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SAGA

(una leggenda)

Titolo originale: Sagan

Commedia in quattro atti

di HJALMAR BERGMAN

Versione dall’originale svedese di Giacomo Oreglia e Maripiera De Vecchis

PERSONAGGI

LA SAGA

ASTRID

ROSE

COLONNELLA

FLORA

SUNE

GERARD

IL CONSIGLIERE

IL GENTILUOMO

IL NOTAIO

GLI INVITATI

ATTO PRIMO

La scena rappresenta il parco di un castello. Nel fondo una terrazza tutta cintata da una ringhiera di ferro battuto e coperta d'edera. Nel mezzo una grata aperta ed oltre questa, a ridosso del muro, un pozzo. A destra e a sinistra del muro una scala verso la scena, in avanti. Vicino al pozzo una cuccia per cane. Sul davanti la scena è limitata da due muri di serra le cui porte sono aperte sulla scena; in mezzo una grande tavola rotonda di pietra e due panche di legno. La luce viene dal fondo oltre la ringhiera, prodotta da torce e lanterne. Una grande lanterna si trova sul cancello e una piccola sopra il pozzo. Le serre sono illuminate, ma la scena centrale è in penombra. Un grande cane da caccia è legato vi­cino al pozzo. La scena è vuota e dal fondo si ode una musica flebile e lontana, suonata da strumenti a corda; risa e voci allegre. Poco dopo, attraverso il cancello, appare sulla terrazza Astrid accompagnata da due ragazze e da due giovani in abito da sera. Le due coppie scendono la scala e Astrid rimane sola presso il cancello. Le coppie incontrandosi al centro della scena si fanno una riverenza e ridendo sì girano ed entrano, una nella serra dì destra, l'altra in quella di sinistra, chiudendo le porte. La musica tace. Astrid intanto è discesa, si è seduta presso il tavolo di pietra nascondendosi il volto nelle mani. La griglia del pozzo si apre e dal pozzo sorge una fanciulla con un grande abito verde: è la Saga. Si tocca gli occhi con gesto assonnato, corre verso Astrid e le soffia nel collo; questa si alza e lenta­ mente si dirige verso la serra di destra. Saga la segue camminando sulla punta dei piedi, poi si pone innanzi alla porta della serra e allargando le braccia soffia sta viso di Astrid; questa sussulta, si volta per entrare nell'altra serra, ma Saga glielo impedisce nella stessa maniera. Come una sonnam­bula, Astrid sale verso il pozzo e si ferma spaven­tata di vederlo aperto. Cerca dì richiuderlo, ma non riesce. Saga con un gesto vivo si impadronisce del lungo scialle bianco che Astrid portava sulle spalle, lo brandisce trionfalmente e corre sulla tavola, il cui piano si mette a girare in maniera tale che lo scialle forma una spirale intorno al suo corpo. La h tavola si arresta ed ella vi sì siede sopra, con il viso rivolto al pozzo dentro al quale Astrid sta ora fis­samente guardando. Saga comincia a parlare lenta­mente, con malinconia.

Saga       - Io non sono che una leggenda, una Saga addormentata nel fondo del buio dei se­ coli. Il mio cuore ha il freddo, il silenzio e la: inerzia dell'acqua chiara e fresca della sorgente in fondo al bosco. Eppure fu un cuore. Io ero la fanciulla Gudrun che incontrò una sera di estate il cavaliere Sune. Che cosa avvenne in seguito? Silenzio! Tutto quello che so, è che le stelle nel cielo erano così pallide che parevano gli anemoni della terra. Tutto quello che so, è che il vento lasciò cadere le sue ali tanto lievi come le piume di un passero. E i miei occhi si spezzavano contro lo specchio dell'acqua, le rane gracidavano. Io ero la fanciulla Gudrun che bevve alla fontana una sera d'autunno. Il cava­liere Sune posò le sue mani sulla mia testa. Mani pesanti, come un peccato mortale. Che cosa voleva la tua mano, Sune? L'estate. L'estate è finita, piccola Gudrun, i tuoi occhi hanno il luccicar delle stelle in inverno. Ecco che l'estate se n'è andata e c'è un sordo rumore di zoccoli sulla strada di ghiaccio. Che cosa vuole il tuo cuore Sune? Io bevvi allora alla fontana della morte fino a perdere il fiato. Le civette ulula­vano. Bevvi alla sorgente d'amore e il mio cuore tacque calmo e freddo. I cani abbaiavano: bevi, bevi, bevi, piccola Gudrun; mentre il cavaliere Sune al margine della strada diceva: cuore mio, mia gioia non ho più fortuna... mentre il cava­liere Sune sul bordo del letto nuziale diceva: amor mio, piccola amica, anima mia non posso dimenticarti. Il cavaliere Sune alla mia tomba diceva: eco della terra, il tuo cuore lieve, il tuo corpo sottile... Ma il mio cuore divenne leg­genda. Ragazza, la tristezza di una Saga non è che la tristezza di chi l'ascolta. Vieni Astrid! Vieni alla sorgente di Gudrun! (Astrid sposta con esitazione la lanterna e scruta il fondo del pozzo; poi comincia a discendere nel pozzo len­tamente e la luce della lanterna diviene sempre più flebile. La Saga, sul tavolo, dopo aver fatto mezzo giro su se stessa, scoppia in una risata so­nora, ironica, che si trasforma in singhiozzo) Il mio cuore divenne una Saga. E sopra la sorbente di Gudrun si è costruito un pesante castello di pietra. Si viveva con dei fiori e si moriva con delle lacrime. La vecchia madre lasciò cadere il fuso e il lino che stava filando. Vieni, Gudrun, vieni. Le sere si facevano molto lunghe, ma il giorno prima del giorno dell'ultimo giudizio la sorgente s'inaridirà. (Si alza in piedi e grida con la mano alla bocca) Qualcuno qui crede ancora alle leggende? (Ascolta a destra e a sinistra. La sua inquietudine diventa ansietà per terminare in abbattimento) Dov'è tutto il mio pubblico? Quelli che erano ordini una volta non sono più che delle suppliche, ora. E voi, voi tutte mie sorelle, è questa la vostra pietà? Nessuno più crede alle leggende qui? (Un'eco lontana ripete).

Eco                                    - Sì!

Saga                                   - (trionfante) Eco tu mi sei rimasta fe­dele! Eco ascolta! (La musica ha ripreso. Le porte delle serre si aprono e le due coppie escono con visi imbronciati e gesti di irritazione. Poi si scor­gono a vicenda, si segnano a dito e con i gesti di prima si fanno una riverenza e scambiandosi salgono, una a destra, l'altra a sinistra, verso il terrazzo. Saga salta a terra lasciando lo scialle sul tavolo e si pone al fondo della scala con le braccia incrociate verso le coppie che, raggiunto il cancello, escono di scena, ridendo, ha musica continua, ma sempre più in sordina) Eco, ascolta! Il parco del castello illuminato da cento torce, da mille lanterne e dalle infinite luci del cielo, è il parco del castello di Sune. Il castello pesa con tutto il suo granito sulla fontana della fan­ciulla Gudrun. Il cavalier Sune è anch'egli ri­tornato alla terra e la mola dei secoli, che gira intorno ai secoli, ha fatto le sue ceneri così fini che Saga non può più modellare un'immagine di argilla. Ma il suo corpo e il suo spirito vivono nel nuovo padrone del castello che porta il nome dell'avo. E i segni promettono, se non ingan­nano, la sopravvivenza della razza del cavalier Sune. Fra poco tempo il nostro giovane cava­liere celebrerà le sue nozze con la signorina Rose, una ragazza bella come una pesca matura; predico che avranno molti bambini. Ma ascolta... (Alza la mano) Uhuu... (ha musica tace) la fidan­zata del mio padrone non è una fanciulla qual­siasi, appartiene alla famiglia Ehrenstal, famiglia che unisce l'onore all'acciaio. Non ne sei emo­zionata?

Eco                                    - Sì! (ha musica riprende).

Saga                                   - Bene. Dunque, sai che è un partito conveniente, forse non ci saranno molti soldi, ma la famiglia è tanto rispettabile. I lauri dell'onore essa li ha colti uno ad uno, prudente­mente, al servizio di sua Maestà. Ma soprattutto ha reso servizio a se stessa: con una ferma vo­lontà si è negata tutti i capricci, ogni trastullo, le piccole cose frivole che potessero sviarla dalla sua strada maestra. Un'eccellente famiglia dall'onore incorruttibile. Si è mai udito che un Ehrenstal abbia mentito? Mai! Ben inteso, se si sentono paroline sussurrate all'orecchio, dettate all'aria, piccoli errori spiacevoli, allora sì... qual­che volta; anzi, sovente. Ma se si vuole una bella menzogna molto evidente, molto infamante, mai! Si è mai visto un Ehrenstal rubare? Ben inteso che s'intende far molto abilmente man bassa sui beni altrui, allora... talvolta. Io, certo, non potrei parlare di assassinii, delitti, violenze, o cose si­mili; tutto ciò che intendo dire è che, nonostante la loro razza sia nata sotto il segno di Marte e Venere, e nonostante contasse più di un guer­riero famoso, tutti gli Ehrenstal sono morti nel loro letto. E il delirio dell'amore non ha mai spinto uno di loro a mancare al dovere, all'onore e alla prudenza. Al dovere, forse, se mancassero non incorrerebbero in sanzioni e così per l'onore, basta che tutto non sia apertamente disonore­vole. Ma alla prudenza, mai! Ecco dunque la famiglia che accoglie tra le sue onorevoli braccia il mio giovine padrone, erede del castello di Sune, e della sorgente di Gudrun. Silenzio. Mu­sica. Il passo pesante che si avvicina lacera il tuo tessuto cangiante con il suo tallone di ferro. (ha musica tace. Si avvicina, venendo dal fondo, un passo lento e pesante. Un gran vecchio molto distinto con capelli e barba bianchì, ap­pare attraverso il cancello. Scende la scala di sinistra, mentre Saga volge il viso verso di lui) Permettetemi di presentarvi il più anziano della famiglia, zio della graziosa fidanzata, grande consigliere di commercio e commendatore, pa­drone di officine, proprietario di miniere, fo­reste, fattorie, di uomini e bestie. Ha il piede pesante, pia ha portato la testa alta per tre quarti di secolo. Bisogna portargli rispetto! Il mio giovine padrone era un suo protetto, ed egli gli ha restituito il suo patrimonio duplicato. E' questo che deve fare la gioia di Rose, la bella fidanzata, e della sua famiglia. Così la virtù ri­compensa la virtù! (Il Consigliere ha ora rag­giunto il centro della scena. Si carezza la barba, perduto in profondi pensieri. Poi si dirige verso la serra di destra, ha Saga si rivolge verso dì luì) Che oggetto di venerazione, una lunga vita di saggezza e fortuna! Nella fuga degli anni e dei mesi, delle ore e dei minuti non ha perso neppure un secondo per un pensiero inutile. Non ha cessato di misurare il proprio onore con l'al­trui indegnità, la propria saggezza con la follia altrui. Allora, per grazia del cielo, si raggiunge un'altra statura e prestanza: i capelli e la barba prendono la bianchezza luminosa dell'innocenza e il ventre la venerabile rotondità del globo ter­restre. Saga ti saluta, signor Consigliere, con i ginocchi tremanti dal rispetto! (Il Consigliere le passa davanti. Saga gli fa una riverenza tanto profonda che perde l'equilibrio e cade seduta) Ahi! Ahi! Quel grand'uomo del Consigliere fa cadere la piccola Saga. Tu hai vissuto come uomo saggio. Quando il tuo cuore sarà come un passero nella fredda mano della mor­te, tu scriverai l'ultima cifra nel registro della tua saggezza e chiuderai il fermaglio dell'anima, addormentandoti serenamente. Non c'è che una cosa che io non capisco, signor Consigliere, ed è che tu ti degni ancora di interessarti a tutto ciò. (Il Consigliere sorride ed entra nella serra. Saga salta in piedi battendo le mani) Ed ora, musica. Sento un passo di donna... (Attraverso il cancello affare la Colonnella, donna di mezza età e dì piacevole floridezza, coi lineamenti vigo­rosi e decisi. Si arresta esaminando la scena con il suo occhialetto e scende dalla scala di destra) Una madre! I capelli bianchi di un vecchio non saprebbero ispirare a Saga un altrettanto salutare rispetto che questo cuore bruciato da una sacra fiamma. Scendi o parente del mio caro padrone, tu che portasti nel tuo seno la sua giovine fidan­zata. Avanza fino alla sorgente di Gudrun e con­cedi un istante di fantasia, amaro e lieve, a que­sto amore del passato, così lieve, così amaro, che soltanto il fuoco fatuo di una leggenda può custodirne il riflesso! Guarda. Ho aperto la gri­glia arrugginita e ho mandato la sorella del mio cuore, Astrid, a guardare il suo dolore riflesso nel mio. Questo spettacolo è fatto proprio per gli occhi di una madre... (Cambiando tono) Come no? per niente? è forse un po' troppo sentimentale. Scusatemi, scusatemi; dimenticavo che una madre ha molti pensieri quando sposa sua figlia. In fondo non è neppure sicura di suo genero fino a che il pastore non ha detto: amen. La signora Colonnella ha fatto tutto il suo dovere, ma la signorina ha un sacco di ma­lizia, e il giovane ha già avuto legami senti­mentali. Capisco, capisco, la Colonnella è vedova e il suo cuore trasale d'inquietudine. E poi la dote è misera e la scelta di Rose è stata decisa dal consiglio di famiglia. (Durante questa bat­tuta la Colonnella ha attraversato la scena per andare verso la serra di sinistra. Saga l'ha se­guita come un uccellino intorno ad uno Sparviero, poi salta sulla tavola) Soltanto una parola, signora. Poi potrete passare in rivista le rose e i lillà con il lorgnon da battaglia. Capisco che una madre previdente e coscienziosa faccia di tutto per la fortuna della figlia, combini e sparli, pettegoli e discuta, giri e rigiri, ma non capisco ugualmente come abbia il coraggio di farlo. (La Colonnella sorride distrattamente ed entra senza fretta nella serra di destra) Il mio giuoco può cominciare. Non è più la musica della foresta che cantava la morte della piccola Gudrun. C'è qualcuno che può credere alle leggende qui? No, è semplicemente una tragedia con cinque o sei parti, con un amore che muove le montagne, ben inteso... ma sono montagne dipinte sulla tela, montate su ruote... per più comodità. Se­condo me, ogni comparsa è a posto, non manca che... vediamo... il traditore nella commedia. (Batte le mani e fa un mezzo giro) Entrate signor traditore! (Batte il piede) Entra, dunque, recal­citrante personaggio. (Attraverso il cancello af­fare il dottor Gerard Ehrenstal, di circa trent’anni, con un'espressione dura e pensierosa) Uomo gagliardo e bello; è un medico famoso, speranza e fierezza della famiglia. Vieni, vieni. (Gerard scende dalla scala di sinistra e la tavola gira per permettere a Saga di seguirlo con lo sguardo) Cosa? Tu guardi di traverso verso il pozzo? No, dottore, no; guardate diritto dinanzi a voi. Questo uomo appartiene, come Rose, al ramo povero della famiglia e deve il suo avve­nire alla generosità del Consigliere. Una volta corse la voce che lo scuro sguardo di questo figlio di Esculapio si era troppo a lungo fermato negli occhi belli della cugina. Male, male. La famiglia si riunì, la Colonnella prese la parola e il Consigliere la presidenza. Si decise di tener segreto questo fragile amore, sigillato in uno scrigno con le altre reliquie della famiglia. E così fu. Entrate, dottore... non là... andate a raggiungere il signor Consigliere. L'odore dei narcisi e il calore della serra l'hanno assopito, ed egli dorme con il sonno leggero della vec­chiaia. Non svegliatelo... i vostri pensieri vi ter­ranno compagnia. Ed ora... ora bisogna... No, aspettate, vediamo. (Batte le mani e il tavolo fa un mezzo giro) Un buffone, un buffone... (II Gentiluomo entra rapidamente dal terrazzo con l'aria gaia e affabile, si ferma un istante, fot vivacemente scende per la scala dì destra ed entra nella serra) Signor Gentiluomo, vi rive­risco profondamente. Perché venite, un uomo come voi... ben educato, amabile, raffinato, affascinante, elegante, brillante, toccante, divertente, strabiliante... Siete un buffone? avvenne che un leone scivolasse sulla pelle d'un asino. E' il de­stino che lo volle, e la leggenda e, infine, l'eco­nomia drammatica. Avete preso la soluzione esatta. La Colonnella vi attende, siate galante... è commossa, inquieta, emozionata, ma voi dissi­perete le sue preoccupazioni per farle sentire che la vita è qualcosa di strabiliante. Signor Gentiluomo, vi faccio una profonda riverenza. (Entra la signora Flora dall'aria decisa e ango­losa, con un grande ombrello) E per finire, una parola o due... o tre, a proposito di lui. Voglio parlare del mio signore e padrone; veramente, mio no: è l'eroe della commedia. (Stende le braccia con un gran movimento di gioia, fot scorge l'anziana signorina e, fresa da paura, emette un lamento come un ululato) Uhuu... attenzione, Leo, acchiappala, mordila, pigliala, su, su... (Slega il cane dandogli un colpo e Spingendolo verso la scala. Flora scende tenendo a bada il cane con il suo ombrello e si dirige verso la serra di destra; tenta di chiudere, senza riuscirvi, la griglia del pozzo, guarda intorno con sospetto. Saga la segue col cane) Lascia stare quella griglia, vecchia strega. Leo, pigliala. Vipera, strega, vecchia civetta. Mordila, Leo... (Ri­gira intorno a Flora urlando. Sulla punta dei piedi soffia sulla faccia della donna che si ar­resta e starnuta violentemente. Saga cade e ruz­zola in centro della scena. Flora si soffia rumo­rosamente il naso, poi entra nella serra. Saga seduta a terra dice singhiozzando) Hai ragione Leo, non ci si sbarazza tanto facilmente di que­sto spauracchio. Flora, della famiglia Ehrenstal, è la zia e madre adottiva di Gerard e, io credo, la peggior nemica del mio padrone. L'occhio torvo, la bocca amara, lo spirito cattivo, la borsa avara. Ecco che cos'è; prende piacere a cammi­nare sui piedi della gente, viene sempre senza essere invitata e non se ne va mai quando deve. Qui, Leo, siediti, parliamo del padrone. Era un bambino biondo che giuocava presso la fontana e vide per la prima volta il viso pallido di Gudrun. Tese la mano per toccare i suoi capelli arruffati e non toccò che muschio. Ma io pre­metti sulla sua mano la bocca. Ma eri così pic­colo, come puoi ricordartene? Puoi ricordare il giorno d'estate in cui Astrid arrivò al castello? Suo padre era stato il miglior amico del defunto padrone. Si voleva che il giovane facesse da padre alla bambina. (Dando un colpo alla testa del cane) Non capisci? Il padrone aveva vent'anni. Questo ti diverte? Hai annusato e corso abbastanza dietro le loro impronte. Io ero al fondo della sorgente, a singhiozzare. E poi il seguito, come troppo sovente ogni seguito, fu molto triste. Il cuore della ragazza fu conve­nientemente bruciato. Ma il giovane scapestrato, dopo aver colto le bacche in un cespuglio proi­bito, pensò subito di cambiare cespuglio. E' ora il tempo che. Astrid, a sua volta, veda specchiato il suo dolore alla fonte di Gudrun. Uguale a me, la sera d'autunno in cui Sune lasciò la foresta sul suo cavallo. Mia piccola sorella. (La musica riprende lontana e dolce, ma sempre in crescendo) Ma il nostro padrone è cieco, d'ac­cordo. Un impiccato non lascia la sua corda che da morto e tutti dicono che agli innamorati vengono velati gli occhi. Ma Saga conosce il segreto per far camminare dritto i ciechi e per rendere cieco chi vede. Corri, svelto, a cuccia. (Corre verso la cuccia col cane e lo lega. Si odono rumori e voci come all'inizio dell'atto. Le due coppie appaiono dietro al cancello, dopo aver fatto a piccoli passi il giro della scena. Saga risale sul tavolo e la musica sì allontana) Il mio giuoco può incominciare. Io scendo alla sorgente di Gudrun per mormorare all'orecchio della pic­cola Astrid le parole di una leggenda, una saga appena risvegliata dal sonno profondo dei secoli. (Dalla terrazza entrano Sune e Rose mentre Saga scende dal tavolo e scompare nel fondo)

Sune                                   - Ecco, hai visitato il nostro castello, tutto, fino alle fondamenta. Ti piace? (Rose accenna di sì col capo) Avrei voluto che non ti piacesse. Avrei voluto che tu avessi trovato qualcosa a ridire... le stanze troppo grandi, troppo scure, troppo vecchie; che le porte almeno non ti piacessero...

Rose                                   - Ma perché?

Sune                                   - L'avrei distrutto, non avrei lasciato una pietra, per costruirne uno per noi due. Rose   - Distruggere il tuo castello, la tua casa? Ti è talmente cara.

Sune                                   - Sono felice, Rose. La felicità esige dei sacrifici, no?

Rose                                   - Che pazzo.

Sune                                   - Folle, pazzo, insensato, ma di chi è la colpa? (L'attira a sé violentemente. Rose sì distacca dopo un istante come intimidita).

Rose                                   - Devi mostrarmi la sorgente...

Sune                                   - La sorgente, è vero. (Scendono da sinistra. All'ultimo gradino Sune si gira verso Rose che lo segue lentamente) Ma non essere troppo delusa, è una pozza d'acqua al fondo di uno stretto passag­gio. Ha lo scintillìo di un occhio corrucciato e il livello dell'acqua si abbassa ogni anno. Ma la sor­gente si inaridirà solo il giorno del giudizio. Lo dice la leggenda. (Va verso il pozzo e ha un sussulto nel vederlo aperto) La griglia del pozzo aperta? che cosa vuol dire? è sempre stata chiusa dal giorno in cui, da ragazzo, sono caduto dentro, e il cane mi ha afferrato per una gamba. Si direbbe che c'è luce al fondo. C'è qualcuno?

Rose                                   - Che c'è?

Sune                                   - C'è Astrid.

Rose                                   - La tua piccola protetta. L'ho vista lasciare il ballo molto presto, forse aveva un appuntamento presso la fontana.

Sune                                   - Astrid, cosa fai? (Astrid è uscita dal pozzo).

Astrid                                - Non so... la griglia era aperta, mi sono chinata e ho perso il mio scialle.

Rose                                   - Signorina, potete raccontarci la saga di Gudrun?

Astrid                                - No.

Sune                                   - Andiamo, l'avrai ascoltata infinite volte.

Rose                                   - L'hai raccontata molto sovente; puoi ripe­terla ancora una volta.

Sune                                   - Per te, sia. C'era una volta una ragazzina che amava un mio antenato, il cavaliere Sune, lo stesso che fece costruire il castello. Tutto cominciò in primavera ed ebbe fine con l'autunno, perché il cavaliere era un po' volubile.

Rose                                   - E' una caratteristica della famiglia?

Astrid                                - O no, più tardi il cavaliere divenne fedele, e ciò dura ancora.

Sune                                   - La fedeltà è la nostra caratteristica. Egli decise di sbarazzarsi della ragazza, ma a suo diso­nore devo dire che scelse un mezzo atroce per farlo.

Astrid                                - Ce ne sono dunque molti di mezzi?

Sune                                   - Che sciocco. Certo, volevo dire che ce ne sono molti, e lui scelse il più vergognoso.

Astrid                                - Si trattava forse ancora di un gioco.

Sune                                   - Se vuoi raccontare tu...

Astrid                                - Scusa, scusa.

Sune                                   - Diede appuntamento alla ragazza vicino alla fontana; ella vi giunse correndo fino a perdere il fiato, bruciante, e siccome aveva sete, dopo questa lunga corsa, si piegò alla sorgente per bere. Allora Sune posò la sua grande e pesante mano sulla testa della fanciulla.

Rose                                   - Oh!

Sune                                   - Sì, è terribile. Ma, aspetta la fine: lo è ancora di più. Quando la fanciulla sentì il peso della mano capì tutto, e per evitare all'anima dell'amato di caricarsi di un peccato mortale, preferì darsi da sé la morte.

Astrid                                - Che sciocca.

Sune                                   - Astrid, sai che non posso sopportare.

Rose                                   - Ma mio caro...

Astrid                                - Signorina Rose, egli tiene molto a questa leggenda: è come fosse di sua proprietà.

Sune                                   - Non rovinare la sua poesia. A che punto ero? Ecco, sì, nella penombra della foresta, la fan­ciulla è inginocchiata accanto alla sorgente. E la mano d'acciaio stringe la piccola testa, la rinserra, ed ella domanda: un istante ancora Sune, che io mi disseti. Egli acconsente. Ed ella abbassa volon­tariamente il suo viso verso Io specchio d'acqua, tenendolo immobile, immerso finché il suo cuore cessa di battere, fino a che il suo fragile corpo si irrigidisce come un uccellino nella mano della morte.

Astrid                                - (dolcemente) Per maggior gioia di Sune...

Sune                                   - (sussultando) E io prenderei piacere a questo orrore? Ne soffro e ne ho vergogna... Forse ne ho anche piacere. Seppure orribile è ugualmente berlo. Un tale amore...

Rose                                   - Questa leggenda è sciocca.

Sune                                   - Sciocca?

Rose                                   - Nessuna ragazza al mondo reagirebbe così, fosse anche pazzamente innamorata.

Sune                                   - Cosa ne pensi Astrid?

Astrid                                - Nessun uomo agirebbe così.

Rose                                   - (violentemente) E' assolutamente impos­sibile: nessuno avrebbe la forza ed il coraggio di agire così, di guardare la morte in faccia.

Sune                                   - Sì.

Rose                                   - No.

Colonnella                         - (entrando da destra, con voce in­quieta) Cosa c'è, miei cari? Una discussione? un malinteso?

Sune                                   - Ho detto di sì. E' possibile a qualcuno che ama.

Rose                                   - No... (Il Consigliere affare entrando da sinistra seguito da Flora).

Consigliere                         - E allora? qual è il soggetto di questa discussione?

Rose                                   - Ascolta, zio: è possibile, credibile, ragio­nevole, che una ragazza per una qualsiasi ragione abbia il coraggio di tenere volontariamente la testa nell'acqua fino a morire?

Consigliere                         - Mia piccola, è un problema al quale non sono capace, di rispondere: domandalo a tuo cugino Gerard. Ho visto molta gente lottare per poter tenere la testa al di sopra dell'acqua, ma al di sotto... mai. Flora            - A cosa servirebbe?

Sune                                   - A morire, morire per il proprio amore.

Flora                                  - Non è cosa impossibile. Ho avuto una serva a cui era andata male, e si è impiccata nel granaio.

Sune                                   - Che orrore.

Flora                                  - Già, lo dissi anch'io, ma intanto la ragazza morì. (Entra da sinistra il Gentiluomo con in mano un ramo di lillà).

Gentiluomo                        - Rose e lillà, un affascinante in­sieme. I miei complimenti, signorina Astrid, siete voi, a quanto mi hanno detto, che regnate sui fiori.

Flora                                  - Senti, senti, ci sono dei fiori qui intorno. Mia cara ragazza, voi non pensate a quanto tutto ciò costa. So bene che non siete voi a pagare, ma potreste almeno fare un poco d'attenzione.

Astrid                                - Sune vuole dei fiori tutto l'anno e io obbedisco.

Consigliere                         - Grazie a Dio ha i mezzi.

Sune                                   - Immagina, Rose, la testa di quella pic­cola, tutta calda d'amore, di desiderio, d'inquietu­dine, d'angoscia... Si può pensare che l'acqua fredda e calma della sorgente l'attirasse più della vita?

Rose                                   - No. Io credo che la vita attiri più d'ogni cosa.

Gentiluomo                        - Ecco un'affermazione definita, cara cugina. Chiara e concisa. Cosa può attirare di più della vita in un castello come questo? Ci si alza al mattino, si fa colazione, si va a cavallo, si passeggia, si va a caccia, ci si riunisce intorno al fuoco, si passano le serate chiacchierando o ascol­tando una vecchia leggenda,

Rose                                   - ...una vecchia leggenda, talmente stu­pida che non ci si può trattenere dal ridere.

Gentiluomo                        - Esattamente, Rose, quando si hanno i tuoi denti.

Consigliere                         - Sì, il riso prolunga la vita.

Gentiluomo                        - E allora io conto di arrivare ai cento anni.

Sune                                   - Stupida, no. Sei libera di credere o non credere alla leggenda, ma dire che è stupida, no. E se pensi che sia incredibile, ebbene, io mi rivolgo ad un'autorità, Gerard. Caro dottore, fai da arbitro al nostro contrasto. (Gerard affare dalla porta di destra).

Gerard                               - Di già agli alterchi?

Colonnella                         - Ma no, soltanto un malinteso: Rose credeva che Sune volesse dire... ma Sune non voleva dir niente...

Gerard                               - Cara zia, lasciate che le parti inte­ressate...

Sune                                   - Non si tratta che di una leggenda, ma dire che è stupida, no. Voglio sapere se è così inverosimile, come dice la mia fidanzata. Dunque una ragazza dal cuore bruciato giunge a darsi la morte con una decisione atroce ed un coraggio inumano, tenendo la testa sotto l'acqua fino a morire. E' credibile?

Gerard                               - (dopo una pausa) Incredibile.

Rose                                   - (trionfante) Vedete?

Gerard                               - Non cantare vittoria troppo presto. Non è incredibile: è impossibile.

Rose                                   - Impossibile, sì.

Astrid                                - ... e stupida.

Gentiluomo                        - Ira impossibile e incredibile c'è la differenza di un capello, mi sembra.

Gerard                               - Oh, no. Succedono cose che sarebbero proprio incredibili. Ma l'impossibile non accade che molto raramente. La tua saga è perfetta come leg­genda d'amore... ma se la si porta nella vita nor­male... allora sono d'accordo con Rose. A propo­sito, ci fu tra i miei clienti, recentemente... mi sbaglio, molti anni fa, un caso che potrebbe inte­ressarvi e ha analogia con la vostra storia. Rice­vetti la visita di una ragazza che si lamentava d'insonnia, d'inquietudine, di angoscia, eccetera. Diagnosticai un amore infelice; le notizie d'ordine famigliare e personale che avevo di lei, a dire il vero, mi aiutarono. Sapevo infatti che questa ra­gazza era innamorata di un suo cugino, un povero diavolo, contro cui si oppose tutta la famiglia. Un marito migliore era in vista. Bene, apro il mio trat­tato al capitolo amore infelice, e trovo che il liquore di Hoffman in gocce su un pezzetto di zucchero tre volte il giorno, insieme a distrazioni e aria pura, erano il rimedio migliore. Per maggior sicurezza, scrivo sulla ricetta tre o quattro formule. Ma cosa fa la ragazza? approfitta che seduto allo scrittoio le volto la schiena, e prende nell'armadio aperto un flacone di morfina: dose sufficiente per far morire dodici innamorati, e lo nasconde. Sul momento io non me ne accorsi, pochi giorni dopo capii. Che paura! Capitemi, come medico avevo commesso una distrazione imperdonabile: è il meno che possa dire, lasciare una ragazza disperata vicino ad un veleno. Per un istante, che durò un giorno intero, il mio cuore fu preso da un'angoscia tre­menda; ma l'istante dopo ricevetti l'invito al matri­monio della ragazza. Ci aveva pensato su, distrutto il veleno, e si preparava a bere la coppa nuziale.

Sune                                   - (sorridendo) Felicitazioni...

Gerard                               - Grazie. Mi cambiai d'abito e andai alle nozze; tutto questo avvenne, molto tempo fa. Credo che viva ancora e sia felice.

Flora                                  - E' ciò che avrebbe fatto anche la mia cameriera se avesse ricevuto un'educazione... Così, qui ci sono anche rose e lillà... (Esce a sinistra).

Sune                                   - Per quanto scettico e cinico tu sia, non distruggerai il mio ideale.

Gerard                               - Lo spero bene.

Sune                                   - Credo nella mia leggenda. Consigliere   - Vieni, Astrid, andiamo a vedere le rose. Fiori e vecchi si fanno buona compagnia; copriranno le nostre tombe. (Esce a sinistra, appoggiato ad Astrid. Questa si trovava tra Rose e la scala; quando lascia il suo posto si vede Rose seduta con metà del corpo allungato sul tavolo e il viso tra braccia. Sune la scorge, ha un sussulto spaventato, poi le sorride teneramente).

Sune                                   - Rose... io credo che tu... cara, io volevo...

Gentiluomo                        - Ecco come parla un fidanzato... è commovente. Cara cugina, lasciamo soli i colombi, (Esce con la Colonnella a destra).

Sune                                   - Rose... cara Rose... Gerard, cosa c'è?

Gerard                               - (con un grido) La morfina... (Si precipita su Rose con grande sforzo per dominarsi) Non è niente, niente di pericoloso, un semplice svenimento. Vuoi andare a cercare un liquore?

Sune                                   - Sì... sì... (Esce correndo. Gerard fa un giro intorno al tavolo, guardandosi intorno).

Gerard                               - Rose... mi prendi in trappola.

Rose                                   - (alza la testa lentamente e lo guarda sor­ridendo) Caro...

Gerard                               - So che ti ho fatto soffrire poco fa ma non potevo... non potevo...

Rose                                   - Non potevi...

Gerard                               - Rose, noi non dobbiamo...

Rose                                   - (alzandosi) Non dobbiamo... Gerard.

Gerard                               - (spaventato si scosta, percorre tutta la scena guardando a destra e a sinistra, -poi sussurra) Taci... Rose, dobbiamo essere saggi.

Rose                                   - Essere saggi, sì. (Gli si avvicina sorridendo, Gerard si scosta e sussurra).

Gerard                               - Il nostro momento deve venire.

Rose                                   - ... il nostro momento …

Gerard                               - Cosa ce ne importa del principe della leggenda, lo stupido...

Rose                                   - (sempre avanzando verso Gerard, che indie­treggia) ... lo stupido...

Gerard                               - Se solamente noi saremo saggi...

Rose                                   - Saggi...

Gerard                               - Fermati, non ti muovere, non ti av­vicinare...

Rose                                   - Tranquilla, ferma... terrò la mia testa immobile sotto l'acqua...

Gerard                               - Sotto l'acqua...

Rose                                   - Non lo farò per amore, ma per saggezza...

Gerard                               - Per saggezza. (Gerard e Rose sono vici­nissimi. Pausa) Saggi... Tu mi guardi con occhi stravolti, da folle...

Rose                                   - Tu mi guardi con occhi fissi, da folle... Gerard, siamo soli... (Si abbracciano con furore, ha musica si avvicina. Sune entra rapidamente dal fondo, dietro a lui si scorge un domestico in livrea. Sune resta atterrito, poi si riprende e spinge via il domestico).

Gerard                               - Bisogna essere saggi... proprio saggi del tutto.

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Una stanza nel castello. A destra ed a sinistra, pesanti porte. Nel mezzo, in fondo, una piccola porta chiusa ed una scala dall'altra parte della porta. Ai muri molti quadri. Nel centro un grande tavolo rotondo, dietro poltrone e intorno poltron­cine. La scena è molto illuminata. La stessa sera, la festa continua. Musica. Sune è seduto, appog­giato al tavolo con la testa tra le mani; pallido, disfatto. La musica tace e immediatamente si ode un rumore al fondo, come di zampa di cane che gratta. Sune non si muove. Il notaio entra da destra. E' uomo di età incerta, incolore, vestito dì nero, quasi dimesso. Con passo indeciso si avvicina al tavolo e posa davanti a Sune un foglio, e siccome Sune rimane immobile, gli sfiora una spalla. Sune sussulta, leva gli occhi e prende il foglio.

Sune                                   - Grazie, signor notaio. Dunque, questo è l'atto con il quale faccio donazione della proprietà di Sunesholm, annessi e connessi, a mia cugina Rose Ehrenstal. E' tutto perfettamente legale? Nulla è stato omesso, vero? Avete chiaramente spiegato che questa donazione è da me. fatta come risarci­mento per la rottura della promessa di matrimonio? (I! notaio annuisce. Si ode dal fondo un lungo guaito dì cane. Sune sorride) E' il mio cane, Leo, che vuole entrare. E' una bestia fedele, d'una fe­deltà quasi penosa... Bene, tutto è pronto, dove devo firmare? (II notaio indica sulla carta. Sune firma) Pregate ora il signor Consigliere di venire con la signora Colonnella. Aspettate, mi ci vogliono altri testimoni, fate venire anche il Gentiluomo e la signorina Flora. (Il notaio sta per uscire. Si ode ancora il guaito del cane) Buono, Leo. E' un cane troppo fedele. Dovrò farlo uccidere prima di par­tire. Ricordatemelo; sarebbe ingiusto lasciare una povera bestia sola. (II notaio esce da sinistra. Si apre la porta al fondo. Astrid è seduta sui gradini e parla sussurrando).

Astrid                                - Mio signore...

Sune                                   - Tu?

Astrid                                - Sono io che devo morire?

Sune                                   - Eri tu che gemevi?

Astrid                                - Ne ero obbligata, dal momento che il mio signore aveva chiuso la porta.

Sune                                   - Da molto tempo eri lì ad ascoltare?

Astrid                                - Ne ero obbligata, dato che il mio signore si mostrava tanto discreto...

Sune                                   - Cosa hai sentito?

Astrid                                - (si alza e discende sorridendo) Che quando si ama troppo il proprio signore, e gli si è penosamente fedeli, bisogna morire.

Sune                                   - Smettila di scherzare. Cosa hai sentito?

Astrid                                - Che il mio signore fa dono del castello tutto completo alla sua sposa, come regalo di nozze.

Sune                                   - Hai ascoltato male. Non ci saranno regali di nozze, non ci saranno nozze. Non ci saranno spose, rompo ogni impegno con Rose.

Astrid                                - Sei tu che rompi?

Sune                                   - Sono io.

Astrid                                - E perché?

Sune                                   - E' il mio segreto,

Astrid                                - Sarà anche il mio.

Sune                                   - Mai... E poi, perché si rompe un fidan­zamento? Forse ho scoperto una brutta ruga sulla sua fronte... o la sua bocca non mi piace affatto...

Astrid                                - (scuotendo la testa) Nessuno lo crederà.

Sune                                   - No, nessuno lo crederà. Ma possono es­serci altre ragioni, forse mi sono innamorato...

Astrid                                - Questo tutti lo sanno.

Sune                                   - Non prendermi in giro. Mi sono inna­morato... della figlia del vicino... della cuoca della signorina Flora, di te, forse.

Astrid                                - Nessuno lo crederà.

Sune                                   - No, nessuno lo crederà. La gente crede ciò che vuole. Che sono un ragazzo versatile, un viziato principe da leggenda, uno sciocco esaltato. Ecco, sì, uno sciocco. E poi mi hanno trattato come tale.

Astrid                                - Chi?

Sune                                   - Rose...

Astrid                                - Rose?

Sune                                   - Sì, Rose e Gerard.

Astrid                                - Rose e Gerard?

Sune                                   - (nascondendosi il viso tra le mani) Ecco, tu conosci il mio segreto. Tienilo per te. Li ho visti, poco fa... nel parco, vicino alla sor­gente. Li ho visti con i miei occhi.

Astrid                                - Sune... povero Sune... morirà con me il tuo segreto.

Sune                                   - Sorridi? perché?

Astrid                                - E'... lo sforzo per non piangere che mi fa sorridere.

Sune                                   - Io non piango né sorrido. Cerco di por­tare il mio destino da uomo. Si vede che ho pianto?

Astrid                                - (accarezzandogli la guancia col suo fazzo­letto) Ora non si vede più.

Sune                                   - No. Io guardo la verità in faccia. Cosa voleva lei da me? Cosa cercava? l'amore? No. La mia ricchezza. E allora sia, ecco l'atto di donazione firmato. Verrà il Consigliere per firmarlo come testi­monio. Dimmi, Astrid, trovi tutto ciò puerile?

Astrid                                - No, è talmente bello... Ti chiedo il permesso di piangere ancora un poco.

Sune                                   - (mettendole un braccio intorno alle Sfalle) Sì, piangi, bambina, tu puoi farlo. Per noi due l'amore non è ancora divenuto un oggetto di scambio, o uno sporco piacere qualsiasi, un passatempo. Per noi è ancora una leggenda di vita o di morte.

Astrid                                - Sì, ma preferirei fosse una leggenda di vita... per me.

Sune                                   - (sorridendo) Per te, sì, lo credo. Per me, non resta molto dalla vita, dal momento che ho tutto sacrificato. Eppure per me è vivere sacri­ficando tutto.

Astrid                                - Ma hai pensato alla vergogna?

Sune                                   - La vergogna?

Astrid                                - Rompere il fidanzamento tre settimane prima del matrimonio.

Sune                                   - Ho le spalle abbastanza pesanti per sop­portare questa vergogna.

Astrid                                - Cosa dirà la famiglia?

Sune                                   - Per me, quello che vuole. Sono io che rompo il fidanzamento. Ogni responsabilità è mia.

Astrid                                - Ma bisogna avere una ragione.

Sune                                   - Sì, è giusto. Bisogna trovare qualcosa... qualcosa...

Astrid                                - E, se tu, semplicemente...

Sune                                   - Semplicemente, cosa? dimmi...

Astrid                                - Tu dicevi che volevi sacrificare tutto e che la vita non aveva più molto da concederti.

Sune                                   - Infatti; ma dimmi...

Astrid                                - E se tu morissi?

Sune                                   - (spaventato) Morire? Come? in che modo?

Astrid                                - Molto semplice. Guarda. (Estrae un medaglione e l'afre).

Sune                                   - Cos'è?

Astrid                                - Veleno.

Sune                                   - Veleno? Hai del veleno nel tuo me­daglione?

Astrid                                - Dal giorno in cui la signorina Rose... No, è il mio segreto.

Sune                                   - Sono bambinate.

Astrid                                - Certo, ma ce n'è abbastanza per tutti e due.

Sune                                   - Tu pensi al suicidio? No, sarebbe da vi­gliacco, puerile. Ciascuno deve portare il peso del proprio destino.

Astrid                                - Sune, come sono contenta...

Sune                                   - Contenta?

Astrid                                - Di vedere che sei un uomo forte, che disprezza la morte.

Sune                                   - Il suicidio. Sarebbe un buon mezzo per far cadere la colpa su Rose. Tutte le comari del paese si daranno la voce. Non voglio questo. Voglio invece che lei sola capisca ciò che le ho sacrificato. Che sappia quanto mi ha fatto soffrire e come ho sopportato. Che veda che c'è del coraggio nel prin­cipe sciocco, nel principe da leggenda. Partirò, partirò presto per molto lontano...

Astrid                                - Ma la ragione, Sune?

Sune                                   - Sì, la ragione. Taci. Senti? senti il suo passo? Il vecchio è sulla scala, sta venendo. Astrid, bisogna che tu mi aiuti.

Astrid                                - Io so la ragione, ma forse tu mi tro­verai sfrontata.

Sune                                   - Non importa, parla.

Astrid                                - Lo hai detto poco fa... occorre un pretesto.

Sune                                   - Tutti sanno che mi ami: ti prendo tra le braccia...

Astrid                                - (con inquietudine) No, no.

Sune                                   - Sì, sì, che ci trovino così. Metti le tue braccia intorno al mio collo, e quando tocca la porta io ti stringerò.

Astrid                                - Sì.

Sune                                   - Non ti muovere. Che fai?

Astrid                                - Aggiusto il medaglione.

Sune                                   - Non muoverti. Ecco, io ti abbraccio. (L'abbraccia) Perché mi guardi? Perché mi guardi così? (Pauso. Si ode un passo pesante. Poi con vio­lenza Sune riprende a parlare) Taci, taci, hai capito?

Astrid                                - Ascolto il tuo cuore, cavaliere Sune.

Sune                                   - Non muoverti.

Astrid                                - Sune... cavaliere Sune. (Si abbracciano. Pausa. Il passo si avvicina. Da sinistra entra il Con­sigliere immediatamente seguito dalla Colonnella. Poco dopo entrano il Gentiluomo e Flora a brac­cetto. Il Consigliere guarda la coppia, si arresta, poi contenendosi si volta per guardare un quadro. La Colonnella si arresta sulla soglia, ha un moto di sorpresa portandosi il lorgnon agli occhi. Il Con­sigliere l'attira a sé mostrandole silenziosamente il quadro. Il Gentiluomo si ferma, sussulta, poi si volta. Flora fa due passi decisi in avanti e si ferma).

Flora                                  - Questo per esempio...

Gentiluomo                        - Per disegnare queste grazie leg­giadre Watteau è incomparabile. Guardate questo pastore con quale grazia maliziosa allaccia la sua giovane ninfa.

Flora                                  - Una ninfa... lo credo bene... Una vera ninfa della strada.

Consigliere                         - (voltandosi verso la cugina con aria imperativa) Flora...

Sune                                   - Zio...

Consigliere                         - Sì... ragazzo mio...

Sune                                   - Vi hanno fatto la mia commissione? Vi ho pregato di venire...

Consigliere                         - Ho capito bene. Ed eccomi.

Flora                                  - Hai fatto chiamare anche me, ed ec­comi qui.

Gentiluomo                        - Ed ecco che, nel bel mezzo del ballo, un notaio tutto in nero è venuto a prenderci tra le frivolezze. Ho rischiato di arrabbiarmi un poco, ma - parole d'honneur - dovunque sono passato, nelle camere, nei corridoi, nei passaggi del castello, ho visto viventi riproduzioni dei gruppi di Watteau. La festa è di Venere e il piccolo amore ci si trova a suo agio.

Sune                                   - Questo non è un gioco...

Colonnella                         - (inquieta) Sune.

Sune                                   - Non è più un malinteso.

Consigliere                         - Se non ci informerai meglio, non capiremo nulla.

Sune                                   - E' giusto, se io stesso capisco con difficoltà.

Flora                                  - Ma quella... Lei capisce, però.

Consigliere                         - Flora.

Sune                                   - Scusatemi, caro zio, si tratta di un avve­nimento così sorprendente ed inatteso...

Consigliere                         - (si dirige lentamente verso la tavola) Alla mia età si è preparati alle sorprese. E gli avvenimenti della vita hanno perso non solamente la loro grazia, ma anche la loro forza. Che cosa hai dunque nel cuore, ragazzo?

Sune                                   - E' necessario, sono obbligato, zio, a rom­pere il fidanzamento con Rose.

Consigliere                         - Bene... sei maggiorenne. Io non ho niente da dire fino a che non avrò più ampie informazioni.

Gentiluomo                        - Eh... mi pare un po' troppo. E lo scandalo? Che dirà la gente?

Consigliere                         - Ciò che a loro piacerà. Ora ca­pisco, caro Sune, perché ci hai fatto venire. Sensi­bile come sei, e per di più un poco esaltato, ti è sembrato troppo penoso informare tu stesso Rose.

Sune                                   - Sì... troppo penoso.

Consigliere                         - E' naturale. E chi altro sarebbe più adatto ad annunciare la brutta notizia alla povera ragazza, se non la madre?

Colonnella                         - Io? No, mai.

Consigliere                         - Il dolore, amica mia, si è sempre visto opporre un mai. Ma è altrettanto vero che mai si è fermato a questo ostacolo. E' questo un pesante dovere, ed è più doloroso a te che a Sune. Ma sei una Ehrenstal.

Gentiluomo                        - E' così. Siamo tutti degli Ehrenstal, ed oltraggiare Rose è come oltraggiare me. Tu ritiri la tua promessa. Posso almeno sapere la ragione?

Sune                                   - La ragione è... che poco fa (sta per per­dere il controllo) Rose e Gerard, nel parco...

Consigliere                         - Pensa bene a quello che dici...

Astrid                                - (lo interrompe) Ecco, signor Consi­gliere, cerca delle scuse, ma la vera ragione sono io.

Consigliere                         - Tu, bambina? La cosa mi sembra credibile.

Gentiluomo                        - Un'adorabile ragione.

Astrid                                - Voi tutti sapete che io amo Sune.

Consigliere                         - Sì, la voce è corsa... siamo abba­stanza al corrente...

Astrid                                - Ma non sapete certamente tutto: io amo Sune da quando ero alta così...

Flora                                  - Ma guarda...

Sune                                   - Non è sua la colpa, mia; sono io che non l'ho mai lasciata in pace.

Flora                                  - Ah, ti credo.

Astrid                                - Non credetegli: io sola ho colpa. Lui si è difeso come ha potuto, senza cessare di farmi intendere ragione.

Sune                                   - Astrid...

Astrid                                - Ma quale può essere l'effetto di un sermone su una ragazza malata d'amore? Ogni parola io la trasformavo in un bacio e soffocavo i suoi rimproveri sotto le mie carezze.

Flora                                  - E' rincuorante...

Astrid                                - Infine, una notte d'estate nel bosco...

Colonnella                         - Basta, basta, vi supplico...

Astrid                                - Rassicuratevi, signora, non una parola urterà più i vostri delicati orecchi. Ciò che è suc­cesso nel bosco resterà il mio segreto. E' troppo prezioso per me, mi è troppo caro.

Gentiluomo                        - Ah!

Astrid                                - Ma quella notte, Sune, per scherzo, mi ha giurato fedeltà...

Gentiluomo                        - Guarda... guarda, per scherzo.

Astrid                                - Sì, per scherzo. Certo, non me lo ha detto chiaramente, e se io avessi avuto soltanto una oncia di intelligenza... l'avrei capito subito.

Sune                                   - Menti.

Astrid                                - Per divertimento. Era un gioco, ma dal giorno in cui la signorina Rose è arrivata al castello, il gioco si era fatto' troppo triste, troppo penoso.

Gentiluomo                        - Povera piccola...

Astrid                                - Rose era così bella, così bella... Allora ho capito che il mio momento era finito.

Gentiluomo                        - E' commovente,

Astrid                                - Allora decisi di morire.

Flora                                  - E noi dovremmo credervi?

Astrid                                - Possiamo non crederlo, signorina Flora. Non crediamolo, perché la morte è il gioco più triste del mondo. Ho diritto anch'io di vivere, anche se non sono una Ehrenstal. Fossi bella quanto Rose è virtuosa, e virtuosa quanto essa è bella, il mio diritto sarebbe forse maggiore?

Gentiluomo                        - La ragazza fa un po' di teatro: una scena madre. Cominciano col mormorare pa­role d'amore, poi vi minacciano di uccidersi. Morte è una parola grave, ma morire lo è ancora di più, bambina mia.

Astrid                                - Non tanto grande che non possa esser tenuta nel palmo di una mano. La morte nel palmo della mia mano; sono andata da Sune esigendo ciò che mi aspettava e l'ho ottenuto.

Colonnella                         - Ma è ciò che non abbiamo ancora visto.

Astrid                                - Signora, credete ch'egli preferisca ve­dermi morta?

Flora                                  - Parli del tuo diritto, dopo aver confessato di essergli corsa dietro in maniera disonesta.

Consigliere                         - Flora capisco la tua indignazione, ma essa non è diretta a chi la meriterebbe. Questa bambina è innocente, o per lo meno il suo sbaglio è minimo in confronto a quello di altri. Sune non ha avuto il coraggio di dire una sola parola in sua difesa. Non rifiutare un'accusa, significa accettarla. In qualità di capo famiglia dichiaro rotto il fidan­zamento tra Rose e Sune.

Sune                                   - (sussultando) No.

Consigliere                         - Dopo di ciò egli penserà a giusti­ficare nel miglior modo possibile, tanto la vergogna come il disastro causato.

Sune                                   - La vergogna ricadrà, su di me. E per quello che chiamate disastro, c'è il mezzo per rime­diare. Ho ingannato mia cugina, lo confesso, ma non nella cosa più importante. Ecco, volete per favore leggere, zio? (Porge il foglio al Consigliere).

Consigliere                         - Cos'è questo?

Sune                                   - La donazione del dominio di Sunesholm.

Consigliere                         - A favore di chi?

Sune                                   - Di Rose.

Flora                                  - E' legale?

Sune                                   - Perfettamente legale, e con la mia firma. Non mancano che i testimoni.

Colonnella                         - Doni Sunesholm a Rose? è così? Non ci sono malintesi? Sai, sono madre, ed ho talmente paura...

Gentiluomo                        - Cugino, ho l'onore di apporre la mia firma su una carta che tanto gloriosamente attesta della generosa tradizione della nostra fa­miglia.

Sune                                   - Cosa ne dite, zio?

Consigliere                         - Fino al momento in cui avrò più ampie informazioni, dico che è un regalo generoso.

Flora                                  - Non c'è niente che impegni almeno? Non la minima riserva?

Sune                                   - Cosa ne dite, zio?

Consigliere                         - Fino al momento in cui avrò...

Sune                                   - (con violenza) ... più ampie informazioni... Vorrete ammettere, zio, che questa donazione dimi­nuisce il disastro causato...

Consigliere                         - Io sono vecchio, caro ragazzo, ma­rni chiedo se le ferite sentimentali guariscano tanto facilmente.

Sune                                   - Le ferite sentimentali...

Colonnella                         - Era tanto legata a te...

Gentiluomo                        - Sì, tanto legata. De Musset non ha descritto in maniera così perfetta la tragedia di un cuore femminile.

Sune                                   - Ci sono dei medici specializzati per curare le ferite del cuore; posso raccomandarvi Gerard,

Astrid                                - (toccandolo su un braccio) Sune.

Sune                                   - (liberandosi) Quel medico si chiama Ge­rard, ed io...

Flora                                  - Osi insinuare?

Colonnella                         - Rose e Gerard non sono mai stati altro che amici d'infanzia.

Gentiluomo                        - Posso testimoniare sul mio onore.

Sune                                   - ... ed io posso giurarlo per aver udito con i miei orecchi e visto con i miei occhi.

Consigliere                         - (battendo una mano sul tavolo) Basta.

Sune                                   - Basta, infatti. L'atto di donazione è redatto legalmente?

Consigliere                         - Perfettamente legale.

Sune                                   - Vi prego quindi di firmarlo in qualità di testimoni.

Gentiluomo                        - Volentieri.

Consigliere                         - Ciò testimonia della tua giovinezza, dei tuoi sogni, della tua esaltazione. E' un docu­mento puerile.

Gentiluomo                        - Ma cavalleresco e non senza una sua bellezza.

Consigliere                         - Da una parte sì... ma(prende il foglio e lo strappa) da parte mia, di Rose e di tutta la famiglia, non avresti potuto immaginare un insulto peggiore. Ci getti in viso cose che ci hanno già abbastanza ferito, e lasci intendere a chiare parole, che ti abbiamo raggirato, che Rose ti ha ingannato. Ma nello stesso tempo non hai il corag­gio di nascondere che sei tu ad aver mancato verso Rose. Il tuo spirito fantasioso ed esaltato vuol co­prire la colpa con una falsa apparenza. Ne hai fatto una favola d'amore, una buona azione di cui non si ricorda l'uguale, ma in effetti hai mancato alla tua parola, ed in cambio ci offri la tua casa e le tue ricchezze. A noi? ad una famiglia come gli Ehrenstal, che ha sempre avuto coscienza del pro­prio onore?

Gentiluomo                        - Siamo noi gli accusati di menzo­gna e falsità. Quando un Ehrenstal ha mancato alla propria parola? Solo ora sento quanto profon­damente sono stato offeso. Ma ricorda che il corag­gio non è mai mancato nella nostra famiglia.

Consigliere                         - Né la saggezza. Ed è precisamente questa che ci obbliga a mettere l'onore e il dovere al primo posto. Non voglio la minima macchia sul nostro nome. Se le tue accuse hanno un fonda­mento di verità, io voglio saperlo. Cosa hai visto, cosa hai udito che non possa chiaramente essere giustificato e spiegato? Di' tutto quello che senti, ma, prima di parlare, pensaci bene. Racconta solo ciò che sai e risparmiaci le frottole che ti succederebbe la tua gelosia da adolescente. Da ciò dipende l'onore di Pose e il nostro.

Sitne                                  - Tutto quello che so è che essa vede in me un radazzo esaltato, uno sciocco, un viziato.

Flora                                  - E tutto ciò sarebbe senza ragione?

Sune                                   - No, non è senza ragione, lo so, ed è questo che mi ha ferito. Io sogno troppo: credo alle leg­gende, credo all'amore. Rose non ne ha il più piccolo sentore perché crede all'amore formale, fatto di convenienze, di impegni, di opportunità. Ma io ho voluto dimostrarle che è un'altra cosa. Per questo le ho donato tutto ciò che posseggo. Mi chiedete se le mie accuse sono vere? Non l'ho accusata; non ho visto né udito nulla. Ho sognato ciò che io chiamo amore... mi è sfuggito e non posso più tro­varlo. Infine, non sarebbe che un insulto a colei che amo.

Colonnella                         - Caro ragazzo, io non so se ti capi­sco bene. Ma tu ami la nostra Rose?

Sune                                   - Non so, non ho pensato. Voglio soltanto dire che l'amore è assolutamente diverso...

Flora                                  - Si è parlato di cercare un medico... credo sia proprio necessario. (Si tocca la fronte come per dire che è picchiatello).

Consigliere                         - (facendo segno alla Colonnella che acconsente ed esce dalla stanza) Il medico che occorre si chiama Rose.

Sune                                   - No, non ora.

Consigliere                         - La musica continua a suonare e gli invitati a ballare: penso che gli invitati si saranno già accorti dell'assenza del loro ospite. Forse si sono già chiesti il perché. Sì, sì, occorre molto meno per dar luogo a pettegolezzi. Vai a ballare un poco con la tua fidanzata.

Gentiluomo                        - Io propongo un minuetto. E' un po' in disuso, certo, ma può ancora dare ad una festa un «bouquet d'amour».

Consigliere                         - Allora? (Gli sì avvicina posandogli una mano sulla sfalla) Sono volate via le farfalle del sospetto?

Sune                                   - Non so... non erano gelosia, dopo tutto...

Consigliere                         - Che cosa, dunque?

Sune                                   - Credevo ad una leggenda...

Consigliere                         - Ho custodito nella mente il ricordo di una leggenda della mia infanzia: si trattava di un principe, vittima di un incanto che non gli permetteva di ritrovare il suo viso perduto fino a che la principessa non l'avesse baciato1. E' una leg­genda che ha la sua verità. Sì, i principi e le princi­pesse non formano razza a parte... e non dimenti­cano l'abitudine di abbracciarsi. Mia cara Flora... (Il Consigliere prende Flora fer un braccio ed esco­no da sinistra. Astrid, intanto, è lentamente ritor­nata a sedersi sulla scala come all'inizio dell'atto. All'ultima battuta del Consigliere nasconde il viso tra le mani e la fotta si richiude lentamente. Sune è rimasto solo in scena. Ode i singhiozzi di Astrid, va verso il fondo della scena, verso la porta dietro cui è Astrid. I singhiozzi si affievoliscono. Gerard entra da destra. Si arresta vedendo Sune. Sorride. Una pausa).

Sune                                   - (con sforzo) Cerchi qualcuno?

Gerard                               - Sì, Rose.

Sune                                   - Che vuoi da lei?

Gerard                               - Personalmente niente. E' il nostro caro zio che mi ha chiesto di cercarla per mandarla da te.

Sune                                   - (gli si avvicina nervosamente, e si ferma a qualche passo da lui) E tu obbedisci?

Gerard                               - Perché no?

Sune                                   - Basta. Basta con le menzogne, vi ho visti, vi ho visti.

Gerard                               - Perché dovrei mentire? Ti ho visto molto bene anch'io. Eri vicino al pozzo. Io avevo Rose tra le braccia e parlavamo di una cosa impor­tantissima per noi due: essere saggi. Hai visto altro? Udito altro? Era un addio a un amore dell'infanzia, a dei sogni. O meglio, poteva essere un addio se tu ti fossi comportato intelligentemente... Ma tu sei un pazzo. Tu vedi di più, ascolti di più degli altri. (Si odono dei singhiozzi) Chi piange?

Sune                                   - Forse Astrid.

Gerard                               - Forse Astrid. Ben detto. Che l'amore e la pazzia siano fratelli è invenzione di folli. E nella nostra famiglia nessuno ha predisposizione alla follia. Tanto meno Rose. No, amico: ai sani di mente e di cuore, la mano della bella. (Esce da destra. Da sinistra entrano subito dopo, al suono di un minuetto, le due coppie del primo atto, fanno un giro ed una riverenza, poi, lievemente, escono da destra. Entra Rose, a passo di danza si avvicina a Sune e fa una profonda riverenza).

Rose                                   - Mio signore, principe di leggenda... (Sem­pre danzando si allontana da Sune che la segue, fino a che, per non farsi prendere da Sune, mette una poltrona tra loro).

Sune                                   - Rose! (La musica tace. Sune e Rose sì immobilizzano, mentre la porta di fondo si apre ed entra Astrid avvolta nello scialle bianco. Lenta­mente attraversa la scena, ed esce da destra. Sune e Rose si muovono, ma i loro visi esprimono ango­scia. La musica del minuetto riprende, ed i loro volti si rischiarano. Si tendono la mano. Dalle porte rientrano le due coppie di prima. Scena mimata finché l'ultimo cavaliere tende a Sune il medaglione di Astrid. Le coppie escono da sinistra. Sune guarda il medaglione e si ferma. Lo tende a Rose. Essa lo guarda e scuote la testa senza capire) E' il meda­glione di Astrid... vuoto. (Più forte) Vuoto... vuoto. (Gridando) Astrid! Astrid!

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa notte. La scena precedente, soltanto la luce è più bassa, ha perso ogni scintillio di festa. La stanza è grigia e piena dì ombre. Il Consigliere è seduto in poltrona con il notaio accanto, in piedi. Il Gentiluomo è seduto presso la tavola. La Colon­nella presso la porta di destra. Lontano e lieve si sente il vento intorno al castello. Di tanto in tanto un suono d'arpa. Un'imposta sbatte, tutti sussultano, soltanto il notaio conserva la sua apatia. Pausa. Il Consigliere batte con forza le mani sul tavolo.

Consigliere                         - Ve l'avevo detto, il nostro dovere è di vegliare e di sorvegliare. Abbandonato ai suoi deliri ed alle sue esaltazioni, sembra perdere se stesso. La poveraccia è stata folle fino ad attentare ai suoi giorni? Non sappiamo, ma è possibile. Ab­biamo già visto che basta una possibilità per com­promettere il carattere ed il buon senso di Sune.

Gentiluomo                        - E' perduto. Ho provato a ripor­tarlo alla ragione con argomenti positivi, ma lui mi ha soltanto dato un ironico colpetto sulla spalla. Non è pazzo?

Consigliere                         - Dio non lo voglia, ma è una condi­zione da tener presente. Io devo confessare che il suo modo di fare nei miei confronti, dico con me, non può spiegarsi altrimenti.

Gentiluomo                        - E' perduto.

Consigliere                         - Di fronte alle decisioni del cielo, non possiamo che inchinarci: non ci resta che aver cura di lui, ed evitare il danno peggiore. Siete del mio avviso, notaio? (II notaio approva col capo).

Gentiluomo                        - Il giovane non è soltanto nobile e ricco; egli porta anche, ed è il più importante, uni antico e glorioso nome che deve rimanere senza macchia. È c'è di peggio: nella proprietà di Sune vivono circa duecento famiglie la cui fortuna o: disgrazia dipende da lui. E' nostro dovere, sia pure penoso, ma dovere, incaricarci dell'amministrazione dei suoi beni. (II notaio mostra una chiara esitazione nell'assentire).

Consigliere                         - A condizione, però, che egli sia effettivamente pazzo, Dio ce ne guardi. Tuttavia, l'avversione che ci dimostra è già inquietante. Ma io non voglio influire sulle vostre decisioni, signor notaio. Andate e fatevene voi stesso un'opinione. Parlategli, portatelo alla ragione. So ciò che state per dirmi, che non essendo medico non potete giudicare di una malattia mentale. Per fortuna al castello abbiamo un medico di cui non negherete la competenza: il dottor Ehrenstal. Fate in modo di  ascoltare una conversazione tra il dottore e il pa­ziente. Fate venire Sune qui, voi rimarrete nel corridoio o in altro nascondiglio, dove vi piace. Fate attenzione a come Sune risponderà alle domande postegli dalla sola persona competente. Se il suicidio della fanciulla gli ha fatto perdere la ragione, que­sto apparirà chiaro dai sintomi. Gli amari rimproveri ch'egli fa a se stesso, testimoniano del suo squilibrio psichico. La cosa sarà anche più evidente, se egli mostrerà avversione e rancore verso una persona che soltanto poche ore. fa... gli era ancora cara. Forse l'amore che porta a Rose sarà abbastanza forte per guarire il male che, a dir il vero, è causato da leggerezza e sensualità. Speriamo. Nel caso, tutto resterà come prima e dimenticheremo questo spiacevole episodio; in caso contrario, conosciamo il nostro dovere, (intanto il notaio è rimasto perplesso e indeciso, quasi impaurito) Bene; se è vero che il dovere compiuto non richiede altro compenso, che  una tranquilla coscienza, è pur vero che niente però  impedisce una ricompensa. (Ormai deciso, il notaio si inchina ed esce. Flora e la Colonnella vengono a sedersi presso il tavolo. Silenzio, sì sente solo il vento).

Gentiluomo                        - (solenne) Perduto... perduto...

Consigliere                         - Il bandolo è molto intricato, ma credo che noi lo scioglieremo: basta restare uniti...

Gentiluomo                        - In che cosa?

Consigliere                         - Su tutto ciò che riguarda Astrid.

Flora                                  - Quella pazza.

Gentiluomo                        - Che ha sconvolto i nostri piani.

Flora                                  - Eccoci a posto...

Colonnella                         - La mia povera Rose.

Flora                                  - Rose è la più colpevole.

Colonnella                         - Il tuo Gerard è forse un santo?

Flora                                  - E' un uomo. Ma ci si poteva aspettare un po' di pudore da una ragazza ben educata.

Colonnella                         - Chi dunque ha chiesto a Gerard di venire?

Gentiluomo                        - E prima delle nozze.

Colonnella                         - E' pazzo quanto Sune.

Gentiluomo                        - Triste amore. Lo abbiamo creduto sepolto, ed ecco che rivive. Ingenui. Aspetto il peggio. (Entra Gerard e si ferma sulla soglia).

Consigliere                         - Litighiamo e gli avvenimenti ti daranno ragione. La nostra famiglia ha sempre avuto la sua forza nell'unità e nella disciplina. Rose e Gerard hanno rotto la catena: ecco le conse­guenze.

Gentiluomo                        - Cosa vuol dire restare uniti?

Consigliere                         - Alludevo ad Astrid. Io non giudico nessuno, perché il giudicare spetta soltanto a Dio; ma se posso usare un'espressione salutare, anche se. energica, dirò che essa deve la caduta ai propri atti.

Gentiluomo                        - (patetico) Deve la sua caduta ai propri atti.

Consigliere                         - E' la nostra opinione e bisogna che sia anche quella di Sune. Egli, in fondo, non ne ha la minima colpa.

Flora                                  - E' precisamente la stessa cosa che dicevi poco fa...

Gentiluomo                        - Restiamo uniti...

Consigliere                         - E poi è importante dissipare i suoi dubbi verso Rose. La nostra opinione, credo, è, ed è sempre stata, che Rose e Gerard sono cresciuti come fratello e sorella. Se tra loro è rimasto un poco del loro amore infantile... la saggezza e l'obbe­dienza l'hanno soffocato.

Gentiluomo                        - Proprio così.

Consigliere                         - E le malevoli voci sparse sono semplicemente ridicole.

Gentiluomo                        - Naturalmente. L'importante è di sapere come queste voci sono arrivate agli orecchi di Sune. Cosa sa egli di preciso?

Gerard                               - Zio, mi permettete di prendere parte al consiglio di famiglia?

Consigliere                         - (urtato) Tu sei il principale inte­ressato.

Gerard                               - Grazie. La mia opinione coincide con quella del mio benefattore. Parlare di un'inclina­zione tra me e Rose è semplicemente ridicolo. E le voci maliziosamente sparse non devono preoccuparci. Ma, come giustamente ha detto mio cugino, è di sapere cosa in realtà sa Sune. E' poi vero che la saggezza e l'obbedienza hanno soffocato la nostra reciproca simpatia? Ed io sono pronto a rinnegarla, ora come in passato, in qualsiasi momento e di fronte a chiunque. Un amore d'infanzia però possiede in sé una qualità molto istintiva: se imbrigliato, è pronto a ribellarsi in ogni istante.

Flora                                  - Ma...

Gerard                               - Il caso ha voluto che Sune giungesse in un momento inopportuno: ci ha visti abbracciati. Ci ha proprio visti.

Flora                                  - E non ti vergogni di confessarlo?

Gerard                               - Ne no vergogna, infatti, per essere stato sorpreso come un ragazzo, ma non debbo nascondere niente, se tra tutti costituiamo la forza della fa­miglia.

Gentiluomo                        - Ecco perduta anche l'ultima no­stra speranza. Sa tutto.

Gerard                               - Sa tutto e niente. Infine, che cosa ha visto? un fratello e una sorella che si dicevano addio.

Gentiluomo                        - Non esageriamo nel fare asse­gnamento sulla stupidità altrui. Io, ad esempio, non sono completamente...

Consigliere                         - Non litighiamo. Secondo me, Ge­rard, grazie alla sua saggezza e al suo controllo, non ha passato i limiti della stretta convenienza.

Gerard                               - La vostra opinione, zio, è anche la mia. Spero sia anche la vostra (a tutti). Ma non dimen­tichiamo che Sune è un malato. Non vede le cose come noi. Ha delle visioni e nella sua febbre ha visto un amore appassionato dove non c'era che un affetto profondo, ma fraterno e lecito: le ultime scintille di un amore d'infanzia.

Gentiluomo                        - Dove vuoi arrivare?

Gerard                               - Voglio solo ridarvi la fiducia nella vostra rispettabilità. La catena non è rotta, saggezza e lealtà rimangono ancora le buone stelle che gui­dano la nostra famiglia. Se c'è colpa non è nostra. E io credo che su questo punto siamo tutti d'ac­cordo.

Gentiluomo                        - Gerard ha espresso proprio il pa­rere della famiglia.

Gerard                               - Bene. Sono pronto a fare il mio dovere di medico. Il compito sarà penoso, ma, sostenuto dall'autorità di mio zio e dalla vostra saggezza, riu­scirò. Un'opinione salda e una fiducia comuni fa­ranno meraviglie su uno spirito degenerato ed esal­tato. Credo di poter dissipare le chimere di Sune...

Gentiluomo                        - E se non ci riuscissi?

Gerard                               - E' un'ipotesi che ammetto di mala voglia. Se la malattia di Sune è tanto grave sarò costretto ad usare rimedi spiacevoli per ridurre al minimo il danno. Come medico mi sento all'altezza, ma per non dare materia di lavoro alle cattive lingue, mi occorre un testimone imparziale.

Consigliere                         - Ho pregato il notaio di farlo.

Gerard                               - (con un lieve sorriso) Vi ringrazio, caro zio, per la vostra previdenza.

Gentiluomo                        - Ora capisco quanto siamo uniti.

Consigliere                         - Sì, amici, credo che ora la famiglia sia più legata che mai. Mi fa piacere dire che Gerard ha riguadagnato la mia fiducia perduta per un momento. Oh, non ho mai dubitato della tua saggezza, Gerard, ma purtroppo esiste una forma di pazzia che fa loro vedere... troppe cose.

Gerard                               - E che rende ciechi gli altri.

Consigliere                         - Ecco, proprio. Ma per fortuna noi ora vediamo ogni cosa nello stesso modo. E come vi ho già detto, soprattutto noi siamo d'accordo.

Colonnella                         - Silenzio... aspettate.

Flora                                  - E' la scala che scricchiola.

Gentiluomo                        - E' il vento: ho sentito poco fa sbattere una persiana.

Consigliere                         - Mi pare che non abbiamo dimen­ticato nulla di importante in questo affare. (La porta al fondo si apre, ed affare Rose mentre scende la scala).

Colonnella                         - Rose...

Flora                                  - Dov'eri?

Rose                                   - Nella torre. Ho cercato per scale e stanze, per vani di finestre, angoli e nascondigli, perfino accanto alla banderuola del più alto comignolo che geme agli strappi del vento.

Colonnella                         - Chi cercavi?

Rose                                   - Astrid.

Colonnella                         - Ma cara... Astrid, Astrid è...

Rose                                   - (fonandosi al centro della scena) Sì. Credo, infatti, che Astrid sia morta. Mi fa pena... pensare che si possa morire così. Ritorno a cercarla.

Fora                                   - Il tuo posto, Rose, è accanto a Sune.

Rose                                   - A Sune? perché?

Colonnella                         - Potrai consolarlo...

Rose                                   - Avreste dovuto incaricarvi tutti voi di con­solarlo. Sapersi amato può essere per lui una suffi­ciente consolazione.

Colonnella                         - Sì, ma tu, cara, non lo ami?

Rose                                   - Io? No. E tu lo sai bene, mamma. Astrid ha lacerato il tessuto fatto di queste menzogne. L'ipocrisia può anche essere utile, ma alla fine non resta che una tela di ragno.

Consigliere                         - Rose...

Rose                                   - Zio... capisco, sono caduta in pieno con­siglio di famiglia. E tu, povero Gerard, fai la parte del povero accusato, del condannato... Proprio come quella volta che ci hanno condannati in due.

Consigliere                         - Gerard, ti prego... è un ordine. Non abbiamo tempo da perdere.

Rose                                   - Cosa deve dirmi?

Gerard                               - Tu forse non sai che Sune è malato.

Rose                                   - Ne sono dolentissima, ma riguarda te.

Gerard                               - Riguarda anche te. Non ci sei che tu a poterlo guarire.

Rose                                   - Io? E che cosa posso fare, io?

Gerard                               - (con sforzo) Tu puoi... puoi... consolarlo.

Rose                                   - (lo guarda fisso, poi scoppia in un riso fragile e spontaneo) Gerard, hai notato gli occhi di tutta  la famiglia? Quelli della zia Flora, piccoli e duri, ma brillanti e saggi come quelli di un topo vivace,  Quelli del Gentiluomo, enormi come se ne vedono  nella coda del pavone. Quelli della cara madre, umidi d'inquietudine e teneri al pari di una cerbiatta. E quelli dello zio... grigi, del grigio glaciale della saggezza... come immagino siano gli occhi del Dio Odino incastrati in fondo alla fontana del gigante Mimer, dove era nascosta la saggezza. (Fa un passo verso Gerard, e gli tende le brac-cia) Gerard, di' loro che tu mi ami. (Gerard fa involontariamente un passo verso di lei, poi si ferma. Flora e il Gentiluomo si alzano. Gli altri rimangono immobili e tesi per la paura. Rose lascia lentamente cadere le braccia. Pausa. Dal corridoio di destra si sente il rumore di un passo in­certo. Entra Sune, seguito dal notaio che subito esce. Sune va fino al centro della scena, si ferma dinanzi a Rose e la contempla).

Sune                                   - E' accaduto qualcosa?

Consigliere                         - Perché? Perché credi o vuoi che sia accaduto qualcosa?

Sune                                   - Rose non è più la stessa... ma non importa... (Scrutandoli tutti negli occhi) Ma che aria avete...

Consigliere                         - ...che aria abbiamo?

Sune                                   - Si direbbe che qualcuno vi ha preso in giro.

Consigliere                         - Ci ha preso in giro?

Sune                                   - (rivolto a Gerard) E tu ti sei truccato)! Hai dei cerchi scuri intorno agli occhi. Forse è ili cuore che non va. Che importa. Non ti guarderò.! Rassomigliate tutti ai gufi nella grotta. Io sono salito fino alla cima della Montagna dei Gufi. Nella! grotta erano tutti appollaiati, l'intera famiglia. Mal non ho incontrato altre tracce.

Rose                                   - Anch'io ho cercato.

Sune                                   - Poi sono sceso a valle. C'era un flebile chiaro di luna, l'ultimo quarto. Mi è sembrato di vedere il suo scialle bianco, ma era un anello di nebbia. Una danza di elfi, come si dice. Non ho visto altre tracce.

Consigliere                         - (con tono calmo e deciso) Tu sei stanco.

Sune                                   - Può darsi. Ho molto cercato.

Flora                                  - E' sufficiente che la cerchino i tuoi domestici.

Sune                                   - I miei domestici? la cerchino? Eppure la sentivo vicino a me, così vicina che con due rapidi passi avrei potuto raggiungerla. Ma appena facevo quel passo lei mi scansava...

Gentiluomo                        - (a mezza voce) E' perduto. (Rose va dolcemente verso Sune e posa la sua mano in quella di lui, che la stringe per un attimo, poi la abbandona dolcemente

Sune                                   - A parte ciò, tutto normale: le rane graci­davano, le puzzole saltavano tra i cespugli, i pipi­strelli sfioravano la mia fronte con le loro ali di velluto, i gufi ululavano. Credevo li aveste uditi.

Consigliere                         - E' una fortuna che, in tutto questo disastro, tu non ti sia perduto, caro ragazzo.

Sune                                   - Perduto? Mi è molto utile la conoscenza della cartografia: disegnerò la carta del bosco, della prateria, dei recinti, dei pantani. Ho scoperto una nuova geografia.

Gentiluomo                        - E' perduto.

Sune                                   - Il sentiero che va dalla sorgente al can­cello del parco, si chiamerà Sentiero dei Presenti­menti; il campo dove nella notte di San Giovanni ella colse sette specie di erbe, il Campo dei Sette Fiori. Di fianco si trova l'angolo delle querce, sotto cui dormiva Astrid il giorno che, per inganno, mi sono nascosto dietro il tronco e le ho rubato il primo bacio. Il sole della primavera mi bruciava la nuca. L'angolo del sole, lo chiamerò Angolo della Primavera. E nella foresta, ad est, il cucù mi pre­disse una lunga vita; sarà la Foresta della Pace del Cuore. Ma quella ad ovest sarà la Foresta della Grande Fortuna: lì noi abbiamo dormito quella notte... Rose, indovineresti chi ho incontrato in piena foresta?

Rose                                   - Quando?

Sune                                   - Ma questa notte. Chi indovinerà avrà la fattoria e le stalle, le scuderie e il granaio... Indo­vinate, dunque. No? ebbene, ho incontrato Leo.

Flora                                  - Il cane?

Sune                                   - Naturalmente, il cane.

Gentiluomo                        - Ah, questo è molto strano. Di notte? in piena foresta?

Sune                                   - (trionfante) Sì.

Rose                                   - (eccitata) Era solo?

Sune                                   - Chi sa... L'ho chiamato, ma non è venuto. Forse anche qualcun'altro lo chiamava. Qualcuno a cui preferiva ubbidire...

Rose                                   - (ansiosa) Sune, tu credi sia viva?

Sune                                   - (con un sorriso spento) Viva? Perché dovrei augurarglielo? La vita non è altro che la pietra di paragone che permette al medico di fare la prova della sua abilità. E' la macchina per il meccanico, un trastullo da manovrare e da mettere bene o male in marcia. (Rivolto a Gerard) Che faccia hai? Anche tu, come me, hai camminato nel bosco? Quando è cominciata la festa, eri magnifico. Del resto, tutta la famiglia ha la stessa aria stinta.

Consigliere                         - Caro ragazzo, noi, come te, siamo commossi per gli avvenimenti di questa notte...

Sune                                   - Sì, sono molto stanco. Ho vissuto gli avvenimenti di tre anni in queste tre ultime ore. Questo affatica. E salire sulla Montagna dei Gufi è altrettanto faticoso. Ricordo che ogni volta che voi, caro zio, eravate atteso a Sunesholm, Astrid passava la giornata sulla montagna; col cuore serrato spiava il vostro arrivo. In onor vostro questa mon­tagna porterà il nome di Montagna della Paura.

Consigliere                         - In... mio onore?

Sune                                   - Montagna possente, enorme, orrida. La sua cima è difesa da un bosco di spine e cespugli di roseti selvaggi. La veste le si lacerava e le spine le graffiavano il corpo. Lo voglio battezzare il Roschetto di Flora. I pantani, gracidanti ma non peri­colosi, voglio dedicarli al nome del Gentiluomo. Così, poco a poco, disegno la carta di tutta la pro­prietà di Sunesholm, dove fu felice la mia giovi­nezza, anche se ora non ho più conoscenza di quella gioia... (Si lascia cadere su una sedia e nasconde il viso tra le mani. Gli Ehrenstal si scambiano sguardi d'intesa).

Consigliere                         - Tu ci rimproveri la morte di Astrid? Sono il primo a dolermene, caro. E lo faccio di tutto cuore, con tutta la famiglia. (Gli altri sospi­rano) Se io, o qualcun'altro della famiglia... Dio sa, ha contribuito a causare questo atto di disperazione, sarà un pesante fardello per la coscienza. Sessant’anni di esperienza me lo hanno insegnato. Cre­dimi, ciò che ci capita può esserci, in fin dei conti, utile.

Colonnella                         - E' ciò che ho detto io.

Consigliere                         - Il legame che avevi stretto con la tua protetta era tenue, leggero, troppo leggero... e si è rotto in modo spiacevole. Ma forse non c'era altro. (Sune alza gli occhi ed acconsente col capo).

Flora                                  - Ecco la mia opinione. Si sono visti esempi simili, in cui questi legami sono durati tutta la vita. Una ragazza così non abbandona tanto facil­mente la preda. E se c'è una foresta di cardi su questo territorio, non esiterei a chiamarla Foresta di Astrid.

Consigliere                         - Flora...

Flora                                  - Le spine sono spine e la verità è verità. Non è colpa mia se punge.

Colonnella                         - Rispettiamo il dolore...

Gentiluomo                        - Chino la testa davanti a lei.

Consigliere                         - Sì, veneriamo il dolore. Questo fardello, portato bene, è salutare all'anima. Risveglia le forze addormentate e fa di un adolescente un uomo. Tu eri un adolescente esaltato e puerile, caro Sune. Spero, credo, che questa giornata abbia fatto di te un uomo.

Sune                                   - E' possibile, infatti. Io stesso lo credo. Prima per me c'erano troppi sogni, troppe leggende, un giuoco di illusioni. Ho dovuto smetterla di con­tinuare a crescere come il ragazzo vittima della leg­genda. Tutto era giuoco. Ogni giornata, era per me il voltare, una pagina di un libro di immagini con miniature dorate, antiche, ed il testo in versi. Ma ora ho aperto gli occhi. Con dolore, ma li ho aperti.

Consigliere                         - Penso che Rose possegga il rime­dio per questo male.

Sune                                   - Rose? Ricordo che è stata la mia più bella leggenda: (ride) la leggenda di Rose e di Gerard. Era sublime, edificante, e il nobile eroe si chiamava Sune. Perdonami Rose, perdonami Gerard.

Consigliere                         - Ah, finalmente, tutto si chiarisce.

Sune                                   - Vi dò la mia benedizione: prenditi la tua donna, Gerard, e va al diavolo. (Stupore. Pausa. Entra il notaio).

Gentiluomo                        - E' perduto.

Consigliere                         - (discute a voce bassa con il notaio, che dopo aver parlottato esce nuovamente) Tu pronunci una grave accusa.

Sune                                   - Accusa? io avevo una donna, ciò che di più caro avevo al mondo...

Consigliere                         - Una grave accusa. Ma forse tu stesso non sai bene quello che dici. Credo che Gerard voglia farti qualche domanda.

Sune                                   - (rivolto a Gerard) A disposizione.

Gerard                               - (mal sicuro) Tu credi che Rose...

Sune                                   - ... ti ami. Sì, sì, non dubitarne, il dubbio è un peccato mortale.

Gerard                               - Ti prego di rispondere soltanto alle mie domande. Se Rose mi ama, perché avrebbe accettato di sposarti?

Sune                                   - Rose ha una madre povera che vorrebbe vedere la figlia ben sistemata, ed in fondo avere anche lei un pezzo di torta.

Colonnella                         - E' una vergogna, un oltraggio al mio cuore di madre.

Sune                                   - Una donna non diventa qualcosa di più di una donna perché mette al mondo un bambino. Ognuno di noi, uomo o donna, ha intorno a sé un cerchio, e dentro di sé le parole: bisogna vivere. Conosco un solo essere che ha rotto il cerchio.

Colonnella                         - Vorresti forse dire che ho venduto mia figlia?

Sune                                   - C'era forse un altro mezzo per farvi man­giare entrambe? (La Colonnella esce lentamente con il viso tra le mani, piangendo).

 Gerard                              - Sei molto cambiato, Sune.

Sune                                   - Lo hai visto. Hai altre domande da rivolgermi?

Gerard                               - Hai idea della causa della morte di Astrid?

Sune                                   - Si organizza un processo verbale?

Consigliere                         - Non capisco...

Sune                                   - E allora vi prego di fare bene attenzione a quello che dico: sono io che ho ucciso Astrid.

Gentiluomo                        - Voilà.

Gerard                               - Cosa dici? che vuol dire?

Sune                                   - Che le ho tenuto la testa sotto l'acqua fino a che la vita non l'ha abbandonata. Credo che la mia mano tremasse un poco. Forse questo vi rallegra.

Consigliere                         - Il tuo spirito esaltato è pieno di idee pazze, ma quello che ci rallegra è che la tua follia non giunge al punto di rigettare la colpa su di noi. Meno male.

Sune                                   - Non è certo la volontà che vi è mancata, ma la possibilità. Astrid viveva in un mondo in cui voi non entrerete mai. Sono afflittissimo, signor Gentiluomo, ma il vostro disprezzo non aveva presa su di lei. Nel suo mondo non esisteva povertà, e gli sguardi la lasciavano indifferente, come le grandi arie. Le vostre grandi arie. Trattarla da mendicante che vive d'elemosina, non era offesa per lei, dal momento che anche il merlo e l'allodola, il passero e la rondine, vivono di elemosina. Potevate anche fare sulla sua nascita allusioni discrete e un poco oscure: nel mondo delle leggende, nostro Signore in persona serve da padrino. Voi volevate ferire, ma non raggiungevate il bersaglio per incapacità.

Gentiluomo                        - Giuro, giuro che mai una parola,..

Sune                                   - Manteniamo il sangue freddo, cugino, C'è tanta gente a cui la vostra considerazione può procurare un'incredibile fortuna, ed a cui il vostro disprezzo, e il disprezzo di un gentiluomo di corte, può mortalmente ferire. Tanta gente che potete nobilitare con la vostra nobiltà, aiutare con la vostra stupidità, oppure uccidere con una parola. La terra è grande, ricca e bella, ma Astrid è rimasta fuori da questa vostra sovranità.

Flora                                  - Vieni, vieni, è troppo evidente che  morte di questa sgualdrinella gli ha sconvolto ragione.

Sune                                   - Questo insulto è già come una foglia morta: tutto ciò che le resta del verde della sua giovinezza. Tutti i sogni d'amore, di generosità di fortuna della sua giovinezza, si trasformano il questa parola vomitata su colei che regalò il corpo e l'anima in una stagione di grazia e di primavera.

Flora                                  - (spingendo il Gentiluomo per un brace verso destra) Ah!

Sune                                   - E' la maniera di salutare tutte le parole non imbellettate, e quando la morte verrà per voi, nuda e senza belletto, adopererete l'ultimo soffio di vita, forse per dire ancora: ah!

Consigliere                         - Ora basta: egli ha perso intera­mente il suo buon senso ed il rispetto.

Sune                                   - Alla famiglia Ehrenstal, la famiglia tanto onorevole che ha colto il lauro di questo onore al servizio di sua maestà e della corona, ma soprattutto al proprio servizio, basta che il furto sia chiamato saggio calcolo, la falsa testimonianza, mezzo santi­ficato per fini superiori, e l'amore un gioco per ridere, che il brav'uomo Mosè nasconda le tavole della legge sotto la barba. Ho tutto il rispetto, zio, per i vostri capelli bianchi.

Consigliere                         - (che durante queste repliche era an­dato verso il fondo a sinistra, si volta) Invece tu deridi la vecchiaia.

Sune                                   - No, l'ammiro. Ci vuole molta pazienza per sopportare la villania del nostro prossimo, ed altrettanta per portarci dietro, per anni, la saggezza, senza far cadere il cerchio magico della vita. Solo una cosa non capisco... come mai voi vi degnate ancora di interessarvi a tutto ciò. (Il Consigliere sor­ride ed esce) Ora puoi prendermi il polso, dottore... L'ultimo Ehrenstal è sulla breccia: hai qualche rimedio contro la follìa? prescrivimi un farmaco, ma non dimenticare che io non ho la fortuna di appar­tenere alla famiglia. Perché te ne vai? perché? Rose, ferma il tuo amante. Forse ho ferito il suo cuore delicato con qualche spiacevole parola? ho forse detto che aveva venduto il suo amore per comprare, con il denaro di nostro zio, una laurea? Ho forse detto che mi aveva ceduto quella che amava, per sfuggire ad una follìa che, guarda caso, aveva preso l'ultimo degli Ehrenstal? (Gerard esce a destra) Perché non lo segui?

Rose                                   - Chi dovrei seguire?

Sune                                   - Signor notaio... signor notaio! (Il notaio affare sulla porta, esitante) Signore, iscrivete nel processo verbale che il medico ha trovato disperato lo stato del paziente. Non c'è rimedio per il signore di Sunesholm. (Il notaio dopo un gesto di spavento, esce) Anche tu, Rose: vattene in pace, stai perdendo qui il tuo tempo e la tua giovinezza. (Rose gli si avvicina).

Rose                                   - Esiste ancora un rimedio alla pazzia.

Sune                                   - Davvero? e che nome ha questo rimedio?

Rose                                   - Pazzia.

Sune                                   - No, no. Reciti la commedia: non c'è ombra di pazzia nei tuoi occhi. Va', devi essere con la tua famiglia.

Rose                                   - Non ho più famiglia. Ora credo alla saga: poco fa, ho sentito anche io una pesante mano sul capo. Non desidero più tenerlo sopra l'acqua. (Per un attimo Sune l'attira a sé, poi la respinge allon­tanandola. Si odono voci sempre più chiare fino a distinguere che gridano).

Grida                                 - Astrid... Astrid... (Le due coppie del primo atto, una da destra e l'altra da sinistra, rientrano. Si fermano sulla soglia e parlano con l'ansia di chi riferisce delle notizie).

Le coppie                           - (alternandosi) E' viva. Astrid è viva. L'abbiamo vista. Astrid. Era proprio lei. L'abbiamo vista nel parco. Col suo scialle bianco... L'abbiamo chiamata... Astrid... Ma lei è corsa via... L'abbiamo rincorsa... Si è nascosta... Nel parco... Vuole burlarci... Vuole soltanto burlarci...

Fine del terzo atto

ATTO QUARTO

La scena è la stessa del primo atto. E' ancora notte, ma l'alba sorge poco a poco. Il cielo schiarendosi appare grigio e freddo. La lanterna presso il cancello sta spegnendosi. Saga è accoccolata sul tavolo, im­mobile. Silenzio. Rumore lontano di vento.

Grida                                 - Astrid... Astrid... (Scricchiolìo della ban­deruola).

Voci                                   - Astrid... Astrid... (Astrid entra da sinistra, ansante per la corsa, trascinandosi lo scialle bianco. Il pubblico potrà riconoscerla soltanto quando avrà raggiunto il pozzo. Il cane la segue).

Astrid                                - Leo... vieni bello... qua... Eccoci di nuovo a casa. Abbiamo fatto fare al padrone, sempre di corsa, il giro di tutta la proprietà. A casa. Basta giocare, Leo, siamo seri. (Lega il cane alla catena).

Grida                                 - Astrid... Astrid!

Astrid                                - Sta' buono, viene giorno. (Attraversa fur­tivamente la scena ed entra nella serra dì destra. Sune e Rose appaiono dal cancello. Sune si porta le mani agli occhi, a visiera, per guardare nella oscurità).

Sune                                   - Perché chiamare, perché cercare?

Rose                                   - L'ho vista vicino alla scala.

Sune                                   - E adesso... adesso gli altri la vedono dall'altra parte del parco.

Rose                                   - Ma io l'ho vista. L'ho vista. In quel mo­mento avevo fatto un passo falso, tu ti sei chinato per aiutarmi e nell'ombra ho visto il suo scialle bianco.

Sune                                   - Io l'ho vista nella foresta, nella montagna, nel parco. Miraggi. Dovunque andavo avevo l'im­pressione di averla accanto. A qualche passo, a qualche passo soltanto, ma erano soltanto miraggi. Immagini nella lanterna magica dell'angoscia e della solitudine.

Rose                                   - La troveremo, caro Sune: quattro occhi vedono meglio di due.

Sune                                   - Non c'è più la minima speranza. Ho meri­tato il mio castigo.

Rose                                   - E' il tuo spirito malato che parla. Il castigo durerà solo questa notte d'angoscia. All'alba tutto passerà.

Sune                                   - Tu non conosci Astrid. Credi voglia ven­dicarsi? Quante volte ha sopportato sofferenze, umi­liazioni e dispetti piuttosto di darmi anche una sola ora di inquietudine... Dammi la mano, qui puoi inciampare...

Rose                                   - Taci, ho sentito un sospiro...

Sune                                   - Io ho sentito sospiri, passi, respiri affan­nati per l'inquietudine. Allucinazioni. Quando il mio pensiero si distraeva da lei per fare attenzione alle tue parole, la foresta ritornava silenziosa e deserta.

Rose                                   - Hai guardato nelle serre?

Sune                                   - Non ricordo più. Sì, da quella parte. Non da questa. Accendo le lanterne, tu intanto guarda tra i lillà.

Rose                                   - (attraversando la scena) Non sono certo i nascondigli che mancano. (Sune entra nella serra di sinistra. Rose cerca di aprire la forta della serra di destra) La porta è chiusa.

Sune                                   - La chiave è sopra.

Rose                                   - No, non c'è.

Sune                                   - Aspetta, vengo. Farò saltare la serratura. (Le lanterne della serra di sinistra si accendono. Sune attraversa la scena e si ferma a qualche passo da quella di destra, in piena luce) Perché cercare? Presto sarà mattino, giorno, luce. Ma questa notte non avrà mai fine. Quanto tempo occorrerà, Rose, per dimenticare questa notte d'angoscia?

Rose                                   - I fiori pare si chinino verso la terra.

Sune                                   - Cipressi e gigli: corona sulla tomba.

Rose                                   - Che cosa brilla là, nel fondo?

Sune                                   - Narcisi.

Rose                                   - Che profumo...

Sune                                   - E' un profumo avvelenato.

Rose                                   - E se lei fosse nascosta là e il profumo l'avesse assopita, addormentata?

Sune                                   - Guarda tu stessa.

Rose                                   - No, no, non oso cercare... non oso più.

Sune                                   - Perché, anche tu non speri più... Non mentire, Rose.

Rose                                   - (ripetendo come una sonnambula  E’ la tua coscienza malata...

Sune                                   - (attirandola a sé) Quanto tempo dovremo vivere per dimenticare questa notte, d'angoscia?

Rose                                   - All'alba tutto sparirà... (Respirando a fatica) Che aria pesante c'è qui... Queste rose danno! alla testa... forse il profumo l'ha addormentata.

Sune                                   - Vieni, Rose, cerchiamo.

Rose                                   - Il profumo l'ha addormentata... (Entrano e la porta si richiude dolcemente).

Saga                                   - Riflettete bene. Il profumo l'ha forse addormentata... forse. No, cavaliere Sune, no, signorina Rose. La mia piccola sorella non si addormenta così facilmente. Soprattutto quando è in giuoco la sua fortuna. E' anche troppo sve­glia, ed ha svegliato la vostra coscienza. Dopo le rane e le talpe, di cui non ho mai capito nulla, gli uomini sono forse la razza più biz­zarra. Gracchiano come le rane, vanno a tentoni come le talpe; trovano sempre parole, ma mai il loro cammino. Caro padrone, non fu poi tanto facile mettere d'accordo pensieri e volontà. E distruggere un giglio senza esitazione, è meno facile di quanto tu non creda. Sul cammino dell'amore crescono anche i cardi. (Si alza) Il nostro gioco va verso la fine. Presto cadrà l'involucro delle apparenze. Un velo di nebbia, salito dalla sorgente di Gudrun, ha avvolto il castello nel--l'angoscia e nella grigia paura della leggenda; ma ora si sta diradando. Non manca che il qua­dro in cui l'amore fedele riceve la sua ricompensa, i cattivi il castigo, il sognatore una rude scossa. L'amante incerto ha potuto riflettere. Quello era il fine della commedia, e noi l'abbiamo raggiunto. Tutto è pronto per la scena  finale, dove l'eroina cade nelle braccia dell'eroe, un attimo prima che cada il sipario. Poi, finito il suo compito, la Saga ritornerà nel suo pozze! Lascerò il compito di trarre la morale della storia alle... rane, sempre in vena di gracidare. Astrid, sorella, vieni fuori dal tuo nascondiglio, l'alba è sorta. (Si ode il rumore della chiave nella serti di destra e la porta viene socchiusa. Saga riprende la posizione di prima. Entrano il Consigliere e Gerard; sì fermano a metà della scenajM

Consigliere                         - Così tu accumuli rimproveri sulle! spalle di un vecchio come me, sperando che questi! finiscano per schiacciarmi. Dure le parole dì Sune, dure quelle di Rose, ma quelle che vengono dalla! tua bocca mi sono ancora più amare. Sono io che! ho soffocato la tua giovinezza, soppresso il tuoi amore. Sono io che avrei fatto di te un uomo senza! onore, senza coscienza, amaro, sornione, capace soltanto di tanto di odio. E questo odio sarebbe il tuo regalo d'addio.

Gerard                               - Deformate le mie parole, zio, io ho solo parlato di riconoscenza; ora come in passato...

Consigliere                         - Ma, tanto ora, come per il passato, non sono riuscito a capire se dietro il velo delle parole grate si nascondesse dell'ironia... Ti ho fatto da padre...

Gerard                               - Non ho mai detto altro. Invece di un padre, la Provvidenza mi ha dato un Consigliere di commercio.

Consigliere                         - Non ho mai odiato nessuno, e Dio mi guardi dal farlo; ma quelli che ho amato sono stati pochi, e mai i miei pensieri hanno ces­sato di agitarsi intorno a te, al tuo avvenire, alla tua felicità.

Gerard                               - Sono d'accordo... Ad ogni passo battevo la fronte contro il cancello di questi pensieri; pen­sieri d'acciaio.

Consigliere                         - E' per il tuo bene, per l'affetto che avevo per te che ho dato Rose a Sune...

Gerard                               - Lo so, caro zio. E da giorni e anni io ricevo nella mente le parole appropriate per ringra­ziarvi convenientemente.

Consigliere                         - Era forse un delitto? forse era un delitto verso... l'amore. Su tutta la terra non esiste un altro problema più importante di questo. E' quest'uomo, questo e. non un altro, che dividerà il letto nuziale di questa donna, questa e non altre? La terra fu creata per servire come camera da letto a questa coppia, con tutta la sua magnificenza. E' per la loro notte di nozze che è stata distesa la volta del cielo e le stelle illuminate per questa festa. Il sole stesso ricevette la luce per mostrare all'amante che la sua volontà non era sogno.

Gerard                               - Diventate poeta... Non negate, dunque, che l'amore può trasformare anche una pietra.

Consigliere                         - Io conosco l'amore...

Gerard                               - Per sentito dire.

Consigliere                         - E' una forza, certo. Ma ne co­nosco altre. Conosco una forza tanto oscuramente fatale, paralizzatrice, che la vita stessa diviene una larva nella sua sfera: si chiama miseria. Essa attira e soffoca nel suo fango chiunque non mette al primo posto la saggezza, prima di ogni altra virtù del cuore e del cervello umani. Ecco la mia pro­fessione di fede, che ha sessant’anni di esperienza; vediamo se la tua nuova fede raggiungerà la stessa età.

Gerard                               - No, speriamo che non sopravviva di più della vostra. E poi, pochi al mondo hanno la vostra vitalità. (Il Consigliere, che risaliva verso il fondo, a queste parole si volta).

Consigliere                         - (dolcemente) Vorresti dire che ho vissuto troppo? No, non rispondermi, non stancarti la mente nella ricerca del come voltare in scherzo le tue parole: non ne vale più la pena. Devo rico­noscere che le mie vecchie spalle cedono sotto troppo peso. La vita è finita. Se avessi soddisfatto il tuo capriccio sarei stato colmato di affetto e gratitudine. Il mio peso, oggi, si chiama solitudine. Ed è pe­sante e vuoto, ma sempre più leggero, molto di più delle quattro palate di terra. Addio, ragazzo mio, non ho più né il tempo né la forza per pensare alla tua felicità. Cercatela. E se si chiama Rose... prendila. Si dice che perfino l'oro diventa foglia secca nelle mani dei vecchi. E' possibile. Conterò queste foglie, mentre tu conterai i baci, le parole tenere, le carezze, gli abbracci, i giorni di gioia e le notti di felicità. Contale. Pesale. Tutto deve es­sere contato e scritto in chiare cifre nel grande libro. Tanto il nostro sonno sarà lungo. (Esce dal cancello e si volta ancora una volta con un piccolo sorriso. La luce della lanterna si spegne. Una luce incolore, dove i personaggi appaiono come ombre, fa posto all'alba).

Saga                                   - Ecco che le stelle impallidiscono ed il vento, lievemente, come ali di farfalla, cade. E' il momento in cui coloro che si amano si chia­mano nel sonno; è il momento, piccola Astrid, in cui Gudrun bevve a perdifiato alla sorgente ed il mio cuore ritorna freddo e calmo come l'acqua stagnante. (Gerard attraversa la scena verso la porta di destra) Ma il giorno avanti quello dell'ultimo Giudizio, la sorgente si inari­dirà. Lo dice la canzone... Sì, credo che la sor­gente scaturisca per confortare tutti coloro che hanno sete, ma chi troppo tardi e troppo rara­mente ha messo piede nel paese delle saghe, dovrebbe diffidare. (Gerard apre la porta della serra, poi indietreggia con le mani sugli occhi) Chi ne è rimasto fuori non morirà accanto alla sorgente, né potrà più vivere chiuso nella sua saggezza e autorità. Cercherà invece la sua strada a tentoni, come le talpe, ed ogni volta che sentirà il gorgogliare della sorgente inveirà come le rane. Il tuo posto, traditore, è tra i gufi, nella grotta della montagna. Là potrai contare ogni minuto di fortuna che tu, tu stesso, hai strappato dalla tua vita. Aspetterai la fine, solo, con gli occhi spalancati senza lacrime, come quelli di un gufo. Ladrone... hai rubato a te stesso la gioia. (Con la testa bassa, malsicuro, Gerard, attraversa la scena ed entra nella serra di sinistra. Lontano musica di violini e flauti. Dalla terrazza entrano ì giovani invitati. La musica tace. Gli invitati hanno gestì di gioia nel silenzio del mattino. Fanno un giro intorno al tavolo poi, tenendosi per mano, si avvicinano ai vetri della serra di sinistra e guardano. I cava­lieri alle sfalle delle dame, sussurrano: « Rose, Sune... Rose, Sune...». Dopo un momento le dame si voltano un foco imbarazzate, cercando di rompere la catena dei cavalieri che diviene minima intorno al tavolo. La Saga intanto è corsa vicino al pozzo. I giovani si riprendono per mano, fanno un giro dì farandola, poi ogni cavaliere abbraccia la propria dama verso il fondo della scena, ed escono dal cancello) E' tempo di coronare l'opera. Voi (rivolta al pubblico) avete pensato fossi ricca più di parole che di azioni. Vi siete sbagliati. Ho giocato col Destino la feli­cità di Astrid. Ai dadi. Voi avete udito la com­media e vi deve esser sembrata un tenero scherzo; eppure non ha fatto che unire due amanti. Astrid, fai presto... sorge il giorno... Chi si pre­occuperà poi della Saga, del crepuscolo e dell'angoscia della notte? (Grida) Chi crede alle leggende, qui? (Silenzio) Neppure l'eco ascolta più il lamento. I confusi rumori che popolano il mezzo della notte, si trasformano nei suoni gioiosi del giorno, e l'arca costellata d'oro che attraversa il cielo, si spegne e non è più che cenere grigia nella luce dell'alba. Svelti, svelti, per l'epilogo della commedia: l'eroe può entrare, e anche l'eroina... (Astrid e Gerard escono dalla serra di destra. Gerard tiene la fanciulla per i polsi, la conduce fino all'altra serra, dove bru­talmente la spinge contro il vetro perché veda dentro. La Saga resta sorpresa) Come'? Il tradi­tore è ancora qui? Vattene subito, vattene. Non c'è più posto per te nella commedia della Saga: devi uscirne al mio gesto. Non vuoi? Dimentichi la tua uscita? (Astrid indietreggia nascondendosi il volto tra le mani e Gerard con un riso triste scompare dietro la serra) Bene, andato... Respiro. Ma gli eroi, gli eroi? Non ci sono più eroi in questa commedia? Vieni, cavaliere Sune... ti prego, te lo ordino. (Astrid piangendo sale verso il fondo; singhiozzando le cade lo scialle dalle spalle) Piangi, piccola sorella... piangi. (Astrid esce. Sune e Rose appaiono dalla serra tenen­dosi abbracciati) Il sangue bolle al fuoco del mattino e la linfa scorre nei tronchi. Io stessa ho invitato il Destino alla festa, ed è dunque colpa mia, se egli ora si diverte con i nostri eroi. Sono una leggenda troppo vecchia per avere ancora il potere di commuovere la sola potenza che traccia il cammino della razza umana. (Saga sparisce nell'ombra. Rose si stacca da Sune e guarda intorno con inquietudine).

Sune                                   - Siamo soli.

Rose                                   - Soli... ho freddo.

Sune                                   - (tenendole le mani) Senti come bruciano le mie mani?

Rose                                   - Ho freddo ed ho paura...

Sune                                   - So che ti ho fatto del male: ero un ra­gazzo stupido.

Rose                                   - Ed ora?

Sune                                   - ... ora sono pazzo. (Rose gli getta le brac­cia al collo).

Rose                                   - (staccandosi) Taci.

Sune                                   - Che paurosa... piccola paurosa.

Rose                                   - Non hai sentito?

Sune                                   - E' il cane che geme... (Rose guardandosi intorno vede lo scialle di Astrid, lo indica a Sune che lo raccoglie e lo posa indifferente sul tavolo) E' lo scialle di Astrid.

Rose                                   - Astrid...

Sune                                   - Che ci importa di Astrid... o di Gerard? lo stupido...

Rose                                   - (in un mormorio) ...lo stupido...

Sune                                   - Che non conosce la pazzia...

Rose                                   - La pazzia... (Restano un attimo silenziosi. Poi Sune tende verso di lei le hraccia. La luce dell'alba invade la scena; salgono verso il cancello).

Saga                                   - (lontana, si ode soltanto la voce) Esiste una lesige che condanna lo schiavo dell'amore respinto, j offeso, tradito, eppure fedele, a vegliare ogni notte senza trovare riposo, e ad addormentarsi soltanto all'alba, inconsolato.

Sune                                   - (grida di gioia) Il sole... Il sole... (Abbrac­cia Rose violentemente) No, non ti lascerò. (Escono abbracciati).

Saga                                   - Per chi crede alle leggende, ogni giorno è quello del Giudizio universale. (Entra Astrid, scossa da brividi, che la costringono a fermarsi. Va­cilla. Raccoglie lo scialle e se ne avviluppa. Entra Gerard, preso da un riso silenzioso, si appoggia al tavolo. Astrid vacilla ancora e cade. Gerard h chiama sempre più affannosamente, fino alle ul­time parole che saranno gridate. La tocca, la scuote inutilmente).

Gerard                               - Astrid... Astrid, cosa c'è? No. Astrid, non così, non fare così; bisogna ridere, ridere... E' tutto ciò che importa, Astrid... (Poi, muto, alza i! viso, con gli occhi disperati guarda davanti a sé).

FINE