Sabbie mobili

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SABBIE MOBILI

Commedia in tre atti

di ANTONIO CONTI

Rappresentata dalla Compagnia diretta da Romano Calò

PERSONAGGI

MAX ROLLER: 42 anni, già un po' grigio e quasi calvo, trasandato: tem­peramento energico, la cui vi­gorosa rudezza, fin quando non sia eccitata, si compone in una serena bonomìa

RIC­CARDO KERSAL: 36 anni, biondo, un po' pallido, flemma­tico, tipicamente inglese, ele­gantissimo nel suo abito spor­tivo

SOLANGE: 30 anni ap­pena, freschissima, vibrante, un po' romantica: ha stupori, allegrezze e abbandoni da bambina.

FUNKE e WEISS: della polizia di confine.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Stanzone a pian­terreno di una vec­chia casa in alta montagna. Grosse travature, mobili massicci, strisce d'intonaco recen­te, che indicano il restauro di qual­che fenditura alle pareti un po' af­fumicate.

A destra, sul da­vanti, l'entrata, e verso il fondo una finestra con grossa inferriata. A sini­stra, l'ampio cami­no patriarcale e l'uscio per andare in cucina.

Nel mezzo della parete di fondo un'alta vetrata a due battenti, coi vetri protetti da tendine chiare, chiude l'ampio vano ad arco della scala, nel quale tre gradini conducono a un pianerot­tolo rialzato (ben visibile dalla sala) ove s'apro­no due usci, uno di fronte l'altro a destra, e da dove parte, volto a sinistra, il primo ramo della scala, di cui si vede lo scalino più basso. Un antico lampadario arrugginito pende da una trave sulla grande tavola, attorno alla quale sono alcune sedie pesanti. Altri seggioloni un po' sgangherati accostati alle pareti. Due enor­mi credenze di noce ai lati della vetrata di fon­do; un vecchio girarrosto e gli alari con i pomi d'ottone sull'aiuola; bottiglie polverose sul ca­mino: aspetto di casa abbandonata.

 Scena completamente buia. Si sente ansare il motore di un'automobile in salita. Poco dopo la luce dei fari investe la finestra, rischiarando per un momento la scena. L'automobile gira, si ferma sotto la finestra, sui vetri della, quale ri­mane il riflesso della luce proiettata verso altra direzione. Voci confuse, risate, passi che s'av­vicinano. Una chiave stride e fa scattare la gros­sa serratura. La porta di destra s'apre. Nel buio della stanza irrompe, col vento, la fresca risata di Solange.

Voce di Riccardo          - Kersal….. Aspetta. Sta' attenta.

Voce di Solange           - (in un piccolo grido) Ah! Cos'ho fatto! (Rumore di cose che cadono).

Voce di Riccardo          - Sei caduta?

Voce di Solance            - Un po'... (E ride).

Voce di Riccardo          - Te lo dicevo, io. Ti sei fatta male?

Voce di Solange           - Ma no. È che non trovo più le candele.

Riccardo                       - Aspetta. (Entra con due valigie).

Voce di Solange           - Ah, eccone due.

Riccardo                       - (depone a terra le valigie, accende un cerino per far lume verso l'entrata) Fa' presto.

Solange                         - (entra recando un termos, una va­ligetta e due candele) Accendi.

Riccardo                       - (va all'interruttore ed eseguisce) Ho una fame...!

Solange                         - E io?

Riccardo                       - Metti dentro quella roba che hai lasciato cadere. Io vado a dare una mano a Max, per infilare la macchina sotto la capanna. (Si fa dare una candela ed esce).

Solange                         - Porta su le coperte. (Esce e torna subito con pacchi e scatole. Depone tutto qua e là, e comincia a mettere un po' d'ordine. Poi va alla finestra, apre. Si sente più forte il fra­gore della macchina durante la manovra). Ric­cardo?

Riccardo                       - (di dentro) Che c'è?

Solance                         - Non so dove metter le mani per cominciare. (E ride).

Riccardo                       - (d. d.) Chiudi, chiudi, che pren­di freddo.

Max                               - (d. d.) Sbrigati ad apparecchiare, piuttosto.

Solange                         - (richiude la finestra, trova uno strac­cio per spolverare la tavola, sulla quale stende la tovaglia e i tovaglioli che prende da una cre­denza. A un certo punto s'arresta, rimane un po' in ascolto, indecisa, assorta in un pensiero che le dà una crescente trepidazione. Poi, come se si risolvesse a fare una cosa che l'impaurisce, va ad aprire la vetrata di fondo, sale sul piane­rottolo, mette la mano sulla maniglia della porta di fronte, che è chiusa: s'arresta, ridiscende ra­pida appena sente voci e passi che s'avvicinano. Cerca di riprendere un'aria disinvolta, conti­nuando ad apparecchiare).

                                      - (Entrano Riccardo e Max, recando coperte, e altre cose da viaggio; hanno le spalle punteg­giate da fiocchi di neve).

Max                               - Allegri, Solange, che comincia a ne­vicare.

Solange                         - Davvero?! Che bello!

Riccardo                       - Purché non ne faccia tanta da bloccarci quassù fino a primavera.

Max                               - Eh, là, là! Tutt'al più lasceremmo la macchina qui, e andremmo a piedi.

Riccardo                       - (buio) Sai che ridere, giù per quei burroni.

Solange                         - Invece sarebbe un'avventura me­ravigliosa.

Max                               - (piantandosi in mezzo alla stanza a guardare attorno) Oh! ecco qua la nostra bella casa! Era un pezzo che non la vedevo.

Riccardo                       - Bisognerà accendere il fuoco.

Solange                         - Di legna ce ne dev'essere tanta, di sotto. (Mette in tavola i piatti e i bicchieri che pulirà con un tovagliolo).

Max                               - Andrò io.

Solange                         - (a Riccardo, che sembra assorto in altri pensieri) E tu non fai niente?

Riccardo                       - M'ha stordito tutta quella salita che non finiva più.

Max                               - Fosse la prima' volta che la fai...

Riccardo                       - Sì, ma di giorno è un'altra cosa.

Max                               - Chi sa perché? Oggi non te ne va bene una. (Esce a sinistra).

Solange                         - Ha ragione, sai, tuo fratello.

Riccardo                       - Brava! Mettiti di rincalzo.

Solange                         - Oh, guarda...! (Raccoglie da terra qualche cosa) Indovina cos'ho trovato...

Riccardo                       - Ma già: anche gli indovinelli...

Solange                         - Lo vedi? Il tuo spillo da cravatta. E giuravi d'esser sicuro d'averlo portato via, quando siamo partiti da qui in agosto. (Gli in­fila lo spillo nella cravatta).

Riccardo                       - E va bene. Si vede che devo sem­pre aver torto io.

Solange                         - (tenera, gli prende il mento fra il pollice e l'indice, per costringerlo ad alzare la faccia) Povera vittima', lui!

Riccardo                       - Lasciami stare.

Solange                         - (sorpresa) Ma allora hai qualcosa davvero ?

Riccardo                       - (evasivo, cercando di attenuare) Niente... te l'ho detto che sono stordito.

Solange                         - Tanto stordito che da stamattina non ti sei mai ricordato d'esser gentile. (Gli si mette a faccia a faccia in atto di aspettare un bacio).

Riccardo                       - (ride contro voglia) Ma se sia­mo sempre stati in tre.

Solange                         - Quando vuoi, chiunque c'è, non ti manca il modo...

Riccardo                       - (la bacia) Lo vedi, eh? Desideri sempre che abbia torto io.

Solange                         - (lo abbraccia e lo bacia con traspor­to) Non lo vorrei mai, invece...

Max                               - (rientrando con un fascio di legna) E dagli!

Solange                         - (si volge subito sorridendo) Oh, non far tanti commenti, anche tu... Vicino a te diventa un orso anche questo signore. (Indi­ca Riccardo dandogli un colpetto sul volto).

Riccardo                       - Questo, magari, è un po' vero.

Max                               - (va ad accendere il fuoco) Per me, potete anche ridiventare collegiali.

Riccardo                       - (o Max) M'hai preso il passa­porto, e le altre carte che erano nella macchina?

Max                               - Io no.

Riccardo                       - Bravo. Te l'avevo detto...

Max                               - Chi vuoi che te li porti via?

Solange                         - I contrabbandieri.

Max -                            - Ma già: inventali!

Solange                         - No no, ci sono, sai... Vero Ric­cardo?

Max                               - Come no? Lui li scrive i romanzi, e si capisce... Fra tutt'e due fate chi ha più fan­tasia per le complicazioni. Adesso, per rendere sensazionale anche questa nostra tappa in alta montagna, e in una notte di neve per giunta, là, ci vogliono dei personaggi misteriosi ed ecco i contrabbandieri. (Ride).

Riccardo                       - (buttandosi su una sedia, imbron­ciato) Il bello è che non t'accorgi di diven­tare sempre più spiritoso.

Max                               - Certo, perché non pretendo di distri­buire brividi alla gente.

Riccardo                       - Per farlo ci vorrebbe dell'im­maginazione, e tu, invece...

Solange                         - (sul punto di uscire a sinistra, si volge a Max sorridendo) Val più un roman­zo suo...

Max                               - ... giallo...

Solange                         - ... sicuro, giallissimo, che tutti i tuoi pacchi d'azioni messi insieme.

Max                               - (sorridendo) Lo so, lo so. Figurati che me ne faccio un vanto con tutti a dire che sono il fratello... (con affettuosa esagerazione) del celebre romanziere e drammaturgo Riccar­do Kersal.

Solange                         - Adesso non lo gonfiar troppo, come al solito... (Esce).

Max                               - (subito diverso) A proposito: m'ave­vi accennato... Senza che lei lo sappia... cosa ti ci vuole...? (Da una tasca dei calzoni estrae un pugno di biglietti di banca).

Riccardo                       - (respingendo debolmente l'offerta) Per il momento... Se mai ti scriverò da Lon­dra... Ho dei progetti...

Max                               - (gli mette il denaro in una mano, e con rude affettuosità gliela chiude) Ma piglia, va là... Non far storie. Un uomo come te non deve avere queste preoccupazioni nel cervello...

Riccardo                       - Quant'è?

Max                               - Non lo so.

Solange                         - (rientra con le posate e una botti­glia d'acqua).

Riccardo                       - (a mezza voce, intascando) Gra­zie.

Max                               - (riprendendo il tono della celia, men­tre si toglie il cappotto) ... Con la differenza che io, per mancanza di immaginazione, anco­ra non ho commesso la corbelleria di prender moglie.

Solange                         - Perché non ne hai trovata' una come me.

Max                               - (con scherzosa ironia) Vorrai dire modesta come te.

Solange                         - Oh, ti farei vedere io!

Max                               - Appunto, ne fate veder tante... che è diventato un problema, con tutti questi cam­biamenti di connotati, sapere se una donna può piacere o no per tutta la vita. Adesso, per esempio, hanno preso la rivincita le donne brutte: con la moda di alterare la fisonomia, hanno costretto anche le belle a deformarsi, e non ci si capisce più niente.

Solange                         - Però hai visto, no? come sap­piamo guidare l'automobile...

Max                               - Sì, ma non vi date delle arie per così poco, perché ancora non s'è sentito dire che una donna abbia mai inventato una macchina.

Solange                         - Si capisce: fino a ieri ci avete co­stretto a essere...

Riccardo                       - (interrompendola, seccato) So­lange, sbrigati.

Solange                         - (un po' risentita) Ma sì, caro! Po­tresti pur far qualcosa, anche tu.

Riccardo                       - (acre) Quello che devo fare lo so io.

Solange                         - Caspita, che nervi!

 Max                              - (sorridendo) Su, su, non guastiamo I la pace in famiglia. (A Solange) Dove sono le cibarie ?

Solange                         - (indica una valigetta) Qui. E sentirai che cucina!

Max                               - (aprendo la valigetta) Speriamo. Veramente tuo marito, che la conosce bene, non I dimostra d'essere dello stesso parere.

Riccardo                       - (alzandosi per togliersi il cappotto) Auff! Che voglia avete di dire scempiaggini.

Solange                         - (prende i cartocci che Max estrae dalla valigia) Da' qua. Se no gli rispondo male davvero. (Ed esce rapida a sinistra).

Max                               - (prende dalla valigia e mette sulla ta­vola una bottiglia di birra, una di champagne, il pane e della frutta) Guarda un po'... per­sino gli stuzzicadenti. Ha pensato davvero a tutto.

Riccardo                       - Ti fermerai molto al Cairo? (Ad­denta un pezzo di pane, come se lo facesse per reagire al suo cruccio).

Max                               - (disponendo la frutta in un piatto) Una settimana appena; poi farò un volo a Ro­ma, e ai primi del mese conto di tornare a Berlino.

Riccardo                       - Affari grossi?

Max                               - Cerchiamo di assorbire due o tre so­cietà, per aver mano libera su certi mercati in Oriente. Ma non sarà facile. Tutto dipende dal saper manovrare in borsa, sui titoli di quelle società.

Riccardo                       - E... scusa sai... a proposito di titoli... adesso che siamo soli... è tutt'oggi che volevo chiedertelo...

Max                               - Di'...

Riccardo                       - ... ma' non trovavo il modo, tu capisci... Ho letto che qualcuno tira in ballo il tuo nome nello scandalo Klein... Io non me ne intendo, e quindi non posso...

Max                               - Non ho niente da spartire, io, né con Klein, né con la sua Enrichetta Vattier. Quello è un brigante, e lei un'avventuriera col dente avvelenato: fanno la fine che si meritano. (Va a sedersi al fuoco) Per conto mio possono stam­pare tutte le storie che vogliono: me ne infi­schio, tanto son sicuro d'aver le mani pulite. A suo tempo metterò a posto tutte le chiacchie­re, vedrai. Ma intanto tu devi credermi, dal momento che ti dò la mia parola.

Riccardo                       - Oh, non c'è bisogno che tu ag­giunga altro. Del resto ne ero sicuro. Non ave­vo l'animo di dirtelo appunto per il timore di adombrarti, per non turbare questa nostra gior­nata che ci era possibile passare insieme, dopo tanto tempo che non ci vedevamo. Ma qui, adesso, siamo a casa nostra, e ho sentito che se non ti avessi detto niente, sarebbe mancata quella confidenza che è proprio il senso della casa.

Max                               - No, no, se mai toccava a me essere il primo a dirti subito che, quanto a Klein e alle prodezze della' sua amante, potevamo farci una bella risata sopra. Ma, francamente, non ho voluto guastarmi il sangue. E poi, Enrichetta Vattier tu la conosci: non è tipo che possa in­tendersela con me.

Solange                         - (rientrando festosa col piatto gran­de dell'arrosto) Ecco qua il pasto alle belve.

Max                               - Olà, brava! Quanta bella roba, per­bacco. Hai fatto le cose in grande.

Solange                         - (sorride, rifacendo Riccardo, cui dà Un'occhiata di traverso) «Quello che devo fare lo so io! ».

Riccardo                       - (andando a sedere a tavola dalla parte opposta a quella del camino, le prende scherzosamente il ganascino) Non hai per­duto tempo per rinfacciarmelo, eh? Ormai hai trovato il leitmotif per chi sa quanti giorni.

Solange                         - Ti copio, caro.

Max                               - (a Riccardo, sedendosi con le spalle al fuoco) Così ti vedi nello specchio e, se t'ar­rabbi, è segno che non ti piaci.

Solange                         - Certo. (Si toglie il cappotto e, con graziosa civetteria, va a ravviarsi i capelli vicino alla finestra, specchiandosi nei vetri).

Riccardo                       - Eh, sai... non ti rispondo perché mi prendi alla gola... (E addenta un pezzo di carne, mangiando con avidità).

Max                               - (a Solange) Nevica ancora?

Solange                         - Sì. E ne fa molta.

Max                               - È un bel pasticcio, adesso. Se chiu­de la strada come si fa?

Riccardo                       - Io direi di non fermarci qui, stanotte, e di proseguire prima di rimaner bloccati.

Solange                         - (si siede a tavola di fronte alla ri­balta) Ah, no, caro! In una notte come que­sta io non mi muovo. La strada è spaventosa di giorno: figuratevi con un tempo simile.

Max                               - E poi non abbiamo le catene. C'è caso di scivolare maledettamente.

Riccardo                       - Ma se siamo costretti a rimanere qui, non c'è nemmeno da mangiare.

Max                               - Eh, be', si rimedia sempre.

Riccardo                       - Dove? In che modo? Se la casa più vicina è a sei chilometri da qui!

Solange                         - (scherzando) Intanto ci sono due sacchetti di cioccolattini, là dentro. (Indica una valigetta).

Riccardo                       - Figurati!

Max                               - (rìde) E poi possiamo cercare i con­trabbandieri perché ci vendano qualche cosa.

Riccardo                       - (infastidito) Ma io devo essere a Londra lunedì, senza meno: assolutamente!

Solange                         - (stordita) Telegrafiamo! (S'ac­corge subito della scemenza) Oh, scusate...

Max ............................. - Anch'io, lo sai, ho bisogno di far strada. Sarebbe un guaio serio. Ma adesso non ci pensiamo. Vedremo più tardi.

 Solange                        - Per me non c'è niente da vedere: io non parto. Coi lupi che ci sono in giro...

Max                               - Bum!

Solange                         - Noo? Chi sa che non abbiano già sentito l'odore della mia cucina, qui fuori.

Max                               - Certo, dei buongustai come loro...

Solange                         - (s'alza e va alla porta di destra) Anzi, non si sa mai: è sempre meglio...

Riccardo                       - Cosa diavolo fai, adesso?

Solange                         - (fa scorrere il catenaccio) Non co­sta niente.

Max                               - Così siamo in stato d'assedio.

Solange                         - (torna a tavola) E poi scommetto che nessuno dei due avete la rivoltella.

Max                               - Infatti...

Riccardo                       - Mai avuta, e son vivo lo stesso.

Solange                         - E così, senza un'arma qualsiasi, vorreste avventurarvi per queste strade...

Max                               - Io ho il temperino, se mai...

Solange                         - Dico che siete pazzi, ecco.

Riccardo                       - I nostri nonni hanno passato quassù la loro vita e son morti vecchi.

Solange                         - Altri tempi: ancora non c'era il traforo della ferrovia, e qui passava tanta gen­te, verso il valico...

Max                               - Già. Poi il progresso ha spopolato queste belle montagne...

Riccardo                       - Fino a un certo punto: perché ora, con l'automobile, anche quassù passa più gente di prima'.

Solange                         - D'estate...! ma non adesso.

Max                               - (a Riccardo) Di', ti ricordi la nonna, quando vide arrivare quassù la prima automo­bile?

Riccardo                       - Da quel giorno, addio favole lì accanto al fuoco!

Max                               - E la povera mamma, ti ricordi? An­che lei, che era vissuta sempre quassù, quando dovette venir via con noi, soprattutto per far studiare te che sin da allora scrivevi tutto il giorno, non sapeva più in che mondo fosse ca­pitata.

Solange                         - (che sorride anche lei, come i due fratelli, alla tenera rievocazione) E ancora non c'era lo stile novecento.

Riccardo                       - (a Max) Vedi, senza pensarci, stasera abbiamo ripreso a' tavola i nostri posti di allora. (A Solange) Lì c'era la mamma.

Solange                         - (commossa, a fior di labbra) Po­veretta. (Un silenzio).

Max                               - Ti ricordi quando veniva in tavola la frutta e la torta, nei giorni di festa?

Riccardo                       - Tu eri più grande e più forte, e ne facevi delle prepotenze!

Max                               - Sì, ma alla fine non riuscivo mai ad avere ragione: vincevi sempre tu, facendo la vit­tima. Mi torna in mente, adesso, quella' volta che io avevo appeso la mia calza per la befana a quel chiodo lì...

Riccardo                       - (sorridendo) Ah, già...! E' vero.

Max                               - Fu la volta che la befana mi portò solo cenere, carbone e cipolla.

Solange                         - Perché? Cos'era successo?

Max                               - Quel chiodo, chi sa perché, lo voleva lui. (Indica Riccardo). Io tenni duro. Finì a botte. E lui, figurati! Pianti, strilli, la mamma non riusciva più a consolarlo. Si acquetò solo quando si convinse che la befana, vedendo i bernoccoli sulla sua fronte, non mi avrebbe più portato niente di buono. Io che alla befana non ci credevo più, ma stavo zitto per tornaconto, presi la mamma in disparte e, minacciando di svelare il segreto, ottenni che mi desse la mia parte di nascosto.

Riccardo                       - Poi, manco a dirlo, corresti su­bito a farmela vedere tutto trionfante.

Solange                         - (cambierà i piatti per la frutta) Che tipo, però!

Max                               - Eh, chi l'avrebbe detto, allora, che io, invece di dedicarmi alla pastorizia, mi sarei ingolfato nell'inferno degli affari. È stato il tuo ingegno che ha trascinato al piano anche me. Se tuo padre non fosse venuto quassù, sarei rimasto montanaro anch'io.

Solange                         - L'hai conosciuto bene, tu?

Max                               - Eh, altroché! Il più lontano ricordo della mia vita è il suo arrivo qui in casa. Avevo su per giù quattro anni. Mi par di rivederlo. Era verso sera. Chiese il permesso d'entrare per riscaldarsi un po'. Si trovava quassù per le sue ricerche geologiche. Ricordo che mentre la mamma preparava la cena, lui si mise a discor­rere con la nonna. Mi colpì quando disse che aveva girato il mondo attraversando il mare. Per me il mare era una visione fiabesca, e quell'uomo che ne parlava così, con tanta confi­denza, mi faceva un'impressione, non so, come se fosse un mago. Però quando mi prese sulle ginocchia, e mi chiese se volevo bene al mio papà, io che il babbo mio non l'avevo cono­sciuto - la mamma era vedova da due anni - scoppiai in pianto, ed egli rimase tutto mor­tificato, mi fece dei regali, si mise a giuocare con me.

Riccardo                       - (intenerito dalla rievocazione) Eh, sì, puoi proprio dire, anche tu, che ti ha voluto bene, povero papà.

Max                               - Bene? Più del bene. Una tenerezza così buona, così attenta, io non l'ho più vista in nessun uomo. Per me è stato davvero un padre in tutto e per tutto. Sai, anche i bam­bini intuiscono certe cose che adombrano sem­pre i figli: e invece ricordo che gli buttai le braccia al collo quando mi chiese se ero contento che la mamma lo sposasse, perché lui, ormai, dopo aver girato' tutto il mondo, sentiva di star bene soltanto quassù. (Un silenzio).

Riccardo                       - (assorto nel triste ricordo) Mah! E' stata davvero tremenda la vita, per la mamma e per noi. Almeno ci fosse stato possibile dar loro una gioia, non so, farci vedere così, come stasera...! Anche a Londra, quanta gente mi ha parlato di lui come te, con lo stesso fervore...! Si può dire che sin da ragazzo, quando son dovuto andare dai miei parenti in Inghilterra, la memoria di lui mi ha sempre aperto tutte le porte, come se egli stesso mi accompa­gnasse. Così il passar del tempo non ha fatto che accrescere la mia pena di non averlo co­nosciuto. Pensare che la sera della disgrazia, mentre lo riportavano su dal fondo del bur­rone, io ho continuato a giuocare, lì fuori, tutto contento di poter muovere i primi passi. (Come se volesse scacciare la tristezza) Be', meglio non... Chi sa se nevica ancora?

Solange                         - Pare di no. (S'avvicina alla fine­stra) Ha smesso.

Max                               - Meno male.

Solange                         - Che ora sarà?

Riccardo                       - (guarda l'orologio) Però, quasi le dieci.

Max                               - Adesso davvero comincio a sentire la stanchezza. Voi no?

Riccardo                       - Sfido, siamo in piedi dalle cin­que. (A Solange) Mi meraviglio di te.

Solange                         - Vero? Non credevi...

Max                               - Però è stata una bella idea, di fer­marci qui a passar la sera'. Ogni tanto farebbe bene ritrovarci così. (Accende una sigaretta gi­randosi verso il camino).

Solange                         - (si fa dare da Max il portasigarette) Permetti?

Max                               - Vuoi fumare?

Solange                         - No, no. E' questo il portasigarette a doppio fondo?

Max                               - Sì.

Riccardo                       - Cosa?

Solange                         - (a Riccardo) Non lo sai? Uno dei mezzi di fortuna dello spionaggio internazio­nale.

Riccardo                       - Che spionaggio?

Solange                         - In genere: politico, militare, fi­nanziario. Vero Max?

Max                               - (a Riccardo) Tu, poi, non dovresti ignorarlo: per te sarebbe un ferro del me­stiere.

Riccardo                       - Doppio fondo, hai detto? Si ca­pisce subito cosa può essere.

Solange                         - Sì, però guarda come è masche­rato: impossibile accorgersene.

Riccardo                       - (va anche lui a sedersi accanto al fuoco accendendo la pipa) Ma è sempre un mezzuccio ingenuo, perché basta un sospetto...

Solange                         - Mica vero: dipende appunto dalla persona che fa da tramite. (Comincia a sparec­chiare).

Max                               - Anzi, soprattutto dalla persona, che può essere un emigrante, un uomo d'affari, e persino un personaggio politico. Io questo l'ho avuto appunto da un mio amico che fece parte dello spionaggio in Svizzera durante la grande guerra.

Solange                         - (nello sparecchiare s'accorge che c'è ancora lo champagne) E lo champagne?

Riccardo                       - Ormai...

Max                               - Come abbiamo fatto a dimenticarlo?

Riccardo                       - Forse perché non s'intona all'ambiente.

Solange                         - Allora lo riportiamo in pianura. (Rimette la bottiglia nella valigia con gli altri oggetti).

Max                               - (si alza) Scusate, ma io andrei a dor­mire subito, se fosse possibile.

Solange                         - I letti son tutti in ordine. Così almeno li ho lasciati in agosto, perché crede­vamo di ripassare quassù dopo pochi giorni. (Esce a sinistra per portar via i piatti).

Max                               - (prende il suo cappotto, una valigetta, ima candela, e va verso il fondo) A che ora la sveglia?

Riccardo                       - Non so... Verso le sette.

Max                               - Bene. Ma non farti pregare, come al solito. (Spalanca i battenti della vetrata, sale sul pianerottolo).

Riccardo                       - Eh, pregare, poi!

Max                               - Senti?... s'è alzato il vento. Tornerà sereno. (Apre l'uscio di destra e si sofferma a dare uno sguardo dentro) La mia bella camera! (Poi si gira per aprire l'uscio di fronte, ma tenta inutilmente la maniglia) Questa è chiusa, però.

Riccardo                       - Che?

Max                               - Chiusa a chiave.

Riccardo                       - A che scopo?

Max                               - Appunto. Se non lo sa Solange.

Solange                         - (che rientra da sinistra) Che c'è?

Riccardo                       - Dice che l'uscio della nostra ca­mera è chiuso.

Solange                         - Possibile?

Max                               - E la chiave dov'è?

Solange                         - Non so mica.

Riccardo                       - Si sarà perduta nella confusione della fretta, quando siamo partiti.

Solange                         - (guarda sul camino e qua e là) Strano, però.

Max                               - Se mai dovrete andar di sopra, in due camere separate, per stanotte...

Riccardo                       - (sorridendo) Meno male.

Solange                         - Ci tieni tanto? (E continua a cercare).

Riccardo                       - Forza maggiore.

Max                               - Be', buona notte.

Riccardo e Solange       - Ciao, buona notte.

Max                               - (esce e richiude l'uscio).

Riccardo                       - Non capisco questa' storia della chiave

Solange                         - E nemmeno io. Ricordo d'averla adoperata, quando qui capitò quella comitiva sorpresa dal temporale. Anzi, me lo dicesti tu di chiudere la nostra camera, per precauzione.

Riccardo                       - Appunto.

Solange                         - Da allora non ho più in mente...

Riccardo                       - Non importa. Lascia stare. An­diamo a letto.

Solange                         - Vorrei finire di mettere in ordine.

Riccardo                       - Ma no, è ora che ti riposi.

Solange                         - Un momento solo: tu, se vuoi, va' pure.

Riccardo                       - Viene in tempo domattina.

Solange                         - È ben chiuso da ogni parte?

Riccardo                       - Ma sì; cos'hai paura?

Solange                         - Aspetta. (Va a mettere il catenaccio anche all'uscio di sinistra).

Riccardo                       - Solange, scherzerai...! Se è chiuso anche di sotto.

Solange                         - Tanto meglio. (Ride). Mi piace esagerare. Andiamo. Domattina verrò a sve­gliarti col caffè.

Riccardo                       - Brava. (Prendono i cappotti e spengono).

Solange                         - (indicando verso la finestra) Hai visto? C'è la luna.

Riccardo                       - Meglio così. Ci dà la buona notte.

Solange                         - Ti ci vorrà un'altra coperta, però.

Riccardo                       - Se mai so dove sono.

(Escono in fondo, chiudono la vetrata, salgono la scala continuando a chiacchierare. Una risata di Solange; voci confuse; usci che si chiudono; poi silenzio. L'oscurità è attenuata dal river­bero rosso del fuoco e dal debole chiarore lu­nare. Dopo un po' esplode il trillo di una sve­glia subito troncato. Poi un rumore di cose smosse. Altra pausa di silenzio. Lo strisciare del vento. La luce di un fiammifero acceso nel vano della scala rischiara il pianerottolo. Una ventata più forte apre la finestra. Un altro fiam­mifero s'accende sul pianerottolo, e un'ombra indistinta si profila sulle tendine della vetrata. Rumore cauto di chiave che gira nella toppa e di maniglia smossa. Pausa. Gemiti soffocati dalla stanza di fondo; subito il silenzio è lace­rato da un grido di Solange, cui risponde un urlo strozzato, fra il fragore di mobili che ca­dono e lo strepito di vetri che si infrangono).

Voce di donna              - (pervasa da terrore, poi come soffocata) No., va via... Aiuto!...

Voce di Solange           - (pazza di sgomento, fram­mischiata all'altra) Ah! Lasciami...!

Voce di donna              - Aiuto...! Mi ammazzano... Assass... (Un colpo di rivoltella sembra spez­zare la voce in un rantolo).

Voce di

Solange ....................... - No... No... (Rumore di cose smosse, passi disordinati. Contro la ve­trata di fondo, dall'esterno, cade pesantemente un corpo di donna, che spalanca i battenti e rimane disteso sul pavimento verso la finestra. Poco dopo s'incrociano il battere dei passi e le voci concitate di Max e di Riccardo).

Voce di

Max                               - Cosa diavolo c'è... Riccardo? Solange?

Voce di

Riccardo                       - Solange ? Solange ?

Voce di

Max                               - Che succede?

Voce di Riccardo          - Dove sei? Rispondi. (Contemporaneamente Max e Riccardo, il pri­mo entrando da sinistra, il secondo scendendo la scala, giungono sul pianerottolo. Max è in maniche di camicia, ma ancora con gli stiva­loni; Riccardo è mezzo svestito).

                                      - (Il cappotto e una sciarpa di Solange sono di­stesi sui gradini. Max, passando, li scosta con un piede).

Max                               - Chi ha sparato?

Riccardo                       - Non so...

Max                               - È Solange?

Riccardo                       - (con rabbiosa disperazione) Non lo so.

Max                               - (indicando la donna a terra) Ma è lei, guarda.

Riccardo                       - (si precipita verso Solange, seguito da Max) Solange? Solange? Cosa t'hanno fatto? (La solleva, ma essa ricade come peso morto).

Max                               - Siamo noi, Solange...

Riccardo                       - (alzandole la testa) Sei ferita?... di', Solange?... Dove sei ferita?

Max                               - (fa un balzo per prendere la bottiglia dell'acqua) Che inferno c'è stato, non si ca­pisce...

Riccardo                       - Ho sentito urlare, sparare... So­lange?... Mi senti?

Max                               - (le spruzza l'acqua sul volto) E' tutta stasera che era spaventata...

Riccardo                       - Cara, cara, rispondi...

Max                               - Apre gli occhi...

Riccardo                       - Guardami, Solange...

Solange                         - (scossa da un brivido alza la testa e gira un braccio attorno al collo di Riccardo come se volesse rifugiarsi contro il suo petto; con l'altra mano indica il fondo) Là... là... qualcuno... là dentro...

Max                               - (guarda l'uscio di fondo) Ma come... ! È aperto...!?

Riccardo                       - Noo...!

Max                               - La camera. Guarda. (Si precipita sul pianerottolo, seguito da Riccardo, mentre So­lange rimane seduta in terra).

Riccardo                       - Possibile...?

Solange                         - (vorrebbe trattenere Riccardo) No, non andate...

Max                               - C'è la chiave nella toppa.

Riccardo                       - Che dici...?!

Max                               - (guarda dentro e ha un moto di racca­priccio) Una donna!

Riccardo                       - (atterrito) Ma no!

Solange                         - (discinta e scarmigliata tenta di rialzarsi) Riccardo... Sta' qui... Riccardo...

Max                               - (entra nella camera) È morta!

Solange                         - (ha un grido di terrore) Ah! (E ricade su sé stessa).

Voci di Max e di

Riccardo                       - (con la concitazione dello sgomento) Tutto sangue... Aspetta... Guarda... Non è morta! Sta' attento! Sorreggila! Anche qui sangue... Respira..,

Solange                         - (frattanto è riuscita a rialzarsi, tutti scossa da un tremito convulso, balbettando pa­role che si son frammischiate con quelle di Max e Riccardo) Dio mio...! Dio mio...! perché,,, no... non è vero... no...

Voce di Riccardo          - Che?!? Enrichetta Vattier!?!

Voce di

Max                               - Ma non è vero! Andiamo.,,

Solange                         - (ormai in piedi, s'arresta contro lo stipite della vetrata: un singulto di spavento le mozza il respiro) Ah!

Voce di Riccardo          - È lei... è lei. Guarda.

Voce di Max                 - È vero!...

Solange                         - (gelata, gli occhi nel vuoto, senza voce) Enrichetta Vattier!

Voce di Max                 - Non c'è dubbio...

Riccardo                       - (riappare sull'uscio, seguito da Max) Solange, hai sentito? La Vattier, che era fuggita con Klein...

Max                               - (a Solange) Com'è stato...? Di', come è stato...?

Solange                         - (esausta, ripiegandosi su sé stessa, sorretta da Riccardo, terrorizzata) Non lo so... non lo so... è un brutto sogno... orribile... Ah!... (Si copre gli occhi con le mani come se volesse liberarsi da una visione di orrore e scoppia in pianto).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Poco dopo il prim'atto. Il lampadario è ac­ceso. La vetrata di fondo è aperta, invece l’uscio di fronte è socchiuso e attraverso l’apertura si vede che la .stanza è illuminata. Anche dalle scale si diffonde sul pianerottolo la debole luce dì un lume. Tutto è stato rovistato con febbrile ricerca: i mobili, quasi tutti spostati, hanno gli sportelli spalancati e i cassetti aperti dai quali affiorano tante cose in disordine. A tratti il rombo del vento. Il chiarore lunare è più in­tenso.

Solange                         - (sola in scena, con le vesti e i ca­pelli rimessi in ordine, il cappotto indosso, but­tata di traverso su una sedia, s'è abbandonata sulla tavola col volto nel cerchio delle braccia, e singhiozza sommessamente).

Riccardo                       - (entra dall'uscio di sinistra: è nuo­vamente vestito, senza cravatta e con una sciarpa attorno al collo).

Solange                         - (alza la testa e lo interroga con lo sguardo).

Riccardo                       - (sconfortato) Niente. Nemmeno l'ombra di un indizio... È inutile... C'è solo da perder la testa...

Solange                         - (ricade nella sua disperazione) Portami via...! portami via...!

Riccardo                       - (come se riprendesse un discorso interrotto) Ma tu sei proprio sicura di non aver sentito niente, quando scendevi la scala prima di quegli urli e dello sparo?

Solange                         - No, no, te l'ho detto, niente... Solo dei gemiti soffocati, e poi quell'urlo...

Riccardo                       - Nessun rumore? Nessuna voce? Ripensaci, cerca di ricordare.

Solange                         - Ma come potrei essermi ingan­nata...?

Riccardo                       - Non so... lo spavento... Sei sve­nuta, ed è facile che nel riacquistare la cono­scenza tu non abbia potuto ricostruir bene.

Solange                         - Eppure mi pare di non ingan­narmi. La mia impressione è netta: la Vattier dev'essere stata aggredita nel sonno, e ha fatto appena in tempo a invocare aiuto...

Max                               - (scendendo la scala, appare sul piane­rottolo e si ferma ad ascoltare. Solange e Ric­cardo non avvertono la sua presenza).

Riccardo                       - Nel sonno...? Ma è una indu­zione tua...

Solange                         - Non so... la sensazione che ho avuto...

Riccardo                       - Com'è possibile pensare che dor­misse, se noi eravamo stati qui a chiacchierare fino a pochi minuti prima? ]Non si può sup­porre che non ci abbia sentito...

Solange                         - (smarrita, a mezza voce, come se i suoi pensieri si disperdessero) E' vero... Ma allora non capisco più...

Riccardo                       - Eh, lo so anch'io che non è pos­sibile capire! Come è entrata qui quella donna? Perché? Da quando? E soprattutto chi ha aperto quell'uscio per ucciderla?

Solange                         - (inorridita, raggomitolata su se stes­sa) Taci... taci...

Riccardo                       - (dopo un attimo di silenzio, a bassa voce) Non hai visto, tu, se l'uscio della ca­mera di Max era aperto?

Max                               - (prima che Solange abbia tempo di ri­spondere, si fa avanti, buio) Che vuoi dire...?

Riccardo                       - (ha un sussulto e si volge di scatto; poi risponde) Niente... così...

Solange                         - Del resto... non potrei...

Max                               - (a Riccardo) Però, se vuoi, ti ri­spondo io.

Riccardo                       - Per carità. L'ho chiesto senza al­cuna intenzione.

Max                               - (duro) Va bene. (Un silenzio) Perché, se mai, potrei chiedere io chi è stato ad aprire la finestra... (E sogguarda Solange).

Solange                         - Non so davvero.

Max                               - In tutta la casa, per quanto abbiamo rovistato, noti s'è trovata un'arma qualsiasi; e l'arma potrebbe appunto essere uscita per la finestra... che era chiusa, ricordo bene, quando vi ho lasciati qui per andar a letto.

Riccardo                       - A letto...?! Ma se eri ancora ve­stito, subito dopo lo sparo.

Max                               - Vuoi una spiegazione?

Riccardo                       - No, no...

Max                               - Grazie. (Indica Solange) Anche lei, del resto, era ancora quasi del tutto vestita, e l'abbiamo trovata qui.,. (Prevenendo un'inter­ruzione di Solange) Perché eri scesa, lo sap­piamo, per prendere la bottiglia dell'acqua, e a metà scala hai sentito quello che abbiamo sen­tito anche noi...

Solange                         - C'era un altro, là dentro, c'era un altro...

Max                               - Io non nego e non affermo niente. Tanto meno voglio perdermi nella logica dei sospetti e ragionarci sopra. Ho voluto soltanto farvi osservare che, se cominciamo con le con­testazioni, ce ne possiamo fare tante, da non uscirne più. E chi sa dove si andrebbe a finire. Invece bisogna decidere quello che si deve fare. Anzi, sarà meglio non perder tempo. Non pos­siamo rimaner qui a trastullarci con tutte le ipotesi che ci saltano in testa. E d'altra parte non possiamo nemmeno partire tutti e tre da questa casa, lasciando lì quella disgraziata come uno straccio abbandonato.

Riccardo                       - Io non ho detto d'andar via.

Max                               - Tanto meglio.

Riccardo                       - E allora di' tu...

Max                               - E allora siamo d'accordo: qualcuno deve rimanere.

Riccardo                       - Qualcuno?

Max                               - È naturale. Non dovremo mica' restare qui tutti e tre con le mani in mano. Per conto mio son pronto a prender la macchina, per cer­car d'arrivare al posto di frontiera, e avvertire la polizia.

Riccardo                       - Di qui al confine ci sono do­dici chilometri di strada pessima: faresti prima a raggiungere... un apparecchio telefonico an­dando in senso inverso. Il Borgo è a nove chi­lometri di discesa.

Max                               - Sia' pure: ma penso che alla fattoria Stach, l'unica che abbia il telefono al Borgo, di notte non ci sia nessuno.

Riccardo                       - Come lo sai?

Max                               - Lo temo.

Riccardo                       - E perciò preferisci andare verso la frontiera...

Max                               - (lo ferma per un braccio) Parla chia­ro! Cosa vuoi dire con questo?

Riccardo                       - (gli sfugge) Ma io non dico niente. (Si volge fremendo) E poi sì, se lo vuoi sapere, dico soltanto che ormai bisogna avere il coraggio di gridarcelo in faccia che uno di noi tre ha ucciso quella donna.

Solange                         - Riccardo...!

Max                               - Invece, guarda, se me lo permetti, io ancora voglio escluderlo. Mi rifiuto di cre­dere anche all'evidenza. Forse tutto congiura per trarci in inganno, specialmente se il colpo è stato fatto con astuzia...

Riccardo                       - Ma no: tu la pensi come me. Di qui non si scappa: o io, o tu, o lei... È inutile tentare di supporre l'impossibile, per non dire la verità stampata nei nostri cervelli. E allora nessuno deve uscire di qui.

Max                               - Perché? Credi davvero ch'io voglia scappare?

Riccardo                       - Senti, Max: se tu a ogni parola che dico mi chiedi una spiegazione, devi anche ammettere che io, per risponderti, sarei co­stretto o a nascondere quello che penso, o a cominciare a fare anch'io delle domande. D'al­tronde non capisco perché dovresti andar via tu e non io.

Max                               - Per me, va' pure tu, se vuoi. Mi sono offerto io, perché mi sembrava più logico che con lei (indica Solange) dovessi rimanere tu.

Riccardo                       - In queste circostanze sono sot­tigliezze.

Max                               - Insomma ti prego di non assumere quell'aria... da inquisitore o peggio...

Riccardo                       - Niente arie: dico che siamo pari e basta.

Max                               - Meno male. (Un silenzio. Con emo­zione chiusa, senza asprezza) Ripeto che io voglio credere ancora all'impossibile, all'illo­gico, all'assurdo.

Solange                         - (durante il dialogo seguente fra due fratelli si alzerà, senza farsi notare e, dopo aver fatto qualche cosa a una credenza, andrà verso il fondo, per salire sul pianerottolo ed entrare nella camera di fronte, accostando poi l'uscio fin quasi a chiuderlo).

Riccardo                       - Ti confesso che io non ho più questo coraggio.

Max                               - Allora sentiamo: che cosa vorresti I fare tu?

Riccardo                       - Di preciso non lo so. Ma so questo: che domani saremo travolti in uno scandalo I spaventoso, e che tutto il mondo vedrà in noi i protagonisti di uno dei delitti più clamorosi del nostro tempo. E, bada, non c'è via di scampo. Domani, quando qui verrà il magistrato alla ricerca delle responsabilità, noi non avremo che due mezzi per difenderci: o accusarci l'un l'altro, o inventare circostanze che non sono vere. Insomma, o si scopre il colpe­vole, o siamo tutt'e tre colpevoli. Se diremo la verità, nessuno, cominciando dai giudici e dall'opinione pubblica, crederà che noi non siamo tutt'e tre d'accordo. E la verità indiscu­tibile è questa: che qui, dopo di noi, non è entrato nessuno;,e che nessuno è uscito. Ma se noi diremo al giudice che tutte quante le porte erano ben sprangate dal di dentro; che così le abbiamo ritrovate subito dopo il delitto, che at­ torno alla casa, sulla neve caduta stasera, non c'è un'impronta qualsiasi e nemmeno un' in­dizio di traccia; che la finestra di quella camera era chiusa e in ogni modo s'apre su uno stra­piombo inaccessibile; se noi diremo tutto questo - e necessariamente lo dovremo dire - anche il giudice sarà costretto a concludere, senza pos­sibilità di dubbio, che uno di noi tre ha ucciso Enrichetta Vattier, la celebre avventuriera' inaf­ferrabile, della quale si occupano da un mese le polizie e le cronache internazionali. Pensa fin che vuoi, il dilemma rinasce sempre: o si riesce a scoprire il colpevole, o chiunque sarà autorizzato a credere che noi recitiamo una com­media assurda accusandoci l'un l'altro per non confessare di essere stati tutti d'accordo nel commettere il delitto, e per cercare di salvarci creando nell'animo dei giudici l'incertezza del dubbio. Ma anche un salvataggio di questo ge­nere, ammesso che fosse possibile, sarebbe una pietra al collo per tutta lai vita. E allora? Inven­tare ciò che non è vero? Dire che sulla neve c'erano delle tracce? E che le porte non erano chiuse dal di dentro, ma potevano benissimo essere aperte dal di fuori, mentre noi eravamo a letto? E che qualcuno dev'essere fuggito di qui, prima che noi facessimo in tempo ad ac­ correre? Insomma una messinscena di comodo, una creazione di ripiego, che forse domani un accertamento o una testimonianza o una contraddizione qualsiasi potrebbe mandare all'aria? Per me, una solidarietà di questo genere è più ripugnante di una complicità vera1 e propria.

Max                               - (ha ascoltato il fratello con crescente sgo­mento, come se si avvicinasse a un baratro) Siamo d'accordo.

Riccardo                       - E allora noi stessi dobbiamo ave­re il coraggio di andare a fondo. Fino ad ora abbiamo rovistato in tutti gli angoli, dalla sof­fitta alla cantina, senza trovare il più piccolo segno della presenza di estranei. Adesso biso­gna applicare il ferro rovente per rovistare in noi stessi...

Max                               - (come se gli balenasse un pensiero improvviso, afferra un braccio di Riccardo per troncargli il discorso) Un momento! (D'un balzo va ad aprire l'uscio di fondo, evidente­mente per sorprendere Solange, alla quale parla verso l'interno) Che fai? Cosa cerchi in quei cassetti?

Voce di Solange           - Niente... guardavo...

Max                               - E quella carta, cos'è?

Solange                         - (appare sull'uscio) Quale?

Max                               - Quella che hai nascosto qui. (Le in­dica il petto).

Solange                         - (viene avanti come per sfuggirgli) Ma non è vero. T'è sembrato.

Max                               - (a Riccardo che, impressionatissimo, va incontro a Solange) Guarda che ha preso una carta dal cassetto in fondo all'armadio, e l'ha nascosta. L'ho vista io...

Solange                         - Ma tu sogni, caro. (A Riccardo) Non ci crederai mica?

Riccardo                       - (con grande orgasmo) Solange, di' la verità. (Lo ferma).

Solange                         - (sfugge anche a lui; con crescente concitazione) Non è vero. Non è vero.

Max                               - Ho visto con questi occhi. Ti ho sor­presa: hai avuto un sussulto.

Solange                         - Si capisce: mi hai fatto paura.

Riccardo                       - Solange, ti supplico...

Solange                         - (reagisce aggredendo) Tu ti metti con lui?! (Indica Max) Credi a quello che può dire un uomo come lui? !

Max                               - Come me!? Che hai da dire, di me?!

Solange                         - Quello che sanno tutti.

Max                               - Mi, sì, eh?! Vedremo chi ne sa di più. Ma adesso non cercare un diversivo: metti fuori quella carta.

Solange                         - Puoi durare a dirlo fino a domat­tina: me ne infischio.

Riccardo                       - Ma anch'io te lo dico, Solange.

Solange                         - (con fremente sarcasmo) È natu­rale: anche tu...! Sarei una sciocca', se sognassi d'esser difesa da te.

Riccardo                       - (rabbioso e supplichevole) Non è questo, Solange, non è questo che adesso...

Solange                         - (gli taglia il discorso) Ma cosa cre­di? Di', cosa ti passa' per la testa...? Se hai il coraggio d'esser sincero, avanti, buttami in fac­cia quello che pensi di me. Sono stata io?! Avanti...

Riccardo                       - (disperato) Così è peggio, So­lange...

Max                               - Non deviare, ti ripeto; e soprattutto non metter le mani avanti.

Solange                         - Io!?

Max                               - Qui non si tratta di sapere quello che ciascuno di noi può pensare... Piuttosto...

Solange                         - Oh, oh, rispondi per lui, eh? Ma bene: è un'alleanza ammirevole.

Riccardo                       - Guarda che potrei costringerti...

Solange                         - Ma sì, fa' pure. Siete più forti, dunque...! E siccome uno di voi due è l'assas­sino, su questo non c'è dubbio voglio ve­dere chi è capace di metter le mani addosso a una donna.

Max                               - Sei abile, non c'è che dire: per difen­derti aggredisci...

Solange                         - No, questo lo fai tu.

Riccardo                       - Solange, non ti credevo così...! Non ti ho mai visto...

Solange                         - Nemmeno io avrei creduto di es­sere sospettata da te...

Max                               - Insomma non ci perdiamo in chiac­chiere inutili: tu hai nascosto una' carta, questo è certo.

Solange                         - (apre un pugno, e nel palmo della mano mostra una pallottola di carta) Non è vero che l'ho nascosta come dicevi tu. Eccola.

Max                               - Ma è proprio quella?

Solange                         - Sissignore. (Distendendo nervosa­mente la carta) E ti dirò che riguarda proprio te. Eppure io, vedi, per non avventarmi su­bito col sospetto, volevo aspettare prima di mo­strarla: non ti ho aggredito senza riflettere, co­me hai fatto tu con me.

Max                               - (facendo l'atto di prender la carta) Non capisco cosa diavolo può essere.

Solange                         - (gli sfugge) Eh, no! abbi pa­zienza.

Riccardo                       - Ma che roba è?

Solange                         - È una lettera di Klein alla Vattier.

Max                               - Sentiamo.

Solange                         - Vi sono dei segni convenzionali che io non capisco. (A Max) Forse tu saprai de­cifrarli. Ma in sostanza la lettera dice questo: (Legge) «Sta' in guardia: Max Roller, a mezzo delle sue spie, è riuscito a impadronirsi del no­stro cifrario. Bisogna assolutamente che tu agi­sca con i mezzi che sai, affinché egli si imbarchi con noi nell'affare della Banca Orientale e pren­da impegni al Cairo ».

Max                               - (ride ostentatamente) Ah! ah! ah! Eb­bene, sì: tutto questo è vero. Hanno tentato, ma non ci sono caduto. Appena ho intravisto che c'era del marcio, ho dato ordine al mio agente Amberg di vendere tutti i titoli della Banca Orientale. Ciò significa che io, invece di diventare complice, sono rimasto l'antagonista del gruppo Klein, e anzi ho contribuito a mettere in evidenza che le loro società erano un bluff...

Riccardo                       - (che frattanto si è fatto dare da So­lange la lettera e l'ha riletta) Ma intanto am­metti di aver avuto rapporti con la Vattier. Pri­ma lo negavi...

Max                               - Vuoi dire che la Vattier poteva essere una testimone pericolosa...?

Solange                         - Anche questo.

Max                               - (sempre rivolto a Riccardo) In tal caso non sono il solo ad avere avuto rapporti con lei, che ha recitato le tue commedie fino a poco tempo fa.

Solange                         - Questo non riguarda te...

Max                               - Lascia rispondere a lui.

Solange                         - No, perché se cerchi un diversivo nel mio risentimento...

Riccardo                       - (con tagliente freddezza) Sì, che ti rispondo, caro. Se quella sciagurata non aves­se incontrato la gente che fa il tuo mestiere, non avrebbe recitato la commedia dei vostri intrighi e non sarebbe finita su queste montagne, inse­guita dalle maledizioni dei derubati...

Max                               - Letteratura...! Andiamo...

Riccardo                       - (s'accalora) Oh, si capisce, per voi, cervelli positivi, una carta su cui non sia scritta una cifra non vai niente. (Riprende la sua voluta freddezza, sventagliando la lettera di Klein) In ogni modo qui si parla di affari più O meno puliti da combinarsi al Cairo cól tuo intervento. E tu, per uno stranissimo caso, de­vi recarti proprio al Cairo: ma prima di partire senti il bisogno di fermarti a passar la notte in questa casa. Ricordati che sei stato proprio tu a volerlo.

Max                               - Ma se avessi saputo che c'era qual­cuno ad attendermi, ci sarei venuto solo.

Riccardo                       - Un momento. Faccio della lette­ratura, ma non sono tanto ingenuo come puoi credere. Prima di tutto non è detto che tu fossi sicuro di trovar qui un'altra' persona ad atten­derti. Potevi soltanto temerlo... e può essere stata una sorpresa anche per te.

Max                               - (sprezzante) Continua pure. Ti sto a sentire fino in fondo. (Si siede).

Riccardo                       - Tanto meglio. (Con vibrante energia) Mettiti bene in testa che io, prima che il fatto diventi pubblico, voglio assolutamente mettere il mio nome al di sopra di questa fac­cenda. Dicevo, dunque, che tu stesso potevi non esser sicuro di incontrare qualcuno da queste parti. Ma ciò non esclude niente. Non esclude che tu avessi bisogno di raggiungere la Vattier prima di partire per il tuo viaggio all'estero; non esclude, soprattutto, che tu abbia trovato qui la sorpresa che temevi, cioè la sorpresa di quella porta chiusa, (indica l'uscio della came­ra in fondo) dalla quale puoi aver capito subito che la tua alleata o la tua nemica, poco importa nel vostro mondo spesso i due estremi sì confondono - era qui, sulla tua strada, o coi un segreto pericoloso rivelato dal suo cifri che tu conoscevi, o per un ricatto.

Max                               - E allora, già che dimostri di saper fare magnificamente il pubblico ministero, prego di chiedere a tua moglie se conosce per­sonalmente Federico Klein.

Solange                         - (scatta subito) Io no.

Riccardo                       - (buio) Che vuoi dire?

Max                               - (con un freddo sorriso) Domanda­glielo tu: è meglio.

SolAnge                        - (a Riccardo) Lo vedi? per non rispondere a te...

Riccardo                       - (a Max) Se non ti spieghi su­bito...

Max                               - Ma sì, come vuoi. (Un attimo di si­lenzio) Io ho fatto pedinare Federico Klein du­rante le sue soste a Londra. Per non far segna­lare la sua presenza, egli abitava un apparta­mento al quinto piano nel quartiere Soho, mol­to frequentato dagli stranieri, come sai. Attra­verso le informazioni avute, posso dirti il nome di tutte le persone che sono salite a quell'appartamento, e precisare per ciascuna il giorno e l'ora della visita. (A Solange) Continuo?

Solange                         - Non è vero, giuro che non è vero. Sono infamie.

Riccardo                       - (imperioso, a Max) Avanti!

Max                               - Sicuro: nell'elenco figurava il nome di tua moglie...

Solange                         - Vigliacco!

Riccardo                       - (c. s.) Perché lo dici ora?

Max                               - Ogni cosa dev'esser detta a suo tempo.

Riccardo                       - (si volge verso Solange) Davve­ro tu...

Solange ....................... - (tutta scossa da una agitazione con­vulsa) No, taci... La verità... sì, subito la verità... è falso... Ti giuro che è falso... (Ur­lando) È falso. (Concitata, rapida, senza respi­ro) Guarda: non devi avere nemmeno il tempo di sospettare... Non dir niente... non pronun­ziare nemmeno una parola, sai... Ho paura che tu esprima un dubbio... Anche il solo dubbio mi toglierebbe il coraggio di dirti che sono in­ nocente... È vero, sì, è vero che io sono andata da Klein... Ma niente di male, niente di male, te lo giuro sul nome di tua madre, che ci sen­ te... Tu eri lontano... Correvi da un teatro al­ l'altro... viaggiavi senza di me... Mi sentivo umiliata dalla tua freddezza, ma non volevo incolpare te, no, e invece cercavo in me stessa le ragioni... il perché... Allora mi confrontavo con tutte le altre donne celebri che avvicinavi ogni giorno... con le ammiratrici intraprendenti che sapevano darti l'orgoglio del tuo ingegno... Al confronto mi sentivo misera, insignificante, remissiva... una povera cosa piatta, da niente... e pensavo che forse tu sentivi la mia pochezza anche attraverso le allusioni di altre donne che passavano nella tua vita... Ma non osavo pro­rompere con la mia gelosia, perché... non so... mi sentivo più piccola delle circostanze che avrei dovuto affrontare... (Diversa) È stato un pomeriggio di tre mesi fa... (A Max) Verso la metà di luglio, vero?... Me ne andavo sola per la strada... girando per stordirmi, perché una tua lettera fredda dalla Costa Azzurra m'aveva avvilita. Proprio quel giorno i giornali diceva­no che la Vattier sarebbe forse tornata al teatro per fare un giro in Europa col tuo nuovo la­voro, e che tu l'avresti seguita. Così pensavo che ti avrei riveduto chi sa quando... Incontrai un'amica tutta allegra: sapevo che andava dal suo amante. Era appunto l'ora dei convegni... e sul volto di ogni donna che passava mi pareva di leggerne uno. A un tratto, mentre ero ferma davanti a un portone, entrò Klein: lo riconob­bi perché avevo visto la sua fotografia stampata. Allora, non so perché, ebbi l'impulso di reagire al mio cruccio... volli recitate una piccola commedia a me stessa, fingendomi la protagonista di un'avventura clamorosa... col pensiero di sembrare un'altra... interessante... meno meschina…. Salii la lunga scala fino all'uscio di Klein, ma appena giunsi davanti a lui gli chiesi solo se la notizia data dai giornali fosse vera. Nient'altro: solo un giuoco assurdo.

Max                               - Tanto assurdo che lo seppe la Vattier.

Solange                         - Ah, ecco! Ora capisco perché mi ha scritto: sei stato tu a dirglielo.

Riccardo                       - (o Solange) Ma cosa!? Finora hai raccontato un cumulo di sciocchezze.

Solange                         - (con disperazione rabbiosa) Non mi credi?! Non mi credi nemmeno tu!?

Riccardo                       - Lascia andare, adesso. Per me non devo credere a nessuno: né a te, né a lui. Io so questo, ormai: che tutt'e due, per un ver­so o per l'altro, avete avuto a che fare...

Solange                         - (avvampa in un balzo) Tutt'e due!? Cosa dici a tutt'e due»!? E tu dove ti metti?

Riccardo                       - Finiscila.

Sin ance                        - (a Max) Sì, è vero: avevi visto bene, lo frugavo, di là, rovistavo nei cassetti per ritrovare delle carte che l'altra volta non avevo potuto portar via... Delle lettere, sì, delle lettere... che non ci sono più. Al posto di esse ho trovato quella lì...

Riccardo                       - Bene: anche questo!

Solange                         - (a Riccardo) La Vattier credeva che io la tradissi... che le volessi portar via Klein per vendicarmi contro di lei che era stata tua amante...

Riccardo                       - Che dici!?

Solange                         - (gridando) Sì, la tua amante...

Riccardo                       - Ma dove arrivi?

Max                               - Lascia dire.

Solange                         - ... Perché io lo sapevo, sapevo tutto, tutto, e ho taciuto per paura di scavare fra noi l'irrimediabile, come una sciocca in ado­razione. E quelle lettere di Klein e della Vattier le avevo nascoste di là, per conservarle, anche perché dimostravano che tutto era chiarito, che fra me e Klein non c'è stato niente. Ma stasera volevo distruggerle, dimenticarle. Non ero sce­sa, no, per prender l'acqua. Ora giuro la verità. Avevo la chiave di quella camera. Non l'ho det­to. Così voi non sareste entrati là dentro. Avrei potuto riprendere quei fogli... buttarli nel fuo­co, liberarmene... perché erano la mia ossessio­ne. Da lontano li vedevo sempre davanti agli occhi. Volevo che tu non sapessi niente: ormai mi pareva, ecco... mi illudevo che tu fossi tor­nato a me... che del passato non dovesse ri­manere più niente, più niente. Invece no, in­vece no... Quando m'hai detto che era lei... (At­territa) Dio...! Dio...! è stato come se in quell'urlo avessi sentito il tuo nome...

Riccardo                       - Eh, via...!

Solange                         - Non lo so... non lo so... Un pen­siero improvviso... L'ho scacciato subito... Ma dopo... No... no... non voglio crederci... non voglio pensarci... (S'abbatte singhiozzando) Fa che non ci creda, Riccardo... dimmi che sono impazzita... che non ragiono più... Tu non devi essere un assassino... tu no... tu no... (I singulti disperati le hanno soffocato le ultime parole. Un lungo silenzio, rotto solamente dal pianto convulso di Solange).

Riccardo                       - (con chiusa emozione, dominandosi, a voce bassa) Hai ragione. È assurdo negarci il diritto di concepire qualunque sospetto. Se uno di noi tre ha ucciso - e questa è l'unica ve­rità indiscutibile fino a questo momento - nul­la deve essere taciuto. Bisogna impedire al col­pevole di trascinare alla rovina gli innocenti. Bisogna dir tutto.

Solange                         - (a poco a poco va acquetandosi in un pianto sommesso).

Max                               - (a Solange) Sicché... quella chiave... ce l'hai lasciata tu nella toppa?

Solange                         - (senza alzar la testa, più col gesto che con la voce) Sì.

Max                               - Hai aperto tu...?

Solange                         - Certo... Ero appena entrata, al buio... andavo tentoni verso il cassettone... ho sentito il rantolo di quella voce soffocata... Ho gridato... Mi son sentita afferrare al braccio. Poi quegli urli di aiuto... il colpo... mentre sem­brava che tutto andasse a terra... Son fuggita... non so come...

Max                               - Sei sicura di esser stata! tu a gridare: « lasciami? ».

Solange                         - Sì... appena svincolato il braccio mi son sentita tirare il vestito...

Riccardo                       - O forse ti si era impigliato in qualche cosa?

Solange                         - Non so... Ma doveva esserci qual­cuno là dentro...

Riccardo                       - Infatti l'uscio si può chiudere dall'interno senza chiave.

Max                               - Appunto. Ma se qualcuno è entrato in quella camera stasera, una delle due: o ha adoperato un'altra chiave, oppure s'è fatto apri­re da chi era dentro.

Riccardo                       - Certamente.

Max                               - E allora - escluso sempre che il col­pevole fosse già dentro e sia potuto fuggire - al­lora è certo che chi di noi è entrato in quella camera, sapeva che doveva esserci Enrichetta Vattier...

Riccardo                       - È quello che ritengo anch'io.

Max                               - Perfettamente. Per mio conto - pa­dronissimi di non crederci - ignoravo che la Vattier fosse fuggita da queste parti. Avevo sen­tito dire che fosse in Olanda... con Klein...

Riccardo                       - Oh, per questo... i giornali hanno pubblicato tante di quelle versioni...! (Un si­lenzio).

Max                               - (a Riccardo) E... di' un po': tu non avevi investito nessuna somma nei titoli del gruppo Klein?

Riccardo                       - Ma no. Io so appena cosa voglia dire giuocare in borsa e che diavolo sia l'emis­sione di titoli di società fittizie...

Max                               - Però eri preoccupato, nervoso... Oggi, poi, più del solito...

Riccardo                       - Perché? Dove vorresti arrivare?

Max                               - Non irritarti, scusa. Sei stato tu a pro­clamare che bisogna dir tutto...

Riccardo                       - Ma tu sai benissimo che da un mese ho lavorato giorno e notte, e per questo i miei nervi...

Max                               - Va bene, va bene. L'ho domandato così... perché da un po' di tempo hai avuto tanto bisogno di danaro...

Solange                         - (sorpresa, a Riccardo) Tu!?

Riccardo                       - (a Max) E ho lavorato per re­stituirlo...

Max                               - Non me l'hai mai detto.

Riccardo                       - Sta, tranquillo: riavrai fino all'ultimo centesimo.

Solange                         - Ma dove l'hai speso?

Riccardo                       - Se proprio lo vuoi sapere, ho giuocato...

Solange                         - Ah! Non conoscevi una carta...

Riccardo                       - Sicuro, mi son lasciato prendere anch'io nell'ingranaggio, come un imbecille. Non te l'ho detto per non darti un dispiacere.

Solange                         - Sarà.

Riccardo                       - Perché? Non ci credi? Pensi che sia una scusa? Che abbia fatto delle pazzie con qualcuna ?

Solange                         - Non lo so. Mi sembra tanto im­possibile... Ma se c'è stato chi ti ha indotto a giuocare...

Riccardo                       - (per troncare) Del resto pensa quello che vuoi; tanto...

Solange                         - Eh, lo so...! (Un silenzio).

 Max                              - (a Solange) E... quando siete partili da qui in agosto, quell'uscio l'avete chiuso o aperto?

Solange                         - Non ricordo.

Riccardo                       - (a uno sguardo interrogativo di Max) Nemmeno io.

Max                               - (a Riccardo) Nemmeno tu? Ma, m sa, avrai pur visto, quando sei tornato quassi ai primi del mese...

Riccardo                       - Io?! Che mese?

Max                               - Quindici giorni fa.

Riccardo                       - Tu sogni.

Max                               - Sogno!? Sei davvero pronto a soste­ nere di non essere più tornato in questa cast da due mesi?

Riccardo                       - Prontissimo. È la verità, dunque...

Max                               - E non ricordi di esser partito da Berlino ai primi di ottobre, lasciando tua moglie a casa mia?

Riccardo                       - Certo. Ma sono stato in Svizzera... senza fermarmi qui. (A Solange) Ti ho scritto, vero? Ti ho mandato delle cartoline tutti i giorni?

Solange                         - Oh, quelle sì...

Riccardo                       - Lo vedi? Se lo vuoi sapere con precisione, son partito il due e tornato l'otto..,

Max                               - Benissimo: partito il due. Per com­binazione, di là, proprio in quella camera, non so se l'hai visto, c'è quel giornale del primo ot­tobre, cioè di quindici giorni fa, diretto a te...

Riccardo                       - Impossibile.

Max                               - Puoi vederlo subito, se credi. C'è la fascetta del tuo indirizzo... Dev'essere servito per avvolgere qualche cosa... Forse quei libri che abbiamo visto in terra... Anzi: si vede l'im­pronta dei margini...

Riccardo                       - Ah, lo dico subito cos'è: è un trucco diabolico di qualcuno. Un trucco combi­nato forse in casa mia... Perché chi ha prepa­rato il delitto lo ha preparato bene, in tutti i particolari...

Max                               - Sicuro, ma molte volte basta una pic­cola distrazione per rovinare le preparazioni più ingegnose...

Riccardo                       - Intanto quel giornale puoi avercelo messo tu di là...

Max                               - Ma domanda a tua moglie se ai primi del mese, (con sarcasmo) mentre tu giravi la Svizzera, io ero o no a Berlino...

Solange                         - È vero che non eri stato a1 Berlino, ma i giornali andavano in giro per la casa, e non saprei...

Riccardo                       - Appunto: il fatto della tua assenza non significa niente. Anzi: puoi aver scelto apposta un giornale arrivato mentre eri chi sa dove.

Max                               - Oh, non c'è che dire: hai sempre la sottigliezza pronta. Appena ti si muove un'obbiezione, là, fai scattare subito la risposta come una lezioncina imparata a memoria. Eppure, guarda, per voler essere troppo furbo, hai in­ciampato nei tuoi fili. Intanto, proprio appena avevi gridato, come in una requisitoria, che io e lei, (indica Solange) eravamo stati in rapporti con Klein e la Vattier, abbiamo saputo che la Vattier non è stata soltanto la tua interprete di qualche anno fa, ma anche la tua amante re­cente.

Riccardo                       - Non l'ho vista da più di un anno.

Max                               - Ma non potrai mica dire che questo giornale l'abbia portato quassù Solange, che non s'è mossa da casa. E allora non si scappa: o ce l'hai lasciato tu, di là, o ce l'ha portato lei, la Vattier.

Riccardo                       - Gliel'hai dato tu.

Max                               - (con, sarcasmo) Impossibile: fra quei libri c'è anche un tuo romanzo, figurati! Non è il mio genere. Trucco anche quello? Eh, no! sarebbe un'esagerazione. Invece è segno che non ti odiava; anzi... Perché alle volte certe vecchie passioni risorgono all'improvviso, si riaccendo­no più forti.

Riccardo                       - (fremendo per non avventarsi) Bada, Max, bada... altrimenti non so...

Max                               - Ferro rovente, caro. L'hai detto tu. Volevo concludere che non si può nemmeno di­re che fosse ospite... così, di passaggio. Hai vi­sto? Ne aveva fatto la «sua» camera. Oltre i romanzi vi aveva portato tante valigie, i gioielli, i profumi, le sigarette, e persino la radio, forse anche per tenersi al corrente delle cronache che parlavano di lei, oltre che per sentire musica e le tue commedie... Insomma questa casa non era il suo rifugio di un momento, ma un vero e proprio asilo. Un asilo compromettente, però, malgrado tutti i passatempi... Non è vero?

Riccardo                       - (al colmo della tensione nervosa, rie­sce ancora a dominarsi per non prorompere) Ti ripeto che da più di un anno non ho saputo più niente di lei, se non quello che hanno stam­pato i giornali.

Max                               - Sarà. Ma, vedi, tua moglie sta zitta. Non parla più.

Solange                         - Io tutto quello che dovevo dire l'ho detto. Non so altro.

Max                               - Posso anche crederci: perché quello che hai detto basterebbe per mandarti in galera, ed è impossibile che l'avresti confessato se fossi stata colpevole. Troppo sincera. (A Riccardo) A noi due, dunque, se ti sta bene. Stringiamo pure il cerchio.

Riccardo                       - (con acredine tagliente) Ma sì, caro. Vedo che giuochi d'audacia, cercando per­sino un'alleata...

Solange                         - No, no...

Max                               - Tutto quello che vuoi: ma non scap­pi più. Nessuno ti conosce meglio di me.

Riccardo                       - Certo, perché hai sempre dovuto misurare i tuoi intrighi con la mia lealtà.

 Max                              - È un'altra ambizione cotesta, come tutte le altre che ti hanno accecato...

Riccardo                       - Purché non fosse l'ambizione di far quattrini. Dicevi persino che fare il bene è un ottimo impiego di danaro...

Max                               - Non tanto ottimo, se l'ho dato anche a te...

Riccardo                       - Così confessi di aver collocato a interesse anche la tua generosità fraterna, per poterla rinfacciare e legarmi a te in un momento come questo.

Max                               - Dove volevi andare, di', con quel da­naro che t'ho regalato? Che ti bisognava subito?

Riccardo                       - (butta il pugno di danaro sul ta­volo) Ma che «subito!». Non mentire di più...

Max                               - Sì, non volevi dirlo, ma il tuo conte­gno, la tua preoccupazione...

Riccardo -                     - Com'è lampante che hai bisogno di svisare la verità!

Max                               - Ma allora, avanti, sentiamo: cosa do­vevi farne di quel danaro? La storiella del giuo­co non attacca, zerbinotto!

Riccardo                       - Così affondi, bada!

Max                               - No, te lo domando proprio perché non voglio affondare con te.

Riccardo                       - Adesso ti vedo bene!

Max                               - Anch'io!

Riccardo                       - Ho la certezza del tuo delitto.

Max                               - Anch'io.

Riccardo                       - Ti farò confessare!

Max                               - Anch'io.

Riccardo                       - Siamo di due razze diverse.

Max                               - Per fortuna! Ma almeno tuo padre...

Riccardo                       - Lascia in pace mio padre: non sei degno di nominarlo.

Max                               - Certo, perché ti ha aperto tutte le porte; però tu hai scelto quella della galera.

Riccardo                       - Anche da ragazzo eri così, feroce e cinico nelle tue canagliate.

Max                               - E con tutto questo non arrivavo a men­tire come te.

Riccardo                       - Adesso capisco tante cose di quel­lo che avveniva in casa: ricordati...

Max                               - Sicuro, tu piangevi e io scontavo: ma questa volta non sarà così.

Riccardo                       - (lo afferra per una spalla e gli si pianta davanti) Allora vieni qua: guardami in faccia...

Max                               - (sostiene lo sguardo appuntito di Riccar­do) Ti vedo, ti vedo.

Riccardo                       - (torbido) E se fossi stato io?

Max                               - Nessunissima meraviglia; anzi...

Riccardo                       - Se mi accusassi?

Max                               - Faresti il tuo dovere: almeno sarebbe finita.

Riccardo                       - (con un riso mordente) Invece no, guarda... Invece ho una bella sorpresa da farti...

Max                               - (livido) Ah, sì, eh? !

Riccardo                       - Tu non te ne sei accorto, ma ti ho stretto nel nodo: vedrai che non scappi. È meglio che confessi.

Max                               - Ingenuo!

Riccardo                       - Ho quanto basta per metterti con le spalle al muro.

Max                               - Cioè?

Riccardo                       - Cioè... ho rovistato anch'io, e ho raccolto una prova schiacciante...

Max                               - Butta pur fuori...

Riccardo                       - No, caro, a te non dirò proprio niente. Risponderai al giudice: è meglio.

Max                               - Per salvar la pelle ti sei messo anche a scimmiottare il finto poliziotto delle tue storie. E poi hai il coraggio di parlar di trucchi.

Riccardo                       - Sicuro, quello del giornale...

Max                               - Quello del giornale, se lo vuoi sapere, è proprio il famoso nodo per te. C'è stampato un annunzio convenzionale di cui so bene il si­gnificato nascosto. Lo spiegherò al giudice.

Riccardo                       - Tutto preparato. Ma dovrai uc­cidere anche me per farmi tacere.

Max                               - Ti trascinerò con me davanti a tutti...

Riccardo                       - Lo so, che è questo il tuo disegno. Mi hai condotto quassù per tentare il salvatag­gio attaccandoti a me, per giuocare sul dubbio...

Max                               - Butteremo tutto sulla bilancia...

Riccardo                       - Sì, i tuoi affari loschi...

Max                               - Il tuo amore...

Riccardo                       - È già una distanza enorme...

Max                               - ... Le tue contraddizioni, le reticen­ze, le lettere, i giri in Svizzera, tutto, tutto sarà conosciuto domani e questa volta, da buon gior­nalista, vedrai come ti conceranno i tuoi col­leghi, con tanto di fotografia in grande e di bio­grafia sensazionale.

Riccardo                       - (vuol ribellarsi alla visione che lo terrifica e s'avventa contro Max come una belva) Oh, basta! Canaglia!

Solange                         - (guizza in un urlo) No!

Max                               - (lo affronta con decisione) Va via!

Riccardo                       - (respinto con uno spintone, afferra uno sgabello e si butta di nuovo contro Max) Assassino !

Solange                         - Riccardo! (Corre a interporsi fra loro).

Max                               - L'hai uccisa tu.

Solange                         - (ha assistito allo scambio di invettive con crescente sgomento, scossa sempre più da un tremito convulso, agitata dall'indecisione come se ogni tanto, sul punto di prorompere, si fosse trattenuta con sempre maggior sforzo: alla fine estrae da una tasca del cappotto una rivoltella che impugna senza spianarla, con un grido di rabbia imperiosa) Basta! (Riccardo e Max s'arrestano di colpo allibiti).

Max                               - Che novità è questa?

Solange                         - (impietrita, esausta, lascia cadere l'arma a terra, balbettando) Basta, vi dico...

Riccardo                       - (agghiacciato, con la voce mozzati dallo sgomento) Tu, Solange?!... Ma come,.,!

Solange                         - (quasi non ha più forza di rispondere) No... no... no sai... no... (Un attimo à silenzio; poi, dal di fuori, la raffica rabbiosa del motore dell'automobile messa in moto).

Max                               - (si precipita alla finestra) Cosa!?

Solange                         - (ha avuto un sussulto e, barcollando, va ad appoggiarsi per non cadere).

Riccardo                       - L'automobile?! La portano via!?! (Balza all'uscio di destra, per correr fuori).

Max                               - (lo ferma) È inutile. Ha già preso la salita. (Si sente il fragore della macchina che s'allontana. Pausa).

Riccardo                       - (angosciosamente, come fra sé, smarrito, con gli occhi nel vuoto) Ma allora..,? Allora è diverso...?

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Mezz'ora dopo il secondo atto. Le valigie sono aperte sotto il cumulo di molti oggetti buttati alla rinfusa sulla tavola, insieme col cappotto di Solange.

Riccardo                       - (solo in scena, è seduto sul davanti, poco discosto dal camino, un po' volto verso il fuoco, curvo coi gomiti sulle ginocchia, affran­to dalla stanchezza, quasi abbandonato su se stesso, rigirando lentamente fra le mani la ri­voltella di Solange. Più che osservare l'arma, la considera a tratti, mentre segue i pensieri che lo opprimono. Sul pallore del suo volto smorto le occhiaie profonde sembrano aver spento lo sguardo).

Max                               - (viene dal di fuori, entrando da destra, con un cappotto buttato sulle simile e, penzoloni, una lanterna ad olio, spenta, che depone in un canto. Lungo silenzio. Riccardo ha appena alzato gli occhi e ricade nel suo abbandono. Per un po' Max si muove per la stanza e fa qualche cosa come se Riccardo non ci fosse; butta via il cap­potto, chiude un cassetto cacciandovi dentro le cose che sporgono dagli orli, dà un'occhiata fuo­ri aprendo un momento la finestra: va a gettare due pezzi di legna nel fuoco; poi fissa Riccardo come se cercasse di attaccar discorso con lui).

Riccardo                       - (quando Max gli è dietro le spalle, accanto al fuoco, lo sogguarda di traverso con diffidenza, come se lo temesse).

Max                               - (mentre sì riallontana) Che fa So­lange?

Riccardo                       - (senza volgersi, lentamente) S'è assopita. Quel calmante le ha fatto bene.

Max                               - Cosa t'ha detto? Ha potuto spiegarsi?

Riccardo                       - Continua a giurare che quest'ar­ma non è sua... che se l'è trovata addosso non sa perché...

Max                               - Addosso? Come sarebbe a dire?

Riccardo                       - Ma... non so bene... Sembra paz­za... per spiegare tante cose nello stesso mo­mento aggroviglia il discorso... poi ricade giù ad occhi chiusi: è difficile afferrare una logica. Ma insomma ho capito questo: che a un certo mo­mento, quando già avevamo rovistato e messo sossopra tutta la casa, si sarebbe accorta, figu­rati! di avere questa rivoltella in una tasca del cappotto. (Fa osservare a Max il cappotto) In­fatti, guarda, qui la stoffa è staccata. Vedi i fili? Lo strappo sembra fatto adesso.

Max                               - Proprio. (Guarda verso la vetrata per cercar di ricostruire) Questo cappotto, l'avrai visto anche tu, era lì quando siamo accorsi, buttato sugli scalini con la sciarpa e non so che altro.

Riccardo                       - Non ho osservato.

Max                               - Mi pare, anzi, di averlo scostato con un piede. Ma chi l'ha raccolto?

Riccardo                       - L'avrà raccolto lei.

Max                               - Durante le nostre prime ricérche So­lange non l'aveva addosso...?

Riccardo                       - No, no: tanto che io, quando voleva venir fuori con noi, le dissi di indos­sarlo, per non prender freddo.

Max                               - Ah, gliel'hai detto tu...?

Riccardo                       - Sì, perché? Cosa ci trovi?

Max                               - (evasivo) Niente... Questo spiega co­me non si sia accorta subito che la rivoltella era infilata qui.

Riccardo                       - Se non è una scusa...

Max                               - Perché?

Riccardo                       - Perché doveva dirlo subito.

Max                               - Può aver avuto paura di dirlo... pau­ra di non essere creduta...

Riccardo                       - Ma non basta: ancora non era sorto il sospetto, fra noi...

Max                               - Appunto: temeva di essere la prima a sentirsi incolpata, a dover dare spiegazioni... perché ormai l'inutilità delle nostre ricerche per trovare un estraneo, ci costringeva a pensare quello che non avevamo ancora il coraggio di urlare, ci stampava nel cervello le idee più mo­struose l'uno sul conto dell'altro.

Riccardo                       - No, no, non basta nemmeno que­sto: Solange non poteva aver la forza di dissi­mulare una scoperta tanto grave. Se davvero a un certo momento si fosse accorta d'avere un'arma addosso, le doveva sfuggire un grido, un moto di sorpresa.

Max                               - Ma lei era rimasta sola, qui, mentre noi giravamo per la casa...

Riccardo                       - Peggio! È voluta rimaner sola, e certo avrà avuto una ragione di... (Come se vo­lesse spezzare la logica che lo impaurisce) Ti prego, ti prego, non farmi ragionare perché al­lora, vedi, vado a finire nuovamente dove non vorrei arrivare...

Max                               - Devi tener conto, però, che Solange aveva un suo segreto, quello che ha confessato dopo, e che può averla indotta a tacere. A lei, in quel momento, premeva soprattutto far spa­rire le lettere che aveva nascoste di là, perché tu non le vedessi, perché non le vedessero i giudici, gli estranei... e non diventasse motivo di scandalo. Confesso francamente che anch'io, vedi, avrei avuto paura non solo della pubbli­cità, ma soprattutto di accumulare prove con­tro di me.

Riccardo                       - (con sorda irritazione) Anche tu, eh?! Preferiresti nascondere...

Max                               - Preferirei dimostrare la mia inno­cenza, se fosse possibile, senza dover umiliar­mi di fronte alla curiosità della gente.

 

Riccardo                       - Ma quando la verità può servire anche per dimostrare l'innocenza altrui...

Max                               - E Solange l'ha detta, la verità, l'ha detta, tutta quando non le era più possibile ta­cerla...

Riccardo                       - Appunto: quando è stata co­stretta.

Max                               - No, perché se non avesse pensato a noi, ma soltanto a se stessa, avrebbe potuto la­sciarci scagliare l'uno contro l'altro, anziché impedirci una pazzia. Le sarebbe stato facile buttar via la rivoltella, nasconderla, liberarsene in qualunque momento...

Riccardo                       - Invece l'ha tenuta bene in ser­bo, chi sa per che cosa...!

Max                               - Si capisce, per rendersi conto...

Riccardo                       - Ma cosa sapeva, lei, che fosse proprio l'arma adoperata per il delitto?

Max                               - In tutta la casa non se ne era trovata un'altra, dunque... E poi poteva anche aver ragione di sospettare che uno di noi due gliel'avesse messa in dosso per confondere le ri­cerche con un falso indizio, specialmente se non se ne fosse accorta e domani avesse dovuto su­bire una perquisizione.

Riccardo                       - Per combinazione, questo, lo dice anche lei...

Max                               - Lo vedi, dunque? E allora va, non sottilizzare più, da' retta a me.

Riccardo                       - (lo sogguarda) E poi non capi­sco perché tu...

Max                               - Ma perché sarebbe tutto sbagliato: ci perderemmo dietro chi sa quanti errori. (Un silenzio) Piuttosto c'è un'altra cosa.

Riccardo                       - Ah! (Una sospensione) Sentia­mo pure. Cos'è? Non hai il coraggio... nem­meno tu...?

Max                               - (una brevissima esitazione) Ma sì. Ti ricordi che le chiavi di questa casa le avevo raccolte in un mazzo, che era appeso dietro lo scaffale del mio studio?

Riccardo                       - Mi pare.

Max                               - (da una tasca estrae un mazzo di chiavi) L'ho ritrovato adesso, sopra una trave della capanna.

Riccardo                       - (con sordo stupore) Tu!?

Max                               - Era nascosto sotto il tetto, laggiù in fondo.

Riccardo                       - (freddo) E me lo dici ora?

Max                               - (dominando un accenno di reazione) Potevo anche non dirtelo, no ? E poi non sapevo come l'avresti presa: diffidi anche dell'aria.

Riccardo                       - E tu cosa ne pensi?

Max                               - Cosà vuoi che pensi!? Ci dev'essere qualcuno che vuole la mia rovina, non so... per buttarmi in un baratro, seppellirmi. (Cupo; lo sguardo nel vuoto) Per tanta gente può essere un gran colpo far coinvolgere Max Roller nello scandalo.

Riccardo ..................... - (si alza, gli va vicino, quasi che, per un moto istintivamente sincero, si riaccostasse un po' a lui col cuore) Tu credi questo?

Max                               - Posso creder tutto: il tradimento qualcuno, l'assalto premeditato, un piano dia­bolico per farmi sparire... tutto. Queste chiavi sono uscite da casa mia, dunque... Dunque chi è entrato qui dentro, e quei due che son fuggiti con la mia macchina, le hanno avute da uno che mi è vicino, da un complice che ha potuto rubarmele.

Riccardo                       - (si riprende, chiudendosi di nuovo nella sua freddezza ostile) Di chi vorresti dire?

Max                               - Ma non lo so, non lo so...! Tutti i pensieri che possono venire in testa sono spaventosi, di una logica assurda...

Riccardo                       - Le hai trovate sopra una trave! hai detto ?

Max                               - Perché? Non ci credi? Ci avevi guar­dato anche tu?

Riccardo                       - (ambiguo) No, no, sta' tranquillo.

Max                               - (s'allontana da lui) È inutile, è inutile, non possiamo parlare... non si può dir niente, che tanto ogni parola è fraintesa, ogni fatto si presta a induzioni opposte.

Riccardo                       - Ma io, scusa, non ho voluto mica negare... quello che hai detto. Siccome parlavi di complici, ho dovuto pensare che tu volessi dire che uno di noi, io o Solange, sia d'accordo con quelli che erano fuori.

Max                               - Ma no...

Riccardo                       - Ma sì, perché, insomma, ancora una volta si torna al punto di partenza: quella povera... illusa è stata uccisa con un colpo spa­rato a brevissima distanza.

Max                               - Come lo sai, tu?

Riccardo                       - Basterebbero quelle grida d'aiuto, un attimo prima dello sparo. E poi la ferita lo dice: così netta, non può esser prodotta diver­samente. Un proiettile che abbia percorso una lunga traiettoria altera i tessuti. Del resto ab­biamo accertato insieme che il colpo non può esser stato sparato dal di fuori o da un'altra camera. E allora? Supporre il suicidio? Il punto della ferita alla spalla e la direzione del colpo renderebbero sempre impossibile questa ipotesi, anche se si potesse ammettere che Solange abbia portato l'arma fuori di quella camera involontariamente, e anche, guarda, se non ci fossero state le invocazioni d'aiuto e la collutta­zione. Invece la lotta dev'essere stata accanita, Dunque è chiaro che il nostro cerchio non si spezza. Tutt'al più s'allarga, se si deve am­mettere che quelli di fuori fossero d'accordo con uno di quelli che erano dentro.

Max                               - D'accordo no, se ci hanno portato via la macchina.

Riccardo                       - Quante volte, pur di scappare, un complice tradisce l'altro. E poi domani la giustizia potrebbe supporre che anche la fuga in automobile sia un artifizio, per stornare le ricerche.

Max                               - Lo vedi se hai pensato anche a que­sto?! L'ho capito subito, sai. Davvero è meglio non dir più niente. Quando ho trovato queste ivi, ho fatto un balzo fino alla porta per dirtelo subito... Lì per lì mi pareva di aver afferrato finalmente una prova che ci potesse liberare. Invece un altro pensiero mi ha ag­ghiacciato là, sull'entrata: ho capito che po­liva nascere un altro equivoco, più aggrovigliato ancora. Per questo, appena entrato, ho ta­ciuto... Ma dopo ho sentito come un impulso improvviso... non so, una speranza... il bisogno ili chiederti aiuto... di sentirti vicino a me...

Riccardo                       - (freddo) Ah, per questo ti sei messo a difender Solange?

Max                               - No, no, non dire così, Riccardo. Sei spietato. Ma perché non dobbiamo riuscire a tonare un po' insieme, senza avventarci l'uno a l'altro?

Riccardo                       - Perché la posta del giuoco è la vita...

Max                               - Ragione di più per esser leali...

Riccardo                       - Appunto, ti ho detto cosa penso del fatto delle chiavi, che non risolve niente io favore, anzi... Invece può spiegare come li si sia trovato di là quel giornale, se è vero che c'era...

Max                               - Però non hai detto tutto.

Riccardo                       - Credi?

Max                               - Non hai detto quali sono le prove vorresti confidare soltanto al giudice.

Riccardo                       - Ne hai paura?

Max                               - Ormai ho paura di tutto, perché tutto congiura…..

Riccardo                       - Sta tranquillo, che non è vero. Lo confesso, vedi? Non nascondo niente. Avevo detto così per studiarti, per coglierti in fallo se mentivi. Ma con un tipo come te era un'in­genuità. Infatti l'hai capita a volo, tanto che mi hai ripagato immediatamente con la stessa moneta, inventando l'annunzio convenzionale io] giornale. Non è così?

Max                               - Sì, ma adesso è diverso... Mentre noi amo qui a dilaniarci con gli artigli del so­spetto, c'era qualcuno, là fuori... Forse ci hanno sentito... Forse sono io il bersaglio di tutto questo. Io solo. Prova a riflettere che cosa si­gnifichi far saltare Max Roller...

Riccardo                       - Ma allora potevano uccidere te, invece di inscenare...

Max                              - Non è la stessa cosa. Se io sparisco, qualcun’altro è il colpevole, e deve pagare. Così, invece il colpevole sono io. La causale? Là, pronta: Max Roller ha attirato la Vattier nella sua casa di montagna, e l'ha uccisa per far ta­cere un testimone che l'avrebbe trascinato nella catastrofe.

 Riccardo                      - Oh, non dico... È possibile que­sto e altro, con la gente del tuo mondo.

Max                               - Il mio mondo? Io non ho niente da spartire con quella gente. Levati questa pre­venzione dalla testa. In tutte le categorie, in tutte le professioni, ci può essere il marcio. Do­mandalo a Solange se è vero o no che l'altro ieri ho messo alla porta un emissario di Klein che era venuto a farmi delle proposte...

Riccardo                       - (subito) Cosa sa Solange?

Max                               - Si trovava per caso nel mio studio quando è entrato quel figuro...

Riccardo                       - (mordente) Per caso, eh?! Be­ne!... avanti!

Max                               - Lei naturalmente è andata via, ma ha capito da un mio gesto che doveva ascoltare il colloquio attraverso l'uscio.

Riccardo                       - Ah, sì, eh?! Poi?

Max                               - Infatti quel tale era venuto a of­frirmi in vendita documenti gravissimi, coi quali si potrebbero ricattare alte personalità della finanza...

Riccardo                       - E perché hai immischiato So­lange? Cosa c'entrava lei?

Max                               - Non c'era nessun altro, gli impiegati erano andati via. Anche Amberg, il mio se­gretario di fiducia, era fuori. Ho intuito subito che quella visita poteva essere pericolosa, che conveniva avere un testimone... L'unica per­sona fidata era lei...

Riccardo                       - Fidata, eh?! Ma diamine...!

Max                               - Solange può dire cos'ho risposto, come ho respinto quell'offerta...

Riccardo                       - Ma niente, non deve dir nien­te... Commedia! Anch'io ero fidato, e non mi avete detto niente.

Max                               - Per non turbarti...

Riccardo                       - Ah, certo! Vi siete messi d'ac­cordo per essere i custodi della mia tranquil­lità. Commedia!

Max                               - Non bestemmiare, adesso, che io...

Riccardo                       - Sicuro, ora capisco perché l'hai difesa, perché ti sei preoccupato di metterla da: parte... perché hai proclamato che lei deve essere innocente...

Max                               - Ma se son stato io ad accusarla di aver conosciuto Klein...

Riccardo                       - Commedia! Avete recitato quella parte per... (Sempre più agitato) E poi si spiega tutto... si spiega anche perché, al mo­mento del fatto, lei fosse qui e tu ancora in piedi.

Max                               - (insorge di colpo, lo afferra per le spalle e lo scuote minaccioso) Ah, no, sai! Non ti faccio continuare. Basta!

Riccardo                       - (con uno strattone cerca di libe­rarsi dalla stretta) Lasciami, se no...

Max                               - Sei tutto veleno!

Riccardo                       - (si butta verso il fondo chiamando con rabbia imperiosa) Solange! Solange!

Max                               - (lo trattiene) Sta qui. Che vuoi?

Riccardo                       - Lo so io. Solange!

Max                               - Lasciala in pace.

Riccardo                       - Ti preme tanto, di'...?!

Max                               - Non posso permetterti ...

Riccardo                       - Commedia...! Siete tutt'e due...

Max                               - (minaccioso) Finiscila, se no...

Riccardo                       - Levati...! Solange!!!! Non ri­sponde! Ha paura. Così si capisce tutto! Tutto! La rivoltella nascosta, la tasca falsa, la tresca infame...

Max                               - Bada Riccardo, c'è un limite...

Riccardo                       - Lo vedi che non risponde? Lo vedi ? ! Solange !

Max                               - (al colmo dell'esasperazione) Ric­cardo, non ne posso più... Sta attento...

Riccardo                       - Come la difendi, eh...?! La tua...

Max                               - (con un urlo selvaggio come un ruggito) Oh, insomma... (Fa per avventarsi contro di lui, ma riesce a dominarsi soffocando l'impeto in una commossa concitazione: il gesto minac­cioso finisce in un abbraccio) No, senti, no... Riccardo... aspetta...

Riccardo                       - Lasciami, ti dico.

Max                               - Una parola sola., ascoltami, ti pre­go... (Tenendolo stretto con un braccio, con l'altro gli accarezza rudemente la testa).

Riccardo                       - Voglio vederla subito, subito...

Max                               - No, guarda... Riccardo... un mo­mento solo... abbi pazienza...

Riccardo                       - (rompendo in lagrime il suo furore) - Ma se da te non voglio più ascoltar niente, niente...! Voglio lei, lei sola...

Max                               - Sì, sì, hai ragione... ma prima la­sciami dire una cosa... Ti supplico...

Riccardo                       - Tanto lo so, è inutile... Voglio vederla in faccia.

Max                               - Non ragioni... Ti dico io che non ra­gioni più... Guarda Riccardo, ora credo nella tua innocenza...

Riccardo                       - (col respiro mozzato dal rivolgi­mento improvviso) Max...

Max                               - ...ci credo perché ti fa diventar pazzo. Non si arriva a questo punto se non si è acce­cati dall'angoscia.

Riccardo                       - (con un tremito vivo nella voce spenta) Tu, Max...

Max                               - Ci siamo affondati fino alla gola. Più giù sarebbe la fine di tutto, di tutto... L'irri­mediabile. Vieni qui, ascoltami (Lo conduce verso una sedia, sulla quale Riccardo cadrà pe­santemente, tutto scosso dall'agitazione che non riesce a placare) Non m'importa di me, ades­so... Io mi rifiuto di pensare che tu sia un assassino fino a voler massacrare tua moglie e me, per salvarti inventando il sospetto di una congiura o di una tresca fra noi. Sarei il più spregevole degli uomini, se credessi che la tua non sia una pazzia, ma un artificio creato per nasconderti, per sfuggire. (A un gesto di Riccardo) No, ti scongiuro di non diffidare anche di questa mia sincerità. Non è un altro espediente per trarti in inganno... Adesso so che innocente. E ti chiedo perdono, guarda...

Riccardo                       - (si stringe a lui con commossa sincerità) No, Max...

Max                               - ... Sì, sì, perdono per averti detta tante brutte cose... Per questo nessuno griderà più forte di me, davanti a tutti, la tua innocenza... anche se dovesse costarmi la vita...

Riccardo                       - (c. s.) No, no.

Max                               - (in atto di paterna protezione gli tormenta la testa con la rude carezza in cui sfoga la sua agitazione) Mi sembra, adesso, che tu sia tornato il mio fratellino, che io devo difendere ancora... Ti guardo con invidia, Riccardo! e con una gioia che tu forse non credi... perché non puoi immaginare come fra la gioia e l’angoscia almeno una volta vinca la gioia. Non so che cosa sarà di me, domani; ma intanto ho raggiunto questa verità, che mi darà una gran forza... Il sospetto su Solange ha ottenebrato la tua mente, ma ha illuminato la mia. Per me! ti chiedo soltanto di aiutarmi... Ho bisogno del tuo consiglio, della tua guida... non dico della tua fiducia perché... perché comprendo che tutte le apparenze congiurano ormai solo contro di me... Stasera, mentre ci eravamo scagliati l'uno contro l'altro, tu mi hai rinfacciato che una volta, tanti anni fa, ti dissi che fare li bene è un buon affare... il mezzo per procurarsi una reputazione redditizia.»

Riccardo                       - Sai, in quel momento...

Max                               - Sì, lo so, lo so... e non ti rimprovero, sta sicuro.

Solange                         - (apparirà in fondo, sul pianerottolo, e rimarrà ad ascoltare senza che né Max né Riccardo avvertano la sua presenza).

Max                               - Purtroppo è vero. Nella mia vita c'è stato un periodo buio, tremendo... Stavo peri esser travolto... odiavo tutti... In ogni uomo vedevo un nemico. Bisognava difendersi a unghiate... Qualunque mezzo mi pareva giusto,! pur di salvarmi, di risorgere... Contro di me sii era scatenato uno di quegli assalti che non perdonano. Allora anche la generosità mi sembrò! utile... pur di apparire al di sopra dei miei nemici. Se tu sapessi come sono stato punito delle benedizioni di quelli che avevo salvatoli Ma stasera è diverso... Bisogna che tu non mi veda più come allora... Perché in questa congiuntura tremenda, non c'è di mezzo solo la mia: persona. Se salto io, è la rovina per centinaia! di famiglie... Non credere, sai, che lo dica peri mettermi al riparo dietro gli innocenti che sarebbero travolti dal mio crollo. Parlo al tuo cuore, adesso... perché dobbiamo pensare in­sieme alla sorte di tutti quelli che mi hanno affidato i loro risparmi, con la loro fiducia nei titoli delle mie aziende. Se io sarò coinvolto nello scandalo Klein, non ci sarà scampo, ne per me ne per loro, anche se in seguito potrò dimostrare la mia innocenza. Assaliranno su­bito da ogni parte la mia casa indifesa. Sarà il panico, la fuga, la distruzione. E non basterà uscirne a fronte alta, con le mani nette: le ro­vine non si rimettono in piedi. (Si volge e vede Solange che viene avanti) No, no, non rispon­dermi niente, adesso: mi dirai dopo... Rifletti. Non so nemmeno io che cosa si può fare. Guar­da: c'è qui Solange: parlane con lei, libera­mente. Io vado di là; è meglio... Così potrete dir tutto, fra voi... Poi mi chiamerete. (Esce rapidamente in fondo).

Riccardo                       - (chino su se stesso, con profonda emozione) Solange?

Solange                         - (ancora commossa dalle parole di Max, gli va vicino asciugandosi le lacrime) Di'...

Riccardo                       - Anche Max è innocente.

Solange                         - Sì, Riccardo.

Riccardo                       - (sempre seduto, senza guardarla, le prende una mano) È stato lui ad afferrare la verità, solo con l'anima... Ci son gli indizi: non importa: l'anima dice di no. Contro tutte le apparenze vale quello che abbiamo ritro­vato in fondo al cuore, nel sangue. E allora è inutile cercare, controllare, mettere insieme le circostanze... Questo lo faranno gli altri, i giu­dici. Noi dobbiamo solo stare uniti, sentirci vicini, aspettare quello che avverrà... Non possiamo difenderci l'uno accusando l'altro: dobbiamo difenderci l'uno difendendo l'altro più di se stesso. Il resto lo farà Iddio, che ci vede e ascolta ancora le preghiere della mamma.

Solange                         - (singhiozza) Sì, Riccardo... la ve­rità è questa...

Riccardo                       - Io ancora non oso guardarti, So­lante. Prima dimmi che mi perdoni...

Solange                         - Oh, no, io no, sei tu che devi per­donare me...

Riccardo                       - (si alza e l’accoglie fra le braccia) Piccina, che sei...! Lo vedi, eh?... com'era vicina a noi la verità! Siamo stati cattivi... Ma per fortuna Max, che sembrava così... così arido nei suoi calcoli, l'ha trovata lui la strada buona, quella vera. Invece noi ci eravamo sperduti... Il meccanismo della ricerca ci aveva travolto nell'ingranaggio. E di tutto il passato tornavano solo le cose cattive, i detriti che la vita di ognuno lascia dietro. E forse, se tutti e tre ri­cominciassimo a inseguire la logica fredda delle cose che sono fuori di noi, sentiremmo un'altra volta avvampare un odio inumano, mentre è vero solo che ci vogliamo un gran bene, e che abbiamo tanti, tanti ricordi di tenerezza, di at­taccamento, di generosità, di gioie godute insieme, che non riusciremmo mai a distruggere perché li abbiamo nel sangue. E allora, che faremo quello che, lui vuole, che obbedi­remo a lui, al fratello più grande, senza discu­tere, senza pensare a noi. Per guadagnar tempo, il meglio sarebbe che io attirassi sopra di me tutti i sospetti, che mi facessi arrestare io solo, perché... (S'arresta guardando verso la porta, come se avvertisse qualche cosa: infatti si sen­tono dei passi).

Solange                         - Dio mio!

Riccardo                       - Taci. (Va verso la porta. Si sente bussare).

Voce di Funke              - Permesso? (La porta si apre e entra Funke, seguito da Weiss: entrambi vigorosi, energici, in abito da sciatori. Porge a Weiss le racchette perché le appoggi al muro fuori della porta e viene avanti togliendosi i guantoni di lana) Buona sera. Siamo della po­lizia di confine. Per un sopraluogo. Dov'è la camera della vittima?

Riccardo                       - Là, quella. Ma loro... vogliono spiegarci...

Weiss                            - (a un cenno di Funke va nella ca­mera indicatagli, passando davanti a Riccardo)

                                      - Scusi...

Funke                            - Li abbiamo arrestati. Lassù al va­lico. Klein e... l'altro... (Non ricorda il nome).

Riccardo                       - (con viva emozione) Klein?!

Max                               - (riappare in fondo).

Funke                            - Già. Eravamo appostati proprio per lui. Da un po' di giorni s'aggirava verso il confine. Riusciva sempre a sfuggirci. Se l'aves­simo preso prima... non avrebbe commesso quest'altra prodezza.

Solange                         - Cos'ha detto?

Funke                            - Hanno confessato. Anzi, è stato l'altro a vuotare il sacco. Spera di separare la propria responsabilità da quella di Klein, che ha voluto sbarazzarsi della sua complice Enrichetta Vattier, perché sapeva troppe cose - (A Max) Il signor Max Roller?

Max                               - (viene avanti) Sì. Chi è l'altro?

Funke                            - Come! non li han visti fuggire? È il suo segretario... Arturo... (Consulta un tac­cuino).

Max                               - (con doloroso stupore) Arturo Amberg?

Funke                            - Sicuro.

Solange                         - Lui!...

Riccardo                       - (nello stesso tempo) Ma no!

Funke                            - (a Max) Non hanno rubato la sua automobile?

Max                               - Sì, ma non abbiamo fatto in tempo a riconoscerli.

Funke                            - Ah, ecco... Avranno visto: il colpo era diretto anche contro loro. Quel... (Guarda il taccuino)... quell'Amberg sapeva che avreb­bero passato la notte qui. Allora Klein, per fuorviare le indagini, ha predisposto degli in­dizi: se non sbaglio uno spillo da cravatta, un giornale, delle carte... (a Max) e persino una rivoltella; la sua, non è vero?

Riccardo                       - Ma come! era tua?

Max                               - (a Funke) Me l'Ira portata via Am­berg ?

Funke                            - L'ha presa ieri da un cassetto della sua scrivania. E Kléin l'ha lasciata sul letto, accanto alla vittima.

Max                               - Ora capisco. Ha colpito la Vattier prima che noi arrivassimo.

Funke                            - Quando hanno sentito avvicinarsi il rumore della loro automobile. Mentre Klein compieva il delitto, Amberg, lì fuori, faceva la guardia. Poi son rimasti qui, attorno alla casa, per fuggire con la macchina.

Max                               - Si vede, allora, che quella poveretta è rimasta tra la vita e la morte, priva di sensi, e per questo, quando eravamo qui, non ab­biamo avvertito la sua presenza. Poi, quando Solange ha aperto l'uscio, dev'essersi un po' riavuta, ha ripreso conoscenza, e si capisce che lo spavento le ha dato la forza di gridare, di dibattersi, forse di sparare, per il terrore che quei due le fossero di nuovo addosso, pronti a finirla...

Funke                            - E... dopo non ha potuto dir niente?

Max                               - È spirata quasi subito.

Funke                            - Permettono?... (Esce in fondo).

Max                               - (con angoscia) Amberg. (Si butta a sedere vicino al fuoco e si asciuga le lagrime che non ha potuto trattenere. Un silenzio).

Riccardo                       - (gli va vicino, gli mette le mani sulle spalle) No, Max, perché?

Max                               - (gli prende una mano e cerca di sorri­dere) Vedi, però, se avevo ragione di dire che era un tradimento? Per fortuna c'è chi ci ha assistito, per salvarci dalla rovina. E pensare che domani, messo in salvo Klein all'estero, chi sa che Amberg non sarebbe tornato in ufficio come sempre, come se fosse niente (Con un profondo senso di tristezza) Forse non dob­biamo più lasciarla così sola la nostra casa.

Riccardo                       - Come farò a farmi perdonare...? (Abbracciandola) E anche tu, povera cara...!

Max                               - La sola cosa da fare, è di volerci più bene di prima.

Solange                         - (stringendosi al petto di Riccardo) Oh, sì...!

Max                               - (come per, vincere la sua pena) Bah! (Si alza) Solange, credo che bisognerà riac­cendere il fuoco.

FINE