Romanzo condominiale

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Romanzo condominiale

Romanzo condominiale

due atti

di

Paolo Cappelloni

Personaggi

Virginia

Gabriele

TUTELA SIAE

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(È disponibile il CD con gli interventi musicali e gli effetti sonori)

Il dialogo si svolge da due finestre attigue di un condominio la cui facciata è posta appena prima della linea di chiusura del sipario ed occuperà l’intero boccascena, coprendo così tutta la restante parte del palcoscenico.

Primo atto

All’aprirsi del sipario si sentiranno le note di una musica sovrapposte al ticchettio di una macchina per scrivere. Nella finestra di sinistra (aperta) si vedrà Gabriele intento a battere a macchina. Quando la musica si attenua fino a smettere completamente rimarrà solo il ticchettio della macchina per scrivere. Dopo pochi istanti si sentirà lo squillo di un telefono; nella finestra di destra (chiusa) apparirà Virginia  - con un livido allo zigomo sinistro - che si fermerà un solo istante, per sentire il ticchettio proveniente dal vicino appartamento, poi solleverà il telefono portatile per rispondere.

Durante il monologo di Virginia, Gabriele continuerà a battere a macchina soffermandosi ogni tanto per riflettere o per rileggere ciò che ha appena scritto sorseggiando una tazzina di caffè. Per una o due volte si ferma anche perché, probabilmente, sente qualche parola pronunciata da Virginia.

Virginia -         (Al telefono) Pronto… Ciao Esterì. Eccerto che so’ ccontenta de la tu’ telefonata! Che fai de bello?... Ah! Hai fatto bbene. Dopo tutto quello ch’hai passato sur lavoro ‘na settimana de ferie pe’ Pasqua te farà ripijà un po’ er fiato!... Sì, sì, so’ ccontenta pe’ te!... No, sto qui sola!... No, nun te preoccupà, Este… No, ho capito, sta’ tranquilla… Ma sì, fai bene, brava, così c’avrai un po’ de distrazzione. Sì… e dove te n’andrai?... Un “risòrt”…? Eh beh, pe’ Pasqua… me pare giusto! E che sarebbe, un luogo religioso?... Ah! Praticamente un arbergo co’ tutte le comodità...! Ah, ecco! Bello!... Pure la sauna?? Bello davéro! So’ proprio contenta pe’ tte!... Eh sì… magari! Ma nun pòzzo propio!!... C’ho da fa’ drénto casa, poi sai, Giggetto… Vabbè è passato tanto de quer tempo! L’unica vòrta che sso’ riuscita a annà da quarche parte co’ mi’ marito è stato… Eh no, nun ricordi che er viaggio de nozze l’avemo passato a lo spedale perché mi’ marito aveva bevuto tanto, quer giorno, che j aveva pijato ‘na depressione respiratoria? Ho passato la prima notte de nozze a sséde su una portroncina co’ lui attaccato a la bombola de l’ossigeno, porello! Pensa te…! Dopo era ormai passato er momento romantico e così nun sémo più annati da nisuna parte!... Eggià… No, te dicevo che l’unica vòrta che so’ riuscita a annà da quarche parte è stato grazzie a mi’ marito quanno è dovuto annà a lavorà pe’ quindici giorni in un cantiere de Ostia… Sì… Eh, gnènte: lui annava a lavorà, porello, e io me ne restavo ne la camera pijata in affitto, e che potevo fa’? (Ripensando a quella sistemazione)… Però stavo pròpio a du’ passi dar mare!… No, quello nun se vedeva perché ce stava ‘na fabbrica davanti… Eh, sì, ce vo’ pacènza, ce lo sai, lui lavora pe’ tutt e ddue!... Io? Eh, come deve annà? Co’ li soliti mar de testa mia che m’ammazzeno, e ora c’ho pure un dolore a la schina che me sta a dà de le fitte che parteno da l’osso der collo e m’ariveno giù giù fin all’ossosagro! Nun me fa’ parlà va’!... No, no, ‘sti dolori m’ariveno accosì… sì, po’ esse pe’ vvia de l’umidità!... No, no, sta’ tranquilla, Esterì, passerà puro questo. Tu bada pure a annà a riposatte là, che poi m’aricconterai tutto!... Vabbe’, vabbè’… Sì, me farai ‘na telefonata… Sì, ciao Esterì! (Chiude e si ferma un attimo sopra pensiero, poi inclinerà leggermente il capo verso la parete che divide il suo appartamento da quello di Gabriele come per assicurarsi che ci sia ancora il ticchettio, quindi apre la finestra e si affaccia per respirare un po’ d’aria fresca. Sotto, in strada, vede una conoscente che la vede alla finestra e lei è costretta a rispondere al saluto, coprendosi goffamente il livido con la mano) Oh, Ciao Romì… No, io so’ già sortita n’oretta fa… Cetròli e melanzane? Ho ccapito ma nun so’ ancora de staggione… E vabbè, si t’era venuta vòja hai fatto bbene a pijalli… Sì, se capita famo du’ parole… mo’ nun te lo so dì de preciso… Vabbè, ciao Romì! (Torna a guardare per strada poi, con cautela, si sporge leggermente per poter vedere dentro la finestra di Gabriele ma senza riuscirci completamente. Mentre sta per richiudere la finestra e rientrare, Gabriele si alza e si affaccia per prendere una boccata d’aria; a questo punto Virginia si blocca, titubante, non sapendo più se rientrare o restare alla finestra. Gabriele guarda verso di lei - che finge puerilmente di non averlo visto - e la saluta)

Gabriele -        Buongiorno.

Virginia -         … Bongiorno.

Gabriele -        È la prima volta che la vedo affacciarsi alla finestra.

Virginia -         (Ritrosa) Sì, nun m’affaccio guasi mai. (Sta per richiudere la finestra) Bongiorno.

Gabriele -        (Continua costringendola a restare) Io, invece mi affaccio spesso!

Virginia -         (Ritrosa) Me fa piacere. (Sta per richiudere la finestra) Bongiorno.

Gabriele -        (Incalza) E sa perché?

Virginia -         (Ritrosa, coprendosi, senza successo, il livido con la mano) Perché?

Gabriele -        Perché ogni tanto sento il bisogno di respirare a pieni polmoni, di fare uscire questa mia stanza nell’aria della città.

Virginia -         (Colpita dall’espressione di Gabriele) Come sarebbe a ddì?

Gabriele -        Prego?

Virginia -         No, è che lei ha detto che vvò fa’ risortì la stanza nell’aria de la città! Ma sarà l’aria de la cità che entra drénto la stanza sua, no la stanza che vvà fòra.

Gabriele -        Oh, mi scusi! È la mia deformazione professionale che mi ha fatto involontariamente usare una figura grammaticale: una specie di ipallage…

Virginia -         (Che ha capito tutt’altra cosa) Eh, mo’... un’ipallage…! Nun ho detto che è ‘na cosa noiosa!

Gabriele -        (Guardando il panorama) In qualsiasi stagione è gradevole affacciarsi ogni tanto all’aria aperta ma in primavera… ah! in primavera è tutta un’altra cosa! Non crede?

Virginia -         (Ritrosa) Sì.

Gabriele -        Ma, scusi la mia indiscrezione, cosa l’ha spinta, oggi, ad aprire questa finestra e ad affacciarcisi?

Virginia -         Gnènte, solo er fatto che so’ quattro giorni de fila che c’ho un mar de testa che me rintrona er ciarvello.

Gabriele -        Mi dispiace molto! E le capita spesso?

Virginia -         (C.s.) Sì, abbastanza spesso.

Gabriele -        Ah, allora non dipende da quel piccolo trauma che ha sullo zigomo.

Virginia -         (Coprendolo istintivamente con la mano) No, no… questo è successo perché so’ annata a intruppà contro l’armadio, so’ pròpio sbadata.

Gabriele -        Beh, le auguro che per il mal di testa le giovi respirare dell’aria fresca.

Virginia -         (C.s.) Sì, speramo che me faccia bbène. Mo’ la saluto. (Sta per richiudere la finestra)

Gabriele -        (Incalza) Certo sarebbe stato molto meglio se qui sotto e davanti a noi ci fossero stati alberi, prati, fiori e un po’ meno smog. Sarebbe stato una mano santa sia per i nostri occhi che per la sua emicrania.

Virginia -         (Fraintendendo) No, no, nun è un fatto de micragna, è che ch’ho pròpio un gran mar de testa.

Gabriele -        Capisco. Accipicchia, mi scusi tanto ma non mi sono ancora presentato: mi chiamo Gabriele Spaziali.

Virginia -         Costretti Virginia.

Gabriele -        Virginia… Ma Virginia è un nome bellissimo!!

Virginia -         (Ritrosa) Grazzie.

Gabriele -        Sa che Virginia è la protagonista di un’opera di Vittorio Alfieri?

Virginia -         Adesso come adesso nun ce l’ho presente…

Gabriele -        Ah! Alfieri era un grande scrittore italiano. Sa…? La storia racconta che Virginia, figlia di un soldato, è promessa sposa ad un certo Icilio, ma Appio Claudio, un potente politico romano invaghitosi di questa bella ragazza, la vuole per sé, per renderla schiava. Si figuri come questa sua assurda pretesa scateni l’indignazione di tutto il popolo…

Virginia -         (Colpita dalla storia) Te credo! Ammazza…! Se invaghisce de ‘na pischella e la vòle fa’ diventà ‘na schiava?

Gabriele -        Già, pensi che razza di uomo! Eh?! E nonostante le numerose proteste, quel prepotente uomo politico continua a volerla per sé e così, per sfuggire a questo crudele destino, Virginia preferisce la morte e si fa uccidere dal padre.

Virginia -         (C.s.) Mammetta mia che bbrutta fine!

Gabriele -        Eh sì, una volta c’era un concetto sbagliato dell’onore e il più delle volte le vittime erano donne: una pratica dovuta ad una tradizione sbagliata e che purtroppo si è protratta fino a pochi anni fa. Non crede?

Virginia -         (Evasiva) Eh sì.

Gabriele -        Già. (Quasi tra sé) Comunque è curioso.

Virginia -         Che?

Gabriele -        Voglio dire: io abito qui da quasi un anno ma ci saremo incrociati per le scale sì e no due volte… vero? (Guarda Virginia che non risponde) Dipenderà dal fatto che esco pochissimo di casa per via del mio lavoro; pensi che non conosco nemmeno gli altri coinquilini!

Virginia -         S’è pe’ questo pure io nun esco guasi mai. Giusto p’annà a fa’ ‘n pochetto de spesa.

Gabriele -        È casalinga?

Virginia -         Sì, tanto.

Gabriele -        Capisco. E non fa nient’altro?

Virginia -         Eh no. Mo’ è mèjo che m’aritorno drénto…

Gabriele -        Resti ancora un po’, la prego! Come sarebbe a dire che non fa nient’altro?

Virginia -         Eh, che vòle che faccio? Io nun so fa’ gnènte! Preparo un pochetto de magnà, rissètto casa… e bbasta.

Gabriele -        E suo marito? Se posso…?

Virginia -         No, mi’ marito, invece, lui lavora tanto, porèllo! È sempre ar cantiere e è lui che porta avanti la casa!

Gabriele -        È un muratore?

Virginia -         Sì.

Gabriele -        Pesante…!

Virginia -         (Compassionevole) Sì, sì, tanto pesante! Ma si nun c’era lui… (Pausa)

Gabriele -        Lei è nata qui?

Virginia -         Sì, cioè nun so’ nata pròpio in ‘sta casa ma so’ pròpio de Roma; so’ nata verso San Giovanni.

Gabriele -        Capisco.

Virginia -         C’ha presente la Basilica de San Giovanni a Porta Latina?

Gabriele -        Sì, certo.

Virginia -         Pròpio là ddietro.

Gabriele -        Io invece sono di Modena ma una mia vecchia zia aveva questo appartamento e me lo sono ritrovato in eredità, così ho deciso così di trasferirmici per lavorare.

Virginia -         (Guardando davanti a sé, come se stesse parlando a se stessa) Sarebbe a ddì…?

Gabriele -        Prego?

Virginia -         (C.s.) Vòjo dì: perché, lei che mestiere fa?

Gabriele -        Sono uno scrittore come l’Alfieri… (Ride) ma molto meno bravo!

Virginia -         (Incuriosita) Ho capito... ma scrive pròpio libbri?

Gabriele -        Certo.

Virginia -         Ecco perché sento sempre…

Gabriele -        (Interrompendola)… il ticchettio della mia macchina per scrivere… spero che non le sia di disturbo!

Virginia -         No, no! Anzi, spesso me fa compagnia. È un po’ come s’avessi drénto casa un uccellino co’ la raganella.

Gabriele -        Che bella espressione! Sa che lei ha usato una similitudine?

Virginia -         Quanno?

Gabriele -        Proprio ora! Ha paragonato il ticchettio della mia macchina al cinguettio di un uccellino ed è un’immagine… poetica!

Virginia -         Ma guarda te…! Grazzie!

Gabriele -        Sono io che la ringrazio per questa gentile immagine!

Virginia -         E… ha scritto morti libbri?

Gabriele -        Non moltissimi ma hanno avuto sempre un discreto successo.

Virginia -         Bello. Insomma dopo c’ha scritto vende li libbri sui…

Gabriele -        Certo! Cioè: non sono proprio io a venderli, si possono acquistare nelle librerie.

Virginia -         Ah, ecco. Perciò s’annassi a la libbreria a domandà un libbro de…

Gabriele -        Gabriele Spaziali.

Virginia -         … de Gabriele Spaziali, m’o darebbero?

Gabriele -        Sicuramente!

Virginia -         An vedi…. (Pausa)

Gabriele -        Sicché lei sta sempre in casa.

Virginia -         (Si appoggia la mano sulla fronte per il dolore alla testa) Eh, ‘ndo vòle che vado? Er compito mio è quello de sta qqua.

Gabriele -        Mah, io invece penso che le farebbe bene uscire ogni tanto. Se andasse a passeggiare un po’ all’aria aperta probabilmente non avrebbe quei gran mal di testa.

Virginia -         No, no, ce mancherebbe! Poi mi’ marito nun sarebbe neppuro tanto contento…

Gabriele -        Accidenti! E perché?? È forse geloso?

Virginia -         … (Ritrosa, evitando il suo sguardo) Un tantinello… (Quasi tra sé) Perché nun è bello che lui fatica e io me ne vado pe’ li fatti mia. (Cambia volutamente discorso) E mo’… sta a scrive un libbro nòvo?

Gabriele -        Eh sì. (Sorridendo) Se non scrivo non mangio!

Virginia -         È ggiusto. (Curiosa) E… se pòzzo… de che se tratta?

Gabriele -        Il libro che sto scrivendo? È… è una storia d’amore, ambientata in una piccola città di provincia nei primi del novecento.

Virginia -         (Interessata al racconto) Tant’anni fa!

Gabriele -        (Inizia il racconto portandolo avanti in maniera sempre più coinvolgente) Già. È la storia di… Olga, una ragazza che si ribella alle convenzioni di una società di provincia e che pur amando il suo futuro sposo vede in lui un ragazzo troppo chiuso, come dire… troppo legato a certi conformismi, allora fa uno sforzo di volontà e decide di trasferirsi a Firenze per conoscere cosa c’è oltre quel suo piccolo mondo e sperimentare la vita e i costumi di una grande città.

Virginia -         Me scusi l’ignoranteria ma… che sarebbero ‘sti conformismi?

Gabriele -        Il conformismo è la tendenza ad avere le stesse opinioni e comportamenti della società in cui si vive, di solito per paura di essere esclusi dal proprio ambiente.

Virginia -         (C.s.) Ah ecco. E accosì lei s’arribella…

Gabriele -        Proprio così!

Virginia -         (Sempre più incuriosita) È ‘na ragazza coraggiosa!

Gabriele -        Sì, coraggiosa, considerando anche i tempi in cui vive. Al giorno d’oggi sarebbe diverso, non crede?

Virginia -         (C.s.) Sì, sì ma… a Firenze trova da ccampà?

Gabriele -        Beh, a Firenze… a Firenze ha la fortuna di venire assunta come cameriera in uno dei caffè più in voga a quell’epoca, un caffè letterario!

Virginia -         Me scusi ancora: che è un caffè letterario?

Gabriele -        Non si preoccupi. Un caffè letterario è un luogo in cui si ritrovano letterati e artisti che si scambiano idee, in cui si parla insomma di cultura davanti ad un caffè, appunto, o ad un bicchiere di vino.

Virginia -         Inzòmma n’ostarìa pe’ professori.

Gabriele -        (Sorridendo) Sì, più o meno.

Virginia -         E lì ch’accade?

Gabriele -        Accade che… che in quell’ambiente ha occasione di conoscere tante persone che le danno l’opportunità di frequentare sofisticati ambienti artistici che non aveva mai conosciuto in vita sua.

Virginia -         Ma lei che c’aricapezzava in un ambiente accosì… sofistico?

Gabriele -        Ha ragione, signora Virginia, infatti all’inizio si trova decisamente in difficoltà, in mezzo a tutti quei gran cervelli, ma con la sua intelligenza e con un po’ di studio, che, tra parentesi, non le era mai stato concesso, riesce a migliorare la sua cultura e ampliare i suoi orizzonti.

Virginia -         E… quer povero regazzo che doveva sposalla…?

Gabriele -        Beh, Giuliano, così si chiama, lì per lì resta sconcertato dalla decisione di Olga! Capirà: si parlava già di matrimonio!

Virginia -         Ce credo!

Gabriele -        Inoltre, in un ambiente tradizionalista come quello in cui viveva immagini quanto si sentiva deriso da tutti per essersi fatto lasciare dalla futura sposa; sa, a quei tempi non era una cosa bella per un uomo, mi capisce…

Virginia -         Ah sì, nun è bbello pe’ gnènte neppuro oggi, pe’ ‘n omo.

Gabriele -        (La guarda) Già, comunque i due restano sempre in contatto perché si scrivono quasi ogni giorno e lei gli racconta tutto quello che prova e impara in quel mondo così diverso e affascinante.

Virginia -         (Sempre più presa dalla vicenda) E lui?

Gabriele -        Lui… ma è veramente interessata al mio romanzo?

Virginia -         (Torna d una certa ritrosia) Beh, ha cominciato a riccontamme de ‘sta ciumaca e de quer povero regazzo… e m’ha pijato un tantinello de curiosità.

Gabriele -        Ma è normale, sa? La curiosità dovrebbe essere il primo stimolo che una storia provoca al suo lettore. (Pausa)

Virginia -         Allora…?

Gabriele -        Allora cosa?

Virginia -         Ma lui, a la fine, come l’ha pijata?

Gabriele -        (Sorride) Ah! Dunque… nonostante la gelosia che lo brucia, cerca di comprendere tutto quello che Olga gli scrive nei suoi resoconti quasi quotidiani e spera solo che torni presto.

Virginia -         Ah, e va a finì accosì?

Gabriele -        (Ride) No! Siamo solo a metà, della storia!

Virginia -         Certo che lei… ne ha de fantasia! O c’ha mmesso puro quarche, come se dice…?

Gabriele -        … Qualche esperienza personale? Beh, esperienze che riguardino direttamente la storia, no, ma ogni scrittore mette qualcosa di suo in ciò che scrive, magari solo la scelta di una parola invece di un’altra; ma le esperienze contano, per uno scrittore, proprio perché scrive storie di vita!

Virginia -         Certo che quanno lei parla…

Gabriele -        Sì…?

Virginia -         Inzòmma: me pare de sta’ a lègge ‘n libbro!

Gabriele -        (Sorride) Spero che sia un complimento!

Virginia -         Sì, sì. (Squilla il telefono di Virginia) Mamma mia! Me scusi! (Rientra, chiude la finestra e risponde al telefono. Gabriele, dopo aver osservato la scena, torna al suo lavoro lasciando però la finestra aperta.) Pronto!... Giggetto! Sei te, amò?... No, no! È che stavo distante dar telefono; m’ero affacciata ‘n attimo a la finestra pe’ pijà ‘na boccata d’aria, tutto qqua… Sì, so’ uscita fòra sortanto pe’ comprà quarcosa pe’ stasera… Mo’ volevo rinnaccià quarche tuo pedalino eppoi… Sì, vabbè, apprèsso vado a sistemà le cose ch’hai lasciato in cantina… Va bene, teso’… Ma te non stai a lavorà?... No, gnènte, dicevo così pe’ ddì… Vabbè… t’aspetto qua però te… nun béve tanto… sì, sì, no… scusa Giggetto! Nun te volevo… Scusa… ciao Giggetto, se vedémo stasera! (Chiude, si ferma un istante, porge l’orecchio verso l’appartamento di Gabriele ma non sente alcun ticchettio; quindi va per riaprire la finestra ma poi si ferma; da dietro al vetro cerca di capire se Gabriele è ancora affacciato ma non ci riesce, allora apre lentamente la finestra e sbircia verso quella di Gabriele, la apre ancora un po’, si sporge leggermente e vede che lui non c’è, mentre si trova in quella posizione Gabriele si alza di scatto, come innervosito per qualcosa, e torna alla finestra sorprendendo Virginia in quella posizione precaria e che appena lo vede torna velocemente a ricomporsi)

Gabriele -        Mi scusi ma mi sono un po’ innervosito col mio lavoro.

Virginia -         (Imbarazzata) No, no, scusi lei. Prima so’ ccorsa via come ‘na ladra ma era mi’ marito che me chiamava dar… (Volutamente non termina la frase e cambia argomento) inzòmma: mo’ volevo sortanto véde… cioè nun sapevo se…

Gabriele -        … se ero tornato al lavoro.

Virginia -         Sì.

Gabriele -        Stavo rileggendo l’ultimo capoverso che ho scritto ma proprio non mi convince! Ecco perché mi sono innervosito! È che non riesco a dargli… colore, mi capisce?

Virginia -         No. Je dimanno scusa ma… si lei è ‘no scrittore de libbri che bisogno c’è de pitturà?

Gabriele -        Ooh! Ma le parole hanno un colore, signora Virginia! Colori che non si vedono ma si avvertono: una parola bella, adatta, usata al momento giusto può, per esempio, colorare una giornata grigia, non crede?

Virginia -         Sì...

Gabriele -        Pensi: ci sono scrittori, non io, purtroppo, che riescono addirittura a far sentire gli odori!

Virginia -         E com’è possibbile?

Gabriele -        Facendo partecipare talmente a fondo il lettore alle loro fantastiche descrizioni che riescono a far affiorare alla mente e all’olfatto perfino gli aromi descritti, cosicché chi legge non vede più il libro davanti a sé ma entra a far parte della storia e si immerge completamente in quell’ambiente come se fosse in un’altra dimensione, in un altra realtà!

Virginia -         (Rapita) Bello…

Gabriele -        Mah! Lascerò per un po’ il lavoro e chissà che poi, tornandoci sopra, non riesca ad aggiungere una buona pennellata a ciò che ho scritto!

Virginia -         Eppoi sta ancora sortanto a metà… der riccónto! Chissà quante mano ancora je dovrà da’!

Gabriele -        (Ride) Sì, è vero! Ma dove ero rimasto?

Virginia -         Che lui, co’ tutto ch’è ggeloso, cerca de capì tutto quér che Olga je scrive ne li sui…

Gabriele -        … nei suoi resoconti quasi quotidiani, sì, certo, e infine Giuliano riesce ad accettare la decisione di lei ma vorrebbe che durasse il meno possibile per poterla finalmente sposare.

Virginia -         (Schiva) Ma lei a Firenze…?

Gabriele -        Cosa?

Virginia -         Vòjo dì: ma lei, a Firenze, tramèzzo tutti quell’artisti e letterati…

Gabriele -        Ah, mi vuol chiedere se s’innamora di qualcuno?

Virginia -         (C.s.) Eh.

Gabriele -        Beh, in effetti Olga è una bella ragazza e sono in parecchi a corteggiarla ma lei ama ancora Giuliano e per ora riesce a vincere le numerose tentazioni.

Virginia -         Ma resta ancora a Firenze…

Gabriele -        Certamente. Perché resta comunque affascinata da quel mondo e sente che le sarebbe impossibile tornare nel suo piccolo quartiere fra gente ignorante e antiquata.

Virginia -         Ma allora… come se risolve ‘sta faccènna?

Gabriele -        Tutto si può risolvere, cara Virginia! Basta seguire con convinzione la strada che più si adatta alle proprie aspirazioni per vivere al meglio la propria esistenza. Mi capisce?

Virginia -         Allora… va a finì bbene?

Gabriele -        Eh, eh! Lei ha troppa fretta! Vorrebbe saltare le pagine per giungere subito alla conclusione della storia ma sappia che ancora non sono arrivato nemmeno io a quel punto…

Virginia -         Ah ggià, lo sta ancora a scrive!

Gabriele -        Già… Anzi, perché non mi aiuta ad andare avanti?

Virginia -         Io?? Mamma mia! No! Che sta a ddì??

Gabriele -        Perché no? Mi farebbe molto piacere!

Virginia -         Ma io so’ ignorante e ciucca! Nun saprebbe manco indóve métte le mano!

Gabriele -        Credo invece che lei sarebbe capacissima di darmi una mano, di vedere coi suoi occhi quella situazione e aiutarla nel suo svolgersi. Ci provi, per favore.

Virginia -         (Ritrosa) No, no! Io nun so’ bbòna de gnènte!

Gabriele -        Non dica così, signora Virginia! Guardi: sono arrivato al momento in cui Olga, quando è libera dal lavoro, ama girare per le strade di Firenze e ne viene quasi rapita. Lei è mai stata a Firenze?

Virginia -         No, mai.

Gabriele -        Allora aspetti, le prendo un libro con delle bellissime foto così potrà meglio descrivere ciò che vedeva Olga. (Esce un momento poi torna con un libro che le porge) Ecco, lo guardi.

Virginia -         (Aprendo il libro) Ma io nun so manco parlà l’italiano!

Gabriele -        Non si preoccupi: lei mi darà le sensazioni e io le tradurrò con parole mie.

Virginia -         (Guarda le foto del libro) Qua è tutto Firenze?

Gabriele -        Sì, le piace?

Virginia -         Bello. Me pare ‘na cità… quele de le fiabe!

Gabriele -        Vada avanti.

Virginia -         ‘Sto ponte qua co’ sopra le case, per essémpio…

Gabriele -        … Ponte Vecchio.

Virginia -         Nun so s’è vecchio ma co’ tutte quele finestre piene de gioielli me pare ‘na gran dama che sta annanno a teatro!

Gabriele -        Che bella immagine! Ora segua anche le didascalie e immagini di essere Olga che passeggia per quelle strade!

Virginia -         Che sarebbero le… odalische?

Gabriele -        (Sorridendo) Non le “odalische”… le “didascalie”: quelle scritte sotto le foto che ne spiegano il contenuto.

Virginia -         Ah, e me pònno aiutà?

Gabriele -        Certamente! Guardi una prima foto e ci si immerga. Ora lei è… Olga!

Virginia -         (Come persa nell’immaginazione mentre Gabriele prende appunti su un taccuino) Sento… sento li sérci sotto li piedi mentre cammino pe’ ‘na strada antica piena de botteghe de fabbri, de carzolari, de cordari e a un certo punto… (Volta pagina) m’aritrovo drénto ‘na gran piazza lastricata, arzo l’occhi e vedo un palazzo co’ de li merli e un campanile che però nun è ‘na chiesa…

Gabriele -        È Palazzo Vecchio.

Virginia -         Sì, questo dev’esse mórto vecchio! Me mette guasi suggizzióne!

Gabriele -        Continui.

Virginia -         Vorrebbi entrà ma me cade l’occhio su la statua d’un regazzo pròpio davanti er portone.

Gabriele -        È il David di Michelangelo.

Virginia -         Ahó! Ma è tutto gnudo!

Gabriele -        Prosegua.

Virginia -         E che devo dì?

Gabriele -        Intendo dire: continui la passeggiata.

Virginia -         Ah! (Volta pagina) Allora… m’infrocio tramèzzo quele strade antiche e sento l’atmosfera d’i tempi annati: da drénto le case viè fòra l’odore d’aròsto, de pane fresco, de cacio, de trippa, de olio, de vino, er tutto mischiato cor profumo de li fiori che sboccheno da li davanzali e da li barconi adornati de pampini e de glicine in fiore, de rose, de garofani, de viole e gersomini!

Gabriele -        Brava! Continui!

Virginia -         Accosì, pijata da tutto ‘sto pipinaro de profumi e de odori che guasi me fanno imbriacà inciampico in d’una breccola e casco giù tutta lónga scorticandome li ginocchi!

Gabriele -        Accidenti!

Virginia -         Sì, e nèr mentre che sto lì, a pecorone e tutta dolorante, arzo l’occhi appòco appòco e me vedo… lui!

Gabriele -        Lui chi?

Virginia -         Boh.

Gabriele -        Immagini.

Virginia -         Un… un pittore?

Gabriele -        Bene, continui.

Virginia -         Lui me dà la mano sua e io rimano senza parole pe’ la gentilezza, e la prima cosa che me vie’ da dì è: “Ammazza che bbotta!”

Gabriele -        (Facendo la parte del pittore) Si appoggi a me, madonna!

Virginia -         Je fa impressione er sangue??

Gabriele -        No, perché?

Virginia -         Ha ddetto: “Madonna!!”

Gabriele -        (Sorride) No, è lui che si rivolge a lei in questo modo: è come dire “signora”.

Virginia -         Ah!

Gabriele -        Questi vicoli sono molto sconnessi. Lasci che l’aiuti.

Virginia -         (Viene coinvolta nella parte) Grazzie.

Gabriele -        Ma lei… lei è la ragazza che lavora al Caffè Letterario!

Virginia -         Sì.

Gabriele -        Io vengo ogni giorno in quel Caffè!

Virginia -         Ce lo so.

Gabriele -        Allora mi ha notato? Io la osservo sempre dal mio tavolino, sa? E m’incanto ogni volta guardandola svolazzare per il locale.

Virginia -         Perché?

Gabriele -        Perché vengo colpito dalla sua grazia nello sfaccendare dietro al banco o nell’eseguire anche la più piccola faccenda come lavare un bicchiere o sistemare una tazzina. Non sembra nemmeno che stia lavorando ma che stia sistemando con garbo i fiori di un grazioso mazzolino!

Virginia -         M’ha osservata bbene.

Gabriele -        Come si osserva un’opera d’arte.

Virginia -         Mo’ me mette in imbarazzo.

Gabriele -        Non deve. Venga con me.

Virginia -         Indóve?

Gabriele -        Dappertutto e da nessuna parte: a passeggiare semplicemente per il Lungarno ed essere protagonisti di questo favoloso dipinto che è la primavera fiorentina.

Virginia -         (Esce repentinamente dal personaggio) Vabbè è mèjo piantalla de insognà. (Gli restituisce il libro di Firenze) È pure ora che m’aritorno drénto.

Gabriele -        Resti ancora… Olga.

Virginia -         Me chiamo Virginia.

Gabriele -        Che differenza c’è?

Virginia -         Ce sta, ce sta, la differenza.

Gabriele -        Mi dica quale.

Virginia -         Beh, Olga è ‘na regazza de li tempi annati.

Gabriele -        Vero. Lei, invece, è una donna moderna! Poi…?

Virginia -         Olga è… coraggiosa!

Gabriele -        Lei no?

Virginia -         No, nun so’ coraggiosa.

Gabriele -        Continui.

Virginia -         Eppòi lei è… indipendente.

Gabriele -        Lei non lo è?

Virginia -         No de certo… che potrei fà da sola?

Gabriele -        Che altra differenza c’è fra lei e Olga?

Virginia -         Lei è… bella.

Gabriele -        E lei non lo è?

Virginia -         No, pe’ gnènte pe’ gnènte..

Gabriele -        Sbaglia di grosso. Sa che mentre girava per le strade di Firenze io non vedevo Olga ma lei… ed era davvero molto bella!

Virginia -         Lei me sta a pijà ‘n giro!

Gabriele -        Non mi permetterei mai!

Virginia -         Eppòi quela regazza sa discórre co’ ggente bèn allevata, io invece nun so manco parlà come se deve!

Gabriele -        Questo è un problema risolvibile, potrei aiutarla io. Aspetti un momento. (Esce un momento poi torna con un libro che le porge) Ecco, cominci col leggere questo libro.

Virginia -         No, no, nun pòzzo!

Gabriele -        Come sarebbe, non può? Su, lo legga! Può tenerselo in un cassetto e ogni tanto ne leggerà una pagina.

Virginia -         L’ha scritto lei?

Gabriele -        No, magari! È un bellissimo romanzo epistolare di uno scrittore francese del Settecento. Lo prenda.

Virginia -         (Prendendo il libro con riluttanza) Er titolo che vvòr dì??

Gabriele -        Sono appunto lettere che Roxane, la protagonista, scrive a Usbek, il suo signore persiano: Provi a leggerne un brano a caso…

Virginia -         Mo’?

Gabriele -        (Incoraggiandola) Sì, avanti.

Virginia -         (Legge con difficoltà) “Come mi hai potuto stimare tanto “credùla”

Gabriele -        (La corregge)… crèdula.

Virginia -         … crèdula da convincermi che io ero al mondo solo per asse…

Gabriele -        “assecondare”…

Virginia -         … condare i tuoi capricci e che tu mentre ti permettevi tutto, avevi il diritto di contri…

Gabriele -        “contristare”.

Virginia -         … stare tutti i miei desideri?… No! Io ho potuto vivere nella schiavitù, ma sono rimasta sempre libera…” Eppoi continua.

Gabriele -        E se proseguirà nella lettura verrà sicuramente coinvolta dal forte carattere e dalle decisioni di Roxane!

Virginia -         (Senza guardarlo ma trattenendo il libro) Ma, me leva ‘na curiosità: perché lei me dice e… cioè, me fa ddì tutte ‘ste cose? Inzómma: perché me sta a ffa’ tutte ‘ste manfrine?

Gabriele -        Mah, forse perché sono uno scrittore e sono anche un uomo, un uomo solo che sente il bisogno di parlare, di condividere delle sensazioni, probabilmente come lei, non crede?

Virginia -         Ma io nun so’ sola, io c’ho mi’ marito.

Gabriele -        Capisco. Mi scusi, forse ho esagerato. Le ho citato subito figure retoriche, le ho parlato di letteratura, del mio romanzo, di convenzioni e di evasioni, ho volato con la fantasia… e tutto questo in una sola volta creandole solo una gran confusione. Mi scusi. (Fa per rientrare)

Virginia -         (Si riprende) No, nun se deve scusà, che cc’entra? Sortanto che nun so’ abituata a… a parlà.

Gabriele -        E in che modo comunica con suo marito?

Virginia -         (Schiva) No, che cc’entra … lui lavora e sta fóra tutto er giorno, porèllo! E quanno a sera torna a casa è stracco morto e nun c’ha vòja de discórre.

Gabriele -        Capisco. Ma lei vorrebbe parlargli?

Virginia -         No… e che je devo dì? Io nun so’ ddì le cose eppoi… lui c’ha li penzieri e le preocupazzioni sua.

Gabriele -        (Sorridendo amaramente) Certamente,… e io che invece la faccio fantasticare, sognare di passeggiare in una Firenze di cent’anni fa! Ammirarne i colori, avvertirne i profumi come uno stupido romantico di cui lei sicuramente riderà!

Virginia -         (Reagisce) No, nun è stupido pe’ gnènte! Er fatto è che lei, sor Gabriele, è… inzòmma è n’antra cosa.

Gabriele -        Anche lei, signora Virginia, è un’altra cosa.

Virginia -         In che sènzo?

Gabriele -        Nel senso che lei è un’altra cosa da come si mostra, anche da ciò che crede di essere.

Virginia -         (Torna schiva) Eh, sì, magara! Io so’ ‘na schiappa! Lo dice sempre puro mi’ marito… e c’ha raggione perché io nun annavo bbene manco a scòla e pe’ ffortuna che m’ha incontrata e che m’ha pijata co’ lui che ero ancora ‘na pischella, sinnò da sola indóve annavo a sbatte la testa?

Gabriele -        Non ha mai lavorato?

Virginia -         No, e che lavoro potrebbe fa’??

Gabriele -        Per questo è rimasta a fare la casalinga.

Virginia -         (C.s.) Sì, è er dovere mio verso de lui che me porta li sòrdi in casa e me dà da magnà.

Gabriele -        Non mi dica che sta con lui solo per un fatto di riconoscenza!

Virginia -         Beh, che cc’entra? (Sorridendo malinconicamente) Co’ l’omini… se deve fa’ accusì sinnò te li perdi e chi s’è visto s’è visto!

Gabriele -        Capisco.

Virginia -         Eh, si nun lo capisce lei, ch’è ‘no scrittore de libbri…!

Gabriele -        Già, allora, vuole continuare ad aiutarmi o no?

Virginia -         (Si riprende) Ancora nun m’ha detto manco er titolo, der libbro.

Gabriele -        È vero, perché ancora non ci ho pensato; glielo dia lei, il titolo che ritiene più appropriato.

Virginia -         Io??

Gabriele -        Sì, coraggio! Inventi!

Virginia -         Mah, se potrebbe intitolà… “La vita de Olga”

Gabriele -        Benissimo!

Virginia -         Je piace davero?

Gabriele -        Sì, è semplice e racchiude tutte le aspettative del lettore.

Virginia -         Allora annamo avanti…

Gabriele -        Aspetti, ci prendiamo un caffè, lo vuole?

Virginia -         Se vvòle… je lo preparo.

Gabriele -        No, no, ho già la macchinetta pronta. Un momento… (Esce e lascia Virginia alla finestra, perplessa e incuriosita, tanto che si allunga un po’ per cercare di sbirciare nella finestra di Gabriele che torna dopo qualche secondo) … Fra poco è pronto. Dove eravamo rimasti?

Virginia -         Che lui… no: che loro due aveveno deciso d’annà a camminà lóngo…

Gabriele -        Ah, sì, sul Lungarno!

Virginia -         Sarebbe…?

Gabriele -        I Lungarni sono praticamente strade che costeggiano il fiume Arno tagliando in due il centro di Firenze. Percorrere il Lungarno è come scivolare da protagonista in una poesia e non si può fare a meno di ricordare il Poeta che ne cantò la meraviglia: “E tu ne' carmi avrai perenne vita/sponda che Arno saluta in suo cammino/partendo la città che del latino/nome accogliea finor l'ombra fuggita.”

Virginia -         (Rapita) Continui…

Gabriele -         lei, Olga, che deve esprimere le sue emozioni di fronte a tanta nuova bellezza!

Virginia -         Beh… allora io, che sarebbi Olga, me metto a camminà co’… co’ ‘sto pittore lóngo er Lungarno che me pare più granne der fiume che ce sta ar paese mio…

Gabriele -        Beh, credo che anche tutto il resto sia un’altra cosa: guardi gli antichi palazzi aldilà della strada, poi spazi con lo sguardo sulla parte opposta, non le sembra di essere affacciata ad un lungo balcone sul fiume?

Virginia -         (C.s.) Sì.

Gabriele -        (Dopo aver gettato un’occhiata all’interno) Aspetti, è pronto il caffè. (Esce per tornare subito con due tazzine di caffè e sporgendosi ne offre una a Virginia) Dove siamo rimasti?

Virginia -         Sémo arimasti affacciati ar barcone…

Gabriele -        Ah, sì, e passeggiando lentamente raggiungiamo le Cascine…

Virginia -         Le cascine…?

Gabriele -        Sì, un grande parco di Firenze rivestito di prati, di boschi, fiumi, torrenti: un luogo fuori dal tempo in cui riassaporare la vita.

Virginia -         Che meraviglia!

Gabriele -        (Facendo la parte del pittore) Sì, ma non quanto ammirare lei al suo Caffè.

Virginia -         (Nella parte di Olga) Ma senti te che razza de paragoni!

Gabriele -        È la verità! Lo sa, signorina Olga? Se fossi poeta le dedicherei sicuramente dei dolcissimi versi, ma sono pittore… sarei quindi onorato se potessi farle un ritratto.

Virginia -         A me?

Gabriele -        A lei, Olga. Vede: la dipingerei come se stesse camminando verso di me, coi capelli sciolti color dell’autunno e gli occhi di primavera. Le labbra atteggiate ad un sorriso che sta sbocciando e aprendosi gioiosamente al mondo. Un abito fiorito di tenui tinte che quasi si nascondono tra le pieghe del merletto. Poi spargerei sulla tela del profumo di ligustro, il fiore della giovinezza, cosicché i colori e gli aromi andrebbero a comporre una musica talmente dolce che l’osservatore resterebbe estasiato da tanta vivace graziosità.

Virginia -         Me’ cojoni…! (Si riprende) Volevo dì: Ammazzalo! Lei nun m’ha descritto ‘n quadro, m’ha descritto l’anima de ‘na regazza!

Gabriele -        Sarebbe proprio questo il mio intento, nel farle il ritratto.

Virginia -         (Torna nei panni di Virginia e, sporgendosi, gli restituisce la tazzina) Lei, però, sor Gabbriele, mo’ me sta a portà troppo distante.

Gabriele -        Distante? Signora Virginia? E se anche fosse… ne avrebbe tanto timore? Mi dica: Come va, ora, il suo gran mal di testa?

Virginia -         (Ci riflette un momento, poi con stupore) Oh, ce lo sa che nun l’ho sentito più? Sarà stata ’st’aria ch’ho respirato!

Gabriele -        Sarà stata quest’aria primaverile o quella che ha respirato Olga?

Virginia -         Boh, so sortanto che m’è passato e manco me so’ accorta! Insomma: sto bbene!

Gabriele -        Allora si può dire che sognare faccia bene alla salute!

Virginia -         Mah! A vvòrte me faccio certi sogni brutti che me fanno svejà in un bagno de sudore!

Gabriele -        Non parlo del sogno notturno ma di quello che si chiama anche aspirazione, desiderio, ideale.

Virginia -         Allora nun lo so.

Gabriele -        Ci pensi. (Indicando il libro che le ha dato) Si legga quel romanzo e se le piace gliene presterò degli altri.

Virginia -         Ce proverò. (Squilla il telefono di Virginia) Oddìo questo è mi’ marito! (Chiudendo la finestra) Je chiedo scusa…

Gabriele -        Signora Virginia…

Virginia -         (Si ferma) Che c’è?

Gabriele -        Stia attenta.

Virginia -         A che?

Gabriele -        (Indicando lo zigomo) Agli armadi.

(Virginia chiude definitivamente la finestra senza rispondergli; Gabriele guarda per qualche secondo la finestra chiusa quindi rientra anche lui)

Musica

Sipario

Fine del primo atto


Secondo atto

Musica

Sono trascorsi alcuni mesi e siamo in estate inoltrata. Al riaprirsi del sipario Gabriele è alla finestra e sta guardando davanti a sé; poco dopo - mentre la musica sfuma - all’altra finestra, appare una Virginia piuttostotrasformata: atteggia una maggiore sicurezza di sé ed è abbastanza disinvolta con la lingua italiana. Anche questa volta le si nota un livido allo zigomo sinistro. Ha un libro in mano.

(In questo secondo atto sono state sottolineate le espressioni dialettali e gli sfondoni di Virginia)

Gabriele -        (Che non ha ancora notato il livido) Ciao, Virginia.

Virginia -         (Guardando davanti a sé) Ciao, Gabriele.

Gabriele -        (Indicando il libro che Virginia tiene in mano) Hai già finito anche quest’ultimo libro che ti ho dato?

Virginia -         Sì… (Guardando la copertina) “La lettera scarlatta”.

Gabriele -        Già, ti è piaciuta la storia di Hester?

Virginia -         Molto, mi ha appassionata sin dalle prime paggine… (Si corregge) “pagine” perché possiede un bòno stile e alcune immagini sono di particolare bellezza. Poi l’indagine psicologica è molto accurata pur se il romanzo risulta alquanto prolasso…

Gabriele -        (La corregge) “Prolisso”.

Virginia -         … prolisso – grazie – (Continua)… nella parte conclusiva. (Si sporge per restituirgli il libro e si accorge che Gabriele nota il nuovo livido)

Gabriele -        Bene, ma… quel nuovo livido allo zigomo…?

Virginia -         Oh, non è niente, è un altro atto di sventatezza da parte mia: ieri sera camminando nel buio son tornata ad urtare contro lo spigolo dell’armadio che è proprio appiccicato al mio letto.

Gabriele -        (Allusivo) Prima o poi dovrai allontanare quell’armadio da vicino a te.

Virginia -         (Cambia discorso) Ah, domani ti restituirò anche il dizionario dei sinonimi e dei contrari.

Gabriele -        Oh, non c’è problema, puoi tenerlo quanto vuoi!

Virginia -         Grazie.

Gabriele -        Quanti libri ti sei letta, finora…?

Virginia -         Dunque, vediamo: con questo sémo giunti ad una decina!

Gabriele -        Però…! E quale hai preferito?

Virginia -         Non saprei dirti perché son tutti belli: da “Jane Eyre” a “Moll Flanders”, a “Clarissa”, a “Cime Tempestose”… Li ho divorati tutti.

Gabriele -        Ne gradiresti un altro?

Virginia -         Beh, mi farebbe piacere.

Gabriele -        (Allunga una mano verso la sua scrivania e prende un libro) Ecco, te l’avevo già preparato. (Glielo passa) Attenzione però, questa è letteratura contemporanea, diversa dalle altre storie che hai letto: è una saga piuttosto complessa.

Virginia -         (Appoggiandolo dentro l’appartamento) Grazie, l’affronterò con la dovuta attenzione.

Gabriele -        (Guardando davanti a sé) Hai notato come è già afoso sin dalle prime ore del mattino?

Virginia -         Sì, se luglio è stato caldo, questo agosto non permette neanche un pochetto di sollievo; difatti non si percepisce un filo d’aria fresca manco a quest’ora del mattino.

Gabriele -        (Tra sé, ripetendo correttamente le ultime parole di Virginia) Già, “nemmeno” a quest’ora. (La guarda) Come va il tuo mal di testa?

Virginia -         Insomma… Sarà questo caldo opprimente! (Cambia discorso) Allora, vogliamo finire il nostro lavoro?

Gabriele -        Ah sì, siamo ormai arrivati all’ultimo capitolo.

Virginia -         Il capitolo decisivo.

Gabriele -        Sai che mi sei stata di grande aiuto? Una vera collaboratrice!

Virginia -         Troppo buono.

Gabriele -        Ricordi il punto esatto?

Virginia -         Sì, siamo arimasti…

Gabriele -        … “rimasti”

Virginia -         … rimasti al punto dove Olga scrive a Giuliano le ultime… novità, perché lei non gli ha mai nascosto niente; gli scrive perciò che le cose sono alquanto cambiate, che lei non è più quella di prima e che…

Gabriele -        … e che non ha intenzione di tornare a fare la vita che ha lasciato perché ne ha scoperta un’altra, una vita più intensa e affascinante, giusto? Allora: che cosa scriverebbe Olga?

Virginia -         Non so; ad ogni modo nonostante il nuovo sentimento che prova per il pittore non se la sente di abbandonare il suo primo amore.

Gabriele -        Sinceramente non sono del tutto d’accordo, hai detto tu stessa che Olga non è più quella di prima e visto che la scelta del proprio futuro è molto importante sarebbe bene che decidesse di optare, in coscienza, per il suo “vero” amore: un amore più maturo e consapevole. Credo sia meglio scegliere questa versione, (Sorridendo) oltretutto lo scrittore sono io! Non credi?

Virginia -         Ah, sì, lo scrittore sei tu…

Gabriele -        (Sorridendo) Allora vai, Olga, scrivi la tua lettera! (Estrae un taccuino e prende appunti)

Virginia -         (Immagina la lettera di Olga) “Caro Giuliano, in questo lungo periodo di assenza ti ho scritto ogni giorno per raccontarti ogni mio pensiero, ogni mia sensazione, tutto ciò che ho visto, sentito e… fatto in questa mia nuova realtà.

Gabriele -        Benissimo!

Virginia -         Sinceramente credo che se tornassi da te… quasi non mi riconosceresti più perché, come ti ho spesso scritto, questa città mi ha aiutata a scoprire e a capire tante cose nuove…

Gabriele -        Brava, continua così!

Virginia -         … ecco perché ti scrivo quest’ultima lettera, Giuliano: per chiederti di pensare anche tu ad una nuova vita, senza di me, e per chiederti anche scusa dal profondo del cuore per il dolore che ti ho causato con questa mia scelta, ma probabilmente doveva andare così. Allora… addio, Giuliano, ti auguro davvero tante cose belle. Firmato: Olga.”

Gabriele -        Accidenti! Solo una donna può scrivere una lettera così: schietta, immediata e intensa. E lui? Come la prenderà?

Virginia -         Ah, hai appena detto che lo scrittore sei tu e che io sono solo la tua collaboratrice.

Gabriele -        (Sorride) Hai ragione. Dunque: Giuliano riceve la lettera, la sua ultima lettera, ma nel frattempo aveva avuto modo di riflettere sulla loro situazione e come succede spesso con la lontananza… (Squilla il telefono di Virginia)

Virginia -         È mio marito! Scusami Gabriele. (Rientra, chiude la finestra e risponde al telefono mentre Gabriele resta qualche secondo alla finestra poi rientra anche lui, scomparendo nel suo appartamento, ma lasciando la finestra aperta) Pronto, Giggetto… Sì, sono andata… volevo dì: sì, so’ annata a ffà la spesa… No, me dispiace ma nun ho potuto… No, perché li sòrdi nun me so’ bastati pe’ pijà pure er vino… No, Giggetto, perché… no, io cerco sempre da sparanbià, ma… I libbri??... Ma no! Quali libbri?? Io nun me so’ mai comprata i libbri! No, quelo era un… No, Giggetto, nun fà accosì… Sì, scusa… no, te nun hai nisuna córpa… Ce lo so, ce lo so… so’ io che… Sì, cercherò de pijallo, in quarche magnèra… Ma nun stai ar cantiere?... È vero, perdoneme… perdoneme, Giggetto… Sì, li getterò… Giggetto…? Giggetto…? (Chiude lentamente il telefono e si porta le mani a coprirsi il viso poi torna alla finestra ma non vede Gabriele. Prima piano, poi a voce più alta lo chiama) Gabriele… Gabriele… (Gabriele appare e torna alla finestra)

Gabriele -        Virginia…

Virginia -         (Come per scacciare dei brutti pensieri) Riprendiamo il racconto, dai.

Gabriele -        Te la senti?

Virginia -         Sì… (Schiva) Non lo so. (Pausa)

Gabriele -        Parlami di tuo marito, ma sinceramente, vuoi…?

Virginia -         No… Non lo so.

Gabriele -        Allora parlami di te…

Virginia -         Cosa vuoi sapere?

Gabriele -        Vorrei tanto conoscere la tua storia: La storia di Virginia.

Virginia -         Non è una storia allegra.

Gabriele -        Ma non è nemmeno conclusa.

Virginia -         Eggià.

Gabriele -        Quindi ti ascolto.

Virginia -         Vuoi che te la racconti davvero?

Gabriele -        Sì, dai, coraggio.

Virginia -         Beh: (Inizia a raccontare con difficoltà) io… io ero una bambina chiusa, timida, impappolata…

Gabriele -        (La corregge) “Impacciata”.

Virginia -         … impacciata e… e balbuziente, perciò a scuola ero sempre il bersaglio di continui scherzi, anche pesanti, da parte dei miei compagni. E ne soffrivo molto. Così sono cresciuta cercando di evitare i miei coetanei e rinchiudendomi sempre più in me stessa…

Gabriele -        Vai avanti.

Virginia -         Quando conobbi Giggetto, mio marito, avevo solo 15 anni e lui quasi 20… Lui fu l’unico ad avvicinarsi a me, a frequentarmi e… a difendermi se qualcuno mi minchionava. Non voleva che nessuno si avvicinasse a me. Giggetto era un ragazzo allegro, vivace, molto geloso; stare al suo fianco era per me un continuo regalo, era una festa, una… una protezione. Con lui… e grazie a lui smisi anche di tartagliare e con lui… sono rimasta.

Gabriele -        Poi cosa è successo?

Virginia -         Beh, con lui mi divertivo: mi portava al cinema, a ballare, ci…imbriagavamo insieme.

Gabriele -        (La corregge) “Ubriacavamo”

Virginia -         Non mi correggere… (Riprende) Mi sposò che avevo 18 anni. (Pausa) Poi, durante il primo anno di matrimonio successe che…

Gabriele -        Che cosa?

Virginia -         (Parla a fatica) Successe che una sera avevamo bevuto tutti e due… Io avevo appena preso la patente, insistei per guidare la macchina e per la mia stupidità finimmo contro un TIR… Siamo stati in ospedale, io per due mesi e lui una settimana intera e quando è uscito io non c’ero! Capisci? Non ero con lui! L’ho lasciato così, da solo, fino al mio ritorno! Capisco bene che non sia venuto a trovarmi in ospedale dopo quello che avevo combinato! (Pausa) Insomma dopo quel fatto non ho più toccato una bottiglia, lui invece ha continuato… e tutto quello che gli è successo dopo è stata solo colpa mia.

Gabriele -        In che senso?

Virginia -         (Con le lacrime agli occhi) Nel senso che dopo tutto quello che lui aveva fatto per me ecco come l’ho ripagato: mannannolo prima a lo spedale eppoi…

Gabriele -        … poi?

Virginia -         … poi ho continuato a renderlo un uomo infelice perché non sono stata capace di costruire una famiglia serena. Lui che era così allegro e vivace s’è ingrugnato sempre più e se ancora beve è solo per come mi sono comportata io… e fa bene a ricordarmelo ogni giorno e… insomma, me sta bbène come un cappello novo se lui…

Gabriele -        Se lui…?

Virginia -         Niente, finisce così.

Gabriele -        Dillo, Virginia, dillo almeno a me.

Virginia -         (Con fatica) Se lui… se insomma a volte gli capita di alzare le mani.

Gabriele -        … E continua a bere.

Virginia -         (Difendendolo) Ma se beve non è colpa sua! M’ha sempre detto che anche lui ebbe un’infanzia difficile e adesso… tu nun lo sai quanto fatica pe’ ttrovà un antro lavoro ogni volta che… insomma quando finisce con una ditta… e i problemi che ha ogni volta con i suoi padroni.

Gabriele -        Da quanto tempo siete sposati?

Virginia -         Da dieci anni.

Gabriele -        … Senza figli.

Virginia -         Beh, subito dopo il matrimonio rimasi incinta ma lui pensò che ero troppo giovane par avere un bambino così non volle che…. Insomma poi in seguito non ne sono venuti altri…

Gabriele -        Aspetta, aspetta, fammi capire: Tu mi stai dicendo che hai un marito geloso, che ti ha fatto abortire quando eri appena una ragazzina e che da dieci anni quel… quell’armadio ti mette le mani addosso (Indica il livido sullo zigomo) quando la sera torna a casa ubriaco perché ha problemi sul lavoro. È così? (Virginia ha uno scatto e rientra in caso chiudendo la finestra e scomparendo alla vista. Gabriele aspetta qualche secondo poi prova a chiamarla) Virginia… Virginia… (Virginia torna alla finestra, si asciuga le lacrime e la riapre guardando davanti a sé. Gabriele la guarda)… È stata una foto troppo realistica quella che ti ho fatto? Ma i soggetti me li ha dati tutti tu.

Virginia -         Già.

Gabriele -        (C.s.) Comunque non parliamone più.

Virginia -         (Guardando davanti a sé) No, parliamone, se vuoi.

Gabriele -        Bene, allora parliamone: Ma scusa, Virginia, pensi davvero che una donna normale possa giustificare un comportamento del genere? Io non capisco davvero come tu faccia a… Poi ti lamenti per quei mal di testa?

Virginia -         Che dovrei fare?

Gabriele -        Dovresti eliminarne la causa, perdìo! Dov’è il tuo spirito di sopravvivenza? Il tuo amor proprio?

Virginia -         Non so che dirti.

Gabriele -        Non sai che dirmi…? Forse perché hai lasciato dormire il cervello per tanto tempo! Hai lasciato che tutto ti scivolasse sopra senza mai ragionarci! Soltanto umiliandoti e autocommiserandoti. Non è così? E non venirmi a dire che sei una buona a nulla perché non ci credo!

Virginia -         Te l’ho già chiesto tempo fa: Perché mi dici tutte ‘ste cose? Che vvòi da me? Ma voglio una risposta vera.

Gabriele -        Sai che abito qui da un anno e credi che in tutto questo tempo solo tu abbia sentito il ticchettio della mia macchina da scrivere? Io, non volendo, ho sentito ben altri suoni attraverso questa parete. Credi che sia una cosa gradevole per chi è costretto ad ascoltare certe cose? Oltre al fatto che mi deconcentrano durante il lavoro.

Virginia -         Scusami tanto.

Gabriele -        … Scusami tu; il mio lavoro non c’entra niente. (Virginia si passa la mano fra i capelli) Cosa c’è… hai mal di testa?

Virginia -         Ho vergogna… tanta vergogna.

Gabriele -        Ma dai… l’origine di questa situazione non è mica colpa tua, anche se ti ostini a pensare il contrario!

Virginia -         Credi davvero che non sia colpa mia?

Gabriele -        Ma assolutamente no!

Virginia -         E… ultimamente ti sono stata davvero d’aiuto, nel tuo lavoro?

Gabriele -        Certo che lo sei stata! (Pausa) Vuoi la verità, Virginia?

Virginia -         Quale verità?

Gabriele -        Che io non ho mai cominciato a scrivere la storia di Olga. Non ho mai scritto romanzi del genere.

Virginia -         Che vuoi dire?

Gabriele -        Voglio dire che quello è stato solo un pretesto per farti affacciare ad una finestra e mostrarti che esiste un altro mondo, diverso da quello che hai vissuto finora, e l’ho fatto con i miei mezzi.

Virginia -         Cioè sarebbe a dì… a dire che quella di Firenze, del pittore… era tutta una frescaccia? Che Olga… non esiste?

Gabriele -        No, ma vorrei tanto che esistesse… Mi capisci?

Virginia -         Sì, ti capisco, ma te cerca di capire me. (Pausa) Non è facile essere sposati.

Gabriele -        In questa maniera sicuramente no.

Virginia -         Magari per te è difficile da capire, visto che sei scapolo.

Gabriele -        Invece ti capisco benissimo. Sai, io mi sono trasferito qui per un motivo ben preciso.

Virginia -         Quale motivo?

Gabriele -        Ero sposato, ma mia moglie è morta tre anni fa per una malattia e credimi, il nostro matrimonio, finché è durato, non è stato affatto difficile.

Virginia -         (Costernata) Mi dispiace, non sapevo…

Gabriele -        Lo so, non ti preoccupare. Si parlava di spirito di sopravvivenza, ricordi? Beh. quando è necessario lo si usa.

Virginia -         Ma… allora te non sei nemmeno uno scrittore?

Gabriele -        Questo sì, sono davvero uno scrittore ma scrivo tutt’altro genere di cose: sono un autore di gialli, di racconti polizieschi.

Virginia -         Ah! scrivi di intrighi e de morti ammazzati!

Gabriele -        Praticamente sì.

Virginia -         Però... da una parte è un peccato.

Gabriele -        Che cosa?

Virginia -         Che quella storia di Olga rimanga così, incompiuta.

Gabriele -        Come avresti voluto che finisse?

Virginia -         Beh, mi sa che avremmo avuto due opinioni diverse, per il finale. Secondo me Giuliano, dopo aver saputo le ultime novità di Olga, per amor suo si sarebbe messo a studiare da… da pittore, sarebbe andato a Firenze e lì finalmente si sarebbero sposati!

Gabriele -        (Ride) Praticamente, come dite voi qui, faresti finire il tutto a tarallucci e vino!

Virginia -         “Eccerto”! Embè, non sarebbe bello?

Gabriele -        Un giorno potremmo scriverlo davvero.

Virginia -         Potremmo?

Gabriele -        Certo, non sei diventata la mia collaboratrice, anzi: la mia co-autrice?

Virginia -         E il tuo vero libro di cosa tratta, precisamente?

Gabriele -        Ah, vorresti metter mano anche al mio vero romanzo? Guarda che questo è molto più complicato e ha personaggi e situazioni piuttosto complesse.

Virginia -         Raccontami.

Gabriele -        Allora: Un uomo viene trovato morto in una di quelle cabine che fanno le foto-tessera, hai presente?

Virginia -         Sì.

Gabriele -        Bene: il Commissario Crivetti, anche dopo aver consultato la Scientifica, non ha in mano il minimo indizio.

Virginia -         Ha provato a vedere se nella cabina c’erano rimaste delle foto?

Gabriele -        (Colpito) Ah, ma se tu mi anticipi i fatti…!

Virginia -         Perché, è andata così??

Gabriele -        Non proprio ma ci sei andata vicino, (Scherzosamente) accidenti a te!

Virginia -         Ammazza! Mi fai sentire orgogliosa!

Gabriele -        Hai ragione ad esserlo! Io ci ho ragionato le giornate e tu, in quattro e quattr’otto quasi mi risolvi il caso!... Come va la testa?

Virginia -         (Sorride) Meglio, grazie.

Gabriele -        Ne sono felice!

Virginia -         (Voltandosi improvvisamente verso l’interno) Sta rientrando mio marito! (Rientra in casa, chiude la finestra e scompare. Gabriele resta un attino a guardare la finestra chiusa poi rientra anche lui ma lo si continua a vedere attraverso la finestra seduto alla sua scrivania. Si sentono rumori di oggetti che si rompono, poi una porta che sbatte, quindi il pianto di Virginia. Dalla finestra chiusa la si vede tornare e sedersi su una sedia, rannicchiata, con le mani fra i capelli)

Gabriele -        (Torna alla finestra e guarda verso l’appartamento di Virginia che lentamente si alza, dolorante, si sistema i capelli scarmigliati e torna alla finestra) Che cosa è successo?

Virginia -         Niente.

Gabriele -        Come, niente? Da qui ho sentito l’ira di Dio!

Virginia -         Ormai ne sarai abituato.

Gabriele -        Perché eviti sempre il discorso?

Virginia -         Perché ho paura.

Gabriele -        Non dovresti aver paura ma nausea per quello che ti sta succedendo da anni! Tanta di quella nausea da deciderti finalmente a cambiare le cose! (Pausa) Dimmi cosa è successo stavolta.

Virginia -         Ma niente…

Gabriele -        (Offeso dal riserbo di Virginia, alza la voce) Come niente…? Virginia! Mi vuoi prendere in giro?? Ma vuoi davvero continuare così??

Virginia -         (Pausa, poi sbotta) È successo che non ce la faccio più! È successo che m’ha chiuso a chiave dentro casa e ha detto che da ora in poi potrò uscire solo con lui!

Gabriele -        Sai come si chiama, questo?

Virginia -         Sì… stronzaggine!

Gabriele -        Ma si chiama anche sequestro di persona.

Virginia -         … È stato sempre, geloso, e vabbè… ma così no! Mo’ bbasta! Non c’è mai una cosa che je va bbene! Ma chi non fa mai degli sbagli?

Gabriele -        E soprattutto: nessuno si merita una reazione così.

Virginia -         (Continua senza ascoltare Gabriele) Io ho sempre cercato di capirlo perché la colpa è mia ed è giusto così!... Forse. E ogni volta che… ho sempre il senso di colpa e sono sempre chiusa in casa e in me stessa, senza amiche, in silenzio… perché pe’ ccombatte ce vò la forza, e io… e io dove vado a pijalla, la forza?... Solo mortificazioni per quello che dico, che faccio, per quello che mi metto addosso… per tutto!... Ho finito per vederla come una cosa normale… essere punita così, perché lui per me è… era come un padre che avevo paura di perdere se non mi dedicavo completamente a lui, se non ero brava nelle faccende di casa e a soddisfare tutti i suoi desideri!... Non ce la faccio più. Ora sento solo delusione, mi sento umiliata e… prigioniera e io nun vòjo restà in priggióne!

Gabriele -        Allora evadi, Virginia… scappa, Olga, scappa, Hester, Moll, Roxane, Clarissa, Anastasia, Caterina! Scappate!

Virginia -         Come?

Gabriele varca la finestra mettendosi in piedi sul “cornicione” e lentamente va a prendere Virginia che fa altrettanto, quindi entrambi, mano nella mano, tornano con cautela verso la finestra di Gabriele ed entrano.

Gabriele -        (Tenendole ora entrambe le mani fra le sue) Vogliamo finire questo romanzo?

Virginia -         Quale?

Gabriele -        Il nostro.

Virginia appoggia il capo sulla spalla di Gabriele mentre nell’altro appartamento si sente lo squillo del telefono ma nessuno risponde.

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Febbraio 2012