Scacco matto

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Scacco matto

Dramma in sette quadri

di ALESSANDRO VARALDO

PERSONAGGI

Alessandro Oneto, 56 anni.

Luisa, sua sorella, 46 anni

Annetta, figlia di Luisa, 20 anni

La Marchesa Violetta Embriaco 48 anni

Andrea, suo figlio, 25 anni

Il Cav. Zérega, fabbriciere, 50 anni

Girolamo Sciaccaluga, 55 anni.

Gigetto, suo figlio, 20 anni

Stefano Castagna, 36 anni

Ninetta Isolabella, 49 anni

Cesira, serva di Luisa, 50 anni

Maddalena, serva della Marchesa, 60 anni.

A Genova, oggi.


Commedia formattata da

ATTO PRIMO

In casa della signora Luisa, al principio di via Fieschi. È un ti­nello decente e modesto: i soliti mobili piccoli-borghesi, a rate, con la tavola rotonda nel centro sotto un lume appariscente orna­to di molte lampadine, tutte sfar­zosamente accese. Si vede che il lume è recente, come un divano e delle poltrone che stonano col resto, e un bell'orologio a pendo­lo, e due quadri con vedute di Buenos Ayres e delle Pampas. Fi­nestra in fondo, a destra, a bal­cone: porta a sinistra che immet­te nell'interno. La comune è in fondo, e, quando la porta si apre, appare una saletta d'entrata.

Sono le dieci di sera della vi­gilia di Natale.

Sinistra e destra dello spetta­tore.

SCENA I.

 (Cesira, serva di casa, donna sui cinquanta di bella presenza, ma di apparenza anziana, sta ac­comodando fiori e stoviglie e po­sate sulla tavola già coperta della tovaglia; dalla comune si affaccia Stefano, un uomo sui quaranta, vestito con pretesa d'eleganza po­polana, stridente ma pulita).

Stefano                         - (a mezza voce) An­cora una parola, Cesira!

 Cesira                           - Qui di nuovo? (Senza voltarsi) Che cosa volete?

Stefano                         - Lo sapete quello che voglio!

Cesira                            - Oooh! Bel figliolo! Per chi mi prendete? Serva ma one­sta!. ..

Stefano                         - In verità, non vi si prenderebbe per serva! Con la vostra...

Cesira                            - Inutile darmi del sego, non mi varate. Fareste meglio ad andar via e a lasciarmi preparare. Se arriva il padrone, l'americano, le sento io! (Pausa: si volta) E non si muove! Quante volte vi devo dire che è ancora presto! Ri­passate dopo la mezzanotte. (Pau­sa) Ve ne andate sì o no?

Stefano                         - No... finché almeno...

Cesira                            - Finché almeno...? Ani­mo, sputate!

Stefano                         - Finché non mi pro­mettete di darmi una mano.

Cesira                            - Una mano? E per che cosa?

Stefano                         - (insinuante) Cara e bella Cesira... avete i capelli bian­chi ma siete bella... Ne dovete aver mollato delle frecce in gio­ventù!

Cesira                            - Badate come parla­te!... In gioventù...!

Stefano                         - Nella prima gioven­tù! Voi non siete di quelle ra­gazze arrabbiate a cui nemmeno un cane ha fatto bau! Delle vitti­me ne dovete avere sulla coscien­za... onestamente, intendiamoci... Cosi potrete capire un povero diavolo che ha il cuore in bocca...

Cesira                            - Se avete il cuore in bocca, masticatelo!

Stefano                         - Non posso... mi fa male... come un dente che balla. Non ve ne siete accorta che sono innamorato?

Cesira                            - Di me?

Stefano                         - Voi... vi rispetto troppo! Di... (indica la porta dì sinistra).

Cesira                            - Dell'Annetta? Pulite­vi il bocchino, bel figliolo!

Stefano                         - Perché? Ho una po­sizione. Panettiere sì, ma alla pa­rigina. E l'Annetta, fino a ieri, le tirava verdi...

Cesira                            - E allora perché non vi siete presentato l'altro ieri, si­gnor panettiere alla parigina? Vi ha forse fatto camminare lo zio d'America?

Stefano                         - Mi offendete... mi meraviglio...

Cesira                            - Evvia!... Parliamoci chiaro. Finché la povera signora Luisa le tirava verdi — come dite voi — all'Annetta nessuno s'è avvicinato neanche — sempre co­me dite voi — per farle bau. Nessuno... o almeno, sì, uno, ma non voi. E adesso che il signor Alessandro Oneto è tornato dall'America gonfio di pesos, eccoli qua... voi... il Girolamo Sciaccaluga col principino e anche quella smorfiosa della Ninetta Isolabella.

Stefano                         - Come? Come? Anche lei per l'Annetta?

Cesira                            - Scemo!... Viene per l'Americano. Boccone d'oro. Ma ci potete fare un nodo quanti sie­te. Non è da mettere in un for­no... alla parigina... l'Annetta! E in quanto all'altra, sì, dico, vie­ne dall'America proprio per man­giare la gallina vecchia il signor Alessandro...

Stefano                         - (ride).

Cesira                            - Ridete pure, ma an­date via, e se volete consolarvi col panettone tornate dopo mez­zanotte. Ci sarà corte bandita... (suono di campanello) E adesso chi sarà? (Esce dalla cornane e torna precedendo Girolamo, Gi­getto e Ninetta).

SCENA II.

Stefano, Cesira, Ninetta, Girolamo e Gigetto.

Cesira                            - Si accomodino pure... ma fino a mezzanotte suonata non ci sarà nessuno. (Silenzio: Secca) Farebbero meglio a girar per i presepi! (Silenzio. E allora alza le spalle ed esce da sinistra senza complimenti).

SCENA III.

Stefano, Ninetta, Girolamo e Gigetto.

Girolamo                       - (È un uomo grave, logorato un po' dalla vita, sì che sembra più vecchio che in realtà non sia) Io mi domando e dico se è la maniera di ricevere la gente!

Ninetta                          - (È una donnina tutta moine e trilli che ha vittoriosa­mente oltrepassato d'assai i qua­ranta) Lasci, faccia finta di nulla! Donne di servizio! Peuh!

Stefano                         - (le si avvicina) Co­me sta la bella Ninetta?

Ninetta                          - (schifiltosa, squadran­dolo) Che cosa sono queste con­fidenze! Per chi mi prende lei? Per una panettiera?

Stefano                         - Se mai... alla pari­gina!

Girolamo                       - (bonaccione) Ni­netta, questa è buona! Bravo Ste­fano! (S'accorge che Gigetto sta curiosando intorno) Che cosa stai annusando? Vieni qua!

Gigetto                          - (troppo alto per il suo vestito, goffo, un po' malizioso, con un formidabile appetito) Non c'è niente da mangiare!

Girolamo                       - Eccolo lì! Mangia­re! Ma che ci hai dentro. Il ver­me? (Agli altri) Non farebbe che mangiare! Eppure in casa non gli manca niente!

Ninetta                          - (arrotando l'erre) Crescenza, Girolamo, crescenza!

Stefano                         - È meglio che mangi invece di cercar delle gonnelle!

(Proteste: campanello di dentro).

SCENA IV.

Cesira e detti, poi il Cav. Zé­rega.

Cesira                            - (da sinistra) Han suo­nato? (fra sé) Sempre qui!

Girolamo                       - Mi par di sì!

Cesira                            - (alza le spalle, esce dal­la comune, poi rientra preceden­do il Cav. Zérega).

Zérega                           - (vestito nero a falde, chiuso e abbottonato, untuoso, circospetto, magro, occhi sfug­genti, fiuta in giro con aria di scoprir misteri, voce bassa e len­ta, gesto raccolto) Buon Nata­le, signori! Godo di vederli in salute... godo... godo...

Tutti                              - (meno Cesira) Buon Natale! (Convenevoli).

Cesira                            - (avviandosi alla sini­stra) È presto ancora! Sarebbe meglio che andassero a fare il gi­ro dei presepi...

Zérega                           - Non importa! Aspet­teremo! (Fa gruppo con gli altri).

Cesira                            - (avviandosi, fra sé) Ci mancava il Cav. godo! Tutta questa gente qui non si vedeva prima che tornasse l'americano! (Forte) Sono in tre col chierico: possono cantar messa! E la Ni­netta farà la questua! Con per­messo! (Esce da sinistra).

SCENA V.

Gigetto, Stefano, Zérega, Ninetta, Girolamo.

Ninetta                          - La Ninetta! Se ne prende delle confidenze! Peuh!

Stefano                         - Lasci! Lasci! Faccia finta di niente! Sono donne di servizio! Peuh!

Zérega                           - (guarda circospetto in giro: poi li raduna intorno a sé: Gigetto s'avvicina con gli altri) Voi, no!

Girolamo                       - (additando al figlio un calendario all'altro lato della stanza) Va a vedere che gior­no è.

Gigetto                          - (spiritoso) È la vi­gilia di Natale! (Ma siede sul di­vano all' occhiataccia paterna).

Zérega                           - (voce bassa, da con­giurato) Godo... godo... di tro­varli qui riuniti... Meglio che parliamo fra noi...

Girolamo                       - (diffidente) Io so­no qui come amico di Alessan­dro... amico di gioventù...

Stefano                         - Io passavo di sot­to... Le buone feste bisogna ben darle!

Ninetta                          - Non vedevo la Lui­sa e l'Annetta da Santa Lucia...

Zérega                           - Beh! Beh! Sia per non detto. (Pausa: sogguardan­do Stefano) Che cos'è tutta que­sta intimità col marchesino Em­briaco.... sempre per casa...

Stefano                         - (allarmato) Come sarebbe a dire?

Zérega                           - Domandavo.... Si vuol dire che ci sia della sim­patia fra i due... Mah!... godo... godo...! Se saranno rose... Non che la madre del giovanotto, la marchesa Violetta, sia conten­ta... anzi! Pare che ci abbia del­le altre intenzioni! Ma quando c'è il reciproco affetto...

Stefano                         - Reciproco un cor­no....!

Zérega                           - (sogguardando Girola­mo) Il signor Oneto avrà un nipote da proteggere e da met­tere a posto. (Cerca dello sguar­do Gigetto) E si sa... colui che ci tocca più da vicino è il prefe­rito...

Girolamo                       - (preoccupato) Dia­volo... diavolo...

Zérega                           - (offre la tabacchiera a Ninetta che rifiuta offesa) E infine... il signor Alessandro... invece di aver delle idee per con­to proprio... è ancora un bell'uomo... da farsi una famiglia... diretta... si contenterà dei nipo­tini... Godo... godo...

Ninetta                          - (scattando) Non le pare che sarebbe un vero pec­cato?

Zérega                           - Mortale. Senza con­tare che se il giovane Embriaco viene per casa... ci verrà anche la madre... la marchesa... una bella donna...

Ninetta                          - Eravamo alle Dorotee insieme... cioè lei nelle gran­di... io nelle piccole... piccole...

Stefano                         - Davvero, è ancora una bella donna! Ninetta, all'erta!

Ninetta                          - E che c'entro io? Modi da... panettiere...

Girolamo                       - È una bella don­na... che può far buon brodo!

Zérega                           - Signor Girolamo, pre­go! (Gli offre la tabacchiera) Tappi... Tappi...! (E poiché li vede inquieti, tutti e tre, li ra­duna col gesto intorno a sé, ab­bassando la voce) Io non ci ho interesse, come possono immaginare (proteste finte)... io sono, co­me si direbbe, confidente spiri­tuale, su, della signora mar­chesa...

Ninetta                          - (sprezzante) Mar­chesa! A tocchi e bocconi!

Zérega                           - Disgrazie di fami­glia! C'era il patrimonio e una gran dote, ma il defunto mar­chese, buonanima, era, come si direbbe, un po' largo... troppo signore...

Stefano                         - Avrebbe mangiato la Banca d'Italia!

Girolamo                       - Pareva che li do­vesse buttar dalla finestra!

Ninetta                          - Però... un bell'uo­mo... galante...

Stefano                         - Vi ha forse, tirato il rocco?

Ninetta                          - Mi meraviglio! (A Zérega) Si prende certe confi­denze... da panettiere...

Zérega                           - (gesto di calma) Di­ciamoci le nostre ragioni... pre­sto... prima che arrivi qualcuno. Venite qua! (Li raccoglie, abbas­sa la voce) O per carità cristia­na, come me; o per qualche idea meno cristiana... ma umana, ma non riprovevole... come voi... si sa, gli interessi sono interessi... in fondo lo scopo, per noi è uno solo. Io intendo che l'autorità materna della marchesa sia ri­spettata. E quando una madre cristiana pensa di accasare un figlio cristiano, ha diritto di sce­gliere la sposa... e l'ha scelta...

Ninetta                          - Davvero? E chi? E chi?

Zérega                           - Una pia donzella, nobile, ricca, parente... una Em­briaco...

Stefano                         - Chi? Forse la gobba dell'Annunziata!

Ninetta                          - Eravamo dalle Dorotee... gobba garantita...

Zérega                           - Gobba no... una spal­la più alta dell'altra... Ma il pa­lazzo... la villa di Sestri... una cassa di titoli... E poi... conten­ta la madre... contenta la ragazza...

Girolamo                       - Contento il gio­vanotto...

Zérega                           - Per ora no... ma si contenterà!

Ninetta                          - Anche le gobbe han­no fortuna!

Zérega                           - L'ha chi si aiuta e s'industria... Per me, e credo anche per voi, la marchesa ha ragione.

Girolamo                       - Naturale! Una spalla diversa dall'altra, ma che compensi!. ..

Stefano                         - Ha gli scudi a sac­chi!...

Zérega                           - Parliamo del morale prima di tutto, ma non disprez­ziamo il materiale. Viene tutto da Dio. E la marchesa da trop­po tempo mangia di magro...

Stefano                         - Lo dica a me... è una cliente... asciutta!

Girolamo                       - E il marchesino col suo impiego al Monte di Pie­tà ne porta a casa pochini..

Ninetta                          - Stenti con decenza! Poveretta! Deve esser triste per chi è nata ricca...

Zérega                           - L'offre al Signore... che non è sordo, né cieco, e la compensa... col solido, mentre (pesca abilmente notizie) chi lo sa se qui ce n'è del solido!

Ninetta                          - A quanto si dice, ce n'è, e molto!

Girolamo                       - Alessandro è tor­nato da poco e non ho potuto sapere ancora. Ma, se dovessi da­re un parere, ce. n'è... e molto.

Stefano                         - Ed io ve lo garan­tisco. Molti... e solidi, come dice il Cavaliere.

Zérega                           - Da chi lo sa?

Stefano                         - Da un americano... di Chiavari. E a Chiavari se si confessa un soldo è segno che si ha un milione almeno. Ho sapu­to che Alessandro Oneto ha fatto fortuna quando lasciò Buenos Ayres per l'interno. Ha avuto una concessione, ha costruito una estancia, una fazenda, come dicono laggiù. Ma in grande, larga più che da Nervi a Voltri, migliaia di vacche, pecore... (Tutti lo ascoltano spalancando occhi e bocche) È un fazendero, che guadagna soldi a cappellate, col rastrello...

Girolamo                       - Se ci ha la fazen­da vuol dire che non è tornato per sempre!

Stefano                         - Naturale. Non ha liquidato. La fazenda è sempre sua... lo dice quello di Chiavari.

Ninetta                          - Non dice perché è tornato?

Stefano                         - Che ne sa! Per me è tornato per la sorella e la ni­pote... metterle in posizione co­moda...

Girolamo                       - Portarsele via...

Stefano                         - Anche.

Ninetta                          - Per la povera Luisa era tempo che tornasse. Ma se non le moriva il marito che non andava d'accordo con Ales­sandro.. .

Girolamo                       - Poveretto! Ha per­duto in borsa tutto, anni fa ed è morto di crepacuore. Non si sapevano notizie di Alessandro e la signora Luisa le ha tirate ver­di fino a quando il fratello s'è fatto vivo, ha pagato i debiti del cognato ed è venuto...

Zérega                           - Bisogna sempre ral­legrarsi del bene del prossimo. Godo... godo...

Girolamo                       - Alessandro ha un cuore così... per gli amici!

Ninetta                          - Luisa è buona come il pane!

Stefano                         - La nipote è una ro­sa... un po' patita, ma aspettate che trovi l'anima gemella...

Zérega                           - Godo... godo... (a Ninetta) Ci si consola a sentir lei... (a Stefano) Verissimo... che trovi l'anima gemella e poi... (a Girolamo) Lei che è padre esem­plare e tenero...

Gigetto                          - (s'è addormentato sul divano e adesso russa come un organo).

Girolamo                       - (salta e corre a pren­derlo per un orecchio) Pezzo di mascalzone...

Gigetto                          - (piagnucolando) Ahi! Ahi! Ahi!

Ninetta                          - Lasciatelo, via!

Girolamo                       - È buono per la forca... non so che farne!

Zérega                           - Lo affidi al signor Oneto... per la fazenda.... (I quattro si guardano: pausa).

SCENA VI.

Cesira e detti.

Cesira                            - Eccoli che arrivano...! (Esce dalla comune).

Gigetto                          - Adesso almeno sì mangerà qualche cosa!

Girolamo                       - Su... battiamo le mani... E’ la sua festa! È nato proprio la vigilia di Natale, l'an­no prima di me...

Zérega                           - Che bella notizia... godo... godo...

Ninetta                          - Andiamogli incon­tro.. .

Girolamo                       - Sicuro! (spinge Gi­getto) Fatti avanti scemo!

Stefano                         - (urla) Buon Natale, signor Oneto!

Ninetta                          - Felicità! Felicità!

Zérega                           - Alleluja! Godo... godo...

(Si affollano alla comune).

SCENA VII.

Oneto, Luisa, Annetta, Cesira e detti.

Oneto                            - (È un bell'uomo nella forza dell'età, robusto, provato da tutte le latitudini, sbarbato, selva di capelli grigi, aria sorri­dente, incedere da indivìduo che si fa largo nella vita) Gracias, amado pueblo! Gradasi Buon Natale a todos.... Addante, Gi­rolamo! Muy bien, bella Ninetta! Que linda! Salute, Stefano! Ca­valiere, servìdor de usted! (Vede Gigetto) E tu, muchacho, sentia­mo i muscoli! (Lo prende per le braccia e lo scuote).

Gigetto                          - Ohi! ohi! Mi rompe le braccia!

Girolamo                       - L'hai preso per un albero di noci!

Ninetta                          - Che energia!

Oneto                            - Tuo figlio è debolino. Muscoli, muscoli, giovanotto, para adelantar en la vida, per andare sempre avanti nella vi­ta... (si tocca la fronte) o aqui

                                      - (alza le braccia) o aqui! Se mi mosti-avo laggiù con le braccia dì tuo figlio ne prendevo più che un gatto rognoso!

Ninetta                          - (mentre Gigetto si ac­carezza le braccia indolenzite) E intanto le ha prese quel pove­ro agnelletto!

Oneto                            - Agnelletto! Caramba! Leones y toros han da essere, al­tro che-agnelli! (a Gigetto) Vamos, mettici sopra una fetta di panettone! (a Ninetta) Vorrei vedere che ne fareste voi, Ninet­ta lindita d'un agnello, invece d'un garanon, d'uno stallonetto...

Ninetta                          - (si tura le orecchie) Che linguaccia!

Zérega                           - Timorati di Dio han da essere i giovani!

Oneto                            - Bueno! Ma in gamba!

Stefano                         - Ha ragione... paro­la di fotoballista!

Oneto                            - Yo lo sabe, che siete un fotoballista I Ma che cosa mi han detto? Che fate la farinata alla parigina? Spero che sia uno scherzo! Progreso en lodo, pro­gresso in tutto, caballeros, ma non nella cucina! I piatti buoni lo sono diventati con almeno cento anni di storia e di espe­rienza, assaggiati, e provati al­meno dai bisnonni. Così hanno acquistato color y gusto... e così han da restare!

Zérega                           - Sante parole!

Girolamo                       - Vangelo!

Oneto                            - E vi dico di più: bisogna mangiarli dove son nati!

Zérega                           - Come? Laggiù nella fazenda non s'è mai fatto fare la torta Pasqualina?

Stefano                         - Né il pesto?

Girolamo                       - Né i ravioli?

Gigetto                          - Né il panettone?

Oneto                            - Sì... ma sapete che ef­fetto mi faceva? Patire il cuore!

Ninetta                          - Pensiamo!

Oneto                            - Claro! Proprio così! Una volta mi arrivò un panetto­ne! Me ne facevo una festa! E invece non ne mandai giù che pochi bocconi! Mi pareva d'in­ghiottire San Lorenzo... la Lan­terna... mi pativa il cuore a on­date! L'ho regalato ai negri per non vedermelo davanti! (Gira lo sguardo sui conattori) Voialtri non mi potete capire! Per voi andare a Voltri è andar lontano!

Gigetto                          - Io sono stato a Sa­vona!

Oneto                            - E bravo il pioniere! Caramba! Luisa, dico, non si be­ve? E un fetta dì panettone! Non c'è più l'uso alla vigilia di Natale?

Gigetto                          - Altro se c'è!

Oneto                            - He aqui d pronunciamiento del pueblo!

Luisa                             - (buona donna, scialba, che ha sofferto) Siamo pronte, siamo pronte! Cesira!

Cesira                            - (entrando col panetto­ne) Ecco il trionfo!

Luisa                             - Annetta, aiutami!

Annetta                         - (bella ragazza, un po' pallida) Subito! (Va in giro col vassoio: a Stefano) Vino o liquore?

Stefano                         - Dalle sue mani an­che il laccio al collo!

Cesira                            - (che sopraggiunge col panettone) Teneteci questo in bocca invece del cuore!

Stefano                         - L'uno e l'altro!

Girolamo                       - Alla tua salute, Alessandro. E speriamo che tu sia ritornato per sempre.

Luisa                             - Dio lo volesse!

Ninetta                          - Speriamo!

Stefano                         - Ce l'auguriamo!

Zérega                           - Ce l'auguriamo! (Be­ve) Prosit!

Oneto                            - Gracias, amigos! Ne avrei il diritto! Manco da venti­sei anni! Sono molti! Per sem­pre... no, ma se non sarà la vi­sita di Santa Elisabetta ci man­cherà poco! Voglio godermi Ge­nova... come se l'avessi lasciata ieri! Si dice che abituati in al­tri paesi, ci si trovi male nel proprio. Sarà, ma io quando dal piroscafo rividi Portofino e la Lanterna mi risentii subito quel­lo d'una volta. Forse non ho mai cessato di esserlo, per reazione. A Buenos Ayres è più facile a-dattarsi: ci sono tanti genovesi e il nostro dialetto è un po' lin­gua ufficiale. Anche i turchi lo parlano. Ma nell'interno, alla di­stanza di centinaia di miglia! Credete: fa un certo effetto la parola nostra che ci arriva all'o­recchio! Quando giunsi alla mia concessione dopo dodici ore di carretta dall'ultima tappa, ecco, mi viene incontro un vecchietto e mi domanda le baliggie. Era un barese. Mi si è allargato il cuore come se vedessi un fratello. Ah! voi non sapete che cosa voglia dire sentir sempre parlare un'al­tra lingua! Da diventar matti! In certi momenti... (Indica lo Zérega che mangia e beve). ..adesso salta il cavaliere... Sapete che cosa facevo per mantenermi in esercizio di genovese?

Ninetta                          - Cantavate una can­zone?

Oneto                            - Peorl Peggio!... Be­stemmiavo!

Zékega                          - (sobbalzando) Oibò, signor Oneto, oibò!

Oneto                            - Sin malicia! E quan­do si bestemmia senza malizia è quasi come se si pregasse!

Zérega                           - (si tura le orecchie) Che cosa mi tocca sentire!

Luisa                             - Ma, Alessandro...

Annetta                         - Ma, zio!

Ninetta                          - Avvertiteci quando le sparate grosse!

Oneto                            - Abbiate pazienza.... ma è così!

Stefano                         - E poi, cavaliere, chi lo dice non lo fa!

Girolamo                       - E dopo tutto qual­che sacr... libera la testa! (Zére­ga apre la tabacchiera) Come una presa! (vi tuffa le dita).

Oneto                            - Juramento inocente! (Offre un bicchierino allo Zérega) Cavaliere, ci beva sopra!

Zérega                           - Quando non si pecca con malizia, la Madre Chiesa in­dulge! (Beve).

Girolamo                       - (a Gigetto che conti­nua a ingozzarsi) Ma finiscila. ..vergogna! Sembri digiuno co­me Lazzaro!

Oneto                            - Gioventù! Ha da cre­scere! Indulgenza anche per lui! (Campanello interno) Cesira, guardate chi è!

Cesira                            - (esce dalla comune e torna precedendo Andrea) È il signor Andrea!

SCENA VIII.

Andrea e detti.

Andrea                          - (È un bel giovane, di­stinto, un po' triste) Buon Na­tale!

 Oneto                           - Adelante, senor! Gra­zie e buon Natale!

Zérega                           - (piano a Andrea) E la signora marchesa...?

Andrea                          - È andata alla messa! (Si avvicina a Litisa, a Ninetta, ad Annetta: saluta in giro, in­chini).

Girolamo                       - (nel cerchio di fred­do che il nuovo venuto ha por­tato con sé, timidamente) Si resta o si va a vedere la folla e...

Oneto                            - Volete sentire il fra­stuono? (Apre la finestra: en­tra il brusìo, il vocìo, lo strepito, di voci, canti, fischi, trombette e sirene) Non potete credere come mi mancava laggiù! (Si sporge, mentre gli altri protestano ripa­randosi dal freddo).

Luisa                             - Chiudi per carità, che si diventa sordi!

Ninetta                          - E si prende un ma­lanno!

Oneto                            - Quanta paura! Anni fa, bella Ninetta, c'eravate an­che voi là in mezzo! (La osserva: poi chiude: la osserva ancora) Ma... adesso che ci penso... non eravate bruna una volta.... More­na, caramba!

Ninetta                          - Che idee! Avete perduto la memoria! Che ore sono?

Girolamo                       - L'ora di andare! Gigetto, saluta!

Gigetto                          - Perché? C'è ancora del panettone!

Oneto                            - Bueno, hombre! E poi adesso che è giunto il nostro vi­cino bisogna fare un brindisi.

Stefano                         - Per me... ci sto sempre!

Oneto                            - Vamos! Cesira, An­netta da brave!

Zérega                           - (piano ad Andrea) Lo sa la mamma che siete qui?

Andrea                          - (seccato) È stata la mamma a insegnarmi l'educazio­ne (Annetta gli offre il vassoio) Grazie, signorina!

Zérega                           - Bene, bene, ma io non voglio storie! (Cava l'orologio) Come è tardi!

Oneto                            - Vamos, caballero! Minuto più minuto meno...

Zérega                           - Sono dolente... mi piange il cuore... ma devo an­dare...

Ninetta                          - Aspetti un momen­to! Verremo anche noi!

Zérega                           - Proprio non posso! (Campanello interno: fra sé) Lo dicevo!

Oneto                            - Altri amici! Adesso bisogna fermarsi! Cesira!

Cesira                            - (esce dalla comune e rientra affannata) È la signora Marchesa!

SCENA IX.

La Marchesa, Maddalena e detti.

Andrea                          - (nel gelo che si spande intorno, che l'Oneto sente e non si spiega, piano ad Annetta) Niente paura, Annetta!

Oneto                            - (avviandosi verso la comune) Quale onore, signora Marchesa! Luisa, ti prego, pre­sentami!

Luisa                             - (alla marchesa che s'in­quadra nella comune) Mio fra­tello Alessandro.

La Marchesa                 - (È una dama di bella presenza, che a malgrado i capelli bianchi e il velo nero, l'a­bito modesto e l'apparente ristret­tezza della vita meschina, lascia vedere i resti d'una formosità e d'una dignità che la distaccano dall'ambiente) Buon Natale! Fortunata di conoscerla, signor Oneto! Buon Natale a lei, signo­ra Luisa e a tutti! (Tono glacia­le: tutti s'inchinano, e scorge al­lora lo Zérega che si celava die­tro Ninetta) Ah! c'è anche il ca­valiere! (Pausa più gelida ancora) Nel risalire in casa con Maddale­na, dopo le messe a San Loren­zo, ho sentito che si stava alle­gri. Ho pensato che dovevo au­gurare il buon Natale alla signo­ra Luisa, e che, non avendo ve­duto in chiesa Andrea, l'avrei trovato qui. Non mi sono sba­gliata!

Oneto                            - (ignaro) È giunto po­co fa!

Andrea                          - Non ti ho trovata in casa, mamma, e sono disceso...

La Marchesa                 - Fortunata com­binazione! (Annetta peritosa le porge il vassoio) Grazie, signori­na, non posso davvero... in que­sto momento!

Oneto                            - Neanche un dito di li­quore da dame?

La Marchesa                 - Neanche... gra­zie! Ho la comunione alle sette. (Pausa gelida) E anzi, domando permesso... Andrea, se vuoi ac­compagnarmi, saluta e ringrazia!

Andrea                          - (viso basso, a mezza voce) Eccomi, mamma! Buon Natale!

La Marchesa                 - Buon Natale a tutti!

Oneto                            - (stupito ed inquieto) Buon Natale, signora Marchesa! (Ferma col gesto Luisa che s'av­viava alla comune) L'accompagno io!

La Marchesa                 - (saluta dignito­sa: esce con Andrea e l'Oneto).

SCENA X.

Detti meno la Marchesa e Andrea, poi Alessandro Oneto che torna.

Annetta                         - (Soffoca a mala pena un singhiozzo).

Luisa                             - (piano) Per carità, non farti accorgere!

Oneto                            - (rientra, se ne accorge ma finge d'esser quello di prima) Caramba! Riscaldiamoci! È pas­sato il polo!

Girolamo                       - (nel generale malesse­re). Ora poi me ne andrò anch'io! È tardi!

Ninetta                          - Tardi! Tardi!

Stefano                         - Tardissimo!

Zérega                           - Troppo tardi!

Girolamo                       - Saluta Gigetto! Buon Natale!

Oneto                            - (non fa un gesto per trattenerli, e anzi li precede alla comune. Convenevoli, auguri, che si affievoliscono, silenzio. Ritorna, vede Cesira che sbarazza la tavo­la) Lasciate pure! Ci sarà tempo domattina!

Cesira                            - Già... domani con tut­to il da fare che avrò...

Oneto                            - (secco) Obbedite e an­date a letto!

Cesira                            - (obbedisce, mormora) Buon Natale! (Esce da sinistra).

SCENA XI.

Oneto, Luisa, Annetta.

Oneto                            - Beh! adesso a nosotros! Spiegatemi che cosa c'è!

Annetta                         - (cade a sedere in uno scoppio di pianto).

Luisa                             - (additandola) Non vedi che succede? Piange.

Oneto                            - Non sono cieco. E per­ché piange la... senorita?

Annetta                         - Oh! zio!

Oneto                            - Zio! Zio! Fuori il mi­stero, donne! (con la voce muta­ta). Suvvia, Luisa, suvvia, An­netta, mi pare che potreste avere confidenza in me! Che cosa c'è? di grave niente, spero...

Luisa                             - Non sarebbe meglio parlarne domani?

Oneto                            - Già... per farmi lavo­rare col cervello tutta la notte! Mujeres! Dannacion! (si calma all'improvviso) Scusatemi! Non ho che voialtre! E l'Annetta non è quasi mia figlia? Adesso... spe­cialmente...

Annetta                         - (lo abbraccia fra i singhiozzi) Caro, caro zio...

Oneto                            - Ora sì! Muy bien dun­que niente paura, e ditemi tutto!

Luisa                             - E’ poca cosa... la soli­ta... Quel giovanotto veniva qual­che volta.

Oneto                            - Quale giovanotto? L'Embriaco?

Luisa                             - Appunto. E l'Annetta gli si è affezionata!

Oneto                            - Tutto qui?

Luisa                             - Tutto qui.

Oneto                            - (alza il viso lagrimoso di Annetta) E gli vuoi bene?

Annetta                         - Tanto, zio!

Oneto                            - E lui? Te quiere?

Annetta                         - Mi vuol tanto bene!

Oneto                            - E allora? Che c'è da piangere?

Luisa                             - Per questo c'è proprio da piangere! Si vogliono bene! E non ho creduto che fosse un de­litto, ma....

Oneto                            - Che cosa fa? Quanto guadagna? Così, a occhio e croce non mi pare de buenas rentas...,

Luisa                             - Ha un impiego al Mon­te di Pietà. Guadagna poco... Ci vivono... La marchesa ha perduto il patrimonio e la dote per via del marito, un poco di buono. Vive per suo figlio! Chi sa che pretende.... Quando s'è accorta che i due si volevano bene... s'è fatta di ghiaccio. L'avrai notato!

Oneto                            - Come tutti! Altro che gelo! (A Annetta che singhiozza piano) Vamos! Finiscila! Non è poi cascato il mondo! Capisco! E’ una mamma, e nobile! Col suo ti­tolo di marchesa pretende come dici tu, Luisa, chi sa chi! Ma ora c'è lo zio d'America. E gli zii d'America sono stati inventati per maritare le nipoti ai nobili spian­tati!

Annetta                         - Zio, no, ho paura che neanche tu riuscirai. Lo vuol dare a un'altra... una parente ricca...

Luisa                             - E gobba... con dieci anni più di lui! Forse con la pa­rola s'è già compromessa...

Oneto                            - Ma lui? Che ne dice lui?

Annetta                         - Lui vuole bene a me... ne sono sicura... Ma la mamma è sempre la mamma. So­no soli, loro due... le è molto at­taccato.. .

Oneto                            - È dunque così terribile questa marchesa?

Luisa                             - Tutt'altro! È una buo­na donna... con noi almeno è sempre stata amica... fino a quando s'è accorta... Prima era sem­pre qui da noi... più che noi su da lei...

Oneto                            - (alza gli occhi al soffitto con una smorfia).

Luisa                             - . ..Tutte le volte che scendeva o saliva si fermava. Trattava Annetta come una fi­gliola...

Oneto                            - Bueno. Le cose non mi sembrano tanto gravi... vedrò io... lasciate che veda io! Però, inten­diamoci... Stiamo sulla nostra. Voglio anche farmi un'idea di quel giovanotto...

Annetta                         - Ti assicuro, zio, che è tanto buono...

Oneto                            - Muy Bien! Ma voglio giudicarlo io, con i miei occhi. E adesso... a dormire! E coraggio. É Natale! Non mi avete ancora detto che regali preferite...

Luisa                             - Un po' di pace...

Oneto                            - Verrà anche quella. Avete fiducia, in me?

Annetta                         - Sì, zio, tanta, tutta!

Oneto                            - E allora       - (la bacia). Buon Natale! (bacia anche la so­rella) Buon Natale, Luisa! (E le accompagna a sinistra: escono).

SCENA XII.

Alessandro solo, poi Cesira.

Oneto                            - (mani in tasca passeggia canticchiando) Una mujer fuè la causa de mi perdision primera... (si ferma davanti alla finestra, la apre, entra il gaio frastuono festo­so) Genova mia, questa bella sor­presa non me la meritavo!... E poi ritornate al vostro paese... do­po aver lavorato da negri... per godere la pace! E la famiglia! Beh! adesso non montiamoci la testa! Calma! Senza calma non si è mai fatto nulla di buono! (Alza gli occhi al soffitto) Che sarà mai questa marchesa? E il giovanot­to? (Sorride a un'idea) Annetta marchesa! È un destino che si debba lavorare, noi, per rimette­re a nuovo degli stemmi... Però quel giovanotto non mi dispiace...

Cesira                            - (entra, vede la finestra aperta, alza le braccia, crolla il capo e sparecchia con delle smor­fie espressive).

Oneto                            - (senza accorgersi di lei continua) Vorrei un po' vederlo a cavallo por diez horas! (sternuto).

Cesira                            - Farebbe meglio a chiu­dere! Ha i calori?

Oneto                            - Eccola qui lei!

Cesira                            - Ha il pelo bianco... ma giudizio!... (Chiude la finestra).

Oneto                            - Lo sapete, Cesira, che laggiù il Natale viene d'estate?

Cesira                            - Il Natale d'agosto? Co­se dell'altro mondo...

Oneto                            - Laggiù il dicembre è agosto. E lo sapete chi ne ha la colpa...?

Cesira                            - Qualche buona lana!

Oneto                            - Un genovese! Colom­bo! E allora... se Colombo ha avuto i calori... lasciateli anche a me! (Riapre: rientra il gaio frastuono festoso: Cesira scappa tossendo) Eh! si! Ho i calori co­me se fossi vicino all'innamorata. E l'innamorata mia sei tu, Geno­va cara... (s'appoggia e si sporge come se respirasse finalmente dav­vero).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Salotto in casa della marchesa Embriaco. Rimasugli d'un antico splendore, smentito dai particola­ri meschini, la tappezzeria dì car­ta dozzinale, il tappeto logoro, le porte umili. Sulle pareti alcune croste, ritratti d' antenati, che nessuno ha voluto. Una tavola, con tappeto di damasco consun­to, regge un servizio da liquori filettato d'oro, oltre centenario. Poltrone, sedie, sgabelli che mo­strano la trama. Il lume ha una sola lampadina. Unico testimo­ne dello splendore che fu, una specie di armadio senza battenti né vetri, che mostra qualche cian­frusaglia, ventaglio di giallo avo­rio, tazze di Cina, tabacchiera di lacca e d'argento, statuette di porcellana, e, molto in vista, una placca dorata, decorazione di ve­glione, coi nastri stinti. Sulla ta­vola c'è un ritratto in cornice ne­ra. È il tocco. Ma c'è buio: l'uni­ca finestra in fondo deve porgere verso lo stretto cortile. È accesa l'unica lampadina. Porta a destra d'entrata, porta a sinistra verso l'interno.

SCENA I.

Maddalena e il Cav. Zérega

Maddalena                    - (vecchia serva, bi­sbetica e affezionata alla casa, esce da sinistra e va a destra: rientra precedendo lo Zérega, con evidenti segni di malumore).

Zérega                           - Dite alla signora Vio­letta...

Maddalena                    - Potrebbe chiamar­la marchesa. Ha perduto i soldi, ma il titolo resta...

Zérega                           - Dite alla marchesa...

Maddalena                    - (calcando) Signora marchesa! Sono stati a scuola in­sieme?

Zérega                           - Ehi! Maddalena, me­no osservazioni e abbassate il tono...

Maddalena                    - Quando si tratta dell'onore di casa non ho paura, io! Mio padre è stato con Gari­baldi, e a me l'odore di sacre­stia...

Zérega                           - Basta! Non sono qui per discutere con la serva!

Maddalena                    - Non è anche lei un servo... di Dio?

Zérega                           - Maddalena! Mi scap­pa la pazienza

Maddalena                    - La tenga, per ca­rità, la tenga!

Zérega                           - Volete andare sì o no?

Maddalena                    - Vado, vado! Ha i bollenti spiriti?

Zérega                           - Auff! (Apre la tabac­chiera).

Maddalena                    - Prenda forza, prenda forza...

SCENA II.

Andrea e detti.

Andrea                          - (da sinistra) Madda­lena, la mamma vi cerca! (Saluto asciutto allo Zérega). Buon gior­no!

Zérega                           - (premuroso ma conte­gnoso) Buon giorno, Andrea!

Maddalena                    - (nel passare, piano a Andrea) Non si lasci mettere nel sacco! Ha la gobba in tasca!

Andrea                          - (secco) Andate dalla mamma!

Maddalena                    - (dopo un'occhiatac­cia espressiva allo Zérega esce da sinistra).

SCENA III.

Andrea e il Cav. Zéreca.

Andrea                          - La mamma verrà su­bito. S'accomodi. Mi dispiace di non poterle tenere compagnia, ma ho l'ufficio...

Zérega                           - Lodo... lodo lo zelo! Però l'orario è alle due.

Andrea                          - (asciutto) Preferisco giunger prima che dopo.

Zérega                           - Lodo... lodo...

Andrea                          - Se permette... (fa per uscire).

Zérega                           - Mi dispiace, Andrea," che ce l'abbiate con me...

Andrea                          - Io? Le pare!

Zérega                           - Magari sbagliassi! Gio­ventù, benedetta gioventù, si fa tutto per il tuo bene...

Andrea                          - (fra sé) Carità pelosa!

Zérega                           - Che dite?

Andrea                          - Niente: guardavo l'ora...

Zérega                           - C'è tempo...

Andrea                          - Non mi pare. Per­mette? Servitor suo! (esce da de­stra).

SCENA IV.

Il Cav. Zérega, poi la Marchesa.

Zérega                           - Va'là, va là, che fa­remo il tuo bene anche se non lo vorrai!

La Marchesa                 - (entrando) Buon giorno, cavaliere!

Zérega                           - Signora Marchesa! La vedo florida... godo... godo...

Marchesa                       - Sì, non c'è male. Andrebbe meglio se fossi tran­quilla...

Zérega                           - Lo sarà, lo sarà, ab­bia pazienza...

Marchesa                       - Pazienza? Non ho avuto altro in vita mia. Tran­quilla però non lo sono affatto!

Zérega                           - Perché? C'è qualche cosa di nuovo?

Marchesa                       - Niente di nuovo... purtroppo!.... Il solito! Andrea, quando può, con un pretesto qualsiasi, è sempre ficcato da quei di sotto... non la vuol ca­pire...

Zérega                           - Certo... la cosa va un po' per le lunghe! E quella cara anima della marchesina Barboretta si tribola... É penoso, mi ca­pisce?

Marchesa                       - (con un sospiro) Se capisco! Ma come si fa? Pren­derlo con le cattive?

Zérega                           - Mai. Con l'aceto non si piglian mosche.

Marchesa                       - E poi non me la sentirei. Povero Andrea! È così buono: ufficio e casa. Non spen­de un soldo che è un soldo! Già ci vuol tutta a tirare innanzi, ma la gioventù è spesso sorda, vuol divertirsi! Lui no. È una vera benedizione di Dio! Se non ci fos­se quella fraschetta...

Zérega                           - E adesso poi quel ca­pitan Fracassa di zio... il fazendero...

Marchesa                       - Dicono che sia ricco...

Zérega                           - Ricco... ricco... Mah! denari e santità...

La Marchesa                 - Vorrei che lo fosse il doppio! Almeno cerche­rebbe per sua nipote un altro par­tito. Quella gente non vede che il denaro I

Zérega                           - Ma alla ragazza fa gola il titolo! Marchesa! Scom­metto che ne sogna!

La Marchesa                 - Il marchese Embriaco non si vende. Povero ma con dignità.

Zérega                           - Sante parole! Lodo... lodo... Il marchese Embriaco de­ve sposare una sua pari. Meglio se questa pari in fatto di beni valga il fazendero...

La Marchesa                 - Quando la fa­miglia salva la famiglia non si intacca la dignità.

Zérega                           - Sante parole... oro di zecca... lodo... godo... godo... (Piano, con circospezione) La marchesina ambirebbe farle visi­ta un po' più di sovente... quan­do c'è anche Andrea...

La Marchesa                 - Capisco... ca­pisco...

Zérega                           - È sola... avrebbe an­che un po' — come dire? — un po' di premura. Eh! ragazze! Quando sentono parlare di mari­to! E Andrea le piace. Sentisse come ne parla! E di lei! Che ve­nerazione! Una figlia, una vera figlia! Formerebbero una famiglia esemplare!

La Marchesa                 - Volesse il Si­gnore! Qualche volta mi doman­do se è davvero il bene di Andrea che voglio... (gesto di Zérega) Ma quando penso al male che fa l'a­more nel matrimonio... se giu­dico da me... penso che è meglio un affetto sano, tranquillo, si­curo.. .

Zérega                           - Benedetto dal Signo­re!... Anche Sua Eminenza l'Arcivescovo lo vede bene.

La Marchesa                 - Davvero?

Zérega                           - E come! La marche­sina Barboretta è benvoluta in Curia. È presidentessa... (ripete marcando) presidentessa delle taglie di Maria. Appena sposata lo sarà delle darne del Sacro Cuore. Tutte nobili! Don Repetto, il se­gretario, me lo ha confidato. Una posizione... morale... di prim'ordine.

La Marchesa                 - Fosse domani!

Zérega                           - Lo sarà... lo sarà! Confidiamo nel Signore! (Confi­denziale) Ma bisogna metterli a contatto più spesso! Da lontano non si fa niente! La punta di Portofino non ha mai sposato il Capo di Noli.

La Marchesa                 - Ha ragione!

Zérega                           - Se la invitasse qui... anche tutti i giorni...

La Marchesa                 - Quando verrà?

Zérega                           - Verrà ad augurarle il buon anno! Dovrebbe tenerla a pranzo. A tavola... una parola ti­ra l'altra... si acquista confidenza.

La Marchesa                 - Benissimo. Glie lo dica lei.

Zérega                           - Ci corro! Per quando?

La Marchesa                 - L'ultimo dell'anno?

Zérega                           - Perfetto. Auguri.... brindisi... Scommetto che man­derà un dolce... e di quel suo vi­no da dir messa il Papa.

La Marchesa                 - Spero che non glielo suggerirà lei?

Zérega                           - Le pare! Ci penserà da sé. Ha un cuore! E Andrea le piace! E che venerazione per lei! (piano) Se... capitasse il di­scorso... così per caso... di quel canonicato degli Embriaco... va­cante... ci sono tanti pretenden­ti... ma credo che mio fratello... don Antonio....

La Marchesa                 - Mi favorirà a pranzo con la Barboretta... e se dipende dalla cugina...

Zérega                           - Grazie... grazie del pensiero. Dipende... sì dipende. La famiglia che fa la rendita al canonicato ha diritto di scelta... in una terna.... Grazie... godo... godo... Vado a informarla...

La Marchesa                 - Un bicchierino di rosolio?

Zérega                           - Eh! Come si fa a dire di no?

La Marchesa                 - Maddalena!

SCENA V.

Maddalena e detti.

Maddalena                    - Comanda?

La Marchesa                 - Mettete qui            - (in­dica la tavola) il rosolio.

Maddalena                    - Per... (indica lo Zérega).

La Marchesa                 - Obbedite!

Maddalena                    - (di mala voglia di­spone sulla tavola il servizio di cristallo filettato d'oro) Bocca da rosolio!

La Marchesa                 - (versa) Favo­risca, cavaliere.

Zérega                           - (quando il bicchierino è colmo) Poco, mi raccomando! Fra i pasti... non ne ho l'abitu­dine (beve centellinando).

Maddalena                    - (fra sé) Che ti possa diventar fiele!

La Marchesa                 - Maddalena!

Zérega                           - Ha detto prosit. Gra­zie, Maddalena! (alla Marchesa) Vado... vado... (con aria di mi­stero per Maddalena).siamo perfettamente d'accordo... e gra­zie... e lasci fare a me... godo... , godo... Non vi disturbate Mad­dalena! (s'inchina ed esce dalla destra).

SCENA VI.

La Marchesa e Maddalena

La Marchesa                 - Maddalena, ve l'ho detto cento volte... non mi piace il vostro contegno col ca­valiere! È un amico... che pensa per noi...

Maddalena                    - (fra sé) Per noi... neanche l'osso...

La Marchesa                 - E silenzio! Fate bene attenzione quando verrà mia cugina...

Maddalena                    - Chi? La gobba?.

La Marchesa                 - Maddalena, di­co! Mia cugina la marchesina Barboretta verrà qui a pranzo l'ultimo dell'anno...

Maddalena                    - Col cavaliere?

La Marchesa                 - Col cavaliere. E cucitevi la bocca! Faremo que­sta sera i conti... per il pranzo. Siamo intesi? (esce da sinistra).

SCENA VII.

Maddalena poi l’Oneto.

Maddalena                    - Tappatevi la boc­ca! Ma grida vendetta... come nel Rigoletto... una gobba al nostro Andrea! Vendetta! E quel coso nero che si mette di mezzo! Ave­va ragione Garibaldi... (Campa­nello interno) E adesso chi c'è? L'uomo nero? (Esce da destra e rientra precedendo l’Oneto) Favorisca, favorisca, signor Oneto!

Oneto                            - È in casa la signora Marchesa?

Maddalena                    - C'è... s'immagini... c'è! Vado subito ad avvertirla!

Oneto                            - Un momento! Venite qua (Le dà un biglietto di banca).

Maddalena                    - Oh! signor Oneto! Perché vuol disturbarsi... è trop­po... è troppo...

Oneto                            - Nada mas. Regalo di Natale!

Maddalena_________ - Grazie! Sta bene la signora Luisa e l'Annetta?

Oneto                            - D'incanto! Avvertite la signora Marchesa!

Maddalena                    - Subito! Subito! (Si avvia: fra sé) Questi sono signo­ri! (Esce da sinistra).

SCENA VIII.

Oneto, poi la Marchesa.

Oneto                            - (si guarda intorno, giu­dica i mobili) Saranno antichi, ma starebbero meglio in una ve­trina di museo: qui hanno un'a­ria di stenti... Le tirano verdi gli Embriaco... i marchesi Embria­co! (Alza gli occhi ai quadri degli antenati) Eccoli là i nobili Em­briaco... tutte facce arrabbiate... Tutti- dì malumore... Sarà come costoro la Marchesa? Probabil­mente. Una schifiltosa, che si de­gna di respirar come noi, muffa aristocratica, tasca vuota, e sec­ca e chiusa come un'ostrica mor­ta. Sta attento, Alessandro, che le donne di questa specie, dame o pedine, sono tutte le stesse, todas enemigas de los hombresì Che aria di lesina! In questo servizio da rosolio ci dovevano bere quei di lassù, gli antenati... (Osserva lo scaffale, volgendo così le spalle a sinistra) Ecco le cose rare... le memorie di famiglia...

La Marchesa                 - (appare sulla por­ta di sinistra: piano) Che fa? che cerca?

Oneto                            - (coglie ed esamina la de­corazione da veglione) E questa che cos'è? Pare una decorazione da veglione... latta garantita... gloria di antenati anche questa?

La Marchesa                 - (tossicchia leg­germente per avvisare che è pre­sente).

Oneto                            - (ripone l'oggetto, si vol­ta, saluta) Buon giorno!

La Marchesa                 - (cortese ma asciutta) Buon giorno! (Fra sé) Visto di giorno è un bell'uomo!

Oneto                            - (Fra sé) Adesso che è senza anticaglie addosso... Si ve. de che deve essere stata una bel­la donna           (S'inchina: poi, forte) Non vorrei disturbare...

La Marchesa                 - Sono molto oc­cupata... Però... minuto più, mi­nuto meno... S'accomodi! (E re­sta in piedi).

Oneto                            - (Fra sé) L'hanno suc­chiata col latte l'arte di mettere a posto la gente! (Forte) Soy un fazendero... ma fin lì ci arrivo! (Indica la sedia dietro la marche­sa) Vuol farmi crescere ancora... o vuol che parli in piedi... come a scuola?

La Marchesa                 - (a suo malgrado sorride, poi si riprende: siede: fredda). Dica pure!

Oneto                            - (sedendo, fra sé) Con­gela! (Forte) Dica pure... è una bella frase... Beh! Se è molto oc­cupata, prendiamo addirittura il toro per le corna.

La Marchesa                 - Il toro... sa­rei io?

Oneto                            - Scusi... non badi... le ripeto che soy un fazendero e lag­giù si fanno pochi discorsi e al pane si dice pane...

La Marchesa                 - Non credo che qui lo si chiami carne...

Oneto                            - (fra sé) A posto! Ca-ramba! Mi mette a posto! Bueno! (Forte) Volevo dire che se per­mette... mi vuoto subito le ta­sche...

La Marchesa                 - Se le fa pia­cere... vuoti pure...

Oneto                            - (Fra sé) Non perde un' occasione! (Forte) E allora vuotiamo. Sono qui per mia ni­pote e per suo figlio.

La Marchesa                 - (s'alza di scatto: anche Oneto s'alza) Mio figlio ha forse mancato di rispetto a sua nipote?

Oneto                            - No faltarìa mas... non ci mancherebbe altro...! Ma non sarebbe meglio sedere? (Siedono: lui dopo di lei). No. La verità prima di tutto. Suo figlio è un galantuomo.

La Marchesa                 - Fa sempre pia­cere dì sentirlo dire.

Oneto                            - Galantuomo... riserva­to... ma ci sono tanti modi per entrare nel cuore d'una ragaz­za... occhiate, sospiri, strette di mano un po' lunghe, mazzolini di violette... Non sono nato ieri. Corretto... per questo... suo fi­glio è corretto... Le premetto che non è il mio ideale... un po' mol­le... un po' pasta frolla... se la tocchi si sbriciola... ma galan­tuomo....

La Marchesa                 - (secca) Grazie!

 

Oneto                            - Non è il mio ideale, ripeto, Ma, in fondo, me gusta, mi piace...

La Marchesa                 - (più secca) Grazie!

Oneto                            - Credo che se ne po­trebbe far qualche cosa di serio... scrollandolo bene...

La Marchesa                 - Scusi, se l'in­terrompo. L'opinione che Lei ha di mio figlio: mi lusinga. Ma non credo che sia venuto per comu­nicarmela.

Oneto                            - Vuol sapere perché sono qui? Obbedisco - (Pausa: cer­ca le parole che evidentemente non trova: adeguati gesti espres­sivi) Come la mettiamo?

La Marchesa                 - (gelida) Che cosa?

Oneto                            - Come: che cosa? Non vorrà pretendere che non s'è mai accorta di nulla! Vamos! Mi si vuol dire che non abbia rispar­miato prediche a suo figlio?

La Marchesa                 - Credo che non discuterà questo mio diritto!

Oneto                            - Dio me ne guardi! Ma in tutta franchezza mi domando e le domando: perché? I figlioli si vogliono bene. E mia nipote, oggi, non è un partito disprezza­bile. Es mi unica eredera.... Suo figlio, sì, non suda pezos. Ma non m'importa: si vogliono bene e...

La Marchesa                 - Scusi se l'in­terrompo. Che si vogliano o che non si vogliano bene poco m'in­teressa. Ho le mie intenzioni su mio figlio e non le muto. Fra sua nipote e Andrea, lo dice lei e ne prendo atto volentieri, non c'è nulla di grave. La ragazza è bel­la, buona, le voglio anche bene. È un partito eccellente, adesso che lei è tornato. Ma permetta che sia giudice delle cose mie! Non bado al danaro, io. Mio fi­glio, anche povero, è il marchese Embriaco, l'ultimo degli Embria­co... e si deve, a parer mio, ac­casar con una sua pari, anche povera come lui...

Oneto                            - (quasi fra sé, ma chia­ro) Però la gobbetta è ricca...

La Marchesa                 - (scatta: secca­mente) In casa mia non per­metto che si parli così...

Oneto                            - (s'alza) Me disculpe! Scusi... non ho voluto offende­re... Ma, sieda, la prego... (sie­dono entrambi).

La Marchesa                 - Non sarebbe meglio che troncassimo questo di­scorso? Anche se durasse fino a domani dovrei ripeterle che mio figlio non può sposare sua nipote.

Oneto                            - Ed io fino a domani chiederei: perché? E vorrei an­che sentire il parere di suo figlio... tanto più che il suo contegno...

La Marchesa                 - Potrei rispon­derle che non ha conti da rendere a chi non ha il diritto di doman­dargliene... e lei non l'ha. Non glielo danno i sorrisi, i sospiri e le violette! Se lei avesse dovuto sposar tutte quelle a cui ha stretto la mano un po' a lungo! Eppure, ch'io mi sappia, di mo­glie non ha nemmeno l'ombra.

Oneto                            - Un momento. Non si tratta di questo. Qui ci sono una muchacha y un mozo che hanno messo il loro cuore in uno stesso nodo di fazzoletto. E sospirano e si guardano col bianco degli oc­chi. A far così ci si consuma peg­gio che a tirar la carretta. Mia nipote è trasparente... suo figlio allunga il collo... Per fortuna ar­rivo io. Chiedo a lei: tu lo queres? Sì. Lui te quere? Sì. E al­lora... quantunque potessi pre­tendere qualche cosa di più... Scusi...

La Marchesa                 - Ma se ha ra­gione! Da vendere! Sua nipote può pretendere assai di più di mio figlio. D'accordo... Vede come an­diamo d'accordo?

Oneto                            - Nada! Nada! Un cor­no! Si vogliono bene!

La Marchesa                 - Rosolia da ra­gazzi... passerà...

Oneto                            - Lo dice lei! La Marchesa. Ma sicuro... lo dico io... Le donne, signor One­to, sono destinate a soffrire più degli uomini e per questo vedono meglio e più lontano.

Oneto                            - Lontano... dove? Che discorsi sono questi?

La Marchesa                 - Permette? Quan­ti anni sono che lei è partito per l'America?

Oneto                            - Che c'entra? Ventisei anni.

La Marchesa                 - E allora deve aver conosciuto il marchese Embriaco, mio marito!

Oneto                            - Di nome... Era uno che si divertiva...

La Marchesa                 - Eh! già... si divertiva! C'è della gente che vi­ve soltanto per divertirsi, con la scusa che è ricca... purtroppo...

Oneto                            - Chi non ha tiene la mano stretta, chi ha l'allarga... specie se non li ha guadagnati...

La Marchesa                 - E i figli dei pa­dri che si sono divertiti, che han­no avuto le mani bucate, ed han­no speso senza produrre... sten­tano la vita... Ai padri che han­no fatto uso dei loro diritti sol­tanto, succedono figli che hanno soltanto dei doveri. Primo di tut­ti il nome che portano. E questo nome...

Oneto                            - E chi glielo tocca il nome? Non lo perde mica suo figlio si esposa la mia Sabrina o la gibosa! (Sì chiude la bocca con la mano).

La Marchesa                 - (finge di non aver capito) Oltre il nome c'è la fa­miglia, il dovere verso la fami­glia. Ma è inutile discutere...

Oneto                            - Scusi... è giusto di­scutere. La mia causa è santa!

La Marchesa                 - E la mia?

Oneto                            - Meno! Caramba! Io difendo la causa di due qui se quieren... che si vogliono bene, che divisi soffrirebbero, non quel­la della convenienza.

La Marchesa                 - Il matrimonio non è un fuoco di paglia! Per il bel costrutto che ne ho cavato io,., io che mi sono sposata per amore! No, no... il matrimonio è ben altro... è un contratto in cui entrano tante cose importanti da salvaguardare! Rende ciechi l'a­more e bisogna invece tener ben aperti gli occhi! Se non mi fossi sposata per amore, mio marito non mi avrebbe ridotta in que­sto stato... Si guardi intorno... una marchesa Embriaco! (Lunga pausa).

Oneto                            - (gira lo sguardo dai qua­dri ai mobili) Eh! vedo! (Per togliere l'impressione penosa, qua­si ridendo) Vedo anche una de­corazione da veglione...

La Marchesa                 - (si irrigidisce) È la mia salvaguardia. La tengo preziosa come le Ceneri che si danno il primo giorno di quare­sima. E lì per fermarmi se caso mai mi dovessi lasciar intenerire quando mi si viene a parlar d'amore nel matrimonio.

Oneto                            - (s'alza). Quella cosa là?

La Marchesa                 - Quella cosa là. Mi mette una corazza sul cuore.

Oneto                            - (s'avvicina curioso al mobile) Corazza di latta...

La Marchesa                 - A prova di bomba.

Oneto                            - (osserva l'oggetto). Può tanto? (Lo prende e lo esamina) O guarda! Carnevale del 1904: veglione del martedì grasso al Carlo Eelice! Ma c'ero anch'io!

La Marchesa                 - Non si trovava in America?

Oneto                            - Partii nel giugno di quell'anno! (Non distacca lo sguar­do dall'oggetto). Curioso! Se sa­pesse che ricordi mi suscita qui dentro questa data! Il veglione del martedì grasso del 1904! (Ha la voce mutata) Ho i capelli bianchi e pure mi sento rimesco­lare!

La Marchesa                 - Ricordi di gio­ventù.

Oneto                            - E che gioventù! Ardi­ta come quella del gaucho Martin Fierro! Un cuore così! E a quel veglione l'ho messo a prova il mio cuore, a prova di bomba co­me dice lei.

La Marchesa                 - (che s'appiglia al diversivo) Oh! oh! Non ho mai sentito dire che al veglione fosse in pericolo il cuore!

Oneto                            - Eppure! Già i veglioni d'una volta, quando non si balla­va tutto l'anno come adesso, era­no tutt'altra cosa! Usted no puede imagìnar! Le signore ci davano una capatina e se ne andavano alla cena, senza potersi fare una idea di quel che fosse un veglione, nelle ore piccine!

La Marchesa                 - Ne ho un'idea... ci fui per caso una volta...

Oneto                            - (mostrando la decora­zione) In questo?

La Marchesa                 - Proprio in codesto.

Oneto                            - Ma non nelle... ore piccine! (Pausa: volge e rivolge l'oggetto che ha frale mani, guar­da la Marchesa che non lo fissa, trasale, s'appoggia alla parete ri­petendo con la voce mutata) Ma non... nelle... ore... piccine...

La Marchesa                 - (alza il viso: per cortesia comune) Che ha?

Oneto                            - Nada! Non badi! (Esa­gera di disinvoltura: rimette l'og­getto al suo posto, ritorna, siede, senza cessar di osservar di sottec­chi la marchesa che non se ne, ac­corge) Nada! O meglio...! Con­fessiamolo! È l'impressione della bastonata presa da lei...

La Marchesa                 - Da me?

Oneto                            - Da lei. E che legnata! Vengo a difendere la causa di due qui se quieren, e lei mi dimostra che un uomo serio deve sposare una gibosa!

La Marchesa                 - Ancora!

Oneto                            - Perdoni.... È il meno che possa far»- per chi se ne va... più giboso ancora per quante ne ha prese...

La Marchesa                 - Come sarebbe a dire?

Oneto                            - Mi convinco. Per mia nipote cercherò un altro partito.

La Marchesa                 - Ecco delle pa­role sensate! Un partito assai mi­gliore di mio figlio!

Oneto                            - Non esageriamo. Io me ne accontentavo, come mia nipo­te. Ma quando non si vuole non si può. È contenta? Penserà an­cora che sono un brigante di faxendero?

La Marchesa                 - Che dice mai! Non mi sarei permessa...

Oneto                            - (fra sé) Mujeres! (For­te) Bueno! Mi permetterà allora de restarghe amigo!

La Marchesa                 - Con tutto il piacere!

Oneto                            - Gradasi (L'intonazio­ne è strana) Minore del mio!

La Marchesa                 - (s'alza, va alla tavola) . Un po' di rosolio?

Oneto                            - Volentieri (Accetta il bicchierino) Ma... ho da ber solo, adesso che siamo amici? (Indica il servizio) Posso versare io?

La Marchesa                 - Lei mi porta in perdizione....

Oneto                            - (Alza gli occhi, cerca dello sguardo la decorazione nel mobile) Eh! Eh! (S'accorge che l'altra l'osserva ed allora guarda i vecchi ritratti) Sono... antenati?

La Marchesa                 - Sì... di mio marito!

Oneto                            - (vuol mostrarsi disin­volto) Curioso! Lei conosce i suoi, ed io ignoro i miei, eppure ne abbiamo avuto altrettanti...! La differenza tra noi è tutta qui... (Non riceve risposta e si china sul ritratto) Suo figlio?

La Marchesa                 - Sì... bimbo...

Oneto                            - (osserva i quadri). Aria di famiglia! Serio! Buon sangue! (Posa il ritratto) Posso fermarmi ancora un pò?

La Marchesa                 - Con piacere adesso che ragiona!

Oneto                            - È sempre una donna che fa ragionare un nomo!

La Marchesa                 - Lei però non. fu mai ammogliato... e quindi...

Oneto                            - Non ho mai ragiona­to... a lungo? A esto el error! Ecco l'errore!

La Marchesa                 - È una sciarada?

Oneto                            - Facile! Clara! Una donna — non dico mia moglie — una donna mi ha fatto ragio­nare, anzi di più, mi ha fatto vergognare d'una vita falsa e senza uscita, prender gusto al la­voro... insomma mi ha fatto un uomo!

La Marchesa                 - Una donna è stata capace di tanto? Possibile?

Oneto                            - Vuole esserne giudice?

La Marchesa                 - Perché no? Un altro po' di rosolio?

Oneto                            - Grazie... Fosse aguardiente... Troppo dolce...

La Marchesa                 - Per la storia che devo giudicare... può stan­carsi... È lunga?

Oneto                            - No, è breve, come tut­te le storie di carnevale.

La Marchesa                 - Ah! è una sto­ria di carnevale?

Oneto                            - (Aria assente) Già.... di carnevale... e di veglione.. 1904... martedì grasso...

La Marchesa                 - (istintivamente sogguarda la decorazione: lui fin­ge di non accorgersene) Ah!

Oneto                            - (mentre parla, falsamen­te spigliato, l'osserva di sottecchi senza che l'altra se ne avveda) Doveva essere il mio ultimo ve­glione... Giocavo in borsa... come tutti... guadagnavo... come tutti in quelli anni. Le sette vacche grasse. Il denaro guadagnato fa­cilmente si spende facilmente. Eravamo giovani, ci si voleva divertire... come tutti. Si affittava un palco di platea, nel camerino si preparava la cena con molto champagne e molti fiori... Come tutti, nobili o no. A proposito: il nostro palco era proprio accanto a quello di certi nobili...

La Marchesa                 - (inquieta lo segue collo sguardo).

Oneto                            - Quella notte... erano le ore piccine dei veglioni che le dame ignorano...

La Marchesa                 - (trasale: ma l'al­tro pare assorto nei ricordi e non la guarda).

Oneto                            - Le due? Le tre? Chi lo sa! Mettiamo fra le due e le tre come dice Falstaf. Nel palco c'è­ravamo l'amico Gerolamo Sciaccaluga... sì quello che ha visto giù la vigilia di Natale... ed io, stan­chi, ma più nauseati chestanchi... nauseati dalla gazzarra indecente del palco vicino, fra gentiluomi­ni e cocottes... quando la nostra porta si spalanca di colpo ed ap­parisce un domino.

La Marchesa                 - (ha gli occhi sbar­rati, è anelante, si contiene a sten­to e chiede, cercando di dominar­si, in tono leggero ma tremante) Di... che... colore?

Oneto                            - (senza mostrar d'accor­gersi dello stato di lei) Verde...

La Marchesa                 - (come se non cre­desse, ripete) Verde?

Oneto                            - (con aria assente) Ma sì... mi pare... verde liscio senza nastri (Lei che si attendeva indi­cazioni opposte rimane interdetta) domino dozzinale, preso a prestito nel guardaroba... ma, dentro al domino... che donna! itabìa da esser una dama! Vera dama! Me ne accorsi dall'imbarazzo, dal fal­setto che tremava... Strizzo l'oc­chio e Gerolamo che capisce se ne va senza parere... Piaceri da ami­ci! Ma quella non ci badò neppu­re! S'era precipitata verso il palco dei nobili... sì sporgeva per vede­re... Troppo curiosa! E ne ha viste e ne ha sentite! Vede, noi giova­ni, che si guadagnava bene, che non avevamo obblighi di società, che ci conoscevamo appena fra noi, ch'eravamo pieni di forza e di voglia di godere, noi che non dovevamo render conto a nessuno dei nostri atti e delle nostre pa­role... noi non avremmo osato far certi gesti e dir certe cose che quelli, i signorotti, si permetteva­no... Anche in un veglione no, noi no.... E quelli sì. Uno fra gli altri, un bell'uomo, alto magro di­stinto, barbetta a punta...

La Marchesa                 - (sobbalza colpita ad ognuna delle precise indica­zioni).

Oneto                            -. .. ubriaco peggio d'un facchino... teneva stretta una ra­gazza e si permetteva certi gesti, che un compagno dovette invitar­lo a ritirarsi nel retropalco per non dare scandalo. Al veglione, figurarsi! È quegli s'alzò, tenen­do la dama imbrancata... barcol­lando. Ecco il domino del mio pal­co scatta, mi afferra per la mano, mi trascina ed usciamo nel corridoio a tempo per vedere quei due sparire nel camerino...

La Marchesa                 - (trema, lo guar­da, ma l'altro è a testa bassa im­merso nel ricordo, o pare: mor­mora con la voce cupa) E... poi... è finito?

Oneto                            - (alza le spalle) Ma che! Diventò una furia la mia ma­scherina... si gettò contro la por­ta chiusa, tempestò frenetica... Ma sì! di là avevano ben altro da fare che aprire... Non garba esse­re disturbati in certi momenti... Una voce rauca urlò: Va a farti impiccare! E allora...

La Marchesa                 - La vide? Si tol­se la maschera?

Oneto                            - Mai, non se la tolse mai (L'ultima speranza dì lei se ne va). ..ma il mento, la gola erano di fuoco... e mi si aggrap­pava così che... Ero giovane, one­sto ma giovane e al veglione.... Pure qualche cosa mi tratteneva... Senonché lei pareva una belva, furente, eccitata... urlava a voce rauca: Vigliacco! Vigliacco! Aprii la porta del retropalco. E lei sem­pre ripetendo: vigliacco... mi get­tò le braccia al collo... Mormorò soltanto: no, la maschera no...

La Marchesa                 - Basta... basta...

Oneto                            - Ed io... ho obbedito. La maschera no. Così restò igno­ta... fino a un quarto d'ora fa...

La Marchesa                 - (s'alza, barcolla, lo fissa) No... no... no! (poi ri­cade col viso fra le mani) Che vergogna!

Oneto                            - Sono passati tanti an­ni... E poi:., neanche il papa lo cancella...

La Marchesa                 - Se ne vada... se ne vada!

Oneto                            - Fossi matto!

La Marchesa                 - Che cosa vuote?

Oneto                            - Che cosa voglio? Ma insomma! Crede che Alessandro Oneto sia qui per ischerzo? So giocare... specie col trionfo in mano!

La Marchesa                 - No, no, mai, mi oppongo! Ora più di prima!

Oneto                            - E perché? È testardag­gine!

La Marchesa                 - È vergogna!

Oneto                            - Che cosa crede! Sono qui per far due felici, e poi me ne andrò... tornerò laggiù... non mi vedrà più...

La Marchesa                 - No... non ba­sta... ora meno che mai!

Oneto                            - Meno che mai perché? (L'altra non risponde, rotta dai singhiozzi) Meno che mai? Y porqué? Y porqué? (Non ottiene ri­sposta: le va vicino: ripete) Y por... (gli cadono gli occhi sul ri­tratto di Andrea: lo fissa: sbarra gli occhi, barcolla, fa per pren­derlo).

La Marchesa                 - (che ha alzato il viso urla) No... no... no... non è vero... (vuole afferrarlo prima di luì).

Oneto                            - (Afferra il ritratto, lo fis­sa ardentemente, mentre lei è ri­caduta singhiozzando, poi fa un gesto per avvicinarlo alla bocca, si trattiene, glielo porge) Ecco­lo... prenda... è suo...

La Marchesa                 - (prende il ritrat­to, lo bacia, vi nasconde sopra il viso) Se ne... vada...

Oneto                            - Vado... vado... non abbia paura!

 (E s'avvia verso de­stra. Passando davanti all'armadio aperto, vede la decorazione: si ferma, la contempla un attimo commosso, poi, accertatosi che la Marchesa non lo guarda, si curva e la bacia, delicatamente, come se temesse di romperla, e infine fug­ge rapido, senza voltarsi, dalla porta di destra).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La scena del primo atto. È la sera dell'ultimo giorno dell'anno.

SCENA I.

Luisa, Annetta, Cesira, poi Ninetta

Cesira                            - (mentre Luisa e Annet­ta accudiscono alla tavola da im­bandire, appare alla comune pre­cedendo Ninetta) C'è la Ninetta!

Ninetta                          - (entrando) La Ninet­ta! Neanche se fossimo nate nella stessa stalla!

Cesira                            - Eh! Eh! Non tutte possono far la dama di com­pagnia.. .

Luisa                             - Cesira, andate in cu­cina!

Cesira                            - Vado... vado... ades­so che c'è la dama di compagnia. (Esce da sinistra).

SCENA II.

Annetta, Luisa e Ninetta

Luisa                             - Che lingua!

Ninetta                          - Lasci dire! Persone di servizio... peuh! Come va la vita, Annetta!

Annetta                         - (senza voltarsi) Be­ne... grazie, Ninetta!

Ninetta                          - (piano, a Luisa). Che cos'ha?

Luisa                             - Mah! Chi ci capisce è bravo!

Ninetta                          - Pene di gioventù! Nuvole che passano!

Luisa                             - Speriamo!

Ninetta                          - Passano, passano... e se non passano si fanno grosse e scoppiano... in un modo o nell'altro si risolvono...

SCENA III.

Oneto e dette.

Oneto                            - (da qualche momento sulla porta di sinistra) Compli­menti, Ninetta! Per consolare sie­te fatta apposta! Mi sembrate il profeta Bonaventura...

Ninetta                          - E che diceva il vo­stro profeta?

Oneto                            - Diceva: quando piove è segno d'acqua! (Sorrisi) El ano. ..1' anno finisce en serenidad! (Apre la finestra).

Ninetta                          - Avete i calori?

Oneto                            - Sempre, dalla Ninetta, vicino a voi.

Luisa                             - Non gli badate, Ninet­ta, ma io non ho i calori! (Chiu­de la finestra).

Oneto                            - Chi ha parlato di scher­zare? Voi, Ninetta?

Ninetta                          - Tira pure, diceva quel merlo al cacciatore! E sapete perché quel merlo diceva al cacciatore: tira pure?

Oneto                            - Perché era una merla.

Ninetta                          - Ignoro se fosse ma­schio o femmina... ma sapeva che il fucile era scarico.

Oneto                            - (apparenza scandalizza­ta) E brava Ninetta! Le dite così grosse?

Ninetta                          - Che c'è di male? Io non ne vedo.

Luisa                             - Neanche io!

Oneto                            - Confessatevene e sen­tirete! (Le parla all' orecchio) Que­sto avete detto!

Ninetta                          - (alzandosi) Che lin­gua! Che malizia! Non si può par­lare con chi ci trova la malizia!... Scappo...

Oneto                            - E invece restate. Ci berrete sopra...

Ninetta                          - Festino di nuovo? Come a Natale?

Luisa                             - Vuole così, lui...

Oneto                            - Ma è l'ultimo giorno dell'anno! E non si deve finirlo fra amici? Fermatevi...

Ninetta                          - Grazie... ritornerò dopo il Te deum!

Oneto                            - Pregate il Signore an­che per me... voi che lo potete.

Ninetta                          - E perché io...?

Oneto                            - Perché, come dice il Rigoletto, siete fanciulla... inno­cente e pura... Tirate, che il Si­gnore perdona.

Ninetta                          - Lo sentite, Luisa?

Luisa                             - Eh! Lo sento. Lascia­te che si sfoghi a parole e tor­nate. Non vi dò il buon anno...

Ninetta                          - Grazie... a più tardi. A rivederci Annetta! (A Oneto nel passargli accanto) Pulitevi code­sta linguaccia!

Oneto                            - Come? Yo la tengo muy linda! Ve la mostrerò al ri­torno, bella Ninetta!

Ninetta                          - Lasciatemi scappa­re! (Esce dalla comune).

Oneto                            - (le urla dietro) Pregate per me, fanciulla innocente!

SCENA IV.

Oneto, Luisa e Annetta

Oneto                            - (si rivolge, le vede si­lenziose e curve) Che c'è? Por­ta sfortuna la mutria a San Sil­vestro! (indica Annetta) Che ha?

Luisa                             - Lo sai che cos'ha!

Oneto                            - (accarezza i capelli di Annetta) Vamos! Sorridi! Bisogna affrontare l'anno col sorriso!

Annetta                         - Oh, zio! Se sapessi come sono infelice!

Oneto                            - Es ley naturai! Se alla tua età si è felici, che cosa resta alla mia?

Luisa                             - Bel modo di consolare!

Oneto                            - Mujeres! todas las mismas! Siete sempre le stesse, o donne! O volate nelle nuvole... o non vedete più in là del vostro naso! Sempre eccessi! Capisco, Annetta, che tu non abbia voglia di ballare sulla corda! Ma da que­sto a piangere!... E io? Non con­to proprio, io?

Annetta                         - Oh! zio! Temo che neanche tu possa molto!

Oneto                            - Quìen sabe! Asciugati gli occhi intanto. Sin calma no se aye nada de bien! Sorridi... y entonse a qui! Un bel bacio allo zio! Anzi  - (a Luisa) due! (Le don­ne lo baciano).

 SCENA V.

Stefano dalla comune, e detti.

Stefano                         - Se avessi la macchi­na fotografica...

Oneto                            - Donde esce costui?

Stefano                         - Non esco... entro dalla porta!

Oneto                            - Come, Luisa, c'è por­ta aperta qui?

Luisa                             - Forse la Ninetta...

Oneto                            - Mujeres! Tienan ser-radas las ventanas... chiudono le finestre... ma lasciano le porte aperte! (A Stefano) Lo è ancora?

Stefano                         - Io sono un uomo!

Oneto                            - Alla parigina! Deve usare a Parigi entrare nelle case.

Stefano                         - Abbiate pazienza! Era aperta... e...

Oneto                            - Comprendo! Volevate parlare con me?

Stefano                         - Darvi il buon anno!

Oneto                            - Grazie! Accettato... Stefano. . ..e parlarvi... se non disturbo...

Luisa                             - Ma no, Stefano! Scher­za! Vi lasciamo... se non dovete parlar troppo a lungo! È già tar­di e c'è ancora da preparare qui. A rivederci! (esce da sinistra con Annetta).

SCENA VI.

Oneto e Stefano

Oneto                            - (un po' brusco) Vamos! Che cosa c'è?

Stefano                         - Se mi fate quella faccia!

Oneto                            - Siete venuto per me? Animo! Aria agli scogli! Che cosa c'è? Avete paura?

Stefano                         - No... Non ho co­raggio!

Oneto                            - Ve lo devo dare io?

Stefano                         - Magari! Ecco qua... vorrei farmi una famiglia!

Oneto                            - E per farvi la famiglia venite da me? Ho capito: volete che vi porti una muchachìta di laggiù?

Stefano                         - Per questo... la mu­chachìta sarebbe già qui...

Oneto                            - E allora... contenta lei, contento voi, la benedizione e la famiglia è fatta. Tanti au­guri e figli maschi... se non in­tendete anche il matrimonio al­la parigina...

Stefano                         - Niente parigina... ma la muchachìta è ricca!

Oneto                            - Muy bien! I soldi non hanno mai fatto male a nessuno...

Stefano                         - Giusto... ma io non ne ho...

Oneto                            - (lo squadra con un riso­lino che fa inalberare Stefano) Venite qua e guardatemi nel bian­co degli occhi... Suvvia... che non vi mangio! Ho capito!

Stefano                         - (inquieto) Non so che cosa possiate aver capito.

Oneto                            - Hombre! È un bel po' che ho messo i denti!

Stefano                         - Lasciate che vi spie­ghi...

Oneto                            - Amado amigo, ve lo spiegherò io senza far l'indovino! Voi ci avete sotto l'ascella... co­me dicevano i socialisti d'una volta, il programma massimo e il programma minimo! Equi non c'è che un programma unico, senza tira e molla! Decidetevi! (Ammic­ca verso sinistra) Massimo? (Stro­piccia pollice e indice) Minimo? Su, su... decidetevi... asino di Blindano! Ma ve lo dico subito: se è massimo... nada!

Stefano                         - (risoluto) Vi sembro uomo da... programma massimo?

Oneto                            - Bueno! Y entonse a qui! {Stretta di mano) Fuori il dente! Vediamo il campione per comprare il carico... sulla mano!

Stefano                         - Ecco qua... Voi sa­pete che ho un commercio... buo­no... che renderebbe di più se mi potessi ingrandire! Ma sono solo!

Oneto                            - Cercate un socio?

Stefano                         - Dio volesse!

Oneto                            - Vediamo le attività. Panetteria. Certo la gente, anche col progresso, non potrà fare a meno del pane. Commercio buono. Passività! Che cos'è questa smania del parigino? Vi pare che dopo aver sgobbato come negri si ripassi 1' oceano per trovar qui delle scimmie parigine?

Stefano                         - Era un'idea... per far del nuovo!

Oneto                            - Male. Bisogna restar nei ranghi. Più soldati e meno generali. Col parigino... nada! A. mare la zavorra inutile!

Stefano                         - (deciso) A mare! A mare!

Oneto                            - E allora... muy bien! Avete preso il genovese caldo! V entonse a qui! Stabiliremo a gior­ni le modalità. Per ora, soci di fatto. E tornate a mezzanotte per berne un dito!

Stefano                         - Con tutto il cuore! Siete un uomo voi! Si vede che l'America fa bene!

Oneto                            - Qualunque paese è buono quando si ha voglia di la­vorare. A più tardi!

Stefano                         - A più tardi. (Esce dalla comune e poi rientra) Guar­date qui: c'è Girolamo con l'ap­pendice!

Oneto                            - Lasciateli entrare! (Stefano esce).

SCENA VIII.

Girolamo, Gigetto e Oneto

Girolamo                       - (entrando) Buona sera! E buon anno!

Oneto                            - Buenos noches, caballeros! Il buon anno te lo darò col bicchiere in mano.

Gigetto                          - E il panettone!

Girolamo                       - Saluta invece!

Gigetto                          - Salute! (Oneto gli batte sulla spalla) Ahi! Ahi!

Girolamo                       - Vorrei dirti due pa­role da amici.

Oneto                            - Col testimone?

Girolamo                       - Non mi lascia mai!

Oneto                            - I figli attaccati ai cal­zoni del padre o alle gonnelle del­la madre non hanno mai imparato a camminare.

Girolamo                       - Ciascuno ha le sue idee. Ma ho paura che le tue sia­no più pratiche.

Oneto                            - Perché la chiami pau­ra? Vedi, nel mondo bisogna fa­re, bene o male, ma fare. L'inde­cisione ha sempre guastato ogni cosa. Animo! Vamos! Che vuoi?

Gerolamo                      - Ritornerai... lag­giù?...

Oneto                            - Seguramente! Non no liquidato, dunque ci ritorno.

Gerolamo                      - Presto?

Oneto                            - Hombre! Creo que sì!

Gerolamo                      - Se ti chiedessi, per la nostra vecchia amicizia di con­durre mio figlio con te?

Oneto                            - Programma minimo.

Girolamo                       - Che dici?

Oneto                            - Nada. Non badarci. Condurre tuo figlio laggiù? Hum! E per che farne?

Girolamo                       - Un uomo... (si vol­tano: Gigetto sta esercitandosi col yo-yo) Asino!

Oneto                            - (ridendo). Un uomo... (a Gigetto) Vieni qua! (Gigetto s'avvicina peritoso) Non temere... so che i tuoi muscoli sono de man­teca... di burro. Ti piacerebbe di venire in America?

Gigetto                          - Per che fare?

Oneto                            - Non si dice: per che fare? Si fa. Quando ti getti in mare che fai?

Gigetto                          - Un tuffo!

Oneto                            - E poi... per non af­fogare?

Gigetto                          - Nuoto.

Oneto                            - Ecco nella vita si nuo­ta come in mare. L'importante è di mantenersi a galla... poi... poi si cerca uno scoglio o una spiag­gia. . :. ma se non ti mantieni a galla... affoghi!

Gigetto                          - Ma che! Io mi tuffo col salvagente.

Girolamo                       - Asino!

Oneto                            - Ma se ha ragione! Il salvagente sarei io! Anche tu lo hai pensato! Quanti anni ha?

Girolamo                       - Diciannove. Ma è forte! Non ha mai fatto nulla...

Oneto                            - Ed io lo dovrei far lavorare? La vita è dura laggiù, lo sai?

Girolamo                       - Lo so... ma è per il suo bene...

Oneto                            - Sai quale sarebbe il suo bene? Tenersi a galla da sé, come il cagnolino a cui nessuno insegna a nuotare!

Girolamo                       - Te lo domanda il tuo vecchio amico. Qui non mi riesce né di farlo studiare né di farlo lavorare.

Oneto                            - E che cosa vuoi che ne ricavi io! Guardalo! (si volta­no; Gigetto rigioca al yo-yo).

Girolamo                       - (desolato) Se mi la­sci anche tu!

Oneto                            - Vamos! Raccogli la vela! e coraggio... Ne riparleremo.

Girolamo                       - Pensaci! Ma pensa­ci davvero! Non esser duro!

Oneto                            - Ci penserò... ma pen­saci anche tu! Non sono io duro... è la vita laggiù che non ischerza! (Campanello interno: Cesira esce da sinistra e va alla comune) E fatti coraggio: non mollare la scotta!

SCENA VIII

Cesira, poi Zérega e detti

Cesira                            - (dalla comune) C'è il cavaliere!

Oneto                            - Fate entrare! (Cesira esce) L'ho chiamato io. T'aspet­to a mezzanotte, Girolamo, per berne un dito di quel buono, quan­do fischieranno le sirene del porto. (A Gigetto) Ci sarà il panettone! (Accompagnando i due alla comu­ne) Despues... hableremo! (sulla porta si incontrano con lo Zére­ga: convenevoli; poi Girolamo e Gigetto escono e Cesira dopo aver­li accompagnati torna ed entra a sinistra: Oneto e Zérega si avan­zano verso il boccascena).

 SCENA IX.

Zérega e Oneto

Oneto                            - (fra sé) Ahora a V hom­bre que obra a la sordina! (forte) Buona sera, cavaliere!

Zérega                           - (sulle sue) Buona sera e buon anno!

Oneto                            - Il buon anno glielo da­rò più tardi... se vorrà fermarsi con noi a berne un dito...

Zérega                           - (diffidente) Veramen­te non so... certi impegni...

Oneto                            - Deciderà. Niente per forza. Per forza si fa l'aceto e usted m'insegna che con l'aceto non si dice messa.

Zérega                           - L'aceto non può di­ventar sangue del Signore!

Oneto                            - Bravo! Niente aceto! Bravo! L'ho risposto a chi mi voleva sostenere il contrario!

Zérega                           - (sospettoso). Non ca­pisco... Il contrario?

Oneto                            - Qua la mano, cavalie­re! Possiamo darcela, noi che ab­biamo lo stesso scopo...

Zérega                           - (sempre diffidente) Lo stesso scopo? Non vedo!

Oneto                            - Ma sì! devo anzi rin­graziarla! Senza volerlo mi ha dato una mano... famosa...

Zérega                           - (fra sé). Attento, fra­tello, che costui è un uncino... (forte) Non vedo... però... se le fa piacere...

Oneto                            - E come! Ma non l'ho pregato di favorirmi per questo... Mi sono permesso di chiamarlo qui per un consiglio... che può darmi soltanto un uomo dotto e timorato...

Zérega                           - Mi confonde... (È però sempre sulle sue).

Oneto                            -. ..come lei. Dunque... Sia detto fra noi che nemmeno l'aria intenda... sono più ricco di quanto si crede... e lo diventerò ancora più...

Zérega                           - Godo., godo... Prosit!

Oneto                            - Muchissìmas gradasi Ricco, non egoista, ma con qual­che ambizione...

Zérega                           - Godo... godo... Fa chi può!

Oneto                            - Ambizioni oneste, in­tendiamoci!... Se non posso van­tarmi di discendere da Carlo Quinto... ambirei che i miei ni­poti... e più in giù... si vantas­sero di discendere da me. Che ne dice?

Zérega                           - Lodo., lodo... Ma il consiglio?

Oneto                            - Ci vengo. Ecco qua. Vorrei far qualche cosa che por­tasse il mio nome... una fonda­zione...

Zérega                           -. ..di beneficenza?

Oneto                            - Anche. Non però di quelle che van nel mucchio comu­ne., una lapide in un ospedale o in un ospizio... Ninguna ambicion pequena... Le amo grandi io... benedette da Santa Madre Chiesa naturalmente...

Zérega                           - Lodo... lodo... Per esempio?

Oneto                            - Ecco il punto: deci­dere. Vorrei dei lumi in proposi­to... i suoi lumi...

Zérega                           - Sono troppo meschi­no io...

Oneto                            - Vamos! Tutti sanno chi è lei... Vediamo, dunque...

Zérega                           - Vediamo... vediamo...

Oneto                            - Un lascito dotale...

Zérega                           - (freddo) Buono...

Oneto                            - Una cappella con le messe...

Zérega                           - Meglio!

Oneto                            - Un canonicato...

Zérega                           - Eccellente... lodo... lodo...

Oneto                            - Eh! sì: pare anche a me. (Con enfasi) Canonicato del­la famiglia Oneto... o di Alessan­dro Oneto... con la scelta in una terna proposta all'arcivescovado... Si fa così, mi pare?

Zérega                           - Quasi... lodo... lo­do... lodo...

Oneto                            - Intendiamoci, un ca­nonicato... comodo, non di quelli che per essere troppo vecchi go­dono redditi di un secolo fa... che c'è appena da mangiar di magro. Nel mio, di magro si deve man­giare soltanto il venerdì, o le vi­gilie, o le Tempora...

Zérega                           - Qui altarem servii de altare viviti (fra sé) Ci debbo cre­dere? (Forte, insinuante) Si usa nei canonicati istituendi stabili­re un minimo di messe...

Oneto                            - Naturale. Io non ho mai imparato il latino, ma l'ho sempre capito... (Pausa) Usted ha un fratello reverendo, no?

Zérega                           - Don Antonio... un santo! (fra sé) Strisciamo una car­ta senza comprometterci! (forte) Caro signor Oneto, lei sa l'atttaccamento che ho sempre avuto per la sua famiglia...

Oneto                            - Lo so, lo so: scoglio e ostrica. (Abbassa la voce) So an­che — e grazie! — che lo ha di­mostrato recentemente...

Zérega                           - (un po' inquieto) Do­vere... grato dovere...

Oneto                            - Lei sa vivere, cavalie­re! Sa che non bisogna mai pren­dere di punta né le cose né le persone...

Zérega                           - (fra sé) Che vuol dire? (forte) Grazie., godo...

Oneto                            - Grazie lo devo dire io a lei che ha difeso me e le mie donne presso la marchesa! Non faccia la violetta: lo so. La mar­chesa ha altre intenzioni per suo figlio che quadrano con le mie... Naturale... un titolo è sempre un titolo... Ha anche pronunciato una frase... bella frase... da lita­nie... Non si vende...

Zérega                           - Embriaco non si ven­de... Però...

Oneto                            - E a proposito di una gobba, mi pare...

Zérega                           - Una spalla appena più alta... Ma non precisamente per lei... Però...

Oneto                            - Rispettiamo i segreti. La marchesa non vende ed io... non compro. D'accordo. (Lo sog­guarda) Però... come dice lei... grazie del consiglio. Anzi mi pre­pari un progettino per il canoni­cato... istituendo. E se non ha impegni pressanti venga verso mezzanotte a salutar con noi l'an­no nuovo... se non ha impegni...

Zérega                           - Nessun impegno... Immagini!

Oneto                            - Bueno! Entonse! A più tardi. (Lo accompagna alla comune: escono).

SCENA X.

Oneto, Luisa, Annetta, Cesira

Oneto                            - (torna fregandosi le ma­ni) E bravo il cavaliere! Programma massimo! Ah! Sì? Embriaco non si vende? E chi vuol comprare! Luisa! Annetta! Cesira! (Le donne accorrono da sini­stra) Ehi! dico! (Indica la tavola) Niente di preparato qui?

Luisa                             - Colpa tua.Con tutte le tue visite!

Oneto                            - E giusto. Ma ho fini­to. Esco un momento per com­prar da fumare! (Le raduna col gesto intorno a sé) Allegre! Ab­biamo il canonicato... e non si vende! (Esce dalla comune).

SCENA XI.

Luisa, Annetta, Cesira poi Andrea

Annetta                         - Mamma che ha vo­luto dire lo zio?

Cesira                            - È un dolce... il cano­nicato?

Luisa                             - Il dolce l'ho io sul fuo­co! Non badate alle americanate: fate presto per la tavola! (Esce da sinistra: le due rimaste accu­discono).

Cesira                            - (a un colpo di campa­nello esterno esce dalla comune poi rientra allegra) Signorina, guardi chi c'è?

Annetta                         - (vede Andrea sulla comune) Andrea!

Cesira                            - Coraggio! (esce da si­nistra).

SCENA XII.

Andrea e Annetta

Annetta                         - (lo vede triste e ab­battuto) Andrea! Che c'è?

Andrea                          - Nulla di nuovo, An­netta. Devo parlarti. Abbi del co­raggio per me... anche per me...

Annetta                         - Ma perché?

Andrea                          - Cara, tu sai se ti vo­glio bene ed io so che ne vuoi a me... Ce ne siamo accorti senza accorgermene quasi, e questa è la prima volta che te lo dico... e forse l'ultima...

Annetta                         - Non parlare così... mi fai male. È una felicità anche se ci diciamo di volerci bene...

Andrea                          - È l'ultima che ci ri­mane...

Annetta                         - Tua madre forse...?

Andrea                          - Non mia madre sol­tanto, cara. Avrei potuto lottare. ..ma purtroppo oggi la situazio­ne qui è la stessa che mi prepara la mamma...

Annetta                         - No... c'è differenza, Andrea. Noi ci vogliamo bene... e lo zio sa tutto... e mi dice di sperare... di stare allegra...

Andrea                          - Tuo zio è un galan­tuomo al quale mi sento vici­no... come se l'avessi conosciuto da sempre... Ma se la mamma mi ha cercato una moglie ricca, tuo zio mi offrirebbe in te una moglie ricca. Ed io come potrei dire di no alla mamma? ...

Annetta                         - Le devi dire che mi vuoi bene...

Andrea                          - Sarebbe la stessa co­sa. Il mondo penserebbe male, e giudicherebbe peggio...

Annetta                         - E tu, allora, spo­serai quella...

Andrea                          - Come puoi pensarlo. Annetta? Te non posso avere... quella non voglio... Nessuna. E così potrò dire alla mamma che un nome come il nostro non si vende... e ti resterò fedele. E tutto quanto posso fare.

 Annetta                        - Anch'io, Andrea, anch'io...

Andrea                          - No... basta un sacrificio solo. A te la vita sorride... sei ricca... potrai dimenticare...

Annetta                         - Come sei cattivo, Andrea!

Andrea                          - Cara, io sono un uo­mo... debbo essere forte... soffri­re, per dirti: o te o nessuna...

Annetta                         - E anch'io saprò sof­frire... o te o nessuno...

Andrea                          - Grazie, Annetta, ma ricordati che se un giorno, per circostanze che non possiamo pre­vedere, non lo dirai più... non te ne vorrò... e ti sarò fedele egual­mente. Vedi, cara,. quando ero piccolo e la nostra posizione ben diversa da quella d'oggi, un vec­chio padre scolopo, mio precetto­re, mi parlava spesso di un mio antenato, che per non aver po­tuto ottenere la donna che ama. va, se n'era partito per la Cro­ciata. E mi pareva un eroe. Og­gi sento che il mio sacrificio è più del suo... la mia Crociata sarà l'ufficio buio del monte di Pietà, dove ti penserò con gioia e pena insieme...

Annetta                         - (singhiozzando) Oh! Andrea!

Andrea                          - (sorridendo tristemen­te). Non pensi anche tu che ci vorrà più coraggio a vivere così che a combattere i turchi?

Annetta                         - Ebbene, anch' io avrò il coraggio. Se di te posso­no dire che ti venderesti... di me, ricca, diranno che mi com­pro un marito. No... ero una bim­ba poco fa... mi sento donna ades­so. Ti voglio bene: o tua o di nessuno...

Andrea                          - Annetta!

Annetta                         - Andrea! (Mentre si sentono attirati l'uno verso l'al­tra, si spalanca la comune ed ap­paiono la Marchesa e Oneto).

SCENA XIII.

Annetta, Andea, La Marchesa, Oneto

La Marchesa                 - Vede, signor Oneto, se avevo ragione!

Annetta                         - Signora Marchesa... non giudichi male...

Oneto                            - Va, Annetta, va, ba­sto io, qui. (L’accompagna sin­ghiozzante alla sinistra donde l’al­tra esce).

SCENA XIV.

Oneto, Andrea, La Marchesa

Andrea                          - Non pensare male, mamma!. .. Tu non puoi sapere quanto mi costi quello che ti de­vo dire...

La Marchesa                 - Parlerai quan­do saremo su...

Andrea                          - No, mamma, scusami. Che il signor Oneto ascolti, mi è caro... saprà la tenerezza che ho per te, saprà che per te nessun sa­crificio mi è grave. Ma giudicherà da quell'uomo onesto che è, come non sia bello, rinunciando a quel­la poveretta... perché le ho detto che rinunciavo a lei... per questo mi trovi qui... No, non è bello... ciò che dovrei fare... lo pensi an­che tu. E se adesso forse credi che possa farlo, è perché giudichi da donna, mamma! Il sacrificio di se stessa che può santificare una donna, rende l'uomo odioso. Non me lo puoi chiedere tu, che hai dietro di te la vita pura e di­sinteressata di una santa. È per questo che sacrifico me... Anche se tu acconsentissi a lasciarmi sposare Annetta, forse penseresti lo stesso che io mi venderei. Puoi aver ragione. M'inchino, mamma. Né questa... né l'altra. Un nome come il nostro non si vende... Lo hai detto tu...

La Marchesa                 - (commossa) Andrea!

Andrea                          - Non te ne parlerò mai più, non ne parleremo mai più. Resterò con te... continuere­mo la nostra vita modesta... la­vorerò... chi sa!... guarirò forse. Dammi un bacio, mamma, dimmi che mi perdoni come io perdono... al destino... Signor Oneto, glielo dica lei che ho ragione... (si avvia).

La Marchesa                 - (vinta) Andrea! Dove vai?

Andrea                          - Su... in casa... solo... Ho bisogno di esser solo, mamma. (Dall'uscio) E tu, scusami con la signora Luisa... mi scusi lei, si­gnor Oneto... Mamma! (L'abbrac­cia ed esce dalla comune dopo aver sussurrato). ..t'aspetto... su.

SCENA XV.

Oneto e La Marchesa.

La Marchesa                 - (cade a sedere col viso tra le mani: pausa: si alza di scatto e si rivolge all'altro che la sta osservando in silenzio) Si­gnor Oneto!

Oneto                            - Vuol che chiami Luisa?

La Marchesa                 - Poi... poi... Adesso... (È riluttante, combatte entro di sé visibilmente).

Oneto                            - Dica pure liberamente. Dall'altro giorno lei sa che ha un amico in me...

La Marchesa                 - Un amico, sì, un amico...

Oneto                            - (le offre la mano) Muy bien! Nos hobleremos da amigos!

La Marchesa                 - Mi aiuti, allora! Andrea mi fa paura! Ha sentito! È veramente rassegnato come se avesse la morte nel cuore! Lo pre­ferirei ribelle, prepotente, violen­to, non così... Remissivo triste accorato mi fa pena... tanta pe­na... Basta! Basta! Non mi op­pongo più! E mi rivolgo all'ami­co..,   - (tende le mani).

Oneto                            - (fermandola col gesto) Ma un amico non è sempre colui che dà ragione! Un vero amico — io l'intendo così — è chi dice le cose come sono, senza fronzoli e senza pietose menzogne! Pronto ad aiutare... ma spietato, peggio di un chirurgo. È così che vuole un amico...

La Marchesa                 - Che so io... Che so!... Sia anche spietato. Ma mi venga incontro lei... non vede che vinco la vergogna...

Oneto                            - Eccomi dunque dinanzi a lei... da amico! Può immagina­re quanto... fino a che punto sen­to di esserlo! Parliamoci franchi! Suo figlio ha un affetto, lei ha un progetto. Da una parte c'è l'amo­re, dall'altra no. Ma da tutte due le parti c'è la fortuna. E l'amico schiettamente, rudemente conclu­de: un uomo non si vende!

La Marchesa                 - (colpita) Ma, signor Oneto...

Oneto                            - Claro! D'accordo! Un uomo non si deve vendere... Embriaco o no... marchese o no... se ha punto d'onore. Un uomo che vende oggi il proprio nome, e specula quindi sopra una debo­lezza altrui domani può tradire,., e peggio! Non ci sono due specie d'onore. Anche volendo bene sin­ceramente, come suo figlio ne vuole a mia nipote... no... un uomo non si vende, quando è po­vero e la ragazza è ricca. Un ami-go asi hable!

La Marchesa                 - Ma allora...

Oneto                            - Un uomo che ama dav­vero cerca di meritarla colei che quiere... cerca di conquistarla... ma cerca...

La Marchesa                 - (ansante) Sic­ché, lei non darebbe l'Annetta a mio figlio!

Oneto                            - No. Oggi no. Oggi me. no che mai!

La Marchesa                 - Ma Andrea le vuol bene! E soffre... soffrono...

Oneto                            - Le sofferenze d'amore hanno sempre formato i caratteri e prodotto le più belle cose... Ne conosco uno io., che ha portato nel cuore, tutta la vita, una ignota...

La Marchesa                 - (celando il viso fra le mani) Per carità!

Oneto                            - Porqué? Adesso che non ci può essere intenzione di offesa, adesso che ho i capelli bian­chi... e che l'ignota è una mam­ma che piange... glielo posso dire che dopo quella notte, l'ho por­tata nel cuore... senza requie.... lontana... come una Madonna! E se mi sono vergognato della vita che vivevo, se ho voluto lavorare, farmi uomo... e lo sono... fu per lei! E quando l'ho per caso sco­perta... ho sentito aqui un afecio dulse sano corno lo permiten estos pelos encanessidos... e quell'amico invocato eccolo, ma un amico sin­cero, intendiamoci, un amico da permettersi la verità fino a dirle senza complimenti: No, un Embriaco non si vende!

La Marchesa                 - Lei può dire questo... anche sapendo...

Oneto                            - Anche! Meglio! Con più forza... ora che so...

La Marchesa                 - Ma Andrea!

Oneto                            - (pronuncia il nome come se l'accarezzasse) Andrea... An­drea... è un uomo... io me ne in­tendo.. . e diventerà più degno soffrendo. Non pensi a... Andrea... come io non penso ad Annetta. Mi crede amico?

La Marchesa                 - Sì.

Oneto                            - E mi può dar la mano?

La Marchesa                 - Sì.

Oneto                            - E allora stringiamoce­la... da buoni amici, da fratelli. Parlerò io a Andrea. Vuole?

La Marchesa                 - Sì. (S'avvia al­la comune) Glielo mando.

Oneto                            - Lo farò chiamar io! Lei... mi si dimostri amica... Va­da da mia sorella... e dica ad An­netta quello che abbiamo deciso.

La Marchesa                 - E cioè?

Oneto                            - Come? Non lo ricorda più? (Sorride) Embriaco non si vende... in nessun modo... Soltan­to lo dica come una mamma a una figliola... come io parlerò a Andrea… (Secco) Cesira!

SCENA XVI.

Cesira e detti.

Oneto                            - Chiamatemi il signor Andrea.

Cesira                            - Dove?

Oneto                            - Dove? In Cina... o in casa! (Cesira esce in fretta dalla comune) E lei... vada... mi lasci... Siamo intesi? (La Marchesa accenna di si ed entra a sinistra).

Cesira                            - (riappare dalla comune) Scende subito!

Oneto                            - (spingendola a sinistra) Va bene! Andate!

SCENA XVII.

Oneto ed Andrea.

Oneto                            - (si muove agitato cante­rellando) Una mujer jué la causa, de mi dannacion primiera... (Vede Andrea sulla comune) Entra. Se permetti... ti do del tu...

Andrea                          - Si figuri, signor One­to! Anzi...

Oneto                            - Dammelo anche tu.

Andrea                          - Io? Ma le pare...

Oneto                            - Me lo dà Annetta...

Andrea                          - Grazie. Ma così di col­po... mi abituerò...

Oneto                            - Muy bient Qua la ma­no! (Rude stretta: fra sé) È for­te! (A voce alta) Vedi... adesso che siamo più in confidenza... mi sembra di poterti parlare libera­mente e franco. Non te ne avrai a male?

Andrea                          - Ma le pare! da lei!

Oneto                            - Buenos! Perché le cose che ti debbo dire sono serie... e bisogna essere in confidenza. E vedo che sei un uomo... così, giu­dicandoti a occhio e croce... e sento anche di volerti bene... e quando si vuol bene a qualcuno che lo merita, non si devono ave­re né ritegni, né pietà... false. Il chirurgo che s'intenerisce storpia il malato. D'accordo?

Andrea                          - D'accordo.

Oneto                            - (si muove inquieto e ir­resoluto) Una mujer jué... (Si fer­ma dinanzi ad Andrea non ancora ben rimesso dallo stupore e a bru­ciapelo gli chiede) Quanto guada­gni al Monte di Pietà?

Andrea                          - (esitante) Poco...

Oneto                            - Hay numera de andar adelante? Di far carriera?

Andrea                          - Se non muore qualcu­no da prenderne il posto...

Oneto                            - Non si deve sperare sulla morte altrui!

Andrea                          - Ma la prego di cre­dere...

Oneto                            - E allora, onestamente parlando, visto che con quello che guadagni non potresti mantener tua moglie... né, peggio ancora, i figli che possono venire... ti la­scio tirar le somme!

Andrea                          - Non ho mai pensato di prender moglie...

Oneto                            - L’intencion de casarte espanda? E l'Annetta? E quello che le hai promesso?

Andrea                          - Non ho promesso alla signorina Annetta che quanto può vincolare me. Le voglio bene.... ma oggi le condizioni sono muta­te e l'ho lasciata libera...

Oneto                            - Ma se le volessi bene davvero... invece di lasciarti ab­battere, dovresti reagire!

Andrea                          - E come e contro chi?

Oneto                            - Contro di te. Un uomo cerca... cerca e chi cerca bene trova.

Andrea                          - Se sapesse quanto ho cercato...!

Oneto                            - Non basta cercare qui, in questo cerchio ristretto! Se i nostri padri fossero rimasti chiusi fra quattro mura che cosa sarebbe oggi Genova? Bisogna andare avanti, coraggiosamente, affron­tare di scalata il problema della vita, quando non si è né fiacchi, né oziosi, né paurosi! Guai a in­tristire nel nido quando ci spun­tano le ali per volare! Se tutti quelli che nacquero qui, nobili o no, ricchi o no, fossero rimasti attaccati alla casa, che sarebbe oggi di Genova? Chi si chiude fra quattro mura si uccide e priva gli altri di sé. Non si vive per se stessi, solamente per sé! È per questo che la nostra razza resiste, che vince e che domina! Chi lavo­ra, chi ha una mèta, chi si giura di riuscire, genera intorno a sé confidenza, energia, affetto, simpatia! Noi liguri siamo forse duri, ma verso noi stessi prima che ver­so gli altri: attaccati al soldo, dicono, ma perché sappiamo quel che costa: senza paura dell'avve­nire perché prevediamo sempre il peggio e quindi siamo corazzati contro le disgrazie, le vigliacche­rie, i tradimenti. Non'ci si pasce d'illusioni, noi, ma si tengono ben posati i piedi sulla terra: ep­pure nessuno più di noi ha il cul­to delle memorie e sente la no­stalgia del suo paese. È questo che ci fa resistere alla fatica e agli uomini. Ma la nostra razza non si conserva intristendo sopra degli umili registri, avendo davanti una porta chiusa che s'apra soltanto quando muoia qualcuno. Aria! aria! aria! Il mondo è vasto e quando si ha qualche cosa, qui, nel cuore, che ci guida, no se puede saltar! Vedi... quando io sono partito... ero come te oggi... e in rotta con la famiglia per di più... con un ricordo che mi rosic­chiava il cuore per di più. Ma il filo che mi legava al mio paese, per sottile, quasi invisibile che fosse, lo portavo con me. Era un ideale. Poi seppi che mio cognato stava rotolando, poi morì... ed allora lo scopo diventò preciso... lavorai per due povere donne che senza di me, chi sa quel che sa­rebbero diventate... Mi sentii pa­dre... come mi sento... E la for­tuna mi ha sorriso. La fortuna va sempre incontro alle cose chiare, alle cose buone! Non credere agli inetti fortunati. Anche se l'ac­chiappano, poi non sanno tenerla. Se ne va com'è venuta. Per godere del buon vento bisogna sa­per tenere la scotta in mano! Ma io parlo, parlo... e tu? che dici tu?

Andrea                          - Io? Se sapesse quante volte ho pensato queste cose! Ma poi... c'è anche la mamma, sola...

Oneto                            - Non ti so dar torto... ma però l'hai egualmente! Caro mio, se si fosse pensato soltanto alla mamma, nessuno sarebbe par­tito per la guerra! E la vita è una guerra, e che guerra! Ma è appunto per la mamma innanzi tutto che tu devi, non lavorare soltanto, ma saper lavorare, e produrre! Quale avvenire prometti alla mamma, intristendo nel tuo ufficio e aspettando che muoia qualcuno? Che vecchiaia prepari alla mamma? A meno che il mar­chese Embriaco non cerchi di ven­dere il suo titolo a un sacco di scudi...

Andrea                          - Signor Oneto!

Oneto                            - Va là che ti ho indovi­nato... e ti conosco... come se fossi mio! (Gli circonda col braccio le spalle) Tu non sei di coloro ch appendono il cappello al chio­do! Sei onesto... hai coraggio... e il tuo sangue è di quello buono! Ascolta: laggiù, quando lavoravo come un negro, ho trovato un amico nella paccottiglia poco scel­ta. Era uno spaglinolo. Si vedeva il signore a occhio nudo, ma face­va di tutto, si prodigava più di qualunque altro, non indietreggia­va davanti alle necessità più dure e più umili. È riuscito: è ricco. Siamo sbarcati insieme a Cadice, e soltanto allora, dopo anni che si viveva come fratelli ho saputo che era un duca, un grande di Spagna di prima classe, di quelli che han­no il diritto di tenersi il cappello in testa davanti al Re... quando c'è. Suo padre s'era mangiato il patrimonio della famiglia e lui lo ha rifatto e adesso può portare il suo titolo e tenere il cappello in testa, meglio che se avesse spo­sato la pazza figliola di un miliar­dario.

Andrea                          - Lo invidio!

Oneto                            - Viva dios! Qui ti vo­levo! (Lo scuote, lo fissa negli oc­chi) Vieni con me... laggiù!

Andrea                          - (trasfigurato) Con lei?

Oneto                            - Claro! Chi ti trattiene? La mamma? Aspetterà. E... an­che un'altra... aspetterà. Se tu sei Andrea Embriaco... io sono Alessandro Oneto... Se Embriaco non si vende, Oneto non compra un marito a sua nipote. Zitto! Lo so che le hai voluto bene prima che fosse ricca! É per questo... anche per questo... che io ne voglio a te. Mi piaci, me gusti, te lo dico sui viso e intendo farti meritare amo­re e fortuna. Ci si annoia ben pre­sto di ciò che si ha senza fatica! Ma quello che ci è costato anni ed anni di stenti e di attesa, lo si ac­carezza come un bel sogno e lo si tiene stretto quando lo si ottiene. E sai perché? Perché lo si è me­ritato e non si arrossisce quando ci si guarda nello specchio. Ah! se tu sapessi come si fa bello il nostro paese per chi ne è lontano e lo rivede nella nebbia dei ricor­di! Come li sentiamo più nostri, affetti, persone e luoghi! E come dopo aver faticato e sofferto... perché il lavoro è fatica e soffe­renza per chi ha la coscienza della propria responsabilità... se sapessi quanto è roseo il ritorno, anche a costo di pentimenti e disillusioni! Vedi... quando sono tornato... do­po tanti anni... e qui non c'era per me né una mamma né una fidanzata... all'apparire nella pri­ma alba della pennellata nera di Portofino... mi parve che il cuore mi si staccasse di qui e corresse incontro... a che cosa? Non so: ai luoghi, alle memorie, ai morti! Sentivo un vuoto qui dentro, ma così dolce che... non ridere... mi parve di sentirmi gli occhi umidi come una donnetta! A te invece quando tornerai, fatto uomo, pro­vato dalla vita, con le mani che sapran lavorare da sé... Portofino, la Lanterna, le alture, le. case, ti diranno tante cose più che a me! Tu lasci qui la mamma... tu lasci qui colei che sarà un giorno la tua compagna., la madre dei tuoi fi­gli... Sentirai che tremito, che pe­na dolce quando vedrai Genova, anzi quando la sentirai prima di vederla nella nebbia del mattino... questa nostra bella Genova che non puoi apprezzare come non si apprezza il tesoro che si ha sem­pre sotto gli occhi... Ti sentirai... come io le ho sentite... le lagrime agli occhi... e non te ne vergogne­rai e le lascerai cadere... Saran dolci, buone, oneste, dignitose e ti compenseranno già quelle di tutte le fatiche e le sofferenze, come compensa il sentimento di aver fatto il proprio dovere!

Andrea                          - (correndo a lui con le mani tese) Caro Alessandro.... ora sento di poterti dar del tu... come a un fratello maggiore...

Oneto                            - Di' pure... come a un padre... Non vedi che ho i capelli bianchi? (s'abbracciano).

SCENA XVIII.

Annetta e detti.

Annetta                         - (sporge la testa da si­nistra) Zio! Oh!

Oneto                            - Chiama la marchesa e la mamma!

Annetta                         - Subito!

SCENA XIX.

La Marchesa, Annetta, Luisa, Oneto e Andrea.

Oneto                            - (andando incontro alla Marchesa) Le ho promesso di parlare a suo figlio... Fatto! (Con una mano sulla spalla di Andrea) È un uomo... e fra uomini si va d'accordo. Parte con me... viene laggiù!

La Marchesa                 - Oh Dio! (Luisa e Annetta congiungono le mani in atto di stupore).

Oneto                            - Viene con me... per la­vorare davvero, per guadagnarsi le tre belle cose che l'aspettano qui: la mamma, la fidanzata e il suo paese! (Spinge Andrea nelle braccia della Marchesa).

Annetta                         - (abbracciandolo) Ca­ro! Caro zio! Come ti voglio bene! Lo riporterai presto?

Oneto                            - A me? Sta tranquilla: ho capito. Lo riporterò presto.

La Marchesa                 - (avvicinandosi a Oneto mentre Luisa, Annetta e Andrea fanno gruppo) Non se ne può fare a meno?

Oneto                            - No: è per il suo bene!

La Marchesa                 - Allora... glielo affido!

Oneto                            - Stia tranquilla. Gli ter­rò gli occhi addosso come se fos­se... mio figlio!

SCENA XX.

Detti, Cesira, il Cavalier Zérega.

Cesira                            - (a un suono di campa­nello interno esce da sinistra ed entra dalla comune, donde riap­pare) Il cavaliere!

Oneto                            - Venga! Venga! Buon anno!

Zjérega                          - Buon anno! (Piano a Oneto) Ho portato due righe di progettino.

Oneto                            - Ah! già È vero! Ma, vede, in un'ora le mie ambizioni sono cresciute...

Zérega                           - Godo... godo...

Oneto                            - Goda pure... Ma in quanto al progetto deve conten­tarsi di quello che le ho dato (Zérega lo fissa, sorpreso) Jaque ma­te...! Scacco matto!

 

                                                             FINE