babbo lo chiamava « il norvegese nero » per via dei suoi capelli nerissimi e dei suoi baffi. Ma qual­cuno nella famiglia soleva dire che anche la sua anima era nera. Le zie lo dicevano. (Si illumina la piattaforma di sinistra. Rappresenta la cucina in casa di Jenny. Si vedono Jenny e Trina. Jenny sta facendo dei dolcetti, Trina la calza).

Jenny                             - Ti dico che ha un'anima nera, lo zio Cris. Non fa che bestemmiare e imprecare.

Trina                              - È perché la gamba gli duole nel cam­minare. Così dice Marta.

Jenny                             - Fandonie! Conosco la storia della sua gamba e dell'incidente che ebbe in Norvegia.

Trina                              - Lo so. Marta cerca sempre di difenderlo. Ma egli è buono coi bambini.

Jenny                             - Aranci! E niente altro. Il suo denaro lo tiene per ben altri scopi.

Trina                              - Per quali scopi?

Jenny                             - Per le bottiglie e per quella donna con la quale convive.

Trina                              - Ma lui dice che è la sua governante.

Jenny                             - Lo "'credo bene! Come potrebbe gridare ai quattro venti che cos'è veramente! Ma ci penserò io a dirlo... Lo dirò proprio in sua presenza. (Sigrid compare dal sipario centrale. Si avvicina alle sorelle).

Sigrid                            - Indovinate un po' l'ultima che mi ha combinata lo zio Cris.

Trina                              - Che cosai

Sigrid                            - Ricordate la caduta che Arne fece due mesi fa? Quando si fece male al ginocchio? Il farma­cista disse che si trattava soltanto di contusione. Ebbene, siccome oggi il bambino sentiva di nuovo un po' di dolore l'ho lasciato a casa e sono andata a fare la spesa, pregando la nostra vicina di tenermelo d'occhio. Bene, indovinate chi è comparso appena io me ne sono andata?... lo zio Cris. E sapete che ha fatto?

Jenny                             - Parla, se hai da parlare, e non chiederci di indovinare.

Sigrid                            - Ebbene, dopo aver dato un'occhiata al ginocchio di Arne, si è caricato il bambino e se lo è portato diritto alla clinica sul suo vecchio trabic­colo. Ebbene, lo credereste?... è stato operato.

Jenny                             - Senza nemmeno chiedere il tuo parere?

Sigrid                            - Pare che il dottore sia un amico dello zio Cris, ed è per questo che ha operato. No, questa volta passa i limiti. Un bambino così piccolo farlo soffrire tanto! E non me lo hanno nemmeno lasciato vedere... Appena vedo lo zio gli dirò quello che penso di lui.

Jenny                             - ; E farai benissimo.

Sigrid                            - (esitando) Vieni anche tu, Jenny?

Jenny                             - Ecco... Non posso, ho il forno acceso.

Sigrid                            - Devi venire, Jenny, dobbiamo soste­nerci a vicenda. Vieni anche tu, Trina, così potrai parlargli della dote. Devi fartela dare.

Trina                              - Veramente Marta ha detto che a questo ci avrebbe pensato il signor Thorkelson.

Jenny                             - E allora corri al cimitero a cercare il signor Thorkelson e conducilo qua. Sigrid ha ragione, dobbiamo sostenerci a vicenda. (La piattaforma gira in fuori. Le luci si spengono).

Katrin                            - (alla scrivania) Nessuno di noi sapeva esattamente dove vivesse lo zio Cris. Questo faceva parte della sua misteriosa maniera di vivere. Egli era sempre in movimento, sempre in giro, acquistando vecchie fattorie o vecchie casupole in malora, che poi rimetteva in ordine per rivenderle e rimettersi poi di nuovo in moto. Due o tre volte l'anno egli veniva in città con la sua automobile e capitava a casa nostra, annunciandosi col rombo del motore e col suo passo pesante. (Le luci su Katrin si smorzano a poco a poco. Si ode il rumore di una vecchia Ford che cambia marcia in salita, fuori scena a sinistra. Rumore stridente di grande frenata e la voce dello zio Cris).

Voce dello zio Cris       - Marta! Bambini! Dove siete? (Dinuovo il sipario ci mostra la cucina della famiglia. Sulla strada è la Ford dello «io, una Ford antico modello. Una donna siede davanti, accanto al posto del conducente. Lo zio bussa alla porta. È avan­zato in età; ha la carnagione scura e zoppica legger­mente. I suoi modi sono quelli di un uomo autoritario. Nella cucina Wels e Cristina sono stretti uno contro l’altra. Lo zio) Marta! Lars!

Cristina                         - (spaventata) È lo zio Cris.

Nels                               - (c. s.) Lo so.

Lo Zio                           - Ma non c'è nessuno in casa? (Battendo la porta col pugno) Ehi! Non c'è nessuno? Rispondete! (Prova la maniglia, la quale si apre. Entra, zoppi­cando, a lunghi passi) E diavolo! Perché non mi rispondete? Non avete sentito chiamare? (Silenzio dei bambini) Non mi avete sentito gridare?

Cristina                         - Sì... sì, zio.

Lo Zio                           - «Sì» che cosa? Sì che non avete sen­tito, oppure sì che non ho urlato abbastanza forte?

Nels                               - Avevamo sentito, zio.

Lo Zio                           - Allora perché non avete aperto?

Nels                               - E... st... stavamo per... aprire, zio.

Lo Zio                           - Lasciate che vi guardi. Anche tu, Katrin. Non restate lì impalati. Avvicinatevi, lasciate che vi guardi. (I bambini si mettono in fila come per farsi ispezionare. Lo zio prende Nels per le spalle, facendo come un tentativo di mandargliele indietro) Stai diritto. (I tre bambini cercano di stare più diritti) Hum, hum. Contro la parete, dove sono i segni. (Nels ubbidisce. Lo zio misura l'altezza di Nels facendo un altro segno sul muro, sopra i segni già esistenti e scrive) Tre cen­timetri. Tre centimetri          - (legge sul muro la data) in... sei mesi. Molto bene. Ora tu, Cristina. (Cristina rimpiazza Nels) I denti? (Cristina mostra i denti) Li pulisci bene? (Cristina accenna di sì col capo) Nels, in macchina c'è una cassetta di arance, corri a prenderla. (Nels esce, lo zio misura Cristina) Dov'è la piccola Dagmar?

Katrin                            - È malata, zio Cris,

Lo Zio                           - (allarmato) Malata? Che cos'ha?

Katrin                            - Male a un orecchio. Da due giorni. E la mamma ha chiamato il dottore.

Lo Zio                           - Un buon dottore? E che cosa ha detto?

Katrin                            - (additando la comune) È ancora di là. (Cristina è rimasta immobile contro la parete, senza osar fiatare).

Lo Zio                           - Vado a sentire. (Lo zio si avvia verso la comune, ma in quello stesso momento la mamma e il dottore entrano. Nel frattempo si vede Nels uscire, accostarsi alla macchina, sorridere impacciato alla donna, prendere la cassetta di arance e rientrare in­scena).

La Mamma                    - (dandogli il benvenuto) Zio Cris!

Lo Zio                           - Come sta Dagmar?

La Mamma                    - Male. Dottore, questo è mio zio,Cristoforo Halvorsen.

Il Dottore                      - Piacere.

Lo Zio                           - Come sta la bambina?

Il Dottore                      - Bisogna portarla subito all'ospedale. Bisogna operarla.

La Mamma                    - Operarla?

Il Dottore                      - Purtroppo sì.

La Mamma                    - Non si può aspettare che mio marito rientri dal lavoro!

Il Dottore                      - L'aspettare potrebbe esserle fatale.

La Mamma                    - (dopo due secondi di silenzio) Allora andiamo. (Va a prendere la Piccola Banca).

Lo Zio                           - (che ha seguita ed approvata la decisione di Marta, rivolto al dottore) Di che si tratta?

Il Dottore                      - Mastoidite.

Lo Zio                           - Allora bisogna operare immediatamente.

Il Dottore                      - (risentito) L'ho detto un momento fa.

La Mamma                    - (che ha rovesciato sul tavolo il contenuto della Piccola Banca, al dottore) Crede che baste­ranno, dottore?

Il Dottore                      - Io direi di portarla all'ospedale civile.

La Mamma                    - No, vorrei una clinica a pagamento.

Katrin                            - Perché se questi non bastano possiamo prenderne alla banca.

Cristina                         - Perché noi abbiamo un conto in banca.

La Mamma                    - Basteranno, dottore, senza ricorrere alla banca? Mio marito è un bravo falegname.

Lo Zio                           - Se occorrerà denaro, ce lo metterò io.

Il Dottore                      - (specialmente perché lo zio non gli va a genio) Basterà. Allora andiamo in clinica.

Lo Zio                           - Benissimo. Io ho già un malato lì. Il mio nipotino Arne. Lo hanno operato al ginocchio stamattina.

Il Dottore                      - Siete medico?

Lo Zio                           - Più di certi dottori. Ecco, Nels è un altro mio nipote. Da grande farà il dottore.

Il Dottore                      - (freddo) Oh, bravo... molto inte­ressante... Bene, allora vogliamo portare la bambina in clinica? Va bene tra un'oretta?

Lo Zio                           - La bambina sarà in clinica tra dieci minuti. Ho la macchina.

Il Dottore                      - Non sarà possibile organizzare tutto in dieci minuti.

Lo Zio                           - Organizzo io. Io conosco tutti i dottori.

La Mamma                    - Zio, lasciate fare al dottor Johnson. È un bravissimo medico.

Il Dottore                      - (con ironia) Grazie signora.

La Mamma                    - Avviatevi, dottore.

Il Dottore                      - Allora tra un'ora. Intesi? E state tranquilli che Dagmar avrà tutte le cure, ve lo pro­metto. E l'operazione gliela farò io stesso.

Lo Zio                           - Io voglio assistere.

Il Dottore                      - Non è possibile.

Lo Zio                           - lo assisto a tutte le operazioni. Sono il capo di casa, io.

Il Dottore                      - Mi spiace, ma quando opero io non permetto a nessuno di assistere.

Lo Zio                           - Perché? Non operate bene?

Il Dottore                      - Signora, io mi prendo la respon­sabilità di questa operazione e di questa bambina, ma lo faccio soltanto a patto che questo signore non avvicini né me né la mia paziente.

La Mamma                    - Sì, dottore, state tranquillo.

Il Dottore                      - Va bene. Ma ci siamo capiti? Lontano da me, oppure me ne lavo le mani. (Esce).

Lo Zio                           - lo vado a vedere Dagmar.

La Mamma                    - Non ora, zio. Siete molto gentile, ma Dagmar è malata, e siccome ha tanta paura dì voi...

Lo Zio                           - Paura di me?

La Mamma                    - Sì, Zio Cris, tutti hanno paura di voi.

Lo Zio                           - (sorpreso) Di me?

La Mamma                    - Tutti, eccetto io. Anche Jenny, Sigrid, Trina... hanno paura di voi.

Lo Zio                           - Loro? Donne! Pff!

La Mamma                    - Ed anche i bambini. Perciò ci penseremo Nels ed io a portare giù Dagmar ed a metterla in macchina. E voi ci potrete portare alla clinica promettendo di non spaventare Dagmar. E lasciate in pace il dottor Johnson. È un bravissimo medico. Vieni con me, Nels, andiamo a prendere Dagmar. (La mamma e Nels escono dalla comune. Lo zio resta perplesso e pensieroso. Le due bambine lo guardano, quasi non osano respirare).

Lo Zio                           - È vero? È vero che vi faccio tanta paura? Cristina... Katrin... Avete paura di me! Avanti, rispondete. Dite la verità, avete paura di me?

Katrin                            - (tremando) Un po', zio Cris.

Lo Zio                           - Non è possibile. E tu, Cristina?

Cristina                         - Sss... sì, zio Cris... Un po'.

Lo Zio                           - Ma Nels è un maschio. Lui non avrà paura di me?

Cristina                         - Non tanta come noi...

Lo Zio                           - Ma ha paura anche lui?

Cristina                         - Sì, Zio Cris.

Lo Zio                           - Ma perché? Che cos'è che vi fa paura?

Cristina                         - Non lo so.

Lo Zio                           - Brutta cosa, gran brutta cosa. Alle vostre zie sì, sono contento di far paura. (Le bam­bine ridono) Ridete, eh? Non vi piacciono le zie?

Katrin                            - Non molto, zio Cris.

Lo Zio                           - E qual è la zia che vi piace di meno?

Katrin                            - Jenny è quella che mi piace meno. È così autoritaria...

Cristina                         - Io invece non posso soffrire la zia Sigrid. Sempre si lamenta, sempre piagnucola...

Lo Zio                           - (in uno scroscio di risa) Magnifico! Jenny autoritaria, Sigrid piagnucolosa! È proprio vero. La mamma, lei, è un altro paio di maniche. E fa così bene da mangiare! Le zie non sanno fare da mangiare affatto. Però non dite alla mamma che abbiamo parlato male delle zie. È un segreto tra me e voi. Ed ora che abbiamo un segreto in co­mune, non dovete aver paura di me. E vi dirò un altro segreto. Anche a me non piacciono le zie, e per non averle tra i piedi le spavento ed alzo la voce. Con voi non alzo la voce... se vi lavate bene i denti e mangiate le arance. (Tira fuori la tabacchiera e prende una presa. Alla battuta « con voi non alzo la voce », il plotone delle tre zie è in vista: esse sono in abito da passeggio, assieme al signor Thorkélson, un ometto dall'aria spaventata. Giungono da sinistra e si avviano alla porta di casa).

Sigrid                            - (arrestandosi sulla strada) Jenny, che cosa vedo. Una donna nella sua macchina!

Jenny                             - Che vergogna!

Sigrid                            - Dobbiamo salutarla?

Jenny                             - Salutarla? Una donna di quella specie?  Dobbiamo fare finta di non vederla, ecco quello che dobbiamo fare. Guarda! (Allunga il passo verso la porta di casa, facendo finta di non vedere la donna seduta in macchina, ed entra in casa. Le altre fanno altrettanto. Jenny, entrando) Zio, Sigrid ha da par­larvi.

Sigrid                            - (con forzato coraggio) Zio Cris, voi avete portato Arne in clinica.

Lo Zio                           - Ho portato Arne in clinica e adesso ci porto Dagmar. Perciò vi prego di non fare confusione.

Jenny                             -  Che cos'ha Dagmar?

Cristina                         - È l'orecchio... Il dottor Johnson deve operarla.

Sigrid                            - (prendendo la palla al balzo) Operare? Un'altra prodezza dello zio Cris.

Lo Zio                           - Sigrid, tu sei una vecchia sciocca pia-gnona, perciò... via da questa stanza.

Sigrid                            - (già spaventata) È meglio che ce ne andiamo, Jenny.

Jenny                             - (con aria di imporsi) No. Ci sono già state troppe di queste sopraffazioni.

Lo Zio                           - E tu Jenny sei una vecchia sciocca prepotente. Perciò anche tu... via da questa stanza. Dagmar deve entrare in clinica. (Entra Nels con Dagmar in braccio avvolta in una coperta) La tieni bene, Nels! Attento che non ti cada.

Nels                               -  Sì, zio.

Lo Zio                           - Andiamo.

Jenny                             - (mettendosi tra loro e la porta di uscita) No, dovete ascoltarmi fino in fondo. (Più mite) Cioè, dovete ascoltare Sigrid.

Lo Zio                           - Se non ti togli di mezzo prima che abbia contato fino a tre, ti butto fuori. E butto fuori anche Sigrid, grossa com'è. Uno... (Sigrid si avvia) due... (Jenny pure si avvia. Lo zio guarda i bambini, strizzando loro un occhio e sorridendo) Bene. Allora, Nels, mettila distesa sul sedile posteriore. (Nels esce portando Dagmar e la posa nella macchina con deli­catezza. Lo zio lo segue e si mette a girare la manovella per avviare il motore).

Trina                              - (correndogli appresso e tirandosi dietro il signor Thorkelson) Zio Cris, volevo presentarvi il signor Thorkelson... (Ma lo zio facendo finta di nulla, continua a girare la manovella. Il motore non si vuole avviare. Trina, scoraggiata,.rientra nella stanza seguita dal signor Thorkelson. La mamma rientra dalla comune, indossa cappello e mantello e ha in mano una valigetta per la notte).

La Mamma                    - Jenny... Trina... noi andiamo in clinica. (A Katrin e Cristina) Starete buone mentre la mamma sarà via?

Le Bambine                  - Sì, mamma.

Lo Zio                           - (chiamando) Marta! Andiamo.

La Mamma                    - (rispondendo) Vengo! (Alle bambine) Dì là c'è del latte, della frutta e dei dolcetti... per la vostra colazione.

Cristina                         - Non preoccuparti, mamma.

La Mamma                    - Allora... vado. (Si avvia alla porta).

Sigrid                            - (trattenendola) Marta!

La Mamma                    - Che c'è?

Sigrid                            - Non puoi andare nella sua automobile.

La Mamma                    - Perché no?

Lo Zio                           - Marta... andiamo.

La Mamma                    - Vengo, eccomi.

Sigrid                            - Perché c'è lei nell'auto. Quella donna.

La Mamma                    - Non moriremo se ci sediamo in macchina con lei. L'ho veduta; ha l'aria di una buona donna. (Verso la porta) Eccomi.

Lo Zio                           - An-dia-mo. (La mamma sale in macchina, dietro con Dagmar; la macchina fa marcia indietro con gran rombo di motore e scompare; intanto il dialogo prosegue).

Thorkelson                    - (sottovoce a Trina) È sua moglie quella donna?

Trina                              - (nervosa) Sì...

Thorkelson                    - Sì!

Trina                              - No.

Jenny                             - (alle bambine) Che fate lì, con la bocca aperta? (Avviandole a spintoni verso la dispensa) Via, via, andate di là. (Le bambine escono. Jenny si volta e vede che la macchina se ne va) Oh! se ne sono andati. Corriamogli dietro. Sigrid, vai avanti tu. (Dà uno spintone a Sigrid ed i quattro personaggi escono, Jenny trascinandosi appresso il signor Thor­kelson e Trina per ultima. Oscurità. Sipario. Luce sul tavolo girevole di destra, che rappresenta la di­spensa. Pattini a rotelle sono appesi al muro. Katrin e Cristina sono sedute sui gradini di una scaletta da cucina. Hanno davanti due bicchieri di latte e dei dolcetti in un piatto).

Katrin                            - Quanto sarà che sono partiti?

Cristina                         - Tre ore, più o meno. Vorrei che non me lo domandassi ogni momento.

Katrin                            - Quanto tempo ci vuole per fare un'ope­razione? Ho sentito dire dalla zia Sigrid che la signora Bergman l'hanno tenuta cinque ore in camera ope­ratoria.

Cristina                         - Agli amici della zia Sigrid succedono sempre delle cose terribili ed ogni volta che la zia le racconta diventano sempre più terribili. (Katrin sorride, beve un  po' di latte e mangia un dolcetto).

Katrin                            - (con gioia un po' melanconica) La casa è triste senza la mamma, vero! È come in un libro: « e nella casa vuota le due sorelline, rannicchiate l'una contro l'altra, attendevano il verdetto che avrebbe apportato la vita o la morte nella piccola famiglia ».

Cristina                         - Oh, non dire stupidaggini.

Katrin                            - Non sono stupidaggini.

Cristina                         - Prima di tutto la nostra non è una piccola famiglia: è una grande famiglia. E dopo tutto chi ha mai parlato di vita o di morte? Sei sempre pronta a drammatizzare le cose.

Katrin                            - Ma è drammatico.

Cristina                         - Non è drammatico. È... è... ecco: è preoccupante. Ma tu devi farne una tragedia. (Pausa).

Katrin                            - Non hai mangiato nulla.

Cristina                         - Lo so.

Katrin                            - E non hai nemmeno bevuto il latte. Non hai appetito?

Cristina                         - No. E non dovresti averne nemmeno tu, se avessi un po' di cuore. Invece pensi soltanto a mangiare e a scrivere.

Katrin                            - Oh, Cristina! Non sonò senza cuore. sento una grande pena, ma non è colpa mia se sono spinta a scrivere tutto quello che provo. Mi succede sempre così. Ma non significa che io non senta nulla. Eppoi a me pare che dobbiamo mangiare. Credo che la mamma lo desideri. (Pausa. Cristina esita un mo­mento, poi prende un dolcetto. Ambedue mangiano in silenzio. Le luci si spengono e la piattaforma scom­pare. 8i alza il sipario e siamo nel corridoio della clinica. Uno sfondo liscio rappresenta la parete che va diagonalmente verso il fondo-sinistra. Davanti, a sini­stra, una panca sulla quale sono seduti la mamma e Nels che si tengono per mano. Davanti alla panca è la porta dell'ascensore; dietro la panca uno sgabuzzino per le scope, secchi, ecc. A destra, verso il centro, in avanti, una scrivania dove siede l'infermiera di turno per ricevere le persone che entrano. La parete termina, nell'oscurità; oscurità anche dietro alla scrivania. Quando si alza il sipario c'è un grande baccano presso la scrivania, dove le zie stanno investendo lo zio Oris. Il signor Thorkelson è in piedi dietro alle zie, molto verso il proscenio).

Sigrid                            - Ma zio Cris, io vi dico che voglio vedere mio figlio.

Lo Zio                           - (con voce di uragano) Non Capisci in che lingua parlo? Nessuna visita per ventiquattro ore.

Sigrid                            - Ma voi l'avete visto.

Lo Zio                           - Io non sono una visita. Io sono un'ec­cezione.

Sigrid                            - Allora anche sua madre dovrebbe essere un'eccezione. Voglio parlare col dottore.

Lo Zio                           - Ho già parlato io col dottore. Gli ho detto che è bene che Arne non ti veda.

Sigrid                            - Che non veda la propria madre...

Lo Zio                           - Proprio così. Non fai che piangere. Arrivederci. (Sì avvia, ma Jenny spinge verso lui Trina).

Trina                              - (con disperato coraggio) Zio Cris...

Lo Zio                           - Ho da fare.

Trina                              - Ma zio... mi vorrei sposare.

Lo Zio                           - Ebbene, sposati. (Si avvia di nuovo).

Trina                              - Aspettate, zio... vorrei sposare il signor Thorkelson. Eccolo. (E lo fa avanzare verso lo zio).

Lo Zio                           - (fissandolo) Ebbene?

Thoekelson                    - Come state?

Lo Zio                           - Sono occupato. (Di nuovo vuole avviarsi).

Trina                              - Per piacere, zio Cris!

Lo Zio                           - Ma si può sapere che cosa vuoi? Vuoi sposarlo? E sposalo! Ho altre cose a cui pensare, io.

Trina                              - Allora... allora... ci date il vostro consenso?

Lo Zio                           - Sì, vi dò il mio consenso. Che posso farci se tu sei così scema?

Trina                              - (con gratitudine) Oh, grazie, zio Cris.

Lo Zio                           - Tutto qui? Hum?

Trina                              - (contenta di farla finita) Sì, zio Cris.

Jenny                             - (con fermezza) No.

Lo Zio                           - Come, no?

Thoekelson                    - Ebbene... ecco... vi sarebbe an­cora una piccola cosa... vedete... Trina mi ha accen­nato che in Norvegia è stata sempre consuetudine...

Lo Zio                           - Di che si tratta? Che cosa volete?

Thoekelson                    - Ecco, si tratta... si tratta... Eb­bene, si tratta della dote di Trina.

Lo Zio                           - (urlando) Della... « che cosa? ».

Thoekelson                    - (con voce pia flebile) Della dote...

Lo Zio                           - Ah! Della dote. Trina ha bisogno di dote. Ha quarantadue anni...

Trina                              - (interrompendolo) No, zio Cris.

Lo Zio                           - (continuando) E non le basta sposarsi?

L'Infermiera                  - (che ha tentato invano di farli che­tare, batte il pugno sul tavolo) Per piacere! Volete avere la cortesia di andare altrove a discutere i vostri affari di famiglia? Questa non è un'agenzia di matrimoni.

Lo Zio                           - (dopo aver guardato con occhi stupefatti l'infermiera, di nuovo al signor Thorkelson) Venite con me nella sala d'aspetto, potremo parlare della dote. (A lunghi passi si avvia verso l'oscurità, dietro la scrivania. Il signor Thorkelson dà uno sguardo accorato a Trina e lo segue. Le zie si ricordano della mamma che è seduta sulla panca e le si avvicinano).

Jenny                             - Hai sentito, Marta?

La Mamma                    - (che era pensierosa)  Che cosa?

Jenny                             - Lo zio Cris.

La Mamma.                   - No, non ho sentito. Aspetto il dot­tore. sono già due ore che hanno portato Dagmar in camera operatoria. Anzi, di più.

Sigrid                            - Due ore? Ma questo è nulla. La signora Bergman, quando le hanno tolto la cistifellea, è stata sei ore sotto i ferri.

La Mamma                    - Sigrid, non m'importa della signora Bergman... Non mi importa di nessuno. Aspetto il dottore. Per piacere, andatevene. Tornate più tardi.

Trina                              - Marta, non puoi restare qui, sola.

La Mamma                    - Ho Nels. Per piacere, Trina... voglio aspettare il dottore. Adesso andate.

Jenny                             - Andiamo.

Trina                              - Io devo aspettare Peter e lo zio Cris.

Jenny                             - Noi andiamo qui accanto a prenderci un caffè. Hai denari, Sigrid?

Sigrid                            - Qualcosa...

Jenny                             - Faccio io. Saremo qui accanto ad aspet­tarti, Marta. (La mamma accenna di si col capo, senza guardarle; i suoi occhi fissano la porta dell'ascen­sore. Le zie escono, scendendo i gradini della scena come se fossero i gradini della clinica. Escono a sinistra. Per un momento la scena è silenziosa. Poi entra da destra una donna di fatica con in mano scopa e secchio, che ripone nello sgabuzzino. Esce. La porta dell'ascen­sore si apre e ne esce il dottore in camice bianco seguito da un assistente od infermiera che porta un vassoio da medicazioni. Spariscono dietro alla scrivania, in fondo a destra. La mamma, agitata, si alza e li segue con lo sguardo. Poi, da destra, il dottore ricompare, cappello e borsa in mano. Vede la mamma e le va incontro).

Il Dottore                      - Oh, signora Hanson...

La Mamma                    - Dottore...

Il Dottore                      - Dunque, Dagmar sta benino. È stata bravissima. Adesso è nel suo lettino a smaltire l'etere.

La Mamma                    - Grazie, dottore. (Stretta di mani).

Il Dottore                      - Sono lieto di vedervi.

La Mamma                    - Siete buono, dottore! (Gli stringe la mano) Dove l'hanno portata? Vorrei vederla.

Il Dottore                      - Sono molto dolente, ma non è permesso. È contro il regolamento. La vedrete domani.

La Mamma                    - Domani? Ma è tanto piccola, dottore. Quando si sveglierà avrà paura.

Il Dottore                      - Le infermiere avranno cura di lei. La massima cura. Non avete nulla da temere Perché, vedete, per le prime ventiquattr'ore i pazienti della clinica non possono ricevere visite. Le corsie debbono essere silenziose.

La Mamma                    - Ma non farò il minimo rumore.

Il Dottore                      - Mi spiace molto, ma... domani. Ed ora (guardando l'orologio) buona sera. (si mette il cappello in testa ed esce da sinistra, scendendo i gradini. La mamma resta un istante immobile, seguen­dolo con lo sguardo).

La Mamma                    - Vieni, Nels, andiamo a vedere dov'è Dagmar.

Nels                               - Ma mamma, il dottore ha detto...

La Mamma                    - Andiamo a vedere dov'è Dagmar. (si guarda attorno e si accosta alla scrivania) Potete dirmi, per cortesia, dove si trova mia figlia?

L'Infermiera                  - Il nome?

La Mamma                    - Dagmar Hanson.

L'Infermiera                  - (guardando il registro) Hanson. Corsìa « A », da quella parte. (Fa segno in fondo alla scena. La mamma si avvia) Quando è entrata?

La Mamma                    - Questa mattina. L'hanno operata mezz'ora fa.

L'Infermiera                  - Oh! Sono dolente, ma per oggi non è possibile. Niente visite per le prime venti­quattr'ore.

La Mamma                    - Non sono una visita io, sono la mamma.

L'Infermiera                  - Mi dispiace, ma non è permesso.

La Mamma                    - Soltanto per un minuto, ve ne sup­plico.

L'Infermiera                  - Mi dispiace, ma non è permesso. (La mamma, in piedi, resta immobile, lo sguardo fisso. Nels le tocca un braccio. Essa lo guarda, annuisce, provandosi a sorridere, poi si volta e scende gli scalini assieme a Nels).

La Mamma                    - Dobbiamo trovare il modo...

Nels                               - Domani potremo vederla. Lo hanno promesso.

La Mamma                    - Ma se non la vedo oggi come faccio a sapere che tutto è andato veramente bene? Che cosa dirò al babbo quando tornerà dal lavoro?

Nels                               - Le infermiere avranno cura di lei, mamma. Non vuoi che prendiamo un caffè qui accanto?

La Mamma                    - (scuotendo il capo) Andiamo a casa. Il caffè lo prenderemo a casa. Ma io devo vedere Dagmar oggi. (Si avvia lentamente a sinistra ed escono. Sipario. La luce dei riflettori sulla piattaforma di destra: lo zio ed il signor Thorkelson sono seduti l'uno su una sedia l'altro su una panca; tra loro un tavolo, sul tavolo una pianta dentro a un vaso. L'orologio sul muro segna le ore 2,30 del pomeriggio).

Lo Zio                           - Allora le cose stanno così. Voi amate mia nipote Trina? (Il signor Thorkelson molto impau­rito, inghiottisce ed accenna di sì col capo) E volete sposarla? (L'altro accenna ancora di sì) Siete in con­dizioni di mantenerla? (G. s.) Ed allora perché volete la dote? (Nessuna risposta. Urlando) Perché volete la dote?

 Thorkelson                   - Perché... perché... sarebbe un aiuto gradito, ed è nelle consuetudini.

Lo Zio                           - Non è nelle consuetudini. Chi è che dà la dote? I genitori. Perché? Perché sono così con­tenti al pensiero che non dovranno più mantenere le loro figlie, che sborsano il denaro. Ma io non man­tengo Trina. Non mi importa se Trina si sposa o non si sposa. Perché dovrei pagare perché si sposi?

Thorkelson                    - Ecco, veramente non avevo pen­sato a questo.

Lo Zio                           - La dote è un insulto. Sposerete Trina se io le nego la dote?

Thorkelson                    - Non so...

Lo Zio                           - Non so? Non lo sapete? E voi credete che io permetterò che Trina sposi un uomo che vuole soltanto la dote?

Thorkelson                    - Credo che non lo permettereste...

Lo Zio                           - Ma che razza d'uomo sarebbe costui? Vi chiedo: che razza d'uomo sarebbe costui?

Thorkelson                    - (vinto, affascinato) Un uomo dappoco.

Lo Zio                           - E voi siete un uomo dappoco?

Thorkelson                    - Non lo credo affatto.

Lo Zio                           - (concludendo) Allora non volete la dote.

Thorkelson                    - No... direi di no.

Lo Zio                           - (battendogli la mano sulla spalla) Bene. Bravo. Siete un brav'uomo. Mi piacete. Vi dò la mia benedizione. E vi farò il regalo di nozze: vi manderò una cassetta d'arance. (Mentre gli stringe la mano con violenta effusione, oscurità, la piattaforma sparisce. si alza il sipario sulla cucina degli Hanson. Scena vuota. La mamma e Nels arrivano dalla collina a sinistra ed entrano in casa. Lungo silenzio mentre si tolgono cappello e mantello).

La Mamma                    - Dove sono le bambine?

Nels                               - Forse saranno disopra. (Alla comune, gri­dando) Cristina! Katrin!

Voci delle Bambine      - Scendiamo.

Nels                               - Faccio una tazza di caffè? (La mamma dice di no col capo) Ma non avevi detto che lo avresti preso a casa?

La Mamma                    - Più tardi. Adesso devo pensare.

Nels                               - Mamma, per carità, non preoccuparti così. Dagmar sta bene. Lo sai che sta bene. (Entrano le bambine).

Cristina                         - (assumendo un'aria indifferente) E così tutto è andato bene, vero?

La Mamma                    - (facendo segno di sì) Tutto bene. Avete mangiato?

Katrin                            - Sì, mamma.

La Mamma                    - Avete bevuto il latte?

Cristina                         - Sì, mamma.

La Mamma                    - Brave.

Cristina                         - (osservandola) Mamma, che cosa è successo?

Katrin                            - (estremamente drammatica) Mamma!... Dagmar non è mica... mamma!

La Mamma                    - No, Dagmar sta bene. Il dottore ha detto che sta bene. (Alzandosi) Che ore sono?

Nels                               - Le tre.

La Mamma                    - Ancora tre ore prima che il babbo ritorni. (Si guarda intorno e va in dispensa).

Katrin                            - Nels, che cosa c'è? Che cosa è successo?

Nels                               - Non le hanno permesso di vedere Dagmar. E il regolamento della clinica.

Cristina                         - Ma Dagmar sta bene?

Nels                               - Sì, sta bene.

Cristina                         - (con impazienza) Ma allora...

Nels                               - La mamma è tutta sconvolta. In tram si era messa a parlare in norvegese.

Katrin                            - Che cosa possiamo fare?

Cristina                         - (secca) Non possiamo fare niente. Quand'è che le lasceranno vedere Dagmar?

Nels                               - Domani.

Cristina                         - Ebbene, bisogna avere pazienza fino a domani.

Katrin                            - Cristina, come puoi essere così dura? Non ti rendi conto che la mamma ha il cuore spezzato?

Cristina                         - No, non me ne rendo conto e nemmeno tu te ne rendi contò. I cuori non si spezzano.

Katrin                            - Al contrario.

Cristina                         - Soltanto nei libri. (La mamma rientra, indossa un grembiule, ha con sé un secchio d'acqua calda ed una spazzola per lavare i pavimenti) Mamma, ma che cosa vuoi fare?

La Mamma                    - Lavare il pavimento. (Si mette in ginocchio per lavare).

Cristina                         - Ma l'hai già lavato ieri.

La Mamma                    - E oggi lo lavo di nuovo. (Lava).

Katrin                            - Mamma...

La Mamma                    - (lavando con energia) Arriva un momento in cui si ha bisogno di mettersi a lavorare in ginocchio.

Katrin                            - (a Cristina) Adesso mi eredi? (Cristina, ad un tratto così commossa da non potersi più control­lare, esce dalla stanza quasi fuggendo).

Nels                               - Mamma, smetti di lavare... Devi essere così stanca!

Katrin                            - (con un accento diverso) Nels, lasciala fare. (Restano in silenzio ad osservare la mamma che lava. Ad un tratto essa si ferma).

La Mamma                    - (accosciandosi sul pavimento) Ho un'idea! (Più lentamente) Ho un'idea. (Si affievoliscono le luci. Sipario. Si sente la voce dello zio Cris, che canterella. La voce arriva da sinistra, avanti. Le luci lentamente illuminano la piattaforma di sinistra, mo­strandoci Arne, un bimbo di circa otto anni, in letto, in clinica e accanto lo zio Cris).

Lo Zio                           - (canta una canzone norvegese) Diecimila svedesi attraversarono la prateria alla battaglia di Copenaghen Diecimila svedesi, fanti e cavalleria per dar la caccia a un norvegese...

Arne                              - Zio Cris.

Lo Zio                           - Sì, caro?

Arne                              - Ma deve proprio farmi tanto male?

Lo Zio                           - Se vuoi guarire, sì. Se non vuoi zoppicare per sempre come lo zio Cris, devi sentire un po' di male. Ti duole molto molto?

Arne                              - È come se... come se... Oh! Oooh!

Lo Zio                           - Arne, conosci delle brutte parole? Qualche imprecazione?

Arne                              - No, zio Cris. Non di quelle veramente brutte.

Lo Zio                           - Allora te ne insegno io due da dire quando senti molto dolore: «maledizione» e «porco diavolo ». Prova un po' a ripeterle?

Arne                              - Subito?

Lo Zio                           - No, non ora. Quando ti ritorna il dolore. ; Prova a dirle. Aiutano molto. Io lo so perché quando sento dolore le dico. E se il dolore è più forte allora puoi dire: « Dio ti stramaledica ». Ma soltanto se ti fa molto, molto male. Come va ora?

Arne                              - Un po' meglio.

Lo Zio                           - Allora vuoi provare a dormire un po'?

Arne                              - Provo, ma voi non ve ne andate, zio Cris?

Lo Zio                           - Ma no, ma no. Non mi muovo. Tu non I hai paura dello zio Cris?

Arne                              - Non più.

Lo Zio                           - Bravo, bravo. Vuoi che ti canti ancora!

Arne                              - Se volete. Ma qualche cosa di più... più... riposante.

Lo Zio                           - (con tenerezza) Ma certo, caro. (Comincia a cantargli una ninna nanna norvegese e nel bel mezzo Arne urla).

Arne                              - Porco diavolo! Ooh, ooh!... Maledizione!

Lo Zio                           - Bravo. Fa bene, vero? (Raggiante).

Arne                              - (piacevolmente sorpreso) Sì. Sì.

Lo Zio                           - Ed ora prova a dormire un po'. (Gli accomoda il guanciale, riprende la ninna-nanna, sempre seduto accanto al letto. Finita un'altra strofa, guarda il bambino da vicino, si assicura che dorma ed allora, adagio, senza smettere di cantare, estrae dalla tasca una fiaschetta di liquore e se la porta alle labbra. Oscu­rità. La piattaforma sparisce. si alza il sipario: dì nuovo il corridoio della clinica. L'infermiera di turno è cambiata. Sta parlando per telefono mentre la mamma e Katrin entrano da sinistra e salgono i gradini).

La Mamma                    - (mentre salgono i gradini) Non è la stessa infermiera, Katrin. Tieni il mio mantello e cappello. (Se li toglie. Ha ancora il grembiule di casa).

Katrin                            - Mamma, non hai paura che...

La Mamma                    - (non la lascia finire, le fa segno di tacere con l'indice sulle labbra) Sst! Lasciami fare. Aspet­tami su quella panca. (Va allo sgabuzzino e lo apre. Katrin non le leva gli occhi di dosso. È trepidante. La mamma prende uno straccio bagnato ed un secchio e si mette a lavare il pavimento proprio davanti alla scrivania. L'infermiera alza gli occhi. La mamma se ne accorge e dice in fretta) Molto sporco!

L'Infermiera                  - Sì, sono proprio contenta che si siano finalmente decisi a farlo lavare. Ma non è tardi? Lavorate ancora?

La Mamma                    - (abbassando il capo, in fretta) Ha molto bisogno di essere lavato. (La mamma si allontana, sempre a carponi; oltrepassa la scrivania e sparisce dalla parte del corridoio, sempre lavando il pavi­mento. Katrin va verso la panca, si siede, tenendo stretti cappello e mantello della mamma. Si guarda intorno con curiosità. Le luci si smorzano lasciando soltanto la ragazza illuminata. Katrin comincia a parlare con sé stessa).

Katrin                            - « L'ospedale » poema di Katrin Hanson. (Improvvisando) « La fanciulla attendeva il responso della sorte... » (poi aggiunge) sì, fa rima con morte. « Timorosa di udire il volo della morte... (prende di  tasca una matita ed un pezzo di carta e scrive in fretta).  ... e mentre ancor sperava e pregava e piangeva - la nera Parca forse il filo recideva ». (Di nuovo guardando nel vuoto, tra sé) Che bei versi! Ma non sono sinceri, Dagmar non sta morendo. È strano: io non voglio che Dagmar muoia, eppure quando la mamma ha detto che tutto andava bene, ho provato una specie di delusione. La cosa non era più così emozionante. Forse Cristina ha ragione: non ho cuore, io. Che orrore! « Una fanciulla senza cuore » sarebbe un bel titolo per una novella. « La fanciulla senza cuore rimase a sedere nel cor­ridoio della clinica... ». (Le luci tornano sulla scena principale ed appare lo zio, da destra, dietro alla scri­vania. Ha il cappello in testa ed è brillo. Vede Katrin).

Lo Zio                           - Katrin! Che cosa stai facendo qui?

Katrin                            - (nervosamente) Aspetto la mamma.

Lo Zio                           - E dov'è la mamma?

Katrin                            - Non... lo so.

Lo Zio                           - Che vuol dire «non lo so? ».

Katrin                            - (in un sussurro) Credo... credo... che... sia andata a vedere Dagmar?.

Lo Zio                           - (scuotendo il capo) Il primo giorno non è permesso visitare i pazienti.

Katrin                            - (cercando di fargli notare la presenza dell'infermiera) Lo so. Ma credo che la mamma vi sia proprio andata.

Lo Zio                           - Dov'è Dagmar?

Katrin                            - Non lo so. (Lo zio si alza e si avvicina all'infermiera).

Lo Zio                           - Qual è il numero della camera di mia nipote Dagmar Hanson?

L'Infermiera                  - (guardando nel libro) Hanson... Hanson... Quando è entrata?

Lo Zio                           - Questa mattina.

L'Infermiera                  - Ah, ricordo. Desiderate vederla?

Lo Zio                           - Qual è il numero della camera?

L'Infermiera                  - Vi ho chiesto se desiderate vederla.

Lo Zio                           - Ed io vi ho chiesto il numero della camera.

L'Infermiera                  - Le visite sono proibite nella prima giornata.

Lo Zio                           - Vi ho chiesto forse di vederla? Vi ho chiesto soltanto il numero della camera.

L'Infermiera                  - Siete per caso il signor (leggendo nel libro) Halfarson?

Lo Zio                           - (con sussiego e correggendo la errata pro­nuncia del suo cognome) Cristoforo Halvorsen.

L'Infermiera                  - Avete detto che siete lo zio?

Lo Zio                           - Pro-zio.

L'Infermiera                  - Sono dolente, ma non posso dirvi nulla.

Lo Zio                           - E perché?

L'Infermiera                  - Ordini.

Lo Zio                           - Di chi?

L'Infermiera                  - Del dottor Johnson. C'è una consegna speciale, scritta. « Proibizione assoluta di far entrare per nessuna ragione il signor Halvorsen, zio della paziente, o di dargli delle informazioni ».

Lo Zio                           - (inquieto e stupefatto, tace. Dopo un mo­mento, alzando gli occhi al cielo) Maledizione. (Si avvia a lunghi passi verso l'uscita, estraendo la fiaschetta, che però è vuota. Si imbatte con la mamma che rientra da destra, in piedi, con il secchio e lo straccio).

La Mamma                    - (all'infermiera) Grazie. (Mette tutto a posto nello sgabuzzino) Zio, Dagmar sta bene.

Lo Zio                           - (andandole incontro, stupefatto)) L'hai vista?

La Mamma                    - Ma certo, zio Cris, l'ho vista.

Lo Zio                           - (sempre incredulo) Hai visto Dagmar?

La Mamma                    - Ma certo. (Prende cappello e man­tello dalle mani di Katrin e mentre lo indossa) La clinica è bella, ma che pavimenti! Altro che lavarli con lo straccio. Lo straccio non serve a nulla, la spazzola ci vuole, per i pavimenti. Andiamo zio Cris, venite a casa con noi, vi farò un buon caffè.

Lo Zio                           - Puah! A che serve il caffè? Io voglio bere.

La Mamma                    - (sgridandolo) Zio Cris.

Lo Zio                           - Marta, sei una donnina in gamba, tu, ma io voglio bere, mi voglio ubriacare.

La Mamma                    - (sottovoce a Katrin) La gamba co­mincia a fargli male.

Lo Zio                           - Tu non inventare scuse. Io mi ubriaco perché mi piace e basta.

La Mamma                    - (conciliante) Ma certo, zio Cris, ma certo.

Lo Zio                           - (urlando) Mi piace ubriacarmi. (Mutando tono) No, non è vero. Tu lo sai che non è vero. Non mi piace ubriacarmi, ma nemmeno mi piace venire a casa con te. (Diventando triste e sentimentale) Tu hai una famiglia, e questa è una grande cosa.

Katrin                            - Ma zio, la mamma ci ha sempre detto che voi siete il capo della famiglia.

Lo Zio                           - Sicuro... sicuro... Sono il capo della fami­glia, ma non ho una famiglia. E perciò mi ubriaco, capisci Marta?

La Mamma                    - Zio Cris, ubriacatevi pure, ma non diventate triste. (Lo zio la guarda a lungo, poi a grandi passi esce da destra cantando ad altissima voce « Diecimila svedesi ». La mamma lo segue con lo sguardo poi prende il cappello dalle mani di di Katrin e se lo mette) Che brav'uomo! E che alto concetto ha della famiglia. Ed ora potrò dire al babbo che Dagmar va benino. Si è svegliata proprio mentre io ero là. Le ho spiegato il regolamento della clinica e così fino a domani non ci aspetterà.

Katrin                            - Ma veramente non vorrai tentare di rivederla prima di domani?

La Mamma                    - (con molta serietà) No. No, ciò sarebbe contro il regolamento. Vieni, andiamo a casa. (Escono).

Fine prima parte

PARTE SECONDA

La scena si apre esattamente come al primo atto. (Katrin è alla scrivania).

Katrin                            - (leggendo) Non era cosa facile far par­lare la mamma di sé, della sua vita in Norvegia o di farle manifestare la sua opinione sulle cose. Biso­gnava prenderla di sorpresa, oppure quando non aveva nulla da fare, e ciò non accadeva quasi mai. Credo di avere veduto la mamma sempre indaffarata... (posa il manoscritto e guarda innanzi a sé) ...eccetto una volta, il giorno prima che Dagmar ritornasse dalla clinica. Nel tornare a casa la mamma mi offrì un gelato. (Si alza, prende il cappello da collegiale che ha accanto, se lo mette in testa e si avvia verso il centro del palcoscenico) Era la prima volta che la mamma mi faceva un simile invito ed ancora ricordo la mia soddisfazione di sedere con lei a chiacchierare tran­quillamente come una persona grande. Fu un giorno speciale per me, non lo scorderò mai, senza contare il gelato che era veramente squisito. (Katrin si trova ora dinanzi alla scena principale. Dal sipario chiuso, tra le tende, appare la mamma, che si accinge a scen­dere i gradini).

La Mamma                    - Katrin, andiamo a prendere un gelato qui accanto, vuoi?

Katrin                            - (di nuovo bambina, sorpresa) Mamma! Dici davvero?

La Mamma                    - Sicuro. Dobbiamo festeggiare. Festeggiare la guarigione di Dagmar ed il suo ritorno a casa. (Vanno a sinistra alla piattaforma che rap­presenterà la gelateria. Un tavolo e due sedie, siedono) Che cosa vuoi prendere, Katrin?

Katrin                            - Ehm... vorrei... un gelato di cioccolata, no, di fragola. Anzi, di cioccolata con selz.

La Mamma                    - (sorridendo) Sei proprio sicura?

Katrin                            - Oh, sì, mamma. Ma... ce lo possiamo permettere?

La Mamma                    - Credo che per questa volta ce lo possiamo permettere. (Compare il cameriere).

Il Cameriere                  - Le signore desiderano?

La Mamma                    - Un gelato di cioccolata con selz, per piacere, e un caffè nero. (Il cameriere esce).

Katrin                            - Mamma, ci ha chiamate « signore ». (La mamma sorride) Perché non prendi un gelato anche tu?

La Mamma                    - Preferisco un caffè.

Katrin                            - Quand'è che potrò prendere il caffè anch'io?

La Mamma                    - Quando sarai grande.

Katrin                            - Quando avrò diciott'anni?

La Mamma                    - Forse prima.

Katrin                            - Quando prenderò la licenza liceale?

La Mamma                    - Forse; non lo so. Il babbo ed io lo sapremo di certo, quando sarai grande.

Katrin                            - Ma il caffè è più buono del selz?

La Mamma                    - Per i grandi, sì.

Katrin                            - Ma quando tu eri piccola, ti piaceva di più il selz?

La Mamma                    - Quando io ero piccola, in Norvegia, il selz non esisteva.

Katrin                            - Allora in Norvegia non sanno che cosa sia il selz?

La Mamma                    - Adesso forse lo sanno. Anche là, adesso, arrivano tutte le novità dall'America. Ma quando io ero bambina, no. (Entra il cameriere con il gelato, selz e caffè).

Il Cameriere                  - Eccole servite. (Esce).

Katrin                            - (prendendo il gelato) Mamma, ti pia­cerebbe tornare in Norvegia?

La Mamma                    - Sì, ma soltanto per rivedere il mio vecchio paese. Le montagne, i fiordi, e vorrei che li vedeste anche voi. Quando Dagmar sarà grande chissà che non vi possiamo andare tutti, un'estate, come turisti. Del resto non saremmo che dei turisti. Tutti quelli che conoscevo allora saranno forse morti. Forse potremmo rivedere la casetta dove il babbo ed io abbiamo vissuto appena sposati. E... (i suoi occhi si socchiudono nel ricordare) vi è qualcos'altro che vorrei rivedere.

Katrin                            - Che cosa? (La mamma non risponde) Che cos'è che vorresti rivedere?

La Mamma                    - Non te l'ho mai detto, Katrin, che hai un fratellino ch'è rimasto in Norvegia?

Katrin                            - No! Un fratellino? In Norvegia? Mamma...

La Mamma                    - Il mio primo bimbo. Avevo diciot­t'anni quand'egli nacque.

Katrin                            - E vive in Norvegia?

La Mamma                    - (semplicemente) È morto.

Katrin                            - (delusa) Credevo che... credevo che intendessi parlare di un vero fratello. Un fratello scomparso da molto tempo, come nei racconti. E quando è morto?

La Mamma                    - Quando aveva due anni. È la sua tomba che vorrei rivedere. (Sta per piangere, si morde le labbra; mescola con troppa energia il caffè, versan­dosene alcune gocce sulla gonna. Prende dalla borsetta il fazzoletto, si asciuga la gonna, poi se lo passa legger­mente sugli occhi e lo rimette nella borsetta. Si rivolge a Katrin come se nulla fosse accaduto) Buono, il tuo gelato?

Katrin                            - (più attenta a ciò che la mamma racconta che al suo gelato) Sì, mamma. Tu e il babbo avete avuto una vita molto difficile?

La Mamma                    - (sorpresa) Difficile? No. La vita non può essere sempre facile... Ma è così che dev'essere.

Katrin                            - La gente ricca... non ha una vita facile?

La Mamma                    - Non lo so, Katrin, non ho mai conosciuto gente ricca. Quella che incontro per strada o nei negozi non ha l'aria di avere una vita molto facile.

Katrin                            - Ti piacerebbe essere ricca?

La Mamma                    - Mi piacerebbe essere ricca come mi piacerebbe essere alta tre metri. Potrebbe essere un bene come potrebbe essere un male...

Katrin                            - Ma il babbo non venne in America per diventare ricco?

La Mamma                    - (scandalizzata) No. Noi siamo venuti in America perché loro erano qui... tutti gli altri. Ed è bene che le famiglie non si separino.

Katrin                            - E ti piacque subito la vita qui, mamma!

La Mamma                    - Subito. Appena scesa a terra a San Francisco, al vedere tutta la mia famiglia, esclamai: « Qui è proprio come essere in Norvegia ». Soltanto è meglio della Norvegia. Eppoi voi siete nati tutti qui ed io sono diventata una cittadina americana. Ma non per diventare ricca.

Katrin                            - Io voglio diventare ricca. Ricca e famosa. Ti potrei comperare il mantello per l'inverno. Un bel mantello morbido. Quando te lo comperi, mamma, il famoso mantello?

La Mamma                    - Presto... spero. Dopo avere pagato il dottore e quando il signor Hyde avrà pagato la pigione. Credo che sarà ora di ricordarglielo. Glielo ricorderò quando Dagmar sarà a casa.

Katrin                            - Quando sarò ricca e famosa ti comprerò dei bei vestiti. Dei vestiti di raso con lo strascico e tanti gioielli. E ti comprerò una collana di perle.

La Mamma                    - Stiamo chiacchierando troppo. (Fa cenno al cameriere) Avanti, finisci il gelato. Dobbiamo andare a casa. (Entra il cameriere) Quant'è, per piacere?

Il Cameriere                  - Quindici cents.

La Mamma                    - Eccone venti. Va bene così? E grazie. Il caffè era molto buono. (Si alzano e cominciano a salire i gradini verso il sipario) Domani Dagmar sarà nuovamente a casa. E sai, Katrin, vedi se zio Elisa­betta è in casa. Questo pomeriggio Dagmar ha di nuovo chiesto di lui. Cerchiamo di tenere il gatto in casa sino al suo ritorno. (Spariscono dietro le tende del centro. Dopo un istante si sente, oltre il sipario centrale, il miagolio di un gatto sofferente. Miagolio dapprima appena udibile, poi crescente. Il tono dimi­nuisce all'alzarsi del sipario centrale. Di nuovo la cucina. Il babbo, la mamma e Dagmar stanno in quel momento entrando dalla porta di cucina).

Dagmar                         - (sulla soglia di casa, portandosi la mano al petto per la sorpresa) C'è lo zio Elisabetta ad aspettarmi. Mi dà il benvenuto. Dov'è, mamma? (Si guarda attorno per capire da dove viene il miagolio).

La Mamma                    - È in dispensa... (Mentre Dagmar sta per corrervi) Ma aspetta... aspetta un minuto, Dagmar. Devo dirti una cosa. Lo zio Elisabetta è malato.

Dagmar                         - Malato? Che cos'ha?

Il Babbo                        - Ha avuto una baruffa. Si è azzuffato con un altro gatto, ieri sera. È tornato a casa sta­mane e sta molto male. (Dagmar sta per avviarsi alla dispensa, quando Nels entra dalla stessa porta).

La Mamma                    - Nels, come sta lo zio Elisabetta?

Nels                               - Sta molto male. Gli ho medicato di nuovo le ferite con l'acido borico, ma... (siccome Dagmar cerca di andare in dispensa passandogli davanti) aspetta, tesoro, è meglio che tu non lo veda, per ora...

Dagmak                        - Ma devo vederlo. È il mio gatto. Sono stata un mese senza vederlo. Anzi, di più. (Corre in dispensa e sparisce).

La Mamma                    - Che ne dici Nels?

Nels                               - Io dico che sarebbe stato meglio farlo sparire prima che Dagmar tornasse a casa.

La Mamma                    - Ma sarebbe stata addolorata di non trovarlo.

Nels                               - Ma se morirà sarà disperata. (Un altro miagolio giunge dalla dispensa. Dagmar rientra cor­rendo).

Dagmar                         - Mamma, che cosa gli è successo? Che cosa gli è successo? Oh, mamma, quando ho tentato di prenderlo in braccio la benda gli è scivolata via dall'occhio... sanguinava... Oh, mamma, che orrore quell'occhio... (Incomincia a piangere).

La Mamma                    - (facendole delle carezze) È ferito in tutto il corpo. Nels, torna a curargli l'occhio... (Nels, a malincuore, toma in dispensa) Senti Dagmar, gioia mia, non sarebbe meglio per quella povera bestiola che la facessimo dormire?

Dagmar                         - Sarebbe a dire... dormire per non sve­gliarsi più? (La mamma fa cenno di sì) No!

Il Babbo                        - Io credo che morirà, in tutti i modi. Nels tenta di farlo guarire, ma non credo che ci riuscirà.

Dagmar                         - La mamma può. La mamma può tutto. (Si sente dalla dispensa un altro lungo lamento. Dagmar si aggrappa alla mamma con disperato dolore) Fallo vivere, mamma. Fallo rivivere, per piacere!

La Mamma                    - Aspettiamo. Stiamo a vedere come passa la notte. Ora, Dagmar, tu vai a letto, ed io ti porto su la cena.

Dagmar                         - Ma farai guarire lo zio Elisabetta? Me lo prometti, mamma?

La Mamma                    - Prometto di tentare. Adesso, a letto. (Dagmar esce dalla comune. Mentre la mamma sta per avviarsi alla dispensa, si sente un altro miagolio. Il babbo e la mamma, fermi, in piedi, in mezzo alla stanza, si scambiano uno sguardo. Nels rientra).

Nels                               - Mamma, è una vera crudeltà tenere quel gatto in vita.

Il Babbo                        - (quando un lamento più forte dei pre­cedenti giunge dalla dispensa) Tu hai consigliato di stare a vedere come il gatto passa la notte. Ed io mi chiedo come noi passeremo la notte... Non c'è altro da fare, Marta. Bisogna farla finita. Nels, vai in farmacia, compera qualche cosa. Del cloroformio, per esempio. (Oli dà una moneta).

Nels                               - Quanto ne devo comperare?

Il Babbo                        - Domandalo al farmacista. Digli che è per un gatto e lui saprà. (Nels esce sulla strada e sparisce dietro le quinte) È meglio così, Marta, non c'è altro da fare.

La Mamma                    - Lo so, mia povera Dagmar! È stata così buona in clinica, non ha pianto nemmeno una volta. (Facendosi coraggio) Vado a prepararle la cena. (Altro miagolio) Ed ora metto il gatto fuori... addi­rittura fuori di casa, dove noi... dove Dagmar non possa sentirlo. (Va in dispensa. Il babbo prende il giornale che ha in tasca ben piegato, si mette gli occhiali e comincia a leggere. Aprendo cautamente la porta, entra dalla comune il signor Hyde: ha indosso cappello e cappotto ed ha con sé una valigia, nell'altra mano ha una lettera. Il babbo gli volta la schiena. Il signor Hyde posa la lettera sul tavolo " e si dirige in punta di piedi verso l'uscita. Soltanto allora il babbo lo vede).

Il Babbo                        - Uscite, signor Hyde?

Hyde                             - (fingendo sorpresa) Oh... oh... non vi avevo veduto, signor Hanson. (Posa la valigia) Non sapevo che foste rientrato... Infatti... infatti... stavo per lasciarvi questa lettera (la riprende) perché, perché mi hanno chiamato d'urgenza.

Il Babbo                        - Davvero?

Hyde                             - Stamattina ho ricevuto una lettera che richiede la mia presenza, e perciò debbo partire immediatamente.

Il Babbo                        - Mi spiace. (Rientra la mamma con un vassoio, con latte, pane, burro e gelatina) Mamma, il signor Hyde vuol lasciarci.

La Mamma                    - (avvicinandosi al tavolo col vassoio) Davvero?

Hyde                             - Sì, purtroppo, cara signora, ed è un vero peccato. Qui troverete (le porge la lettera) uno chèque per tutto quello che vi debbo con due righe per esprimervi i miei più sentiti ringraziamenti per la vostra squisita ospitalità. Vorrete salutare i bambini per me? (Fa un inchino mentre la mamma prende la lettera).

La Mamma                    - (triste) Certamente, certamente.

Hyde                             - (inchinandosi di nuovo) Signora, la mia più profonda gratitudine. (Le bacia la mano. La mamma lo guarda attonita. Inchinandosi al babbo) Signore, tutta la mia più sincera ammirazione. (Apre la porta che dà sulla strada) Sono stato proprio for­tunato... ave atque vale! Salve e addio. (Un ultimo gesto ed esce).

La Mamma                    - Che uomo straordinario! Che pec­cato! (Apre la lettera e ne prende lo chèque).

Il Babbo                        - Di quanto è?

La Mamma                    - Centodieci dollari. È per quattro mesi.

Il Babbo                        - Bene, bene.

La Mamma                    - Che bella cosa. Così potremo pagare l'intero conto al dottore.

Il Babbo                        - E tu potrai comperarti il mantello. Forse anche col collo di pelliccia.

La Mamma                    - (triste) Ma non avremo più lettura. Prendi l'assegno, Lars. Riscuotilo tu, vuoi?

Il Babbo                        - Ma certo. Che cosa dice nella lettera?

La Mamma                    - Leggila, mentre io preparo la cena per Dagmar. (Imburra il pane, poi vi spalma la gela­tina, ed il babbo legge).

Il Babbo                        - (leggendo) « Cari amici, mi trovo costretto a prendere un congedo piuttosto affrettato da questa casa felice... ».

La Mamma                    - È una bella lettera.

Il Babbo                        - (continuando) «... lascio ai bambini la mia biblioteca... ».

La Mamma                    - Lascia i suoi libri?

Il Babbo                        - Così scrive.

La Mamma                    - È una gran bella cosa. Lars, valli a prendere, forse sono in camera sua. (Il babbo posa la lettera ed esce dalla comune. Nels e Cristina appa­iono dalle quinte di sinistra; dal fondo. Si avvicinano alla casa. Cristina ha con sé i libri di scuola).

Cristina                         - Ti assicuro che era lui, Nels. Aveva con sé la valigia ed è salito sulla funicolare. Giurerei che è partito.

Nels                               - Speriamo che abbia pagato la mamma. (Aprono la porta di casa).

Cristina                         - (irrompendo in casa) Mamma, ho veduto il signor Hyde che saliva sulla funicolare.

La Mamma                    - Lo so. È partito.

Cristina                         - Ha pagato?

La Mamma                    - Certo. Ha pagato centodieci dollari.

Nels                               - Salute!

Cristina                         - Metterai tutto il denaro alla banca?

La Mamma                    - Ci occorre subito. (Il babbo rientra, barcollante sotto il peso di una pila di libri) Ed ha lasciato a voi i suoi libri.

Nels                               - Evviva. (Il babbo li accatasta tutti sul tavolo. Nels e Cristina vi si buttano sopra, leggono i titoli) Edizione completa di Shakespeare... Il cir­colo Pickwick...

Cristina                         - Alice nel paese delle meraviglie... Il libro della poesia di Oxford...

Nels                               - L'ultimo dei Moicani... Ivanhoè...

Cristina                         - Eravamo proprio nel punto più inte­ressante di Ivanhoè.

La Mamma                    - Ce lo finirà Nels. Adesso potrà I leggere lui, la sera. Anche Nels ha una bella voce. Come quella del signor Hyde. (Nels diventa rosso ' dalla gioia per il complimento) È meraviglioso pen- I sare a tutto ciò che potremo imparare. (Finendo di . preparare la cena) Cristina, rimetti in fresco il burro e la gelatina. (Cristina eseguisce) Io vado su da , Dagmar. (Prende il vassoio, poi si arresta, lo posa) I Nels, hai preso?...

Nels                               - Che cosa? Oh... (Prende dalla tasca una scatoletta) Ecco.

La Mamma                    - Posala lì, quando torno giù facciamo tutto. Sai come si fa?'

Nels                               - Perché? No; mamma, io...

La Mamma                    - Non hai domandato?

Nels                               - No, credevo che il babbo...

La Mamma                    - Tu lo sai, Lars?

Il Babbo                        - No, non so, ma penso che non debba essere difficile... Se uno di voi tiene il gatto fermo... E

La Mamma                    - E stare a vederlo morire? No. Credo che sia meglio prendere una grossa spugna, inzup­parla di cloroformio e metterla nella cassetta dov'è il gatto. Poi coprirlo con delle coperte. Prepara tutto, Nels.

Nels                               - Sì, mamma.

La Mamma                    - Io vado a prendere le coperte. (Nels va in dispensa, mentre Cristina ne ritorna. La mamma riprende il vassoio e sta per avviarsi alla comune; ma la zia Jenny bussa alla porta di strada. Essa arriva dal fondo-sinistra assai agitata. La mamma perde un po' la pazienza) Ma non si finisce più! Guarda un po' chi è, Cristina.

Cristina                         - (guardando dalla fessura della porta) È la zia Jenny. (Apre).

Jenny                             - (ancora quasi senza fiato) Marta... se n'è andato?

La Mamma                    - Chi?

Jenny                             - Il vostro pensionante, il signor Hyde...

La Mamma                    - Se n'è andato, sì, perché?

Jenny                             - Ha pagato?

La Mamma                    - Sicuro che ha pagato.

Jenny                             - Come?

La Mamma                    - Mi ha dato un assegno. Eccolo. ( Lars l'ha in mano.

Jenny                             - (con intenzione) Un assegno.

La Mamma                    - Jenny, che succede? Cristina, porta tu la cena a Dagmar. Vengo subito. (Cristina prendi .. il vassoio ed esce) Che cosa succede, Jenny? Come fai a sapere che il signor Hyde è andato via?

Jenny                             - Mi trovavo da Kruper, in fondo alla strada... sai... il padrone del ristorante e del forno; mi ha detto che stamane il signor Hyde ha fatto  colazione da lui ed andandosene gli ha domandato se poteva cambiargli un assegno di 50 dollari.

La Mamma                    - Avanti, continua.

Jenny                             - Il vostro bravo signor Hyde non pensava che Kruper sarebbe andato ad incassare subito l'assegno. E vuoi saperlo? Il signor Hyde non hai nessun conto in banca. (Nels rientra, restando sulla porta).

La Mamma                    - Non capisco.

Il Babbo                        - (prendendo l'assegno dalla tasca) Vuoi i dire che questo assegno non vale niente?

Jenny                             - Assolutamente niente. (Trionfante) Il vostro signor Hyde era un furfante, proprio come io avevo sempre sospettato, nonostante le sue letture e le sue grandi arie. Kruper dice che ha dato assegni a vuoto a tutto il vicinato. (La mamma resta muta ed immobile) Quanto vi doveva? Molto, scommetto. (Silenzio) Eh, Marta? Ho detto che scommetto che vi doveva molto. È così?

La Mamma                    - (si guarda d'attorno, prima guarda Nels, poi i libri sul tavolo, li tocca) No, non ci doveva nulla. (Prende l'assegno dalle mani del babbo e lo straccia) Nulla.

Jenny                             - (insistendo) Di quanto era l'assegno? (Cerca di impossessarsene, allungando la mano).

La Mamma                    - (schivandola) Non importa. Ha pagato con cose che valgono assai più del denaro. (Va alla stufa, vi butta l'assegno e lo guarda bruciare).

Jenny                             - Avevo ragione fin dal primo momento quando ti dissi: « non fidarti... ». Ma tu eri così sicura... , come lo sei sempre, del resto. « Il signor Hyde è una persona per bene ». Per bene! Suppongo che ti avrà truffata per cento dollari, no?

La Mamma                    - (andando verso Jenny) Jenny, non ho tempo per le chiacchiere. Forse tu non hai nulla da fare, ma io ho da fare.

Jenny                             - (con scherno) Che cosa? Che cos'hai da fare di tanto importante?

La Mamma                    - (prendendo in mano il pacchettino lasciato da Nels) Devo cloroformizzare un gatto. (Jenny retrocede, allarmata, quasi che la mamma volesse rife­rirsi a lei. La mamma si avvia in dispensa con la medicina, quasi come Lady Macheth coi pugnali. Oscurità. Si chiude il sipario centrale. Dopo brevi istanti si riapre: è di nuovo la cucina, il mattino seguente. I libri sono stati tolti e la mamma sta pre­parando tavola per la prima colazione aiutata dal babbo. Dagmar irrompe nella camera dalla comune).

Dagmar                         - Buon giorno mamma, buon giorno babbo. È guarito lo zio Elisabetta?

La Mamma                    - Dagmar, c'è una cosa che devo dirti.

Dagmar                         - Prima voglio vedere lo zio Elisabetta. (Corre in dispensa. La mamma non sapendo più come fan, guarda il babbo sgomenta).

La Mamma                    - Fai qualcosa... diglielo tu.

Il Babbo                        - E se le lasciassimo credere che il gatto se n'è andato così... naturalmente...

La Mamma                    - No, non dobbiamo dirle una bugia. (Il babbo si avvia alla dispensa, aprendo la porta).

Dagmab                        - (da fuori) Ma che odore strano... Buon giorno, caro, caro zio Elisabetta. (Il babbo e la mamma restano immobili. Dagmar rientra in cucina con il gatto avvolto in una vecchia gonna, con il muso coperto) Dio mio! Gliene avete messe delle coperte. Avevate paura che prendesse freddo?

La Mamma                    - (con orrore) Dagmar, non devi... (Si arresta al vedere che il gatto muove la coda, deci­samente vivo e vegeto) Dagmar, lasciami vedere... lasciami vedere il gatto. (Si avvicina a Dagmar e scopre la testa del gatto).

Dagmar                         - (fuori di sé dalla gioia) Sta bene. Oh, lo sapevo che la mamma lo avrebbe guarito.

La Mamma                    - (sbigottita) Ma... io non l'ho guarito. Io...

 Dagmar                        - (non curandosi della mamma) Lo porto disopra per farlo vedere a Nels. (Esce correndo dalla comune chiamando) Nels! Nels! Lo zio Elisabetta è guarito.

La Mamma                    - (al babbo) È un miracolo.

Il Babbo                        - (stringendosi nelle spalle) Gli avete dato poco cloroformio. Il gatto ha fatto una bella dormita e ciò lo ha rimesso in sesto. Bisognerà ribat­tezzarlo Lazzaro.

La Mamma                    - Lars, dobbiamo dirle la verità. Non deve crescere credendo che la mamma può siste­mare tutto.

Il Babbo                        - È la più bella cosa che un figlio possa credere. (Sorridendo) Del resto, anch'io... (Posa la mano sulla mano della mamma).

La Mamma                    - (imbarazzata da questa effusione, timida, si allontana) Vogliamo finire dì preparare la cola­zione? (Oscurità. Sipario. Luci in fondo a destra. Katrin e Cristina entrano dalle quinte, tornando da scuola, in divisa con il cappello in capo. Cristina ha i libri legati con una cinghia. Katrin sta declamando).

Katkin                           - « La clemenza è di tal natura che non saprebbe esser costretta o forzata. Essa cade dol­cemente come la benefica pioggia dal cielo ed è una duplice benedizione che fa felice chi la usa e la riceve ». (A Cristina) Che cosa viene dopo?

Cristina                         - Non lo so, e nemmeno ci tengo a saperlo.

Katrin                            - Perché, Cristina?

Cristina                         - Non ci tengo. Non sento parlare d'altro da settimane... e la commedia... e la scuola... e la tua licenza. Senza la minima preoccupazione per ciò che succede a casa.

Katrin                            - Che cosa vuoi dire?

Cristina                         - Lo dicevo io? Non ti sei accorta di nulla.

Katrin                            - Vuoi dire lo sciopero?

Cristina                         - Proprio, lo sciopero. Il babbo non lavora da ben quattro settimane, ma a te ciò poco importa. Scommetto che non sai nemmeno perché hanno fatto sciopero. Lo sai? Tu e le tue compagne non sapete parlare che dei regali che avrete per gli esami. Mi fai vergognare di essere una bambina. (Due bimbe, Maddalena e Dorotea arrivano dal sipario centrale chiacchierando).

Maddalena                    - (a Dorotea) Lo sai che Thyra Walsh avrà come regalo sette perle per la collana che le hanno regalato quando era ancora in fasce? Oh, ciao, Katrin. Hai sentito che bel regalo avrà Thyra se passa agli esami?

Katrin                            - (non troppo entusiasta) Sì, ho sentito.

Maddalena                    - A me daranno un anello d'onice con un brillante.

Katrin                            - Un vero brillante?

Maddalena                    - Ma certo. Un piccolo brillante...

Dorotea                         - E a te che cosa regaleranno?

Katrin                            - Ecco... veramente... ancora non me l'hanno detto, ma credo... che mi regalerenno il ser­vizio da toilette in celluloide rosa che tuo padre ha in negozio.

Dorotea                         - Vuoi dire quello che è in vetrina?

Katrin                            - (a Maddalena) Ha la spazzola, il pet­tine, lo specchio e il portasapone. È di vera celluloide.

Dorotea                         - Anch'io avrei voluto che il babbo me lo regalasse, ma lui dice che è troppo costoso. Il babbo è molto avaro. A me regaleranno un braccialetto indiano.

Maddalena                    - Ecco il tram. Dobbiamo scappare. Addio Katrin... addio Cristina. A domani, Dorotea andiamo. (Le due ragazze escono da sinistra correndo).

Cristina                         - Chi ha detto che avrai il servizio di celluloide?

Katrin                            - Nessuno, veramente... ma ho cercato di far capire che lo desidero...

Cristina                         - Ebbene, non lo avrai.

Katrin                            - E come lo sai?

Cristina                         - Perché io so che cosa ti regaleranno. Ho sentito quando la mamma lo diceva alla zia Jenny. La zia Jenny ha risposto che tu eri troppo piccola per apprezzarlo.

Katrin                            - Che cos'è?

Cristina                         - La mamma ha l'intenzione di darti la sua spilla.

Katrin                            - Quella vecchia cosa d'argento che porta sempre e che apparteneva alla nonna? E che cosa ne farei di una simile anticaglia?

Cristina                         - È un oggetto di famiglia. La mamma ci tiene molto.

Katrin                            - E allora sarebbe meglio che la tenesse lei.

Cristina                         - Cosa vorresti di più?

Katrin                            - Io voglio il servizio da toilette. Dio mio, se la mamma non sa qual è il regalo che gradirei... allora... La licenza ginnasiale è forse la cosa più importante nella vita di una ragazza!

Cristina                         - E poi dici di non essere egoista.

Katrin                            - Non è egoismo.

Cristina                         - Allora non so come chiamarlo. Col babbo che non lavora noi non possiamo sciupare nemmeno un soldo. Persino la Piccola Banca è vuota. Ma tu tanto farai e tanto dirai, che la mamma dovrà comperarti quel regalo. E allora perché continuare a parlarne? Io vado a casa. (Sale i gradini della scena centrale, e sparisce dietro le tende. Katrin resta sola, in piedi, ha un'espressione caparbia. Poi siede sui gradini).

Katrin                            - Cristina aveva ragione. Ottenni che mi regalassero il servizio da toilette in celluloide rosa. Me lo diedero la sera che presi la licenza ginnasiale, proprio prima di andare a cena. Il babbo non potè venire al saggio perché aveva l'adunanza degli scio­peranti. Quella sera ero così eccitata che non potevo quasi mangiare e il regalo mi portò via quel po' di appetito che mi era rimasto. (Il sipario si alza: di nuovo la cucina. Il babbo, la mamma e Dagmar sono a tavola, prendono il caffè. Cristina sta sparecchiando).

Cristina                         - (radunando i piatti) Mamma, per ora li metto di là, e li laveremo quando torneremo a casa. (Porta i piatti in dispensa).

Il Babbo                        - (con una zolletta di zucchero in mano) Chi vuole una zolletta imbevuta di caffè? (Inzuppa la zolletta nel caffè) Dagmar? (Gliela porge) Katrin? (Katrin si alza, risale i gradini e va a prendere la zolletta di zucchero).

La Mamma                    - Katrin, vai a metterti il mantello, fa fresco fuori. (Katrin esce dalla comune).

Dagmar                         - La zia Jenny dice che se i bambini bevessero il caffè la loro pelle diventerebbe nera. A me piacerebbe di essere una norvegese nera. Nera come lo zio Cris. Posso, babbo?

Il Babbo                        - Ti preferisco bionda, come la mamma.

Dagmar                         - Quando è che si diventa abbastanza grandi per bere il caffè senza diventare neri? Quando potremo bere il caffè?

Il Babbo                        - Un giorno, quando sarete grandi. (Jenny e Trina arrivano dalle quinte davanti alla porta di casa. Jenny bussa).

La Mamma                    - Ecco Jenny e Trina. (Va ad aprire) Bene. Adesso possiamo andare. (Apre la porta, Jenny e Trina entrano).

Jenny                             - Ebbene? Tutti pronti? È molto emo­zionata Katrin?

Il Babbo                        - (facendo cenno di si) Non ha quasi cenato. (La mamma si mette il mantello, poi mette a Dagmar cappello e mantello. Cristina rientra dalla dispensa, il babbo le dà una zolletta di zucchero imbe­vuta di caffè).

Jenny                             - Lars, zucchero imbevuto di caffè? Lo sai che non fa bene ai bambini. La loro...

Il Babbo                        - (finendo la frase per lei) ... pelle diventa nera nera. Lo so. Dopo tutto non mi dispiacerebbe di avere una bella moretta come figlia.

Jenny                             - Lars, questa poi... (Katrin rientra col mantello).

Katrin                            - Zia Jenny avete veduto il mio regalo? (Lo prende dalla sedia. Cristina guarda la scena con disgusto ed esce dalla comune. Katrin sfoggia il ser­vizio da toilette) Guardate zia, è un servizio da toilette completo.

Jenny                             - Oh, credevo che... Marta, credevo che le avresti regalato...

La Mamma                    - Avevi ragione tu, Jenny. Katrin è ancora troppo giovane per apprezzare quel regalo. Katrin preferisce le cose più moderne... più gaie.

Jenny                             - Per dir la verità è molto bello, ma... (guarda la mamma mentre si infila il mantello) ma non ti metti la spilla?

La Mamma                    - (in fretta) No, stasera non me la metto. Presto Trina, se no saremo in ritardo.

Trina                              - Peter non è ancora arrivato...

La Mamma                    - Katrin deve ancora mettersi il costume. Peter ci può raggiungere... o preferisci aspettarlo?

Trina                              - Ecco... se non hai nulla in contrario...

La Mamma                    - Puoi restare qui con Lars. Lui non va via subito.

Jenny                             - Spero che Katrin avrà imparato bene la parte.

Il Babbo                        - Sicuro che l'ha imparata.

Trina                              - Peccato che Lars non potrà vedere l'esordio di Katrin come attrice.

La Mamma                    - Sarai di ritorno prima di noi, Lars?

Il Babbo                        - (facendo cenno di sì col capo) Credo che la riunione non sarà molto lunga.

La Mamma                    - Bene. Adesso andiamo. (Esce con Jenny e Dagmar. Cristina e Nels rientrano dalla comune; escono sulla strada, ma sostano per attendere Katrin, mentre gli altri si avviano. Katrin si infila mantello e cappello e prende seco il servizio da toilette).

Il Babbo                        - (a Trina) Vuoi che facciamo una partita a scacchi?

Trina                              - Oh, sono anni che non giuoco.

Il Babbo                        - Bene, allora vincerò io.

Katrin                            - A più tardi, babbo.

Il Babbo                        - A più tardi, Katrin. Penserò a te.

Katrin                            - Arrivederci là, zia Trina.

Trina                              - In bocca al lupo.

Il Babbo                        - Prendo gli scacchi. (Katrin esce sulla strada. Il babbo prende gli scacchi dalla credenza, li mette in ordine sulla scacchiera, mentre la seguente scena si svolge sulla strada).

Cristina                         - Ah, e porti con te quella robaccia per darti delle arie.

Katrin                            - Non è robaccia, è roba bellissima.

Cristina                         - Lo dicevo che avresti costretto la mamma a regalartelo!

Katrin                            - Non l'ho costretta per niente. Gliel'ho soltanto fatto vedere nella vetrina, passando.

Cristina                         - E le hai fatto vendere la spilla che la nonna le aveva regalato.

Katrin                            - Che cosa?

Nels                               - Cristina, eravamo d'accordo di non dirglielo.

Cristina                         - Non me ne importa, è meglio che lo sappia.

Katrin                            - Dite la verità? Nels, la mamma?...

Nels                               - Ebbene, sì... è la verità: la mamma ha venduto la spilla. Andiamo.

Katrin                            - No, non vi credo. Voglio domandarlo al babbo.

Nels                               - Ma non c'è tempo...

Katrin                            - Non me ne importa. (Corre verso casa. Irrompe in casa. Cristina sparisce tra le quinte di sinistra, in fondo. Nels la segue) Babbo... babbo... Cristina dice... Babbo, è vero che la mamma ha ven­duto la sua spilla per comperarmi questo regalo?

Il Babbo                        - Cristina non doveva dirtelo.

Katrin                            - Allora è vero?

Il Babbo                        - Non l'ha venduta, l'ha soltanto data in cambio del servizio da toilette.

Katrin                            - (in lacrime) Oh, ma non doveva. Io non avrei mai voluto... se lo avessi saputo!

Il Babbo                        - Vedi Katrin, tu desideravi molto quel regalo. La mamma ci teneva alla tua felicità. Ci teneva più alla tua felicità che alla sua spilla.

Katrin                            - Ma io non volevo che facesse una cosa simile. (Piangendo) Ci teneva tanto. Era l'unico ricordo della nonna.

Il Babbo                        - Lo aveva destinato a te. Ed ora non devi piangere, perché devi recitare.

Katrin                            - (in singhiozzi) Non voglio recitare.

Il Babbo                        - Eppure devi. Gli spettatori sono già in teatro.

Katrin                            - Non me ne importa.

Il Babbo                        - Te ne deve importare. Stasera tu non sei più Katrin, sei un'attrice. E un'attrice deve recitare, qualunque cosa le capiti. C'è un detto... aspetta. (Pensa).

Trina                              - (pronta) I dispacci debbono proseguire.

Il Babbo                        - No, no. La recita deve continuare. Perciò smetti di piangere, va e recita la tua parte. E di questo parleremo più tardi, dopo la recita.

 Katrin                           - (ricomponendosi) Va bene, vado. (Ti­rando su col naso, trattiene le lacrime, riprende il suo regalo ed esce. Ssparisce tra le quinte a sinistra in fondo. Il babbo e Trina si guardano).

li. Babbo                       - Ora giuochiamo. (Le luci si abbassano, cala la tela. Si illumina la piattaforma di destra: Dorotea e Maddalena sono vestite in costume per il « Mercante di Venezia». Sono davanti ad una rudimen­tale toilette, di un rudimentale camerino ai teatro).

Dorotea                         - Comincio ad essere in pensiero per Katrin. Se le fosse successo qualcosa...

Maddalena                    - (mettendosi le calze lunghe, come nel «Mercante di Venezia») Io dimenticherò la mia par­te, lo sento, lo sento. Appena vedrò la maestra seduta in platea in prima fila, dimenticherò ogni parola. (Katrin arriva di corsa da sinistra. Ha seco il servizio da toilette e lo posa sul tavolo) Temevamo ti fosse accaduto qualcosa.

Katrin                            - Dorotea, verrà alla recita tuo padre?

Dorotea                         - Certo, perché?

Katrin                            - Perché debbo parlargli. (Mentre si toglie cappello e mantello) Vuoi dirgli per favore di non andarsene prima di avere parlato con me? Dopo la recita.

Dorotea                         - Che cosa devi dire al babbo?

Katrin                            - Debbo parlargli. Debbo chiedergli una cosa importante... importantissima.

Maddalena                    - È il servizio da toilette rosa? (Prendendolo in mano) Posso guardarlo?

Katrin                            - (togliendoglielo di mano con violenza) No.

Maddalena                    - Che ti prende? Volevo soltanto guardarlo.

Katrin                            - (eccitata) Non puoi. Non lo devi toc­care. Dorotea, prendilo, nascondilo. Non lo voglio vedere. (Glielo butta in mano) Ecco... prendilo, pren­dilo... prendilo. (Oscurità. Il sipario si alza di nuovo sulla cucina. Il babbo e la mamma seduti al tavolo, stanno prendendo il caffè).

La Mamma                    - Sono in pensiero per Katrin, Lars; dopo la recita l'ho veduta parlare col padre di Do­rotea; poi si è cambiata, ed ora Nels mi dice che il padre di Dorotea l'accompagna a casa. Ma è già passato tanto tempo ed essere ancora fuori... a quest'ora... E ha recitato male, Lars. Alle prove recitava così bene, ma stasera no. Sembrava che... che pen­sasse ad altro, proprio così.

Il Babbo                        - Porse pensava ad altro.

La Mamma                    - Ed a che cosa?

Il Babbo                        - Stasera, dopo che tu sei uscita, Katrin ha saputo della tua spilla.

La Mamma                    - Della mia spilla? E come? Chi glielo ha detto?

Il Babbo                        - Cristina.

La Mamma                    - (inquieta) E perché?

Il Babbo                        - Non lo so.

La Mamma                    - (alzandosi, risoluta e accigliata come non ci è apparsa sinora, chiama) Cristina, Cristina!

Cristina                         - (affacciandosi alla porta della dispensa mentre finisce di asciugare un piatto) Mi chiami, mamma?

La Mamma                    - Sì, Cristina. Stasera tu hai raccon­tato a Katrin la storia della spilla?

Cristina                         - (intimorita ma senza esitare) Sì.

La Mamma                    - E perché lo hai fatto?

Cristina                         - Perché non potevo sopportare il suo contegno presuntuoso.

La Mamma                    - Non vi sono scuse che tengano. Tu le hai dato un dolore e l'hai fatta recitare male.

Cristina                         - E Katrin ha dato un dolore a te costringendoti a vendere la spilla. Tutto per sod­disfare il suo grande egoismo.

La Mamma                    - Questo non ti riguarda. Sono stata io a decidere di vendere la spilla. Non è affare tuo giudicare. E sapevi che non volevo che Katrin lo sapesse. Sono scontenta di te, Cristina.

Cristina                         - Questo mi dispiace, ma non mi dispiace di aver parlato.

Il Babbo                        - Cristina è la più ostinata della famiglia. (Nels e Katrin si sono avvicinati alla porta di entrata. Si guardano, sotto il lampione. Katrin ha l'aria spa­ventata; Nels la conforta battendole una mano sulla spalla, Katrin entra in casa, Nels la segue. La mamma guarda Katrin, osservandola attentamente. Katrin si volta da un'altra parte, si leva cappello e mantello, togliendo qualche cosa di tasca).

Nels                               - Com'è andata la riunione, babbo?

Il Babbo                        - Domani si riprende a lavorare.

La Mamma                    - È una cosa bellissima.

Katrin                            - (alla mamma) Mamma... ho qua la tua spilla. (Gliela dà) Mi dispiace di avere recitato così male. Vado ad aiutare Cristina a lavare i piatti. (Va in dispensa)

La Mamma                    - (apre il pacchettino, vede la spilla) Il padre di Dorotea gliel'ha restituita?

Nels                               - Siamo andati a casa sua a prenderla. Non ce la voleva dare perché voleva regalarla alla moglie per il suo compleanno; ma Katrin lo ha sup­plicato tanto. Si è persino offerta di lavorare per lui nel suo negozio durante le vacanze, purché le resti­tuisse la spilla.

Il Babbo                        - Ah sì? Brava Katrin.

La Mamma                    - E lui che cosa ha detto?

Nels                               - Che ciò non occorreva. Ma le ha dato un posto. E così Katrin andrà a lavorare tutti i pomeriggi per tre dollari alla settimana.

La Mamma                    - Ed il servizio da toilette? L'ha restituito?

Nels                               - Sì, e ne ha sofferto. È stata una grande rinuncia. Katrin è una gran brava ragazza. Ed ora, buonanotte. Domattina devo alzarmi presto.

Il Babbo                        - Buona notte, Nels.

Nels                               - Buona notte, babbo. (Esce).

La Mamma                    - Buona notte, Nels.

Il Babbo                        - Nels è il più affettuoso della famiglia. (Vuol riempire la tazza di caffè della mamma, la quale glielo impedisce coprendo la tazza con la mano).

La Mamma                    - (si alza e chiama) Katrin! Katrin!

Katrin                            - (sulla porta della dispensa) Sì, mamma?

La Mamma                    - Vieni qui. (Katrin si avvicina. La mamma ha in mano la spilla) Mettitela.

Katrin                            - Oh, no, è tua.

La Mamma                    - È il regalo per gli esami. Lascia che te la appunti io. (Gliela appunta).

Katrin                            - (quasi in lacrime) La porterò sempre. La conserverò per tutta la vita.

La Mamma                    - Cristina non doveva dirti nulla.

 Katrin                           - Sono contenta che me lo abbia detto.

Il Babbo                        - Anch'io sono contento. (Inzuppa una zolletta di zucchero nel caffè e gliela porge) Katrin?

Katrin                            - (in lacrime, scuote il capo) Babbo... mi dispiace... ma non mi sento... (Si allontana e siede sulla cassapanca sotto la finestra, dando la schiena alla stanza).

Il Babbo                        - Andiamo, andiamo. (Va verso ili mobile credenza).

La Mamma                    - Che cosa cerchi, Lars? (Egli non risponde, prende una tazzina ed un piattino e vi versa del caffè, fa cenno alla mamma che lo offrirà a Katrin, la mamma acconsente col capo, tutta contenta, e con j la mano fa cenno di non mettere troppo caffè, prende il bricchetto della panna e colma così la tazzina. Il I babbo vi mette lo zucchero, indi si avvicina a Katrin. Katrin si volta e il babbo le porge il caffè).

Katrin                            - (incredula) Per me?

Il Babbo                        - Per la nostra figliola che è diventata grande. (La mamma consente col capo).

Katrin                            - (prende la tazza e sta per portarsela alle labbra, ma l'emozione la vince. Rimette la tazzina nelle mani del babbo e fugge dalla stanza).

Il Babbo                        - Katrin è la più emotiva della famiglia. La sua prima tazza di caffè, e non la beve.

La Mamma                    - È così tardi! Porse non l'avrebbe fatta dormire.

Il Babbo                        - Tu sei la più sensata della famiglia.

La Mamma                    - Bevilo tu. Non vorrai mica sciu­parlo? (Gli porge la tazza. Oscurità. Luce sulla piat­taforma di sinistra. La camera di soggiorno in casa di Jenny. Un telefono su un tavolo. Trina sta par­lando al telefono).

Trina                              - (al telefono) Sì, Peter. Sì, Peter... lo so, Peter, ma non sappiamo dove sia. È tanto che non abbiamo sue notizie. Non tarderà molto a tornare. sì, lo so, Peter... lo so, ma... (Ubbidiente si arrende) Sì, Peter. Sì, Peter. (Con tenerezza) Oh, Peter, lo sai benissimo. Perché me lo domandi? Arrivederci, Peter. (Poso il ricevitore, si volta e vede Jenny che è entrata nella camera mangiando una fetta di pane tostato con marmellata).

Jenny                             - Di che si tratta?

Trina                              - Peter dice che non è più il caso di aspet­tare il ritorno dello zio Cris. Vuole mandare gli inviti subito. Questa volta è deciso. Peter a volte sa essere molto autoritario... specialmente quando è solo con me. (Suona il telefono. Jenny risponde, posando il pane, che Trina rosicchierà durante la seguente scena).

Jenny                             - Questa è la pensione della signora Stenborg... Sono io, in persona. Sei tu, Marta? Che suc­cede? (Ascolta. Il riflettore sulla piattaforma di destra ci fa vedere la mamma che parla da una cabina, ad un telefono pubblico. Ha il mantello ed il cappello ed un telegramma aperto in mano).

La Mamma                    - Jenny. Lo zio Cris. Ho ricevuto un telegramma. Dice che se vogliamo vederlo ancora vivo dobbiamo partire subito.

Jenny                             - Ma dove si trova?

La Mamma                    - (guardando il telegramma) Il luogo si chiama Ukiah. Nels dice che si trova a nord di San Francisco.

Jenny                             - E chi ha mandato il telegramma?

La Mamma                    - Ma, Jenny, non lo so. O forse... lo so.

Jenny                             - Io non vengo. (Sigrid arriva dal sipario centrale, con cappello e mantello e il sacco della spesa pieno di verdura. Jenny le parla in un orecchio) Marta dice che lo zio Cria è in fin di vita. (Al telefono) Come mai hanno mandato a te il telegramma? Sono io la maggiore.

La Mamma                    - Jenny, non è questo il momento di stabilire chi è la maggiore. Lo zio Cris sta morendo.

Jenny                             - Non ci credo. È troppo avaro per morire. Quello non morirà mai. (Nels arriva dalle quinte e forge alla mamma un foglio di carta) Io non vengo.

La Mamma                    - Jenny, non c'è tempo da perdere. C'è un treno alle undici. Ci vogliono quattro ore. Vorrei parlare con Sigrid.

Jenny                             - È qui, accanto a me.

La Mamma                    - Allora dalle tu la notizia.

Jenny                             - Come hai detto che si chiama il posto?

La Mamma                    - Ukiah. U.K.I.A.H.

Jenny                             - Io non vengo.

La Mamma                    - Fai come vuoi. (Posa il ricevitore. Oscurità sulla piattaforma della mamma).

Sigrid                            - Lo zio Cris moribondo!

Jenny                             - Sconta i suoi peccati.

Trina                              - Oh, ma è vecchio, lo zio. Forse è giunta la sua ultima ora.

Jenny                             - Quattro ore di treno e forse si dovrà anche passare la notte... E tutta questa spesa per stare a vedere un vecchio ubriacone morire di « deli­rium tremens ».

Sigrid                            - Lo so, ma... e il testamento?

Jenny                             - Hum... anche supponendo che abbia qualche cosa da lasciare, a chi credi che la lascerà? Lo sappiamo benissimo a chi lascerà.

Sigrid                            - Sì. Ad ogni modo egli sta morendo... e il sangue non è acqua... specialmente se si tratta di sangue norvegese. Io ci vado. Porterò Arne con me. Lo zio Cris ha sempre voluto molto bene ai bambini.

Trina                              - Sono del parere di Sigrid.

Jenny                             - Tu, ad ogni modo, non ci puoi andare.

Trina                              - E perché no?

Jenny                             - Per via di quella donna. Tu non ti puoi incontrare con una donna di quel genere.

Trina                              - Ma perché no? Se voi due...

Sigrid                            - Noi siamo sposate.

Trina                              - Ed io sono fidanzata.

Jenny                             - Non è la stessa cosa.

Sigrid                            - Proprio per niente.

Trina                              - Sciocchezze. Non ho mai conosciuto una donna di quel genere. Forse non mi capiterà più un'occasione simile. Inoltre, se per caso lo zio Cris modificasse il testamento, ricordate che c'è sempre la mia dote in ballo. Sarà bene che venga anche Peter?

Jenny                             - Peter? Per fare che cosa?

Trina                              - Ebbene, dopo tutto... intendevo... ecco... data la sua professione...

Jenny                             - Trina, sei sempre la solita stupida. Tutti sanno che l'ultima persona che i moribondi vogliono vedere è l'impresario delle pompe funebri. (Oscurità. Piattaforma gira e sparisce. Riflettori su Katrin, in piedi, al proscenio, centro-destra. Ha il cappello di scuola).

 Katrin                           - Quando la mamma mi disse che io l'avrei accompagnata dallo zio Cris, ne fui spaventata e contenta insieme. Era una grande novità andare alla stazione, prendere il treno, preparare lo spuntino per il viaggio, come si fa per una scampagnata. Ma ero terrorizzata all'idea di vedere la morte da vicino, sebbene mi facessi coraggio dicendomi che se volevo diventare una scrittrice dovevo passare attraverso tutte le esperienze. L'unica' mia speranza era che al nostro arrivo tutto fosse finito. (Si avvia al centro, verso i gradini e comincia a salirli) Era di pomeriggio quando arrivammo. Lo zio Cris aveva indubbia­mente fama di avere un carattere un po' bizzarro... Il ranch era a tre miglia circa dalla città. Il luogo era isolato, ma l'erba era alta, gli alberi enormi e vi era un forte odore di caprifoglio nell'aria. (Da destra, seguendo Katrin, la processione dei parenti: Katrin, la mamma, Jenny, Trina, Sigrid ed Arne) E la donna ci venne incontro, sugli scalini. (La processione si avvia verso il centro e la donna compare dal sipario chiuso, e scende un gradino. Le zie restano impalate, la mamma le va incontro).

La Mamma                    - Come sta lo zio? È sempre...

La Donna                      - (padrona di sé) Entrate, accomo­datevi, vi prego. (Apre il sipario di centro, come se fosse la porta di entrata. La mamma entra, Katrin segue guardando la donna con curiosità. Le zie avan­zano impettite, passandole davanti; Sigrid tiene stretto a sé Arne, temendo che la donna possa toccarlo. Spa­riscono dietro il sipario. La donna sosta un momento, guardando davanti a sé, lontano. Poi sparisce anche lei dietro la tenda. Si apre la scena principale. Camera da letto dello zio Oris. Camera semplice. La porta è nel fondo a sinistra. Nel muro di sinistra vi è una finestra con delle tendine scostate, di fronte un catino per lavarsi. Il sole pomeridiano entra dalla finestra, illuminando il grande letto matrimoniale sul quale lo zio Cris giace sostenuto da molti guanciali. Accanto, sul tavolino da notte, vi è una brocca d'acqua).

Lo Zio                           - (porgendo il bicchiere vuoto alla mamma) Ancora, ne voglio ancora, dammene ancora. Ce n'è rimasto un po' nella bottiglia.

La Mamma                    - Non vi può far bene, adesso.

Lo Zio                           - (dando un'occhiataccia a Jenny) Mi fa sempre bene e specialmente adesso.

Jenny                             - Zio Cris, non vi rendete conto...

Lo Zio                           - Conto di che cosa? Che sto morendo? Lo so. Altrimenti perché sareste venute? Perché state lì impalate a guardarmi? (Si raddrizza) Uscite, uscite, non vi voglio. Uscite.

Jenny                             - Va bene. Va bene. Andiamo. Se ci volete siamo nella veranda. (Si avvia alla porta).

Lo Zio                           - Ma sì, brave, andate nella veranda, e rimaneteci. (Jenny esce. Trina segue, Sigrid sta per uscire, ma lo zio la trattiene) Aspetta. C'è anche Arne. Avvicinati Arne. (Arne spinto in avanti da Sigrid, si avvicina al letto) Come va il tuo ginocchio?

Arne                              - Benissimo, zio Cris.

Lo Zio                           - Non ti fa più male? Non devi più ripetere quelle parole che ti ho insegnato?

Arne                              - No, no, zio Cris.

Lo Zio                           - Cammini bene, proprio bene? Fammi vedere, cammina per la stanza. (Arne obbedisce) Più svelto. Corri. (Arne obbedisce) Va bene.

Sigrid                            - (incoraggiata ed avvicinandosi) Zio Cris, Arne vi ha sempre voluto molto bene...

Lo Zio                           - Ho detto a tutti di uscire. Tutti, tranne Marta. (Mentre Katrin si avvia a raggiungere le zie) E Katrin. Katrin ed io abbiamo un segreto, ricordi Katrin?

Katrin                            - Sì, zio Cris.

La Mamma                    - Zio Cris, adesso dovete riposare.

Lo Zio                           - Allora, dammi da bere.

La Mamma                    - No, zio Cris.

Lo Zio                           - Non si può sciupare ciò che è rimasto nella bottiglia. Voi non bevete... chi lo berrà una volta morto io? Che male può farmi, ormai? Tanto muoio lo stesso. Dammi un sorso, Marta, sii buona. (La mamma va al lavabo, prepara nel bicchiere acqua e whisky e lo porge allo zio sedendo accanto al letto. Egli beve, poi si volta verso la mamma buttandosi indietro, contro il braccio di lei ed i guanciali) Marta, non ho mai fatto testamento. Non ho mai avuto denaro sufficiente perché ne valesse la pena. Tu ven­derai questa piccola proprietà; non la pagheranno gran che perché l'ho comperata da poco, e vi è un'ipo­teca, un'ipoteca grossa. Ma qualcosa resterà. Duecento dollari o forse trecento. Li darai a Yessie.

La Mamma                    - Yessie?

Lo Zio                           - Yessie Brown, la mia governante. Ma perché la chiamo così davanti a te? Essa è la mia compagna. È stata la mia compagna per dodici anni, mia moglie. Ma non posso chiamarla così perché suo marito è vivo... chissà dove. Faceva l'infermiera, ma si è poi ammalata e così l'ho condotta in campagna perché guarisse. Non resterà denaro per te, Marta. Speravo di lasciartene abbastanza perché Nels potesse studiare medicina, ma ho avuto altri impegni... più urgenti. Ora non ho più tempo per fare altri soldi. Non ti lascio nulla, ma vorrei che Nels diventasse medico ugualmente.

La Mamma                    - Ma certo, zio Cris. È ciò che Lars ed io abbiamo sempre desiderato per Nels. Aiutare la gente che soffre...

Lo Zio                           -  È la cosa più bella del mondo. È come avere un Dio in noi. Ho sempre desiderato di essere medico, è la sola cosa che abbia veramente desiderato. Nels deve esserlo in vece mia.

La Mamma                    - Lo sarà, zio Cris.

Lo Zio                           - Sono contento. (Le accarezza la mano) Tu sei buona. Sono felice che tu sia venuta. (Lo zio muove la testa con irrequietudine) Dov'è Yessie?

La Mamma                    - Credo che attenda fuori.

Lo Zio                           - Ti dispiace se la faccio entrare?

La Mamma                    - Ma no, zio Cris.

Lo Zio                           - Chiamala. Mi fa piacere avervi tutte e due accanto a me. (La mamma esce dando uno sguardo a Katrin. Lo zio fa segno a Katrin di avvi­cinarsi. La ragazza siede sulla sedia accanto al letto) Katrin, la mamma mi ha detto che hai incominciato a prendere il caffè. (Katrin accenna di sì. Lo zio la guarda con affetto, seguendo il suo pensiero) Katrin che diventerà una grande scrittrice... (Di nuovo rivol­gendosi a lei) Adesso non hai più paura di me, vero?

Katrin                            - No, zio Cris.

Lo Zio                           - Un giorno, forse, scriverai una novella sullo zio Cris.

Katrin                            - (con un sussurro) Sì, zio Cris. (La mamma rientra con Tessie, si avvicinano al letto).

Lo Zio                           - (palesemente esausto e sofferente) Statemi accanto tutte e due... Ora è meglio che Katrin se ne vada. Addio, Katrin. (In norvegese) Farveli, Katrin.

Katrin                            - Addìo, zio Cris.

Lo Zio                           - Dillo in norvegese, come lo dico io.

Katrin                            - Farveli, onkel Cris. (Esce in lacrime).

Lo Zio                           - Yessie. È meglio fare le presentazioni. Yessie, questa è mia nipote Marta, l'unica nipote che mi va a genio. Marta, questa è Yessie, che mi ha dato tanta felicità. (Le due donne si stringono la mano).

La Mamma                    - Sono molto felice di conoscervi.

Yessie                           - Anch'io.

Lo Zio                           - (mentre si stringono la mano) Bene. Ora prendi i bicchieri più belli, Yessie. (Ridacchiando alla mamma) A Yessie non piace bere, ma questa è un'oc­casione speciale. ( Yessie prende da un armadio a muro tre bicchieri) Che ore sono?

La Mamma                    - Circa le quattro e mezzo, zio Cris.

Lo Zio                           - Nel pomeriggio il sole gira da questa parte della casa. Meglio chiudere le tendine... c'è troppa luce per i miei occhi. (La mamma eseguisce. La scena diventa più buia. Tessie versa il liquore nei tre bicchieri, in due dei quali aggiunge acqua. Sta per mettere acqua anche nel terzo, quando lo zio la ferma) No, no, io lo prendo senza acqua. Sempre senz'acqua, l'ultimo bicchiere: è un'abitudine norvegese. (Sorri­dendo alla mamma) Vero? ( Yessie siede sul letto accanto a lui per aiutarlo a bere. Egli la allontana) No, non ho bisogno di aiuto, bevo da solo. (Le prende di mano il bicchiere) Dai a Marta il suo bicchiere. (Yessie ese­guisce. Le due donne sono in piedi, ognuna ad un lato del letto, col bicchiere in mano) Allora... skoal!...

Yessie                           - (toccando il di lui bicchiere) Skoal!

La Mamma                    - (idem) Skoal! (Tutti e tre bevono. Le luci si abbassano, poi oscurità. Sipario. Riflettore sulla piattaforma. La veranda: una panca ed una sedia. Le zie sono sedute. Jenny dormicchia).

Sigrid                            - (sventolandosi col fazzoletto) Queste zan­zare sono tremende. Mi hanno già mangiata viva.

Trina                              - Verso il tramonto le zanzare diventano più cattive. (Ne acchiappa una).

Jenny                             - (svegliandosi si raddrizza) Non avrei dovuto lasciarmi convincere. Venir qui, essere insul­tata così... cacciata via dalla stanza e dover aspettare per ore ed ore, senza nemmeno una tazzina di caffè.

Sigrid                            - Se sapessi dov'è la cucina te la farei io una tazza di caffè.

Jenny                             - Nella sua cucina? Sarebbe un veleno! (Alzandosi) Io torno a casa. Vieni con me, Trina!

Trina                              - Oh, preferirei aspettare un po'. Povero zio Cris, dopo tutto non gli si può dire di far presto... volevo dire... (Si arresta, confusa per quello che ha detto).

Jenny                             - (a Sigrid) E tutte le tue chiacchiere circa il testamento... Non abbiamo potuto dire una parola.

Trina                              - Forse Marta ha potuto parlargliene. (La mamma arriva dal sipario centrale).

Jenny                             - Ebbene?

La Mamma                    - Se n'è andato. (Lungo silenzio).

Jenny                             - (con più garbo di quanto non sia nelle sue abitudini) E non ha detto nulla a proposito del testamento?

La Mamma                    - Lo zio Cris non ha lasciato testa­mento.

Jenny                             - Allora, dato che noi siamo i parenti più prossimi...

La Mamma                    - Non ha lasciato denaro.

Sigrid                            - E come lo sai?

La Mamma                    - Me lo ha detto lui. (Prende di tasca un piccolo taccuino).

Jenny                             - Che cos'è?

La Mamma                    - L'elenco delle sue spese.

Jenny                             - Liquori, si capisce.

La Mamma                    - No, Jenny, non è così. Ora ti leggo. (Jenny siede) Lo zio era zoppo... e il suo pensiero costante è stato quello di soccorrere gli zoppi. Il suo sogno sarebbe stato di essere medico per poterli aiu­tare. Li ha aiutati invece in un altro modo. Vi leggo l'ultima pagina... (legge nel taccuino) « Joseph Spi­nelli - anni quattro - tubercolosi alla gamba sinistra trecentosessantasette dollari e ottanta centesimi... »- (Pausa) «Adesso cammina. Està Jensen - nove anni - piede deforme - duecentodiciassette dollari e cin­quanta centesimi. Adesso cammina ». (Leggendo più lentamente) « Arne Solfeldt...

Sigrid                            - (sorpresa) Il mio Arne?

La Mamma                    - (leggendo) « Anni nove - sinovite -quattrocentoquarantadue dollari e dieci centesimi... ». (Katrin ed Arne arrivano correndo da sinistra, attra­verso il palcoscenico).

Arne                              - (arrivando di corsa) Mamma... mamma... non si mangia? (Si arresta, intimidito dalla solennità che regna nel gruppo, la mamma gli fa cenno di star zitto) Che cosa c'è? Lo zio Cris...

La Mamma                    - (alle zie) L'esito non l'ha scritto. Debbo aggiungere: ora cammina?

Sigrid                            - (soggiogata) Sì.

La Mamma                    - (togliendo dal libretto la matita) Forse si potrebbe anche mettere: «ora corre ». (Sigrid, com­mossa, fa cenno di sì. Trina piange. La mamma scrive, poi chiude il taccuino) E così, ecco tutto. Non c'è scritto altro. (Mettendo una mano sulla spalla di Jenny) Era tanto buono.

Jenny                             - (dopo un attimo di emozione) Vado a farvi un po' di caffè... (Tessie compare sui gradini, dal sipario centrale).

Yessie                           - Potete venirlo a vedere, se volete. (Jenny si volta verso le sorelle, esitando,. Poi annuisce, ed entra, sparendo dietro il sipario. Trina idem, asciu­gandosi gli occhi. Sigrid mette il suo braccio attorno ad Arne, in uno slancio di amor materno. La mamma, Katrin e Tessie rimangono sole) Per stassera io andrò all'albergo... Voi potete rimanere qui. (Sta per tornare da dove è venuta, ma la mamma la ferma).

La Mamma                    - Che cosa pensate di fare quando... lo avranno portato via? Avete denaro? (Tessie scuote il capo) Dove andrete a vivere?

Yessie                           - Troverò una camera da qualche parte. Probabilmente tornerò a fare l'infermiera.

La Mamma                    - Vi piacerebbe venire un po' di tempo a San Francisco, in casa nostra? Abbiamo posto... molto posto.

Yessie                           - (commossa, avvicinandosi alla mamma) Siete molto buona, ma...

La Mamma                    - Mi farebbe piacere avervi. Venite come ospite, e quando ' avrete trovato da lavorare diventerete nostra pensionante.

Yessie                           - (imbarazzata e grata) Non vedo perché dobbiate disturbarvi...

La Mamma                    - (toccandole un braccio) Siete stata molto buona con lo zio Cris. (Tessie le afferra la mano commossa, poi si volta e quasi fugge, sparendo dietro il sipario. La mamma a Katrin) Katrin, vieni a vedere lo zio Cris?

Katrin                            - (spaventata) Vederlo?... Vuoi dire...

La Mamma                    - Ho piacere che tu lo veda. Non devi avere paura. Ha l'aria felice e serena. Devi sapere che cos'è la morte. Così non ti farà più paura.

Katrin                            - Vieni anche tu, mamma? (La mamma le circonda le spalle col braccio sospingendola verso la camera dello zio. Escono. Sipario. Riflettori sulla piat­taforma di sinistra, che rappresenta una panca in un giardino pubblico, presso una siepe. Trina e Peter, in abito da passeggio siedono. Trina, curva sul carrozzino, vezzeggia un neonato).

Trina                              - Chi è il bimbo più bello di San Fran­cisco? Chi è che compirà tre mesi domani? Il piccolo Cristoforo Thorkelson. Peter, somiglia allo zio Cris. A parte i riccioli neri, quelli, naturalmente, li ha presi da te. (Al neonato) E quando sarà grande diven­terà un norvegese nero come il suo papà e come lo zio Cris. (Sistemandosi accanto a Peter) Mi pare che la sua boccuccia abbia già qualcosa di... volitivo. La tua bocca. Io ho sempre veduto in te qualche cosa che ricorda lo zio Cris. Guardalo, si è addor­mentato.

Peter                              - Lo sai che cos'è giovedì prossimo?

Trina                              - (fa cenno di sì, sorridendo) Il nostro anniversario.

Peter                              - Ti piacerebbe dare un piccolo ricevimento?

Trina                              - Un ricevimento?

Peter                              - Oh, un ricevimento modesto. Niente di famoso o di eccentrico, dopo tutto siamo sposati da un anno, e prima per il tuo lutto, poi per l'attesa del bimbo, non abbiamo potuto ricevere. Penso che è ora che tu... prenda il tuo posto in società.

Trina                              - (impaurita) Ma... che genere di ricevi­mento?

Peter                              - Di sera. (Gon orgoglio) Una soirée. Direi... una diecina di persone... qualcuno della colonia nor­vegese e Lars e Marta, s'intende...

Trina                              - (contando sulle dita) E Jenny e Sigrid...

Peter                              - Oh... veramente... non avevo pensato di invitarle.

Trina                              - Oh, dobbiamo. Non è possibile lasciarle da parte.

Peter                              - Trina, spero che non ti offenderei se ti dico che mi sono sempre sentito a disagio in com­pagnia di Jenny e Sigrid. Mi hanno sempre fatto capire che io... non ero degno di te... È così, lo so, ma non è piacevole sentirselo ricordare ad ogni momento.

Trina                              - (prendendogli la mano) Ob, Peter.

Peter                              - Hai ragione. Dobbiamo invitarle. Dunque, per il buffet che cosa diresti di preparare?

Trina                              - (elettrizzata) Ob, non so... io... direi di... Ecco, gelati e dolci... e caffè... naturalmente... e... forse del Porto per gli uomini?

Peter                              - (preoccupato) Porto?

Trina                              - Poco, poco. Lo porteresti tu già servito nei bicchierini. Jenny e Sigrid potranno aiutarmi a servire i gelati.

Peter                              - No. Se Jenny e Sigrid verranno, faranno le invitate come tutti gli altri. Prenderò qualcuno per aiutarti in cucina.

Trina                              - Intendi dire una cameriera? (Peter accenna di sì, raggiante) Oh, ma nessuno di noi ha mai avuto... voglio dire... credi proprio... tu hai detto che non doveva essere fastoso...

Peter                              - (un po' concitato) Trina, c'è una cosa che vorrei tanto dirti. Non sono mai stato capace di esprimermi bene... di manifestarti i miei senti­menti... ma voglio che tu sappia che non soltanto ti voglio bene, ma che sono anche... ecco... anche orgo­glioso di te, e voglio che tu possegga tutto quanto mi è umanamente possibile procurarti. (In crescendo e come conclusione) Voglio che tu abbia una cameriera.

Trina                              - (sopraffatta) Sì, Peter. (Si prendono le mani. Le luci si affievoliscono e si spengono. La piat­taforma gira. Si alza il sipario centrale. La cucina è un po' mutata: ripulita, con mobili migliori. Il babbo e la mamma, come al solito, siedono ai loro posti. Dagmar, più altina, seduta sulla cassapanca sta leg­gendo un grosso libro. Dalla comune entra Nels. Ha in mano un giornale. Ha i pantaloni lunghi e dimostra 20 anni).

Nels                               - Buona sera a tutti. Ecco il giornale della sera, babbo. (Il babbo posa il giornale del mattino che stava leggendo e prende quello che gli porge Nels).

Il Babbo                        - Vi sono novità?

Nels                               - No. (Prende di tasca un pacchetto di siga­rette, con atteggiamento disinvolto. La mamma lo osserva con sguardo disapprovatore. Poi, mentre sta per accen­dere la sigaretta si arresta, ricordando qualcosa) Oh, scordavo. C'è una lettera per Katrin. L'ho trovata entrando in casa. (Alla comune) Katrin! C'è una lettera per te.

Katrin                            - (fuori scena) Scendo.

La Mamma                    - Nels, sai di chi è la lettera?

Nels                               - Veramente... no, mamma. (Gliela porge) Si direbbe la calligrafia di Katrin.

La Mamma                    - (guardando la lettera) Male.

Nels                               - Perché « male »?

La Mamma                    - Ne riceve troppe! Io credo che siano novelle che invia alle riviste.

Dagmar                         - (chiudendo il libro con rumore si alza) Bene, vado a vedere se sono nati i cuccioli. Ho preso una grande decisione.

La Mamma                    - Sentiamo...

Dagmar                         - Se Nels, da grande, farà il medico, io farò... (compilando il titolo del libro) il... ve... veterinario!

La Mamma                    - Ma lo sai chi è il veterinario?

Dagmar                         - Il medico degli animali.

La Mamma                    - Benissimo, brava.

Dagmar                         - Nel mondo ci sono molti più animali che persone e non è giusto che vi siano più medici per le persone che per gli animali. Non è giusto. (Si avvia alla dispensa) Potremmo comperare un cavallo? (Questa frase provoca le risa generali, Dagmar si volta con aria triste) Lo sapevo che non sarebbe stato possibile. (Entra in dispensa. Katrin arriva dalla comune. Indossa un abitino un po' più da grande. Ha i capelli tirati su e dimostra circa diciotto anni).

Katrin                            - Dov'è la lettera?

La Mamma                    - (porgendogliela) Eccola.

Katrin                            - (prendendola, nervosa, legge la busta e la sua espressione si rattrista. Apre la busta, ne toglie un manoscritto ed un biglietto. Li guarda e li rimette nella busta. Tutti la osservano di nascosto. Essa alza gli occhi con aria decisa) Mamma... babbo... debbo dirvi una cosa.

Il Babbo                        - Sentiamo.

Katrin                            - Non voglio andare all'università.

Il Babbo                        - E perché?

Katrin                            - Perché sarebbe una perdita di denaro e di tempo. Volevo andare all'università per diven­tare una scrittrice e siccome non la diventerò mai...

La Mamma                    - Katrin, è stata quella lettera a farti prendere questa decisione? Hanno di nuovo rifiutato una tua novella?

Katrin                            - Di nuovo! È il decimo rifiuto. Questo è stato l'ultimo tentativo.. È la migliore che abbia mai scritta, e che mai scriverò. Lo so. Ebbene... non va.

Nels                               - Che genere di novella è?

Katrin                            - Oh, è la storia di un pittore, che è un genio e poi diventa cieco.

Nels                               - È uguale a « La luce che si spense! ».

Katrin                            - Che cosa vuoi dire?

Nels                               - (precipitosamente) Niente, niente.

Katrin                            - Non è affatto uguale, il mio pittore guarisce. Gli fanno un'operazione, ricupera la vista e si rimette a dipingere meglio di prima.

La Mamma                    - È bella.

Katrin                            - (amaramente) No, non è bella. È brutta... ma non so far di meglio.

La Mamma                    - Hai chiesto il parere ai tuoi maestri?

Katrin                            - I maestri non sanno, s'intendono sol­tanto di letteratura.

La Mamma                    - Se ci fosse qualcuno a cui chiedere consiglio... che ci potesse dire... se nelle tue novelle c'è del buono.

Katrin                            - Non conosciamo nessuno. E poi non c'è niente di buono nelle mie novelle.

Il Babbo                        - (leggendo il giornale della sera) Il giornale, in qualche parte, parla di una scrittrice... avevo letto il titolo.

Katrin                            - Chi?

Il Babbo                        - Una signora che si chiama Fiorenza Moorbead. C'è anche la sua fotografia. Com'è grassa. L'hai mai sentita nominare?

Katrin                            - Ma certo. Chi non la conosce? È famo­sissima. Sta facendo una serie di conferenze.

Il Babbo                        - (cercando nel giornale) Aspettate... « Una scrittrice ci spiega il segreto per ottenere il successo ».

La Mamma                    - E qual è questo segreto?

Il Babbo                        - Katrin, leggi tu. (Le porge il giornale).

Katrin                            - (sorvolando la prima parte, senza quasi articolare le parole che legge) « Fiorenza Moorhead, celebre scrittrice... è stata intervistata stamane... nel suo appartamento all'albergo... ha dichiarato che la qualità essenziale per avere successo è la sincerità ». (Buttando via il giornale) Bella roba!

La Mamma                    - Katrin, forse questa signora... se tu le mandassi le tue novelle da leggere, potrebbe dirti che cos'è che non va.

Katrin                            - (seccata) Ma per carità! Una persona così importante... una celebrità... Non le leggerebbe mai. Tu credi che scrivere sia la stessa cosa che cucinare. Che basti avere la ricetta. Per scrivere bisogna avere il dono, il fuoco sacro.

La Mamma                    - Anche per cucinare bisogna avere il fuoco sacro. E anche se si ha il fuoco sacro, ci sono delle cose che bisogna imparare.

Katrin                            - Ebbene, io non ho il fuoco sacro. Lo so... adesso. Babbo, se hai finito di leggere i giornali, vorrei vedere le offerte d'impiego per cercarmi un posto. (Esce).

La Mamma                    - Che ne pensi, Nels?

Nels                               - A me le sue novelle piacciono. Ma non so che cosa ne pensino gli altri.

La Mamma                    - Sarebbe bene saperlo. Nels, la signora del giornale... che cosa altro dice!

Nels                               - (prendendo il giornale) Non molto. Il resto riguarda lei e la sua casa. Vediamo... (Legge) « Dopo la letteratura, la passione più grande della signora Moorhead è la gastronomia...».

La Mamma                    - Studia gli astri?

Nels                               - No, la cucina. « È una bravissima cuoca e dichiara di provare lo stesso piacere a fare un buon soufflé che a scrivere una novella e che una nuova ricetta le procura la stessa gioia di una prima edi­zione ».

La Mamma                    - (prendendo il giornale) Mi fai vedere la fotografia? (La guarda) Ha un viso buono. (Legge e poi alza il capo) Che cos'è una prima edizione? (La scena si oscura. Luce sulla piattaforma di sinistra, che rappresenta il salone di un albergo. Contro una colonna vi è un divano basso, e dietro una palma. Un'orchestra suona in sordina fuoriscena. La mamma è seduta sul divano ove attende con pazienza. Indossa mantello e cappello ed ha in mano un giornale e un 'pacco di manoscritti. Due clienti dell'albergo entrano dalla scena centrale, attraversano e spariscono fra le quinte di sinistra. La mamma li osserva. Poi, dal medesimo sipario arriva la signora Moorhead: è una donna di mezza età, alta e grassa, ricercata nel vestire. Un ragazzino arriva da destra, cercando di lei).

Il Ragazzo                     - Miss Moorhead?

Miss Moorhead             - Sì.

Il Ragazzo                     - Un telegramma.

Miss Moorhead             - Oh, grazie. (CU dà la mancia ed egli se ne va. La mamma si alza e le si avvicina).

La Mamma                    - Per piacere... scusi... Miss Moorhead... Miss Moorhead.

Miss Moorhead             - (sui gradini, alzando gli occhi dal telegramma) Mi chiamavate!

La Mamma                    - Sì. È lei miss Fiorenza Moorhead!

Miss Moorhead             - Sì.

La Mamma                    - Scusi... posso parlarle... solo per un momento?

Miss Moorhead             - Sì... di che cosa si tratta?

La Mamma                    - Ho letto sul giornale le sue opi­nioni sullo scrivere.

Miss Moorhead             - (con un sorriso vago e distratto di società) Ah, sì?

La Mamma                    - Mia figlia Katrin vorrebbe diven­tare scrittrice.

Miss Moorhead             - (che ha sentito altre volte queste parole) Davvero? (Dà un'occhiata all'orologio che porta sul petto).

La Mamma                    - Le ho portato le sue novelle.

Miss Moorhead             - Mi dispiace, ma ho molta fretta. Stasera lascio San Francisco...

La Mamma                    - Sono stata qui due ore, aspettando che lei rientrasse. Per piacere, mi conceda un minuto o due. Non chiedo altro.

Miss Moorhead             - (con gentilezza) Ma certo. Ma l'avverto che è inutile che mi chieda di leggere le novelle di sua figlia. Mi dispiace, ma mi son dovuta imporre come regola di non leggere nessun lavoro non pubblicato.

La Mamma                    - (annuisce, poi, dopo una pausa) Il giornale dice che anche lei raccoglie ricette... di cucina.

Miss Moorhead             - Sì, è vero. Ho anche scritto parecchi libri di cucina.

La Mamma                    - Anch'io mi interesso di... gastro­nomia. Faccio bene da mangiare. Cucina norvegese. Dei buoni piatti norvegesi. Lutefisk, Kjòdboller. Sono delle polpette di carne con salsa.

Miss Moorhead             - Le conosco. Le ho mangiate a Cristiania.

La Mamma                    - Ho una ricetta speciale per fare i Kjòdboller... Me l'ha data mia madre. Era la più brava cuoca che io abbia mai conosciuto. Non ho dato questa ricetta nemmeno alle mie sorelle, perché non sono brave cuoche.

Miss Moorhead             - (divertendosi) Oh!?

La Mamma                    - (con tono supplichevole) Le dò la ricetta se mi permette di parlare. Le assicuro che è una magnifica ricetta.

Miss Moorhead             - (divertita) Ebbene, mi pare che sia un buon affare. sediamo. (Vanno verso il divano dove siedono) Dunque, sua figlia desidera scrivere? Quanti anni ha?

La Mamma                    - Diciott'anni, proprio esatti.

Miss Moorhead             - Scrive, oppure vorrebbe scrivere?

La Mamma                    - Oh, non fa che scrivere. Forse non dovrebbe fare la scrittrice, ma è duro rinunziare a una cosa per la quale si sente vocazione.

Miss Moorhead             - Sono d'accordo ma...

La Mamma                    - Ho portato le sue novelle. Ne ho portate dodici.

Miss Moorhead             - (sbigottita) Dodici!

La Mamma                    - Ma se lei ne leggesse almeno una... Per giudicare un buon cuoco non occorre mangiare tutto un pranzo...

Miss Moorhead             - Lei è molto persuasiva. Perché sua figlia non è venuta con lei?

La Mamma                    - Era troppo scoraggiata e aveva soggezione... di lei. Perché lei è celebre. Io, invece, ho veduto la sua fotografia sul giornale, e...

Miss Moorhead             - Quella orrenda fotografia...

La Mamma                    - ... e mi son detta: ecco una persona alla quale piace mangiar bene...

Miss Moorhead             - (con un sorriso triste) È la verità. Ed ora mi parli dei Kjòdboller.

La Mamma                    - Una volta fatte le polpette, si but­tano nel brodo bollente, non nell'acqua. Qui sta il segreto.

Miss Moorhead             - Ah!

La Mamma                    - E la salsa è fatta con la panna. Altro segreto: alla fine bisogna aggiungere della panna acida.

Miss Moorhead             - Deve essere squisito.

La Mamma                    - La carne deve essere macinata sei volte. Posso scriverle la ricetta. E... (azzardando) mentre io scrivo, lei potrebbe leggere.

Miss Moorhead             - (con una risata) Va bene. Ha vinto. Andiamo in camera mia. (Si alza).

La Mamma                    - Lei è molto gentile. (Si avviano a sinistra) Se lei leggesse due novelle io potrei scri­verle anche l'altra ricetta, quella del Lutefìsk. Lei sa che cos'è il Lutefìsk? (Spariscono tra le quinte. La piattaforma gira e scompare. Luce sulla piatta-forma di destra. Katrin alla scrivania).

Katrin                            - Quando la mamma rientrò io ero assorta nel mio diario, che adesso chiamo il mio giornals. stavo scrivendo il mio triste addio all'arte. Accadeva assai di rado che la mamma venisse in soffitta, perché diceva che l'isolamento degli artisti va rispettato. E fui molto sorpresa di vederla appa­rire sulla soglia. (Katrin alza gli occhi. La mamma è in piedi sui gradini, al centro) Mamma.

La Mamma                    - Hai da fare, Katrin?

Katrin                            - (alzandosi di scatto) No, no... mamma.

La Mamma                    - (scendendo i gradini) Vorrei dirti una parola.

Katrin                            - Sì, mamma.

La Mamma                    - (sedendo alla scrivania) Stavi scri­vendo?

Katrin                            - No. Ormai è una cosa passata.

La Mamma                    - A proposito di questo volevo par­larti.

Katrin                            - Non è il caso di crucciarsi. Avevo già deciso di strappare tutte le mie novelle, ma non sono riuscita a trovarne che la metà.

La Mamma                    - Eccole.

Katrin                            - Le avevi prese tu? Perché?

La Mamma                    - Katrin, sono stata a trovare Miss Moorhead.

Katrin                            - Miss chi? Miss Florence Moorhead? (La mamma fa segno di sì col capo) Mamma, le hai portato le mie novelle?

La Mamma                    - Ne ha lette cinque. Sono stata con lei due ore. Abbiamo anche preso un bicchiere di sherry, anzi, due.

Katrin                            - E che cosa... che cosa ha detto delle mie novelle?

La Mamma                    - (con calma) Ha détto che non] vanno bene.

Katrin                            - (voltandosi da un'altra parte) Questo lo sapevo già. Era inutile prendersi tanta pena per sentirselo ripetere.

La Mamma                    - Ma ha detto anche dell'altro. Mi vuoi ascoltare?

Katrin                            - (cercando di essere compiacente) Ma certo, ma certo. Ascolto.

La Mamma                    - Aspetta, che cerchi di ricordare. Ha detto che fino ad ora tu hai scritto ripetendo soltanto ciò che hai letto nei libri, e che non è pos­sibile scrivere bene se non si sente ciò che si scrive. Miss Moorhead dapprima ha scritto anche lei delle pessime novelle su fatti non veri, ma un bel giorno si ricordò di cose accadute nella sua città nativa... di cose che lei soltanto sapeva e capiva... ed allora sentì che doveva scriverle... e fu così che scrisse la sua prima vera novella. Dice che tu devi descrivere soltanto ciò che hai veduto e vissuto...

Katrin                            - È ciò che ha sempre detto la maestra.

La Mamma                    - Forse la maestra aveva ragione. Non so se ripeto con esattezza le parole di Miss Moorhead, ma quando mi parlava capivo benissimo ciò che intendeva dire. La tua novella sul pittore cieco... per esempio... scusa se ti parlo schiettamente, ma è importante per te... non va. Come ha detto giustamente il babbo, tu sei troppo... drammatica, ti piace descrivere un pittore che, pur essendo cieco, sopporta il suo destino senza lamentarsi. Ma... ti sei mai domandata se ciò risponde alla realtà?

Katrin                            - Hai ragione.

La Mamma                    - Miss Moorhead ha detto che devi continuare a scrivere perché hai molta disposizione. (Katrin guarda la mamma, di nuovo infervorata) E quando avrai scritto una novella vera e sentita... puoi mandarla a leggere al suo agente, di cui mi ha dato l'indirizzo. (Rovistandosi le tasche in cerca del foglietto con l'indirizzo) Mi ha scritto due righe di raccomandazione per te. Eccole. No, questa è la ricetta del goulash, come lo faceva sua nonna. Eccolo qua. (Le mostra il biglietto) Katrin, non ti fa piacere ciò che ti ho detto?

Katrin                            - (di nuovo arrendevole, vinta) Sì... sì..., abbastanza. Ma che cosa posso scrivere? Io non ho mai veduto nulla, non sono mai stata in nessun posto.

La Mamma                    - Potresti scrivere su San Francisco. È una bella città. Miss Moorhead ha scritto sulla sua città.

Katrin                            - Lo so, ma ci deve essere un personaggio principale nel racconto. Miss Moorhead ha descritto suo nonno... Era un vecchio meraviglioso...

La Mamma                    - E tu non potresti scrivere del babbo!

Katrin                            - Del babbo?

La Mamma                    - Il babbo è un uomo superiore. Un uomo straordinario.

Katrin                            - Lo so, ma...

La Mamma                    - (alzandosi) Ora vado a preparare la cena. È tardi. Il babbo rientra a momenti. (Si avvia ai gradini, li sale verso il sipario centrale, poi voltandosi) Mi piacerebbe che tu scrivessi del babbo. (Esce).

Katrin                            - (tornando alla scrivania) Il babbo... Sì, va bene... ma che cosa ha fatto di straordinario? Che cosa gli è accaduto che sia degno di nota? Che cosa è accaduto a tutti noi che sia degno di nota? Oltre all'essere sempre stati poveri, all'avere avuto malattie, come quando Dagmar dovette essere por­tata in clinica e la mamma... (Le viene di colpo m'idea) Oh... Oh... (Pausa. Indi ritorna la Katrin di oggi) E così nacque, in un baleno, la novella « La mamma e l'ospedale », la prima delle mie novelle. Non dissi nulla alla mamma e nemmeno agli altri, ma la mandai all'agente di Miss Moorhead. Per molto tempo non seppi nulla, poi, un giorno, la famosa lettera arrivò. (Prende una busta dalla scrivania) Dapprima quasi non credetti... poi corsi in cucina gridando. (Si alza dalla scrivania, prendendo seco alcune carte e corre verso il centro scena gridando) Mamma! Mamma! (Il sipario si alea ed appare di nuovo la cucina. Quadretto familiare: mamma, babbo, Cri­stina e Nels. Dagmar non è presente. Katrin arriva correndo dai gradini. Appena lasciata la scrivania, la piattaforma sparisce) Mamma, mi hanno accettata una novella!

La Mamma                    - Una novella?

Katrin                            - Sì, ho ricevuto una lettera dall'agente... con un assegno di... (ansimante) cinquecento dollari.

Nels                               - Non stai scherzando?

La Mamma                    - Katrin, è vero?

Katrin                            - Eccolo. Ecco la lettera. Porse non ho letto bene. (La porge alla mamma. Babbo e mamma uniscono le teste sulla lettera e la divorano con gli occhi).

Cristina                         - Che cosa farai con cinquecento dollari?

Katrin                            - Non lo so. Comprerò il mantello da inverno per la mamma. Di questo sono sicura.

Ceistina                         - Un mantello non costa cinquecento dollari.

Katrin                            - Lo so. Il resto lo metteremo alla banca.

Nels                               - (scherzando) Fate presto prima che l'agente si penta e fermi l'assegno.

Katrin                            - D'accordo, mamma? Domani lo versi in banca?

La Mamma                    - Non so come si fa.

Nels                               - Non c'è che da dare l'assegno all'uomo dello sportello dicendogli di metterlo sul tuo conto, con l'altro denaro. (La mamma guarda il babbo).

Il Babbo                        - È ora che sappiano.

Cristina                         - Che sappiamo che cosa?

La Mamma                    - (disperatamente) Che non esiste nessun conto in banca. In tutta la mia vita non ho messo piede in una banca.

Cristina                         - Ma hai sempre detto che...

La Mamma                    - Lo so. Ma non era vero. Vi ho sempre mentito.

Katrin                            - Ma perché, mamma?

La Mamma                    - I bambini non debbono vivere tre­pidando... col timore di un avvenire incerto... Adesso che in casa ci sono cinquecento dollari, posso dirvi la verità.

Katrin                            - (andando verso la mamma, emozionata) Mamma.

La Mamma                    - (prontamente, fermandola) Leggici la novella. L'hai sottomano?

Katrin                            - Sì.

La Mamma                    - Allora leggi.

Katrin                            - Subito?

La Mamma                    - Sì. No... aspetta. Anche Dagmar deve ascoltare. (Apre la porta dalla dispensa e chiama) Dagmar!

Dagmar                         - (da fuori) Sì, mamma.

La Mamma                    - (chiamando) Vieni qui, subito.

Dagmar                         - (da fuori) Che c'è?

La Mamma                    - Vieni qui... no, i conigli lasciali lì. (Ritorna indietro) Qual è il titolo della novella?

Katrin                            - (sedendo sulla sedia che al principio della commedia venne usata da Mr. Hyde) « La mamma e l'ospedale ».

Il Babbo                        - (contento) Hai scritto della mamma?

Katrin                            - Sì.

La Mamma                    - Ma io credevo... credevo che tu avessi, ecco... (Addita il babbo, non veduta da lui).

Katrin                            - Lo so mamma, ma questo è quello che mi è venuto spontaneo. (Dagmar entra).

Dagmar                         - Che c'è? Che volete?

La Mamma                    - Katrin ha scritto una novella per una rivista e glie l'hanno pagata cinquecento dollari.

Dagmar                         - (alla quale non importa proprio niente) Oh! (Sta per ritornare in dispensa).

La Mamma                    - (trattenendola) Adesso Katrin ce la legge. Vorrei che l'ascoltassimo tutti. Sei pronta, Katrin?

Katrin                            - Prontissima.

La Mamma                    - Allora, leggi. (Il gruppetto intorno al tavolo è preciso al gruppo del primo atto, quando Mr. Hyde leggeva, nella prima scena, ma Katrin è al posto di lui).

Katrin                            - (leggendo) « La casa di via Steiner è sempre stata la nostra casa. Noi siamo nati tutti qui. Nels, il mio fratello maggiore... ». (Nels alza la testa, sorpreso di essere nominato) « Mia sorella Cristina ». (Cristina fa come Nels) ... « e Dagmar, la nostra sorel­lina Dagmar ».

Dagmar                         - Sono nella novella?

La Mamma                    - Sst... Ci siamo tutti nella novella.

Katrin                            - ... « Ma prima di tutti e più di tutti ricordo la mamma »... (Le luci diminuiscono, il sipario scende lentamente mentre la voce continua) «Ricordo che tutti i sabati sera la mamma sedeva al tavolo della cucina per contare il denaro che il babbo por­tava a casa in una piccola busta...».

FINE