Se don Tano parlasse

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Se don Tano parlasse

Se don Tano parlasse

Atto unico

di Salvatore Magno

Se qualcuno ritenesse questo copione degno di essere messo in scena, l’autore chiede solo di esserne informato: salvamagno@libero.it

Personaggi:

Gaetano Ascalone detto Don Tano – anziano mafioso

Franco De Giovanni – Magistrato

Due agenti di polizia penitenziaria

Ufficio del giudice Franco De Giovanni. Appeso al muro alle spalle del giudice il ritratto del Presidente della Repubblica, il diploma di laurea, varie foto che lo ritraggono con personalità o nell’atto di ricevere premi. Sulla scrivania la foto delle due figlie. Unica finestra a sinistra a lucernaio dal quale pende una corda che serve per aprirla e chiuderla a destra la comune. Librerie e scaffali ricolme di libri e carteggio vario. Proprio alle spalle appeso al muro un quadretto con il motto di G. Mazzini “la vita è missione ed il dovere è la legge suprema”.

Bussano.

Giudice:          Avanti, chi è?

Poliziotto 1:    Signor giudice, il prigioniero è arrivato.

Giudice:          Ah bene, bene, venite, venite avanti, fatelo entrare.

Entrano due poliziotti che tengono al centro un uomo anziano che si muove con difficoltà. Il recluso ha le manette ai polsi, indossa una tuta da operaio ed ha il viso nascosto da un berrettino a visiera.

Giudice:          perché questa pagliacciata? Chi ha ordinato di combinarlo così?

Poliziotto 1      Il direttore signor giudice. E poi il regolamento è chiarissimo quando si tratta di detenuti pericolosi.

Giudice:          Pericolosi, ma fatemi il piacere. Stiamo parlando di un vecchio di ottant’anni che non è più capace nemmeno di reggersi in piedi da solo. Pericoloso … toglieteli quelle cose dai polsi, ed anche quel ridicolo cappello.

Poliziotto 2:    (togliendo il cappello al detenuto) ora che siamo arrivati … per il cappello nessun problema signor giudice ma, le manette …

Giudice:          Oh via, non penserete che riesca da solo e disarmato a sopraffare noi tre. E poi qualunque cosa dovesse accadere vi autorizzo sin da ora a fare fuoco senza pietà, d’accordo?

Poliziotto 2:    Ma il regolamento …

Giudice:          Il regolamento vi autorizza ad usare certe misure durante il trasporto. Il trasporto è terminato nel momento in cui avete varcato la soglia di quest’ufficio. Ora la responsabilità è mia. Toglietegli quelle manette.

Poliziotto 1 anche se a malincuore esegue.

Giudice:          (rivolto all’anziano) prego si segga.

Il detenuto siede di fronte alla scrivania del giudice. I due poliziotti si pongono ai due lati dell’uomo.

Giudice:          So che è una cosa noiosa, ma è la procedura e non posso fare a meno di applicarla. (apre un voluminoso fascicolo) Siete voi Gaetano Ascalone, detto don Tano, nato a Corleone il 25 febbraio 1924?

Il detenuto alza la testa e guarda il giudice. Il corpo esile e curvo è in netto contrasto con il viso forte e lo sguardo aperto e fiero. Poi si volta prima da un lato e poi dall’altro lasciando intendere che alla presenza dei due poliziotti non dirà nemmeno il proprio nome. Il giudice intuisce le intenzioni del vecchio.

Giudice:          (rivolto ai poliziotti) potete accomodarvi, per favore?

Poliziotto 1:    Noi abbiamo ordini …

Giudice:          Gli ordini … gli ordini, agente, in questa stanza li do io! Da dove volete che scappi? Sempre ammesso che voglia scappare. Aspettate fuori, vi chiamerò appena finito.

Poliziotto 1:    come vuole.

I due poliziotti escono.

Giudice:          Allora, devo ripetere la domanda oppure potete rispondermi adesso?

Don Tano:     Certo che siete un bel tipo voi. Sapete chi sono, e lì dentro tenete scritto pure quanti peccati ho sulla coscienza. Conoscete i miei figli e i miei nipoti e sapete pure cosa mangiano oggi a mezzogiorno eppure mi venite a chiedere chi sono …

Giudice:          E’ la procedura, e lei dovrebbe conoscerla bene.

Don Tano.      Ah già, la procedura, i regolamenti …

Giudice:          Esatto. Il regolamento. Allora, siete voi Gaetano Ascalone detto don Tano nato a Corleone il 25 febbraio 1924?

Don Tano:     Io sono.

Giudice:          Lei sa benissimo perché è qui. Ci siamo già incontrati varie volte. Io penso di conoscerla abbastanza bene e sicuramente lei conosce abbastanza bene me. Sono sicuro di non sbagliarmi dicendo che siamo due uomini pratici, che non amano perdersi in chiacchiere e preferiscono andare subito al sodo.

Don Tano:     Già.

Giudice:          Da dove vuole che cominciamo?

Don Tano:     Signor giudice, mi avete fatto venire fino a qui e non sapete neppure quello che volete?

Giudice:          Avrei preferito che parlasse lei, spontaneamente.

Don Tano:     Ma io non tengo niente da dire signor giudice. Ho come l’impressione che questa volta qualcuno vi ha dato delle informazioni sbagliate.

Giudice:          Nessuna informazione sbagliata. D’accordo, cominceremo da quando siete entrato nella cosiddetta “onorata società”. Avevate 17 anni, allora, poco più di un bambino …

Don Tano:     Dalle vostre parti, forse. Ma qui da noi, signor giudice, in questa bella terra mangiata dal sole … Forse è bene che ci racconti come si diventa uomini a 17 anni dalle mie parti. Vedete signor giudice, c’era un contadino, Vincenzo Ascalone si chiamava, voleva zappare un pezzo di terra. Qualcuno andò da lui e ci disse che non si poteva fare, ma quello, Vincenzo Ascalone teneva la testa dura, quella terra la voleva zappare per forza. E allora la terra gliela regalarono quella terra, due metri, tutti per lui, per l’eternità. E quando succedono queste cose, signor giudice, un ragazzo deve crescere subito, e deve scegliere se stare dalla parte del calcio o da quella della canna.

Giudice:          Belle parole che però non giustificano la sua scelta di porsi al di fuori dello Stato.

Don Tano:     Lo Stato? Venite a parlarmi di Stato? Voi a me? Dov’era lo Stato quella notte che si presero a mio padre e lo portarono proprio sulla terra che voleva zappare? Dov’era lo stato mentre Vincenzo Ascalone lasciava una vedova e un orfano?

Giudice:          Se voi siciliani imparaste una buona volta ad avere fiducia nelle istituzioni. Se Vincenzo Ascalone si fosse rivolto alla giustizia … ora non saremmo qui … ma oggi … oggi suo figlio Tano ha la possibilità di farlo. Non per sé, ma per quei tanti Vincenzo Ascalone che non hanno il coraggio di ribellarsi, per tutti quei Vincenzo Ascalone che sono finiti sotto terra. Le stò offrendo l’occasione di lasciare quel mondo fatto di morti, di sangue innocente, di spezzare la catena che ha trascinato suo padre nella tomba. Ci pensi che bella carta si può giocare oggi, il suo nome nella storia di questo paese. Le stò offrendo l’occasione di fottere la morte … ci pensi.

Don Tano.      Il dottore ha parlato. Sapete tutto.

Giudice:          Di che cosa parla?

Don Tano:     Di che cosa parlo io? Mi avete preso per lo scemo del villaggio? Oppure pensate che sono sopravvissuto in un mondo come quello che mi sono scelto solo perché sono bello? Il dottore ha parlato. Voi sapete che sono malato di cancro e che mi restano meno di sei mesi di vita.

Giudice:          Ha capito. E le dirò che la cosa non mi spiace affatto. Ora possiamo giocare a carte scoperte.

Don Tano:     A voi il mazzo, allora.

Giudice:          La servo subito. Lei ha ottant’anni suonati. 30 li ha passati in prigione. Il cancro si sta mangiando quel poco che le rimane da vivere … quindi …

Don Tano:     Quindi?

Giudice:          Non faccia il finto tonto Ascalone. E’ vecchio e sta per morire. Quale interesse ha a rimanere zitto? Ormai nessuno può toccarla. Parli, stronchi finalmente quei quattro balordi che del suo silenzio godono da trent’anni!

Don Tano:     Allora, secondo lei io dovrei … pentirmi.

Giudice:          Certo! Ormai non ha più niente da perdere.

Don Tano:     (prende la foto dalla scrivania e la osserva per qualche secondo in silenzio) Che belle bambine, sono vostre?

Giudice:          Sì … ma … cosa c’entrano …

Don Tano:     Oh no, niente, non vi allarmate, non vi allarmate. Non volevo spaventarvi. E’ che alla mia età, che volete, tengo anch’io dei nipotini, ma non mi conoscono … non ho mai potuto fare il nonno.

Giudici:          Si vendichi allora, si riprenda un po’ di quella vita che le hanno tolto. 30 anni di galera li faccia valere qualcosa. Parli Ascalone, parli, si penta!

Don Tano:     Voi volete davvero che io parli?

Giudice:          Sì!

Don Tano:     Statemi a sentire allora. Senza interrompermi. Accendete quell’affare che tenete nascosto nel cassetto … anzi mettetelo sopra la scrivania, che a me piace parlare in faccia a chi mi ascolta, cose o persone che siano.

Il giudice estrae dal cassetto un mini registratore lo posa sulla scrivania e lo accende.

Don Tano:     Mi chiamo Gaetano Ascalone, ma tutti mi conoscono come don Tano, perché sono uomo di rispetto. Ho ottant’anni e sto per rendere l’anima al Creatore. Voi mi chiedete di parlare. E cosa volete che vi dica: “La meglio parola è quella che non si dice?” O “Io non c’ero e se c’ero dormivo e se dormivo sognavo e se sognavo sognavo di stare da un’altra parte?” Oppure preferite “Io niente vidi e niente so e se niente vuol dire qualche cosa manco quello so”. Ma sono cose che avrete sentito centinaia e centinaia di volte, non serve uno come me per ripeterle. E allora di cosa dovrei parlare secondo voi? Dei giornalisti che avete già convocato e che aspettano nella stanza di fronte le clamorose rivelazioni di don Tano? Mi sembra di sentirli: se don Tano parlasse, quante pentole scoperchiate, quante verità nascoste verrebbero finalmente a galla, Ma quali verità signor Giudice? Quali verità? Quelle vostre, quelle mie, quelle del procuratore capo oppure quelle del giornalista di turno capace di mettermi in bocca cose che non ho detto e che non direi mai e nascondere quello che dico; o quelle del “politico” che in base alla sua convenienza interpreta le mie parole “leggendo fra le righe” o quelle del comune uomo della strada che ne saprebbe qualcosa dai telegiornali e non ci capirebbe niente lo stesso. Se don Tano parlasse. In questo momento in tante case di questo paese c’è gente che trema al solo pensiero: se don Tano parlasse. Che cosa vuole signor giudice? Quale testa vuole che metta sul suo piatto d’argento? Quella di qualche politico che si è fatto baciare dalla persona sbagliata? O quella di qualche industriale corruttore e corrotto che vende subappalti a ditte che sono “Cosa Nostra?” Oppure qualche giornalista che nasconde verità scomode dietro fiumi di parole stampate? Oppure, magari voi lo preferite … una bella talpa a Palazzo di Giustizia. Un giudice corrotto fino alle ossa che aggiusta processi e che “informa” chi di dovere. Se don Tano parlasse … quanta gente che vive di gloria e denaro si troverebbe con le pezze al sedere in mezzo alla polvere. Ah se don Tano parlasse, crollerebbero palazzi e intere città andrebbero a fuoco … se don Tano parlasse. Certo, per voi sarebbe bello, se don Tano parlasse, potreste mettere la vostra armatura da don Chisciotte, salire in groppa a Ronzinante e partire alla liberazione di Dulcinea … ma io vi sembro Sancho Pancha? Vi sembro un pupo, che si può tirare un po’ di qua e un po’ di là? Guardatemi in faccia signor giudice. E’ questo che vi sembro? Un pupo?

Giudice:          Forse non le è mai venuto in mente che se don Tano parlasse potrebbe portare a questa terra un po’ di giustizia … serenità.

Don Tano:     ma che cosa mi venite a raccontare signor giudice. Questa terra ha sopportato di tutto, i fenici, gli arabi, i Borboni, Napoleone e ora i piemontesi … tante parole ma nessuno di tutti questi ha fatto qualche cosa per la mia gente. Ora arrivate voi e  pensate che se don Tano parlasse …

pausa

nella preistoria esisteva un animale, lo chiamano il “fantasma marino”. Si tratta di una medusa gigantesca. Se uno la guarda di sopra, vede questa cosa che si nutre di alghe, soltanto di alghe. Ma se uno scende a fondo, scopre centinaia di tentacoli che divorano tutto quello che incontrano, e se qualcuno cerca di distruggerla si ritrova a combattere contro centinaia di ragnetti che campano di quella medusa. Allora voi mi direte: “Quella medusa è invincibile?” No, perché se il mare è in tempesta la frantuma e la manda in mille pezzi e quella non riesce a campare, ma appena il mare si calma, quella rinasce e ricomincia a mangiare. Solo se il mare è sempre agitato la medusa muore. Siete capace voi di tenere il mare sempre agitato?

Giudice:          Ma una tempesta comunque può servire …

Don Tano:      Voi o non volete sentire, o non volete capire. Io sono nato in una Sicilia che non esiste più. Sono cresciuto alla scuola degli Anastasia, dei Luciano. Mio padre zappava la terra, signor giudice, e fu ucciso perché voleva solo zappare la terra. Io tenevo 17 anni quel giorno, ma quando ne compii 18 nessuno di quelli che avevano ammazzato a mio padre camminava più su questa terra. Io a questi cachielli che voi chiamate mafia me li mangiavo a colazione. E voi pensate che per 30 anni IO, don Tano Ascalone non ho parlato per paura di quelli là? Per chi mi avete preso signor Giudice? Per uno di quelli che Sciascia chiamava quaqquaraqquà? Noi, e quando dico noi parlo della mafia vera, di quella degli uomini d’onore, prima di ammazzare a qualcuno, prima di mettere … una bomba, e voi capite di cosa parlo, sapevamo capire se serviva oppure no, se era meglio aspettare oppure no, noi sapevamo aspettare, usavamo il cervello prima del braccio.  Voi da me volete sapere cosa è la mafia? Vi servo subito. Ci sono tre magistrati che vorrebbero diventare procuratori, il primo è intelligentissimo, il secondo tiene l’appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino ma proprio quello diventerà procuratore. Questa è la mafia. Se don Tano parlasse, signor giudice, servirebbe solo a creare un altro bersaglio. La mafia, quella vera dico, è come un elefante, si muove lenta, a volte ci mette tempo per capire, ma una cosa è certa … non dimentica. Voi volete che io mi pento. E io mi pento, ma non a lei, non allo “Stato” e neppure alla “Giustizia”. Gaetano Ascalone si può inginocchiare solo davanti a chi gli è superiore: Dio. Mi manca poco tempo ormai, e io tengo già tante cose da farmi perdonare da Nostro Signore, non mi fate andare di là con il peso di aver creato altri due orfani.

Pausa

Vedete signor giudice, quando uno vuole costruire, và da un architetto, se uno è malato, và dal medico. Io non sono architetto e neppure medico. Se don Tano parlasse, ma don Tano non parla e se proprio non capite il perché, dite che don Tano non parla perché è uomo d’onore, e un uomo d’onore non parla. E ore se non vi dispiace, signor Giudice, fatemi riportare in cella, sono vecchio, il cancro mi sta mangiando pezzo a pezzo e queste cose mi stancano assai.

Il giudice suona un campanello. Dopo qualche istante entrano i poliziotti.

Giudice:          Abbiamo finito. Potete riportarlo in cella.

I due poliziotti si avvicinano al detenuto, gli rimettono le manette e il berretto e si avviano all’uscita.

Giudice:          Finisce così?

Don Tano:     Finisce così, credete a me, è meglio per tutti. (si incammina poi si ferma improvvisamente) me lo fate un favore?

Giudice:          Dica …

Don Tano:     Date un bacio alle vostre bambine da parte mia … ditegli che è il bacio che gli manda … un nonno un po’ speciale.

Si volta ed esce accompagnato dai poliziotti mentre il giudice annuisce con la testa.

Sipario