Ritorno del re

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RITORNO DEL RE

Commedia in tre atti

di GUGLIELMO GIANNINI

PERSONAGGI

VALODIA SINKEN, sottufficiale in congedo

RODOLFO GUALA, ministro degl'Interni

PIETRO BENEDECK, barcaiuolo

UBALDO STROMEIN, tenente di polizia

MATTEO ZI-SKA, barealuolo

HUGO MEINZ, funzionario statale

CIRILLO GETZEL, figlio di Olga

ALESSIO PTJLKA, doganiere

PATRIZIO, au­tista

STANIS, telefonista

OLGA GETZEL, proprietaria dell'Osteria del Passaggio

OR­SOLA ZORN, impiegata statale

ZINA GET­ZEL, figlia di Olga

VIRGINIA GROVE, im­piegata statale

PASQUA, serva dell'Osteria

1°, 2°, 3°, 4° SOLDATO, che non parlano

L'azione si svolge nell'Osteria del Passaggio sulla riva del fiume Sommario, in uno stato europeo. Fra il primo e il secondo atto tra­scorre un giorno, fra il secondo e il terzo tre giorni. Tempo presente

ATTO PRIMO

LA SCENA: Mano del regista supposto con le spalle al pubblico. Sala dell'Osteria del Passaggio, ambiente fluviale largo, luminoso- A sinistra un banco, munito di copripassaggio laterale ribaltabile, dal quale si esce e si entra. Oltre il banco inizio d'un ambiente che immette in cucina, con qualche utensile di rame, quadretti con scene di pesca, barche, ponti. L'entrata per la cucina è supposta avanti in direzione della ribalta. Di fronte alla supposta entrata per la cucina un'apertura, protetta da una tenda, mette nel secondo ambiente che sì vede oltre il fondo: fondo che è costituito da varie porte vetrate senza soluzione di continuità che divide il primo dal secondo ambiente. Il secondo ambiente è una terrazza coperta, con molte finestre che danno sul fiume, e oltre le quali sfonda il cielo e s'intravedono, lontane, le rovine d'un ponte fatto saltare. Nel secondo ambiente vari tavoli, sedie, panche, mobili lo precisano come sala da pranzo. Al limite destro del secondo ambiente la parete ha due 0 tre porte di camere per i clienti. Nel primo ambiente, verso sinistra, un pianerottolo con due scalini, sul quale s'apre la camera di Valodia. Avanti verso sinistra un tavolo rotondo, con sedie, intorno al quale possono sedere quattro o cinque persone.

Il primo atto si svolge di tarda mattina, nella scena come descritta. Il secondo si svolge di mattina presto; il tavolo rotondo è stato cacciato in un angolo verso destra avanti; al centro del primo ambiente è stata portata una scrivania, verso destra indietro un tavolinetto da campo per macchina da scrivere, con sgabello relativo e macchina, carte e altro. Il terzo atto sì svolge nel pomeriggio; il tavolo rotondo è sparito, la scrivania e il tavolinetto sono stati portati verso destra e il banco a sinistra è stato ornato con vasi da fiori. Il fondo è stato coperto per buona parte da una tenda, davanti alla quale sono stati messi un divano, due poltrone, un tavo­lino con portacenere, giornali, scatola dì sigarette, accenditore e altro.

(Alessio, Pietro, Matteo stanno giuocando a carte intorno al tavolo verso sinistra. Le carte saranno assai usate, in modo che non si possa riconoscere, dallo spettatore, né che genere di carte siano né quale giuoco è giuocato. Sul tavolo bottiglie di birra e bicchieri, cameriere).

Alessio                          - (sui trent’anni, doganiere, sta attenta­mente studiando il suo giuoco del quale non sem­bra contento, veste un'uniforme logora ma rammendata e spazzolata).

Pietro                            - (cinquant’anni, operaio carpentiere, bar­betta grigia, senza baffi, è seccato, ha fatto un macchietto delle sue carte e batte impaziente il mucchietto sul tavolo) Ma giuoca una carta!

Alessio                          - (seccandosi di più) Quale?

Pietro                            - Una qualunque! Tanto abbiamo perso!

Alessio                          - Non si può ancora dire!

Matteo                          - (quarant’anni, barcaiuolo di fiume, è con­tento del suo giuoco) Ma lo direte!

Pasqua                           - (trent’anni, serva dell'osteria, è apparsa die­tro il banco a sinistra, portando via bicchieri, bot­tiglie, altro, mettendo il tutto in un rozzo vassoio, e pulendo il banco con un tovagliolo che ha già fatto molte pulizie, si rivolge sgarbata ai tre) Quando avrete finito sarà sempre tardi!

Alessio                          - (con disperata decisione getta una car­ta) Ecco, un re!

Matteo                          - (subito giuocando la sua carta, trionfan­te) Ed ecco un asso! (A Pasqua) Mettere in fresco un'altra bottiglia, giovinastra!

Pasqua                           - Spiritoso! (Esce col vassoio).

Pietro                            - (ad Alessio) Fra le carte che non do­vevi giuocare il re era la peggiore!

Alessio                          - (seccato) Avevo quattro re! (Fa per prendere le sue carte e mostrarle a Pietro) Aspetta...

Matteo                          - (s'è già impadronito dì tutte le carte e sta mischiando rapidamente) Ma che vuoi aspettare!

Pietro                            - (a Matteo) E tu avevi quattro assi...

Matteo                          - Signorsì!

Pietro .......................... - E giuocavi dopo di lui (Indica Alessio).

Matteo                          - Signorsì!

Pietro                            - ...che aveva quattro re!

Matteo                          - Signorsì... (Improvvisamente seccato) Che vuoi dire? Le carte le hai date tu!

Pietro                            - E adesso le dai tu... Fammici dare una mischiatina! (Gli toglie il mazzo di carte) Non per niente, sai... per semplice sfiducia! (Dalla porta centrale del ballatoio entra Olga - quarantacin­que anni, padrona dell'osteria, ancora bella, sem­pre accorta ed energica - portando un piccolo vassoio con un bicchiere e una bottiglia di birra vuota, un asciugamano, altra roba della stanza che ha evidentemente rassettata, scende rapidamente, apostrofa i giocatori con vivacità ma senza acre­dine).

Olga                              - Ancora là? Ma non avete niente da fare, nemmeno un soldo da guadagnare? (Va verso il banco).

Pietro                            - Ne stiamo perdendo...

Alessio                          - Non tutti, c'è chi perde e chi vince!

Pietro                            - Come in tutte le cose. Io però perdo sempre!

Olga                              - Sarai fortunato in amore. (E' giunta al banco, vi metterà sopra ciò che porta) Pasqua!

Pasqua                           - (dall'interno, ha come un muggito) Eh!

Olga                              - Porta via... Che grazia che ha, questa! (Pasqua appare oltre il banco, afferra con mala­grazia ciò che v'ha disposto Olga. Chiamando ol­tre il banco) Zina!

Pasqua                           - Non c'è.

Olga                              - Dov'è?

Pasqua                           - E che ne so?

Olga                              - E' uscita?

Pasqua                           - Se non fosse uscita non avrei detto che non c'è! (Esce con gli oggetti).

Olga                              - Qualche volta le faccio una faccia di schiaffi e la butto fuori! (Intanto che si svolge la scena fra le donne al banco, Pietro e Matteo hanno mischiato le carte l'uno dopo l'altro, quindi Matteo ha offerto le carte a Pietro, Pietro ha fatto varie alzate, e Matteo ha ripreso le carte riformando il -mazzo, e ora sta dando le carte per il nuovo giro. Pietro e Alessio le raccolgono man mano).

Matteo                          - (a Olga, senza guardarla e senza smet­tere di dar le carte) Sì, per passare un guaio coi sindacati!

Olga                              - Oh, basta coi sindacati, ci hanno sec­cati anche troppo e... (S'è voltata, altro tono, più seria) E cosa fate, ridate le carte? (Va verso il tavolo).

Alessio                          - E’ l'ultimo giro...

Olga                              - Niente ultimo giro! (Toglie le carte dalle mani di Pietro e Alessio; a Matteo) Qua le carte!

Matteo                          - Ma io sono obbligato a giuocare, vinco...

Olga                              - Ho detto qua le carte! (Con affettuosa  autorità nel gesto e nella voce, la certezza d'essere obbedita).

Matteo                          - (porgendo le carte dopo brevissima esitazione) Signorsì!

Olga                              - E sgombrare!

Matteo                          - Signorsì!

Pietro                            - (seccato) Dove dobbiamo andare, scu­sate?

Olga                              - (mettendo le carte sul banco, rassettando) Alla ripa, a lavorare! »

Pietro                            - Magari! Ma alla domenica non c'è traffico, avranno attraversato il fiume dieci per­sone stamattina e ce le siamo divise io e lui! (Indicando Matteo).

Olga                              - Lavorate a pulire, a verniciare le bar­che... a quello che volete! Ma qui a giuocare tutto il santo giorno non vi voglio! (A Matteo) Capite?

Matteo                          - Signorsì!

Alessio                          - (seccato) E smettila col «signorsì»! Non riesci a dimenticare d'aver fatto l'attendente?

Matteo                          - (punto) Ho fatto il soldato!

Alessio                          - Il soldato l'abbiamo fatto tutti, ma tu hai fatto l'attendente e ne hai sempre la nostalgia!

Matteo                          - (minaccioso) Sai cosa sei, tu?

Alessio                          - (alzandosi minaccioso) Sentiamo!

Olga                              - Ehi, ehi, ehi! Non incominciamo perché vi sbatto la porta sul muso e non vi faccio più rimetter piede qui dentro! (Entra Valodia dalla destra: sessant’anni, barcaiuolo, carpentiere, pesca­tore, capelli grigi abbastanza lunghi, baffi meno grigi, spioventi, barba di qualche giorno; appare saldo e forte malgrado la trascuratezza del suo vestire; porta un cesto da pesca che sembra ben pieno, un pezzo di legno bordato di sughero in­torno al quale è avvolta una cordicella sottile, ba­gnata, che s'indovina assai lunga, e sulla quale luccicano grossi ami; è di buon umore).

Valodia                         - Cosa c'è?

Olga                              - (s'è subito voltata verso di lui, e con pre­mura femminile, istintiva, lo sbarazzerà dì dò che reca) Litigano, come al solito!

Valodia                         - E voi v'arrabbiate, come al solito... Non avete mai pensato che forse lo fanno appo­sta per vedervi arrabbiata? (Ha scambiato saluti, sorrisi, cenni con i tre).

Olga                              - (togliendogli la roba di mano) Chissà che gusto ci provano!

Valodia                         - Arrabbiata siete più bella!

Olga                              - (continuando c. s.) Bada che sbatto fuori anche te!

Pietro                            - Oh, finalmente strapazza anche lui una volta!

Olga                              - (c. s.) Perché se lo merita!

Pietro                            - Credevamo che non se lo meritasse mai e morivamo di gelosia vedendolo sempre così coccolato!

Olga                              - (a Pietro) Tu non ti viene mai fantasia di ripassare il fiume e tornartene coi tuoi, eh?

Pietro                            - Sto tanto bene, qui!

Olga                              - E' che staresti tanto male lì! (Chiaman­do, seccata) Pasqua!

Pasqua                           - (dall'interno, muggendo) Eh!

Olga                              - Non muggire e vieni qui!

Pasqua                           - (appare oltre il banco) Perché dovrei fuggire?

Olga                              - (mettendo con furia la roba sul banco) Ho detto muggire, non fuggire! Sai chi mugge?

Pasqua                           - (prendendo la roba, sgarbata) lì bue!

Olga                              - E sua cognata, anche! (Pasqua esce con la roba, alzando le spalle e brontolando. Olga a Valodia, togliendogli il cesto, soppesandolo, con­tenta) Pesa!

Valodia                         - Direi! C'è uno storione di cinque chili!

Olga                              - (con lieta sorpresa) Eh? (Solleva il co­perchio del cesto. Alessio, Pietro, Matteo si sono avvicinati e guardano nel cesto, ammirati: vocìo confuso fra i tre uomini e la donna. Olga, insie­me agli altri) Che bello, bravo Valodia, questo ci voleva, proprio!

Pietro                            - (insieme agli altri) Non so più da quanto non si pesca uno storione così grosso!

Alessio                          - (insieme agli altri) E preso all'amo e a mano libera, sembra impossibile!

Matteo                          - (insieme agli altri) Che cinque chili, questo è almeno sei chili avvantaggiati!

Olga                              - (chiamando) Pasqua!

Pasqua                           - (dall'interno) Un momento!

Olga                              - (a Pietro che le è accanto) Alza il banco, scusa, lo porto io, quella bestia non è. degna d'oc­cuparsi d'un pesce come questo. (Pietro Kalza il copripassaggio del banco. Olga passa dall'altra parte del banco trasportando il cesto; a Valodia) Oh, lo cucini tu, eh?

Valodia                         - Come volete.

Pietro                            - Al forno e con la sua famosa salsa di capperi.

Valodia                         - (come rispondendo ad un comando e guardando Matteo) Signorsì... (Matteo s'indi­spone, sbuffa. Valodia sorride) Farò del mio meglio.

Pietro                            - (lo fissa) Fai bene tutto ciò che fai.

Olga                              - Perché sta attento a ciò che fa! (Esce col cesto).

Valodia                         - (prende le carte che Olga ha messe sul banco; a Pietro che sta movendosi verso il tavolo a destra) Perché faccio solo quello che so fare bene...

Alessio                          - E anche quello che impari a fare... Non sarai mica nato professore!

Valodia                         - (siede al tavolo, incomincia a mischiare le carte) Professore di salsa coi capperi... Fac­ciamo un giro?

Matteo                          - (è rimasto in piedi, appoggiato coi go­miti sul banco) No, Olga non vuole.

Valodia                         - Ah, per questo gridava?

Matteo                          - Per questo e... (Ha un gesto di fa­stidio) Oh!

Valodia                         - Ch'è successo?

Pietro                            - (s'è anche lui seduto al tavolo) Pa­role, sai come accade... Il doganiere ha osservato che Matteo è nostalgico...

Matteo                          - (seccato) Non ricominciamo con l'at­tendente!

Valodia                         - Che male c'è se sei stato attendente? Eravamo tutti obbligati, no?

Alessio                          - Obbligati a fare il soldato, l'atten­dente si fa a domanda!

Valodia                         - Non sempre: i generali avevano più d'un attendente, uno per il cavallo, due per la casa... Si poteva essere comandati...

Matteo                          - (con forza) E io sono stato coman­dato, e l'ho provato alla Commissione d'epura­zione! Va', va', che ne ho avuti di guai per aver lustrato gli stivaloni di Zavatar!

Alessio                          - Di' la verità, hai la nostalgia di que­gli stivaloni! (Matteo freme, stringe i pugni).

Valodia                         - (bonario ad Alessio) E lascialo stai e, non vedi che ci soffre?

Alessio                          - Ma io ho scherzato, scherzavo anche prima, non si può più scherzare in questo paese?

Matteo                          - Ci sono scherzi che non si debbono fare! Sono stato sette mesi in campo di concen­tramento per aver servito il generale Zavatar... che mi bastonava, si dimenticava di darmi il men­sile, mi faceva passare la settimana sul tavolaccio...

Pietro                            - ...e qualche volta ti costringeva anche a fargli da rumano!

Matteo                          - Come lo sai?

Pietro                            - Ce l'hai raccontato una sera che eri ubbriaco, e torni a fartelo uscir di bocca ogni volta che puoi! Che cosa sono sette mesi di cam­po di concentramento? Molti vi sono rimasti cin­que anni! Tanti vi sono morti!

Valodia                         - (sorridendo, pensoso, mischiando istinti­vamente le carte) Io me lo sono goduto un anno e mezzo!

Pietro                            - E non ne parli mai, bravo!

Alessio                          - (a Valodia) Di che eri accusato?

Valodia                         - (indicando Pietro col mento) Or ora lui m'ha detto bravo perché non ne parlo.

Alessio                          - Tu sei un'altra cosa, ti si ascolta vo­lentieri. Che avevi fatto?

Valodia                         - (mischiando le carte e. s.) Niente... come gli altri... Ero sergente maggiore...

Alessio                          - E che c'entra?

Valodia                         - ...promosso per merito di guerra.» so­spetto di zelo militare...

Pietro                            - Te la sei cavata ancora bene; c'è chi, per una croce o una promozione sul campo, s'è inguaiato come criminale di guerra...

Valodia                         - Ma io non ho fatto la guerra, ho fatto il barcaiuolo... Ero nel Genio... pontiere... sui fiumi come da quando sono nato...

Alessio                          - Curioso, anche il... (indica Matteo col mento) sì, il suo principale Zavatar era del Genio...

Matteo                          - (disperato) Si ricomincia!

Valodia                         - (ridendo) Ma perché t'arrabbi?

Matteo                          - Perché non mi piacciono le insinua­zioni! Io me ne infischio di Zavatar, me ne sono sempre infischiato, e quando l'ho visto fucilare ho tirato un respirone così: Ah!

Pietro                            - Tu hai visto fucilare Zavatar?

Matteo                          - Coi miei occhi!

Pietro                            - Be', sei fortunato, perché nessuno di quelli che l'hanno fucilato o visto fucilare può dirlo.

Matteo                          - (c'è una sfumatura di terrore nella sua voce) I giornali...

Pietro                            - Lascia stare i giornali, i fatti o li sai o non li sai! (Matteo fa per parlare).

Valodia                         - (ridendo) Non capisco, com'è questa storia?

Pietro                            - Zavatar fu condannato a morte in cin­que minuti da un Tribunale del Popolo... uno dei soliti tribunali di gente balenga, terrorizzata dalla folla che urlava intorno... Zavatar fumava e pareva si divertisse a insultar giudici e pubblico, chiamandoli assassini e cretini... Udita la sentenza ha chiesto d'esser fucilato in un campo lì vicino di sua proprietà, perché voleva morire come un signore sulle sue terre... ed avere il tempo di finire la sigaretta... Sono andati al campo, s'è schierato il plotone e s'è aspettato che Zavatar finisse di fumare... Silenzio di morte, naturalmente, perché la strafottenza, in quei casi, impressiona sempre... Di colpo Zavatar s'è buttato giù, ha strappato un innesco che sporgeva da terra e il campo, ch'era minato, è saltato in aria con tutti i presenti...

Matteo                          - (affermando, quasi frenetico) Compre­so lui!

Pietro                            - Compreso lui... Tu lo sai, eh? C'eri1

Matteo                          - (subito, con impeto) C'ero!

Pietro                            - E perché non sei saltato in aria con gli altri?

Matteo                          - Perché mi ci hanno portato dopo! Ti secca se ti ricordo ch'ero in campo di concentra­mento?

Pietro                            - Non mi secca. Perché ti ci hanno por­tato, per riconoscere Zavatar fra i morti?

Matteo                          - Proprio per questo!

Pietro                            - E l'hai riconosciuto?

Matteo                          - Ne ho riconosciuto, con certezza, una gamba!

Alessio                          - Per via dello stivalone!

Matteo                          - (ghignando) Sì, sì, proprio per quello, scemo!

Valodia                         - Mah! Speriamo di non vedercelo arri­vare addosso con una gamba di legno!

Cirillo                            - (entra dalla destra; venticinque anni, ope­raio, ha due cartoline di diverso formato e colore in mano, appare seccato e si rivolge a tutti) Questa è assolutamente carina, da mettere sulle riviste illustrate... (A Valodia) Ciao, Valodia!

Valodia                         - (con affetto) Ciao, Cirillo, ch'è suc­cesso?

Cirillo                            - Sapete cos'era l'avviso dell'ufficio po­stale? Due chiamate alle armi!

Valodia                         - Due?

Pietro                            - Perché due?

Cirillo                            - (mostrando le due cartoline) E ci ho sprecato un quarto di litro di benzina per andar­mele a prendere! Con questa (guarda la prima cartolina) sono comandato a presentarmi entro dieci giorni al consiglio di leva o al sindaco del capoluogo più vicino... (sta leggendo) per essere avviato al Centro di reclutamento... Con quest'al­tra (guarda la seconda cartolina) si fa ordine all'infrascritto Cirillo Getzel di presentarsi entro quindici giorni al distretto o al borgomastro del capoluogo più vicino.,. Qualunque cosa faccio fi­nisco disertore, perché a tutte e due le chiamate non posso rispondere!

Pietro                            - Lasciale perdere tutte e due e così sei disertore con un motivo...

Alessio                          - No, piano, con la chiamata alle armi non si scherza più, adesso!

Matteo                          - E' tanto semplice, dica che ha rice­vuto una chiamata sola: quando vengono i gen­darmi di qua lui fa vedere la chiamata di là   - (in­dica a destra) e dice che ha disertato; se vengono quelli di là...

Valodia                         - No, no, non diciamo sciocchezze, quelli di là (indica a destra rifacendo Matteo) non possono venir qua, intanto... Gli Stati, oggi, sono due; da questa parte del fiume Sammario è Bitinia, dall'altra è Sovenia. Tu devi rispondere alla chiamata bitina, perché abiti qui, sei nato qui...

Cirillo                            - No, sono nato in Sovenia, la mamma era in villeggiatura di là, eravamo ricchi allora...

Valodia                         - Va bene ma oggi sei cittadino bitinico, risiedi qui nell'osteria di tua madre, non vorrai farle avere delle noie?

Cirillo                            - Nemmeno per sogno, io, per mia madre...

Valodia                         - Dunque tu te ne vai tranquillo e giulivo al capoluogo, consegni le due chiamate, e le autorità militari sbrigheranno la pratica... Pen­seremo poi noi a non farti andar sotto...

Cirillo                            - (vivamente) Si può?

Valodia                         - Ma certo che si può; negli Stati a rivoluzione continua niente è impossibile. Tutti comandano, nessuno ubbidisce e ogni cosa s'aggiu­sta in qualche modo.

Olga                              - (affare dietro il banco a sinistra) Va­lodia... (Vede Cirillo, ha un sorriso) Oh, sei tor­nato!

Cirillo                            - Sì, mamma.

Olga                              - Che volevano?

Cirillo                            - Ora ti racconto. Volevo dire a Valodia...

Olga                              - Valodia deve cucinare, adesso. (A Va-Iodio) E' tutto pronto.

Valodia                         - (si muove) Eccomi.

Cirillo                            - (a Valodia che fossa andando alla sini­stra) C'è gente che vi cerca...

Valodia                         - (si ferma al banco) Ah... Cirillo    - Due uomini e una donna... una si­gnora...

Olga                              - Hai capito?!

Cirillo                            - Giovine... bella, anche... elegante... (Pietro, Alessio e Matteo, ridono).

Olga                              - (incrocia le braccia, fra comica e ironica) Valodia, che succede?

Valodia                         - E che ne so? (A Cirillo) Cercano di me... proprio di me?

Cirillo                            - Cercano del sergente maggiore Wladimiro Sinken; io, abituato a chiamarvi Valodia, non ci ho fatto caso, poi non mi ricordavo del sergente maggiore...

Valodia                         - Hai detto che non ci sono? Bravo!

Cirillo                            - Non ho detto niente, poi ho pensato che tanto qui verranno e che era il caso d'avver­tirvi. Vanno su e giù per la ripa interrogando il guardiano della lanterna, i barcaiuoli, quelli del porto...

Valodia                         - ...chiedendo di me?

Cirillo                            - No, del fiume, del traffico...

Valodia                         - Bene, io vado a cucinare. Chi mi dà una mano?

Pietro, Alessio e Matteo         - (insieme) Io!

Olga                              - (seccata a Valodia) C'è Pasqua per aiu­tarti! (Fa per alzare il copripassaggio del banco).

Valodia                         - (prevenendo il gesto di Olga, alzando lui il copripassaggio) Signora Olga, chiedetemi tutto ma non di collaborare con quella belva... (Olga entra attraversando il passaggio del banco. Valodia rivolto verso i quattro uomini) Vieni tu, Matteo... Tanto ci sei abituato a fare l'attendente! (Esce dalla sinistra, lasciando il copripassaggio alzato).

Matteo                          - (furioso) E dai! (Esce dal banco, fa cadere il copripassaggio con fracasso. Pietro e Ales­sio ridono).

Olga                              - (batte le mani, seccata) Be', mi pare che sia ora di togliere l'incomodo, no?

Pietro                            - Signora, non pretenderete che facciamo  colazione con pane e formaggio proprio oggi che c'è lo storione?

Olga                              - Vorrei almeno preparare, pulire... Dovun­que razzolate voialtri omacci fate una stalla!

Alessio                          - Possiamo pulire noi...

Pietro                            - Impartiteci le direttive...

Olga                              - Carini, gli angioletti! Non ho bisogno di volontari del lavoro, la porzione di storione ai cap­peri si paga!

Pietro                            - E la pagheremo! Quando possiamo tornare?

Olga                              - Che ora è?

Pietro                            - (solleva un piede, si guarda sotto la suola, poi) Manca un quarto alle undici e un quarto!

Olga                              - Bravo, quando mancheranno (si guarda un gomito) cinque minuti all'una e cinque, sarà pronto in tavola! Aria, adesso, aria! (Pietro, Alessio e Cirillo, ridono).

Pietro                            - Chi vi sentisse senza conoscervi direbbe che siete cattiva!

Olga                              - Sono cattivissima!

Pietro                            - Siete un amore!

Olga                              - Te ne vai?

Pietro                            - Un dolce tesoro! (Esce dalla destra).

Alessio                          - Sessanta chili di zucchero! (Esce con Pietro).

Cirillo                            - (sorridendo) Ti vogliono tutti bene!

Olga                              - Mh... Dimmi un po'... com'è questa... sì, questa donna?

Cirillo                            - Quale?... Ah, quella di Valodia... Un bel tipo, simpatica... Molto... molto fine... Dev'essere la moglie di qualche ufficiale, oppure una segretaria di comando... Sai che oggi i comandi sono pieni dì donne, telefoniste, autiste...

Olga                              - (guardando oltre la destra) Zitto, debbono esser questi...

Cirillo                            - (guardando anche lui) Proprio loro… Ma perché li accompagna Zina?

Olga                              - (rassettando il fretta) L'avranno interro­gata, lei ha risposto; che doveva fare?

Cirillo                            - (aiutandola) Poteva girare al largo, come me... Ma la mia signorina sorella muore se non attacca discorso con ogni faccia nuova! (Entrano Zina, Orsola, Hugo, Patrizio).

Zina                               - (vent'anni; contenta come chi sa d'aver fatto un bel colpo) Mamma, ci sono questi signori della Commissione fluviale...

Olga                              - (stupita) La Commissione?...

Orsola                           - (è entrata con Zina, trent’anni, elegante abito da viaggio) ... fluviale, buon giorno, signora Getzel...

Olga                              - (vagamente inquieta) Mi... conosce?

Orsola                           - Sua figlia ci ha detto... Questo è il dot­tor Hugo Meinz... (Indica Hugo) Patrizio, il nostro autista... (Indica Patrizio) Io sono Orsola Zorn, della segreteria della Commissione fluviale... Siamo qui per fissare gli alloggi... (Hugo, quarant'an-ni, abito da viaggio, aspetto militare; è entrato con Zina e Orsola, ha fatto un breve cenno di testa a Olga e sta guardando in giro attento. Patrizio, trent’anni, autista, porta una borsa; segue l'azione di Hugo, pronto a obbedirlo).

Zina                               - (a Olga, continuando la battuta di Orsola) Si tratta di sei persone fisse, più gli attendenti-Quando tengono sedute plenarie sono sempre una ventina, e terranno almeno due sedute plenarie al mese... Ho pensato che potranno tenerle qui nella sala o anche di là (indica il fondo) e occupare tutte le stanze del piano di sopra...

Cirillo                            - (scattando, seccato) Ma perché? (Olga che non ha fatto a tempo a impedirgli di parlare, gli vibra un'occhiataccia. Zina tace, improvvisa­mente allarmata. Orsola, Hugo e Patrizio guardano Cirillo, stupiti).

Hugo                             - (seccato) Rifiutate d'ospitare la Com­missione?

Orsola                           - (con indulgenza, un principio di simpatia per Cirillo) Non ha detto questo...

Patrizio                          - (con l'astio del proletario in uniforme) Ha detto proprio questo!

Cirillo                            - (impaurito) Io...

Olga                              - (correndo ai ripari) Non è che non si vuole, è per la spesa... Le Commissioni governative, si sa... Noi riusciamo appena a strappare la vita dall'osteria... di ricostruire il ponte non se ne parla nemmeno, gente ne passa poca...

Hugo                             - La Commissione pagherà.

Olga                              - Con buoni o con soldi? (Hugo fa per par­lare) Ho dei buoni da due anni e non riesco a incassarli; il Governo, lei lo sa, è sempre pronto a prendere ma quando deve dare...

Hugo                             - Di che buoni si tratta?

Olga                              - Commissione di frontiera...

Hugo                             - Ma sono scaduti!

Olga                              - Appunto, non valgono più niente e non vorrei...

Hugo                             - Valgono sempre, sono scaduti ma non prescritti, possono esser pagati solo dalla sede cen­trale della Banca di Stato. Mi occuperò io della cosa.

Olga                              - (felicissima) Oh? Ma io le metto a di­sposizione tutta l'osteria se mi fa questo miracolo!

Hugo                             - Nessun miracolo, se i buoni sono in or­dine li pagherò io stesso.

Olga                              - Quando?

Hugo                             - Subito, oggi... Col dieci per cento di multa per ritardato incasso.

Olga                              - Avrò il dieci per cento in più?

Hugo                             - In meno. Dovevate incassare a tempo debito alla Cassa Provinciale.

Olga                              - Non m'hanno voluto pagare, m'hanno detto che non c'erano fondi...

Hugo                             - Potete avanzare reclamo documentando il fatto con prove e testimonianze, e se sarà ac­colto incasserete l'intera somma.

Olga                              - In quanto tempo?

Orsola                           - Signora, se i buoni sono in ordine, è meglio incassarli subito.

Olga                              - Sì, credo anch'io... (A Hugo) Va bene, si­gnore, grazie... Adesso mi dica di quante stanze ha bisogno e di...

Hugo                             - (interrompendo) Prendo tutto, requisisco l'osteria...

Olga                              - (sbigottita) Dico... il prezzo non...

Hugo                             - Potrei imporre anche il prezzo, ma ci ac­corderemo.

Olga                              - Noi... potremo rimanere...

Hugo                             - Voi, i vostri familiari, le persone di ser­vizio strettamente indispensabili...

Olga                              - Abbiamo due donne, un uomo di fatica e un... famiglio...

Hugo                             - (stupito) Quattro persone di servizio?

Olga                              - Servono per la cucina, le stanze... Poi c'è sempre tanto da fare...

Hugo                             - Non ci sarà più tanto da fare perché ci serviremo da noi, col nostro personale. Potete benissimo licenziare gli uomini e tenere solo le due donne.

Olga                              - Prima di tutto mi dispiace licenziare, poi due donne ci siamo già, io e mia figlia... Se proprio vi sarò obbligata licenzierò le donne.

Hugo                             - Come vorrete. Mi darete l'elenco delle persone che rimarranno per chiedere informazioni sul loro conto...

Olga ;                            - Oh, non c'è bisogno, brava gente che posso garantire io...

Hugo                             - Non basta, devo chiedere informazioni anche di voi...

Olga                              - (seccata) Eh?

Hugo                             - Dove vivete, nella luna? Di voi, dei vo­stri familiari...

Olga                              - (seccata) Questo la Commissione di fron­tiera non lo pretese!

Hugo                             - Erano altri tempi, poi è così e basta.

Olga                              - (decisamente piccata) Ah, va bene!

Hugo                             - Chi sono questi due che volete tratte­nere? (Prende appunti).

Olga                              - (c. s.) Uno è Gambadiferro...

Hugo                             - Come?

Olga                              - Gambadiferro, non sappiamo come si chiama, è sordomuto, arrivò qui con gli americani.,.

Hugo                             - (interessato) Ah ah...

Olga                              - Non fa che lavar piatti e posate, poverac­cio, e caricare e scaricare roba...

Hugo                             - Vedremo di chi si tratta, e, in primo luogo, se è veramente sordomuto. L'altro?

Olga                              - (con maggiore vivacità) L'altro è perfettamente in regola e so che lo avete cercato... E' l'ex sergente maggiore Valodia... sì, Wladimiro Sinken...

Hugo                             - (fissandola) Famiglio qui?

Olga                              - Famiglio...

Hugo                             - Mh... dov'è, ora?

Olga                              - Sta cucinando. Penso che vorranno fare colazione...

Hugo                             - Senza dubbio, e presto se è possibile.

Olga                              - Cercherò d'affrettare...

Hugo                             - E non dico benissimo, ma almeno non in modo infame...

Olga                              - Avranno una colazione magnifica, Valodia sta preparando un piatto speciale...

Hugo                             - Ottimamente, ci servirete là... (Indica la terrazza coperta) E appena il sergente maggiore avrà finito di cucinare me lo manderete.

Olga                              - (contenta) Sì, signore. (Esce dal banco a sinistra. Durante questa scena Patrizio è rimasto vicino a Hugo; Orsola, Zina e Cirillo sono usciti sul terrazzo coperto e si sono messi a guardare il pano­rama attraverso l'invetriata, Cirillo e Zina rispon­dono indicando a Orsola che chiede informazioni).

Hugo                             - (scrive qualcosa sul taccuino, lo chiude, lo intasca e poi dice a Patrizio) Mi pare che a qual­cosa siamo arrivati.

Patrizio                          - Direi di sì... Abbiamo anche trovato il famoso sergente maggiore che doveva metterci a posto in cinque minuti!

Hugo                             - Ci siamo messi a posto da noi. Vedremo comunque se ci potrà essere utile.

Patrizio                          - Cosa vuole che possa essere utile un ex sottufficiale che si perde a fare il cuoco d'osteria quando, con un minimo d'intelligenza, oggi potrebb'essere almeno ufficiale superiore?

Hugo                             - Gli mancherà quel minimo d'intelligen­za... Poi... (Vuol dire qualcos'altro, ma si ferma ab­bozzando un gesto) Mah.

Patrizio                          - Sarà un reazionario nostalgico...

Hugo                             - No, questo proprio no, è il sordomuto che, nel caso... (Si muove) Vedremo. (Forte, a Or­sola) Andiamo a vedere per le. macchine, adesso...

Orsola                           - (volgendosi) Sarebbe ora di mangiare qualcosa...

Hugo                             - Pensato anche a questo. Torniamo su­bito. (Esce dalla destra. Patrizio lo segue. Orsola, Zina e Cirillo tornano avanti).

Zina                               - Vado a vedere a che punto sono in cucina...

Orsola                           - Brava. (Zina esce dalla sinistra. Orsola rientra nel primo ambiente, il suo buon umore s'è accentuato, la sua simpatia per Cirillo è diventata più evidente. Mette la borsetta sul tavolo, si spec­chia, s'incipria. Cirillo la segue, felice, ammiran­dola) Non preoccupatevi per la chiamata alle armi. Vi farò comandare in servizio presso la Commis­sione fluviale, rimarrete qui in casa vostra...

Cirillo                            - Oh, signora, quanta... quanta gratitudine... Io... non so proprio come dimostrarvi la...

Orsola                           - (l'ha fissato, ne gusta il turbamento, gli fa una carezza come a un fanciullo) Adesso non createvi l'altra preoccupazione di dimostrarmi la vo­stra gratitudine... La Commissione ha bisogno di personale, voi siete un tecnico...

Cirillo                            - (perplesso) Un... tecnico?

Orsola                           - Non siete un tecnico fluviale?

Cirillo                            - (sorride di sincera modestia) Oh, signo­ra, un esecutore e nulla più...

Orsola                           - (con lieve, sorridente impazienza) Avre­mo bisogno anche di esecutori!

Cirillo                            - Che servono solo se il tecnico li di­rige... Bisogna conoscere le correnti, e poi i tor­nanti... E le costanti del fiume, il regime...

Orsola                           - (colpita, con improvvisa diffidenza, senza però smettere di sorridere) Cosa c'entra il regime?

Cirillo                            - (infervorandosi) C'è il regime del corso d'acqua... regime fluviale, torrentizio, misto... Il Sammario è un grande fiume-torrente che può dare sorprese in brevissimo spazio di tempo... Alle volte da un quarto d'ora all'altro...

Orsola                           - (di nuovo allegra, senza più sospetto) Oh guarda... Io, che sono nella segreteria generale della Commissione, non ne so nulla... e voi, che sapete tutta questa roba, avete paura di dichiararvi tecnico? Ci vuole più coraggio nella vita d'oggi, giovanotto!

Cirillo                            - Col fiume non si scherza. Il tecnico, qui, è Valodia... sì, Wladimiro Sinken.

Orsola                           - (senza drammaticità) Il sergente mag­giore?

Cirillo                            - (sorride) Sì... è qui con noi...

Orsola                           - (c. s.) Ah, benissimo... chiamatelo...

Cirillo                            - (c. s.) E' occupato in cucina, adesso, deve stare per finire... Quello è un uomo da pren­dere!

Orsola                           - E lo prenderemo!

Cirillo                            - Sarà contentissimo quando glie lo dirò... ha bisogno di lavorare, capite...

Orsola                           - Capisco...

Cirillo                            - Con lui mi sento di fare qualunque cosa... E' stato lui che ha ridato vita al passaggio col porto girevole... Per un anno e mezzo dopo che saltò il ponte il fiume era attraversato solo dai pe­doni... Sì, da quelli del traffico a piedi, perché le poche barche rimaste non potevano traghettare che le persone e, col fiume tranquillo, qualche bici­cletta. In meno d'un mese Valodia costruì il porto e incominciarono a passare carri, cavalli, e anche automobili. I camion non ancora, ma...

Orsola                           - (con le dita alle tempie) Scusate, scu­sate, fatemi capire... Questo porto consente di far caricare di più le barche?

Cirillo                            - Non fa caricare, carica... La parola «porto» forse vi fa pensare a moli, ripe... No: si chiama porto perché « porta », è uno zatterone ret­tangolare che poggia su barche, botti e cassoni... E’ tenuto da una lunga fune metallica assicurata al pilone centrale del ponte...

Orsola                           - In mezzo al fiume?

Cirillo                            - Al centro... Si tira lo zatterone a riva, e vi si carica sopra fino a venti quintali col fiume calmo... Poi si lascia, e la corrente del fiume stesso, scendendo, lo spinge verso l'altra riva... (Gestisce con entrambe le mani, felice di spiegare) Se non ci fosse la fune andrebbe giù con la corrente, con la fune si muove... come un pendolo, ecco...

Orsola                           - (attenta) E' un congegno d'orologeria...

Cirillo                            - (felice di poter fare l'elogio di Valodia) D'ingegneria fluviale... Ecco perché ho detto che Valodia è un uomo da prendere!

Orsola                           - (involontariamente equivoca) Oh, lo prenderemo... Non ditegli che me ne avete parlato...

Cirillo                            - (non convinto, con un principio di so­spetto) Ah...

Orsola                           - (volendo rassicurarlo) Penserò io a in­terrogarlo...

Cirillo                            - (c. s.) Capisco...

Zina                               - (entra dea fondo a sinistra nel secondo am­biente, con tovaglia, tovaglioli, posate; a Orsola) Fra poco sarà pronto; preparo qui, signora, va bene?

Orsola                           - (pensa ad altro) Sì, grazie.

Zina                               - Dammi una mano, Cirillo!

Cirillo                            - (a Orsola, che s'è staccata da luì) Per­messo, signora...

Orsola                           - (contenta d'esser lasciata sola con i suoi nuovi pensieri) Oh, andate, andate... (Cirillo ha uno sguardo inquieto per Orsola, va nel secondo ambiente, incomincia ad aiutare Zina a preparare la tavola, parlottando con lei. Orsola sta pensando, evidentemente in preda al dubbio in cui l'ha messa un'idea molesta e imprecisa. Dopo una pausa si muove verso la destra, esita ancora, poi esce in fretta. Cirillo torna in cucina uscendo dalla sinistra al fondo. Zina continua a preparare la tavola vol­gendo le spalle al primo ambiente. Valodia appare oltre il banco, finisce d'aggiustarsi addosso un cap­potto di tela nera impermeabilizzata, con un cap­puccio; è un po' inquieto, Olga lo segue, anche lei agitata. Valodia ha dato un rapido sguardo al primo ambiente, solleva il copribanco, entra).

Olga                              - (seguendolo) Non capisco; perché vuoi an­dartene?

Valodia                         - Non mi piace questa gente. Mi pren­dono la camera, diventeranno praticamente i padroni.

Olga                              - Non rimarranno eternamente, si può ar­rangiarti una branda in cucina...

Valodia                         - (sulle spine) Non insistere...

Olga                              - (guardandosi intorno con terrore) Non darmi del tu... Se i ragazzi dovessero solo sospettare morrei di vergogna... Mi addolora profondamente il pensiero che tu te ne vada, lo sai... E poi... mi pare che tu... hai paura... (Valodia le stringe per un at­timo il polso. Cirillo rientra nel secondo ambiente portando piatti, bicchieri, bottiglie. Pasqua lo segue, portando altro per la tavola. Cirillo, Zina, Pasqua» si -muovono nel secondo ambiente parlottando).

Valodia                         - (a Olga) Sì, ho paura.

Olga                              - Di che?

Valodia                         - (alza le spalle) Sono uno che deve na­scondersi...

Olga                              - Dove andrai?

Valodia                         - Non lo so.

Olga                              - Cioè lo sai ma non vuoi dirmelo.

Valodia                         - E' per difenderti... (Olga ha un sus­sulto, si volge a guardare nel secondo ambiente) Il modo migliore di custodire un segreto è quello d'i­gnorarlo... (Cirillo, Zina e Pasqua hanno finito di preparare la tavola ed escono dal fondo a sinistra. Valodia e Olga hanno guardato i tre uscire).

Olga                              - (ha un sospiro) Ti preparerò la tua roba...

Valodia                         - Prenderò l'indispensabile, non c'è tem­po... (Si muove verso la scala).

Olga                              - (seguendolo) T'aiuterò... Voglio... (Ha un singhiozzo subito represso e continua in un soffio) Voglio darti un bacio... Ho tanto paura anch'io!

Valodia                         - (basso) Maledetti...

Olga                              - (improvvisamente, afferrandolo, in piena im­prudenza) Chi sei, chi sei? Dimmi almeno que­sto! (E' collocata in modo da poter guardare oltre la destra, tace di colpo, lascia Valodia, se ne stacca un po', compone il volto al professionale sorriso dell’ostessa. Valodia sente avvicinarsi il pericolo alle sue spalle, ma non si volta, e cerca di capire cosa accade desumendolo dall'espressione del volto di Olga. Orsola rientra dalla destra, guarda Valodia che le volge le spalle. Olga a Orsola) Sarà pronto fra poco, signora.

Orsola                           - Bisognerà aspettare il dottor Meinz e Patrizio, non li ho trovati ma penso che saranno qui a momenti... (Valodia, che ha evidentemente riconosciuto la voce di Orsola, ha avuto un fremito).

Olga                              - Va bene, signora. (A Valodia, indican­dogli il banco) Tu va' e sbrigati. (Valodia si muove verso il banco, senza voltarsi).

Orsola                           - (ha ripreso la sua solita espressione) Chi è, il sordomuto?

Olga                              - (subito, imprudentemente) Oh, no!

Orsola                           - Allora è il famoso Valodia? (Valodia si ferma, infastidito, e si sente che si dispone all'urto).

Olga                              - (smarrita) Io...

Valodia                         - (voltandosi, a Orsola) Sì, signora.

Orsola                           - (lo fissa) Mh... Il sergente maggiore...

Valodia                         - Sì.

Olga                              - (a Orsola) Se vuole accomodarsi... (Le in­dica la tavola preparata nel secondo ambiente) Noi andiamo in cucina a...

Orsola                           - Non c'è fretta, andate a preparare, ma servirete quando chiamerò... Intanto farò due chiac­chiere con Valodia in attesa del mio capoufficio... (Olga la guarda smarrita, non si muove. Orsola, dopo una pausa) Andate pure, signora, grazie.

Olga                              - (smarrita) Prego... (Guarda Valodia e di-sperata esce per ti banco).

Orsola                           - (ha un breve riso a bocca chiusa, sembra contenta di come si mettono le cose) Mh... Così voi siete il famoso sergente maggiore Wladimiro Sinken.

Valodia                         - (paziente, calmo come chi ha deciso e si tiene pronto) Sì, signora, ho i documenti nella stanza e.., (Fa per muoversi).

Orsola                           - (lo ferma con un gesto) Non occorre, abbiamo copia dei vostri documenti. Ci siete stato indicato come persona di tutta fiducia, fedele al nuovo regime, atto a fornire una collaborazione in­telligente e devota. Son quasi due ore che v'an­diamo cercando.

Valodia                         - Non sapevo d'essere cercato, scusatemi.

Orsola                           - Appena l'avete saputo avete tentato d'an-darvene.

Valodia                         - Andarmene?

Orsola                           - Siete in tenuta da viaggio.

Valodia                         - (si tocca l'impermeabile, ha un mezzo sorriso) Oh... Qui tutti abbiamo un... indumento del genere...

Orsola                           - ...quando dovete attraversare il fiume...

Valodia                         - Il mio mestiere è quello d'attraversare il fiume. In certi giorni lo attraverso venti, trenta volte. (Si è tolto il cappotto di tela, lo depone sul banco).

Orsola                           - (lo guarda, torna a ridere a bocca chiusa) Mh... Sergente maggiore Wladimiro Zelten...

Valodia                         - Sinken...

Orsola                           - E' lo stesso... Ussari neri, terzo squa­drone...

Valodia                         - Sì7 signora.

Orsola                           - Cavaliere straordinario...

Valodia                         - Lo ero.

Orsola                           - Com'è che conoscete così bene i ser­vizi del genio pontieri?

Valodia                         - Non capisco...

Orsola                           - Non avete impiantato voi il ponte gi­revole?

Valodia                         - Porto.

Orsola                           - Ponte, porto.,. Io non sono del genio, non ho il dovere di saper tante cose... Voi, invece... Dicono che avete costruito un capolavoro d'inge­gneria fluviale.

Valodia                         - Signora... conosco qualche cosa dei ser­vizi del genio.,. Ero barcaiuolo di fiume, come mio padre...

Orsola                           - E perché non siete andato direttamente nei pontieri anziché negli ussari?

Valodia                         - Ho sempre amato i cavalli.

Orsola                           - (ride di nuovo, si diverte con Valodia come un gatto con un topo) Mh...

Valodia                         - Feci un corso del genio dopo la no­mina a sergente.

Orsola                           - Non basta a farmi capire come abbiate potuto costruire il porto girevole con l'aiuto di po­veri barcaiuoli... Foste stato un ufficiale... un alto ufficiale del genio, si spiegherebbe... Ma essendo solo un sergente maggiore della vecchia arma a cavallo...

Valodia                         - Signora, in caso di necessità un capo­rale... un soldato semplice... aiutato da gente di buona volontà... può fare miracoli...

Orsola                           - (lo fissa, ride di nuovo) Così voi siete il sergente maggiore Wladimiro Sinken...

Valodia                         - Sì, signora.

Orsola                           - Ussari neri, secondo squadrone...

Valodia                         - Terzo.

Orsola                           - Detto Valodia.

Valodia                         - Sì.

Orsola                           - (come enunciando un'altra nota caratteri­stica, senza tono offensivo nella voce) Ladro... (Valodia ha un guizzo, la fissa) ...Spia... traditore... Il sergente maggiore Sinken non ha reso conto della cassa dello squadrone a lui affidata... Era in comu­nicazione col nemico che informava degli sposta­menti della Divisione e al primo attacco dopo lo sbarco è passato dall'altra parte con i tre quarti dello squadrone, facendo fuoco sui propri ufficiali che volevano opporsi. (Valodia è come fulminato dallo stupore. Orsola ha acceso una sigaretta) Che ne dite?

Valodia                         - (si riprende rapidamente) Non credo che tocchi a me... dire qualcosa... D'altra parte la guerra è finita... Gli errori, le colpe... le infamie... sono ormai... il passato... Si continua a ripetere che non se ne deve parlare più...

Orsola                           - Ah certo... Poi è tutto bene ciò che finisce bene... Le caratteristiche di ladro, spia, tra­ditore sono oggi titoli d'onore per voi... Avete po­tentemente contribuito alla vittoria della nostra parte, siete stato segnalato alla Commissione flu­viale come un elemento prezioso...

Valodia                         - Cercherò di...

Orsola                           - (tagliando', ridendo) Oh lo so che cer­cherete di collaborare al meglio... A noi basterà tenere gli occhi aperti per evitare che la nostra roba passi in... cavalleria... Ma c'è quella faccenda della Cassa dello squadrone che dà fastidio...

Valodia                         - C'è l'amnistia...

Orsola                           - Per la pena... Ma il danaro bisogna restituirlo.

Valodia                         - (lievemente beffardo) Non credo, se si dimostra che è stato speso per fini nazionali.

Orsola                           - Mh... (Ha un gesto nervoso, poi, più seria) Desidero dirvi, comunque, che questo perso­naggio del sergente maggiore Wladimiro Sinken, ladro e spia, non vi rassomiglia.

Valodia                         - (calmo) Grazie.

Orsola                           - (si muove, inquieta, poi si volge di scatto puntando l'indice su Valodia che le volge le spal­le) Generale Zavatar...

Valodia                         - (è rimasto fermo, calmo, si volta e ri­sponde subito, col tono di chi è cortesemente chia­mato e cortesemente risponde) Eccomi.

Orsola                           - (è colpita dall'assoluta mancanza di resi­stenza, si smonta un attimo, poi) Così non negate?

Valodia                         - Perché dovrei? Ci siamo riconosciuti immediatamente, e non capisco perché non m'ab­biate subito chiamato col mio nome senza per­dervi a parlar di ladri, spie, traditori...

Orsola                           - Non m'avreste risposto con tanta pron­tezza...

Valodia                         - Credete? Non avete voluto, invece, prendervi il gusto d'ingiuriarmi, avvilirmi, facen­domi una colpa d'essermi impadronito del libretto personale d'un cialtrone? C'era solo quello che più o meno d'adattava alla mia età e ai miei con­notati, ignoravo i precedenti del titolare, m'occor­reva essere qualcun altro e non io: che dovevo fare?

Orsola                           - Noto, con la dovuta ammirazione, che ve la prendete con la massima calma.

Valodia                         - Ho imparato che non bisogna irritarsi, fa bene anche al fegato. Voi siete la baronessa Zom, vero?

Orsola                           - Orsola Zom.

Valodia                         - Baronessa, perché sposaste il povero Adamo Zorn, barone di Wendel... Disgraziato... Aveva più corna d'una mandria di bufali!

Orsola                           - (irritandosi) Siete d'un buon gusto da far fremere...

Valodia                         - Non date peso a queste piccolezze... Non v'ho nemmeno accusata d'averlo fatto assas­sinare...

Orsola                           - Ripetete un'ignobile calunnia già smen­tita dieci volte dalla stampa.

Valodia                         - Per forza, la mantenete voi, cosa può fare la povera stampa? Di certo si sa solo che fin dal primo momento siete passata coi nuovi pa­droni...

Orsola                           - (convulsa) Cosa sapete voi di ciò che penso, degli scopi che mi propongo...

Valodia                         - Per carità, lasciamo stare il doppio giuoco, non c'è niente di più stomachevole... C'è qualcosa di assai più importante da decidere: cosa volete fare?

Orsola                           - (stupita) Cosa... voglio fare?

Valodia                         - Mi lasciate andar via tranquillo e pacifico?

Orsola                           - (con involontaria ferocia) State scher­zando, vero?

Valodia                         - Sto parlando serissimamente. Voglio andarmene, non aver niente a che fare con voi, commissioni e via dicendo. Ho bisogno di cinque minuti per portarmi in un posto dal quale posso sicuramente sparire...

Orsola                           - (beffarda) E volete la mia parola d'onore che...

Valodia                         - Nemmeno per idea, che mi faccio della vostra parola? Mi propongo di chiudervi nella mia stanza (ne indica la porta) a chiave, dopo avervi imbavagliata; vi ci vorranno dieci minuti per liberarvi e nel frattempo io sarò arrivato a desti­nazione.

Orsola                           - Se osate solo accennare a toccarmi... (Fa per prendere la borsetta),

Valodia                         - Ferma... (Ha cavato un coltello a lama larga e lucente, di tipo siberiano o da caccia).

Orsola                           - (terrorizzata) Un coltello...

Valodia                         - (rassicurante) ...da barcaiuolo... (Apre la borsetta, ne toglie la rivoltella che intasca, va a prendere il cappotto di tela sul banco) State ferma, so adoperarlo anche da lontano. (Le mostra il coltello, ha preso il cappotto di tela e lo offre aperto a Orsola) Mettete questo.

Orsola                           - (quasi sparisce nel cappotto) Cos'avete intenzione di fare...

Valodia                         - Il cappuccio... (Rialza il cappuccio, vi fa quasi sparire la testa di Orsola, le stringe il cappotto alla vita) Adesso noi andiamo, parlando basso, cordialmente, ridendo... cercando di non farci notare, di sembrare due persone ordinarie qualsiasi... Chiunque incontreremo abbasserete la testa naturalmente, evitando di farvi conoscere. Non ho mai torto un capello a una donna, ma vi avverto che se chiamerete, griderete, farete un gesto, un atto purchessia per tradirmi, vi taglierò la gola. Capito? (Orsola terrorizzata acconsente con la testa) Dite: ho capito.

Orsola                           - (quasi soffocata dal terrore) Ho capito...

Valodia                         - Benissimo, andiamo. (Le prende il braccio destro, rimettendo nella propria tasca de­stra la mano che tiene il coltello aperto, vat alla destra, esce con Orsola).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Virginia                         - (trenta-trentacinque anni, bella, seria, uni­forme militare, sta riordinando delle carte sul ban­co a sinistra).

Stanis                            - (venti-trent'anni, soldato del genio, siga­retta sull'orecchio, dietro la scrivania al centro; fischiando, termina di postare l'apparecchio tele­fonico, stacca il microtelefono, accosta il ricevito­re all'orecchio, batte leggermente col cacciavite sul portavoce del microfono, vi soffia dentro, poi, con voce normale) Pronto... pronto... Capoluogo due... Sì, Stanis che parla dal... (Si volge a Vir­ginia) Che nome diamo alla stazione, signora?

Virginia                         - Domanderò a Sua Eccellenza.

Stanis                            - Un nome provvisorio ci vuole subito per sapere chi debbono chiamare e chi chiama... Chiamiamola Osteria del Passaggio...

Virginia                         - S'individua subito e può essere peri­coloso.

Stanis                            - Allora diciamo Sammario prima...

Virginia                         - Non ci sono altri posti telefonici sul fiume?

Stanis                            - Quante difficoltà! Chiamiamola Sam­mario diciassette... no, porta disgrazia... Sammario Milleuno!

Virginia                         - E va bene!

Stanis                            - (al microfono) La stazione assume il nome provvisorio di Sammario Milleuno... L'appa­recchio è affidato alla signora qui...

Virginia                         - Virginia Grove, seconda segretaria al Commissariato per gli Interni, matricola 77-21 nata il...

Stanis                            - (interrompendo, gentile) Non occorre. (Al microfono) L'apparecchio è in consegna a una segretaria del Ministero Interni...

Virginia                         - « Seconda » segretaria, e Commissa­riato, non Ministero...

Stanis                            - Chi ci bada più, ormai... (Al microfono come recitando una lezione) Sissignore, consegnerò la linea al guardafili e mi farò firmare la ricevuta dell'apparecchio... Sì... sì... va bene, buongiorno! (Rimette a posto il microtelefono, cava un piccolo registro sudicio dalla tasca dei pantaloni, vi batte un bollo che prende dalla scrivania).

Virginia                         - Dove debbo firmare?

Stanis                            - (intascando il registro) Già fatto, ho firmato col bollo...

Virginia                         - Se ne accontentano?

Stanis                            - Per forza! Chi volete che firmi col nome e cognome per farsi addebitare il prezzo dell'ap­parecchio?

Virginia                         - Se si perde!

Stanis                            - Si perderà certamente, tutti si perdono, figuratevi se quando smonterete l'ufficio vi ricor­derete dell'apparecchio... Poi lo vorranno quelli che vi sostituiranno, se lo faranno consegnare o se lo prenderanno: sapete come vanno queste cose, no?

Virginia                         - Anche troppo. (E' passata dietro la scrivania, ha preso il bollo di cui Stanis s'è servito, lo legge) Avete almeno visto cosa dice questo bollo?

Stanis                            - (alza le spalle) Commissariato per gli Affari dell'Interno, no?

Virginia                         - (mostrandogli il bollo) Dice: ufficio sprovvisto di bollo!

Stanis                            - E hanno fatto un bollo per dire che sono senza bollo! Solo da noi accadono queste cose!

Virginia                         - Be', speriamo che accadano anche agli altri. (Prende un altro bollo) Volete...?

Stanis                            - Cosa?

Virginia                         - Il bollo del Ministero?

Stanis                            - Oh, che importa, sul registrino ce ne saranno cento e non se ne capisce nessuno. (Si mette la sigaretta in bocca) Buongiorno.

Virginia                         - Buongiorno! (Stanis prende i fiam­miferi che sono sulla scrivania, accende, fuma, esce dalla destra, portando seco la borsa da guar­dafili, i fiammiferi e altro che gli è servito per impiantare l'apparecchio. Virginia mette ordine sulla scrivania scuotendo la testa, poco soddisfatta, ha un'esclamazione di fastidio constatando che Stanis ha lasciato pezzi di filo e altro) Ah! (Rac­coglie tutto su un pezzo di carta, getta nel cestino. Squilla la soneria del telefono. Virginia stacca il microtelefono, porta il ricevitore all'orecchio) Pronto... parla Virginia Grove... ah, da... (Ricorda, guarda l'appunto) Sammario Milleuno... Milleuno, sì... No, Sua Eccellenza Guala non è ancora...

Rodolfo                        - (entra dalla destra, cinquant’anni, aria militare di bassa forza, pizzetto e baffi, abito civile e cappello che si toglie subito, adoprandolo per farsi vento. Virginia lo guarda, poi sta per par­lare al microfono. Rodolfo le fa energicamente se­gno: « non ci sono! ».

Virginia                         - (al microfono) No, non è ancora tor­nato... (Più rispettosa) Dica, Eccellenza...

Rodolfo                        - (s'è avvicinato, le fa cenno: «chi è»).

Virginia                         - (c. s.) Va bene, appena tornerà gli dirò che il capo della polizia ha chiamato...

Rodolfo                        - (seccato, muovendosi brontolando) Di che s'immischia, questo?

Virginia                         - (c. s.) L'operazione è riuscita brillan­temente, l'osteria è occupata dai soldati e tutti gli individui sospetti sono... Non saprei... Non posso dirle se il Ministro ha bisogno di lei, qui... penso che sarebbe forse un'imprudenza venir qua senza esser chiamato... (Rodolfo gestisce, soddisfatto, co­me per dire: « oh, glie l'ha detta!») Va bene... sì, sì... riferirò... Buongiorno, Eccellenza. (Riattacca il microtelefono, guarda Rodolfo, ha un sospiro, si liscia i capelli sulle tempie con le due mani).

Rodolfo                        - (torna alla scrivania, seccato) Cosa vuole? Perché tanta premura?

Virginia                         - Probabilmente sospetta che state fa­cendo un colpo grosso e si secca di non esserci anche lui. (Rodolfo ha un grugnito, va alla scri­vania, siede, incomincia a scartabellare e a pren­dere appunti. Virginia ha preso un blocchetto ste­nografico) Volete dettare?

Rodolfo                        - (con lieve fastidio) No... Vi dirò io quando...

Virginia                         - (calma) Va bene. Non debbo sapere nemmeno io!

Rodolfo                        - (seccato) Mi fido di voi, ma per il momento non dovete sapere. Non avete idea del guaio in cui ci troviamo...

Virginia                         - Che ci sia un guaio l'ho capito da me... Non capita ogni notte d'essere svegliata alle tre e di partire alle tre e un quarto per la fron­tiera col Ministro e mezza compagnia di soldati di polizia... Voglio dire che se sapessi qualcosa di più potrei rendermi più utile...

Rodolfo                        - E vi siete resa utilissima; fate entrare il dottor Meinz. (Virginia esce dalla destra. Ro­dolfo consulta rapidamente un taccuino, scrive qualche parola in fretta. Virginia rientra dalla destra).

Hugo                             - (la segue, ha lo stesso abito del primo atto, ma è impolverato, scarmigliato, furibondo, si ferma riconoscendo Rodolfo, esclama stupito) Sua Ec­cellenza Guala!

Rodolfo                        - Sì... E voi il dottor Hugo Meinz, vero? Venite avanti... Dategli una sedia, signorina. (Vir­ginia accosta una sedia, e poi torna verso il tavoli-netto della macchina da scrivere).

Hugo                             - (avanza, seccato, disorientato; non siede) Signor commissario, spero che vorrete innanzi tutto spiegarmi perché sono stato arrestato, trattato come un delinquente volgare, gettato nel...

Rodolfo                        - Sedetevi, dottore... e cercate di cal­marvi... Sono stato anch'io arrestato e rinchiuso in carcere ai miei tempi: che volete farci? Sedetevi...

Hugo                             - Volevo dire...

Rodolfo                        - Sedetevi.

Hugo                             - (siede) Io voglio sapere perché sono stato preso nel cuore della notte e...

Rodolfo                        - Sono io che debbo sapere e non voi, io che interrogo e voi che dovete rispondere. Co­minciamo dal principio: come vi siete trovato qui e d'ordine di chi?

Hugo                             - (indignato) Per ordine vostro!

Rodolfo                        - (sbalordito) Eh? (Virginia controscena analoga, sprezzante, criticona).

Hugo                             - (con rabbiosa pazienza) Il Commissa­riato dei Lavori ha formato una Commissione flu­viale, e...

Rodolfo                        - (interrompendo) Voi dunque dipen­dete dai Lavori Pubblici...

Hugo                             - Scusate...

Rodolfo                        - Non interrompete.

Hugo                             - Volevo dire...

Rodolfo                        - Lo direte dopo! Siete funzionario ai Lavori Pubblici, il cui commissario, mio buon amico, uomo di larghe vedute, di idee aperte, di... (Ha un gesto) Eh? Che cosa v'ha mandato a fare qui?

Hugo                             - (estenuato) Signor commissario...

Rodolfo                        - Non tergiversate!

Hugo                             - Non tergiverso, mi sforzo di spiegarvi... La Commissione fluviale è stata nominata dal Mi­nistro ai Lavori, ma per trasferirla in qualche punto della riva nostra del Sammario, s'è reso necessario che partisse un furiere d'alloggio per vedere dove si poteva allogarla...

Rodolfo                        - Omettete i dettagli, venite al fatto!

Hugo                             - Non c'è altro fatto che questo. Il Mini­stero dei Lavori ha chiesto a quello degli Interni un funzionario che provvedesse ad allogare la Commissione fluviale, e l'Interno ha comandato me...

Rodolfo                        - (stupito) Eh?

Hugo                             - Sì, signor Ministro, sono io il furiere d'alloggio, sono funzionario del vostro dicastero, di­pendo da voi, Ministro dell'Interno, ed ecco perché non posso dirvi quali sono state le intenzioni del Ministro dei Lavori nominando la Commissione! Mi sono solo dato da fare per farmi nominare...

Rodolfo                        - Perché?

Hugo                             - (candido) Si cerca sempre, quando c'è un incarico speciale, di farselo dare... Trasferte, indennità, piacere di muoversi...

Rodolfo                        - Ah. Non sapevate, insomma, che cosa avreste trovato qua...

Hugo                             - Assolutamente.

Rodolfo                        - Né chi?

Hugo                             - Chi avrei dovuto trovarvi? Non ho idea di cosa sia. successo, e non vorrei aver l'aria di giu­stificarmi troppo... Sono partito l'altro ieri con una vettura di servizio, con un autista e la mia segre­taria Orsola Zorn...

Rodolfo                        - Ah, Orsola Zorn, parlatemi di questa donna!

Hugo                             - E' sparita! Sono andato con l'autista a cercare un posto per mettervi le macchine, quando sono tornato non l'ho più trovata. Nessuno ha sa­puto dirmi dov'è andata.

Rodolfo                        - Che cosa avete fatto.

Hugo                             - L'ho cercata... Ho chiesto l'aiuto delle due guardie giurate fluviali, dell'unico doganiere... Poi ho mandato l'autista a informare il capoluogo...

Rodolfo                        - (brontola) Mh. E poi?

Hugo                             - E poi niente; l'autista l'ho mandato via alle dieci di sera quando ho perduto ogni speranza di trovare la Zorn... Sono andato a dormire perché ero stanco morto, in attesa dei gendarmi che avevo mandati a chiamare dall'autista... I gendarmi sono arrivati alle quattro, m'hanno buttato giù dal letto, ammanettato e chiuso nel corpo di guardia non tenendo in nessun conto le mie proteste... E altro di me non vi posso narrare, signor Ministro...

Rodolfo                        - (si muove, nervoso, poi) Sentiamo... Non avete udito della sparizione di altre persone, oltre questa Zorn?

Hugo                             - No, signor Ministro.

Rodolfo                        - Non vi risulta che siano spariti anche due barcaiuoli, Matteo Ziska e Walodia Sinken?

Hugo                             - Non ne so nulla, non li conosco, ho sen­tito parlare del secondo, sergente maggiore in con­gedo...

Rodolfo                        - Mh... Non potete dirmi altro?

Hugo                             - Certamente, se potrò raccapezzarmi, cer­care, interrogare...

Rodolfo                        - Be', questo vedremo se si potrà farlo. Per ora le cose sono molto imbrogliate. (A Vir­ginia) Riaccompagnatelo.

Hugo                             - (sbalordito) Cosa, confermate il mio ar­resto?

Rodolfo                        - Non siete arrestato, siete fermato... E' un momento difficile, ve l'ho detto.

Hugo                             - Va bene. Ma vi avverto che ricorrerò al Consiglio di Stato.

Rodolfo                        - Ecco, bravo, ricorrete, e se avrete sod­disfazione sarò il primo a esserne contento. (Con­geda Hugo con un gesto. Hugo ha un secco inchino, esce per la destra. Virginia lo segue. Rodolfo scrive rapidamente sul taccuino. Virginia rientra dalla destra, si ferma aspettando che Rodolfo abbia finito di prendere il suo appunto. Rodolfo finisce di scri­vere, intasca il taccuino, nervoso, fissa Virginia).

Virginia                         - (indicando con moto dì testa la destra) Poveraccio, non ha nessuna colpa.

Rodolfo                        - Che ne so?

Virginia                         - L'idea di ricorrere al Consiglio di Stato può diventare pericolosa.

Rodolfo                        - (alzando le spalle) Ohi

Virginia                         - Non è il Ministero, che, nel caso, ha sbagliato, è il Ministro.

Rodolfo                        - (colpito, mugolando) Mh... e con quei cani arrabbiati che ho intorno...

Virginia                         - Appunto.

Rodolfo                        - Bisognerebbe... (Si ferma, poi seccato) Oh! Io sono troppo solo, ecco.

Virginia                         - Ci sono io.

Rodolfo                        - (la guarda, poi volge altrove gli occhi, non convinto) Quando vi dirò... quando potrò dirvi che cosa è realmente accaduto, ne sarete stupita!

Virginia                         - Tanto varrebbe dirmelo subito, di modo che se ho un consiglio da dare possa darlo in tempo... Due cervelli valgono sempre più di uno. (Rodolfo la fissa, ha un sorriso ironico) E' così... Il compagno non toglie mai parte, a nessun gioco...

Rodolfo                        - (irritato) Se fossimo al Ministero vi butterei fuori per ciò che avete detto!

Virginia                         - (calma) Sono vedova di guerra, ho fatto la partigiana, ho due decorazioni al valore, credete tanto semplice buttarmi fuori dal Ministero? Voi potete esserne cacciato assai più facilmente di me. (Rodolfo ha un ruggito soffocato, si muove minaccioso. Virginia, calmissima, riordina la scri­vania. Squilla la suoneria del telefono. Virginia stacca il microtelefono, porta il ricevitore all'orecchio) Sì? Sammario Milleuno... Ah... (Copre il microfono con la mano) E' il Commissario agli Esteri. (Rodolfo fa per prendere il microtelefono. Virginia ferman­dolo con un gesto) Aspettate che parlo io con la segretaria, riconosco la voce, non si sa mai... (Nel microfono) Pronto? Sei tu, Sandra? Virginia Grove... E' proprio il Ministro? Dai... (Pausa) Buongiorno, Eccellenza. Ecco Sua Eccellenza Guala. (Porge il microtelefono a Rodolfo dopo averne pulito il rice­vitore con un foglio di carta).

Rodolfo                        - (prende il microtelefono, accosta il rice­vitore all'orecchio) Pronto, Karl... Sono io... (A Virginia) Andate di là... (Indica la sinistra. Virginia esce subito per il banco aprendo e chiudendo il copribanco, senza accennare nemmeno il vago desi­derio d'una protesta. Rodolfo al telefono) Eccomi... sì, sono solo... Mi posso fidare ma è meglio... Ecco, sì... Non ancora... (Impaziente) Sono arrivato da poco più di un'ora, vado ancora a tentoni... (Ascolta, seccato, non convinto) Va bene, farò come dici, prenderò il toro per le corna, ma non temi di...? (Ascolta sbalordito, poi) Va bene, completerò le indagini preliminari... (Non convinto) Sì, senza bruciare le tappe... Come vuoi... Va da sé che ti informerò punto per punto, non c'è bisogno di dir­lo... Ciao. (Riattacca il ricevitore sempre meno con­vinto, guarda oltre il banco, poi va alla destra, esce).

Virginia                         - (rientra subito dalla sinistra, balza al tele­fono, batte nervosamente sul gancio, poi) Datemi... (Con grata sorpresa) Oh, sei ancora tu, Sandra?" Grazie d'avermi aspettata... Cos'hanno detto? (Scrive rapidissimamente in stenografia quanto le detta la collega, poi) Il tuo Ministro deve aver avuto l'informazione su Zavatar dall'Ambasciata Sovena, chissà perché l'ha comunicata solo al mio illustre principale... (Brevissima pausa, poi, rispondendo) E' chiaro che vogliono fare il colpo insieme, ma glie lo lasceranno fare? Credono che gli altri dormano? (Rodolfo rientra dalla destra con Ubaldo. Virginia al telefono, con voce diversa, monotona) No, il si­gnor Commissario non c'è... Non riceverà nessun giornalista prima della conferenza stampa... Buon­giorno. (Riattacca il microtelefono, finge di riordi­nare e fa sparire l'appunto stenografico in una car­tella: a Rodolfo) Chiedevano un'intervista.

Rodolfo                        - (a Virginia) Ho capito. Tornate pure di là! (Virginia esce dalla sinistra. Rodolfo a Ubaldo, dopo essersi assicurato che Virginia è uscita dalla sinistra) Debbo darvi delle istruzioni particolari e riservate, tenente.

Ubaldo                          - (circa quarant’anni, tenuta militare, stiva­loni, pistola, berretto, baffi, occhi spalancati, rigido, serio, feroce, stupido, sempre sull'attenti, battendo ì tacchi nel saluto che ripete spesso, parlando a scatti, chiaro, preciso, energico) Comandi.

Rodolfo                        - Procederò ora a qualche interrogatorio.

Ubaldo                          - Signorsì.

Rodolfo                        - State con le orecchie tese.

Ubaldo                          - (non ha capito) Con le orecchie?

Rodolfo                        - Tese! State a sentire, seguite...

Ubaldo                          - Mi piazzo qui e...

Rodolfo                        - Non dovete piazzarvi qui, desidero anzi che non vi si veda, che nessuno si spaventi...

Ubaldo                          - So essere dolce se occorre.

Rodolfo                        - Non occorre. Intervenite solo nel caso che si esageri... se dovesse nascere un tumulto.

Ubaldo                          - Ah... se gridano...

Rodolfo                        - Gridare non è tumultuare!

Ubaldo                          - Allora finché gridano non intervengo?

Rodolfo                        - (irritandosi) Interverrete se grideranno oltre un certo limite!

Ubaldo                          - Che limite?

Rodolfo                        - (estenuato) Santo cielo! Se fanno qual­cosa che non va...

Ubaldo                          - Che cosa?

Rodolfo                        - (abbrutito) Tenetevi pronto a inter­venire quando chiamerò io, col campanello o altri­menti!

Ubaldo                          - Altrimenti come?

Rodolfo                        - (furibondo) Griderò « capoposto », aiuto, soccorso, capito?

Ubaldo                          - Signorsì, al campanello, o al grido « ca­poposto», aiuto, soccorso, interverrò.

Rodolfo                        - Grazie, nient'altro. (Ubaldo fa un sa­luto di perfetta ordinanza, batte ì tacchi, esegue un dietro-front di precisione, s'avvia a passo di marcia. Rodolfo s'asciuga il sudore, impreca fra i denti) Aspettate. (Ubaldo si ferma di scatto, fa dietro-front, torna avanti, batte i tacchi nel solito modo inutilmente energico, s'irrigidisce sulla posi­zione d'attenti in attesa di ordini. Rodolfo lo guar­da, scuote lievemente la testa con compatimento, poi, pesando bene le parole) Introdurrete per primo Valodia Sinken...

Ubaldo                          - Signorsì.

Rodolfo                        - Il sergente maggiore...

Ubaldo                          - Signorsì.

Rodolfo                        - Prima d'introdurlo perquisitelo...

Ubaldo                          - L'ho già perquisito.

Rodolfo                        - Riperquisitelo, non si sa mai.

Ubaldo                          - Lo riperquisirò qui, in vostra presen...

Rodolfo                        - (urlando) No! (Si calma con uno sfor­zo) Desidero anzi che appaia come una vostra ini­ziativa alla quale io sono estraneo... Può anche darsi che lui se ne lagni e in questo caso ve ne farò osservazione. Capito?

Ubaldo                          - (subito, salutando) Signornò.

Rodolfo                        - (seccato) Introducete Valodia dopo averlo perquisito fuori di qui. Nient'altro. (Ubaldo saluta, fa le sue evoluzioni regolamentari, esce. Ro­dolfo sbuffa, si muove seccato, va al banco, si sporge un po' oltre il copribanco, come per assicu­rarsi che nessuno ascolti. Entra Valodia).

Valodia                         - (è in un elegante abito di taglio militare, senza gradi, giacca chiusa al collo con bavero rivol­tato, pantaloni lunghi, scarpe lucide quasi nuove, s'è tagliato i capelli e i baffi, appare tranquillissimo, si guarda ogni tanto le dita come chi ha da poco finito di curarsi le mani. Ubaldo lo segue dappresso, automatico, con una sfumatura di rispetto. Rodolfo fissa sbalordito Valodia. Valodia gentile, sorridendo) Buongiorno...

Rodolfo                        - (stupito) Buongiorno... (A Ubaldo) Grazie, andate pure, tenente, e mi raccomando...

Ubaldo                          - (scattando) Cosa?

Rodolfo                        - (seccato) Niente, andate. (Ubaldo sa­luta Rodolfo, poi saluta Valodia, esegue il dietro­front, esce a passo marziale dalla sinistra. Rodolfo indicando una sedia a Valodia) Accomodatevi.

Valodia                         - Grazie... (Siede, poi come rispondendo al pensiero di Rodolfo) Questi ufficiali di nuova nomina sono sempre un po' impacciati.

Rodolfo                        - (sorpreso, seccato) Lo conoscete?

Valodia                         - Sì, l'ho fatto caporale io.

Rodolfo                        - Così, voi ammettete senz'altro d'essere il generale Zavatar?

Valodia                         - L'ex generale, fui degradato. Perché non dovrei ammetterlo?

Rodolfo                        - Non eravate camuffato, capelli, baffi, vestito da barcaiuolo...

Valodia                         - Sì, ma appena quelle precauzioni sono diventate inutili le ho smesse. E' seccante, in fondo, vestirsi di stracci, tenere la barba lunga...

Rodolfo                        - (muove nervosamente la mano sul ta­volo ma senza batterla) E i vestiti, le scarpe... Voi avete un'organizzazione qui, un...

Valodia                         - Non ho assolutamente nulla, avevo un rifugio in un pilone del ponte crollato che ritenevo sicuro, e nel quale conservavo. qualche avanzo del mio bagaglio... Mi compiaccio con la vostra polizia che è riuscita a scovarmi...

Rodolfo                        - (quasi brontolando) Non è stata la polizia che... (Ha un gesto brusco, tace).

Valodia                         - (come se conversasse in un salotto di affari che non lo riguardano) Me l'aveva detto il tenente.

Rodolfo                        - Avete conversato col tenente?

Valodia                         - Fra militari, quattro chiacchiere si fanno sempre... I soldati sono del parere...

Rodolfo                        - (sempre più sconcertato) Anche i sol­dati sanno?

Valodia                         - Lo sanno tutti. In paese non si parla d'altro.

Rodolfo                        - (furioso) Quanto mi piacerebbe sapere chi è che ha fatto trapelare...

Valodia                         - (candido) L'ho detto io...

Rodolfo                        - (ha quasi un balzo) Eh?

Valodia                         - Io.

Rodolfo                        - (come accusandolo, con l'indice teso) Voi avete un piano politico!

Valodia                         - Assolutamente no.

Rodolfo                        - E allora perché avete svelato chi siete?

Valodia                         - Per difendermi. Si può sempre tro­vare un buffone o un cialtrone che voglia distin­guersi... Così, appena arrestato, ho detto subito e a tutti chi ero, per proteggermi nella simpatia che c'è per me.,.

Rodolfo                        - (con cattiva ironia) Voi siete certo di questa simpatia...

Valodia                         - Certissimo, è quella naturale per i ca­duti, gli sconfitti, le vittime...

Rodolfo                        - ...i regimi passati...

Valodia                         - Ridicolo vero? Ma la gente è così, e allora... Sarò messo in fortezza, che è sempre me­glio del carcere ordinano, mi si farà un processo militare, con istruttoria, testimoni, avvocati, ar­ringhe...

Rodolfo                        - E voi sperate che noi tollereremo que­sto processo...

Valodia                         - Non so come farete a impedirlo...

Rodolfo                        - Vi si può uccidere in un tentativo d'evasione...

Valodia                         - Io non evado.

Rodolfo                        - Si può organizzare il tentativo...

Valodia                         - Bisognava farlo al momento dell'ar­resto, ma c'era troppa gente, la baronessa Zorn che non avevo ancora potuto mandar via... Che n'è successo, a proposito?

Rodolfo                        - (brusco) E' nelle carceri del capoluogo.

Valodia                         - Ecco cosa capita a chi vuol fare i grandi colpi da solo...

Rodolfo                        - Torniamo a noi, Zavatar... Nessuno pensa a sopprimervi. A che servirebbe?

Valodia                         - Ecco, mi piace vedervi dirigere la con­versazione in modo così ragionevole.

Rodolfo                        - (seccato) Sarebbe inutile... e soprat­tutto dannoso per me.

Valodia                         - Anche per me.

Rodolfo                        - Penso sia meglio intendersi, e sono disposto a venirvi incontro...

Valodia                         - (candido) Vi ringrazio...

Rodolfo                        - (deciso) Sentiamo... Cosa volete, in­nanzi tutto...

Valodia                         - Vorrei fumare... (Rodolfo ha un gesto d'impazienza) Sigarette Corona, se è possibile...

Rodolfo                        - Io non fumo, ma... (Fa per premere il bottone del campanello).

Valodia                         - E' inutile chiamare, i soldati non sa­prebbero dove trovarle, sono di contrabbando e le ha solo il doganiere... Però questa è la mia scri­vania... sì... quella che era nella mia stanza, e ce ne dev'essere qualche pacchetto nel cassetto... (S'è alzato, ha aperto il cassetto della scrivania, vi ha frugato. Rodolfo ha avuto anche lui uno scatto, è anche lui andato dietro la scrivania sorvegliando Valodia) Sì... figuriamoci se lasciavano le sigarette! (Chiude il cassetto) Mah... Pazienza. (Torna avanti, siede).

Rodolfo                        - (seccato) Mi dispiace.

Valodia                         - Oh! Fossero tutti questi, i guai!

Rodolfo                        - Veniamo al concreto. Sono in stret­tissimo contatto col mio collega agli Esteri, Karl Tinelin...

Valodia                         - Conosco, era vice console a Tangeri... Ha fatto una bella carriera!

Rodolfo                        - Tutti l'abbiamo fatta!

Valodia                         - Io no.

Rodolfo                        - Adesso siete ingrato con la sorte. Te­nente colonnello del Genio allo scoppio della guer­ra, comandante di Divisione un anno dopo, al mo­mento della catastrofe comandante supremo e Capo dello Stato...

Valodia                         - (precisando) Al momento della cata­strofe!

Rodolfo                        - Ma sempre Capo delle Forze Armate e della Repubblica, sono galloni che non si strap­pano!

Valodia                         - A me li hanno strappati...

Rodolfo                        - Quattro cretini d'un tribunale rivo­luzionario non fanno storia!

Valodia                         - Ma vi fucilano!

Rodolfo                        - Voi non v'hanno fucilato... (Valodia ha un gesto per precisare. Rodolfo continuando, seccato) ...non vi siete lasciato fucilare, va bene, basterebbe questo a dimostrare che avevate più cervello di loro...

Valodia                         - Più fortuna.

Rodolfo                        - In politica la fortuna vale più del cer­vello. (Seccato) Scusate, vogliamo venire al sodo?

Valodia                         - Veniamo al sodo. Avrei voluto solo farvi osservare che i cretini di quel tribunale del popolo erano della vostra parte politica.

Rodolfo                        - Tutte le parti politiche hanno la loro aliquota di cretini. Vi stavo parlando di Tinelin col quale siamo molto legati...

Valodia                         - Appartenete a partiti diversi, no?

Rodolfo                        - Sì, ma vogliamo (gesto delle due mani che vorrebbero ingranare le dita) fonderci. Tinelin è progressista, ma sostanzialmente è un conserva­tore (stupore di Valodia) discende da famiglia mo­narchica...

Valodia                         - (sempre come chi conversa in un salotto) Mi pare di sì... Sua madre fu dama di corte... Nasceva Borisow...

Rodolfo                        - Viscontessa, credo...

Valodia                         - Appunto, proprio lei. Bellissima donna.

Rodolfo                        - (paziente) Tinelin ha saputo della vostra presenza qui e ne ha informato me...

Valodia                         - (esclamando) Perbacco!

Rodolfo                        - Solo me, scavalcando anche il Pre­sidente del Consiglio...

Valodia                         - (pensa ad altro) Ora capisco! C'è stata una spia sovena che ha riferito, il Ministro degli Esteri di Sovenia ha informato Tinelin per via diplomatica, ed ecco come sono stato preso nel pi­lone! Sono davvero contento che non sia stato un nostro barcaiuolo a tradirmi! (Ha un gesto, un sor­riso) Mah! Appena in possesso1 dell'informazione m'avete fatto fermare e vi siete precipitato qui...

Rodolfo                        - Appunto, per chiedervi, come quattro e quattro fanno otto, cosa volete...

Valodia                         - Ve l'ho detto...

Rodolfo                        - (irritandosi) Non scherzate! E soprat­tutto non tentate di fare il dialettico con me, non avete idea di come sono allenato alla polemica verbale, io! Lasciate stare le sigarette Corona e par­liamo da gente pratica. Quali sono i vostri progetti?

Valodia                         - Non ne ho.

Rodolfo                        - (nervoso, indispettito di dover esser lui ad ammettere ciò che spetterebbe a Valodia riven­dicare) Forse sottovalutate l'importanza del se­guito che avete... I vostri amici non v'hanno detto...?

Valodia                         - Ho la fortuna di non aver amici... Sì, del genere d'amici a cui vi riferite...

Rodolfo                        - (brusco) Godete di simpatie profonde... Avete anche fatto qualcosa di non errato nel breve periodo di dittatura...

Valodia                         - Sono lieto d'apprenderlo, finalmente.

Rodolfo                        - Avete, insomma, grandi possibilità.

Valodia                         - Non voglio valermene. (Rodolfo lo fissa, sbalordito) E' strano come non comprendiate il piacere di non voler essere più niente dopo essere stato tutto.

Rodolfo                        - (rimane ancora un attimo in preda allo stupore, poi scatta, incredulo e impaurito di quanto Valodia secondo lui gli nasconde) Ma non è possibile, è assurdo, inumano... Ed è soprattutto sciocco! Non troverete in tutta la Bitinia due uo­mini politici come me e Tinelin disposti a correre con voi i rischi di un'azione affascinante, pronti a lasciare il loro partito per il vostro...

Valodia                         - Io non ho partito...

Rodolfo                        - Si fonda... Cosa credete che sia, un partito? Una scrivania, un telefono, della carta in­testata... E danari, naturalmente, tanti!

Valodia                         - Io non ho danaro.

Rodolfo                        - E chi ve ne chiede? Non dovete che mettervi alla nostra testa, fare un discorso di cui ho già pronto la scaletta... E' il vostro momento, tanti rimpiangono la vostra morte e vanno dicendo che avevate ragione...

Valodia                         - Succede sempre così.

Rodolfo                        - Purtroppo ogni tanto la gente si mette in testa una cosa...

Valodia                         - ...e chi glie la toglie è bravo...

Rodolfo                        - (alza le spalle) Perché togliergliela? Bi­sogna dargliela, e il primo che glie la dà batte tutti!

Valodia                         - Scusate, signor Guala... Non crediate ch'io non dia il suo giusto valore al vostro entu­siasmo... Ma a parte le mie idee e le mie ripu­gnanze, non vedo come si possa metter su un af­fare simile da un'ora all'altra, senza un programma, senza...

Rodolfo                        - (quasi mugolando, per contenere l'urlo d'impazienza che gli urge dentro) Ma che pro­gramma! Ciò che conta è prendere il potere, tutto il resto viene dopo!

Valodia                         - (a bocca chiusa) Mh... Non è per me la parte di condottiero di pretoriani ribelli.

Rodolfo                        - (amaro) Ancora una sottovalutazione di voi stesso, della situazione formidabile in cui vi trovate... in cui «ci» troviamo!

Valodia                         - Ah, « ci »!

Rodolfo                        - Nessuno più di me sa che il generale politicante è innanzi tutto ridicolo... (Pausa, poi come chi sferra il colpo decisivo) Voi vi dovete mettere come pretendente...

Valodia                         - (quasi gridando, quasi offeso) Eh?

Rodolfo                        - (è lanciato) ... come l'esponente d'una Restaurazione...

Valodia                         - (c. s.) Ma cosa dite, a quale titolo?

Rodolfo                        - Il ramo primogenito è estinto, il prin­cipe Michele è deceduto sei anni fa senza figli. I suoi diritti sono passati al ramo collaterale di cui voi siete il Capo...

Valodia                         - Piano, nel caso ci sarebbe la princi­pessa Carlotta...

Rodolfo                        - Una donna, che vive all'estero, che ha implicitamente rinunziato a ogni diritto con quel matrimonio degradante...

Valodia                         - Ha sposato un armatore!

Rodolfo                        - E vi pare bello?

Valodia                         - Io ho sposato un'attrice...

Rodolfo                        - ...che è morta!

Valodia                         - Purtroppo sì.

Rodolfo                        - Comunque un'attrice è un'attrice... era una connazionale... Poi un maschio è...

Valodia                         - ...è un maschio...

Rodolfo                        - Appunto... E infine il popolo vuole voi!

Valodia                         - Mh... Il popolo... Voi e Tinelin!

Rodolfo                        - Ciò che significa una fortissima ali­quota di popolo... quasi tutto... d'altra parte cosa conta, il popolo?

Valodia                         - Ah, niente!

Rodolfo                        - E cosa chiede? Solo d'esser governato e lasciato in pace ai suoi affari... Se tante carogne non lo avvelenassero con predicazioni inconsulte...

Valodia                         - Ecco, stavo per dirlo io.

Rodolfo                        - Voi dovete dirmi solo che accettate, e io e Tinelin passeremo immediatamente all'azione...

Valodia                         - (lievissimamente beffardo) Avrei da dirvi tante altre cose... Innanzi tutto che respingo pregiudizialmente l'idea d'una Restaurazione perché sono repubblicano...

Rodolfo                        - (irritato, ma contenendosi) Ma anch'io sono repubblicano, e più di voi... Ma quando c'è l'interesse del Paese... Ci sono monarchici che ac­cettano di diventare Presidenti della Repubblica, ci sarà un repubblicano che accetterà di diventare Re! E' il fatale sviluppo d'una situazione che ha finito per sopraffare noi che l'abbiamo creata... Ab­biamo tutti fatta una rivoluzione in questi anni... tutti dico, voi come noi, chi con azioni, chi con parole, chi subendo e tacendo... e siamo a un punto in cui bisogna lealmente riconoscere che di questa nostra rivoluzione nessuno di noi è contento...

Valodia                         - Perché è fallita.

Rodolfo                        - No, perché nessuno di noi ha saputo dominarla, e una rivoluzione che non esprime un Capo è... niente, è una chiassata, un seguito di risse che poi si esauriscono per stanchezza... Bisogna cercare questo Capo all'infuori di noi che ci cono­sciamo tutti e troppo... Quello era un modestissimo impiegato... Quell'altro, uomo mediocrissimo, sfrutta qualche persecuzione di cui fu oggetto... Un Re...

Valodia                         - Io ho fatto il barcaiuolo.

Rodolfo                        - (esasperato) Ma in esilio, con eroismo, creando un porto girevole che ha messo in comu­nicazione le rive del Sammario, due civiltà, due razze! Vorreste darmi a intendere che non capite questo?

Valodia                         - Avete finito?

Rodolfo                        - No, ma mi riposerò lo stesso cinque minuti! E' terribile discutere con voi, fate venire il mal di mare!

Valodia                         - Mi dispiace...

Rodolfo                        - Grazie!

Valodia                         - ...perché fino a ora non v'ho detto cose sgradevoli...

Rodolfo                        - Ah?

Valodia                         - ...e debbo incominciare a dirvene.

Rodolfo                        - Ah sì?

Valodia                         - Sì. Vi confesso che avevo più stima di voi. Il piano che m'avete esposto...

Rodolfo                        - ...un grandioso piano...

Valodia                         - ...è nient'altro che una congiura, due ministri che complottano contro il capo del Go­verno di cui fanno parte...

Rodolfo                        - (seccato) Scusate...

Valodia                         - ...che tentano il colpaccio da soli sfrut­tando l'occasione favorevole che s'è presentata... E' un po' più in grande, lo stesso, identico pro­getto della baronessa Zorn...

Rodolfo                        - (convulso) Ma dico...

Valodia                         - Voi non cercate un Capo ma uno che assommi in sé tutti i poteri col solo incarico di la­sciarli esercitare a voi...

Rodolfo                        - Ma « questa » è la funzione del Capo dello Stato!

Valodia                         - No, questa è « lo stato » in cui è stata ridotta la funzione del Capo dello Stato. Ho già fatto quest'esperienza... Nelle ultime settimane, quando tutto crollava e i nemici premevano da ogni parte, mi hanno dato il Comando supremo, la Dittatura... ma solo perché nessuno voleva più saperne... perché occorreva qualcuno che assumesse il ruolo di responsabile della catastrofe...

Rodolfo                        - Non v'è chi non riconosca cosa avete fatto in quei giorni... Il vostro processo...

Valodia                         - (quasi seccato) Oh!

Rodolfo                        - ...fu uno stupido delitto, un errore enorme... Oggi nessuno osa sostenere che Io scon­fitto foste voi.

Valodia                         - No? E chi allora?

Rodolfo                        - Il Paese!

Valodia                         - Quale? La Repubblica Sammarica non esiste più, il fiume scorre fra i due Stati successori, Bitinia e Sovenia, vittoriosi tutti e due contro la tirannide da me involontariamente rappresentata e caduta con me. Il solo sconfitto di questa guerra sono io.

Rodolfo                        - Vorreste farmi credere che un uomo delle vostre qualità, a sei anni di distanza, abbia ancora il cuore così pieno di meschini rancori...

Valodia                         - Nessun rancore. Rifiuto di seguirvi innanzi tutto perché lo ritengo inutile. Non è il pericolo che mi spaventa: so che ce riè poco, altri­menti né voi né Tinelin avreste arrischiato... (Ro­dolfo fa per protestare. Valodia lo fa tacere con un gesto) Siamo tutti inutili, voi, Tinelin, io, il Re, il Presidente, il Governo... Le cose s'assestano da loro, la gente si riprende da sé... Non avete notato che quando il Parlamento e i Ministri sono in vacanza il Paese è più tranquillo e più in ordine?

Rodolfo                        - (disperato) Non scherzate, non scher­zate!

Valodia                         - Non scherzo. Il guaio è che voi... tutti voi... finite per credere alle parole che dite... Or ora m'avete detto che ho messo in comunicazione due civiltà, due razze... due mondi, a momenti, col mio povero zatterone frenato...

Rodolfo                        - E non è vero?

Valodia                         - Ho soltanto aiutato un centinaio di persone a sbarcare il lunario... ai contrabbandieri soveni di venderci le sigarette Corona, alla padrona di quest'osteria d'avere qualche cliente di più...

Rodolfo                        - (vibrante) Alle automobili e ai carri di transitare, c'è un'autorimessa, un'officina mec­canica e da maniscalco... Tutta la zona in piena ripresa!

Valodia                         - E' la gente che si riprende per intima forza... Dove siete andato a pescare le due civiltà, le due razze? Quando ci si spara addosso da una riva all'altra è sempre per colpa di quelli delle capi­tali, che stanno lontani e che non sanno... Siamo tutti amici sul fiume, di qua e di là... Ce ne ser­viamo e lo serviamo, l'amiamo e ce ne difendiamo, perché il padrone, il vero padrone è lui, il Sammario, non i Governi... Quando si gonfia e supera gli argini e schianta e travolge tutto e tutti, di là e di qua... Credete che siamo due razze, allora, due civiltà? Ma siamo una sola gente che s'unisce per resistere alla furia del fiume e riportarlo negli argini, ricostruendo ogni volta quello che ha di­strutto!

Rodolfo                        - (con le mani giunte, vibrante d'entusia­smo) Ma questo è il tema del discorso che do­vete fare per la riunificazione dei due paesi che non possono vivere separati! Come fate a non capirlo?

Matteo                          - (lacero, impolverato, scarmigliato, irrompe dalla destra piangendo e ridendo, gridando e ge­stendo) Finalmente! Posso gridarlo in faccia a tutti! (Prende la mano di Valodia, la bacia).

Rodolfo                        - (seccatissimo, autoritario) Cosa c'è, come osate...

Matteo                          - (gli fa cenno di tacere e non seccare, con l'aria di chi si rivolge a un pari grado, e continua, rivolgendosi a Valodia) Posso urlarlo, a questi cafoni, che sono il vostro attendente e me ne vanto, che non ho mai cessato di servirvi e d'esservi fedele!

Rodolfo                        - (al colmo della collera) Si può sapere...

Matteo                          - (e. s) Ma sta' zitto!

Valodia                         - Posso sapere io cos'è accaduto? (Ubaldo entra dalla destra a passo marziale, ha la pistola in mano. Primo, secondo, terzo e quarto soldato lo seguono per due, armati, al passo).

Ubaldo                          - (ai quattro soldati) Alt! (Primo, secondo, terzo e quarto soldato si fermano insieme, battendo i tacchi con perfetto sincronismo, e rimangono sull'attenti, per due, d'un passo o due oltre la destra. Ubaldo avanza verso la scrivania col solito passo. Valodia e Rodolfo sono entrambi inquieti, Matteo è allegro e soddisfatto).

Rodolfo                        - (seccato, vagamente spaventato) Cosa c'è, tenente?

Ubaldo                          - Signor Guala, siete in arresto.

Rodolfo                        - (balzando) Cosa?

Ubaldo                          - Ordine del signor Presidente del Con­siglio controfirmato dal signor Ministro della Guerra. (Gli indica i quattro soldati a destra) Prego.

Rodolfo                        - Ma questa è una follia. (Fa per pren­dere il microtelefono).

Ubaldo                          - Non potete telefonare. Prego.

Rodolfo                        - Voglio telefonare al Ministro degli Esteri...

Ubaldo                          - E' anche lui in arresto.

Rodolfo                        - (impazzendo) Eh?

Ubaldo                          - Ordine del signor Presidente del Con­siglio controfirmato dal signor Ministro della Guerra.

Rodolfo                        - (ha un amaro e sdegnoso sorriso, scuo­te la testa, batte il pugno sul tavolo ma r senza furia, già rassegnato, guarda Valodia) Me l'han­no fatta!

Valodia                         - Succede sempre così...

Rodolfo                        - (amaro, prendendo un fascicolo dalla scri­vania) Mh...

Ubaldo                          - Non potete asportare carte, prego. (Ro­dolfo getta il fascicolo sulla scrivania, sdegnoso) Sono davvero dolente...

Rodolfo                        - Oh, non oseranno andare oltre l'ar­resto... Voi, piuttosto...

Valodia                         - Credo che non oseranno far nulla nemmeno a me...

Rodolfo                        - Di voi faranno ciò che «io» volevo fare... Vi ho usato tutti i riguardi... Penso che ve ne ricorderete.

Valodia                         - Questo senz'altro.

Rodolfo                        - E più presto sarà meglio sarà... Non si sa mai con (guarda sdegnoso oltre la destra) questi politicanti capaci di tutto!

Valodia                         - A chi lo dite!

Ubaldo                          - Signor Guala... (Gli accenna i quat­tro uomini) Prego. (Rodolfo si muove verso la de­stra. Primo, secondo, terzo, quarto soldato si al­largano un po' per ricevere Rodolfo al centro del loro quadrato. Ubaldo fa un saluto di perfetta or­dinanza a Valodia, gira sui tacchi e va verso i quat­tro uomini. Valodia ha risposto cortesemente e mi­litarmente al saluto di Ubaldo).

Ubaldo                          - (comandando: si prega l'attore di non cambiare questi comandi che sono scritti in una lingua di fantasia, ma che corrispondono all’attenti», all’« avanti march» e alla guida del passo sui numeri 1, 2, 3, 4) Abdàn... Serkò... Rase! Giandài - drés - kat! (Primo, secondo, terzo, quarto soldato e Rodolfo escono dalla destra al passo. Ubal­do segue al passo).

Matteo                          - (alza le spalle vedendo uscire i sei, si volge raggiante di gioia a Valodia) Signor genera­le... Eccellenza... Non sto più nei panni... Voglio gridare la mia gioia a tutti...

Valodia                         - Non c'è più nessuno.

Matteo                          - Ditemi cosa devo fare, datemi un or­dine, sono pronto a tutto!

Valodia                         - (alza un dito, colpito da un'idea) Pro­curami un pacchetto di sigarette Corona. (Va verso la sua camera. Matteo lo guarda stupito).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Pasqua                           - (sta stizzosamente mettendo ordine, ha una scopa, un grembiale nuovo, una pezzuola della stessa tela del grembiale in testa) Che rivolu­zione, da tre giorni non si capisce più niente!

Zina                               - (diversamente vestita, modesta ma assai gra­ziosa, sta anche lei rimettendo ordine; anche lei infastidita, ma senza asprezza) Bene, non dirmi che non capisci niente solo da tre giorni...

Pasqua                           - (smette di lavorare) Vi assicuro...

Zina                               - Tu non hai mai capito niente!

Pasqua                           - (non afferra subito, ma poi ci arriva) Ah, questo poi...

Zina                               - E non t'incantare, sbrigati!

Pasqua                           - (aspra) E vabbène! (Riprende a spaz­zare con furia).

Zina                               - Senza far polvere!

Pasqua                           - (c. s.) Santa pazienza! (Matteo entra dalla destra, ha una tenuta militare nuova, porta una scatola di cartone molto elegantemente legata).

Zina                               - (a Matteo) Oh, eccovi, cos'avete là, un a­bito da sposare

Matteo                          - (trionfante) La divisa! (Fa per andare verso la stanza di Valodia).

Zina                               - No, aspettate, l'aiutante di campo ha det­to di non far entrare nessuno!

Matteo                          - Non è un ordine che riguarda me. (Esce, aprendo e chiudendosi alle spalle la porta dalla stanza di Valodia).

Pasqua                           - Un'altra che non capisco è questa sto­ria del campo... E' un campo da coltivare?

Zina                               - (la guarda, poi) Mh... (Scuote la testa con sorridente compatimento) E' un campo d'azione. (Ubaldo entra dalla camera di Valodia, di spalle, saluta, batte i tacchi, chiude la porta, fa dietro­front, esce dalla destra a passo marziale).

Pasqua                           - (sì è fermata, s'è appoggiata alla scopa guardando Ubaldo evoluire) In che cosa può aiu­tare in un campo quello lì non so proprio.

Zina                               - (è andata verso la scrivania, rassettan­do) Mah. (Pasqua riprende a spazzare).

Pietro                            - (appare dietro il banco, fra le quinte) Zina!

Zina                               - (distratta) Eh... (Si volge, vede Pietro, è subito inquieta) Santo Cielo, cosa fate, là?

Pietro                            - Sono passato per la ripa e ho scavalcato la finestra...

Zina                               - E la sentinella?

Pietro                            - Ho colto l'attimo che s'è voltata... (En­tra passando sotto il copripassaggio).

Zina                               - Oh, ma cosa vi salta in mente. Adesso, quando vi vedranno...

Pietro                            - Non debbono vedermi. Debbo parlarti, Zina, molto seriamente...

Zina                               - Adesso?

Pietro                            - Non ho un secondo da perdere.

Zina                               - (a Pasqua) Torna in cucina, tu.

Pasqua                           - (seccata) Appena si devono dire due parole ti mandano subito via... Come se poi non si venisse a sapere tutto, dopo! (Sta raccogliendo le sue cose).

Zina                               - (calma) Sei ancora qui?

Pasqua                           - Vado... Vado! (Esce per il copripas­saggio).

Zina                               - (aspetta che Pasqua sia uscita, s'accosta al banco per accertarsene, torna verso Pietro) Siete d'un'imprudenza...

Pietro                            - Debbo parlare con... col... sì, insomma con lui, subito.

Zina                               - Bisogna dirlo all'aiutante di campo.

Pietro                            - Non bisogna dirlo a nessuno... Devi parlarne a lui, a quattr'occhi, dicendogli che ho chiesto di essere ricevuto per riferirgli una cosa della massima importanza...

Zina                               - (fissandolo, seria) Pietro... non m'esponete al rischio di...

Pietro                            - Nessun rischio.

Zina                               - Voglio dire... di fare una figura anti­patica?

Pietro                            - Mi conosci, no? Stai tranquilla che non gli chiederò soldi.

Zina                               - (seccata) Oh... Va bene, glie lo dirò ap­pena potrò parlargli da sola senza aiutante, atten­dente, segretario...

Pietro                            - Devi dirgli che mi mandi a chiamare, altrimenti l'aiutante vorrà sapere di che si tratta... (Riflette rapidamente) Del resto... C'è un foglietto e una busta?

Zina                               - (va dietro la scrivania, prende un foglio di carta e una busta) Ecco.

Pietro                            - (l'ha seguita, si ferma davanti alla scrivania, traccia alcuni segni sul foglio con la matita azzur­ra, piega il foglio, lo mette nella busta, la chiude, la porge a Zina) Digli che mi mandi a chiamare subito e che ho lasciato questo.

Zina                               - Va bene. (Ha preso la busta).

Pietro                            - Grazie... (La guarda, sorride, fa per ca­rezzarla con gesto paterno. Zina si ritrae, rigida. Pietro ritira la mano, senza sconcertarsi) Sei una brava figliola, Zina, intelligente... e coraggiosa.

Zina                               - (turbata, con voce un po' velata) Cosa... (Tossisce per schiarirsi la voce) Cosa volete dire?

Pietro                            - Lo sai! (Esce per il copripassaggio).

Zina                               - (forte) Pietro!

Pietro                            - (dall'altra parte del banco, con un dito sulle labbra) Ssst! (Esce dalla destra lasciando il copripassaggio aperto. Matteo entra dalla stanza di Valodia, viene avanti, vede Zina che gli volge le spalle, fa schioccare le dita. Zina sì volge dì scat­to, seccata, ha un breve gesto per interrogare. Mat­teo le fa cenno d'andarsene).

Zina                               - E perché?

Matteo                          - (basso) Sta venendo lui!

Zina                               - Avete paura che me lo mangi?

Matteo                          - (c. s.) Non vuol veder nessuno!

Zina                               - Se non vuol vedermi me lo dirà! (Valodia entra dalla sua stanza, veste l'uniforme senza berretto e armi; pantaloni neri, lunghi, con due sottili bande d'oro, giacca azzurro-chiaro, con bot­toni dorati, bavero dritto, chiusa al collo, ha una sigaretta mezza consumata in mano, guarda stu­pito Matteo che sta continuando ad accennare a Zina d'andarsene).

Valodia                         - Cosa c'è? (Matteo fa un mezzo giro di scatto, si pianta, facendo gli occhiacci a Zina) Ho chiesto: «Cosa c'è»!

Matteo                          - Le avevo ben detto d'andarsene!

Valodia                         - E perché?

Matteo                          - L'aiutante di campo...

Valodia                         - Non seccarmi con l'aiutante di campo. (A Zina, affettuosamente) Cosa vuoi, Zina, devi darmi quella lettera?

Zina                               - (ha sempre la lettera in mano e la guarda, come sorprendendosene) Sì... è di Pietro... de­sidera essere ricevuto... mandato a chiamare... (Por­ge la lettera a Valodia).

Valodia                         - (apre la busta, guarda il foglio, ha una sfumatura di sorpresa, si volge a Matteo) Rin­traccia subito Pietro e accompagnalo qui. (Matteo saluta, fa per uscire dalla destra).

Zina                               - Un momento... (Matteo si ferma. Valodia la guarda, attento. Zina a Valodia) Ho anch'io... desidero anch'io parlarvi, e visto che mi capita la fortuna di trovarvi solo... Matteo potrebbe chia­mare Pietro, ma aspettare che io abbia finito per... (Ha un gesto per concludere la frase, appare emo­zionata).

Valodia                         - Come vuoi, cara. (Congeda Matteo con un gesto. Matteo saluta, esce per la sinistra. Zina ha guardato uscire Matteo senza muoversi, poi si guarda le mani, le stringe, è turbata. Va­lodia gentile, affettuoso) Dunque.

Zina                               - Dunque... vi prego di scusarmi se...

Valodia                         - (c. s.) Ma che scusarti, parlami come m'hai parlato sempre... (Siede) Qui c'è sempre il vecchio Valodia...

Zina                               - Non so chiamarvi Valodia... e d'altra parte non mi vien il... titolo...

Valodia                         - Ma che titolo, non farmi arrabbiare...

Zina                               - Vi chiamerò «signor generale»...

Valodia                         - (infastidito) Chiamami come vuoi. Co­sa c'è?

Zina                               - Non so come mi giudicherete... anzi lo so... ma non m'importa... Debbo dirvi una cosa... orribile... (Si ferma).

Valodia                         - (allarmato) In nome del cielo, figliola, che guaio hai combinato?

Zina                               - Non è un guaio... ma è forse peggio... La cosa... orribile che debbo dirvi è che so... che ho sempre saputo di voi e... della mamma... (Abbassa la testa, umiliata ma con qualcosa di caparbio nell'umiliazione. Valodia è colpito, addolorato, ha un gesto di non convinta protesta) Oh... non mi erigo a giudice di nessuno...

Valodia                         - Non ne hai il diritto!

Zina                               - Anche se lo avessi non giudicherei.

Valodia                         - Tua madre...

Zina                               - (con tenerezza) Non la difendete, non ne ha bisogno... Ci ha amati appassionatamente, mio fratello e me... c'è stata madre, padre, sorella... Il babbo morì che io avevo appena un anno e voi.. siete stato il solo...

Valodia                         - La stai giudicando.

Zina                               - La sto giustificando... Anche nei panni d'un barcaiuolo voi... eravate voi... e lei l'ha sen­tito... Sono anch'io donna... abbastanza per capirlo.

Valodia                         - (con anima) E se ti dicessi che...

Zina                               - (interrompendo) Non dovete dirmi niente... voi...

Valodia                         - (irritandosi) Mi sai spiegare perché hai scelto proprio quest'argomento...

Zina                               - (subito) Per prepararvi... e prepararmi a qualcosa di ancora più grave...

Valodia                         - (c. s.) C'è qualcosa di più grave? Va bene, sentiamo.

Zina                               - (quasi  mistica) Sono iscritta alla Gioven­tù Sammarica...

Valodia                         - (sgradevolmente sorpreso) Ah... Tu così tranquilla e dolce...

Zina                               - Io così tranquilla e dolce.

Valodia                         - Una setta di violenti...

Zina                               - Di patrioti.

Valodia                         - (dopo brevissima pausa) Mh... ecco i giovani... Crediamo di tenerli, guidarli... offrir loro il dono della nostra esperienza e... (Ha un gesto di rassegnato sconforto) Oh... E cosa vuole la Gioven­tù Sammarica da me?

Zina                               - Che accettiate.

Valodia                         - Mh... Altrimenti la solita sventagliata di mitra... E cosa c'entra tua madre?

Zina                               - (si riprende le mani, senz'accorgersene accen­na a torcersele) Mia madre... è una donna del popolo...

Valodia                         - Ah... Mentre tu hai studiato... e pro­prio perché lei, col suo lavoro...

Zina                               - (interrompendo, ferita) Ho lavorato, la­voro anch'io ho le sue mani da operaia... (Mostra le mani).

Valodia                         - (con dolcezza) Va' avanti, cara, dimmi tutto.

Zina                               - Noi sappiamo... io so... che la mamma vi consiglierà... vi scongiurerà di rifiutare...

Valodia                         - (contento) Ah...

Zina                               - (con lieve commozione) Ha chiesto di ve­dervi, s'è preparato il suo abito da festa... Ho detto ch'è una donna del popolo perché è semplice... in­genua, elementare... non vede che il pericolo a cui andate incontro voi... «Voi», capite? E non vuol perdervi.

Valodia                         - (commosso) Mh... è molto bello, questo.

Zina                               - Ma non è giusto. Vi sono momenti in cui non è lecito seguire solo il proprio cuore... e avere il cuore pieno solo di piccole cose...

Valodia                         - (amaro, beffardo) Il dovere, eh?

Zina                               - Soprattutto.

Valodia                         - (c. s.) Bel concetto... Belle parole sul­la tua bocca, alla tua età...

Zina                               - Su tutte le bocche e a tutte le età.

Valodia                         - (alza le spalle) Ciascuno ha una sua vita intima, anche i cosiddetti eroi. Perché suppor­re che sempre e in ogni caso l'eroe debba sacrificare la sua vita intima alla vita pubblica... a quella vita in cui egli non è se stesso, ma quello che la gente vuole ch'egli sia?

Zina                               - Non è agevole rispondervi... d'altra parte non debbo, non sono stata delegata a discutere con voi; ci vuol altro... Debbo solo dirvi che la Gio­ventù Sammarica è in ginocchio davanti al gene­rale Zavatar chiedendogli d'accettare il compito che il destino gli riserba... (Si ferma, lo guarda, ansante) Scusatemi, sto declamando...

Valodia                         - No.

Zina                               - Sono convinta di ciò che ho detto...

Valodia                         - Non ne dubito.

Zina                               - (brusca) E non dirò altro.

Valodia                         - (si alza) E' meglio. (La guarda, ha un sorriso) Le minacce è meglio sottointenderle.

Zina                               - Che risposta debbo portare?

Valodia                         - Che farò quanto m'ordinerà la mia coscienza.

Zina                               - E'' vaga.

Valodia                         - Non per me. (Zina saluta rigidamente, si muove per uscire. Valodia intenerito) Zina! (Zina si ferma senza voltarsi. Valodia la raggiunge, le met­te le mani sulle spalle, la fa voltare) Non vuoi con­sentirmi di darti un bacio?

Zina                               - (commossa) Oh... (Offre il volto).

Valodia                         - (la bacia in fronte, poi) Perché piangi?

Zina                               - (ha trattenuto il pianto che ora erompe) Per la mamma! (Esce in fretta per il copripassaggio. Valodia ha guardato uscire Zina, ora scuote la testa come chi ha appreso d'una ragazzata, si vol­ta, si muove verso la scrivania per chiamare. Mat­teo entra dalla destra, si trae da parte, fermandosi; Pietro lo segue, rigirandosi il berretto in mano).

Valodia                         - (congedando Matteo con un gesto) Vie­ni, Pietro, buongiorno. (Matteo è uscito per la destra).

Pietro                            - (avanzando) Buongiorno... (E' più ri­spettoso, ma sorride, appare deciso) Forse è l'ultima volta che ci vediamo... Vorrei parlare come abbia­mo sempre parlato fra noi...

Valodia                         - (s'è seduto) ... e darmi del tu! (Alza le braccia) Finalmente una persona di criterio... Vieni, caro, siedi... (Prende la scatola delle sigaret­te) Vuoi fumare?

Pietro                            - Grazie, fumo il sigaro, lo sai.

Valodia                         - Non ne ho, ma... (Fa per alzarsi).

Pietro                            - ... e non fumo quando debbo parlare di cose... assai importanti...

Valodia                         - Mah!... speravo che almeno uno ve­nisse a parlarmi di cose senza importanza! (Gli fa di nuovo cenno di sedere).

Pietro                            - Non è più possibile. (Siede).

Valodia                         - Perché? Non ci sono più bottiglie di vino, partite a carte?

Pietro                            - (sorridendo) Donne?

Valodia                         - Anche! Squisita importanza di quel sesso meraviglioso...

Pietro                            - (amichevolmente pungente) Siamo già ai rimpianti?

Valodia                         - Nemmeno per sogno, sì rimpiange ciò che s'è perduto e io non ho perduto né perderò niente!

Pietro                            - (senza stupirsi) Ah... Rifiuti...

Valodia                         - Senz'altro!

Pietro                            - (pensoso) Mh... Olga, eh?

Valodia                         - Olga è uno degli elementi. C'è tutto un... Ma è inutile ch'io ti faccia un discorso poli­tico che t'annoierebbe e che forse non comprenderesti... Sì, voglio dire...

Pietro                            - So cosa vuoi dire. (Lo guarda) li vestito te lo sei messo, però.

Valodia                         - Ti confesserò umilmente che avevo bisogno d'un abito nuovo. Poi m'hanno richiamato in servizio... Un'improvvisata del Ministro della Difesa che ora spasima d'amore per me...

Pietro                            - Un colpo da maestro che t'ha immedia­tamente rivincolato alla disciplina militare.

Valodia                         - Fino a un certo punto, ho un'età...

Pietro                            - Non c'è limite d'età per il tuo grado,

Valodia                         - (guardando, attento) Conosci molto be­ne lo stato degli ufficiali...

Pietro                            - (subito) Sì... E ti spiegherò il perché... (Si ferma, riflette) Valodia... Scusa, Wladimiro non mi viene...

Valodia                         - D'altra parte Valodia ne è il vezzeg­giativo. Coraggio.

Pietro                            - Sai chi t'ha fatto prendere nel pilone?

Valodia                         - (temendo di comprendere, sorpreso) Eh?

Pietro                            - Io.

Valodia                         - (ha un sorriso beffardo, abbozza un gesto di fastidio) Che vita stupida! (Pietro ha cavato un documento e lo porge a Valodia. Valodia legge, alza le spalle) Andrà a finire che nei barcaiuoli del passaggio scopriremo tutti capi di Stato maggiore. (Gli restituisce il documento) Ecco perché cono­scevi l'emblema della squadraccia della scuola di guerra.

Pietro                            - Due triangoli sovrapposti... Te l'ho man­dato per farmi ricevere subito. Sono cinque anni che sorveglio la ripa per conto del Comando Su­premo Soveno.

Vajlodia                        - Cosa vuoi da me? Per quanto involon­tariamente sono di nuovo in servizio, e il mio do­vere sarebbe quello di farti immediatamente fermare...

Pietro                            - Mh... Daresti e ti prenderesti un muc­chio di fastidi inutili... Non ti consiglio nemmeno di denunziarmi, si sa che sono qui e cosa vi faccio...

Valodia                         - (guardingo, stupito) Siamo a questo punto?

Pietro                            - A questo punto, tutti d'accordo di qua e di là del fiume... I Governi, dico... pur conti­nuando a scambiarsi note ufficiali agrodolci o mi­nacciose... I due paesi non possono vivere separati...

Valodia                         - (amaro) Abbiamo fatto una guerra per giungere alla separazione...

Pietro                            - ...e bisogna tornare uniti evitando di farne un'altra... Quest'accordo sotterraneo, ma ef­fettivo, te sfuggito, perché tu hai fatto veramente il barcaiuolo, qui...

Valodia                         - Oh, in modo assoluto...

Pietro                            - Per tanto tempo t'ho creduto anch'io l'ex sergente maggiore Sinken... Poi una circostan­za m'ha messo in sospetto...

Valodia                         - Mh... il porto girevole...

Pietro                            - Il tuo modo di cucinare lo storione con i capperi... Ne sentii parlare entusiasticamente al Circolo di Bled qualche anno fa... Incominciai a sorvegliarti e riferii., ed ebbi l'ordine di vigilarti ma di lasciarti tranquillo...

Valodia                         - Guarda guarda... quando, questo?

Pietro                            - L'anno scorso.

Valodia                         - Cosicché è un anno che il tuo Mini­stro sa...

Pietro                            - Non so se proprio il Ministro, ne hanno cambiati tre in un anno... Ma le persone serie... sì, voglio dire responsabili, che effettivamente diri­gono la Difesa, è da un anno che sono informati della tua presenza qui.

Valodia                         - Cosa aspettavano?

Pietro                            - Che la situazione si chiarisse... che pre­cipitasse, forse... com'è poi precipitata...

Valodia                         - E allora hanno informato gli altri di qua... Rodolfo Guala ha visto il colpo, gli altri l'hanno fatto saltare... (Amaro, sdegnoso) Oh!

Pietro                            - II Governo Soveno formulerà un'ener­gica protesta...

Valodia                         - (esclamando) ...contro di me? Meno male, avrò un'ottima ragione per togliermi di mezzo!

Pietro                            - (pausa, si morde un po' le labbra, poi) Sono qui appunto a pregarti di non tener nessun conto della nostra protesta...

Valodia                         - (colpito, un po' anelante, come chi per un attimo ha sperato ed è quindi ricaduto nella disperazione) Ah...

Pietro                            - Se non t'avessimo voluto a capo della Bitinia oggi, della Sammarica fra un anno, ci sa­rebbe bastato infiltrare una pattuglia...

Valodia                         - (esasperato) Ma perché non dire, chia­ro e forte, « vogliamo unificarci, dobbiamo unifi­carci, Zavatar è il nostro uomo, abbiamo deciso di metterlo alla nostra testa»! In una situazione così bella, pulita, lucente, varrebbe la pena d'impe­gnarsi in pieno... Mi sentirei... sì, mi sentirei di rinunziare al caro piccolo mondo che mi sono ricostruito qui e ricominciare a battermi con tutte le forze! Perché non facciamo questo?

Pietro                            - Perché non si può.

Valodia                         - Se tutti sono favorevoli all'unificazio­ne, se tutti... scusa, ma è vero... hanno per me una simpatia profonda, un affetto...

Pietro                            - Perché ti credono morto... Sono favo­revoli all'unificazione perché credono che i Governi vi siano contrari...

Valodia                         - (amaro) Mh...

Pietro                            - Oggi son tutti per te perché pensano che non togli posto a nessuno... Ma sentirai, fra un giorno o due, la canèa degli esclusi, l'ignobile polemica patriottarda...

Valodia                         - E io dovrei esserne la causa? Di' ai tuoi che si cerchino un altro... Mandino la pattu­glia, se vogliono.

Pietro                            - Mh... sempre Olga, eh?

Valodia                         - (furente) E lascia in pace Olga: è la sola creatura onesta, ragionevole, umana che mi sia vicina!

Pietro                            - C'è un dovere...

Valodia                         - Non parlarmi di dovere, l'ho fatto fino all'ultimo e non ne ho che il disgusto e il ridicolo... Ci sono stati due onori militari, due patrie, e chi ne ha servita una ha tradito l'altra, siamo tutti tradi­tori, tu, io...

Pietro                            - Esagerazioni...

Valodia                         - Esagerazioni? Ci sono i cimiteri pieni di queste esagerazioni, siamo sprofondati nel san­gue e nel fango... E io, proprio io dovrei rico­minciare?

Pietro                            - Devi farlo, e lo farai.

Valodia                         - Non lo farò. Sentirai cosa risponderò alla Commissione assembleare... Già non credo che l'Assemblea...

Pietro                            - Sarai eletto all'unanimità... o quasi...

Valodia                         - Ah! Ci sarà qualcuno che avrà il co­raggio di dir no...

Pietro                            - Perché non avrà quello di dir sì... di votare secondo la propria coscienza, la propria con­vinzione... C'è chi è ancora avvelenato dalla pro­paganda... Ci sono quelli che hanno visto cadere un loro caro... Non si può pretendere che tutti di­mentichino... Ma d'altra parte il paese non è fatto solo di parenti di caduti e di vittime politiche... La vita deve ricominciare, è ricominciata... Io sono certo che tu farai ciò che devi perché il tuo grande cuore ti comanderà di farlo... Mi rifiuto di credere che le lagrimucce d'una popolana...

Valodia                         - (interrompendo, aspro) Basta, vattene!

Pietro                            - (lo fissa) Vedo quanto ti costa ciò che devi fare e che farai...

Valodia                         - T'ho detto d'andartene...

Pietro                            - Addio,

Valodia                         - (Gli tende la mano. Va­lodia volge altrove la testa. Pietro fa fronte, fa un saluto di perfetta ordinanza a Valodia, esegue il dietro-front ed esce senza più voltarsi).

Valodia                         - (alza le spalle, sdegnato) Lagrimucce di popolana... Oh! (Si muove nervoso verso la sini­stra. Matteo appare sulla destra dopo una pausa, si trae da parte, Valodia si volge al lieve rumore).

Olga                              - (entra dalla destra, è vestita in modo da sug­gerire l’idea di un costume nazionale: camicetta o blusa di tela bianca ricamata, gonna abbastanza lun­ga marron con ricami e nastri, uno scialle nero, frangiato, ampio, tale da poter coprire anche la testa, occorrendo. L'espressione di Olga è sorridente, felice, con una sfumatura di dolce malinconia. Si ferma un attimo sulla destra, guardando Valodia, ammirata, estatica. Matteo esce per la destra senza salutare).

Valodia                         - (con tenerezza) Olga! (Le va incontro con le braccia tese).

Olga                              - (avanza verso Valodia, è subito quasi nelle sue braccia, ma non sì stringe a lui per guardarlo) Come stai bene!

Valodia                         - Che cosa dovrei dire a te!

Olga                              - Ti ringrazio d'avermi ricevuta...

Valodia                         - Ma cosa dici!

Olga                              - ...con la tua bella divisa...

Valodia                         - Matteo...

Olga                              - Sì, m'ha detto che non volevi metterla e io ho insistito... Temevi di darmi soggezione"?

Valodia                         - (un po' sconcertato, più commosso) Che idee... Vieni, siedi. Stammi un po' vicina... Ci pensi ch'è la prima volta, in tanti anni, che possiamo stare insieme senza tremare che ci possa sor­prendere qualcuno. (L’ha fatta sedere e s'è seduto accanto a lei).

Olga                              - E proprio nel momento in cui dobbiamo separarci...

Valodia                         - (colpito) Separarci? (Fa per continuare a parlare) Ma...

Olga                              - (interrompendo) Oh, non dirmi nulla, non spiegare, non giustificarti... Quello che hai fatto è così grande, così bello e intelligente che... (Ha un singhiozzo, sorride, s'asciuga gli occhi con rapidis­simo gesto) Sono a momenti quattro anni da quel giorno che m'abbracciasti all'improvviso e io... Oh Valodia... tu non potrai mai sapere quanto ti sono grata per avermi fatta tanto felice in questo tempo ch'è volato come... non so... (Sorride di nuovo fra le lagrime) Occuparti di me mentre preparavi...

Valodia                         - (di nuovo colpito) Tu credi che io, in questi anni, abbia preparato.,.

Olga                              - E' così chiaro, oggi, così evidente... E pure, in quei brevi momenti in cui ti avevo tutto per me, sento che mi volevi bene, che non pensavi ai tuoi grandi progetti, che non m'avevi scelta solo perché avevo una casa sulla ripa...

Valodia                         - (con tristezza) Olga, io entrai da te per chiederti una fetta di pane...

Olga                              - E io te la diedi... e poi, guardandoti, ebbi come un fremito... pensai che dovevo trovar modo di trattenerti ancora un po'... e ti chiesi se avresti saputo riparare un mastello... Avevi negli occhi qualcosa... (Abbozza un gesto) Non so dirti.

Valodia                         - (c. s.) Avevo una terribile stanchezza.

Olga                              - Quello si capisce... Ma anche quel fuoco, quel... Tutto quello che finalmente t'ha fatto ciò che sei...

Valodia                         - (disperato) Che cosar

Olga                              - (affettuosa, accennando una carezza e subito ritirando la mano, come chi si rende conto d'andare oltre il limite) Oh Valodia, come puoi dir que­sto... Non senti la radio?

Valodia                         - (quasi rabbioso) Me n'hanno portata una da campo, ieri, l'ho presa a calci dopo un quarto d'ora...

Olga                              - Stanno tutti davanti all'appalto che ha messo fuori l'altoparlante... Qui tu stai un po' co­me... in prigione...

Valodia                         - (amaro) Proprio.

Olga                              - Di minuto in minuto danno le notizie, alla radio... Sono venuti i giornalisti...

Valodia                         - Hai raccontato la storia della mastella?

Olga                              - Me l'hanno fatta dire venti volte! Poi l'ho sentita alla radio... E’ diventata un'altra cosa...

Valodia                         - Ah, non ne dubito...

Olga                              - ...più bella, più... E tutte le altre notizie sui tuoi movimenti segreti... sui tuoi incontri con gli amici fedeli... (Ammirata) Quanti ne hai!

Valodia                         - (come volendo dire « figurati quanti si son fatti avanti ») Eh!

Olga                              - E tutto... Ha detto alla radio il giorna­lista che ha parlato con me... tutto svolto con una abilità e un... (si ricorda) tempismo... sì, tempismo sopraffino... Io non me ne sono mai accorta.

Valodia                         - Nemmeno io.

Olga                              - (gli dà un'affettuosa, discreta, quasi rispettosa gomitata) Sei sempre lo stesso! E sarai la fortuna del nostro paese...

Valodia                         - Mh... tu credi...

Olga                              - Ne sono certa come... sono certa che oggi è oggi, guarda.

Valodia                         - Come fai a supporre che io abbia la capacità, il potere di...

Olga                              - E’ come il maestro che entra nell'aula o il padre che torna a casa... Un attimo prima tutti facevano chiasso, al suo arrivo tutti parlano a bassa voce e vanno in punta di piedi... e tutto procede bene e presto...

Valodia                         - Per paura...

Olga                              - Per fiducia... La gente, in fondo, « vuole » obbedire... Ma vuole sapere che chi comanda sap­pia comandare. Se ne è convinta, tutto diventa più facile... Il popolo è come un bambino...

Valodia                         - (amaro, deluso) Sì, che massacra il padre!

Olga                              - (sorridendo, come una madre che spiega un concetto difficile al figlioletto) Capita... quando non ci s'intende, quando la paura acceca tutti... Io stessa non ho votato per il Governo Rivoluzio­nario? Credevo... mi parve giusto... E avevo te in casa, votasti anche tu... Ho detto anche questo ai giornalisti...

Valodia                         - Brava, non hai dimenticato niente...

Olga                              - Chi sa quante cose, sono sconvolta, ho la testa che... oh!

Valodia                         - Non hai pensato che questo maestro... che questo padre del popolo, possa non dimenticare d'essere sfuggito per miracolo al massacro, d'aver sofferto per l'umiliazione, l'ingratitudine?

Olga                              - (subito) E' la prima cosa a cui ho pensato e ho subito sentito una tenerezza... Sì, un'altra, nuova, diversa... per te, che sei passato sopra a tutto questo... I figli sono ingrati ma i genitori li amano lo stesso... Se hanno bisogno li aiutano, se cadono li rialzano...

Valodia                         - Cosicché tu pensi che io... debba ac­cettare?

Olga                              - E come potresti dir no quando tutti gri­dano, tutti sperano... Il paese sembra impazzito...

Valodia                         - Mh...

Olga                              - (con un lampo di collera negli occhi) E quelli dell'altra riva... (accenna verso destra) do­vranno cedere, piegarsi... Venire a chiederti in gi­nocchio di far loro « l'onore» di riprenderli... Lo di­cono tutti!

Valodia                         - (scuote la testa, ancora amaro, ma già incominciando a rassegnarsi all'idea di non poter sfuggire al proprio destino) E tu... cosa dici, tu?

Olga                              - (con animo, profondamente commossa) Che è bello...

Valodia                         - (intenerito) Che cosa?.

Olga                              - Tutto... Vederti passare fra gli ussari del­la guardia... con l'elmo, le piume, nell'uniforme che ti sta tanto bene... e le musiche, i comandi, tutte quelle sciabole... E' bello, guarda, è bello!

Valodia                         - (scuote la testa) Mh!

Olga                              - E l'inno... Riudremo l'inno... Quando lo suonano mi sento il cuore che... (Gestisce con la sinistra, come se avesse un cuore palpitante in mano).

Valodia                         - (le prende la sinistra con le due mani) Olga... (Ubaldo entra dalla destra col solito passo, si ferma, saluta. Matteo lo segue, si ferma. Olga si alza).

Ubaldo                          - Sua Eccellenza il Presidente del Con­siglio con la Commissione Assembleare. (Valodia si alza).

Olga                              - (commossa) Scappo... (Matteo s'è avvici­nato in punta di piedi e si porterà vicino a Olga. Olga prende la mano di Valodia, poi, con voce rotta). Voglio essere la prima a baciarti la mano... (Quasi s'inginocchia baciandogli la mano. Valodia la rialza, la siringe al petto con impeto. Olga corrisponde all'abbraccio che dura un attimo, poi si libera, sorridendo, piangendo, guardando Valodia negli occhi) Viva... Wladimiro... (Va­lodia la guarda con gli occhi sbarrati, frenando a stento la sua commozione. Olga a voce più bassa, commossa, vibrante) Come stai bene così, come sei bello... Sembri... una statua...

Valodia                         - (con malinconia) La statua di me stesso...

Olga                              - (ha un singhiozzo) Addio, Valodia...

Valodia                         - (c. s. più commosso) Addio, Olga. (Olga va alla sinistra coprendosi il capo, avvolgen­dosi nello scialle. Matteo l'accompagna, mettendo­le con affettuoso rispetto un braccio sulle spalle ed esce con lei dalla sinistra. Valodia fa cenno a Ubaldo d'introdurre le persone annunziate; Ubaldo saluta, esce dalla destra. Valodia rimane ancora un attimo affranto, poi si rialza, si erge, involontaria­mente statuario, aspettando).

FINE