R O S S O P R O F O N D O
I N P U N T O D I M O R T E
Monologo
di
LUIGI LUNARI
Luigi Lunari
Via Volturno 80
Condominio dei Cedri
I - 20047 Brugherio (Milano)
Tel e Fax +39.39.883177
E.mail luigi.lunari@galactica.it
Un tavolo, al centro di una stanza che assumerà aspetto diverso a seconda dello sviluppo del racconto.
Per ora, la stanza è al buio. Solo uno spot illumina un uomo seduto al tavolo, il gomito poggiato sulla superficie, la fronte sulla mano, con aria pensierosa.
A mano a mano che lo spot si spegne e la scena si illumina, l’uomo si riscuote dai suoi pensieri. Fa un cenno d’assenso col capo, come rispondendo a un invito di qualcuno. Ha un qualche gesto di nervosismo o di tensione: si morde le labbra o si asciuga con un fazzoletto le mani sudate. Poi si decide. Dopo un sospiro profondo, come a calmare l’agitazione e prender fiato, si alza (o non si alza) e prende la parola.
L’IMPUTATO - Credo sia giusto da sempre, signori della Corte, che all’imputato spetti l’ultima parola. Ho sentito - come voi del resto - i molti testimoni, ho sentito la requisitoria della pubblica accusa... Ora tocca a me, difendermi e provare se possibile la mia innocenza. L’imputazione è grave. Suicidio. Un delitto inammissibile, certo: non solo per la morale religiosa - che dice che l’uomo mai deve perdere la fiducia nella misericordia di dio - ma anche per ogni morale laica. Non ci si può sottrarre alla società, all’umanità, allo stato. Se - per ipotesi - tutti facessero così, se a tutti fosse consentito "sottrarsi", l’esistenza stessa dell’umanità sarebbe in pericolo. Giusto, dunque, essere molto fermi su questo punto. Il suicidio è la negazione estrema di ogni speranza. E senza speranza - lo so! - di che cosa vive l’uomo?
Ma ogni storia, signori della Corte, va raccontata per intero. Ogni caso, valutato di per sé, nella propria singolarità... unica, irripetibile. Altrimenti... si potrebbe sostenere che tutti quelli che sacrificano la vita per un ideale sono dei suicidi. L’eroe, il martire... non gettano volontariamente la vita, quando si rifiutano - che so! - di piegarsi all’oppressione, di adorare un idolo?.. E il disperato: che si uccide... per non continuare a vivere! Non potrebbe essere considerato in fondo anche lui un eroe... sia pure a titolo privato?
Sì, sì, ho capito. Sto ai fatti. Ma non volevo allargare il discorso: soltanto puntualizzare un piccolo distinguo...
Ogni storia, dicevo, va raccontata per intero. E io chiederò appunto alla Loro pazienza di ascoltare la mia. Non risalirò troppo indietro: non alla mia infanzia, come forse sarebbe anche legittimo, perché ogni gesto ha radici lontane, e ogni giorno è figlio di quelli che l’hanno preceduto. Comincerò quasi dalla fine: da un giorno particolare, che è forse il giorno più importante della mia vita. Anzi: perché "forse"? Dal giorno più importante della mia vita: forse al pari dell’ultimo. Ecco sì: qui, forse, il "forse" ci vuole.
Quel giorno, io, segretario di un partito politico molto importante nel mio Paese...
(Ha un momento di esitazione: il tono di improvviso orgoglio si spegne in un sorriso d’autoironia.)
Chiedo scusa fin d’ora. A questa altissima Corte sembreranno certo meschine queste piccole storie di lotte politiche, di beghe per il potere... Ma... questa è stata la mia vita! Queste le passioni che la animavano! Voi, che conoscete i veri valori delle cose, che avete a confini l’eterno, l’infinito, l’assoluto... siate comprensivi per i nostri limiti: per questa vita nostra, di piccole mosche, che si consuma tra un’alba e un tramonto, e che ci coinvolge come fosse... chissà quale cosa. E perdonate l’infantile calore che metterò nel racconto. E il basso linguaggio! E ascoltate con pazienza le spiegazioni - ingenue, banali alle vostre orecchie - con cui mi sforzerò di.. di spiegare, appunto, che cosa significavano per noi, per me, cose e parole.
Il giorno più importante della mia vita. Sì! Perché quel giorno, io, segretario del Partito.... sì: Socialista, ero diventato Capo del Governo!
Anche qui, per capire il peso - per me - di questa cosa, occorrono alcune premesse. Spiegare, capire, che cosa voleva dire, ai miei tempi, nel mio mondo... un socialista... "capo del governo"!
Ho visto una commedia, una volta. "Il giardino dei ciliegi", si intitolava. Il protagonista era un contadino arricchito (non mi ricordo neanche come si chiamasse...) che un bel giorno comperava questo bellissimo giardino fiorito, nella tenuta dove suo padre e suo nonno erano stati...schiavi! Ricordo il momento in cui entrava nella casa degli antichi proprietari - che, pieni di debiti, avevano "dovuto vendere"! - ad annunciare, nel bel mezzo d'una festa, che il nuovo padrone era lui! Non lo diceva subito: aspettava; e gli altri, che sapevano che proprio quel giorno c'era stata l'asta, si chiedevano "Ma chi l'ha comperato?" E lui zitto: si teneva tutto dentro, si comprimeva, si vedevano le labbra che si muovevano in silenzio come a provare le parole... finchè alla fine scoppiava: l'ho comperato io, io, sono io il nuovo padrone del giardino dei ciliegi! E saltava di gioia, ballava, rovesciava le sedie... una gioia selvaggia, tutta la rabbia di suo padre e di suo nonno... Quel giorno io ho sentito dentro di me quella gioia feroce. L’ho sentita entrando lì in quel Palazzo. Il Palazzo! Palzzo Chigi!, è il nome che sentivo da giovane; per me era l'Olimpo, lontano, inafferrabile. Era il potere, la casa degli altri: e noi fuori! I nemici, i pezzenti, i malguardati, i rossi; quelli che non possono entrare, se no sporcano i tappeti! E oggi invece sono qui! Il presidente del consiglio sono io, quella poltrona è la mia, e quelli che per tanti secoli mi hanno guardato dall'alto al basso, me e mio padre e mio nonno, venuto dalla campagna con le pezze al culo, oggi mi dicono "Buongiorno, presidente!" E il rettore dell'università, che un giorno mi ha detto "Giovanottooo!..." perchè‚ dalla tasca dell'impermeabile mi spuntava "L’Avanti"!... eh, chissà se lo rivedessi adesso! E il professore del liceo, che chiama mio padre e gli fa:"Suo figlio sta prendendo una piega che mi piace poco..." Dio!, dio cristo! Quando ho detto "Lo giuro" davanti alla Corte mi si è annebbiata la vista, mi son tremate le ginocchia, mi sembrava quasi di non aver fiato abbastanza. Nessuno se ne è accorto, ma io ho pensato - in un lampo - qui non ce la faccio! Pensa che figura; un presidente del consiglio che sviene pronunciando il giuramento. Poi, sempre in un lampo, mi son detto: se ce la fanno tutti, devo farcela anch'io. Però gli altri - ho pensato, sempre in quell'attimo - c'erano abituati, per loro era normale, se lo passavano di mano in mano, il potere: oggi a me, domani a te... Una torta in famiglia! Ma io sono il primo dei nostri!... Il primo! Io potrei davvero... svenire! Tutto questo ho pensato, in un attimo, lampi nel cervello... e intanto avevo già detto "lo giuro".
Questo... per spiegare il mio stato d’animo. Era il giorno più importante della mia vita. Era "il" giorno. L’attimo fuggente!, destinato però a non fuggire: a prolungarsi per mesi, anni....per tutto il tempo in cui sarei rimasto lì, seduto - io! - su quel trono.
(Con altro tono, improvvisamente quasi drammatico:)
E invece.... proprio quel giorno....
(Ma è troppo presto: fa un gesto, come per cancellare quel che sta dicendo, e ritorna al tono sovreccitato di prima, per premettere un altro dettaglio.)
Ero così eccitato, quel giorno, che ho pensato... Basta! Oggi non se ne fa più niente! Oggi tiro giù la saracinesca, non esisto più per nessuno! C’era sul mio tavolo la lista delle persone che avrei dovuto ricevere: visite di prammatica, per le congratulazioni e gli auguri di rito... Ho detto... niente! Non ricevo nessuno! Domani! Oggi no! Oltre tutto, avevo anche bisogno di riposo. Perchè... codesta Corte forse non si immagina quanto paziente lavoro politico fosse stato necessario per arrivare lì dove ero arrivato: Le schermaglie, gli accordi, i compromessi, le ipocrisie, le concessioni, le tessiture, tutti gli infiniti bizantinismi dei giochi di potere... Basta! Oggi torno a casa, mi chiudo in casa, sto com mia moglie, con i miei figli, suono la chitarra, oppure mi siedo in poltrona, apro la televisione e mi guardo una cretinata qualsiasi...
Quasi forzando la porta, scavalcando la mia segretaria, è entrato il mio dottore. Un compagno di liceo, il mio medico curante... Qualche settimana prima aveva voluto farmi fare delle analisi. Io me n’ero totalmente dimenticato. Non sono neanche riuscito a dirgli "Vattene! Domani! Domani anche tu!" "Mi spiace", mi ha detto: "Proprio oggi che è il tuo giorno di gloria! Ma non c’è un minuto da perdere! Mi dispiace!" Aveva in mano una cartella, ha tirato fuori un foglio. Ha detto: "Non andiamo mica tanto bene, sai?" Sono stato io a dirgli di parlar chiaro, senza tanti giri di parole. E lui di parole ne ha detta una sola: "Cancro!", ha detto.... "Mi dispiace!"
Io... nei momenti drammatici conservo una grande calma, e una grande freddezza. Ho preso la notizia come se neanche riguardasse me... e mi sono informato, come avrei fatto per un altro. "Si può operare?" Lui, forse pentito della brutalità con cui aveva vuotato il sacco - e che ero stato io, del resto, a chiedergli - ha cominciato a fare le solite capriole che i medici pietosi fanno in questo caso. "Si può operare?" gli ho chiesto. "Io non te lo consiglio." mi ha risposto. "Che cosa vuol dire "io non te lo consiglio"? Ti ho chiesto se si può operare... o no." "No. Il tumore ha preso il fegato. E’ troppo tardi." "Si può... curare, in qualche modo?" "Sì, certo. Le cure si possono sempre fare!" Cominciavo a innervosirmi. Che cosa voleva dire che le cure si possono sempre fare? Che non erano probite? Voleva dire - mi ha spiegato - che possono rallentare il decorso: non possono arrestarlo, e meno che mai... Insomma: un tumore preso tardi, troppo avanzato, niente da fare!
Rallentare il decorso? Cioè? Cosa? Come? Quali cure? "Le solite che si fanno in questi casi: farmaci, cobalto...." Quello che gonfia, che stravolge, che fa cadere i capelli, i denti... Pare impossibile, ma i medici in questi casi parlano come i politici: "Diciamo... che ha degli effetti collaterali non sempre piacevoli!" Che ha degli effetti collaterali non sempre piacevoli! Neanche il papa nero dei gesuiti avrebbe saputo dir meglio!
Quando sono stato stufo di queste schermaglie gli ho chiesto - seccamente - i due preventivi:. Con le cure.. e senza le cure. Risposta: Con le cure... uno o due anni, forse qualcosa di più, lasciando ogni attività, con lunghi periodi in clinica, facendo insomma l’ammalato.. sempre più terminale. E senza le cure? Sei mesi. Sei mesi al massimo.
L’ho ringraziato. Aveva lasciato che la fase politica si concludesse, per non turbarmi nella mia ascesa... A quel punto non poteva più tardare. Gli ho domandato che cosa mi consigliava, ma un medico è sempre per la vita, comunque vissuta. Due anni sono più di sei mesi... Gli ho chiesto solo di non dir niente e nessuno. Né a mia moglie o ai miei figli... né alla stampa o al mondo politico o ad altro. Quella cosa me la sarei gestita io, da solo. E quando se ne è andato, con un ultimo "Mi dispiace!"... mi sono seduto davanti a uno specchio.... e mi sono guardato in faccia!
* * *
Forse un primo parziale suicidio è stato quello di scegliere i sei mesi, invece che i due anni? Ma, mi chiedevo, perché languire due anni, decadere, sfasciarsi, leggere negli occhi degli amici lo sforzo di nascondere l’impressione che gli fai quando ti vedono... la fatica della disinvoltura pietosa: "Ciao, come stai, ti trovo bene..."! Oggi vivere è facile: le medicine, le macchine ti tengono in vita finchè vogliono i medici... Ma è vita?.... Domando: è vita?
E d’altra parte: neanche morire è vita. Finchè c’è un barlume, un bagliore, pur tra le sofferenze... non si continua pur sempre a vivere... come ti è concesso?
Questo stavo pensando, guardandomi in faccia, davanti allo specchio, quando è entrata Anita, mia figlia. I rapporti tra padre e figlia sono spesso una cosa strana, e io ho interpretato il suo ingresso come un segno del destino. Lei.... - non m’ero accorto che fosse entrata: forse addirittura m’ero addormentato, come drogato dai pensieri in cui mi aveva gettato la notizia.. - lei si è accorta che qualcosa non andava... e mi ha chiesto se era successo qualcosa. "Successo qualcosa? No, perchè? Che cosa dovrebbe essere successo? Non è successo niente." Poi, improvvisamente, un’idea. " O forse... sì", le ho detto: "E’ successo una cosa strana. Anzi: sono contento che tu sia venuta, perché... potrei chiedere consiglio a te." "A me?!" mi dice lei. Io so recitare molto bene, quando voglio. "Sì, perché no? A volte da fuori si vedono le cose con molta più chiarezza... E' quello che gli inglesi chiamano "fresh approach"... Bello, vero? Fresh approach... suona bene! Ecco: tu potresti vedere la cosa meglio di me, che sono troppo dentro, troppo coinvolto... e darmi il consiglio giusto."
"E' successo che oggi, proprio oggi, persone molto potenti, mi hanno mandato un avvertimento. Mi hanno fatto sapere che... come si può dire?... Ecco: il governo. Mi hanno mandato a dire che questo governo... il mio governo... beh, insomma, sì: avrà vita breve. Purtroppo!"
Anita non capiva: "Ma come possono...? Il primo governo socialista della storia...." L’ho corretta: "Il primo governo a direzione socialista. Non è proprio la stessa cosa. I veri padroni del vapore rimangono gli altri. E per quanto possa cercare di fare, dovrò per forza tenerne conto. Loro me lo hanno ricordato in tutte le lettere. "Abbiamo aperto un poco ai socialisti, per calmare certe acque che andavano calmate. Ma... la cosa è tutt’altro che definitiva: non s’illuda." Insomma... mi hanno dato sei mesi.
Oppure due anni. Ma... se rigo dritto!, se rinuncio a fare quel che voglio, se faccio tutto quel che vogliono loro..."
"Loro chi?" "Beh, te lo puoi immaginare.." "I cattolici?..." "Diciamo... in quell'aerea." Mia figlia era indignata: "Ma come possono?" seguitava a ripetere. "Oh, se è per questo possono! L'avvertimento viene... da molto in alto. E là si fa davvero quello che si vuole."
Chiedo scusa: come loro vedono, il dialogo offriva anche spunti che in altri momenti avrei considerato divertenti.
Comunque, io chiedevo a mia figlia un consiglio. Che cosa avrei dovuto fare secondo lei? Mia figlia esitava: la politica era per lei una cosa complicata, incomprensibile... Ma io le ho detto: " Non pensare alla politica. Fa finta... ecco: fa finta - tocca ferro, naturalmente - che sia il medico a dirmi: lei ha i giorni contati! Sei mesi se va avanti così, a fare di testa sua. Due anni se si lascia curare, se si fa ricoverare in clinica, se fa tutto quel che vogliono i dottori... rinunciando però praticamente... a tutto. Tu che cosa sceglieresti?"
"Ah, io sei mesi, papà! Non avrei dubbi!"
Come si può essere crudeli, a volte, senza volerlo. Facile per lei... Ma già, lei era giovane... Ma aveva ragione: "L'hai detto tu. papà: rinunciando praticamente a tutto. Che vita sarebbe? Io vorrei sei mesi, ma pieni!..."
Quindi, come lor signori vedono, tutt’altro che un primo parziale suicidio! Una scelta di vita, signori della Corte: non una scelta di morte. Dentro di me, del resto, avevo deciso subito: meglio sei mesi di vita vera, che due anni - "forse anche più" - di crescente coabitazione con la morte.
Ma ecco: la seconda parte del problema. "Sei mesi pieni", aveva detto mia figlia. Ma pieni di che cosa? Di che cosa si riempie una vita che tra sei mesi non ci sarà più. Abbiamo parlato di questo: "Che cosa faresti? Ti divertiresti? Cercheresti forse di fare qualcosa di grande, come quel matematico, che sapendo di dover morire il mattino dopo, in un duello senza speranza, ha dedicato le ultime tredici ore di vita a stendere quelle pagine... che lo hanno reso immortale? Scriveresti un romazo, delle poesie?... Oppure vivresti giorno per giorno, facendo le cose che hai sempre fatto... però gustandole di più, ecco: dando loro un'importanza diversa!... "
"Io.. non lo so... farei quello che voglio. Mi caverei la voglia di dire a tutti quello che penso! Tanto, tra sei mesi muoio!... Tu," mi diceva mia figlia: "non avresti voglia di dire a quei signori che ti danno sei mesi, che cosa pensi di loro. Di scrivere alla Thatcher, o a Kohl, quel che dicevi l’altro giorno di loro, a me e alla mamma?" "Zitta, zitta, per l’amor di dio!" "Che cosa te ne importa? Tanto, tra sei mesi devi andartene! Non hai voglie represse?
Bah, un uomo politico è talmente abituato a reprimere le voglie, che alla fine non se ne accorge neanche più.
Oppure... un sogno di gioventù! "Che cosa sognavi, papà, quand’eri giovane?"
Già, è vero. Ero stato giovane anch’io! Anch’io avevo sognato, più ad occhi aperti che ad occhi chiusi. Sognato... di diventare Capo del governo? No, non esattamente. Sognavo - quasi mi vergogno a dirlo - sognavo... il socialismo. Libertà, fraternità, eguaglianza... giustizia... pane e lavoro per tutti... le tasse a chi ha i soldi... basta con le guerre... il sole che sorge, e fine della notte!
Anita rideva: "Ma papà: è bellissimo! Perché te ne vergogni?" "Perché sono parole, Anita. E a trasformare queste parole in fatti, non c’è riuscito neanche Gesù Cristo." "Beh? Dove uno non riesce, può riuscire un altro!"
Si può avere da parte di un figlio una dichiarazione di fiducia più grande di questa? Per mia figlia la cosa era quasi matematica: Gesù Cristo parlava a poca gente, soffocarne la voce era facile. Io potevo contare sui media... parlare a tutti, dire la verità, pane al pane e vino al vino: la gente forse non aspetta altro!... Ah, lo scandalo della verità! Che occasione, che tentazione! Dire in faccia a ciascuno.... tutto quello che avevo dentro. In nome del socialismo! Della libertà, dell’eguaglianza, della fraternità... "Tanto, che t’importa, papà? Tra sei mesi devi andartene!..."
Giusto! "Tanto, che m’importa? Tra sei mesi devo andarmene!..."
* * *
Apro una parentesi. Devo dire che non è stata solo mia figlia a convincermi. C’è stata anche un’altra persona: di cui non ho detto niente, prima, perché mi sembrava irrilevante. E invece mi accorgo ora che ha la sua importanza, se non altro per non lasciare a lor signori l’immagine di un socialismo velleitario, troppo semplicistico, "evangelico", come questo parlar di libertà, d’eguaglianza, di fraternità...
Questa persona era un vecchio compagno: novantaquattr’anni. Si chiamava - di nome - Libero Laico Lavoro. Era il segretario della sezione del Partito, alla quale mi ero iscritto io, la prima volta. Uno di quei militanti all’antica, sempre lì a correre dietro agli iscritti perché pagassero le quote, a vendere i distintivi per pagare la luce, senza chiedere per sé neanche il rimborso dei detersivi per lavare i pavimenti una volta ogni due mesi... Ho visto il suo nome nella lista delle persone che chiedevano di essere ricevuti quel giorno: tra il Nunzio apostolico e il presidente della Banca Nazionale: Libero Laico Lavoro...Panigada!.. e per lui ho fatto un’eccezione. Perché sì! Perché il Partito avrebbe potuto esistere senza me, senza nessuno dei grandi capi, ma non senza la gente come lui. Libero Laico Lavoro: questi sì che sono nomi, in un mondo che i figli li chiama Gianluca o Antonella! Cinque figli, aveva messo al mondo: e tutti con la stessa donna, come si usava una volta: Spartaco, Officina, Guernica, e poi due gemelli: Falce e Martello!
E’ entrato. Tremava, si è commosso. Ma era sicuro che l’avrei ricevuto. Si è seduto su una poltrona, spazzolandosi i calzoni sul sedere, prima di sedersi, per non sporcarla. Mi dava del lei: l’ho sgridato: ma come! tra compagni ci si dà del lei? Allora, un po’ a fatica, mi ha dato del tu, e mi chiamava Carlètto, come quando andavo in Sezione. Una volta Carlètto, una volta Presidente.. Gli ho chiesto come stava. Mah, "minga tant ben", m’ha detto: aveva un po’ di artrosi al piede sinistro... Gli ho chiesto se era ancora segretario della sezione: mi ha detto di no: l’avevano fatto fuori sei anni prima, dei giovinastri, con la scusa che era troppo vecchio! "Pensa te" - m’ha detto: "vecc a vottantott’ann!" Era salito al potere uno sbarbato, certo Pasquagnolo, un fighetta, un ciciaron che parlava in politichese e che non si capiva niente! Solo perché era cognato di uno della federazione centrale! Gli ho chiesto della famiglia: due dei figli erano morti, ma tra nipoti e pronipoti erano in trentaquattro: e tutti iscritti! Anche il marito di una nipote, un intellettuale di merda che votava repubblicano, che si era iscritto per far star buono il vecchio!, ma che intanto pagava la quota! Tiè!, il repubblicano! Si ricordava di quando mi ero iscritto io: ero un ragazzino, e avevo sgarrato sull’età... ma lui aveva fatto finta di niente... E oggi?...
"E oggi ce l’abbiamo fatta!" M’ha detto tirando fuori il fazzoletto. "Crincio d’un dio, se ce l’abbiamo fatta!" Era per lui, ancora più che per me, il giorno più bello della sua vita. "E sai perché ce l’abbiamo fatta, presidente? Perché una volta, nel ’44, m’hanno preso i fascisti, a Milano, m’hann portàa in Via Rovello - dove che adesso credo ci sia un teatro, e che allora gh’eren i repubblichini della Muti, e m’han mis int’una cantina, e hann taccàa: Porco d’un socialista qua, e rosso di merda di là, e m’hann dàa tant di quei bott, e tante di quelle botte che alla fine il più intelligente di loro ha detto: basta, l’è morto! E invece io ero ancora vivo, e mi son detto: Faccio un voto alla madonna, orcodio!, e non muoio da questo mondo finchè voi, fascisti di merda, non siete spariti tutti quanti, e non c’è al governo un socialista come me! E quando che racconto questa storia c’è sempre nei paraggi un qualche pirla che ride, ma intanto eccomi qui: io vivo, loro andati, e ti te sett al governo! Ho vinto il voto con la madonna, e adesso posso anche morire: era nei patti... Vorrei soltanto vedere... Carlètto... magari anche solo per un giorno... le cose che cambiano, Presidente!"
"Cioè?..."
"Le cose che cambiano, Carlètto... vuol dire... che si capisca che sono cambiate, o che stanno cambiando. E che stanno cambiando perché siamo andati sù noi, e perché noi siamo fatti diversi! Ohei, ma ti rendi conto? "I socialisti al governo"! E’ una roba che a sentirla fa venire i brividi; ai sfrüttatori, ai nemici del popolo per un verso, a noi per un altro! E questo si deve capire, Carletto: una svolta da far girare la testa: il mondo che imbrocca finalmente la strada giusta: giò i sciuri, padroni e preti..."
Chiedo scusa!
"...e sù i lavoratori. Non è mica questo, Carlètto? Eh? Io è questo che aspetto, da tutta una vita, e che vita! Hoo fàa due guerre, due rivolussioni, dieci anni di galera, quarant’anni di matrimonio... Ho preso tante di quelle botte che le ultime non mi facevano neanche più effetto! E tutto per questa idea che c’avevo sempre davanti agli occhi: il sole che finalmente el ven sù... e fine della notte! Vederlo davvero, questo sole Carletto. Capire che è venuto sù davvero, e poi basta. Poi vado via, e non ci disturbo più a nessuno!"
Io il dottore non lo avevo ancora visto, e questo discorso su un mondo diviso tra "ricchi e poveri", tra "sfruttati e sfruttatori"... questo "sole dell’avvenire" che sorge dopo la notte della "lotta di classe"... mi urtava un pochino!... Ben altri erano i problemi!...
"Certo, Panigada!... " - gli ho detto: "Però, non sarà così facile. Dobbiamo muoverci in una situazione complessa, contradditoria... Dovremo ricercare equilibri, fare i conti con gli altri, contemperare i nostri programmi con le esigenze altrui...."
Ma mi ha subito interrotto. "Per l’amor di dio, Carlètto, tacca no anca ti a parlà come i sbarbàa che vegnen giò dalla Federassione, che se capiss gnent de quel che disen, e che vanno avanti così piano che bisogna fermarli perché non vadano indietro..."
"Sì, certo, hai ragione... Qualcosa senz’altro faremo... Tuttavia... non è così facile..."
"Ma neanche così difficile, Carletto. Giüstissia, lavoro per tutti, una casa ciascuno, le tasse a chi che gh’ha i danée, basta con le armi, e pittosto ospedali, pensioni e bambini... La gente non aspetta altro, Presidente. Io non ti chiedo di bruciare i preti o di far impiccare i padroni: perché io non ho mai odiato nessuno, neanche quelli che mi picchiavano. Loro piccaven, e io pensavo: povere bestie, chissà cuss’è che c’hanno in testa! Ma qui non puoi dirmi di no, Carletto: un po’ di socialismo, di quello vero, d’annata, come il vino buono!.."
A me, questo richiamo al socialismo alla Lavallière, cominciava a seccarmi, francamente... Tanto più che il Pamigada aveva innestato la quinta, e stava raccontandomi una storia che raccontava a tutti da sempre...
"Questa è la seconda volta, Carlètto, che vengo a Roma!..."
"Lo so, Panigada..." cercavo di interromperlo.
"L’altra volta l’è sta per un altro socialista, che aveva fatto carriera: Io ero fattorino all’Avanti, e lü el se ciamava Benito Mussolini!
"Lo so, Panigada...."
"Come l’è diventato presidente del consiglio, io ho ciapato sù e son venuto a Roma: e lui mi ha ricevuto, talis etequalis come che hai fatto te... Perché in fondo non era cattivo. L’ha rovinato il fascismo."
"Lo so, Panigada, me l’hai già raccontato..."
"Io però quella volta non mi sono commosso! Intanto perché ero più giovane, e poi perché lui aveva già preso una brutta piega. Quindi sono andato là a muso duro, e g’hoo dit: Sta attento, Benito, perché se vai avanti così finisci a piazzale Loreto!
"Lo so, Panigada, me l’hai già raccontato tante volte"...
"E lui dov’è che è finito? A piazzale Loreto, appeso per i piedi a un distributore di benzina, lui e la sua amante sporcacciona...
Nel 1922, Carletto, io avevo già previsto tutto!"
"Va bene, Panigada, vedrò di non finire così anch’io!"
"No, ti te set diverso, Carlètto! E è per questo che te raccumandi: un po’ di socialismo! E damm tràa a mi: è facile, Carletto! Così facile che uno non se lo immagina neanche!...
Basta provare!"
* * *
Poi, uscito il vecchio socialista... è arrivato il medico, poi è arrivata mia figlia... Il grande passato pieno di poesia.... la spietata realtà del presente... l’avvenire tutto da fare.... Cose che sembravano inconciliabili tra loro, si sono fuse nel mio cervello in un attimo, incastrandosi tra di loro in un’adesione perfetta, come le due metà di una mela, come l’esatta combinazione che fa scattare la cassaforte, come il colpo di fulmine che illumina due anime nate l’una per l’altra... come l’Eureka di Archimede alla vista dell’anello che scivola ondeggiando al fondo della vasca, come la mela che cade sotto gli occhi di Newton e d’improvviso gli spiega l’universo... come la folgorazione di San Paolo sulla via di Damasco... Non ho avuto più dubbi! Mi ha preso un coraggio... disperato! Mi ha riempito una disperazione... piena di speranza! Sei mesi di vita! "Tanto tra sei mesi me ne devo andare!" "E’ così facile che uno non se lo immagina neanche!"
* * *
Il giorno dopo c’era la riunione del Consiglio dei ministri. L’ho fatta rimandare di un giorno, poi di un altro, poi di un altro ancora! Quando non mi è stato più possibile rimandarla... non ci sono andato. Andavo invece a spasso tutto il giorno: senza macchina blù, senza scorta, in mezzo alla gente. Parlavo, ascoltavo, promettevo...
Ah, è stato il momento più bello della mia vita. Mi sentivo come doveva sentirasi Iddio, nei primi tempi del mondo, quando scendeva dalle nuvole e parlava con Mosè, con Noè, con Abramo... E - questo è il bello! - più scendevo tra la gente, più vedevo dall’alto i miei colleghi, o i miei ex-colleghi. Questi piccoli uomini che si danno importanza gonfiando il petto come un gallo di montagna quando corteggia la femmina. Sussiegosi, permalosi, tutti presi nei loro giochi, tronfi di un potere... che è lo stesso di un dirigente che ottiene, dopo anni di lotte e di manovre, la chiave del gabinetto riservato... Ah, che cos’è il potere politico, visto dall’alto! Che commedia! Che tragedia! Che farsa!...
Io parlavo. E soprattutto... facevo tutto alla luce del sole. Trasparenza, glasnost: erano parole di moda, e io le mettevo in pratica.... Chiamavo pane il pane, e il vino lo chiamavo vino. Non avevo nessuna delle cautele di cui i politici rivestono i loro pensieri. E così annullavo la distanza abissale che separa le stanze dei bottoni dalla gente comune, dal popolo. Forse potrà sembrare strano, ma... così facendo ho scoperto il socialismo anch’io, sì. Questa cosa - non so chi l’ha detto - così facile in sè, e così difficile da fare. Dicevo alla gente: "Ma non siete socialisti, a casa vostra? Davvero i vostri figli li trattate secondo quello che rendono? O non forse secondo i loro meriti? Ma cosa dico: proprio se avete la disgrazia di avere un figlio che non rende - perché è malato - o che non ha nessun merito - perché è finito male... non è proprio a quello che dedicate più cure, più soldi, più solidarietà, amore?... E perché se questo vi sembra giusto lo fate solo nell’ambito della vostra famiglia: perché non lo allargate, ai vostri vicini, ai vostri condittadini, ai compatrioti, a tutti gli uomini del mondo." Questo discorso faceva breccia soprattutto nelle donne. Per gli uomini funzionava soprattutto un altro discorso: "Siete proprio sicuri che sia meglio competere che collaborare? Il vantaggio di mandare in rovina il tuo concorrente, vale davvero il rischio che sia lui a mandare in rovina te? Siete proprio sicuri che non abbiano ragione i somari, che se devono tirare un carretto lo tirano tutti e due dalla stessa parte, e non uno di qua e uno di là? E se questo lo capiscono i somari, che cosa ha distratto gli uomini dal capirlo?"
Io non voglio tediare questa illustre Corte con questi discorsi in fondo banali. Vorrei poter illustrare il socialismo - in cui credevo da ragazzo, e nel quale ero tornato a credere da... da condannato a morte - vorrei poterlo illustrare, dicevo, con alte argomentazioni, con un'analisi profonda, storica, sociale... ma mi sta capitando qui quel che mi è successo allora: quando stavo preparando, appunto, un discorso - come si dice? - di altissimo profilo, che mi ripromettevo di fare alla televisione. L'analisi economica delle sperequazioni sociali!.... Il concetto keynesiano della ridistribuzione del reddito riesaminato in chiave marxista!... La globalizzazione dei problemi, dello sfruttamento delle risorse!... L'organizzazione mondiale del lavoro!... Ma poi... di queste cose, come per fare le prove per il grande discorso televisivo, parlavo con la gente: il mio barbiere, un ambulante negro che vendeva braccialetti, il parroco del mio quartiere, una coppia di studenti che si baciavano ai giardini... E mi accorgevo che il mio discorso si semplificava, si riduceva ad una serie di battute ad effetto: Chi lo ha detto che se tu hai il frigorifero pieno, e io ho fame e ti rubo una mela... il ladro sono io? Se a questo mondo c'è spazio per tutti, come mai c'è chi soffoca? Le banche sono piene di soldi: come mai c'è chi stenta la vita? Perchè i paesi civili vendono armi ai paesi in via di sviluppo? Di che sviluppo si tratta? E' il colore della pelle che rende obesi i bianchi e denutriti i negri?... Dio mio, che vergogna! Sognavo un grande discorso sul socialismo, e mi ritrovavo a fare queste battutaccie, ad affondare in questa ridicola demagogia! E più riprovavo, e più andavo peggio! Finchè un giorno mi sono ritrovato in una grande piazza, piena di gente, venuta lì a sentire la parola nuova, dal capo di governo improvvisamente impazzito, e non sono riuscito a dire niente: niente di quello che avrei voluto dire, ma solo tre ridicole banalità: "Non mentire! Non rubare! Non uccidere!"
* * *
Fine della parte ideologica..
* * *
I politici - i miei colleghi in politica - hanno presto capito che non potevano più fidarsi di me. Certo: avrebbero anche potuto mettermi da parte, preparare una bella mozione di sfiducia, sfiduciarmi, obbligarmi a dimettermi, o... dimettermi loro. Ma non era facile: la gente ormai era tutta dalla mia parte. E loro... coperti di ridicolo, inaffidabili, impotenti. Bisognava ricondurre la vita politica sui binari tradizionali, ma questo era impossibile, con questa schegggia impazzita che andava in giro a parlare, a parlare... Bisognava in qualche modo... squalificarmi, delegittimarmi, eliminarmi!...
Eliminarmi! Ecco l'idea!.. Un'idea si faceva strada a poco a poco nella mente e nella coscienza dei miei colleghi. Erano tutta gente molto colta, che bene conosceva la storia, e che sapeva che qualche volta di fronte a un nemico, a un avversario, a un antagonista, la cosa migliore da farsi era quella di... farlo sparire. La storia è maestra di vita: un bel processo... e poi una mannaia, un cappio, una ghigliottina, una sedia elettrica, un plotone d'esecuzione. Ma la cosa era impossibile: un processo? E con quale accusa? Tradimento? Via, ridicolo! Però... che belli i tempi in cui si assoldava un sicario... o si metteva un po' di veleno in un calice... o anche semplicemente, alla fine di una discussione un po' animata, si tirava fuori una pistola e si freddava quello che ti stava seduto di fronte!... Altri tempi! Tempi orribili, certo! Che peccato, però!
Un giorno, i rappresentanti dei partiti che facevano parte della coalizione di governo, si sono riuniti per discutere il problema. Io, grazie ai poteri speciali che ho acquistato... "dopo" l'incidente, ho saputo esattamente che cosa si son detti, e quel che hanno deciso. Ma in un certo senso l'ho saputo subito. Perchè... mi è capitato di fare un sogno, un sogno miracoloso: rivelatore, premonitore... in cui avevo visto e sentito tutto. Un sogno strano, però: nel quale - forse sotto l'impressione di un film che avevo visto chissà quando - questa riunione dei miei colleghi, mi era apparsa come una riunione di gangsters: gangster... all'americana, come nella Chicago degli anni Trenta, come quelli che si vedono al cinema. E se non vi dispiace, mi permetterei di raccontare le cose come le ho viste in sogno: il senso dei fatti è lo stesso, e se non altro è più divertente.
* * *
Una riunione di gangster, dunque. Con il più vecchio, il padrino, in rappresenza del partito dei Conservatori di sinistra, di maggioranza relativa, che fa gli onori di casa.
"Ringrazio anzitutto Joe Cupiello, che ha voluto questa riunione, e in particolare Albert Mammamia, che ha accettato l'invito, dimenticando i due figli e i tre nipoti che Joe gli ha dovuto far fuori, in cambio naturalmente del padre e dei tre zii e cugini che Albert ha fatto fuori a lui! Segno questo che tutti capiamo che bisogna mettere da parte gli antichi dissapori, e riportare la pace tra le nostre ganghe!"
E tutti gli altri: sì, bene, vero!
"I fatti sono presto detti: l'anno scorso io ho avuto un giro d'affari di two milions dollars, due milioni di dollari!, quest'anno potrò accendere un cero alla Madonna se farò tanto di fare cinquecentomila dollari! Se a qualcuno le cose van meglio di così, io mi inchino, bacio le mani, e gli chiedo se mi vuole assumere!"
Risate, battute, "è vero", "è vero"!
"La ragione, la sapete tutti. Un fetentone, un verme rinnegato, un delinquente traditore e figlio di puttana, fino a ieri amico e compare nostro... è improvvisamente impazzito, e s'è messo a fare la rivoluzione in casa nostra come se fosse casa sua!"
Approvazione generale: "vero, vero!"
"Basta dire, compari, che questo signore - questa merda, chè altro non mi viene da dire - va in giro dicendo a tutti che non c'è nessun bisogno di noi e della nostra protezione, che ciascuno è libero di fare il mestiere suo senza l'approvazione nostra, e che a vivere in pace non c'è nè rischio nè pericolo, e che l'unico pericolo siamo noi, noi, noi!, perchè è la nostra onorata società che con una mano minaccia, con l'altra offre protezione con l'altra ancora appicca l'incendio al salumiere che non paga, sfregia la puttana che vuol far di testa sua, fa saltare in aria la pompa di benzina che ci rifiuta la percentuale, butta a mare con una pietra al collo il compare che non sta ai patti! RockyMaccione, parlate voi."
(Rocky si presenta.)
"Parole santissime. La riscossione incontra difficoltà crescenti; e ormai è un dilagare di gente che non ci riconosce, e rifiuta di pagare. I primi a cominciare non sono stati - pensate un po' - i grandi supermercati, le pelliccerie, le gioiellerie... no! Sono stati i pesci più piccoli: panettieri, lattai, droghieri! In principio sembrava una rivolta di straccioni. Ma poi anche gli altri si sono accodati: i macellai, le carrozzerie, l'abbigliamento... per finire con quelli che erano sempre stati i più docili e sensibili: slot machines, discoteche, night clubs!"
"Voi, MacKormick! I vostri uomini, che dovrebbero... far rispettare i patti?"
(McKormick si presenta.)
"I miei uomini... devo dire che anche tra i sicari più incalliti soffia aria di ribellione. Uno - dopo che aveva parlato con il fetentone - ha detto che se non era perchè preso nel giro, mai si sarebbe sognato di lasciare il mestiere di suo padre e di suo nonno, che era di fare il sarto e di strar tranquillo. E il risultato è che si è trovato un posto di garzone proprio presso il barbiere che l'avevamo mandato a dargli una lezione. Questa è la verità, caro don Ciccio! La rivoluzione ce l'abbiamo in casa."
"Tony de Conception!"
(Tony si presenta.)
"Puttane, travestiti, e affini. Confermo la tendenza, don Ciccio eccellentissimo, e compari tutti! I marciapiedi si rivoltano, per non parlare delle case d'appuntamento, e degli erossenter! Ho parlato anch'io con varia gente, via telefono o di persona: ma la decenza mi impedisce di riferire le risposte che ho raccattato!"
(Riparla il capo:)
"Dunque, la situazione è questa. Ci rifiutano. Tutti. Ma quello che più preoccupa è che questa fetentissima rivoluzione, anzichè gettare il quartiere nel caos, nell'anarchia e nel terrore... bisogna riconoscere, sia pure nostro malgrado e a denti stretti... che la popolazione sta bene, anzi sta meglio: quasi fosse vero quello che dice l'innominabile figlio di mignotta, che noi non serviamo a niente, e anzi facciamo danno e meglio sarebbe se non ci fossimo. Gli affari rifioriscono: i negozi, coi soldi che risparmiano, causa i mancati pagamenti per la nostra protezione, si sono riftti e tinti a nuovo, sono più belli, e sfolgoranti di luce. I ristoranti sono pieni di gente, perchè nessuno ha più paura a far tardi alla sera. Alle slot machines ci vanno anche i bambini, che prima le mamme se li tenevano attaccati alle sottane nel tremore di chissà che cosa."
(Interviene un altro)
"E le puttane? Dicono che è come se gli avessero tolte le tasse: e fanno gli straordinari, e hanno anche abbassato i prezzi! Se vi dicessi cosa costa ogi farsi fare un...."
(Altri alla rinfusa)
"I cinema son pieni..."
"L'edilizia si è rimessa in moto.."
"Il commercio va da dio!..."
(Poi il capo impone la calma, con un deciso pugno sul tavolo:)
"Amici, abbiamo parlato anche troppo. Adesso non è più questione di parole, ma di fatti! L'uomo - l'innominabile, il fetentone, il traditore figlio di puttana - deve morire!"
"Sì, sì, sì, a morte!, è vero!, giusto!"
(Di nuovo il cap:)
"Calma un momento. Questa è la mia proposta. Ma non siamo dei selvaggi e viviamo in un mondo democratico. Ai voti."
(Prende il proprio cappello, che si trova posato da qualche parte, e lo rovescia mettendolo sul tavolo.)
"Chi approva la condanna a morte del fetentone traditore, metterà nel cappello un biglietto da dieci dollari: chi è contrario, un biglietto da un dollaro."
E qui, signori della Corte, improvvisamente, dopo questa scena -divertente - alla Al Capone, il sogno è ritornato alla realtà della nostra vita politica.
"Ah, no!" - ha detto uno dei... miei colleghi: "questo è troppo, io non ci sto, ma che diavolo, siamo dei gangster?, che ricorrono all'omicidio, alla soppressione fisica dell'avversario? Riconosco che l'uomo è nocivo, che ci ha fatto del male, che è pericoloso per l'armonia e la vita democratica del paese! Ma in fin dei conti, io ho l'onore di rappresentare un partito che si richiama ai valori del cristianesimo. Posso augurarmi un intervento della Provvidenza, ma non sostituirmi ad essa. Non mi sottraggo alla prassi democratica del voto, ma sento il dovere di esprimere un fermo parere negativo alla proposta che pur così autorevolmente ci è stata fatta."
(Con gesto sicuro e fermo pone una banconota nel cappello.
Prende la parola un altro dei presenti.)
"La tradizione del partito che qui rappresento... e che affonda le radici nel liberalismo illuministico ed umanitario che per primo - signori! - mise al bando la condanna a morte, non può rinnegare se stessa neppure di fronte ad un caso che pur sembrerebbe - dico sembrerebbe - autorizzare l'adozione di misure estreme come legittima difesa. Ma il nostro "no" a che un uomo possa togliere la vita a un altro uomo.... è colonna portante del nostro modo d'essere."
(Anche lui "vota" mettendo una banconota nel cappello.
Prende la parola un altro)
"Il partito di cui mi onoro di far parte... ha messo al primo ed unico punto del suo programma la salvezza ecologica del mondo! Vogliamo salvare le foreste del Brasile e le foche della Scandinavia, riportare a nuova presenza il muflone dell'Alta Savoia, che si è estinto due secoli or sono... potremmo forse avallare la sopressione di un solo essere umano?"
(Vota. Prende la parola l'ultimo dei presenti.)
"Il mio partito, che tiene alto il vessillo delle sinistra socialista, non è più quello degli orrori della guerra di Spagna o delle purghe di Stalin, ed ha anzi fermamente rinnegato ogni metodo fondato sulla violenza e sull'intolleranza. Nel limpido linguaggio che ci caratterizza, credo che nessuno potrebbe negarmi la propria approvazione se mi rifiutassi di non aderire a un'azione che difficilmente si potrebbe affermare, senza inutili trionfalismi, il contraio di quella che non sarebbe inesatto non definire illegittima. Ergo: ecco il nostro fermissimo "no"!
(Vota. Il capo prende il cappello con dentro le banconote.)
"Dieci dollari.. sì. Un dollaro...no.
(Vuota il cappello, procede alla conta.)
"Dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta. La proposta è approvata all'unanimità.
Ringrazio gli amici."
(Lunga pausa.)
* * *
Vorrei tornare al tema... anche se non credo di esserne mai uscito. Che significato, che valore può avere il "suicidio" - come dice l'accusa - di un uomo in dirittura d’arrivo per un cancro, e condannato a morte dai suoi nemici ed amici? Che vita mi sarei tolto, quand’anche fosse? Chè poi, ero tutt’altro che preoccupato, angosciato, stanco della vita. Certo, qui dietro, nel retrobottega della mente, avevo sempre lo spettro di quel che mi aspettava: ma ormai mi ero abituato, e convivevo benissimo. Mi sentivo leggero. Svegliandomi alla mattina, o andando a letto alla sera, quando mi guardavo un po’ più da vicino... mai avrei detto di avere pochi mesi di vita. Ero un po’ dimagrito, è vero: ma siccome prima ero un po’ ingrassato, ecco che stavo benissimo.
E mi stavo divertendo. Dopo decenni passati a misurare le parole e i pensieri, che sollievo poter dire la verità, sì e no: e basta. Il resto è del demonio, ha ragione il vangelo. E' anche più facile, e fa bene alla salute: quel groppo che avevo sempre qui, tra cuore e polmoni e stomaco, se ne è andato, come liquefatto: e l'aria fresca che adesso respiro mi dà nuova vita... proprio mentre il male me la toglie. In questi momenti mi piacerebbe anche essere buono, ma l'imbarazzo, lo sgomento degli altri mi dà una gioia un po' cattiva. Un po' di sadismo forse ci vuole; e non si può pretendere tutto dalla vita, e neanche dalla morte. Mi divertivo soprattutto quando buttavo là ai miei colleghi una qualche semplice verità, e poi gli chiedevo se questo contrastava con i loro principi. "Meritocrazia!", per esempio: i migliori al posto dei raccomandati!
(Si volge intorno come per un giro di domanda ai presenti:)
"Le sembra un'idea poco democratica?..."
"No, no, indubbiamente..."
"Illiberale, o antilluministica?..."
"Oh no, no.."
"Scarsamente repubblicana?...."
"Beh... no, no.."
"Anticristiana...?"
"Oh no, per carità..."
Facilissimo. E pensare che c'è gente passata alla storia - santi, poeti, eroi - tutto sommato... per questo ridicolo, enorme, banale coraggio di dire che due più due fa quattro, che quando piove ci si bagna, che il fuoco scotta... Io avevo trovato questo coraggio! Ma un giorno....
* * *
Era il giorno della festa delle repubblica. Un grande ballo, nel palazzo del presidente, al Quirinale... Ministri, ambasciatori, uomini della cultura, dello spettacolo... indossatrici, sportivi... la crème. E naturalmente anch'io: il primo ministro, naturalmente. E i miei colleghi ed amici... che proprio per quel giorno, in quella confusione, avevano deciso di sistemare i conti... di mettere in atto - come avrebbe detto Hitler - la soluzione finale. Io odiavo quelle feste: e tutti lo sapevano. Mi davano fastidio il rumore, il sorriso obbligatorio, reggevo malissimo il vino, e bastavano i due bicchieri dei brindisi inevitabili, per darmi un senso di stordimento... Tutti sapevano che, eseguiti i salamelecchi di rito, io avevo la tendenza di tanto in tanto a tirarmi fuori dai piedi, ritirarmi in una qualche saletta laterale, a respirare un poco, prima di rituffarmi doverosamente nella bolgia. Mi affacciavo alla finestra... guardavo fuori, all'aria fresca, invidiando le rondini, cercando di smaltire i fumi del vino. Qui doveva raggiungermi uno di loro... e profittando della situazione, della solitudine, della mia debolezza... darmi quella piccola spinta che sarebbe bastata a farmi cadere giù dalla finestra, oltre il basso davanzale... al più aiutantomi un poco... prendendomi per i piedi... a mo' d'incoraggiamento... Quale di loro, lo avevano estratto a sorte, come.... come i congiurati in un'opera lirica. Ed era toccato proprio al rappresentante del mio partito: un compagno. Come nel "Ballo in maschera" di Verdi (non so se loro conoscono): Renato. Poi, a cose fatte, il "sicario" doveva nella grande sala e gridare "Il presidente si è gettato dalla finestra!" "Il presidente si è gettato dalla finestra! "Hanno ammazzato compare Turiddu!" Poprio un'opera lirica, ripeto.
Tutto si è svolto secondo i piani prestabiliti. Beh... "quasi" tutto. Io ho fatto il mio dovere mondano, sia pure seminando quelle frasi e quei giudizi che mi avevano reso ormai famoso, e dicendo a quasi tutti quel che pensavo di loro, e lasciando al mio passaggio, una striscia d'imbarazzo, come gli animali con il loro odore ... Già un paio di volte mi ero ritirato in una saletta appartate, a respirare... ma non era successo niente. Forse i "congiurati" aspettavano che qualche altro bicchiere di vino mi rendesse più malleabile e disponibile... Quando a un tratto... scoppia la comica finale
Il mio medico curante. Non so neanche se invitato o non invitato. Entra tutto affannato nella sala. Mi prende per un braccio. Mi strappa al colloquio con un'ambasciatrice alla quale stavo spiegando perchè il suo Paese aveva bisogno di una rivoluzione. Mi trascina in un angolo. Non riesce neanche a parlare. Balbetta frasi sconnesse. Sono io che lo scuoto e che lo riduco alla calma. "Non è vero niente!..."
"Che cosa non è vero niente?"
"Non sei malato! Non hai niente! Sei sano come un pesce!"
Non capivo, non riuscivo a connettere...
"Un errore! Un terribile, ridicolo errore! Le tue lastre! Confuse con quelle di un altro! Tu non hai niente, capito? Niente! Niente! Stai benissimo! Sei sano come un pesce! Vivrai cent'anni! Hai capito? Rispondi: hai capito? Accidenti: reagisci, fa qualcosa!"
In effetti ero rimasto fermo, di ghiaccio, di marmo, come davanti alla Medusa. A poco a poco, mettendo assieme i frammenti, la nebbia del cervello dileguava. Tutto molto semplice: un banale scambio di lastre, tra me - sanissimo - e quelle di un povero diavolo malato davvero di cancro. Un errore, un equivoco... scoperto come? Quando appunto un altro tizio - forte delle "mie" lastre, e convinto di stare benissimo... era morto in pochi giorni... di sua spontanea iniziativa, corroso dal cancro, senza il permesso dei medici, senza il prmesso... della Facoltà di medicina, come avrebbe detto Molière...
Ero stordito. Ricordo di aver notato, in un lampo, da fuori - come se la cosa non mi riguardasse - che la notizia non aveva provocato in me la minima gioia. In quel momento mi si è avvicinata mia figlia... stavano iniziando il valzer che avevo promesso di ballare con lei... Abbiamo ballato, io come un automa, lei guidandomi, io con la testa altrove, ma dove non so... Gli altri mi giravano intorno, e mi sembrava che mi guardassero, con aria sarcastica, dicendomi: "E adesso?"
Non ho neppure terminato il valzer. Ho detto a mia figlia che mi girava la testa, che non stavo bene (ed era vero) e sono scappato di là...
Qui... è difficile raccontare, perchè tutto è stato come essere al centro di un terremoto, o di un maremoto, e vedere i palazzi, le ondate, crollarti addosso... Idee, sentimenti che si accavallano, che ti travolgono, scalzandosi l'uno con l'altro, senza il tempo di esser messi a fuoco... Mi sono sentito pesante, come se un granchio enorme mi fosse piombato sulla schiena e ora mi stringesse alla gola... Tutto quello che era limpido e facile, era di nuovo torbido e complicato... Avevo di nuovo una vita davanti! Ed ecco, toccavo con mano che solo l’idea della morte mi aveva dato la forza di dire quel che pensavo, di fare quel che volevo, di giocare.... infischiandomene dei miei nemici, dai quali ero pronto a mettermi in salvo, con uno sberleffo... con un saltello oltre la soglia che ti mette al sicuro da tutto... Non avrei più potuto dire: "Tanto tra poco me ne vado!" Restare lì, sarebbe stata la mia condanna. Lo sgomento si precisava in un senso di paura invincibile. La forza, il coraggio se ne erano tutti andati con lo spettro della vita che mi si apriva davanti, non avevano resistito un attimo all’immagine dell’avvenire che come un baratro nero mi si spalancava davanti... Ah, perché me l’hai detto? Perché? Questa nuova condanna era molto più crudele dell’altra. E ancora ho avuto il tempo di pensare: come è strano tutto questo! Solo quando tutto è perduto sappiamo essere giusti e coerenti? Di fronte all’eternità e al nulla sappiamo essere eroi, e diventiamo invece vili e meschini se dobbiamo misurarci con gli altri nelle piccole cose di questa povera terra? Ed è soltanto liberandoci di noi stessi - di questo corpo, di questi stracci, di queste parvenze di potere - che siamo davvero liberi di pensare e di volere? E’ stato il mio attimo fuggente... Ho sfiorato per un attimo la verità, ma il sapere di dover durare mi ha piegato le ginocchia...
Che cosa avrei potuto, dovuto fare? Tornare a fare i conti con quel mondo... riprendere la commedia senza la quale non si vive... riconfondermi con gli altri... Tornare lì, nell'arena, magari a recuperare l'attendibilità, il prestigio, l'affidabilità che avevo perduti? Riconsegnarmi al luna park che tanto mi ero divertito a smascherare, a sbeffeggiare... quando avevo a portata di mano... la morte: ... fresca, sorridente come una bella amante... che mi apriva le braccia per dirmi: sù, vieni, ti difendo io! Io non tradisco!...
Quando è entrato il compagno... per la soluzione finale... ho pensato che almeno questa soddisfazione non dovevo dargliela. Ma ero troppo sconvolto, e - sinceramente - non so... Ho sentito le sue mani su di me, sì, ma io ero già chino, piegato sulla balaustra, teso verso il vuoto, verso la morte, purtroppo non più così bella, fresca, invitante come prima... Un buco nero.... sconosciuto, misterioso.... Meglio comunque - nello sgomento in cui mi trovavo - che non le luci del luna park...
Quanto, come, se, chi m'abbia spinto, io o lui, a chi la colpa, in che esatta percentuale... non lo so. Ha importanza? Non lo so.
Il compagno sicario è tornato in sala, gridando "Il presidente si è gettato dalla finestra." Ma era vero, o faceva parte del copione? Non lo so. Ha importanza? Non lo so.
Ricordo solo il mio ultimo pensiero, nel lunghissimo attimo della caduta verso la fine. Incredibile le cose che affiorano nell'ultimo momento della vita di un uomo! Una citazione letteraria, di un poeta... che se ne intendeva, di queste cose; ma che - vi prego di credere - mi è salita alla mente con tanta spontanea forza che è come se l'avessi scritta io: "Morire è facile" ho pensato: "Vivere, invece!.. Vivere è veramente più difficile".
(Lunga pausa.)
Questo è tutto, signori della Corte: non so se contro o a favore dell'accusa che mi è stata mossa. Io non ho altro da aggiungere. A voi la sentenza. Io sono pronto.
(La Corte pronuncia la sentenza. Un lungo momento di intensissimo silenzio. Vediamo l'Imputato spsasmodicamente teso a sentire: ne vediamo le labbbra accompagnare evidentemente certe parole che sente... Dalla sua espressione è impossibile dedurre quale orientamento prendono le cose. E del pari, è impossibile capire quale può essere la sentenza, quando, alla fine - imperturbabile - l'Imputato china la testa e si inchina, pronunciando l'ultima battuta:)
Ringrazio la Corte.
F i n e