Rinaldo in campo

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RINALDO

IN CAMPO

commedia musicale di

Garinei e Giovannini

musica di

Domenico Modugno

            PERSONAGGI                                       INTERPRETI

               ZIA AGATA                                                          

               ANGELICA DI VALSCUTARI                                     

               ARMIDA                                                               

               CLORINDA    sue sorelle                                     

               MARFISA                                                              

               RINALDO                                                              

               CHIERICUZZU                                                    

               IL CANTASTORIE / IL BANDITORE            

               FACCIESANTU                                                   

PRUREONASU                                                    

               SCIPPALESTU                                                    

               LU LUPO DE LI MUNTI                                    

SFATICADU                                                         

PUDDU U RINNEGATU                                    

CALASCIONE                                                      

SPRECAMUORTI                                                           

DON ROSARIO, barone di Castrovillari              

DON NICCOLÒ NICCORESI                            

I PUPARI                                                               

PASQUALINA, ballerina giardino Sindaco                                                        

IL CARCIERIERE                                                          

IL NONNO                                                             

CARMELA sorella di Prureonasu                        

ROSA                                                                      

SANTUZZA                                                                       

CAPITANO BIROLLI                                         

ROSALIA, sorella di Facciesantu                         

Prendono parte alla vicenda in ruoli diversi i SOLISTI e le SOLISTE.

- L'azione si svolge in Sicilia dal 14 maggio al 9 agosto 1860 -

Rinaldo in campo è stato rappresentato per la prima volta a Torino, Teatro Alfieri, il 12/ 9/1961, in occasione del centenario dell'Unità d'Italia; prodotto dalla MUSIC GMG.  Scene e co­stumi di Giulio Coltellacci, coreografie di Herbert Ross, regia di Garinei e Giovannini, collabo­razione artistica di Lina Wertmuller, con la seguente distribuzione:

zia Agata: Italia Chiesa; Angelica: Delia Scala; Armìda: Sìmona Sorlìsi; Clorinda: Gianna Zorini; Marfisa: Maria Teresa Dal Medico; Rinaldo: Domenico Modugno; Chiericuzzu: Paolo Panelli: il cantastorie; Attilio Bossio; Facciesantu: Ciccio Ingrassia; Prureonasu: Franco Fran­chi; Scippalestu: Goffredo Spinedi; Lu Lupu de li munti: Toni Ventura; Don Rosario: Giuseppe Porelli; Don Niccolò: Angelo Pericet; i pupari: "La Marionettistica" di Pippo Napoli; il carce­riere: Elio Rizzi.

Nell'anno 1962 Rinaldo in campo - con la stessa distribuzione - fu presentato, in rappresen­tanza dell'Italia, al Théátre des Nations di Parigi, nel corso del Festival delle Nazioni.

La seconda edizione di Rinaldo in campo, prodotta dalla MUSIC 2 in coproduzione con Il Teatro Biondo Stabile di Palermo, ha debuttato, nella stessa Palermo, il 411211987.  Scene e co­stumi di Giulio Coltellacci, coreografie di Gino Landi, regia degli Autori, con la seguente distri­buzione:

zia Agata: Italia Napoli; Angelica: Laura Saraceni; Armida: Ornella Buttazzo; Clorinda: Gioia Guida; Marfisa: Mariella Castelli; Rinaldo: Massimo Ranieri; Chiericuzzu: Rodolfo La­ganà; il cantastorie: Attilìo Bossio; Facciesantu: Luigi Maria Burruano; Prureonasu,.  Giacomo Civiletti; Scippalestu: Antonio Gullo; Don Rosario: Carlo Croccolo; Don Niccolò: Fiorenzo Na­poli; i pupari: "La Marionettistica" Fratelli Napoli di Catania.

Con il titolo di Rinaldo Dragonera, nella traduzione di Jan Makarius, lo spettacolo è stato rap­presentato a Praga.

Con il titolo di Rinaldi Rinaldini è stato rappresentato a Mosca.

PRIMO TEMPO

SCENA PRIMA.

Siamo in una sala della casa Mindelli di Valscutari. E’ la sera del 14 maggio 1860.  Le quattro baronessine di Valscutari sono intente al loro concertino serale.  Zia Agata ascolta sonnecchiando sulla sua poltrona.

Angelica, approfittando del sonno della zia, interrompe l'arietta che stanno suonando, per into­nare la «Bella Gigogin».

Le altre ragazze la seguono con i loro strumenti.  La zia si sveglia di soprassalto e le ragazze prendono a suonare la loro arietta.  Ma non appena la zia reclina di nuovo il capo nel sonno, Ange­lica le trascina di nuovo a suonare «Bella Gigogin».  Questa volta la zia Agata salta su, inviperita.

PERSONAGGI – zia Agata – Angelica – Armida – Clorinda – Marfisa - voci f.c. – Garibaldino

ZIA AGATA:             Angelica!

ANGELICA: Dite, zia.

ZIA AGATA:             Sconsiderata sei. Musica rivoluzionaria ti metti a suonare proprio in questi giorni,

                        con i filibustieri che a Marsala sbarcarono.

ANGELICA:  Non sono filibustieri, ma Italiani!

ZIA AGATA: Santa Rosalia!... Non ci date retta a vostra sorella... Che sbaglio fece la buonanima

                        di tuo padre a mandarti a studiare all'estero.

ANGELICA:  Firenze non è estero... E’ Italia.  Come Milano, come Torino, come Roma, come

                        Palermo...

ZIA AGATA: Zitta, bocca bestemmiatrice... (Sottovoce come dicendo cosa proibita) Carbonara...

                        A coricare... A coricare …

ARMIDA:      Ma è presto, zia

CLORINDA:  Suonaronoappena le dieci. 

ZIA AGATA:             Notte fonda è. A coricare, a coricare (Spinge le ragazze verso le stanze da letto meno Angelica che rimane per mettere a posto gli strumenti).

TUTTE:           Felice notte, zia,.. (Escono).

ZIA AGATA:                 (sulla porta)Felice notte,.. E pregate… Prega, prega,.. Soprattutto te.

Si spalanca improvvisamente una finestra e con un balzo entra nella stanza un uomo avvolto in un mantello.  La ragazza lancia un urlo soffocato.  Il mantello si apre e vediamo che l'uomo indossa la camicia rossa.

GARIBALDINO:      Non prendetevi paura.  Un patriota siciliano sono.  Mi manda il generale Garibardo.

ANGELICA:                          Il generale?  Dov'è?

GARIBALDINO:      Sulla montagna.  Ha bisogno d'aiuto.  E qui mi mandò.

ANGELICA:              Contate pure su di me.  Venite avanti... venite... Che nessuno vi senta. (Il garibal­dino avanza e ha un lieve vacillamento mentre si afferra un braccio).  Ma voi siete ferito?

GARIBALDINO:      Colpo di striscio fu.

ANGELICA:                          Lasciate che vi curi.  Prendo le bende, l'acqua calda.

GARIBALDINO:      No, non c'è tempo. (La trattiene prendendola per mano.  Il contatto con

                                                                quella forte mano di uomo colpisce Angelica.  Mentre lui seguita a parlare,

Angelica comincia a guardarlo: lo fissa.  Resta  imbambolata, incantata. ).  Il generale mi aspetta prima dell'alba. Bisogno di tutto abbiamo.  Di armi, di mu­nizioni, di viveri... Soprattutto di denari. (Angelica continua a guardarlo incantata come se non sentisse) De denari abbiamo bisogno.  Eh! (Angelica è ancora incantata.  Lui, alzando la voce).  De denari abbiamo bisogno.

ANGELICA:              (come risvegliandosi) Come?  Ah, sì, sì... Denari, certo, subito. (Fuori) Zia

Agata! ... Zia Agata!... (A lui) Vi fa male?

GARIBALDINO:      No. Ma perché così mi guardate?

ANGELICA:              Siete un eroe.  Come vi chiamate?

RINALDO:                Rinaldo.

ANGELICA:              (con un sussulto) Io mi chiamo Angelica... (Declama come in sogno).

"Siccome l'olmo all'edera

Nei secoli è legato

Legati ognor dal fato

I loro nomi son."

                                       Conoscete questi versi?

RINALDO:                No. Per studiare non ebbi tempo.

ZIA AGATA:             (da fuori scena) Eccomi, eccomi. Cu fu… (Entra: è in camicia da notte.  Vede il

garibaldino) Madonna mia, un garibaldese...

ANGELICA:              Smettetela, zia, e andate a prendere tutto il denaro che c'è in casa.  E prendete an­che i gioielli della povera mamma.

ZIA:                            Tu che stai dicendo? I gioielli della povera Assunta... E’ pazza, è pazza.

RINALDO:                Vostra zia, ha ragione. I gioielli della madre sacri sono.  Basta l'oro.

ANGELICA:              Ma la mamma sarebbe stata felice di darli per l'Italia...

RINALDO:                Basta l'oro, ma subito.

ANGELICA:              Correte, zia, correte (Esca Zia Agata)

RINALDO:                A nome di Garibardo, grazie.

ANGELICA:              Rinaldo, portatemi con voi.

RINALDO:                Ma che siete pazza?  Volevo dire: la guerra non è cosa pe' femmine.

ANGELICA:              Voglio venire con voi... (Bussano violentemente alla porta).

VOCE SERGENTE   (f. s.): Aprite in nome di sua maestà Francesco Il.

ANGELICA:              (con un sussulto) Iborbonici!

ZIA:                            (entra con un sacchetto d'oro. E’ terrorizzata) Santa Vergine benedetta, la polizia borbonica. Tutta colpa tua...

ANGELICA:              Zitta zia, ... L'oro. (Prende il sacchetto e lo dà al garibaldino) Ecco, tenete...

                                     Presto Di là... Passate dall'orto... (I colpi continuano).

RINALDO:                Grazie, Angelica... Addio.

ANGELICA:                          (mentre lui sta per scavalcare la finestra) Rinaldo!

RINALDO:                Cu fu?

ANGELICA:              Arrivederci.

RINALDO:                Arrivederci... arrivederci. (E scompare)

Scena I°/2

PERSONAGGI – zia Agata – Angelica – Armida – Clorinda –Sergente (Chiericuzzu) – Due Gendarmi

VOCE                                     (f c.):     Aprite, o sfondiamo la porta.

ANGELICA:              (seguendo dalla finestra la fuga del garibaldino) Chi è che bussa?

VOCE SERGENTE   (f s.): Gendarmi di sua maestà Francesco II°.  Aprite immediata­mente.

ANGELICA:              (piano) Ecco, è in salvo... vado ad aprire.

ZIA:                            Sulla forca, sulla forca...

Mentre la zia prega in un angolo, Angelica va fuori scena per aprire.  Dalle stanze escono le tre so­relle schiamazzanti ed impaurite.

ZIA:                Povere figlie mie! (Se le raccoglie tutte tra le braccia come per proteggerle) Vostra sorella

                        ci ha rovinate, povere figlie mie... ( Si spalanca una porta ed entra un sergente borbonico

                                con due gendarmi preceduti da Angelica.  La zia appena vede i soldati) Siamo innocenti,

                                siamo povere donne indifese.

SERGENTE:  Innocenti siete, eh? Povere donne indifese, eh? (Cambiando tono: minaccioso)

                        Pen­dagli da forca siete.

ZIA:                Pietà, pietà...

ANGELICA:              Come vi permettete, state parlando alle baronessine di Valscutari.

SERGENTE:              Ie sto parlando a una femmina nella cui casa è entrato un ribelle in camicia rossa.

                        Miezzeca.  Perquisire bisogna.

ANGELICA:  Qui non ci sono garibaldini.  Perquisite pure.

SERGENTE:  Se non ce sono, ce furono.  Laonde, baronesse o non baronesse, se vestissero tutte e

                        venissero in caserma con mia, uora, uora. (breve pausa) Oh, (insinuante) e non

                         cercassero di corrompermi... Pecché io subbito compresi che le signore baronesse

                        vorrebbero comprare il mio silenzio offrendomi oro... oh... eh...

ANGELICA:  In casa nostra non c'è oro.

SERGENTE:  Ie figuramoce.  Baronesse baronesse e poi povere scannate sono.

ANGELICA:  Possiamo offrirvi dei gioielli.

SERGENTE:  Gioielli?  Roba buona?  Di valore?  Niente patacche, brillocchi e culdibicchier?

ANGELICA:  Sono i gioielli di mia madre, la baronessa di Valscutari.

ZIA:                No!... Eccellenza, ho ancora mille scudi da parte.  Quelli prendete, invece dei

                         gioielli.

SERGENTE:  E quelli prendo.

ZIA:                Grazie.

SERGENTE:  Ie anche i gioielli prendo.

ZIA:                Eh no.

SERGENTE:  E allora sulla forca.

ANGELICA:  Zia, andate a prendere i gioielli e i mille scudi.

ZIA: (uscendo)   All'elemosina, finiremo...      Povere bambine mie...

SERGENTE: Bambine... Bambine disse... E che aspettiamo a battezzarle femmine? (Si avvicina e

                         con  faccia di cupidigia) Picciottone bedde, bedde bracciotte fresche...

ANGELICA:  Sergente, come osate?

SERGENTE:  Cu fu?  Offesa siete?  Schizzinosa fate? (Entra la zia con i gioielli).

ANGELICA:  Su, prendete i gioielli, e andate via.

SERGENTE:  (prendendo i gioielli) Senza fretta... (Controlla i gioielli poi dà violenti comandi militari)

                        Pattuglia attenti. Fianco dest... Dest! Avanti march... E uni e dui... e uni e dui... e

                        uni e dui... (I gendarmi  escono).  Salutammo. (Esce).

Scena 1 /3

PERSONAGGI – zia Agata – Angelica – Armida – Clorinda – Cantastorie

ZIA:                Gesù, Gesù... Che notte... (Chiude a chiave la porta e prende con sé la chiave) Dieci anni di

                         vita m'ha levato... Angelica, che mi combinasti.. A coricare, a coricare... (Esce).

CLORINDA:  Angelica...

ANGELICA:              (sull'onda della musica, gira per la stanza con espressione sognante)

ARMIDA :     Angelica, che hai?

ANGELICA:  (sempre lasciandosi trasportare dalla musica accenna qualche passo).  Me ne            vado... Dal mio

                        eroe, dal mio garibaldino... Ve lo avevo detto: quando lo incontrerò nessuno potrà

                        fermarmi.

MARFISIA:   Ma Angelica...

ANGELICA: Nessuno... Vi prego, sorelle, aiutatemi...

BALLETTO: “FUGA DI ANGELICA”

La musica riprende più forte.  Angelica, ballando, si prepara alla fuga. Le sorelle l'aiutano.  Pre­parano una grande borsa: entrano ed escono dalla comune portando e indicando di volta in volta vari capi di abbigliamento che Angelica accetta o meno. Alla fine del ballo, Angelica uscirà dalla finestra.  Le sorelle rientrano – scena vuota – calano le luci mentre la musica continua. 

Cala un siparietto rappresentante un cartellone di opera dei pupi. Angelica passa davanti fuggendo e incrocia il cantastorie che con la canna indica i vari quadri man mano che li racconta.

CANTASTORIE:       Cu Angelica che curre da Rinaldo

                                    comincia questa rappresentazione

                                    e intanto i mille appresso a Garibardo

                                    avvistano l'esercito borbone

                                    E supra i monti, in cima a quelle rupi

                                    nu focareddu illumina la sera

                                    Lassù dove ce stanno solo i lupi

                                    è il regno del brigante Dragonera

Sale il siparietto e  si va nella scena successiva. Soltanto la luce di un fuoco di legna a terra

SCENA SECONDA - 1.

PERSONAGGI – Scippalestu – Lu lupu – Sfaticadu – Puddu u rinnegatu – Facciesantu – Prureonasu – Sprecamuorti – Chiericuzzu

Sulla montagna, il campo dei briganti del bandito Dragonera.  La stessa notte, poche ore dopo.  Si accendono successivamente dei proiettori che scoprono via via alcuni ban­diti.  Quando sono apparsi tutti cantano:

SCIPPALESTU:         Io me chiamo Scippalestu.

LU LUPO:                  Io Lu Lupo de li munti.

SFATICADU:            Io me chiamo Sfaticadu.

PUDDU U RENEGATO:      Io Puddu, u Renegato.

TUTTI:                        E lu capo è Dragonera ca vuol dire bufera bufera bufera tempesta che va Dragoné... Dragoné... Dragoné... Dragoné... Dragoné... Dragoné... Tempesta che va Dragoné (6 Volte)  Tempesta che va.

Balletto: Tema di dragonera

Ballo e coro dei banditi sul tema di Dragonera.  Numero musicale durante il quale i banditi fa­ranno scuola di coltello con la lama dei loro coltelli tutta avvolta di stracci in maniera da lasciare li­bera solo la punta.

Due banditi più accaniti cominciano a innervosirsi: sono Facciesantu e Prureonasu.

FACCIESANTU:       Tre puncicate mi desti, Prureonasu.

PRUREONASU:        Facciesantu, paura u cutieddu te fa?

FACCIESANTU:       Paura dillo a tua madre e tua soredda.

PRUREONASU:        Mia madre e mia soredda nominasti?  E io te spanzu.  Spogghia u cutieddu.

                                    (Li­berano i coltelli dagli stracci).

FACCIESANTU:       Spogghiatu fu. (Brillano le lame.  Si sente il suono di una buccina)

SCIPPALESTU:         (fischia) Arriva Dragonera.

Gli uomini si affrettano a riavvolgere i coltelli nelle fasce.  Appare Rinaldo e riconosciamo in lui il garibaldino della scena precedente.  Sotto il mantellaccio porta ancora la camicia rossa.  Tutti lo salutano.

Scena II° - 2

PERSONAGGI – Scippalestu – Lu lupu – Sfaticadu – Puddu u rinnegatu – Facciesantu – Prureonasu – Rinaldo – Calascione – Sprecamuorti – Chiericuzzu – 8 ballerine

TUTTI: (a soggetto)       Bentornato, Dragonera.  Salutammo, comandante.  Felice sera, comandà.

RINALDO:                Che faceste?  Duello vero ci fu?

SCIPPALESTU:         Giuocarono, Dragonera, giuocarono.  Ma racconta tu.  Come andò?

PRUREONASU:        Pe' garibaldino vero ti presero?

RINALDO:                Pe' garibaldino vero mi presero.  Chista camicia rossa il suo dovere fece.  La femmi­nedda ci cascò e duemila pezzi d'oro mi dette.

FACCIESANTU:       Ah, una femminedda c'era?  E bedda era?

RINALDO:                Un fiore.  E come una pollastra tenera me la potevo mangiare.

PRUREONASU:        Ie te la mangiasti?

RINALDO:                No. Neanche con un dito la toccai.  Perché brigante sugno. (Li guarda fisso e poi ur­lando).  E un brigante quando fa il brigante, non deve giocare né co' le femmine, né coi cu­tieddi.  E voi coi cutieddi giuocaste, e io proibito ve l'avevo.  Prureonasu, qua vieni. (L'uomo si avvicina terrorizzato) Qui, e tu Facciesantu, qua. (Tremando si avvicina anche Facciesantu).  Facciesantu, uora dai uno schiaffo a Prureonasu.

PRUREONASU:                    Perché lui a mia?

RINALDO:                (urla) Silenzio! Così deve essere e così sarà. (A Facciesantu) Avanti!(Facciesantu dà un terribile schiaffo a Prureonasu e lo fa ruzzolare a vari metri di distanza.  Prureonasu si rialza).

PRUREONASU:        (stordito, lamentandosi) Bedda matre!  Tutta la mascella mi squacchiò.

RINALDO:                Adesso tu dai uno schiaffo a Facciesantu.

FACCIESANTU:       (spaventato) Dragonera, tu prima lo dovevi dire che era andata e retorno...

PRUREONASU:        (alzandosi) Ah, ah... Manuzza mia santissima, ricorda quello che fecero alla

mascellina tua e sappiti cumportari... (Si prepara con molta scena a restituire lo schiaffo).

RINALDO:                Coraggio, Prureonasu.

PRUREONASU:        (dà uno schiaffone terribile a Facciesantu che a sua volta crolla per terra).

FACCIESANTU:       Io lu core ti mangio.  Tutto il cranio mi facesti rintronare.

RINALDO:                Ie ora baciatevi.

FACCIESANTU:       A chiddu?

PRUREONASU:        Io mordere lo puozzo.

RINALDO:                Baciatevi e zitti. (I due riluttanti si baciano). E come fratelli dovete essere. Scippalestu, ecco cinquecento pezzi d'oro da dividere fra noi.

LU LUPO:                  E gli altri 1500 sempre ai contadini poveri devono andare?  Ma siamo briganti o frati della misericordia?

RINALDO:(urlando)   Briganti de onore siamo, e non de ruberia.  Levamo a li ricchi e damo a li poveri.  Chista è la legge de Dragonera.  E chi non vuole, via può andare. (E passando irato da­vanti agli uomini) E vattene via tu.  E tu... E tu... E tutti!

TUTTI:                        No, no... (a soggetto)

PRUREONASU:        Noi cu tia vogliamo stari.

SCIPPALESTU:         Evviva Dragonera, liberatore della Sicilia.

CALASCIONE:         Evviva. (Si sentono due colpi di pistola).

SPRECAMUORTI:    (entra di corsa). I Borboni arrivano.

RINALDO:                Bene, fratelluzzi, accogliamoli come meritano. (1 briganti si nascondono dietro rocce e fratte.  Dopo un attimo entra il sergente borbonico della prima scena.  Ha l'aria affaticata.  I banditi lo circondano e puntano i pistoloni alle reni.  Rinaldo va dietro al sergente) Mani in alto, fetusu. (Il sergente alza le mani spaventato e Rinaldo gli allunga un calcione e scoppia a ridere). 

SERGENTE:              (in realtà Chiericuzzu) Ahia... A Rinà... E m'hai fatto male... Che ridi?  Ma come? lo me faccio 'sta faticata… Me maschero da borbonico... Cerco de parlà siciliano che Dio sa quanto me c'è voluto e come ricompensa me piji pure a carci?

RINALDO:                Che?  Più nemmeno scherzare si può, Chiericuzzu?  Racconta.  Come andò a la casa delle femmine Valscutari?  Paura dei gendarmi ebbero?

CHIERICUZZU:       E grazie.  Già se vedevano tutte appiccate a cionnoloni.  E io daje che je dicevo: «Ie pendaji da forca sete» e ce schiaffavo un miezzeca!  Miezzeca qua, miezzeca là, hai da vede come hanno tirato fori i mille pezzi d'oro.

RINALDO:                E a tia i gioielli della matre morta non li offrirono?

CHIERICUZZU:       Che gioielli?

RINALDO:                A mia la picciotta li offrì, ma io li rifiutai.  La matre sacra è.

CHIERICUZZU:       A me non me n'hanno parlato pe'gnente... Tanto, poi, se erano della povera mamma, chi se sarebbe permesso... Oh, la madre va rispettata.  De mamma ce n'è una sola... Lo diceva pure Cassiodoro: Mater semper certa est, pater non si sapet...

PRUREONASU:        Ricomincia a parlare latino, u Chiericuzzu...

RINALDO:                Per forza.  Era prete...

CHIERICUZZU:       Seminarista, prego.  Prete sarei diventato se non me fosse venuta una crisi spirituale, aggravata da certi dubbi …

FACCIESANTU:       Che dubbi...

CHIERICUZZU:       Che dubbi?  Dubbi … Soprattutto uno: er dubbio si era mejo fregasse la cassetta delle limosine o i candelabri d'argento dell'altar maggiore... Fortuna che ho risolto.  Me li so' fregati tutti e due e ho passato er confine...

PRUREONASU:        E tutta la storia di Chiericuzzu dobbiamo sentire?

RINALDO:                Ie questi tremila pezzi li volete o non li volete festeggiare?

TUTTI:                        Sì.

FACCIESANTU:       Ie che festeggiammo tra masculi?

RINALDO:                Vai a chiamare le femmine che facciamo un bel gioco.

                                Entrano le ragazze.  Una per una.  Quando sono entrate tutte, gli uomini si lanciano su loro. Urla e grida. Fuga delle donne,  rincorsa degli uomini.

Ri­naldo interviene con un fischio e arresta questa specie di ratto delle Sabine. Mette le donne da una parte , gli uomini dall’altra.

RINALDO:                Ca’ ci stanno otto pecorelle e nove lupi... lo sugno lu pastore...

«LUPI E PECORELLE»

1

RINALDO: (canta)    Quante belle pecurelle lu pastore v'ha purtato

                                    Tutte tonde e tutte belle ma ne vendo solo tre

                                    Questa vale sei tornesi questa vale quattro scudi

                                    Io, però, non bado a spese ve le do per un tarì

                                    Tutta lana fina fina calda calda e vellutata

                                    frisca frisca e profumata de rugiada mattutina

                                    Questa è lana fina fina Fra 'sti lupi chi la vò?

2

Questa è pecora orientale tonda tonda frisca frisca

che faceva l'odalisca nel serraglio del pascià

Guarda qua che ti presento chista è pecorella indiana

E’ ‘na figlia de sultana ma suo padre non lo sa

Tutta lana lana fina calda calda e vellutata

che te scalda la nuttata e rallegra la mattina

Lana fina lana fina fra 'sti lupi chi la vò?

3

Lu pastore s'è impazzuto mette all'asta tutto il gregge

ma 'sti lupi chi li regge hanno voglia de giocà

Questa è pecora paesana de le parti de Ragusa

questa, invece, è un'andalusa arrivata fino a qua

Tutta lana fina fina calda calda e profumata

de rugiada mattutina fra 'sti lupi chi la vò?

Balletto: Lupi e Pecorelle

Finito il numero musicale, tutti i banditi si sono allontanati colla loro donna, meno Chiericuzzu il quale ha perduto ed è rimasto solo.

Scena II° - 3

PERSONAGGI –Rinaldo – Chiericuzzu

CHIERICUZZU:       Me ne avessero lasciata una.  So' rimasto come Don Falcuccio... Rinaldo... A Rinaldo...

RINALDO:                Che vuoi?

CHIERICUZZU:       Che ho da volé?  Vojo la picciotta...

RINALDO:                Ie hai ragione, povero Chiericuzzu.  Domani ci pensa Rinaldo, per te.  Ma piuttosto, dimmi:qual è il tipo de donna che te piace?

CHIERICUZZU:       Io vorrei'na donna... Una donna... (fa scena con le mani per descrivere una gran bellezza; poi…)  Una donna come sia sia purché me dicesse de sì, che me dicono tutte de no

RINALDO:                Chiericuzzu, fratello mio … La donna è come nu fico d'India: Se con delicatezza la pigghi, tutte le mani te spuncichi. Cu u cutieddu, la devi pigghiari E le spine cadono, ie dentro trovi le ciento dolcezze...

CHIERICUZZU:       E che nun ciò provato?  Co' Nunziata.  'Na sera, lei sta a far er bucato in funtana. Io nun so si te poi capacità de sì che era Nunziata in funtana... No, dico la funtana era grande, no?  Bè, Nunziata la copriva tutta... Ci aveva un... Poi dice: i forestieri domandano: «Ma perché Michelangelo ha fatto la cupola de San Pietro così?» A forestié, ma che stai a dì, viè a Roma, va in funtana, vedi a Nunziata e te fai capace

RINALDO:                Chiericuzzu, nun pigghiari sentieri traversi... Come finì?

CHIERICUZZU:       Finì che me buttai. E me ritrovai infilato su n'alabarda.  Che cor fatto che Nunziata copriva la visuale, nun m'ero accorto che dietro da lei c'era er fidanzato. 'Na guardia svizzera!  Ma io dico: tu sei svizzero, e fa' la guardia a la Svizzera.  Nossignore, voglio fa' la guardia a Pio IX.  E fa' 'sta guardia a Pio IX.  Ma che stai a fa' la guardia a Nunziata. 

RINALDO:                (ride) Povero Chiericuzzu... La femmina va trattata prima col bastone, perché deve sentire chi è il padrone... Ie poi col bacio, pecché deve sentire che quel padrone benevolo è.

CHIERICUZZU:       Parli bene te.  A te t'assiste er fisico... Vengono tutte da te, le donne... Come l'api ar fiore.  Zzzzz Zzzzz... Dimme 'na cosa... Ma proprio la donna der core, la mezza mela, insomma, la fidanzata, ce l'hai?

RINALDO:                La fidanzata mia la Sicilia è.

CHIERICUZZU:       Daje... va be'... Ma nun ho capito... Che te voi sposà la Sicilia?  Io parlo de 'na donna...

RINALDO:                Scimunito, bestia, ma che vuoi capire, tu?  Ti dico che ca nella mia isola, c'è una femmina che Dio creò colla costola che me tolse.  E Dio prima o poi me la farà incontrare, pecché costola mia è e a mia deve tornare. (Si distende sotto un albero e canta; durante la can­zone, Chiericuzzu si allontanerà).

«ORIZZONTI DI GIOIA»

RINALDO:                    Amore, amore, amor

so che un giorno verrai

                                       e con me fuggirai

                                       sulle cime più alte dei monti

                                                            Amore, amore, amor

                                                            sarai felice con me

                                       Orizzonti di gioia scopriremo

al galoppo contro il sole correremo

e nel vento i nostri nomi grideremo

io e te per sempre.

                                                            Ahi, ahi, ahi, dammeli sti vasi

                                                            te voglio preparare nu letto 'e rose

Amore, amore, amor

non so niente di te

non sai niente di me

                                       ma lo so che dovremo incontrarci

                                                            Amore, amore, amor

                                                            sarai felice con me

Orizzonti di gioia scopriremo

sotto l'ombra degli ulivi sogneremo

e la notte con la luna ci ameremo io

e te per sempre per sempre

io e te

Scena II° - 4

PERSONAGGI – Rinaldo–Angelica– Chiericuzzu

Terminata la canzone, Rinaldo si stende sotto un albero.  Guardinga appare Angelica.  Spia l'ac­campamento.  Rinaldo sente la presenza di qualcuno, alza la lanterna e la vede.

RINALDO:                Chi è là?... Voi...

ANGELICA:              Il Cielo sia benedetto... Vi ho trovato...

RINALDO:                Come avete fatto ad arrivare fino quassù?  Chi vi insegnò la strada?

ANGELICA:  Il destino mi ha portato da voi... Andavo verso Salemi cercando il campo di

                        Garibaldi, quando ho visto dei fuochi sulla montagna... e vi ho trovato... Ma perché

                        mi guardate a quel modo, come se non vi ricordaste di me?

RINALDO:                E come non mi ricordo di voi: Arcangela.

ANGELICA:              Angelica.

RINALDO:    Sì, certo: Angelica.  Ma pecché veniste?

ANGELICA:  E me lo domandate?  Non lo leggete nei miei occhi?  Appena vi ho visto, ho capito

                         che voi eravate lui.

RINALDO:                            Lui chi?

ANGELICA:  L'uomo che aspettavo da tanto tempo.  E da quel momento ho dedicato a voi la mia

                         vita.  Ed ora, dovunque siate, sarò con voi.  Ormai il mio posto è al vostro fianco.

RINALDO:    Ie se così stanno le cose comincia a stenderti al mio fianco su chista bella pelle de

                        capra morbida... (Si stende sulla pelle di capra invitando Angelica).

ANGELICA:  (imbarazzata) Io non sono stanca: Anzi, portatemi subito dal generale Garibaldi...

RINALDO:    (la prende per mano) Galibardo? Galibardo lontanissimo è, e invece noi vicini siamo. E più vicini ancora dobbiamo stare (La tira giù per farla sedere) Ie siedeti. (La co­stringe a sedere con uno strattone) Ie siedeti. Senti come dolce la notte è... Ie come è forte il profumo delle zagare? (Lui allunga le mani e lei imbarazzata cerca di sottrarsi).  Io e te soli siamo, giovani, col cuore che arde... E sai che facciamo adesso?

ANGELICA:  Parliamo di Garibaldi.

RINALDO:    Che?

ANGELICA:  Sì, sì, raccontatemi della spedizione, della guerra, ma soprattutto - ve ne prego ­parlatemi di lui... ditemi di porta San Pancrazio...

RINALDO:    Che è?

ANGELICA:  Sì, di quando a Roma difese porta San Pancrazio...

RINALDO:    Ie te pare che io, ca... vicino a ste labbra tue de corallo, de San Pancrazio me metto a parlare? (L'afferra per baciarla, ma lei con un guizzo lo schiva e fulmineamente estrae dal cintu­rone di lui la pistola e la punta contro un cespuglio dietro cui vediamo intento a spiare Chieri­cuzzu, ancora in divisa da borbonico).

ANGELICA:  Mani in alto. (Chiericuzzu esce dal cespuglio colle mani in alto).  Vieni fuori, sbirro... Ci spiava da dietro un cespuglio, il vigliacco... Sapete chi è questo gendarme?  Quello che venne a casa mia, quando c'eravate voi e vi costrinse a fuggire.

RINALDO:    Tu fosti?  Il borbonico fituso!  Fituso, verme e carognone... (Gli dà due schiaffi).

CHIERICUZZU:                   E mò m'hai fatto...

RINALDO:    (a parte) Parla siciliano, scimunito.

CHIERICUZZU:        (correggendosi) Male me facesti... uora uora, miezzeca.

RINALDO:    Zitto! E ringrazia Dio che stasera benevolo mi sento, ie libbero te lasso... Vattene... (Cambia tono) Vattinne.

CHIERICUZZU:       Bacio le mani. (Fa per andare).

ANGELICA:  (lo ferma) No! Siete troppo generoso con questo sbirro. Per salvare voi abbiamo dovuto pagare il suo silenzio con i gioielli della mia povera mamma.

CHIERICUZZU: Ahia!

RINALDO:    I gioielli de tua madre prese? Quelli che io stesso rifiutai? (Avanza minaccioso su Chiericuzzu)

CHIERICUZZU:       No, aspetta, mo' te spiego.

RINALDO:    (e incurante di Angelica lo afferra per la collottola sollevandolo) Igioielli pigghiasti?  E a me solo Mille pezzi dicesti?  Brutto traditore, che manco le madri rispetti.. A Rinaldo Dra­gonera mentisti?

ANGELICA:  Rinaldo?  Tu... il brigante Dragonera sei?  Oddio, siete due briganti!  Non sei un garibaldino?

RINALDO:    (buttando da una parte Chiericuzzu mezzo svenuto) No, femmina... Guarda questa faccia.  Faccia di garibaldino te pare?

ANGELICA:  Il brigante Dragonera... Tu, l'uomo che ho aspettato tutto questo tempo, un

                        brigante...

RINALDO:    Sì, femmena.

ANGELICA: E hai osato indossare la camicia rossa... (Un pensiero orribile le attraversa la mente).

                        Oddio... Come hai avuto quella camicia rossa?

RINALDO:    Ie che ci vuole a fare una camicia rossa?  Tre di chiste bacche nell'acqua bastano...

                   (Chiericuzzu cerca di squagliarsela).  Non te muovere tu...

ANGELICA:  Tu... Un brigante da strada...

RINALDO:    E sissignore... E adesso che sai chi sono, ecco: chilla è la pelle de capra, se vuoi.  E se non vuoi, vattene, coi gioielli ca Chiericuzzu te ridarà... Chiericuzzu, valli a prendere...

CHIERICUZZU:  (si avvia immusonito.  Passando davanti a Angelica) 'Sta spiona! (Esce).

RINALDO:    Ie ora ripigghi i tuoi gioielli.  E via.  Curri come il vento!  Senza voltarti indietro.

ANGELICA:  (decisa, a testa alta, guardandolo negli occhi) No!

RINALDO:    Che dicisti?

ANGELICA:  Non me ne vado.

RINALDO:    Ie allora vieni sulla pelle de capra.

ANGELICA:  No: ascolta, brigante Dragonera.  Oramai io ti ho dato il mio cuore e non posso

                        riprendermelo.  Ma non permetto che l'uomo dei miei sogni sia un brigante.

RINALDO:    Che stai dicendo, femmina?

ANGELICA:  Devi diventare un garibaldino.

RINALDO:    (scoppia in una grande risata) Io?  E pecché non me dici addirittura de farmi frate?  E

                        magari de quelli carmelitani?  E magari pure de quelli scalzi?

ANGELICA:  Tu come un garibaldino sei entrato nella mia vita.  Quindi, non hai il diritto di

                        essere un brigante. Io rimarrò vicino a te, attaccata a te come l'aria che respiri, non

                        ti darò più un attimo di tregua fino a quando tu non diventerai un garibaldino!

RINALDO:    (divertitissimo) Pazza sei.  Indemoniata.  Morsa dalla tarantola...

ANGELICA:  No: non sono né pazza né indemoniata e né morsa dalla tarantola...

RINALDO:    Ie dimostramelo allora... Fai la «pizzica pizzica».

ANGELICA:              Che?

RINALDO:    Ah, la baronessina non conosce la «pizzica pizzica».  E’ quello che fanno le

                        femmine nostre pe' dimostrare che indemoniate non sono... Fallo anche tu, se sei

                        capace.

ANGELICA:  Sono pronta...

Scena II° - 5

PERSONAGGI – Scippalestu – Lu lupu – Sfaticadu – Puddu u rinnegatu – Facciesantu – Prureonasu – Rinaldo – Calascione – Sprecamuorti – Chiericuzzu – 8 ballerine – Angelica

RINALDO:    (inizia a cantare correndo a chiamare gli altri) Cumpari venite venite venite venite a

                        vedere la baronessina che fa a «pizzica pizzica pizzica pizzica».

Balletto: “Pizzicz Pizzica”

Entrano uomini e donne e inizia il ballo.  Le donne mettono i loro scialli su un bastone che attra­versa l'accampamento.  Angelica balla con loro la «pizzica pizzica» e finisce il ballo esausta seduta a terra.

RINALDO:    Ie brava la baronessina, che ha fatto la «pizzica pizzica».  Ma guardatela com'è

                        ri­dotta...

PRUREONASU:        Ansema...

CHIERICUZZU:       Hai fatt'a spia?  E mo' espia... E n'accidente che te pija...

RINALDO:    Basta, adesso... Lo scherzo è finito.  Prureonasu, Facciesantu, portatela via.,. (I due

                                si avvicinano a Angelica e la alzano prendendola sotto le braccia. Angelica scatta contro di loro).

ANGELICA:  Lasciatemi.

FACCIESANTU:       Dragonera, gatta pericolosa è questa.

RINALDO:    Oh, andare te ne devi.

ANGELICA: No.

RINALDO:    No? (minaccioso) Attenta a tia, picciotta, ca io brigante sugno.

ANGELICA:  Eri un brigante, ma io farò di te un garibaldino.

RINALDO:                Ie insiste.  Sparisci, scompari, via... Come?  Ancora qua stai?

ANGELICA:  Sì. E non me ne vado.

RINALDO:    E io te sparo (tira fuori il pistolone).

FACCIESANTU:       Lassasse perdere, signorina, che 'u Dragonera non scherza.  A casa tornasse.

ANGELICA:  Non mi muovo. (A Rinaldo).  E spara... Su, spara... Fammi vedere come mi spari...

                        Tanto lo so che non spari... Non mi spari... Perché sei un vigliacco...

TUTTI:            (a soggetto”impallidiscono” per l’insulto. Esclamazioni a soggetto: Madonna – che disse – mo’ la

                        spara – a Dragonera vigliacco disse – ecc. ecc.)

RINALDO:    (duro)Nessuno disse vigliacco a Rinaldo e vivo rimase.  Ca se eri nu mascolo già

                        t'avrei scannato.

ANGELICA:  Fai tanto il gradasso perché hai in mano un'arma.  Fai dare una pistola anche a me,

                        se hai coraggio.

RINALDO:    (la guarda, poi ridendo) Facciesantu, dà una pistola alla pazza.

FACCIESANTU:       Una pistola in mano alla pazza?

RINALDO:                Dalle la pistola, bestia... Che ci divertiamo.

FACCIESANTU:       (butta una pistola ad Angelica.  Lei la afferra al volo).

ANGELICA:  E adesso, brigante Dragonera... Sta' attento... (Si girano intorno, sorvegliandosi a vicenda

                        colle pistole puntate.  Improvvisamente Angelica lancia un urlo).  Bada al cappello... (Spara e il

                                cappello di Rinaldo vola via).

CHIERICUZZU:       (divertito) Ah, il cappello è volà...

RINALDO:    (lo brucia con uno sguardo di fuoco: poi ad Angelica) Ah, te divertisti, eh?

ANGELICA:  Sì, e non mi fai paura...

RINALDO:    Ie adesso, se permetti mi diverto io... Che bella treccia che ha la baronessina. (Spara

                        un colpo che trancia nettamente la lunga treccia nera della ragazza.  La treccia cade recisa alla

                                base).

ANGELICA:  (guardandosi i capelli rimasti tagliati dal colpo) La mia treccia... La mia treccia... (Butta via

                        la pistola e raccoglie la treccia recisa) Mascalzone... I miei capelli... (Intorno i briganti

                                ridono e anche Rinaldo ride).

RINALDO:    Povera picciottedda, senza la trecciuzza bedda... (Angelica, persa completamente la

                                sua forza e la sua baldanza, piange inginocchiata a terra).

RINALDO:    Un momento fa iera più focosa dell'Etna, ie adesso piange come una mocciosa...

PRUREONASU:        Mi fa venire da piangere pure a mia... (Anche gli altri banditi sono commossi).

RINALDO:    Ie finiamola, ché dormire dobbiamo. Il naso asciugatele... nelle pelli involtatela.

                        Sfaticatu, Calascione, Scippalestu, portatela via... (Gli uomini si avvicinano ad

                                Angelica, stendono una grossa coperta a terra; prendono Angelica che piange e si dibatte,

                                 ce la stendono, la involgono nella coperta, se la caricano sulle spalle e si allontanano  mentre lei

                                continua a scalciare e a strillare piangendo).

ANGELICA:  Vigliacco, vigliacco... Ma non finirà qua... I miei capelli te li farò pagare filo per

                         filo... Mascalzone!  Vigliacco!  Ma ti ritroverò, dovunque tu vada, perché

                         garibaldino devi di­ventare.  E ci diventerai.

RINALDO:    (mentre escono) Dimentica il brigante Dragonera, picciotta.  E’ meglio pe' tia.

(Rivolgendosi a Chiericuzzu che nel corso della scena è entrato col sacchetto dei  gioielli) E tu? 

Che fai?  Je ridesti i gioielli?

CHIERICUZZU:       Beh... Co' tutta sta confusione, me s'è passato dalla testa... Poi j e li ridò io, con comodo...

RINALDO:    Subito! (Chiericuzzu, spaventato dalla voce grossa, esce in fretta.  Gli uomini ridono)

                   Felice notte a tutti.  A riposare... (Guarda il cielo sereno mentre gli uomini escono).

PRUREONASU:        (sbadigliando) Notte chiara, buona giornata se prepara...

RINALDO:    Prureonasu, i cavalli hanno mangiato? (Prureonasu fa cenno di si).  Chi è di guardia?

PRUREONASU:        Scurpiddu...

RINALDO:    Portagli'stu tabaccu... (Gli tira una borsa) E felice notte... (Prureonasu esce.  Rinaldo solo, guarda intorno la notte placida, poi comincia a cantare).

«RINGRAZIO A TE, SIGNORE»

                                                            1

RINALDO: (canta)       Che notte chiara chiara 

                                       che adduri e tramontana

                                       e lu grillo canta canta

Ah... Ah... Ah...

Ringrazio a tia, Signuri

Pecché me lasci vivere cussì

Tu che me fai saziari d'acqua fresca

                                       quando spacca la sulagna

Tu che mi fai truvari ligna sicca

                                       quando imbianchi la muntagna

Ringrazio a tia Signuri

                                       pecché me lasci vivere cussì

2

Che vento 'e seta fina

salato da lu mare

ch'è lontano, ma lu sento

Ah... Ah... Ah... Ah...

Ringrazio a tia, Signuri

pecché me lasci vivere accussì

Tu che alle pecurelle dai pastura

e li tunni a la tunnara

Tu che m'hai rigalato chista vita

                                       cu le gioie e li duluri

Ringrazio a tia, Signuri

e famme sempre vivere accussì

Va via nel buio.

SCENA TERZA - 1.

PERSONAGGI – Calascione – Puddu – Chiericuzzu – Prureonasu – Angelica

Musica d'ambiente.  Un angolo dell'accampamento dei banditi, la mattina dopo.  Calascione sta tagliando ortaggi e rape e li mette in un calderone.  Puddu sta pulendo la lu­para.  Chiericuzzu sorveglia e Prureonasu sta seduto.  Si alza e si avvicina a Chiericuzzu. Uomini e donne entrano ed escono affaccendati nella vita del campo.

PRUREONASU:        Chiericuzzu, allora chista lettera me la scrivi o non me la scrivi? (Urla) Chiericuzzzu!

CHIERICUZZU:       Non lo vedi che ciò da fa'...

PRUREONASU:        Ma se niente stai facendo.

CHIERICUZZU:       Te pare a te... Oh, io sto a fa le veci.  Rinaldo è andato a portà i soldi ai contadini...

PRUREONASU:        Chiericuzzu... Ie se due scudi te dessi?

CHIERICUZZU:       Lo vedi che vo' dì avecce er core bono... Caccia li scudi... (Prende i soldi) ... A chi devi scrive?

PRUREONASU:        Sssss... Se tratta de persona molto riservata... Mia sorella Carmela...

CHIERICUZZU:       E capirai... (Comincia a scrivere) Cara Carmela...

PRUREONASU:        (tra sorpreso e arrabbiato) Che dicisti?

CHIERICUZZU:       Cara Carmela...

PRUREONASU:        (arrabbiato) Ie come te permetti tu de chiamare «cara» mia sorella.

CHIERICUZZU:       A Pruronà... Eh no... Tu sei cretino... E va’ be’,… Ma non puoi abusare dei

                                    tuoi diritti de cretino... Io scrivo «cara» perché sto a scrive pe' te... Che

                                    anzi, de regola, avrei dovuto scrive: «Mia cara Carmela»...

PRUREONASU:        «Mia»?  Come osassi chiamare tua la mia onorata soredda?  E che c'è tra te e mia soredda Carmela?

CHIERICUZZU:       Ma che cià da esse... Eccolo qua... Comincio a vedé rosso... Guarda come

me trema la mano... Mò te lo dico subito, lo svolazzo viè male...

PRUREONASU:        (si calma) Tre scudi.

CHIERICUZZU:       (intasca) Viè bene.  Senti si te va così... «Madamigella Carmela, cara»...

PRUREONASU:        Ricominciamo co’ le intimità?

CHIERICUZZU:       E famme finì... «Cara unicamente ed esclusivamente al di lei fratello Giovanni».  Te sta bene così?

PRUREONASU:        E me sta bene.

CHIERICUZZU:       Oh... Allora che je voi dì?

PRUREONASU:        (sveltissimo) Je comunicasse a mia sorella Carmela il mio divieto assoluto, anze assolutissimo, de farse vedere dalla finestra aperta, ie anche de farse vedere dietro la fi­nestra chiusa.

CHIERICUZZU:       Oh, non è pe' intrometteme, ma, si ho capito bene, tu a 'sta poveretta nun je voi fa' pijà manco 'na boccata d'aria alla finestra...

PRUREONASU:        Pecché? Tu 'na donna che s'è fatta vedere dietro la finestra, te la sposeresti?

CHIERICUZZU:       E perché no?

PRUREONASU:        Chiericuzzu, te se' tradito!

CHIERICUZZU:       Perché?

PRUREONASU:        Ie me pareva che fra te e mia sorella Carmela quacche cosa de poco chiaro ce stesse.  La sposeresti!

CHIERICUZZU:       Ma nun la sposerei pe' niente!

PRUREONASU:        Ie allora desonorata la vorresti fare!

CHIERICUZZU:       Aho!  E come cori... Vojo dì che la potrei puro sposare, si me piacesse.

PRUREONASU:        Ie m'insulti pure.  Mia sorella Carmela non ti piace.  Vuoi dire che è brutta?

CHIERICUZZU:       Ma chi te l'ha detto?  Si manco la conosco.  Presentamela, poi te lo dico.

PRUREONASU:        Presentamela?!  Pe' ruffiano me prendesti?  Ca addirittura mia sorella a tia mi chiedesti de presentare...

CHIERICUZZU:       Ma va... Quasi quasi te ce mandavo. Anvedi che tipo: peggio der Moro de Venezia ...

PRUREONASU:        Ie dico, Chiericuzzu, vorresti forse insinuare che io sarei geloso de carattere?

CHIERICUZZU:       N'antro po'...

PRUREONASU:        Ie allora, tanto per chiarire, sappi che al paese mio, io sono considerato per­sona molto fiduciosa, credulone e de manica larga.

CHIERICUZZU:       Figuramose l'altri... Zitto un po'... Zitto un po'...

Scena III° - 2

PERSONAGGI – Scippalestu – Lu lupu – Sfaticadu – Puddu u rinnegatu – Facciesantu – Prureonasu - Calascione – Sprecamuorti – Chiericuzzu – Angelica – alcune donne

FACCIESANTU:       (entra seguito dagli altri) Sta arrivando.  Arriva la pazza... la pazza... Ha tutti i capelli rapati. (Entra Angelica, sporca, lacera e scarmigliata).

CHIERICUZZU:       Oddio, un'altra vorta 'sta matta...

ANGELICA:              Dov'è Rinaldo?

CHIERICUZZU:       Non c'è, madamigella, ma se permettete, io ne faccio le veci...

ANGELICA:              State lontano... Con voi io non ci parlo, sporco bandito... (Gli volta le spalle e vediamo che il didietro del suo vestito si è lacerato e mostra da uno squarcio i mutandoni con pizzi e trine.  Banditi e donne scoppiano a ridere.  Angelica alla risata si volta inviperita) Cosa ridete, bri­ganti? Ridete di me, mascalzoni? (I briganti ridono ancora di più)

                                    E smettetela.  Insomma, che c'è da ridere?

CHIERICUZZU:       Vogliate perdonarci, madamigella, ma qualche ramoscello impertinente, vero, vi ha scoperto, con rispetto parlando, tutti gli altarini. (Tutti seguitano a ridere). (Colta da un sospetto, Angelica con la mano controlla la gonna e scopre lo squarcio.  Si volta, cerca di coprirlo alla meglio).

FACCIESANTU:       Il sipario se chiuse.

PRUREONASU:        E lo spettacolo finì.

FACCIESANTU:       La commedia ce piaceva, madamigella.  Il secondo atto facci vedere.

ANGELICA:              Mascalzoni, farabutti. (Inviperita si avvicina ad una corda dove sono stesi ad asciu­gare alcuni panni, li prende ed entra dentro la tenda. Due donne la seguono).  E guai a chi si azzarda ad avvicinarsi.

Mentre Angelica si cambia nella tenda, gli uomini cercano di guardare dentro.  La loro azione mi­mica viene

sottolineata dalla musica. Prureonasu si addobba con gli abiti che Angelica getta fuori dalla tenda. Inscena una

pantomima rifacendo il verso del duello con Rinaldo.  Angelica esce fuori dalla tenda vestita da bandito.  Gli uomini

 nel vederla fanno fischi e versi prendendola in giro.

FACCIESANTU:       Miraculo!  Fimmina trasia ie masculo riuscìu. (Tutti ridono).

CHIERICUZZU:       Ma che masculo... Anzi, adesso che er calzone sottolinea, sono venuti alla luce certi particolari, con rispetto parlando, saporosi... Eh? (Gli uomini si avvicinano a Angelica).

ANGELICA:              (minacciosa) Indietro, brutte bestiacce!  Ma guardateli'là.. Non vi vergognate: tutti sporchi.  Via... Via, indietro! (Tutti si allontanano meno Chiericuzzu) Indietro pure tu!

CHIERICUZZU:       Beh... Madamigella, finché allontani loro che, effettivamente sanno de serva­tico come se se lavassero colle saponette de pecorino... Ma io, Madamigella, io sono una per­sona civile che un destino avverso ha costretto a questa vita avventurosa e randagia... (Se­guita a starle vicino).

ANGELICA:              Ti ho già detto di stare indietro, ché non si resiste!

CHIERICUZZU:       Madamigella, niente niente vuoi insinuare che io malodoro?

ANGELICA:              No, non è che malodori.

CHIERICUZZU:       (soddisfatto) Ah.

ANGELICA:              Proprio puzzi.

CHIERICUZZU:       Ma come?  Madamigella, mo trascendi... Non saprò di bergamotto, ma, in­somma, ho quell'odore appetitoso del maschio che vive d'avventura.

ANGELICA:              Fai vedere le mani...

CHIERICUZZU:       Ma... che c'entra... (Le nasconde dietro).

ANGELICA:                          Le mani. (Gliele tira fuori da dietro le spalle) Guarda.Guarda, che unghiacce nere

CHIERICUZZU:                   (cercando di buttarla sullo scherzo) Beh, porto il lutto pel gatto...

ANGELICA:              Fai vedere il collo.

CHIERICUZZU:       No, il collo no! (Tutti ridono).

FACCIESANTU:       El collo, el collo guardaglie.

CHIERICUZZU:       Oh, e mo' te metti a parlà te, 'sta tuberosa, che la gente quando arriva nella

                               zona dove ce stai te, fa subito: «Oh!  Siamo arrivati alla zolfatara ... ».

ANGELICA:              Tutti sporchi siete.

FACCIESANTU:       Parli bene tu, ma noi la cameriera non ce l'abbiamo.  Prureonasu, vulissi fare tu da cameriera a mia?

PRUREONASU:        Io a tia, scimunito? Ie comincia tu a pulizziarmi gli stivali.

FACCIESANTU:       Gli stivali a tia... Ie fattili pulizziare di tua madre e di tua soredda.

PRUREONASU:        Mia sorella nominasti?  Tira fuori u cutieddu, bestia! (Tirafuori il coltello.  A urli cominciano a sfidarsi).

Angelica, che ha seguito la scena maturando un'idea, balza tra loro.

«NON SIETE DEGNI»

ANGELICA:                          Fermatevi tutti!  Ma che state a fare?

          Buttate per terra coltelli e fucili. 

          Se voi lo volete, io posso tentare

          di farvi tornare persone civili. 

          Proviamo.

          Portatemi una tinozza.  Qua.  Avanti.

          Tutte le camicie fituse qua dentro.

          Tutte qui.  Presto.  Che non si resiste.

(Canta esaminandoli uno per uno, mentre alcuni portano dentro una grossa  tinozza e secchi d’acqua – Nella tinozza non visibili ci sono le  camice rosse).

          E tu con quella razza di barbone

          ti credi proprio d'essere carino

          e viceversa hai l'aria di un caprone

          imparentato con un porcospino

          E il giorno che ti tagli questi ricci

          ci riempiamo i pagliericci dell'esercito del re

          Oilì, oilì, oilì, oilì, oilé

                                                sembrate proprio un'arca di Noè

                                                Non siete degni, no, di stare al mondo.

                                                Tutti seduti che vi racconto una bella favola.

(Parlato; dà un'occhiata in giro e canta;intanto si avvicina al cespuglio con le bacche, ne prende di nascosto alcune e le mette nella tinozza)

Ci fu una volta un povero maiale che dal porcile fu cacciato via;

la notte lo sorprese un temporale e lui cercò un rifugio purchessia

Ma, capitato in questo accampamento, si fermò solo un momento

e poi disse: «Non ci sto».

Oilì, oiri, oilì, oiri, oilì

                                       perché il maiale no e voialtri sì

                                       non siete degni, no, di stare al mondo.

BANDITI:                      Oilì, oilì, oilì, oilì, oilì

la femmina ha ragione a di' cusì

                                       Vussìa parlasse e nui l'obbediremo.

Balletto: “Non siete degni”

Ballo della pulizia del campo, alla fine del quale Angelica chiama a sé gli uomini.

ANGELICA:              E adesso su stendetevi il bucato

                                    Che il sole asciugherà col suo calore

                                    Son le camicie vostre che ho lavato

                                    però si son cambiate di colore

                                    Son diventate rosse a poco a poco

                                    Tutte rosse come il fuoco

                                    che vi viene a liberar.

Oilì oilìoilì oiri oilé

Mettetele e venite assieme a me

Sarete degni, sì, di stare al mondo!

TUTTI:                        Oilì oilì oilì oilì oilé

mettiamole e veniamo assieme a te

saremo degni, sì, di stare al mondo!

Alcuni uomini e donne stendono le camicie ancora bagnate formando come un sipario.  Le camicie da bian­che che erano, sono diventate rosse.

Alla fine della ripresa, scostando due di queste camicie, appare Rinaldo.  Alla sua vista tutti rimangono interdetti. Le donne fuggono. In silenzio Rinaldo guarda le camicie rosse appese ad asciugare, il campo rimesso in ordine e infine i suoi uomini: questi, a testa bassa, con aria colpevole, ad uno ad uno vanno dietro Rinaldo, il quale con un cenno della testa indica loro le camicie.  Gli uomini vanno a staccarle e le indossano.

Angelica attende con aria di sfida.  Rinaldo, invece, le volta le spalle e rivolgendosi agli uomini:

RINALDO:    Sellate i cavalli.  Andiamo a Bagheria.  Hanno requisito il grano ai contadini.  Cose importanti ci aspettano.

Mentre gli uomini si affrettano a uscire, Angelica, offesa dall'indifferenza di Rinaldo, impaz­zendo dalla rabbia, lo affronta, costringendolo a voltarsi.

Scena III° - 3

PERSONAGGI – Rinaldo – Angelica

ANGELICA:  Cosa credi di aver risolto, fuggendo?... Tanto non ti libererai di me... Io ti seguirò a Bagheria o in qualunque altro luogo... E non ti lascerò fino al giorno in cui tu e i tuoi uomini non sarete degni di servire l'Italia.

RINALDO:    Ie chi è l'Italia?  Chi la conosce l'Italia? lo so solo che gli uomini venuti dal mare e scesi su chista terra sempre a conquista e rubberia vennero.  Chisti, poi, pure pezzenti sono, senza armi né divise.

ANGELICA:  Sono eroi.  Ma cosa puoi capirne tu, brigante senza patria?

RINALDO:    lo non ho patria? (Si china e prende un pugno di terra)Ie chista che è? Chista terra che brucia in mezzo lu mare e noi bruciamo con essa.  Chista è la mia patria e io pe' essa com­batto. Ie io essa libererò dal tiranno, ma pe' dalla ai figghi suoi e no allo straniero. Ie ora basta che discorsi de femmine questi non sono.

ANGELICA:  Già perché per te la donna...

RINALDO:    (molto serio) Silenzio! Alla donna la bocca ci deve servire soltanto pe respirare, pe' mangiare, ie baciare il suo uomo,…. quando il bacio le viene richiesto... le eccezionalmente anche pe' par­lare (con uno scatto) ma in ogni caso solo per dire di sì.

ANGELICA:  E io invece parlo, parlo, parlo finché mi si seccherà la lingua!

Attacca la musica, comincia il duetto di Rinaldo e Angelica:

«STAI ZITTA, SI O NO?»

RINALDO:                Stai zitta sì o no?

ANGELICA:              E no, e no, e no.

RINALDO:                Stai zitta sì o no?

ANGELICA:              E no, e no, e no.

RINALDO:                Te chiudo dentro un sacco

legata piedi e mani

e in bocca ai pescicani

ti scaraventerò.

ANGELICA:              lo ammazzo i pescicani tomo a galla e parlerò.

RINALDO:                Stai zitta sì o no?

ANGELICA:              E no, e no, e no.

RINALDO:                Almeno per un po'!

ANGELICA:              E no, e no, e no.

RINALDO.                Ti ci costringerò.

ANGELICA:              No.

RINALDO:                Mannaggia a chi per prima t'ha insegnato a dire no!

(Sul sottofondo musicale ad libitum parlano)

ANGELICA:              Fermo così. (Con tono rapito) Ah, come sei bello... Due occhi come due stelle!  E che fierezza nel volto!  E come seì forte, gagliardo, bello... Ah... Adesso ti piace che parli? Non mi dici di stare zitta. Vanitoso. Vanitoso.. vanitoso...che vanitoso sei!

(Riprendono il duetto)

RINALDO:                Stai zitta sì o no?

ANGELICA:                                                                                                                               E no, e no, e no.

RINALDO:                Ti taglierò la lingua

                                    ìn mille pezzettini

                                    ci faccio gli involtini

                                    e me li mangerò,

ANGELICA:                                                                                                                               lo pure in mille pezzi mille volte parlerò.

RINALDO:                Stai zitta sì o no?

ANGELICA:                                                                                                                               E no, e no, e no.

RINALDO:                Ma basta co sto no!

ANGELICA:                                                                                                                               E no, e no, e no.

RINALDO:                Ie se te pregherò?

ANGELICA:                                                                                                                               (Pausa. Sembra dire «si» poi fortissimo) No.

RINALDO:                Eppure a farti dire almeno un sì ce riuscirò.

(Sul sottofondo ad libitum parlano)

ANGELICA:  Ah, vuoi che dica sì?  Sono prontissima.  Dimmi: «Vuoi che rinunci a fare il ban-

                        dito?»  E io ti dico: Sì!  Dimmi: «Vuoi che io venga da Garibaldi?» E io ti dico: Sì!  Dimmi di gridare viva l'Italia e io ti dico: Sì, sì, sì. (Grida) Viva l'Italia!  Viva l'Italia!  Viva l'Italia... (Viene interrotta da Rinaldo).

(Riprende il duetto).

RINALDO:                   Stai zitta sì o no?

ANGELICA:                E no, e no, e no.

RINALDO:                   Stai zitta sì o no?

ANGELICA:                E no, e no, e no.

RINALDO:                   Ti porto in cima all'Etna

in pizzo sul cratere.

Un calcio nel sedere

E giù te butterò.

ANGELICA-.               lo esco dalle fiamme e più infiammata parlerò.

RINALDO:                   Stai zitta sì o no?

ANGELICA:                E no, e no, e no.

RINALDO:                   Sai dire solo no?

ANGELICA:                E sì, e sì, e sì.

RINALDO:                   Lo vedi hai detto sì.

ANGELICA:                No!

RINALDO:                   Se non sparisci presto uno sproposito farò.

ANGELICA:                E no, e no, e no.

E no, e no, e no.

E no, e no, e no.

RINALDO:                   Ma te ne vai sì o no?

ANGELICA:                No.

RINALDO:                   Vuoi rimanere li?

ANGELICA:                Sì!

Rinaldo la prende, la solleva e la getta a testa sotto in un lungo paniere.

RINALDO:                E adesso a capa sotto ie te sfido a dire no.

Musica forte, Angelica finisce colla testa infilata nel cestone, strilla, seguitando a scalciare con i piedi fuori.

Buio

SCENA QUARTA.

PERSONAGGI – banditore – popolani e popolane vestiti a festa - diavoluzzi

Scende un siparietto neutro con attaccati un bollettino di sua maestà e un decreto di requisi­zione del grano. Musica allegra.  Popolo che legge e commenta il manifesto. Entrano i diavoluzzi paesani caratteristici della festa. Dopo che i diavoluzzi hanno saltato e ballato con l'allegra musica, si sente un suono di tamburello e piattini.  Entra un banditore sbattendo tamburi e piatti.  Si ferma in mezzo alla scena.

BANDITORE:           Guaraguà ciccì gnegnè tatà

                                    Guaraguà ciccì gnegnè tatà

                                    Sua maestà Francesco

                                    Re delle due Secilie

                                    De Cipro e Gerusalemme

                                    Eccetera Eccetera Eccè

                                    Invia a vui cittadini

                                    la sua patema e benigna

                                    Reale benedizione...

                                    E quindi dichiara aperta la festa di San Pasquale!

TUTTI:                        Eh!

BANDITORE:           Guaraguà ciccì gnegnè tatà

                                    Guaraguà ciccì gnegnè tatà

                                    Guaraguà ciccì gnegnè tatà. 

                                    E in questo santissimo giorno

                                    secondo la tradizione

                                    i diavoluzzi potranno

                                    pazziare a comodo loro

                                    E inoltre su questo mercato

                                    pel vostro divertimento

                                    avrete il teatro dei Pupi

                                    che qui da Catania arrivao

                                    per farvi un nuovo episodio

                                    dell'opera di paladini:

                                    «Orlando e la terra promessa»

TUTTI:                        Eh!

BANDITORE:                       E guaraguà ciccì gnegnè.

(Balletto diavoluzzi).

BANDITORE:           Guaraguà ciccì gnegnè tatà

                                    Guaraguà ciccì gnegnè tatà

                                    E festeggiamo pure

                                    la grande vittoria dei regi

                                    ieri a Calatafimi

                                    Chista vitturia è scritta

                                    nel regio bollettino.

UNO DEL PUBBLICO:        E invece perso hanno!

BANDITORE:           Statte zittu, fituso! 

                                    Inoltre cittadini

                                    il sindaco ve recorda

                                    che grano granone e granturco

                                    so' stati requisiti.

UNO DEL PUBBLICO:        E a nui che ce magnamo?

BANDITORE:           Statte zittu fitusu!

U re Francisco secondo

                                    sempre paterno e benigno

                                    ce manda un rappresentante

                                    Barone de Castrovillari

                                    ca è già arrivato e se trova

                                    a pranzo dal sindaco nostro.

UNO DEL PUBBLICO:        E beati loro che mangiano!

BANDITORE:           Statevi zitti fetusi

se no Francisco secundo

sempre paterno e benigno

tutti in prigione ve manna

Guaraguà ciccì gnegnè tatà

Guaraguà ciccì gnegnè tatà

Balletto del Banditore

Su musica il balletto esce seguito dai diavoluzzi che ballano.  Si alza il siparietto sulla scena se­guente.

SCENA QUINTA.

PERSONAGGI – don Rosario – don Noccolò – 3 ballerine – 2 ufficiali borbonici - 4 diavoluzzi (3 banditi + Angelica) – Rinaldo – Chiericuzzu – Prureonasu – 3 / 4 guardie

Mezzogiorno del 16 maggio - Il giardino della villa del sindaco di Bagheria, Niccolò Niccoresi.

Una tavola imbandita intorno alla quale stanno seduti il sindaco conte Niccoresi, il rappresen­tante di sua maestà Francesco II, barone Don Rosario di Castrovillari e due ufficiali borbonici.  Di fronte al tavolo ha luogo uno spettacolino di danze in onore dell'ospite.  Terminato lo spettacolo le tre danzatrici escono.

DON ROSARIO:       E brave, brave 'e piccirelle... (Fermandone una) Con il permesso del signor Sindaco, io questa dea Pomona la rivedrei volentieri a cena. Vi secca, Don Niccolò? 

DON NICCOLO’:     Pe'carità... Don Rosario, voi il rappresentante di sua maestà siete... Noi siamo tutti qui per festeggiare a voi...

DON ROSARIO:       A me?  A San Pasquale... ne, piccirè, come te chiami? 

PASQUALINA:         Pasqualina.

DON ROSARIO:       Ah!  E allora anche a te bisogna fare la festa... A più tardi. (la ragazza ride compiaciuta della significativa battuta; si dimostra disponibile poi esce)

Si sente un'allegra musica.  Entrano ballando allegramente con campanelli e tamburelle ragazze e i diavoluzzi della festa.  Passano giocosamente intorno chiudendo il tavolo nel loro girotondo scherzoso.

DON ROSARIO:       E chi sono chisti farfarielli?

DON NICCOLÒ:       I diavoluzzi sono, eccellenza. E’ la tradizione della festa. 

DON ROSARIO:       (vedendo che i diavoluzzi toccano le ragazze e rubano cibo dalla tavola) Ah, e bravi i diavoluzzi... Nu poco scostumatelli, ma bravi... (I diavoluzzi si allontanano sempre bal­lando.  Uno degli ufficiali dice qualche parola all'orecchio di Don Niccolò). 

DON NICCOLO:       Scusate, Don Rosario, mi dicono che l'arciconfratemita di San Satumino vi deve fare l'omaggio del tradizionale cero.

DON ROSARIO:       Signori ufficiali, volete lasciarmi solo... Arriva il clero... (Le ragazze e gli uffi­ciali escono) (A don Niccolò) Che poi io questo clero non lo capisco: se la fa con Garibaldi che notoriamente è un mangiapreti...

Entra Rinaldo vestito da membro dell'arciconifraternita di San Saturnino.  Entra a capo chino salmodiando.

DON ROSARIO:       Che piacere, fratello, di avere l'onore di una vostra visita.

RINALDO:                Secula and seculorum amen (gli fa baciare la mano)

DON ROSARIO:       Amen.

RINALDO:                Oremus et suffremus in esta disgraziatissima terra con la più concettibile ed indefettibile (parole incomprensibili) per esti peccatoribus in secula and seculorum amen. 

DON ROSARIO:       Amen.

RINALDO:                Oremus et suffremus in esta disgraziatissima terra con la culpa inenarrabile et interruttibile (parole incomprensibili) per esti peccatoribus in saecula saeculorum

DON ROSARIO:       Amen.

RINALDO:                Santa Maria anima pia

prega pe'isso... pe' mia... e pe' tìa

e per tutti quanti l'astanti

pregano tutti li santi.

Per esti peccatoribus.

DON ROSARIO:       Amen, amen, grazie, fratello... Vogliamo far entrare i due angeletti col

cero...

RINALDO:                (verso la porta) E trasite, fratres! (Entrano Chiericuzzu e Prureonasu vestiti da angeletti e portano un enorme cero).

DON ROSARIO:       Grazie, grazie, che bel cero... Grazie, dolce angelet... (Sinterrompe vedendo

                                                le facce dei due angeletti).  Uh, mamma mia bella Don Niccolò, ma chisti

                                    che schifezza di an­geletti sono?  Ma guardate quanto sono brutti. Ma chi li

                                    sceglie gli angeletti a 'sto paese?...

Chiericuzzu, Prureonasu, e Rinaldo per confondere le idee attaccano a cantare.

                                                            Chisto beddu ceruzzeddu

                                                            Chisto ceruzzeddu beddu

                      Chisto  nostro ceruzzeddu

                      Noi te  lo donammo a te!

                      Chisto  beddu ceruzzeddu

                      Chisto  ceruzzeddu beddu

                      Chisto  nostro ceruzzeddu

                     Noi te  lo donammo a te!

                      Chisto  beddu ceruzzeddu

                      Chisto  ceruzzeddu beddu

                      Chisto  nostro ceruzzeddu

                      Noi te  lo donammo a te!

DON ROSARIO:       E basta. Questi quando cantano sono pure più brutti.  Qui soffre l'occhio, l'o­recchio, e pure un poco lo stomaco.  Grazie, grazie... Fratello bello, angeletti bel... No, a ve­rità, belli non glielo pozzo dì... Angeletti cari, volete gradire, non so, qualche cosa, un bic­chiere di vino...

A questo invito Chiericuzzu e Prureonasu mollano in terra il cero e fanno per dirigersi verso il ta­volo da pranzo.  Rinaldo li ferma acchiappandoli per le ali.

RINALDO:    (tirandoli indietro) La regola, il digiuno c'impone... Piuttosto vostra eccellenza una

                        benigna occhiata volesse dare all'interno del cero. Ie tutto ricamato a mano dalle

                        pie donne. (Al suono del loro allegro motivo rientrano i diavoluzzi colla loro chiassosa

                                Parandola circon­dano il gruppo.  Il barone viene travolto, colpito in testa e infilato nel cero mentre

                                don Niccolò è trattenuto e costretto al silenzio.  Tutto si deve svolgere fulmineamente).  Al

                                magazzino dei car­retti.

I due angeletti col cero circondati dai diavoluzzi fuggono e Rinaldo col suo bastone da frate co­mincia a duellare con gli ufficiali borbonici che stanno accorrendo.  Si accende un duello nel quale Rinaldo da solo col suo bastone tiene a bada sei ufficiali borbonici armati di spada.  Al termine del quale Rinaldo fugge.

Buio

SCENA SESTA.

PERSONAGGI – Chiericuzzu – Prureonasu - 4 diavoluzzi (3 banditi + Angelica) – Rinaldo – Angelica

La bottega di un fabbricante di carretti.  Subito dopo.  Entrano i diavoluzzi. Fanno un cenno.  Entrano portando il loro cero Chiericuzzu e Prureonasu.  Posano il cero per terra.

CHIERICUZZU:       Ammazzelo quanto pesa 'sto borbonico, oh!

PRUREONASU:        Su, su, Chiericuzzu, la mascherata leviamoci.

CHIERICUZZU:       E va be', un momento... Tutto de corsa... Me c'è venuto er mar de testa.  Pure l'aureola che me va stretta... (Si spogliano rapidamente.  Si sente bussare dal cero)Zitto un po'. Oddio le guardie!

Piccola scena di paura.  Si sente ancora bussare dal cero.

PRUREONASU:        Il barone bussò.

CHIERICUZZU:       Che te possino, barò... (Ai diavoli) Su, tiramolo fori... (Tirando fuori il barone dal cero) E voi fate spari 'sto cero.

DON ROSARIO:       Ma che maniera è... Dico: rapire va bene, ma nu poco 'e savoir faire... M'avite tutto sconocchiato... Bah, su, fate presto.  Che vulite?

CHIERICUZZU:       Ssst!  A barò... Bono... bono... (Un fischio convenzionale).

PRUREONASU:        Ecco Dragonera...  (Mentre Prureonasu va ad aprire).

DON ROSARIO:       Qua Dragonera?... No, dico, chisto, niente niente fusse Rinaldo o Dragonera, u brigante?...

CHIERICUZZU:       E chi se no?  Mi' nonno in carriola? (Entra Rinaldo).

RINALDO:                Fori a fare la guardia...

CHIERICUZZU:       Subito, Rinaldo.

DON ROSARIO:       Ossequi, don Rinaldo.

RINALDO:                Sogno Rinaldo, io... Rinaldo  u Dragonera e basta. (Agli uomini) Soli lasciateci.

CHIERICUZZU:       Ma er luogotenente?  Niente.  Prego. (Esce avvilito).

DON ROSARIO:       Se uno dei due angioletti mi volesse ridare l'orologio.

RINALDO:                Chiericuzzu!

CHIERICUZZU:       Io? Che c'entro io? (Si cerca addosso).  Uh, guarda... eccolo... che stupido... l'a­vevo preso prima per controllà l'ora dell'arrivo tuo... Pensi che nun regge, eh. (Ridà l'orologio a Don Rosario) Però, ammazza che malfidato... Tieni... Aho, più so' ricchi (via). 

DON ROSARIO:       Grazie, Rinaldo.  Veramente non mi aspettavo...

RINALDO:                Tagliamo corto, Castroviliari: Il decreto de requisizione tu lo facesti, e tu revocare lo devi.

DON ROSARIO:       Sta bene... Ve lo revoco... Avete altro da dirmi?

RINALDO:                No.

DON ROSARIO:       E io invece avrei qualcosa da dire a vui... (prende dalla tasca una pergamena piegata) E vvedite ste credenziali?... Con que­ste io posso fare generale del nostro esercito in Sicilia, persona di mia fiducia... E io a voi ci voglio fare...

RINALDO:                (divertito) Generale a mia?... (Don Rosario fa cenno di si).  Il generale Rinaldo Drago­nera dell'esercito borbonico... Con tutta la fioritura d'alamari dorati sulle spalle?... E tutte le spiumazze sul cappello?... (L'acchiappa minaccioso)Castrovillari, io spiritoso non sogno, ie chisti scherzi non me divertono.

DON ROSARIO:       Io non sto scherzando... Qui ci serve l'eroe popolare da contrapporre a chisto Garibaldi... Che, poi, o vero, chi è chisto Garibaldi?... Come nasce?  Un mozzo... Ne, Rinà, ma pecché se deve dire di Garibaldi che è san Micheluzzo Arcangelo... Facciamolo dire di voi... Che almeno siete siciliano e non straniero... Che poi, questi quattro filibustieri in cami­cia rossa, sono scalzi, stracciati, senz'armi... Chilli basta ca vui facite nu pemacchio e li ribut­tate a mare...

RINALDO:                Castrovillari, ie come la mettiamo ca io chisto pernacchio non tengo voglia de farlo a Galibardo e invece tengo voglia de farlo in faccia a Francesco secondo...

DON ROSARIO:       Padronissimo... Vogliamo fare un pernacchio a Franceschiello?... E io non mi tiro indietro... Tanto più che qui lo faccio e qui lo nego... Però, Rinà, però facciamo prima nu per­nacchio a chisti piemontesi e poi con comodo ci facciamo tutti gli altri pernacchi fra noi. 

RINALDO:                E se tu sei tanto sicuro ca la cosa così facile è, perché non ci vai tu?

DON ROSARIO:       Uh, Gesù... Io a la guerra... Non è cosa per me. La guerra è cosa da fare all’alba, e io sono un pomeridiano.  Pe' la guerra ci vogliono gli eroi; uomini rudi, forti, ca non si lavano... Perché non hanno tempo... Uomini guerrieri... fru­gali... Ca mangiano le cipolle crude... E già pecché mi si dice chisto Garibaldi così fa... Prima della battaglia, si mangia pane e cipolla cruda a mozzichi... Poi si mette alla testa dei suoi uo­mini e urla: «Avanti!» E grazie ca vince le battaglie.  Chillo con chisto «Avanti» incipollato s'apre il varco fra le file nemiche.  E pe' chisto ce vulite vui... Voi vi mettete in testa all'altro esercito.  Garibaldi si mangia la cipolla; voi per non essere da meno vi mangiate una bella treccia di aglio e abbiamo pareggiato le forze.

RINALDO:                Castrovillari, io con vui non posso combattere, pecché già combatto contro di voi, pecché voglio ca la Sicilia sia libera e sia solo di noi siciliani.

DON ROSARIO:       E mi aiutate a dire: buttate a mare Garibaldi, diventate un eroe popolare... E a quel punto dico: Francesco è re delle due Sicilie; due Sicilie tiene, una ve la dà a vui...

RINALDO:                Castrovillari, parlasti proprio bene... (Scattando) Ma pecché io mi dovrei fidare de tia? 

DON ROSARIO:       Perché vi conviene.  Vi porto sessantamila uomini... Sessantamila... La vostra spada fiammeggiante, e modestamente il mio cervello... Qua in quattro e quattr'otto facimmo      'a Sicilia libera... il regno di Trinacria.

RINALDO:                (tra se) 'A Sicilia libera.

DON ROSARIO:       Vui ci avite a pensà, … Rinaldo primo.

RINALDO:                Voglio sentire che ne pensano i miei uomini, pecché così li abituai.  Sento sempre prima il loro parere... E poi magari faccio chillo ca me pare a mia.

DON ROSARIO:       Ah, chisto è il principio della vera democrazia.

RINALDO:                (fischia e in un attimo arrivano tutti gli uomini vestiti da diavoli).

DON ROSARIO:       Ah, i diavoluzzi... Vi eravate organizzato...

RINALDO:                Compagnuzzi, il barone di Castrovillari mi ha offerto il grado di generale comandante dell'esercito di Sicilia...

ANGELICA:              (vestita da diavolo e nascostafra gli altri a questo punto non trattenendosi più viene avanti) No... No... Mai... (Si leva il cappuccio e mostra il suo volto).

RINALDO:                Tu?

ANGELICA:              Lui non indosserà mai l'odiata divisa del tiranno... Perché lui è un garibaldino!  Sì, anche se non lo sai, tu sei garibaldino nel cuore e garibaldino diventerai.  Viva l'Italia! 

DON ROSARIO:       E chi è questa diavolessa?

RINALDO:                Pazza, pazza è...

ANGELICA:              No! Non sono pazza... Sono italiana, come te... Garibaldina, come te...

RINALDO:                Fatela tacere... (Facciesantu cerca di chiudere la bocca ad Angelica che lo morde).

ANGELICA:              No, non tacerò... A morte il tiranno... Viva Garibaldi... (Le chiudono finalmente la bocca).

DON ROSARIO:       E bravo Rinaldo... Si parla tanto di questo vostro pugno di ferro, e poi tenete una spia garibaldina fra i vostri.  Ma allora, se questa disciplina è una favola...

RINALDO:                Castrovillari, favola non è. (Va davanti agli uomini) Cu fu ca fece arrivare qua

La pazza?... Eh?  Cu fu?

CHIERICUZZU:       (impaurito) Rina’, s'è messa a piagne... E io che te devo dì... Lo sai, quando le donne me se mettono a piagne...

RINALDO:                Tu, tu, Chiericuzzu... U cumpagnuzzu miu... U fratelluzzu mio... Pecché chisto dolore a Rinaldo desti?  Ca già lu core straziare me sento... (Piange).

DON ROSARIO:       Piange?  Uh, Gesù... A me mi pare un'esagerazione... perché piangete?

RINALDO:                Piango pecché conosco la legge di Dragonera pe chi disobbedisce,..

CHIERICUZZU:       No, Rinà, che fai? Io non volevo mica... Io non credevo...

RINALDO:                (fa un segno a Prureonasu che va fuori) Chiericuzzu, che duluri che me dai... Che mi costringi a fari.

DON ROSARIO:       Che vi costringe a fare?... Fatemi capire. 

RINALDO:                Che duluri, che duluri...

DON ROSARIO:       (vedendo Prureonasu che torna col pistolone) E mo?  Che vulite fa cu'sto pistolone?

CHIERICUZZU:       E no, Rinà... E no... No, Rinà... Non m'ammazzà... Non lo faccio più...

ANGELICA:              (liberandosi dalla stretta) No, non lo puoi ammazzare... E colpa mia.  Ammazza me, piuttosto, mostro sanguinario... (di corsa davanti a Chiericuzzu).

RINALDO:                Portate via la pazza.

Afferrano di nuovo Angelica.

DON ROSARIO:       Rinà, io ci credo alla disciplina, ma smettetela... Lasciate perdere...

RINALDO:                La legge è legge. (Punta la pistola).

CHIERICUZZU:       No, no, Rinà, nun m'ammazzà... nun m'ammazzà... (Rinaldo spara).  Te possino ammazzà (cadendo) M'hai ammazzato. (Cade morto).

Pausa.  Rinaldo lascia cadere la pistola in terra.

RINALDO:                Chista la legge di Rinaldo 'u Dragonera è.

ANGELICA:              (divincolandosi si getta singhiozzando contro Rinaldo) Tigre, sei una tigre... Ti odio... Io che ti amavo... Io che ti volevo portare da Garibaldi... Non gli servono, a Garibaldi, gli uomini come te... (Lo tempesta di pugni, tutti gli uomini sono su lei per afferrarla e riescono a trascinarla via).

RINALDO:                Portatela via. (La trascinano via mentre Angelica seguita ad urlare.  Un attimo di

                                          pausa.  Tutti gli uomini sono usciti meno Prureonasu).

DON ROSARIO:       A verità, mi fate nu poco schifo... Ma siete proprio l'uomo che fa per noi... Adesso se permettete io tornerei alla villa... Voi parlate coi vostri uomini... o perlomeno con chilli ca sopravviveranno... E poi mi fate sapere... Io aspetto.  Stateve buono.

Esce.  Prureonasu, piangendo, gli va ad aprire la porta e la richiude alle sue spalle.

RINALDO:                (continuando a piangere) Chiericuzzu miu... Solo mi lasciasti....  Se ne andò...

PRUREONASU:        Il barone se ne andò.

CHIERICUZZU:       (Tutti ridono.  Chiericuzzu si tira su, seccato).A Rinà, se n’è annato e io me so'

                                    stufato de fá sempre quello che more pe' fa' vedé che sei feroce, eh.

RINALDO:                Ie vuol dire che la prossima volta te spanzo pe' davvero.

PRUREONASU:        Non moristi mica tanto bene, chista volta. Preferii la morte ca facisti davanti all'arciprete... Recitasti megghio... quasi mi commossi

CHIERICUZZU:       Io so' n'artista.  Pe' ste cose uno va a giornate...

RINALDO:                Castrovillari torna       Muori, muori...

CHIERICUZZU:       N'antra vorta   (Si butta per terra; a soggetto chiede se la posa è giusta) .

Don Rosario entra e trova che Rinaldo sta prendendo fra le braccia il cadavere, come una mamma.  Al suo fianco Prureonasu piange con singhiozzi altissimi e terribili.  Don Rosario, con rispetto per il dolore, cerca di non farsi notare.  Poi, poiché i due continuano a piangere, si avvicina in punta di piedi a Ri­naldo.)

DON ROSARIO:       Scusate... Le mie credenziali...

PRUREONASU:        (singhiozzando) Bedda matri... Nu figghiu che era un geranio... La morte se lo pigghiò... Com'è sereno... Pare vivu, pare.

RINALDO:                            Beddu era!

PRUREONASU:        Beddu!

RINALDO:                Onesto era!

PRUREONASU:        Onesto, no.  Beddu, beddu era!  Non me lo posso dementecare!

DON ROSARIO:       (ha ripreso il suo portafogli e se ne va scuotendo la testa.  Rinaldo e Prureonasu seguitano a lamentarsi finché non sono sicuri che il barone si è definitivamente allontanato. Chiericuzzu si alza seccatissimo).

CHIERICUZZU:       E nun ci ho più l'età pe' fa' ste cose... Buttate per terra, ariarzete in piedi, aributtete per terra...

RINALDO:    Intanto bene funzionò la commedia... Castrovillari molto impressionato rimase... E

                        per di più la pazza garibaldina se disgustò... Finalmente dai piedi me la levai... (Si

                                sente stre­pito ed entra correndo Angelica col volto pieno di lacrime).

ANGELICA:  Me ne vado, ti odio, canaglia... Canaglia... Guarda che hai fatto di quel poveretto.

                        (Vede vivo Chiericuzzu, capisce).  Ma... (Cambia e guarda con adorazione Rinaldo).  Amore,

                                per­donami... Come ho potuto dubitare di te... Era tutta una commedia... Dovevo

                        saperlo... il cuore doveva dirmelo... tu sei buono... Tu sei nato per essere il mio

                        garibaldino.

RINALDO:    (cogli occhi fuori dalla testa) Aaaaaah!... No... (Corre verso la porta) Castrovillari...

                         volontario vengo.

Buio e stacco musicale

SCENA SETTIMA.

PERSONAGGI – don Rosario – Rinaldo – marionette – Angelica – popolo

La piazza di Bagheria dove si svolge la festa di San Pasquale, lo stesso giorno.  Carrettini e bancarelle con i più svariati prodotti sono ammassati in occasione dei fe­steggiamenti della Santa.  Movimento generale della gente del paese che viene interrotto dalla voce del venditore di aranci.  Da un lato, col sipario chiuso, un piccolo teatro per le rappresen­tazioni dei 'pupi'.

Balletto “La Tarantella”

VEND. DI ARANCI:            Aranci... aranci... Chiangi lu massaru quando me li detti, puvereddu.

Riprende il movimento che viene interrotto dal venditore di acqua.

VEND. DI ACQUA:             Acqua, acqua... Acqua cu l'anici.  E comu è fresca... e comu arrifrisca.

Riprende il movimento che viene interrotto dal suonatore di friscaleddu, il cui motivo dà inizio a un ballo generale. E’ la tarantella.  Finita la tarantella entra il barone di Castrovillari che parla al popolo.

DON ROSARIO:       In occasione di questa festa, sono lieto di darvi una grande notizia.  Il nostro esercito ha un nuovo generale. E’ un vostro fratello siciliano che ha sposato la nostra causa... Popolo, ho il piacere di presentarvi il nuovo generale Rinaldo Dragonera. (En­tra Rinaldo vestito da generale borbonico, seguito da Prureonasu e Faccesantu vestiti da uffi­ciali).  Applaudite!

Il popolo rimane nel più grande silenzio.  Le donne voltano la schiena.  Nel silenzio perfetto si sente solo il barone che applaude.

RINALDO:    (colpito dal silenzio del popolo, appena giunto vicino al barone) Non applaudirono, eh?

DON ROSARIO:       Generale, non ci fate caso... E’ popolo... (Per far superare la sgradevole atmosfera) Su, su... iniziate lo spettacolo dei "pupi".

Rullo di tamburi - Festa della gente.  Il sipario del teatrino si alza e inizia la rappresentazione dei 'pupi'. Il prode Orlando va alla liberazione della Terra Santa.  La scena rappresenta il campo dei paladini sul mare.  Entrano in scena alcuni 'pupi' in costume da paladini.

PALADINO ASTOLFO:                   Paladini, levate in alto il brando

                                                            e salutate il generale Orlando.

Entra Orlando.

PALADINO ORLANDO:                 Paladini, io giurai di liberare

                                                            una terra gagliarda e generosa,

                                                            una terra che brucia in mezzo al mare

                                                            e vive oppressa in schiavitù oltraggiosa.

PALADINO ASTOLFO:                   Siam pronti a fare fulmini e faville.

                                                            Quanti ne vuoi di noi?

PALADINO ORLANDO:                 Ne voglio mille!

PALADINO ASTOLFO:                   All'imbarco, fratelli.

PALADINO ORLANDO:                 Salperemo

                                                            verso la terra oppressa e vinceremo.

Escono tutti al seguito di Orlando.  Cambia la scena.  Frattanto il pubblico batte le mani.  La rappresentazione prosegue.  La scena rappresenta l'accampamento dei Mori.  Entra il generale dei mori con alcuni guerrieri morì.

MESSAG.  MORO:                           Gran capo dei birboni, due navigli

                   hanno buttato l'ancora, indi poi

                   ne sbarcarono uomini vermigli

                   ed avanzano in armi contro noi.

COMAND.MORO:                            Alla battaglia! Noi li affronteremo

                                                            e dentro al mare li ributteremo!

Esce seguito dai suoi guerrieri.  Entra Orlando.

ORLANDO:                                       Io ti libererò da tirannia

                                                          Terra gemella de la patria mia.

(Bacia la terra)                                     E affronterò i Borboni a ferro caldo

                                                          Pur se in campo con me non è Rinaldo.

Entra un guerriero moro.  Inizia combattimento fra paladini e Mori nel quale vedremo Orlando combattere da prode e uccidere gran numero di Mori e paladini cadere sotto i colpi dei nemici.  Alla fine del combattimento:

ORLANDO:                                       Perché per liberare il suo paese

con me Rinaldo in campo ancor non scese?

Entra il 'lupo' che raffigura Angelica.  Parlerà però con la voce della nostra eroina Angelica.

ANGELICA:                                      Rinaldo non verrà!  Sta coi nemici. 

ORLANDO:                                       Tu sei impazzita, Angelica!  Che dici?

Sulla piazza Rinaldo e Don Rosario ascoltano con attenzione.  Nervosamente ilpopolo rumoreggia.

ANGELICA:                                      Rinaldo non verrà, Dio lo perdoni.

                   E’ contro il popol suo ed il popol mio! 

                   Adesso è generale dei borboni!

                   Trema all'annunzio come tremai io...

Rinaldo  trema mentre il pubblico seguita a rumoreggiare.  Le voci altissime, continua la rappresentazione.

ORLANDO:                                       Orrore.

ANGELICA:                                      Orlando, tu che la mia terra

                                                            Venisti a liberar dall'oppressore. 

                                                            Contro il tiranno seguita la guerra

                                                            E innalza la bandiera tricolore!

Sulla spada appare una bandiera tricolore.  Il popolo inneggia.      Il barone scatta in piedi.

DON ROSARIO:       Arrestate i pupari!

Le guardie cercano di raggiungere il teatrino.  Il popolo glielo impedisce.  I pupari escono dal tea­trino.  Tra loro è Angelica che ha animato i 'pupi'.

ANGELICA:              Alle armi!  Popolo alle armi!  A morte il tiranno!

RINALDO:                Angelica!

DON ROSARIO:       Generale Rinaldo, comandate alle truppe di sparare sui rivoltosi...

RINALDO:                Sparare su di loro?

DON ROSARIO:       Sì!  Ve lo ordino!

RINALDO:                Facciesantu.

FACCIESANTU:       (al segno di Rinaldo, indirizza a Don Rosario una fragorosa pernacchia).

RINALDO:                (butta ai piedi di Don Rosario il cappello piumato.  Intanto in piazza la rivolta diventa tumultuosa: il popolo si getta sulle guardie borboniche combattendo con tutti i mezzi.  Angelica è scatenata.  Rinaldo si getta nella mischia al fianco di Angelica, in aiuto del suo popolo.  Cala la tela).

FINE PRIMO TEMPO

SECONDO TEMPO

SCENA PRIMA.

PERSONAGGI – 8 ballerine – Angelica – guardia

Una prigione nella fortezza borbonica.  La mattina del giorno dopo, 17 maggio. In una grande cella sono radunate tutte le donne detenute a causa della rivolta del giorno prima.  Fra queste è Angelica.

(scena a metà palco. Fondale con pietre; in avanti, a circa un metro, enorme inferriata che prende tutto il palco. A dx e sin. pilastri. Dietro l’inferriata, le donne in abito da galeotte. Sulla ribalta passeggia il secondino)

Una voce di detenuto canta dal di fuori.

«LA BALLATA DEL GATTO»

VOCE UOMO:                      Ehi, picciotta,

            bene arrivata cca

            Voi state chiuse dunt'a gabbia e stavolta 'n surcio ve fa ballà.

ANGELICA:         Ci fa ballare, ma

però non sa che arriva un gatto che sui carboni lo farà ballare e ballerà.

                        Ripassa il secondino.

TUTTE LE DONNE:                       Cri-cri-cri-cri

                                                          canta il sorcio nella sera

                                                          Miao miao miao miao

                                                          mentre il gatto fa all'amor.

                                                          Cri-cri-cri-cri

                                                          canta il sorcio nella sera

                                                          Miao miao miao miao

                                                          mentre il gatto fa all'amor.

                        Il secondino riesce.

VOCE UOMO:                                Ehi, picciotte,

                                                          stu surcio intanto magna

                                                          tutto ciò che v'appartiene

                                                          e stu vostro gatto cosa fa?

ANGELICA:                                   Ha messo gli stivali

                                                         per attraversare il mare

                       e con un balzo è giunto per portare la libertà.

                   Ripassa il secondino.

TUTTE:                                               Cri-cri-cri-cri

                                    canta il sorcio nella sera

                                    Miao miao miao miao

                                    mentre il gatto fa all'amor. 

                                    Cri-cri-cri-cri

                                    canta il sorcio nella sera

                                    Miao miao miao miao

                                    mentre il gatto fa all'amor.

Attirato dal chiasso, giunge il barone di Castrovillari.

DON ROSARIO:       (turandosi le orecchie) Iiih!  E ched'è st'ammuina?... Guardie, portatele in

cor­tile.  'Stu sole bollente calma i bollenti spiriti... E trattenetemi solo à capitanessa facinorosa...Chilla Mindelli... (Le donne vengono portate fuori dalle guardie.  Angelica viene condotta da­vanti a Don Rosario).  Che fetenzia, 'sti carceri...

(Si fa portare uno scranno). 

Scena I° / 2

PERSONAGGI – Angelica – Don Rosario

ANGELICA:              Morte al tiranno!  Viva Garibaldi!  Viva l'Italia!

DON ROSARIO:       Dalle!... A verità, sei monotona, unitona e monocorde... Mindelli, eh?

 Mindelli di Valscutari... Ma tu fossi parente a Enrico Maria?

ANGELICA:              Era mio padre...

DON ROSARIO:       A figlia d'Enricuccio... Gesù...

ANGELICA:              Conoscevate mio padre?

DON ROSARIO:       Enricuccio? Due fratelli.  Nel '48 abbiamo anche partecipato insieme ai moti rivoluzionari.

ANGELICA:              Voi, un rivoluzionario?

DON ROSARIO:       Eh, e che ti credi?  D'avere la privativa... L'idea rivoluzionaria è una

malattia giovanile, come la rosalia e il morbillone. O ti passa, o muori.  A

me, è passata.

ANGELICA:              A mio padre, no.

DON ROSARIO:       E fu così che lo perdemmo... Eh, eh, piccirè... come te sei andata a mischià co' certa canaglia?... Chillo Rinaldo... Un villanzone!  Ma come, Rinà?  Tu tieni un pernacchio in bilico tra Garibaldi e Francesco secondo e poi fra i due candidati me lo scarichi addosso a me... A me che l'avevo fatto pure generale... Maleducato...

ANGELICA:              Ve l'avevo detto... Rinaldo ha il cuore di un garibaldino.

DON ROSARIO:       Ah!  Un villanzone e un sanguinario... Piccirè, ti sei scurdata de comme ha

as­sassinato chillo povero Chiericuzzu... Tu non ci crederai, ma io da ieri me veco sempre da­vanti chilla capa 'e muorto... No, chillo Dragonera impiccato deve finire... E, piccirè, pure a te io dovrei... (Fa cenno di doverla appendere) Tu guarda in che situazione mi metti... Io t'im­picco... Tu nell'aldilà incontri a Enricuccio... Chillo ti domanda: «Nè, figlia mia a te chi t'ha impiccata?»

E tu gli devi rispondere: «Don Rosario di Castrovillari»... «Rosariuccio, l'amico mio?»       E chillo, Enricuccio, la prima mezzanotte libbera ca si trova, chillo giustamente ai piedi del letto mio vene... E io che faccia faccio?  Piccirè... scappa!

ANGELICA:              Mi fate fuggire?

DON ROSARIO:       Sissignora.  Ti faccio fuggire... Naturalmente qui lo faccio e qui lo nego ANGELICA:                   Lo fate per la memoria di mio padre?

DON ROSARIO:       Eh. (Commuovendosi) Glielo devo, povero Enricuccio... (Si riprende) Bah.Oh,

naturalmente, poi se ti trovassi a parlare col generale Garibaldi... Domani chillo avrà certamente bisogno... che so... di un capo di polizia... Noi meridionali come poli­ziotti abbiamo tradizioni fulgidissime.  Insomma, piccirè, hai capito... tu gli dici... Io qua sto.

ANGELICA:              Ho capito... ho capito... gesto nobile e disinteressato... Va bene... Accetto.

Però, le altre escono con me.

DON ROSARIO:       E come no?  E io mo' faccio uscire dalla fortezza tutte le rivoltose.  E mo' sei sfrontata!...

ANGELICA:              E allora io non esco.

DON ROSARIO:       Ma come?... Pe' 'ste quattro straccione ca nun le avresti prese manco per

                                    cammerere...

ANGELICA:              Sono siciliane come me, patriote come me... o tutte o niente...

DON ROSARIO:       Ma niente... E sì 'na capatosta... Ne, pecchi vi dovrei fa' uscì a tutte quante?  ANGELICA:                         Per la memoria di mio padre...

DON ROSARIO:       Ah, e io 'mo pe' la memoria d'Enricuccio faccio uscire a tutte vui e finisco

                                    impiccato io... A verità, a chisto punto, Enricuccio, con tutto il rispetto, di

                                    te me ne stracotto.  Piccirè, è la tua ultima parola?

ANGELICA:              Sì.

DON ROSARIO:       Guardie... rimettete sta guagliona d'int'o Grand Hotel Riportate le donne...

(Si avvia).  Neh, Enricù, ma c'aggia fa'?  Tu che vuoi da me... Eh no, no

U cuollo è mio... (Via).

Balletto: Fuga delle donne

Rientrano le donne dietro le sbarre; Angelica resta fuori. Gira intorno al carceriere; vede le chiavi che ha attaccate alla cinta; ha un'idea e inizia un ballo comico di seduzione durante il quale riesce a rubare al secondino le chiavi della cella.  Passa le chiavi alle donne che aprono la cella ed escono, lasciando il secondino imbavagliato e legato alle sbarre della prigione. Scappano dalla fortezza.

Buio

SCENA SECONDA.

PERSONAGGI – Chiericuzzu – Prureonasu – Nonno – Scippalestu – Facciesantu – Angelica – Carmela – 2/ 3 donne in abito nero

Il cortile della casa di Carmela.  Poche ore dopo, il 17 maggio.  Due donne sono intente a lavori domestici.  Il vecchio nonno seduto su uno sgabello fuma la pipa.  Alcuni bri­ganti, fra cui Chiericuzzu, Prureonasu e Scippalestu.  Chiericuzzu sta dando il becchime alle galline.

CHIERICUZZU:       Viè qua, bella gallinella, ché ciai du' coscette... (Si sente un galoppo di cavallo avvicinarsi; mentre le donne e il vecchio rimangono imperturbabili, i briganti sussultano) Ssst... Zitti un pò... Oddio le guardie... (Si sente il cavallo passare al galoppo e allontanarsi).

PRUREONASU:        Cavaddu de carrettere fu... Se Rinaldo casa mia scelse per luogo de rifugio, ragione aveva.  Fuori mano è. E poi, a fare la guardia, Facciesantu ce sta...

CHIERICUZZU:       E' hai detto Caio Giulio Cesare (Guarda il vecchio).  Ahò, ma tu' nonno quant'anni cià?  Duecento?  Nun s'è manco mosso. Ma non sarà già morto da quarche mese e nun ve ne siete accorti?... Ah, no, fa fumo. E bravo, nonnetto Nun je dà retta... Fuma, fuma...

PRUREONASU:       (alle galline) Purri purri purri   purri purri purri

CHIERICUZZU:       Ma che je dici, ai polli?

PRUREONASU:        Purri purri.

CHIERICUZZU:       Purri purri?  Ma dije regolare: pio... pio... pio... Viè qua, pollastra... Bella sei, bella e bona, arrosto... E stacce... Fatte da' un'attastata... Viè da zio... Fa' sentì la coscetta santa...

NONNO:                    (velocissimo e incomprensibile) No ghi devi nianchi provari a tuccari a gallinedda.

CHIERICUZZU:       Che ha detto?

PRUREONASU:        Disse de non toccare le gallinelle...

CHIERICUZZU:       Eh... E che sarà mai... lo pensavo che in occasione del ritorno der fìgliol

                                    prodigo, non dico er vitello grasso, ma almeno la gallina magra... Pure per

                                    le signorine... Ma non glielo volete dà un brodino... (Solleva il velo di una

                                                donna e sbircia) Ammazza che befana, oh!  Ma che una de queste è

                                    Carmela?

PRUREONASU:        Ah! Chiericuzzu, Carmela cercasti... le invece Carmela qua non ci sta... E

anche se ce stesse?

CHIERICUZZU:       Me la presentavi...

NONNO:                    I si chisti fetusissimi Carmelini vuoli disonorari, li spanzi.

CHIERICUZZU:       A nonné... Sei peggio der nipote... Te se sta a gonflà tutta la vena... Mica

                                    poi giocà tanto... Tu ce resti.

SCIPPALESTU-.       (scattando) Pecché Rinaldo non arriva? Iamuninni a cercarlo.

PRUREONASU:        Scippalestu, quando i rinforzi borbonici arrivarono in piazza, Rinaldo de

fuggire ce disse e de aspettarlo qua a casa mia.  E qua verrà.  Pecché de

parola è.

NONNO:                    Chiddu mariuoli uriuli mi fici fori digghi ca me ridi subbiti.

CHIERICUZZU:       Ma che dici, nonné... Nun se capisce niente...

PRUREONASU:        Dice che l'orologio gli rubasti e che dare glielo ridevi.

CHIERICUZZU:       Io? A nonné, ma come te permetti?  Va bè, che sei vecchio rimminchionito

                                    (Il nonnetto comincia a tremare visibilmente) Ahò... A nonné... Ma che te pija... A

                                    nonna. Ahà, dovesse mori, questo... Tiè... (Gli ridà l'orologio.  Prureonasu lo

                                                guarda con aria di rim­provero) Ma che me guardi?  Me sembrava che andasse

                                    un po' indietro e l'ho preso per fajelo aggiustà.  Non regge, eh? (Si sente un

                                    cavallo) Ce semo...

FACCIESANTU:       (da fuori) Compagnuzzi, fate passare, compagnuzzi ... La signorina

                                    Ange­lica arrivò...

CHIERICUZZU:       Angelica... (Prureonasu corre ad aprire.  Entra, ancora vestita da detenuta, Ange­lica).

ANGELICA:              Oh, Dio benedetto... Vi ho trovato... Dov'è Rinaldo?

CHIERICUZZU:       Ma nun sta co' te?  Non t'è venuto a liberà lui?

ANGELICA:              No... Sono fuggita da sola...

PRUREONASU:        Non c'è tempo pe' parlare... Ca si vestita da galeotta te trovano, povera casa

                                    mia, e poveri tutti noi... Fimmene, un vestito de Carmela prendete, e la

                                    signorina aiutate...

ANGELICA:              (uscendo con le donne) Fate qualche cosa... Bisogna cercare Rinaldo... (Entra nella casa).

CHIERICUZZU:       Non l'ha liberata Rinaldo!... E’ uscita sola dalla fortezza!...

SCIPPALESTU:         Chista picciotta una leonessa è...

PRUREONASU:        In piazza la vidi.  Combatteva a pugni e a calci come 'nu masculo... San

Giorgio, pareva... Non potetti resistere e scesi a combattere...

CHIERICUZZU:       Ahò, quando s'è messa a strillà «Viva Garibaldi» me so' inteso 'na cosa dentro... Me so' messo a strillà pur'io...

PRUREONASU:        Chiericuzzu... Pure tu «Viva Garibaldi» dicesti?

CHIERICUZZU:       Eh!

SCIPPALESTU:      Prureonasu, pur'io strillai le se Rinaldo se convincesse, io contento sarei de diventà garibaldese...

PRUREONASU:        Garibaldese?

CHIERICUZZU:       A Prureonà... Ma magari Oh, questi, si tutto je va bene, vonno arrivà a

                                    Roma.  A Roma!  Pensa.  Che bellezza!  Entrano da porta San Gìovannì...

                                    Tuttì eroi garibal­dini... Pensa quando che passamo sotto a Trinità de' Monti,

                                    co' tutte le donne impazzite che ce tirano fiori, e magari ce sta puro

                                    Nunziata... Sola, perché ner frattempo ar lanzichenecco svizzero, l'alabarda,

                                    gliel'ho messa dove dico io... Pensa a girà pe' Trastevere in camicia rossa...

                                    «Evviva er garibaldino, evviva er garibaldino ... ». (Come rispondendo alle

                                                acclama­zioni) Salve... E dopo due o tre giorni...

PRUREONASU:        E che te dicono?

CHIERICUZZU:       I romani?

PRUREONASU:        Si?

CHIERICUZZU:       E che me devono dì: «A garibardì, e mo avemo capito.  E vatte a levà 'sta camicia rossa che ciai puro stufato»...

SCIPPALESTU:         E però… bello sarebbe...

CHIERICUZZU:       Eh, sarebbe bello, sì... (Si scatenano rumori dal pollaio) Ma che è 'sto rumore?  Lì c'è qualcuno.

PRUREONASU:        Chiericuzzu, fermate!

CHIERICUZZU:       Ti dico che c'è qualcuno. (Apre il pollaio ed esce Carmela).

PRUREONASU:        Chiericuzzu non la guardare!  Carmela occhi bassi.

CHIERICUZZU:       Carmela, eh!  L'avevi chiusa fra i polli, eh.  Fammela un po' vedé.

PRUREONASU:        U cutieddu te faccio assaggiare, se la guardi.

NONNO:                    Nun guardari a Carmela nun guardari.

CHIERICUZZU:       Ma va' a morì ammazzato.

PRUREONASU:        Trase, Carmela... Nonno, in solaio accompagnatela...

CHIERICUZZU:       Esagerato... E’pure caruccia... Ciao, Carmelì...

PRUREONASU:        Chiericuzzu... (Mentre Carmela esce col nonno, si sente il flschio di Rinaldo).

SCIPPALESTU:         Sta arrivando Dragonera. (Entrano alcuni briganti.  Entra Rinaldo).

RINALDO:                (in grande apprensione) La vediste, Angelica?... Andai pe' liberalla alla prigione e la prigione vuota trovai... Già fuggita era...

Scena II° - 2

PERSONAGGI – Angelica – Rinaldo

Angelica sull'ultima battuta di Rinaldo appare sulla soglia.  Guarda Rinaldo dolcemente.

ANGELICA:  Sono qui Rinaldo, e non sono ferita.

RINALDO:    Da sola scappasti... E certo... La signorina non tiene bisogno d'aiuto... Stupido io,

                        Che  rischiai pe' venirti a liberare

ANGELICA:  Sei venuto a liberarmi

RINALDO:    Rinaldo Dragonera non lascia una donna... (Interrompendosi) Ma che hai sulla

                        fronte... (Le si avvicina) Chisto colpo de bastone è. Ti colpirono?  Qui serve acqua,

                        bende...  Qualcuno...

Chiericuzzu e gli altri escono.

ANGELICA:  (fermandolo dolcemente) No, non chiamare... (Gli prende la mano e se la poggia sulla ferita) Tienici sopra la tua mano... così...

RINALDO:    (imbarazzato) E che te po' fa?  Che la mano mia è la mano dello stregone?

ANGELICA:  (chiude gli occhi e si appoggia a lui.  Pausa).

RINALDO:    Parla.

ANGELICA: Come?

RINALDO:    E parla.'

ANGELICA: Se m'hai sempre detto che la donna deve tacere...

RINALDO:    Sì. Ma adesso se zitta stai, è cosa perìcolosa, Angelica.

ANGELICA:  Perché?

RINALDO:    Pecché quando zitta stai, io non capisco a che pensi dinto a chista testa tua... (Ritira

                                la mano con rabbia) (Scattando) E sissignora, mannaggia a mia, sissignora... Ebbi

                        paura pe' tia, quando t'ho visto fare la rivoltosa... E ho sentito che, se male

                        t'avessero fatto, pe' mia sa­rebbe stato come un cuteddu freddo dintu u core.  Ma tu

                        sta faccia felice non la devi fare, An­gelica.  Pecché se la donna che Iddio fece co' la

                        costola ca me tolse sei tu, chisto vuol dire ca sei una cosa mia.  Unu pezzo de

                        Rinaldo, come un braccio... una mano ... E non ride... Ma chi sei, tu?  Che vuoi tu,

ca fino a ieri come una gatta arrabbiata graffiavi, come una vipera morzi­cavi, e uora doce doce sei diventata.  E me guardi... E nun me devi guardare... E la faccia

                        felice non devi fare, pecché ricordate ca chisto ca te sta succedendo non è buono

                        pe' tia!

ANGELICA:  Sì, amore...

RINALDO:    Pecché se tu sei costola mia, io il padrone sono e tu obbedire me devi.

ANGELICA:  Sì, amore...

RINALDO:    E se me desubbedisci, la cinghia...

ANGELICA:  Sì, amore...

RINALDO:    E pecché prima sempre de no me dicevi, e ora sempre de sì me dici...

ANGELICA:              Perché adesso anche tu mi vuoi bene... E sei sceso in piazza al mio fianco.  Hai

                   combattuto con me, contro i tiranni... Sei diventato un garibaldino...

RINALDO:    (scostandola) Ma che hai capito? lo l'ho fatto per difendere te... il popolo... Roba mia... E no pe'chisto Galibardo... Che anche adesso me lo vuoi sbattere fra i piedi, mentre te parlo d'ammure, maledetto Galibardo.

ANGELICA:  Rinaldo!...

RINALDO:    Maledetto lui, sì.  E maledettissimo il giorno che sbarcò su chista terra nostra...

ANGELICA:              (dopo una pausa) Rinaldo... Io me ne vado.  Addio... (Volta le spalle ed esce).

RINALDO:    Angelica, fermati... Guarda che se non torni subito indietro, non mi vedrai mai più.  Angelica.  Fermati, Angelica... (Corre verso l'uscita) E vattene, allora... Vattene...

«VA' ... VA' ... VA'!»

RINALDO:            Va', va', va'

lontano devi andare

senza voltarti indietro, indietro non tornare.

Va', va', va'... Va', va', va' non hai capito niente

non puoi capire niente

di chisto core mio.

Nu core ch'era libero d'ammure

nu core che aspettava sulo a tia

Mannaggia a chisto ammuri

comme me fai suffrire.

Scena II° - 3

PERSONAGGI – Rinaldo – Prureonasu - Facciesantu

(Interrompe la canzone)

                                    Chiericuzzu!... (urla) Chiericuzzu!... (Entrano Prureonasu e Facciesantu) E

                                    Chiericuzzu?  E gli autrui?  Dove stanno?

PRUREONASU:        A cavaddu con Angelica li vedemmo passare... Giù, alla fine del bosco...

FACCIESANTU:       Non fosti tu a mandarli?

RINALDO:                Co' Angelica?!... Senza dimme niente... (Esce dal cancello urlando) Traditori!  Fitusi! Traditori...

PRUREONASU:        Facciesantu... Vuoi vedere ca chilli, con Angelica, tutti a farsi garibaldesi,

                                    andarono?

FACCIESANTU:       Zittu... zittu... Per l'amor di Diu...

RINALDO:                (rientra come una belva) Tradituri!  Tradituri!... E vui due, pecché non andaste co' loro?

PRUREONASU:        Rinaldo, che dici?

FACCIESANTU:       Nui cu tia stiamo...

RINALDO:                E invece pure voi cu essi dovete andare... A calci, a calci ve ce mando da

                                    Galibardo... Iatevinni... Iatevinni... Via! (Li sbatte fuori ma Prureonasu e

                                                Facciesantu rientrano immediata­mente).

FACCIESANTU:       Ma come, Rinaldo. Chilli se ne vanno e tu a nui ca rimanemmo cu tia ce

                                     insurti?

RINALDO:                 Perdonami Facciesantu… Ie grazie ca rimaneste... E pure a tia,

                                    Prureonasu...

PRUREONASU:        Rinaldo, tu comanda e noi tutti te li riportiamo, chilli traditori... E pe' primo Chiericuzzu, chilla gramigna de seminarista...

RINALDO:                No, no, Prureonasu, traditori non se pozzono chiamare Io, se qua ce l'avessi,

                                    adesso, fra le mani, tutti li spezzerei... Ma lo so: la culpa non è loro. Idda fu, Angelica... Cu stu veleno dell'Italia... Nu veleno cusì suttile ca io

                                    stesso in certi momenti nelle vene me lo sento... L'Italia... Dentro a la testa

                                    mia me seguita a ronzà come 'na cicala d'estate, chista pa­rola: Italia... Chista

                                    pazzia... E anche ora ca sto qui, intussicato d'odio, mentre la dico a vui sta

                                    parola, dentro me sento un fremito... E 'stu fremito me sembra una

                                    bestemmia, ca solo per la Sicilia lo dovrei senti.. pecché st'isola niente a che

                                    fare ha cu st'altra terra, ca pe' chisto Iddio u mare ce mise inturno... Eppure

                                    dentro de me la sento anch'io 'sta voglia addannata de currere e gridare in

                                    faccia ai regi, cu' tutta l'aria ca tengo nei polmoni, 'sta parola.  Male­detto a

                                    mia...

Pausa. Prureonasu e Facciesantu si guardano.  Si fanno cenni come per dire che bisognerebbe fare qualche cosa per aiutare Rinaldo.

FACCIESANTU:       (facendosi coraggio) Rinaldo, non fare così.  Ca ce fai prendere paura...

PRUREONASU:        (recitando) E guarda come diventa ridicolo Facciesantu quando paura tiene...

FACCIESANTU:       Ridicolo?... Ridicolo a tua madre e a tua sorella dillo...

PRUREONASU:        Mia madre e mia sorella nominasti?... Rinaldo, damme u permisso ca io cu u cuteddu u spanzu a chisto...

RINALDO:                E’ inutile, fratelluzzi.  Voglia de ridere non ne tengo...

PRUREONASU:        E neanche una resatina piccola piccola...

FACCIESANTU:       Rinaldo?  Noi due come briganti forse poca cosa siamo... ma te da solo vali tutta la banda...

PRUREONASU:       Andiamo Ca la strada maestra ci aspetta... (Canta) Dragoné... Dragoné...

RINALDO:                Giusto, fratelluzzi... Facciesantu... Vai a sellare i cavalli... (Facciesantu esce).  Ca non sia mai detto ca una femmina ha messo 'u ferr'in capo a Dragonera... Adesso a cavallo e via... (Rientra Facciesantu).

FACCIESANTU:       I cavalli se li sugarono... Solu tre scecchi nella stalla trovai.,. (Apre lo sportello della finestra della stalla e si vedono tre teste di somari ovviamente dipinte)

RINALDO:                (ridendo amaramente) Tre scecchi... Tre somari... Tre somari e tre briganti.

«LA BALLATA DEI TRE SOMARI»

RINALDO:                            Siamo rimasti in tre

                                                tre somari e tre briganti

                                                sulla strada lunga lunga di Girgenti

FACCIESANTU

E PRUREONASU:               Sì, ma se stasera

incontriamo la corriera

uno balza sull'arcione

uno acciuffa il postiglione

due sorvegliano di fuori

uno spoglia i viaggiatori e ce ne andiam

RINALDO:                            Ma se siamo tre

                                                tre somari... tre briganti... Solo tre

TUTTI:                                    Ah ... ah... ah... ah... ah...

PRUREONASU:        (parlando) Ie non te preoccupare Dragonera... qua noi due siamo e cose mirabolanti possiamo fare: siamo i padroni del mondo.

2

RINALDO:                            Siamo sempre in tre

                                                tre briganti e tre pistole

                                                sulla strada da Girgenti a Monreale.

PRUREONASU

E FACCIESANTU:               Sì, ma c'è il castello

                 del marchese di Mondello

                 uno passa dal portone

                 uno salta dal bastione

                 uno ammazza i servitori

                 due si pigliano i tesori e ce ne andiam.

RINALDO:                                        Ma se siamo in tre

                                                            tre somari... tre briganti... un, due e tre.

TUTTI:                                    Ah... ah... ah... ah... ah...

FACCIESANTU:       (parlando) Ma pecché fai chidda faccia accipigliata, Dragoné... Comandaci ca anche contro tutti possiamo andare.  Anche contro i cicloppidi.

3

RINALDO:                            Ma se siamo in tre

                                                tre briganti e tre somari

                                                sulla via da Monreale a Misilmeri.

PRUREONASU:                    Ma se tu proponi

                                                di piombare su Borboni

FACCIESANTU:                   uno aggira l'avamposto

                                                l'altro attacca il fronte opposto

PRUREONASU:                    uno sfodera il trombone

                                                l'altro balza sul cannone

FACCIESANTU:                   uno lega la vedetta

                                                l'altro ammazza la staffetta

PRUREONASU:                    uno attacca gli artiglieri

                                                e li prende prigionieri

FACCIESANTU:                   uno piomba sull'alfiere

                                                e gli strappa le bandiere

PRUREONASU:                    uno invece fa man bassa

                                                sopra i viveri e la cassa

FACCIESANTU:                   uno impegna in un duello

                                                generale e colonnello

PRUREONASU:                    uno acciuffa con la mano

                                                il maggiore e il capitano

FACCIESANTU:                   uno infilza col pugnale

                                                il sergente e il caporale

PRUREONASU:                    Ed intanto a poco a poco

                                                tutto quanto è a ferro e fuoco

FACCIESANTU:                   pei nemici non c'è scampo

quando c'è Rinaldo in campo

A DUE:                                   il Borbone se la squaglia

                                                abbiam vinto la battaglia viva hurrà.

(Pausa)

RINALDO:                            Ma se siamo tre

                                                tre somari... tre briganti... solo tre.

(Inforcano i tre somari ed escono)

TUTTI:                      Ah... ah... ah... ah... ah...

Buio.

Sul solito fondale, riappare, cantando, il cantastorie.

CANTASTORIE:       Cu tre briganti supra a tre sumari *****************************

                                    continua chista rappresentazione

                                    però Rinaldo cu li due compari

                                    già se prepara alla resurrezione. 

                                    E intanto Angelicuzza e li briganti       da riadattare

                                    hanno raggiunto li garibaldini

                                    e insieme si son mossi tutti quanti

                                    pe’ andà a la villa dei Corinaldini.******************************

Buio

SCENA TERZA.

LETTERA CAPITANO BIROLLLI

SCENA QUARTA.

PERSONAGGI – Zia Agata – Armida – Clorinda – don Rosario – Chiericuzzu – Capitano Birolli – 3 / 4 Garibaldini

Il giardino di villa Corinaldini nei pressi di Palermo.  La mattina del giorno dopo, 20 maggio.  Escono Don Rosario e zia Agata dall'interno della villa.  Stanno parlando.  Due ra­gazze giocano al volano.

ZIA AGATA:                         Io vi ringrazio, Don Rosario, ma un altro trasferimento... Proprio non me la

                                    sento...

DON ROSARIO:       Agata carissima... Ma voi siete caduta dalla padella nella brace... Questa villa è in una posizione delicata... Vedrete: qua prima o poi si combatte...

                                    Datemi retta... Domani vi mando un bel landò e ve ne andate a Napoli, da

                                    Nennella...

ZIA AGATA:                         E io parto e lascio Angelica, chilla povera bambina, sola per la Sicilia...

DON ROSARIO:       Povera bambina?  Eh no, e voi a vostra nipote la sottovalutate... Chilla è capace di sollevare intere popolazioni... Chilla trattava a tu per tu perfino cu Dragonera... Un bri­gante ferocissimo... Oh, per una fesseria, sotto agli occhi miei ha assassinato a freddo il suo luogotenente... Vui non ci crederete, ma io da quel momento tengo sempre avanti all'uocchi la faccia 'e chillo povero guaglione morto... E a verità non è nemmeno un bel vedere... Per­ché era anche bruttarello... (Dal pozzo dietro le spalle di zia Agata, appare la testa di Chieri­cuzzu.  Don Rosario parlando lo vede e impallidisce).  Uuuh!  Mamma mia bella.  'A capa 'e muorto...

ZIA AGATA:                         Cosa avete, Don Rosario?... Male vi sentite? (La testa di Chiericuzzu scompare).  DON ROSARIO:     No, no, niente, niente, aggio avuto comm'a 'na visione... A capa 'e chillo

                                    po­vero guaglione defunto... No, no, io non sto bene...

ZIA AGATA:                         Sedetevi, Don Rosario... Sedetevi, ché io due dita di rosolio vi vado a

                                    prendere...

DON ROSARIO:       E mi lasciate solo...

ZIA AGATA:                         Don Rosario, qua siete a casa nostra...

DON ROSARIO:       E io proprio a casa vostra le vedo 'e cape 'e muorto... Bah, fate presto... (zia

Agata esce).  No, no... io non sto bene A me 'ste guerre mi rovinano la salute... (Riappare dal pozzo la testa dì Chiericuzzu) Aaah Dalle... Il ritornato... Ma che vuoi da me, spirito in­quieto?... Chi ti manda?  Eh... (Frattanto Chiericuzzu è uscito dal pozzo e si avvicina a Don Ro­sario aggirandolo.  Lo costringe così a voltare le spalle al pozzo dal quale escono tutti i garibal­dini col Capitano e Angelica).  Ti manda Enricuccio?  Chi ti manda?

CHIERICUZZU:       (voce dall’oltretomba) Me manda Giuseppe...

DON ROSARIO:       Giuseppe chi?

CHIERICUZZU:       Giuseppe Garibaldi.  Mani in alto, barò

DON ROSARIO:       Ma allora... Sei vivo... non sei morto?

CHIERICUZZU:       (faccenda le corna) Tiè.

Tutti ridono.  Don Rosario si volta e si trova circondato da garibaldini.

DON ROSARIO:       (stupito) Ma... Angelica!

ANGELICA:              Capitano, ho il piacere di presentarle Don Rosario di Castrovillari, rappresentante di Francesco secondo...

CAPITANO:              Capitano Birolli.,

DON ROSARIO:       Piacere.

CAPITANO:              Piacere... La dichiaro in arresto.

DON ROSARIO:       Ma come... Angelica, io sono venuto qua per parlare con tua zia e le tue sorelle per salvarle e tu mi fai arrestare proprio qua...

ANGELICA:              Zia Agata!... Le mie sorelle!... (Chiama) Zia... Zia...

DON ROSARIO:       La prima volta in vita mia che ho compiuto un atto disinteressato... Non lo fac­cio più... Eccomi... (Porge le mani).

ZIA AGATA:             (entra di corsa con le sorelle. abbracci) Angelica… Signore benedetto. Che ci fai qui? Come sei venuta?

ANGELICA:              Mi sono unita ai garibaldini. E insieme a me sono venuti quasi tutti gli uomini di Rinaldo.

CAPITANO:              L’è propiro vero. E son tutti bravi figlioli, che Dio li benedica.

ZIA AGATA:             Angelica, morire mi fai. Ma come siete entrati?

ANGELICA:              (alle sorelle) Vi ricordate il vecchio passaggio nel pozzo che usavamo da bambine con il nonno per uscire di nascosto a mammà? Abbiamo usato quello.

CAPITANO:              L’è proprio una gran brava e belle figliola. Siete proprio fortunata, signora. (ai soldati) Bene, figlioli, con me.  Prendiamo possesso della villa... Tu, Vincenzo, occupati del Barone...

Entra con i garíbaldini nella villa.  II.garíbaldino Vincenzo invita il barone a entrare.

GARIBALDINO:      Iamme, barò!

DON ROSARIO:       Ah, un napoletano... Ma siete molti di Napoli?

GARIBALDINO:      Molti, molti... Pecché 'a Napule vera simmo nui e no vui... vui siete fernuti... Jamme, barò... (Entrano nella villa).

Resta Clorinda per prendere il ricamo lasciato in scena.  Dal muro davanti a lei salta giù Rinaldo nella solita divisa di garibaldino con la solita finta ferita come nella prima scena.

Scena IV° - 2

PERSONAGGI – Rinaldo – Clorinda – Chiericuzzu – Capitano – Angelica – 3 / 4 Garibaldini

RINALDO:                Non prendetevi paura, signorina... Sono un patriota siciliano... Mi manda il generale Garibaldi...

CLORINDA:              Ma lei è ferito...

RINALDO:                Colpo de striscio fu... Ma non c'è tempo da perdere, io cerco viveri, munizioni, so­prattutto denaro... Denaro cerco.

CLORINDA:              Ah, capisco... Adesso le chiamo gli altri.

RINALDO:                Gli altri chi?

CLORINDA:              Gli altri garibaldini... Sono arrivati adesso... Ce ne sono tanti... Aspetti,

                                    corro a chiamarli.. Aspetti qui...

RINALDO:                E io qui aspetto... (La ragazza corre via). (Si arrampica sul muro per fuggire.  Entra Chiericuzzu).

CHIERICUZZU:       Tenente... Tenente... (Lo afferra per i pantaloni) Ma ndo và?  Fori ce so' i borbo... (Vede che è Rinaldo) Rinaldo...

RINALDO:                Chiericuzzu... Lassame, giuda fituso...

CHIERICUZZU:       In camicia rossa?

RINALDO:                E che te credi, bestia?  Chista per trovare denaro, la misi.  Come ho sempre fatto, quando insieme stavamo.  E tu te vestivi da borbonico, allora... E lassame...

CHIERICUZZU:       E aspetta Rinà... E nun te ne annà...

RINALDO:                E lassame cu ste mani de traditore... (Entra il capitano Birolli).

CAPITANO:              O che succede, figlioli? O chi gli è? Un tenente?

CHIERICUZZU:       Eh sì... è arrivato adesso... m'ha chiesto: «Che compagnia è?» j'ho detto «La

                                    terza»... e lui fa dice: «Beh, scusi tanto io cercavo la quarta» e se ne voleva

                                    riandà...

CAPITANO:              O figliolo, ma lei è venuto costà e fuori i borbonici son fitti come mosche e

per di più gli è in camicia rossa.  Glien'ha del fegato... Ma come le è

riuscito di passare?

RINALDO:                (imbarazzato) Così...

CAPITANO:              Bravo, figliolo... Oh, pardon, tenente... Permette... (Presentandosi) Avvocato... Scusi... Capitano Birolli da Castiglioncello.  E lei di dov'è?

RINALDO:                (pronunciandola C alla toscana) Catania.

CAPITANO:              Ah, bene, un picciotto... Acciderba, senza il vostro aiuto, un lo so... eh... Un

                                    lo so mica.  Lei naturalmente è della Colonna La Masa...

RINALDO:                Eh... Sì... (controscena di Chiericuzzu)

CAPITANO:              E come andò a Gibilrossa?

RINALDO:                Eh... Bene... (controscena di Chiericuzzu)

CAPITANO:              E di lui, di lui che mi dice?

RINALDO:                Di lui... Chi? (controscena di Chiericuzzu)

CAPITANO:              O bella, come chi?  Il generale Garibaldi, che fa?  Che fa?

RINALDO:                Eh... Pane e cipolla mangia...

CAPITANO:              Che uomo... Io, ci crede, quando penso a lui, mi dica grullo, ma mi

                                    vengono le lacrime agli occhi...

CHIERICUZZU:       Eh, lo credo bene (ride).

CAPITANO:              Ma cos'ha lì al braccio?... Gli è ferito?

RINALDO:                No, no... Niente... Colpo di striscio fu...

CAPITANO:              Bisogna curare, disinfettare subito... C'è pericolo di cancrena.

CHIERICUZZU:       No, davvero, nun è niente, un graffietto, signor capitano Birolli.

CAPITANO:              E che ne sai tu?

CHIERICUZZU:       Eh... Me l'ha detto lui... signor capitano Birolli.

CAPITANO:              Niente eroismi inutili ... Figliolo, si tiri su la camicia e faccia vedere...

                                    (Chiericuzzu e Ri­naldo si guardano) Faccia vedere.  E' un ordine, tenente... (Entra

                                                 di corsa Angelica con Clorinda).

CLORINDA:              Eccolo

ANGELICA:              Rinaldo,… Sei venuto... Lo sapevo... Ero sicura.  Il mio garibaldino...

RINALDO:                Ah!

CAPITANO:              (ad Angelica) Lo conosce?

ANGELICA:              Certo che lo conosco. (Fissa felice Rinaldo).

CLORINDA:              Angelica, non c'è tempo da perdere... Ha detto che il Generale ha bisogno

                                    di denaro...

ANGELICA:              (comprendendo il nuovo inganno) Ah...

CAPITANO:              Il Generale ha bisogno di denaro?  Tenente, perché non me lo ha detto

                                    subito?

RINALDO:                            No... Non se preoccupasse vossía.

CAPITANO:              Come non mi preoccupo?  Bisogna trovare subito denaro per il Generale...

CHIERICUZZU:       Ma no... Nun je servono i sordi a Garibaldi, signor capìtano Birolli.

CAPITANO:              E tu cosa ne sai?

CHIERICUZZU:       Eh... Me l'ha detto lui... signor capitano Birolli.

CAPITANO:              O tenente… Io comincio a vederci poco chiaro... O lei, cosa gli è venuto a fare?...

ANGELICA:              (per salvarlo) Capitano è venuto per me... Per combattere al mio fianco...

CAPITANO:              Ah... Un po' di romantico non guasta in questa guerraccia... Bene, figliolo...

                                    La dia un bel bacio, alla sua morosa... (Il Capitano e Chiericuzzu si voltano per

                                                discrezione.  Angelica e Rinaldo restano a fissarsi senza avvicinarsi).  E adesso venga

                                    con me... Le fo vedere come avrei pensato di organizzare la difesa al lato

                                    nord... (Lo prende sottobraccio e si avvia).  La son con­tento di aver qualcuno che

                                    mi dia una mano a comandare a codesti ragazzi...

CHIERICUZZU:       Gagliardo, oh, era venuto come garibaldino finto e mo le tocca a fallo pe'

                                    davvero... Je l'avemo fatta!

ANGELICA:              Ho paura.  C'era troppa rabbia nei suoi occhi...

CHIERICUZZU:       Stia tranquilla, signorì... Ce pensa Chiericuzzu suo... (Va dietro agli altri).

ANGELICA:              (va davanti alla nicchia con l'immagine di Santa Rosalia) Santa Rosalia, ti prego, fa'

che a contatto con questi ragazzi Rinaldo capisca... che diventi garibaldino.. Se tu mi fai la grazia, Santa Rosalia, io faccio voto….  Eh no... Eh, no, Santa Rosalia... Lo so che dovrei fare il voto di rinunziare a lui... Ma poi non ci riuscirei... ma tu sei buona, sei una santa, questa gra­zia fammela lo stesso, io... (Viene interrotta da forti colpi bussati al cancello).

Scena IV° - 3

PERSONAGGI – 3 / 4 Garibaldini – Angelica -  Prureonasu – Faciesantu – Capitano – Rinaldo – Chiericuzzo – Don Rosario

VOCE PRUREONASU.       Aprite!  Aprite... Guardie di Sua Maestà Francesco secondo siamo.

                                                Entrano di corsa due garibaldini.

I° GARIBALDINO:              Urca, la si levi di mezzo signorina.  I ghè i borbonici.

2' GARIBALDINO:              Ghe pensemo noaltri a mandarli a ramengo...

ANGELICA:                          Ssssst... Lasciate stare i fucili... Fateli entrare e nascondetevi...

Si pone al centro del giardino colle spalle al cancello indossando il mantello di Rinaldo.

VOCE FACCIESANTU:       Aprite o sfondiamo la porta! 

ANGELICA:              Fidatevi di me.

I due aprono senza farsi vedere e si nascondono ad armi spianate.  Entrano Prureonasu e Faccie­santu in divisa borbonica.

FACCIESANTU:       Polizia borbonica siamo... E in questa casa un garibaldino vedemmo entrare...

PRUREONASU:        Miezzeca!

ANGELICA:              Che dicevano?  Un garibaldino?

FACCIESANTU:       Sessegnora... E non cercassero de corromperci (Angelica si volta) Uh!

PRUREONASU:        Angelica la pazza...

ANGELICA:              Qui non c'è un garibaldino... caro signor poliziotto Prurconasu e caro

                                    gendarme Facciesantu... Non c'è un garibaldino... Ce ne sono molti...

                                    (Frattanto i garibaldini hanno cir­condato alle spalle i due finti gendarmi)

                                    Guardino... (Chiamando)Capitano!  Tenente!... Eh, non ve l'aspettavate

                                    questa sorpresina... (Entrano il Capitano, Rinaldo e Chiericuzzu).

CAPITANO:              Che succede?

ANGELICA:              (ironica) L'arrivo del tenente ci ha portato fortuna... Abbiamo fatto due

                                    prigionieri borbonici...

CAPITANO:              Bene... Portateli dentro...

RINALDO:                (cavando all'improvviso le pistole dalle fondine) Fermi tutti... Prureonasu,

                                    Facciesantu... Qua con mia...(Fermando colla voce i garibaldini).  Fermi tutti,

                                    dissi.  Non vi muovete

CAPITANO:              Tenente...

RINALDO:                Che tenente e tenente... Rinaldo Dragonera sogno... E nessuno si muova

                                    che sparo... E basta cu 'sta commedia. Io garibaldino non sono e non lo

                                    voglio essere.  Scannateve fra de voi... Chiericuzzu, aprimi il cancello.

CHIERICUZZU:       No, Rinà...

Una scarica lontana di fucileria.  Chiericuzzu si è piazzato davanti al cancello come per impedire a Rinaldo l'uscita.

VOCE DELLA VEDETTA: I borbonici ci stanno circondando...

CAPITANO:              Figlioli, presto, ai posti. (I garibaldini si avviano).

RINALDO:                (rabbioso) Ho detto fermi tutti, non vi avvicinate ...

CAPITANO:              Senta, lei, signor brigante... La un ci faccia perdere tempo... Faccia quel che

                                    vole, noialtri qui s'ha da fare il nostro dovere...

Si allontana con i garibaldini che andranno a porsi ai vari posti di difesa.

ANGELICA:              E spara... Perché non gli spari... Adesso puoi anche sparargli alle spalle...

                                    Spara, prode Rinaldo, spara agli uomini che stanno combattendo per

                                    liberare la tua terra... Stranieri, li hai chiamati... Tu, sei straniero, in mezzo

                                    a noi... Vattene...

RINALDO:                (schiumando rabbia) E tu eri la femmena ca me diceva di volermi bene. 

Chiericuzzu, apri quel cancello... (Punta la pistola verso Chiericuzzu).

CHIERICUZZU:       No, Rinà... lo nun te l'apro...

RINALDO:                Apri, Chiericuzzu, ca stavolta te sparo...

DON ROSARIO:       (che è apparso sulla porta della villa) Uh!  Dragonera... E 'n'ata vota co' chista scena...

PRUREONASU:        Zitto tu...

RINALDO:                Apri, Chiericuzzu, non me fa' perde la pazienza.

CHIERICUZZU:       Rinà, tu nun ce poi lassà a'sto momento... Spara, si voi, ma io 'sta porta nun

                                    te l'apro...

RINALDO:                Chiericuzzu!

Una scarica di fucileria, vicinissima questa volta.  Chiericuzzu, colpito, cade ferito.  Angelica, ap­pena si è resa conto che Chiericuzzu è ferito, si precipita su lui.

ANGELICA:              Chiericuzzu.

RINALDO:                Io non sparai... Non sparai...

Butta la pistola e si precipita anche lui su Chiericuzzu.  Frattanto i garibaldini hanno cominciato a sparare per difendersi dall'accanito attacco borbonico.

CAPITANO:              Coraggio, figlioli... E 'un sprecate pallottole...

Rinaldo ha trascinato al riparo il corpo di Chiericuzzu.  Lo tiene fra le braccia, vicino sono anche Angelica, piangente, e Prureonasu.

FACCIESANTU:       (si strappa la giacca con rabbia) Carugne... (Prende un fucile e corre fuori a sparare anche lui). (Rinaldo e Angelica cercano di aprire la camicia di Chiericuzzu per curarlo).

CHIERICUZZU:       Ma nun state a perde tempo... M'hanno buggerato bene, 'sti morammazzati.

(Don Rosario si avvicina, ma Prureonasu lo ferma).

PRUREONASU:        Nun t'accostà, borbone

RINALDO:                Lassate curare, lassate curare

ANGELICA:              E' colpa mia... E stata colpa mia...

CHIERICUZZU:       Mò comincia pure Angelica a di' sciocchezze.  A Rinà... Vacce tu a Roma...

                                    E si vedi Nunziata... Che tanto poi la riconosci subito Nunziata... Nun te poi

                                    sbajà, co' quella cu­pola de San Pietro che se ritrova... Dajelo tu un pizzico

                                    da parte mia.

RINALDO:                Tu glielo deve dare Chiericuzzu, tu...

CHIERICUZZU:       Ah Rinà... quanno vai a Roma, famme er piacere, passa a San Francesco a

                                    Ripa... Daje dodici scudi a San Francesco... E' un debito che ciò da tanto

                                    tempo co' lui... pe' via dé quella cassetta delle limosine... Sai com'è...

                                    magari se lassù s'incontramo pare brutto

RINALDO:                Stai tranquillo...

CHIERICUZZU:       (facendo un piccolo gesto per chiamare Don Rosario) Ah... Barò L'orologio Ah,

                                    no... questo è quello der Capitano... (Lo dà a Rinaldo e ne tira fuori un altro)

                                    L'avevo presi pe' vedé l'ora... Nun regge, eh?

RINALDO:                Regge, Chiericuzzu, regge...

CHIERICUZZU:       (lamentandosi) Aia... Angelica... Vacce tu pure a Roma, co' lui... Sapessi

                                    quant'è bella Roma... Pruronà, si nun te piace manco stavorta come moro...

                                    Nun ce posso fa' gnente.  Io mejo de così... (Crolla).

Pausa, durante la quale si sente il crepitio dei colpi e la voce lontana del Capitano.

CAPITANO:              Forza figlioli... Sparate...

ANGELICA:              (rialza la testa e fissa Rinaldo) E adesso puoi andare... Non c'è più né

                                    Chiericuzzu né nessuno che ti fermi... Vattene...

DON ROSARIO:       (si avvicina) Ma che ponno fa'... Chisti so' pazzi.  Venti scamiciati contro

                                    un esercito regolare... Chisti tengono solo voglia 'e murì... Dragoné, chisto

                                    è il momento... Jamme...

RINALDO:                (lo guarda per un secondo con odio... Lo prende per il petto e lo getta in terra.  Balza tra i suoi uomini come una tigre)...

Tutti gli uomini scavalcano il muro all'assalto mentre Rinaldo cade ferito al braccio. Deve cadere quasi sulla ribalta, appoggiato al boccascena.)

ANGELICA:              Rinaldo!

(Cala il siparietto nero. In scena soltanto Rinaldo ferito. Si lamenta. Faro rosso fisso su di lui)

SCENA QUINTA.

PERSONAGGI – Rinaldo – Orlando – Messaggero – Rinaldo (II in armatura) – Angelica – Paladini – Saraceni - Cantastorie

Il delirio di Rinaldo ferito.  Illuminati dal cercapersone rosso entrano in scena i ballerini che impersonano le marionette. Le voci sono registrate ad alto volume, con leggero eco.).

Balletto: coreografia battaglia delle marionette

VOCE RINALDO:    Angelica... Angelica... Anch'io combatto con te assieme agli altri paladini

                                    per liberare la nostra terra... (Entra Orlando con i paladini).

ORLANDO:               (voce fuori campo) Miei nobili fratelli paladini

che in mille qui veniste a dura impresa

gli scontri decisivi son vicini

il nemico è già pronto alla difesa. 

Perché per liberare il suo paese

con me Rinaldo in campo ancor non scese?

Entra il messaggero.

MESSAGGERO:       (voce fuori campo)    O prode Orlando.

ORLANDO:               (voce fuori campo) Messagger, favella. 

MESSAGGERO:       (voce fuori campo)Ti reco una magnifica novella:

per rinforzare la tua prode schiera

                                                          scende in campo Rinaldo Dragonera.

Entra Rinaldo.

RINALDO:                (voce fuori campo)    Orlando, generale e condottiero,

troppo a lungo ho vissuto nell'errore. 

Ora lo so che tu non sei straniero. 

Ma hai la mia stessa patria dintu 'o core. 

Grazie.  E i nemici non avran più scampo

se con Orlando anche Rinaldo è in campo.

Escono per la battaglia.  Entrano in scena i saraceni con Angelica prigioniera.

ANGELICA:              Dei Birbon prigioniera sono io:

                                    deh, liberami tu, Rinaldo mio.

Entra Rinaldo.  Si azzuffa col saraceno.  Viene colpito da lui.  E cade come morto.

ANGELICA:              Rinaldo, amore mio, tu sei ferito...

RINALDO:                 Colpo di striscio fu.  Già son guarito.

Rinaldo si alza.  Comincia la battaglia contro i saraceni.  Rinaldo li uccide tutti.  Trionfo finale. Rinaldo si abbraccia con Angelica.  I paladini esultano.

PALADINI:   Viva Rinaldo, liberatore della Sicilia.  Viva... Viva.  Viva.  Viva.  Viva!  Viva!

Buio (via tutti)

Entra sul suo sipario abituale il cantastorie e canta.

CANTASTORIE:    Ormai Palermo è già garibaldina

e libera è la terra siciliana

e i Mille dalla spiaggia di Taormina

s'imbarcano per Napoli lontana...

SCENA SESTA.

PERSONAGGI: TUTTI

Il molo d'imbarco fra Taormina e Giardini.  Il 9 Agosto 1860. Scena vuota. Entrano tre coppie formate da ballerini in abito da garibaldini e  ballerine in abito bianco. Cantano la prima strofa. Si dispongono garibaldini avanti e ballerine dietro:

«NOI FACEMMO LA BANDIERA»

                                                           

                                                                                    1

PRIMO:                   Col bianco delle nevi delle Alpi

SECONDO:           Col rosso dei tramonti siciliani

TERZO:                 Col verde delle valli di Toscana

CORO:                   Noi facemmo la bandiera

Bianca rossa e verde la bandiera tricolor

Bianca rossa e verde la bandiera tricolor

Entrano altre tre coppie formate da ballerini in abito da garibaldini e  ballerine in abito rosso. Tutti insieme cantano la seconda strofa. Si dispongono garibaldini avanti e ballerine dietro:

2

PRIMO:                   Col bianco dei colombi di San Marco

SECONDO:           Col verde dei bei prati in Lombardia

TERZO:                 Coi rosso dei papaveri abruzzesi

CORO:                   Noi facemmo la bandiera

Bianca rossa e verde la bandiera tricolor

Bianca rossa e verde la bandiera tricolor

Entrano le ultime tre coppie formate da ballerini in abito da garibaldini e  ballerine in abito verde. Tutti insieme cantano la terza strofa. Si dispongono garibaldini avanti e ballerine dietro:sul finire della terza strofa le ballerine passano avanti formando la bandiera italiana.

3

PRIMO:                   Col bianco dei capelli di una madre

SECONDO:           Col verde di due occhi tanto belli

TERZO:                 Col rosso, rosso sangue dei fratelli

CORO:                   Noi facemmo la bandiera

Bianca rossa e verde la bandiera tricolor

Bianca rossa e verde la bandiera tricolor.

Sul finale della musica il gruppo si scoglie formando gruppi e coppie a soggetto. Angelica di nascosto indossa insieme ad un’altra ballerina cappello da garibaldino, sacca a tracolla e cinturone. Carmela e Rosalia indossano un fazzolettone dello stesso colore del vestito. Fanno gruppo solo con donne.

FACCIESANTU:       (indicando una donna) Che bedda picciotta...

PRUREONASU:        E come te permetti?  Chilla picciotta mia sorella Carmela è!

FACCIESANTU:       Carmela?  E come mai è venuta qui

PRUREONASU:        Dalla campagna venne pe' salutamme E de Chiericuzzu notizie me chiese...

                                    E io nun tengo u core da dicce ca Chiericuzzu nun c'è più.  Pecché, non ci                                       crederai, Faccie­santu, ma io a Chiericuzzu mia sorella Carmela gliel'avrei

                                    presentata.

FACCIESANTU:       Gliel'avresti presentata?

PRUREONASU:        Sissignore.

FACCIESANTU:       Ie allora presentala anche a mia.

PRUREONASU:        A tia, scimunito?  Comincia tu a presentarme la sorella tua.

FACCIESANTU:       Subbito... (Chiama una ragazza dal gruppo delle donne) Rosalia... (Rosalia

                                                si avvi­cina). (Vuol parlare "civile') Signor Prude il naso, ho il piacere di

                                  presentarle mia sorella Rosalia...

PRUREONASU:        (inchinandosi) Tanto piaciri... E mi sta bene... Carmela... (Carmela si

                                                avvicina) Signor Faccia di santo, ho il piacere di presentarle mia sorella

                                    Carmela.

FACCIESANTU:       (salutando militarmente) Molto squisito di conoscerla.

CAPITANO:              (entra in grande attività) Oh, figlioli, pronti per l'imbarco... (Vede

                                     Facciesantu e Pru­reonasu) Che belle bambine... Le vostre fidanzate?

PRUREONASU:        No... no... questa è mia sorella Carmela...

FACCIESANTU:       E mia sorella Rosalia...

CAPITANO:              (accarezza affabilmente le ragazze) Molto carine, complimenti.

PRUREONASU:        (scattando) Ricominciamo con le intimità? (Facciesantu lo placa).

DON ROSARIO:       (entra) Capitano, Capitano... (Il Capitano lascia il gruppetto e va verso

Don Rosario).

CAPITANO:              Ah, lei... Ma lei non era consegnato in fortezza con tutte le autorità

borboniche?

DON ROSARIO:       Ero, ero... Leggete chista lettera, capità... (Gli porge una lettera).

CAPITANO:              (legge) Segreteria di Sua Eccellenza Camillo Benso, Conte di Cavour...

DON ROSARIO:       (mentre il Capitano legge, si rivolge ad un garibaldino di passaggio) Un sigaro, mio prode?... (Il garibaldino prende il sigaro).

CAPITANO:              (che ha finito di leggere) Eh, beh, di fronte a codeste cose Che gli ho a dire,

                                    signor barone... A Torino avranno le loro buone ragioni... Agli ordini

DON ROSARIO:       Eh... il mio amico Camillo Benso vede chiaro... Chillo lo sape ca se io vado

a Napule e parlo cu Franceschiello, Franceschiello si piglia Maria Sofia real

consorte, si chiude a Gaeta e in quattro e quattr'otto combinammu nu bellu

armistizio senza spargimenti inu­tili... Eh, capità... Pe' fa' la guerra bastate

vui eroi, ma p'accucchià a pace ci vulimmu nui di­plomatici... Vui militari,

quando vi occupate di combinare le paci, inguaiate tutte cose... Oh,

naturalmente io qua lo dico e qua lo nego...

CAPITANO:              Intanto se vole, pole imbarcarsi subito... Le fo strada... (Si avviano seguiti

                                                da un fac­chino che porta le valigie).

FACCIESANTU:       E chiddu con noi s'embarca?...

PRUREONASU:        Omo de governo è... E chiddi come sugheri sono... Sempre a galla restano.

                                    (Entra Rinaldo.  I due si precipitano a salutarlo).  Salutammo, Dragonera...

FACCIESANTU:       Sempre agli ordini, comandante.

RINALDO:                Sciumuniti e che me salutate così, bestie... lo vostro comandante più non

                                    sono... Sono garibaldino semplice come voi...

PRUREONASU:        Sempre tu ci devi comandare.

FACCIESANTU:       E Angelica... scusasse... La tua onoratissima consorte e mugliera signora Angelica in Dragonera non venne co' tia?

RINALDO:                Chidda pazza voleva addirittura venire insieme con noiautrui a fare la

                                    guerra sul continente.  Ma io a tre mandate la chiusi dentro la sua camera, e                                    per maggiore sicurezza an­che la porta de casa chiusi, e anche il portone e

                                    anche il cancello.  E prima de lassarla, le co­municai il mio divieto assoluto,

                                    anzi assolutissimo de farse vedere dietro la finestra aperta e anche de farse

                                    vedere dietro la finestra chiusa...

PRUREONASU:        E lei, lei?...

RINALDO:                E lei de sì rispose, docile come un agnellino.  Domata è...

Angelica e la ballerina rimaste fino ad ora coperte per movimento degli altri restano scoperte. Facciesantu le vede:.

FACCIESANTU:       Le vivandiere...

PRUREONASU:        Femmene coraggiose sono.

RINALDO:                (Le guarda e riconosce nell'ultima Angelica) Angelica!

PRUREONASU:        Iamonenne che domata non me pare...

Escono.  Angelica e Rinaldo sifronteggiano in aria di sfida.

RINALDO:                Angelica...

ANGELICA:               (sfidandolo) Sì, Rinaldo...

RINALDO:                  (terribile) Angelica... Ah. (Si dispera)

ANGELICA:              (con un crollo supplichevole) Ma io voglio venire con te... Voglio dividere i

                                    tuoi rischi... (Rinaldo le leva il cappello).  E poi la ferita... la tua ferìta è

                                    ancora fresca... lo debbo cu­rarti... Non ti posso lasciare... (Rinaldo le sfila

                                                la borraccia).  Rinaldo, ti prego fammi partire, ti posso aiutare... ti carico le

                                    armi... te le pulisco, ti porto lo zaino quando sei stanco... (Rinaldo le leva il

                                                cinturone).            Fammi partire con te, Rinaldo... Lo so che il mio posto è al

                                    tuo fianco... (Lo abbraccia).   Non partire... (Le chiude la bocca).

«SE DIO VORRA»

RINALDO:              Adesso non dirmi più niente

                                  Non voglio vederti soffrire

                                  Lo sai che ti debbo lasciare,

                                  lo sai che io debbo partire. 

                                  Ma un giorno, se ascolti nel vento,

                                  qualcuno che grida il tuo nome,

                                  son io che ritorno correndo

                                  son io che ritorno da te...

                                  Se Dio vorrà ritornerò.

                                  Ritornerò laggiù nel mio paese. 

                                  Dove si sente il mare

                                  laggiù c'è la tua casa

                                  nascosta fra gli ulivi. 

                                  Ritornerò da te...

Se Dio vorrà.

Durante il canto cominciano a sfilare le truppe garibaldine che partono.  Le donne lanciano fiori. Terminato il canto, anche Rinaldo si avvia con loro.  Le donne in scena salutano.  Si illumina il fondo dietro al velo per dissolvenza, e appare, come in una stampa dell'epoca, la visione dei garibaldini che si imbarcano.  Tutto è fermo come in una stampa.  Angelica e le donne salutano.  Sipario.

F I N E