Sera d’autunno

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DON

SERA D’AUTUNNO

Titolo originale dell’opera: Abendstunde im spatherbst

Commedia utopistica

sulla fenomenologia dello scrittore

di FRIEDRICH DURRENMATT

Traduzione di Italo Alighiero Chiusano

                                                                                    

PERSONAGGI

L’AUTORE

IL VISITATORE

IL SEGRETARIO

Commedia formattata da

II sottotitolo, Utopische Komódìe zur Phànomeologie des Schrìjtstellers (Commedia autopistica sulla fenomenologia dello scrittore) vale immediatamente a precisare le intenzioni satiriche e quindi anche i limiti dell'opera del commediografo. Che cos'è lo scrittore, quale il suo rapporto d'uomo con il libro ch'egli produce e col pubblico che di questo libro diventa lettore e giudice quando addirittura non si muti in vittima? Durrenmatt, per fornire la rispo­sta a quest'interrogativo, immagina un caso-limite e lo svolge in termini d'acre ironia in Sera d'autunno. Uno scrittore celeberrimo, cinico violento beone, riceve una sera - una sera d'autunno - la visita di un ignoto ammiratore o sedicente tale. Nel corso del colloquio che ne segue il signor Temistocle Hofer, così si chiama il visitatore, rivela all'illustre ospite la ragione vera della propria presenza. Ha scoperto, crede di aver scoperto come le azioni descritte nei libri dello scrittore - omicidi, violenze, ogni sorta di perpetrazioni criminali - non siano frutto di fantasia sebbene opera di colui stesso che ne fa oggetto di trasfigurazione artistica. In parole povere: il signor Hofer ha scoperto che lo scrittore Massimiliano Federico Korbes è soltanto il cronista delle proprie nere azioni, un assassino che sa scrivere in bella prosa. E poiché l'indagine l'ha ridotto in miseria avendo egli dovuto seguire il letterato nelle sue costose peregrinazioni, ecco che cosa chiede il signor Hofer: qualche soldarello tutti i mesi, un sei o settecento franchi svizzeri per campare e tacere. Un ricatto. Di qui in avanti si scatena il paradosso ch'è il succo e il sale della commedia. Senza scomporsi, Korbes smonta l'interlocutore riconoscendosi bensì autore delle nefandezze illustrate nei propri libri ma ag­giungendo che ciò è a tutti noto, non solo, ma ch'è perfettamente lecito anzi, in certo modo, indispen­sabile al travaglio della creazione artistica: «...Sem­pre più l'umanità è succube della macchina - af­ferma lo scrittore, - la libertà, l'avventura, l'amore e l'assassinio li trova soltanto più nell'arte. La let­teratura si è trasformata in una droga che aiuta a vivere una vita diventata impossibile. Ma per fab­bricare questa droga, gli scrittori debbono vivere quella vita che descrivono. Essi sono così prigionieri nell'inferno delle loro opere... ». Il povero signor Hofer diventerà anche lui - visto ch'è caduto così a buon punto nell'esistenza dello scrittore bisognoso di continua ispirazione          - un episodio reale da mutarsi in testo letterario.

Gigi Cane

 L'Autore                      - (questa prima parte si può considerare anche soltanto come semplice descrizione psicolo­gica o avvertenza introduttiva) Signore e si­gnori! Per prima cosa vorrei descrivere, quasi fossi uno scenografo teatrale - o meglio, qualora esi­stesse, uno scenografo radiofonico - il luogo in cui avviene questa strana, ma - ve lo giuro -veridica istoria. Certo, non è senza pericolo rac­contar fatti realmente accaduti: qualcuno della polizia, o addirittura un pubblico accusatore, po­trebbe essere presente, anche se non per servizio; eppure mi posso permettere questo rischio, perché so che lor signori non prenderanno per vera questa mia verissima storia, almeno ufficialmente; poiché in realtà - in maniera non ufficiale se così posso esprimermi - voi sapete tutti benissimo (com­preso l'eventuale pubblico accusatore o il poliziotto), che io racconto soltanto fatti realmente accaduti. E adesso, signore e signori, posso chie­dervi un piccolo sforzo di fantasia? Vogliate imma­ginare il salone dell'appartamento di un grande albergo. Prezzi proibitivi, da ladri. Modernissimo, allestito per un soggiorno piuttosto lungo. Ci sia­mo? Alla vostra sinistra vedete diversi tavoli acco­stati insieme. V'interessa la fucina in cui lavora uno scrittore? Prego, avvicinatevi. Siete delusi? Lo am­metto, anche lo scrittoio di uno scrittore assai meno illustre può avere quest'aspetto. Una montagna di carte, una macchina per scrivere, diversi dattilo­scritti formicolanti di correzioni in diversi colori, e poi matite, penne a sfera, gomme per cancellare, un grosso paio di forbici, un barattolo di colla. Dietro questo guazzabuglio di roba, una specie d'im­provvisato bar domestico: cognac, whisky, assenzio, vino rosso, eccetera. Anche questo non ci dice nulla sulla grandezza, la qualità, il genio dello scrittore in questione: non depone a suo favore, ma nemmeno contro di lui. Ma rassicuratevi: la parte destra della camera è molto ordinata. O me­glio: è relativamente ordinata. Poltrone, spaziose, morbide, comode, di linea modernissima, e dovun­que, sparpagliati, libri e ancora libri, e alle pareti, fotografie, ritratti di... Ma questo lo saprete tra poco. E adesso osserviamo i due personaggi prin­cipali del dramma. Cominciamo da me... Sì, avete inteso bene: uno dei personaggi principali sono proprio io, mi dispiace, non so che farci. Ma vo­glio cercare di non spaventarvi così alla sprovvista. Perciò mi sposto pian piano verso destra, esco pro­prio ora dalla mia camera da letto, evidentemente la notte scorsa ho... Be', quel che è successo la notte scorsa non riguarda nessuno, anche se lo si potrà leggere su svariati giornali, nella « Gaz­zetta della Sera», ad esempio, o in «Figura» se ne leggono tante, sul mio conto, in certi gior­nali!, la mia vita è disordinata, dissoluta, tutta un bagliore di scandali, non mi sogno affatto di ne­garlo, e del resto, poi, basta dire il mio nome: Korbes... Sì, avete inteso bene anche adesso. Sono Massimiliano Federico Korbes, romanziere, Premio Nobel eccetera eccetera: grasso, abbronzato dal sole, la barba di qualche giorno, un possente cranio calvo. Le mie qualità: sono brutale, bado al sodo, mi ubriaco. Come vedete, sono sincero, anche se mi limito a riferire l'impressione che il mondo ha di me. Può darsi che sia un'impressione giusta. Ma chi può dire di conoscere un uomo, di conoscere se stesso? Non facciamoci illusioni. Io, almeno, non mi conosco che vagamente. Ed è logico. Le occa­sioni di conoscere se stessi sono rare, e ora, perciò, mi conoscerete in una determinata occasione, in cui anch'io ebbi a conoscere me stesso. Spero che vi divertirete: io, almeno, mi son divertito molto. Ma prima, un'ultima osservazione circa il mio abbiglia­mento. Anche stavolta vi chiedo scusa, specialmente alle signore. Indosso i calzoni del pigiama e una giacca da casa, aperta: il mio petto nudo, coperto di peluzzi bianchi, è mezzo visibile. In mano un bicchiere vuoto. Sto per recarmi al mobile-bar, ma poi mi fermo, sorpreso, vedendo un signore in piedi nel mio studio.

Il Visitatore                   - (timido) Non dubito di trovarmi al cospetto del famoso e ammirato scrittore Massi­miliano Federico Korbes.

L'Autore                       - (villano) Al diavolo, che state facendo nel mio studio?

Il Visitatore                   - Mi ha introdotto il vostro se­gretario. E' più di un'ora che aspetto.

L’Autore                       - (dopo una pausa, un po' ammansito) E voi chi siete?

Il Visitatore                   - Il mio nome è Hofer. Timoteo Hofer.

L’Autore                       - (diffidente) Mi sembra di avervi già visto.

Il Visitatore                   - E' possibile. Sì sì, è possibile.

L’Autore                       - (sopra pensiero)   Devo avervi già visto da qualche parte.

Il Visitatore                   - Molto probabile. L'Autore            - (con un'illuminazione improvvisa) Non sareste, per caso, quel mezzo matto che mi bombardava di lettere?

Il Visitatore                   - Precisamente. Da quando risie­dete a Iselhòhebad. Ho tentato, dapprima, con le lettere. Poi mi feci annunciare, ogni mattina, dal portiere dell'albergo. Non mi voleste ricevere. Fi­nalmente appostai il vostro segretario. Un giovane austero.

L'Autore                       - Studente di teologia.

Il Visitatore                   - Solo a prezzo d'infinita pazienza riuscii a convincerlo che questo nostro incontro sa­rebbe stato, per «entrambi», di portata incalcola­bile, illustre maestro.

L'Autore                       - Mi chiamo Korbes. Lasciate da parte l'i illustre maestro».

Il Visitatore                   - Egregio signor Korbes.

L'Autore                       - Giacché siete lì vicino al bar, passatemi la bottiglia del whisky: lì a sinistra, quella.

IlVisitatore                   - Prego, tenete.

L'Autore                       - Tante grazie. (Si versa da bere) Ne volete uno anche voi?

Il Visitatore                   - E' meglio di no. L'Autore - Un assenzio? Qualche altro liquore?

Il Visitatore                   - Nemmeno, grazie.

L’Autore                       - (diffidente) Astemio?

Il Visitatore                   - No, solo prudente. In fondo, mi trovo dinanzi a un gigante intellettuale. Mi sento un po' come san Giorgio prima della lotta col drago.

L'Autore                       - Siete cattolico?

Il Visitatore                   - Protestante.

L’Autore                       - Ho sete. Ho bevuto troppo, la notte scorsa e oggi.

Il Visitatore                   - Dovreste riguardarvi.

L’Autore                       - (villano) Tenetevi per voi i vostri consigli!

Il Visitatore                   - Sono svizzero, signor Korbes. Permettete che osservi più da presso la stanza in cui lavora il poeta?

L’Autore                       - Lo scrittore.

Il Visitatore                   - In cui lavora lo scrittore? Dovunque libri, manoscritti. Posso guardare le foto­grafie appese alle pareti? William Faulkner. Con dedica autografa: «Al mio caro Korbes». Thomas Mann: «Al mio ammirato Korbes, il suo intimi­dito Thomas». Hemingway: «Al mio incompara­bile amico Korbes, il suo Ernest». Henry Miller: «Al mio fratello spirituale Korbes. Solo nell'amore e nell'omicidio siamo ancora sinceri». E ora la ve­duta dalla finestra. Superba, la vista sul lago, con le montagne là dietro e, di sopra, le mutevoli forme delle nubi. Qui si sente ciò che manca, purtroppo, alla mia patria: la vastità, l'ampiezza d'orizzonte. Ed ecco che sta tramontando il sole. Vermiglio. Possente.

L’Autore                       - (diffidente) - Scrivete, per caso?

Il Visitatore                   - Leggo, signor Korbes. Leggo i vostri libri. (Solenne) « Bill beveva del whisky. Whisky rubato. La polizia se n'era andata, ora stava perlustrando le paludi. Bill beveva e fissava Frank,  intento a tirar le cuoia. Una pallottola nel ventre, una morte complicata. Mista a dubbi sulla bontà divina, più tardi su Dio stesso, mista a bestemmie. I Bill taceva. Non c'era più nulla da fare. E finalmente Frank fu spacciato. Bill ammiccò nel sole, che, dall'alto della collina, rotolava verso la città. Si fece scuro, poi notte fonda. Bill beveva ancor sempre whisky, ma non pensava più a Frank. La polizia si stava di nuovo avvicinando. Bill pensava alla ragazza».

 

L’Autore                       - Accidenti!

Il Visitatore                   - Ho citato un brano dalla vo­stra « Relazione sull'assassinio di una ragazza ».

L’Autore                       - Mi avete letto con molta attenzione. Siete insegnante?

Il Visitatore                   - Sono contabile. Contabile in pensione della ditta Oechsli e Trost, di Ennetwyl presso Horck.

L’Autore                       - Sediamoci.

Il Visitatore                   - Grazie, grazie infinite. Confesso che ho una certa soggezione di queste sedie ultra­moderne. Un appartamento di lusso, il vostro.

L’Autore                       - Son di lusso anche i prezzi.

Il Visitatore                   - Lo immagino. Iselhòhebad è una località molto cara. Per me è un disastro. E sì che abito assai modestamente alla Pensione Miralago. (Sospirando) Adelboden era un po' più accessibile.

L’Autore                       - Adelboden?

Il Visitatore                   - Adelboden, sì.

L’Autore                       - Ci sono stato anch'io, ad Adelboden.

Il Visitatore                   - Lo so. Voi stavate al Grand Hotel Wildstrubel, io al pensionato Pro Senectute.

L’Autore                       - Ecco perché mi pareva di avervi già visto!

Il Visitatore                   - Ci siamo incontrati qualche vol­ta. Ad esempio, sulla funicolare che porta all'alpe di Aengstli, sulla terrazza delle terme di Baden-Baden...

L’Autore                       - Eravate anche a Baden-Baden?

Il Visitatore                   - Sissignore.

L’Autore                       - Durante il mio soggiorno lassù?

Il Visitatore                   - Appunto. Al Focolare Cristiano Siloe.

L’Autore                       - (impaziente) Ho poco tempo a dispo­sizione. II mio tenore di vita è dispendiosissimo. Sono costretto a lavorare come un negro, signor...

Il Visitatore                   - Timoteo Hofer.

L’Autore                       - Signor Timoteo Hofer. Non posso dedicarvi più di un quarto d'ora. Siate breve: di­temi che cosa desiderate.

Il Visitatore                   - Vengo per uno scopo molto preciso.

L’Autore                       - (alzandosi in piedi) A chiedermi un prestito? Non mi avanzano soldi per nessuno. Esi­ste una tal quantità di persone che non sono scrit­tori e cui ci si può rivolgere per danaro, che sa­rebbe il caso di lasciare in pace chi esercita la mia professione. Del resto, il premio Nobel è già sfu­mato da un pezzo. E adesso permettetemi di salu­tarvi, il quarto d'ora è già trascorso.

Il Visitatore                   - (si è alzato anche lui) Illustre maestro...

L’Autore                       - Korbes.

Il Visitatore                   - Illustre signor Korbes...

L’Autore                       - Andatevene!

Il Visitatore                   - (disperato) Ma c'è un equivoco. Non sono venuto per spillarvi denaro, ma perché... (deciso) perché sono diventato un detective.

L’Autore                       - Un detective?

Il Visitatore                   - Un investigatore privato.

L’Autore                       - (dà un respiro di sollievo) La cosa cambia aspetto. Torniamo a sederci.

Il Visitatore                   - Tante grazie.

L’Autore                       - Versiamoci un altro po' di whisky.

Il Visitatore                   - Prego, prego.

L’Autore                       - Sicché siete un investigatore privato. Ah, mi date un bel sollievo.

Il Visitatore                   - La mia professione non vi spa­venta?

L’Autore                       - C'è una sola professione che ha il dono di spaventarmi: quella dell'agente pignoratore, dell'usciere.

Il Visitatore                   - Anche il mio mestiere, sapete, non è di tutto riposo. Già da contabile dovevo sco­prire parecchie cose, far del lavoro investigativo. Non senza successo, se mi è lecito dirlo. Più di una associazione mi nominò revisore onorario. Arrivavo sino alla scoperta di piccole irregolarità, di piccoli ammanchi; anzi, in qualità di revisore ausiliario della città di Ennetwyl, riuscii persino a mandare in galera il cassiere comunale per appropriazione indebita di fondi pupillari. Senonché, giunto a una certa età, avendo da parte qualche risparmio, e dato che mia moglie era morta senza figli, decisi di dedicarmi totalmente alla mia inclinazione, e ciò grazie alla lettura dei vostri libri.

L’Autore                       - Dei miei libri?

Il Visitatore                   - Dei vostri immortali libri! La mia immaginazione si accese alla loro lettura. Li divorai con interesse spasmodico, febbrile, ne fui addirittura travolto. Quando la sera, stanco morto, tornavo a casa dal mio ufficio, vedevo me stesso, in veste di detective, girovagare attraverso i mondi creati dalla vostra fantasia. Dio del cielo, e adesso eccomi qui seduto accanto a un Premio Nobel, mentre il sole tramonta dietro la cresta dell'Hùtli e voi bevete whisky...

L’Autore                       - Avete una certa vena poetica, caro Timoteo Hofer.

Il Visitatore                   - Lo devo alla lettura delle vostre opere.

L’Autore                       - Mi dispiace. Ma forse posso aiutarvi Il ministro della polizia è mio amico. Quali cono­scenze avete? In che branca della criminalità vi siete specializzato? spionaggio? adulterio? traffico di stupefacenti? tratta delle bianche?

Il Visitatore                   - Mi sono specializzato in campo letterario, signore.

L’Autore                       - (alzandosi in piedi, severo) Quand'è così, devo pregarvi per la seconda volta di uscire immediatamente da questa stanza!

 

Il Visitatore                   - (alzandosi anche lui) Egregio signor Korbes...

L Autore                       - Siete diventato critico letterario.

Il Visitatore                   - Permettete di spiegarvi...

L’Autore                       - Fuori di qui!

Il Visitatore                   - (disperato) Ma io ho esaminato le vostre opere solo dal punto di vista strettamente criminale!

L’Autore                       - (calmandosi) Ah be!... se è così re­state pure.

Il Visitatore                   - Tante grazie.

L’Autore                       - Torniamo a sederci.

Il Visitatore                   - Con permesso.

L’Autore                       - I critici mi hanno già interpretato in chiave psicanalitica, cattolica, protestante, esi­stenzialistica, buddistica e marxista, ma nessuno mi ha mai interpretato alla vostra maniera.

Il Visitatore                   - Infatti vi debbo una spiega­zione, illustre maestro...

L’Autore                       - Korbes.

Il Visitatore                   - Illustre signor Korbes. Ho agi­to in base a un sospetto di natura più che altro filosofica.

L’Autore                       - Vale a dire?

Il Visitatore                   - Ciò che esisteva nella fantasia -in questo caso: nei vostri romanzi - doveva esi­stere anche nella realtà, dato che mi pareva del tutto impossibile inventare una cosa che non esistesse in alcun luogo.

L’Autore                       - (sorpreso) Una riflessione tutt'altro che sciocca.

Il Visitatore                   - Basandomi su tale riflessione, co­minciai a cercare nella realtà gli assassini dei vostri romanzi.

L’Autore                       - (elettrizzato) Voi pensavate che tra i miei romanzi e la realtà ci fosse un certo nesso, è vero?

Il Visitatore                   - Esattamente. Abbandonai la mia casa di Ennetwyl e affrontai la più vertiginosa av­ventura della mia vita. Procedetti con logica strin­gente. Per prima cosa bisognava chiedersi come mai i criminali dei vostri romanzi non vengono mai arrestati.

L’Autore                       - (curioso) Intendete dire la mia... sin­golarità... di far sì che il criminale non venga sco­perto?

Il Visitatore                   - Esatto.

L’Autore                       - Leggeste dunque i miei romanzi come referti polizieschi?

Il Visitatore                   - Sì, come referti di omicidi. I vo­stri eroi non uccidono né per interesse né per mo­tivi passionali. Uccidono per gusto psicologico, per edonismo, per raffinatezza, per sete di emozioni: tutti moventi che la criminologia tradizionale non conosce. Ed è logico. Prima di voi, egregio signor Korbes, si vedeva comunemente nell'omicidio qual- cosa di tremendo; grazie a voi, invece, anche questo lato oscuro della vita o meglio, della morte -acquista maestà e bellezza.

L’Autore                       - Non ho mai esaltato il solo omicidio: il mio intento è sempre stato di rappresentare l'uo­mo nel suo complesso, e in questo complesso si ritrova anche la sua capacità di uccidere.

Il Visitatore                   - Come detective m'interessa non tanto ciò che volevate fare, ma ciò che otteneste in effetti. Voi siete non soltanto lo scrittore più ricco di scandali del nostro tempo, i cui divorzi, le cui avventure amorose e le cui cacce alla tigre ven­gono riferiti da tutti i giornali, ma voi, soprattutto, siete famoso come l'autore delle più belle scene di omicidio della letteratura mondiale. Vi si chia­ma comunemente il «Vecchio ammazzatutti».

L’Autore                       - Non è che un segno della mia popolarità.

Il Visitatore                   - E della vostra arte nel crear fi­gure di grandi criminali. Poiché, riassumendo: i vostri assassini sono troppo... troppo profondi, troppo sottili per la polizia, per il pubblico ministero. Que­ste autorità, pertanto, non sospettano nemmeno la esistenza di un omicidio, perché dove non c'è mo­vente, non c'è delitto. Se ora supponiamo che i de­litti che voi descrivete siano realmente avvenuti, non potevano sembrar altro, alle autorità pubbliche, che suicidi, disgrazie o anche semplici casi di morte naturale.

L’Autore                       - E' logico.

Il Visitatore                   - A questo punto della mia ricerca mi parve quasi di essere quel cavaliere spagnuolo, don...

L’Autore                       - Don Chisciotte.

Il Visitatore                   - Don Chisciotte, che voi citate così spesso nei vostri romanzi. Don Chisciotte si I mise in cammino perché aveva creduto alla realtà dei romanzi cavallereschi; e io, dal mio canto, mi I disponevo a scoprire la realtà dei vostri romanzi. Ma I nulla valse a trattenermi. La mia divisa era: « Avanti sempre, anche se il mondo brulicasse di diavoli! ».

L’Autore                       - (entusiasta) Magnifico. Un'impresa stupenda, la vostra. (Suona il campanello) Sebastiano. Sebastiano.

I II Segretario               - Il signor Korbes desidera?

L’Autore                       - Dovremo lavorare tutta la notte.

Il Segretario                  - Ma mi avevate messo in libertà.

L’Autore                       - lo?

I II Segretario               - Devo continuare il mio lavoro  sulla Lettera ai Calati.  

L’Autore                       - La teologia può aspettare.

Il Segretario                  - Naturalmente, signor Korbes.

L’Autore                       -   Offrite un sigaro al signor Hofer. Vorrà pur gradire qualche cosa, no? Brasile? Avana?

Il Segretario                  - Favorite, prego.

 

Il Visitatore                   - Permettete che fumi questa si­garetta svizzera che ho portato con me?

L’Autore                       - Ma certo, fate pure. Potete andare, Sebastiano.

Il Segretario                  - Bene, signor Korbes.

L’Autore                       - Fuoco?

Il Visitatore                   - (dà una boccata di fumo) Grazie. Ah, è un vero godimento.

L’Autore                       - Godete, caro Hofer, godete pure. Ma soprattutto continuate il vostro racconto. Ardo dal desiderio di conoscere i risultati della vostra in­chiesta.

Il Visitatore                   - Non mi fu facile arrivarci. Biso­gnava fare un minuziosissimo lavoro preparatorio. Per prima cosa studiai punto per punto il vostro romanzo «Incontro all'estero».

L’Autore                       - Il mio primo libro.

Il Visitatore                   - Pubblicato undici anni fa.

L’Autore                       - Che mi fruttò il Premio Bollingen e da cui Hitchkock trasse un film.

Il Visitatore                   - Che concezione. Una meraviglia. Un avventuriero francese, grasso, abbronzato dal sole, la barba di qualche giorno, un possente cranio calvo, straccione, geniale e ubriacone, conosce una signora. « Una donna che levati », come dice lui. Moglie di un addetto diplomatico tedesco. Lui la attira in un albergacelo di Ankara, un sozzo luogo di appuntamenti, la seduce, e riesce a convincerla, in un poderoso sproloquio da ubriaco che fa di lui un Omero, uno Shakespeare, che la più alta feli­cità si trova in un suicidio in comune. Lei crede alla passione che l'ha presa, si lascia abbagliare dalle sue selvagge tirate e si toglie la vita. In un'ebbrezza d'amore. Ma lui si guarda bene dall'ammazzarsi. Al contrario, si accende una sigaretta ed esce da quel sordido luogo. Dopo di che gira per strade malfa­mate, bastona un predicatore delle missioni turche, gli ruba la cassetta delle elemosine e ai primi chia­rori dell'alba si mette in viaggio per l'Iran. In cerca di petrolio. Sarà una trama un po' triviale, in questo può aver ragione la « Neue Zùrcher Zeitung », ma nella sua stringatezza, nella sua mancanza di ogni retorica si lascia indietro Hemingway di parecchie lunghezze.

L’Autore                       - (divertito) Non mi vorrete dire che siete andato in Turchia a svolgere indagini intorno a questa storia?

Il Visitatore                   - Non avevo altra scelta. Con spesa non indifferente mi feci arrivare da Ankara dei giornali del 1954, anno in cui si svolge il vostro romanzo, e li feci scorrere da uno studente turco del Politecnico federale di Zurigo.

L’Autore                       - Risultato?

Il Visitatore                   - A suicidarsi era stata la moglie di un addetto dell'ambasciata non tedesca ma sve­dese, una bellissima bionda di carattere un po' riservato. Il fatto era avvenuto in un albergo d'infima categoria. Per motivi sconosciuti, come avevo giu­stamente supposto.

L’Autore                       - E l'uomo col quale si era recata in quell'albergo?

Il Visitatore                   - Rimase ignoto... Ma, a detta del portiere, doveva trattarsi di un individuo di lingua tedesca. Inoltre risultò che effettivamente avevano bastonato un predicatore delle missioni turche, ma il poveretto era in condizioni troppo pietose per poter fornire dati precisi circa la sparizione della cassetta delle elemosine.

L’Autore                       - Mi congratulo di cuore per la vostra scoperta sensazionale. Quali conseguenze ne traeste?

Il Visitatore                   - Nessuna, per intanto. Esaminai piuttosto: «Mister X si annoia».

L’Autore                       - La lettura preferita di Churchill.

Il Visitatore                   - Il vostro secondo romanzo. Un capolavoro. Mister X, un ex-vagabondo, oggi uno scrittore arrivato, presidente del Pen-Club ameri­cano, incontra a Saint Tropez una ragazza di sedici anni. Resta subito incantato dalla bellezza e dalla naturale ingenuità della fanciulla. La natura stra­potente, lo specchio del mare, il sole implacabile tanno di lui un maschio primitivo, un uomo delle caverne, ed egli si comporta in conseguenza: vio­lenza, assassinio, nello scrosciante acquazzone di un temporale. Forse le pagine più incantevoli e tremende che siano mai state scritte. Il linguaggio secco, nervoso, ma di un'altissima, trasparente den­sità. Poi la gran macchina della polizia che si mette in movimento: motociclette, sirene di automezzi forniti di radio, la ricerca dell'assassino, i sospetti che si arrestano unicamente dinanzi al colpevole, troppo celebre e ammirato per lasciar supporre la verità. AI contrario, mister X, prima di partire per Londra, dove gli verrà conferito il Premio Byron, assiste alla sepoltura della ragazza: scena che chiude l'opera come una tragedia antica.

L’Autore                       - (sorridendo) Caro Hofér, vi state mon­tando la testa a forza di entusiasmo.

Il Visitatore                   - (insinuante) Nel 1957, dieci anni fa, venne violentata e uccisa, a Saint Tropez, una fanciulla inglese di sedici anni.

L’Autore                       - E l'assassino?

Il Visitatore                   - Sconosciuto.

L’Autore                       - Come l'assassino della svedese?

Il Visitatore                   - Esattamente. (Esitante) Ad onta di un massiccio spiegamento di forze di polizia.

L’Autore                       - (fiero) Ad onta!

Il Visitatore                   - Le autorità ufficiali non hanno il minimo punto di riferimento.

L’Autore                       - Avete fatto altre scoperte?

Il Visitatore                   - Permettete che vi presenti una lista completa?

L’Autore                       - Una lista di che?

 

Il Visitatore                   - Una lista delle persone in cui riscontrai una, diciamo così, consonanza con perso­naggi delle vostre opere. Prego.

L’Autore                       - Tre, sei, nove... Ventidue nomi?

Il Visitatore                   - Non avete forse scritto ventidue romanzi, illustre signor Korbes?

L’Autore                       - Già, avete ragione. E tutte queste persone sono morte?

Il Visitatore                   - Morirono in parte suicide, in parte per fortuite disgrazie, astrazion fatta per la inglesina sedicenne.

L’Autore                       - (felice) Una lista... impagabile.

Il Visitatore                   - Il risultato di due lustri di lavoro criminologico. A ciò si aggiunge un altro fatto degno di nota.

L’Autore                       - Sono curioso...

Il Visitatore                   - Tutti questi suicidi, tutte queste disgrazie avvennero in località dove avete soggior­nato anche voi, egregio signor Korbes.

L’Autore                       - Avete un fiuto ammirevole.

Il Visitatore                   - Voi eravate ad Ankara quando morì la svedese, a Saint Tropez quando fu uccisa la ragazza inglese, in tutte le altre venti località quando morirono le altre venti persone. Citerò sol­tanto Andrea Stucki a Davos, Jeanine Poffet a Biarritz, Maria Caravaggi a Spalato...

L’Autore                       - Tutti coloro, insomma, che vedo elencati su questo foglio.

Il Visitatore                   - Senza eccezioni.

L’Autore                       - Mi avete dunque seguito, signor Hofer?

Il Visitatore                   - Se non volevo essere un dilet­tante, dovevo seguirvi per forza. Da un luogo di villeggiatura all'altro, da una costosa stazione ter­male all'altra.

L’Autore                       - Dunque non solo ad Adelboden e a Baden-Baden?

Il Visitatore                   - Vi ho seguito dovunque andaste.

L’Autore                       - (incuriosito) Ma dite un po' non vi è costato un occhio?

Il Visitatore                   - Un vero disastro. E i miei mezzi, poi, sono limitati; la mia pensione, se pensiamo alle enormi somme che guadagna la ditta Oechsli e Trost, è addirittura irrisoria. Dovetti fare economia, privarmi di molte cose. Più di un viaggio, illustre mae...

L’Autore                       - (ammonitore) Korbes!

Il Visitatore                   - Illustre signor Korbes, me lo sono propriamente tolto di bocca. Solo il Sudamerica, sette anni fa, mi rimase inaccessibile, e poi, natu­ralmente, le vostre escursioni annuali nella giungla indiana e africana.

L’Autore                       - Non importa, caro Hofer. Nella giun­gla mi limito a cacciare tigri ed elefanti.

Il Visitatore                   - Se no, vi fui sempre vicino.

L’Autore                       - Evidentemente.

Il Visitatore                   - Dovunque eravamo, voi in un albergo di lusso, io in una scalcinata pensione, acca­deva sempre una disgrazia, che voi, più tardi, descri­vevate come assassinio.

L’Autore                       - Sono entusiasta, caro Hofer. Voi siete una delle persone più sorprendenti che io abbia  mai incontrato.

I II Visitatore                - Allora, finalmente, cercai di spie­garmi come si fossero potute formare queste affinità tra le vostre opere e il mondo reale.

L’Autore                       - Non mettetemi alla tortura.

Il Visitatore                   - Esaminata la materia con la neces­saria penetrazione logica, sono arrivato ad ammettere due possibilità. O voi prendevate a modello dei vostri racconti dei personaggi reali, oppure i vostri racconti si svolgevano, nella realtà, precisamente i come voi li narravate.  

L’Autore                       - Lo ammetto.

Il Visitatore                   - (con una certa importanza) Accettata questa seconda ipotesi, i vostri romanzi, che tutti ammirano come creazioni della vostra fantasia  effervescente non sarebbero in realtà che semplici ragguagli, semplici cronache di fatti reali. Ho esitato a lungo prima di abbracciare questa tesi, ma oggi so che è l'unica possibile. Ed ecco che nasce un nuovo problema: se questi romanzi non sono che cronache di fatti reali, anche gli assassini devono essere personaggi reali, il che fa sorgere, insopprimibile, la domanda: chi sono questi assassini?

L’Autore                       - E che cosa avete scoperto?

Il Visitatore                   - (inesorabile) Che dobbiamo ridurre i diversi assassini a un unico personaggio. I vostri eroi hanno indiscutibilmente la fisionomia di una sola persona. Possente, quasi sempre col petto nudo nell'ora decisiva del delitto, un gigantesco cranio calvo, trasfigurato da un'estasi selvaggia, il bicchiere di whisky in mano e sempre un po' brillo, eccolo attraversare, violento, il mare della vostra prosa. (Silenzio). .

L’Autore                       - E la conclusione che traete da tali premesse? (Silenzio).

Il Visitatore                   - L'assassino siete voi.

L’Autore                       - Vorreste affermare che più d'una | volta...

Il Visitatore                   - Ventidue volte.

L’Autore                       - Sia pure. Avrei dunque commesso ventidue omicidi?

Il Visitatore                   - Ne sono fermamente convinto. I mi trovo di fronte non solo a uno dei più grandi scrittori, ma anche a uno dei più grandi criminali I di tutti i tempi.

L’Autore                       - (sopra pensiero) Ventidue volte. A sentirlo dire... così, tutt'a un tratto... non sembra un po' troppo?

Il Visitatore                   - Non c'è né un omicidio in più, 1 né uno in meno. (Silenzio).

 

L’Autore                       - (sorridendo) Ebbene, caro Timoteo Hofer: ammessa la vostra tesi, che cosa volete, ora, da me?

Il Visitatore                   - Egregio signor Korbes, vi ho con­fessato la mia scoperta. Posso trarre un sospiro di sollievo. Tremavo, pensando a quest'istante, ma non mi sono ingannato. Vedo che non avete perso la calma, che continuate ad ascoltarmi con benevo­lenza. Permettetemi, dunque, di parlarvi ancora con la più tremenda sincerità.

L’Autore                       - Ma certo.

Il Visitatore                   - La mia intenzione, a tutta prima, era quella di consegnarvi alla giustizia.

L’Autore                       - Avete mutato avviso?

Il Visitatore                   - L'ho mutato, sì.

L’Autore                       - E perché?

Il Visitatore                   - Sono dieci anni, ormai, che vi osservo. Ho visto con che maestria seguivate la vostra passione, con che superiorità sapevate sce­gliere le vostre vittime, con che calma compivate le vostre imprese.

L’Autore                       - Voi mi ammirate?

Il Visitatore                   - Infinitamente.

L’Autore                       - Come assassino o come scrittore?

Il Visitatore                   - Sia dal punto di vista criminalistico che da quello letterario. Quanto più scopro le vostre astuzie criminali, tanto più imparo ad apprezzare le vostre finezze poetiche. Sono perciò disposto a recare all'arte vostra un sacrificio immenso.

L’Autore                       - Cioè?

Il Visitatore                   - (con tranquilla semplicità) Sono pronto a rinunciare alla più alta delle felicità: alla gloria.

L’Autore                       - Dunque non mi denuncerete?

Il Visitatore                   - Ci rinuncio.

L’Autore                       - E che cosa vi aspettate in cambio?

Il Visitatore                   - Un piccolo... riconoscimento.

L’Autore                       - In che forma?

Il Visitatore                   - Mi trovo... propriamente al verde. Ho sacrificato tutto alla mia arte. Non sono più in grado di reggere il tenore di vita cui mi sono assue­fatto al servizio della criminologia. Non posso più permettermi di trasferirmi da una stazione balneare all'altra. Sono costretto a tornarmene, con grave scorno, ad Ennetwyl presso Horck, un uomo fal­lito, se voi non... (Esita).

L’Autore                       - Continuate.

Il Visitatore                   - ...Se voi non mi assegnate una modesta pensione, egregio signor Korbes, seicento o settecento franchi svizzeri al mese, in modo ch'io possa, con tutta discrezione, partecipare ancora alla vostra vita, nella veste di chi ammira e di chi sa.

L’Autore                       - Mio caro Timoteo Hofer, anch'io vo­glio confessarvi una cosa, anch'io voglio parlarvi con la più tremenda sincerità, come dite voi. Voi siete indubbiamente il più abile detective ch'io abbia mai incontrato. Il vostro acume, il vostro talento criminologico non vi hanno ingannato. Confesso.

(Silenzio).

Il Visitatore                   - Lo riconoscete?

L’Autore                       - Lo riconosco.

Il Visitatore                   - La svedese?

L’Autore                       - La svedese.

Il Visitatore                   - L'inglesina sedicenne?

L’Autore                       - Anche quella.

Il Visitatore                   - La principessa Windischgratz?

L’Autore                       - Idem.

Il Visitatore                   - Avete commesso tutti e ventidue gli omicidi elencati?

L’Autore                       - Tutti e ventidue. Non voglio essere

spilorcio. (Silenzio).

Il Visitatore                   - (con religione) Questa è l'ora più solenne della mia vita.

L’Autore                       - Avete ragione. E' l'ora più solenne della vostra vita. Ma in un senso forse un po' di­verso da quello che pensate. Voi, infatti, nonostante la giustezza della vostra indagine, avete commesso alcuni errori decisivi.

Il Visitatore                   - Errori?

L’Autore                       - Tre errori, per essere precisi.

Il Visitatore                   - Stento a crederlo. Ho proceduto con tutta la prudenza possibile.

L’Autore                       - Non avete mai pensato che poteva essere molto pericoloso presentarsi a me allegando la vostra conoscenza della mia... vita privata?

Il Visitatore                   - Intendete dire che potreste... uc­cidermi?

L’Autore                       - Precisamente.

Il Visitatore                   - Ma certo, egregio signor Korbes, che ho pensato a tale pericolo. E ho preso, con la massima freddezza, tutte le precauzioni del caso studiando attentamente la situazione. Sopra di voi alloggia una famosa attrice cinematografica ame­ricana, a destra un colonnello inglese, a sinistra una vedova borghese.

L’Autore                       - Scusate, è una duchessa.

Il Visitatore                   - Errore, mi sono informato: suo marito era portiere di uno stabilimento ginevrino. Sotto di voi, infine, abita l'arcivescovo di Cernowitz, malato di polmoni. Basta un mio grido d'aiuto, e scoppia uno scandalo che commoverà il mondo intero. Perciò dovreste uccidermi in silenzio. Ad esempio, avvelenandomi.

L’Autore                       - Ah! E' per questo, dunque, che non avete bevuto nulla?

Il Visitatore                   - Per questo. Non mi è riuscito facile. Io travedo per il whisky.

L’Autore                       - Ed è anche per questo che non avete fumato i miei sigari.

Il Visitatore                   - Considerate che il tenore Lorenzo Hochstrasser l'avete ucciso con un leggeris­simo sigaro Avana imbevuto di un veleno indiano.

L’Autore                       - Mio caro Timoteo Hofer, questo che dite mi ricorda i vostri altri due errori. Voi dimen­ticate, anzitutto che viviamo nell'anno 1967; in secondo luogo, poi, venite da Ennetwyl presso Horck.

Il Visitatore                   - Non vedo come questo possa costituire un errore. Ennetwyl ha una mentalità molto aperta, possiede una considerevole industria e ha una vita culturale molto attiva.

L’Autore                       - Sia pure. Ma voi, tuttavia, da En­netwyl presso Horck vi siete fatta un'idea sbagliata del mondo, se no avreste saputo quant'erano vane e assurde le vostre indagini.

Il Visitatore                   - Volete dire...?

L’Autore                       - Che avete solo dimostrato ciò che non richiede dimostrazione alcuna. (Silenzio).

Il Visitatore                   - (allibito) Vorreste dire che si sa... che è risaputo il fatto che voi...?

L’Autore                       - ...Ch'io sono un assassino. Ecco ciò che voglio dire, Timoteo Hofer. Quello che voi considerate il vostro segreto, il mondo lo conosce da un pezzo.

Il Visitatore                   - (fuori di sé) Ma non è possibile!

L’Autore                       - Credete forse che il mondo divore­rebbe i miei romanzi, se non sapesse che io descrivo unicamente delitti che ho commesso io medesimo?

Il Visitatore                   - Dio del cielo! Ma questo è un incubo...

L’Autore                       - Eppure non state sognando.

Il Visitatore                   - Ma in tal caso vi avrebbero arre­stato da un pezzo.

L’Autore                       - (stupito) E perché?

Il Visitatore                   - (disperato) Ma perché avete uc­ciso. In massa!

L’Autore                       - (benevolo) Mio caro Hofer, solo una piccola parte di coloro che uccidono vengono arre­stati, gli altri non solo restano a piede libero come me, ma vengono anche onorati, proprio come me. Pensate solo ai generali, agli uomini politici, ai giu­dici e ai pubblici accusatori. Pensate ai medici. Non mi hanno arrestato per lo stesso motivo che ha trattenuto voi dal denunciarmi: per ammirazione.

Il Visitatore                   - Io non capisco più il mondo.

L’Autore                       - Quello che non capite più è solo il mondo letterario, Timoteo Hofer.

Il Visitatore                   - Un poeta è la cosa più alta, più pura che esista. Se fosse come dite voi, il mondo lancerebbe un grido di orrore.

L’Autore                       - Quanto affermate vale tutt'al più per il Medioevo. Ma già Villon venne ripetutamente graziato per via dei suoi versi, e anche lui fu un assassino. In che miserabile libro di scuola avete mai letto che i poeti sono la cosa più alta, più pura j che esista? La maggior parte dei poeti son sempre stati dei mostri, secondo la morale borghese. Pensate solo a Goethe, a Balzac, a Baudelaire, a Verbine, a Rimbaud, e Edgardo Poe. Ma non basta. Se il mondo, a tutta prima, ne ebbe spavento, più tardi cominciò ad ammirarli sempre più, proprio perché erano dei mostri. Essi salirono a tal punto i nella scala sociale, che si finì per guardar loro come a esseri superiori. Il pubblico non solo ha accettato il poeta, ma ormai s'interessa quasi esclusivamente alla sua vita privata. Di qui l'inflazione dei diari e I dei memoriali, di qui i vari romanzi autobiografici e a chiave. Ditemi voi: chi c'è ancora, al giorno  d'oggi, che voglia leggere fatti inventati? Lo scrittore è la proiezione del desiderio di milioni di uomini, un essere che può e deve permettersi ogni cosa. La sua arte non è che il lasciapassare dei suoi vizi, delle sue avventure. Credete che Hemingway avrebbe avuto il Premio Nobel per « Il vecchio e il mare» se quel vecchio non fosse lui stesso? Che  io che vi parlo avrei avuto lo stesso premio per «L'assassino e la fanciulla», se quell'assassino non fossi io medesimo? Guardate quelle lettere. Ne ho la camera piena. Signore dell'alta società, donne della borghesia, cameriere mi scrivono offrendosi di farsi uccidere da me.

Il  Visitatore                  - Sto sognando, sto sognando.

L’Autore                       - E allora svegliatevi una buona volta.

Il Visitatore                   - Ma lo scrittore lavora intorno al linguaggio, alla forma.

L’Autore                       - Ci credono solo i critici, ormai. La vera letteratura non ha a che fare con la letteratura, I ma con la vita, con la vita nelle sue manifestazioni I più straordinarie, e la fatalità del nostro tempo è che I dobbiamo vivere in modo sempre più criminoso, se vogliamo trovare nuovi argomenti. Gli uomini, infatti, non sentono il bisogno di una nuova forma, I di nuovi esperimenti stilistici.

Il Visitatore                   - Sentono il bisogno di nuove idee, di nuove verità, di una soluzione dei loro eterni I problemi.

L’Autore                       - Sciocchezze! L'umanità sente da un pezzo che non le manca la conoscenza del vero: se dipendesse da questo, sarebbe già arcisalva. Quello che le manca è di mettere in pratica i propri ideali. E siccome se ne accorge, ha perso ogni speranza. Ed ecco sorgere in lei la sete di un'esistenza che possa fare a meno della speranza: di un'esistenza così turgida di realtà, di presente, di contrasto, di avventura, che nessun problema, che addirittura nessun Dio vi si possa inserire. L'umanità è assetata di fatti, di realtà concreta. Le macchine l'asserviscono sempre più; libertà, avventura, amore, assassinio li trova solo più nell'arte. La letteratura è diventata una droga, che sostituisce una vita di­venuta ormai impossibile. Ma per fabbricare tale droga è necessario che gli scrittori vivano la vita che descrivono. Eccoli perciò chiusi nell'inferno delle loro opere.

Il Visitatore                   - Io non so...

L’Autore                       - Voi non sapete niente di niente. Sì, da giovane tentai anch'io di far dello stile: ebbene, alcuni redattori di provincia mi complimentarono battendomi sulla spalla, ma tranne quelli non ci fu un cane che si occupasse di me. E a ragione. Il mondo non vuole dell'artigianato artistico, vuole la unità tra vita e arte. Rinunciai alla letteratura e, da perfetto uomo fallito, andai in Persia in cerca di pe­trolio. Ma feci fiasco anche qui. Allora non mi ri­mase altro che descrivere la mia vita. Pensai che mi avrebbero arrestato. Il primo che si congratulò con me e che mi offerse una somma considerevole fu l'addetto all'ambasciata svedese, e la mia avventura amorosa con sua moglie divenne il mio primo suc­cesso internazionale.

Il Visitatore                   - Per l'amor di Dio. Non conti­nuate, vi supplico.

L’Autore                       - Vi ho usato la cortesia di ascoltarvi, ora usatemi voi la cortesia di ascoltare me. Quando compresi che cosa volesse il mondo, cominciai a fornirgli regolarmente ciò che desiderava. Parlai solo più della mia vita. Lasciai perdere lo stile per scrivere senza stile, e, guarda un po', tutt'a un trat­to, mi trovai ad avere uno stile. Così divenni ce­lebre: senonché la mia fama mi costrinse a con­durre una vita sempre più sfrenata, perché il pub­blico voleva vedermi in situazioni sempre più spa­ventose, voleva sperimentare, attraverso di me, tutto ciò ch'è proibito. Come in Thomas Mann si cer­cava l'ironia, in Eliot la noia sublime, in Faulkner la caotica genialità, in Hemingway l'avventura e in Henry Miller l'amore, così in me si cercava, si vo­leva vivere l'omicidio, e fu così che divenni omi­cida. Da allora in poi, tutto ciò che accadde favorì la mia fama. Hanno distrutto i miei libri, il Vati­cano li mise all'Indice: ebbene, le vendite non fecero che aumentare. E ora mi venite avanti voi, con la vostra ridicola dimostrazione che i miei ro­manzi corrispondono alla verità. Non la spuntereste davanti a nessun tribunale del mondo, perché il mondo mi vuole così come sono. Vi si dichiarereb­be pazzo, come hanno dichiarato pazzi tutti coloro che hanno già tentato di farlo. Credete di essere il primo? Madri, mogli, mariti, figli si sono già precipitati furenti di vendetta, dai loro legali. Ep­pure tutti i processi sono rientrati: pubblici accu­satori, ministri della giustizia, persino presidenti di Stato sono vittoriosamente intervenuti in mio favore in nome dell'arte. Chiunque abbia cercato di trascinarmi dinanzi ai giudici ha fatto ridere alle sue spalle, come quel tale che anni fa voleva de­nunciare Picasso perché favoriva un sistema politico che massacrava milioni di uomini nel più barbaro dei modi! Siete un povero sciocco, Timoteo Hofer. Avete sperperato i vostri risparmi in una maniera imperdonabile. Non aspettatevi da me che vi ri­fonda le spese. Aspettatevi qualcos'altro, piuttosto. Su, gridate, chiamate aiuto.

Il Visitatore                   - (spaventato) Chiamare aiuto?

L’Autore                       - Ho bisogno di un nuovo soggetto.

Il Visitatore                   - Un nuovo soggetto?

L’Autore                       - E il nuovo soggetto siete voi.

Il Visitatore                   - Che cosa intendete dire?

L’Autore                       - Ho già avvertito il mio segretario. Lavorerò tutta la notte. Voglio scrivere una breve scena, un radiodramma.

Il Visitatore                   - (inorridito) Ehi! Perché tirate fuori quella rivoltella?

L’Autore                       - Non avete ancora capito?

Il Visitatore                   - Vado via, vado via subito.

L’Autore                       - Non ho estratto la rivoltella perché ve ne andiate, ma perché restiate definitivamente.

Il Visitatore                   - Vi giuro per tutto ciò che ho di più caro al mondo che abbandonerò immediata­mente Iselhohebad e farò ritorno a Ennetwyl.

L’Autore                       - Voi mi avete suggerito l'idea per un radiodramma, e ora dovete morire, perché io scrivo solo ciò che ho provato, perché manco del tutto di fantasia, perché posso scrivere soltanto ciò che ho provato. Grazie a me, entrerete nella letteratura universale, Timoteo Hofer. Milioni di persone vi vedranno come vi vedo io in questo momento: tremante di paura, gli occhi e la boera spalancati, abissi in cui precipitano le cateratte dell'orrore, una smarrita, sconvolta grinta di povero piccolo conta­bile dinanzi al quale la libertà si strappa di dosso il corsetto.

Il Visitatore                   - Aiuto! (Silenzio).

L’Autore                       - Ebbene? Si precipita nessuno in vo­stro soccorso? Non vengono, dunque, a dirvi man forte, la diva del cinema, il colonnello inglese, l'ar­civescovo di Cernowitz?

Il Visitatore                   - Voi siete il demonio!

L’Autore                       - Ma andiamo. Sono uno scrittore che ha bisogno di soldi. Il radiodramma che scriverò sul vostro assassinio verrà trasmesso da tutte le emit­tenti del globo. Io « devo » uccidervi, non fosse che per ragioni economiche. Debbo pur vivere!

Il Visitatore                   - Pietà, maestro!

L'Attore                        - Korbes.

Il Visitatore                   - Signor Korbes, pietà! Vi scon­giuro!

L'Attore                        - Non c'è pietà per chi s'impiccia di letteratura.

Il Visitatore                   - Dio m'aiuti, allora! (Trambusto. Poi il lungo grido smorente di chi precipita dall'alto) Aiuto! (Silenzio).

Il Segretario                  - Signor Korbes! Santo cielo, che cosa è accaduto?

L’Autore                       - Il mio visitatore si è precipitato dal balcone, Sebastiano... Ah, ma ecco il direttore dell'albergo.

Il Direttore d'Albergo   - Egregio signor Korbes, sono inconsolabile. Siete stato infastidito da un ignobile figuro. Si è sfracellato al suolo, in mezzo ai roseti. E' da un pezzo che il portiere aveva no­tato quell'uomo, giudicandolo un pazzo. Dio mio, fortuna che cadendo non ha ferito nessuno.

L’Autore                       - Un incidente, caro direttore, un inci­dente, nient'altro. Fate in modo che nessuno mi disturbi.

Il Direttore d'Albergo   - (ritirandosi) Ma certo, egregio signor Korbes, ma certo.

L’Autore                       - E adesso, al lavoro, Sebastiano. Ma prima voglio accendermi una sigaretta.

Il Segretario                  - Ecco il fuoco.

L’Autore                       - Accendete quella lista, là sul tavolo.

Il Segretario                  - Che cosa sono questi nomi?

L’Autore                       - Nomi qualunque. Date qua. Così si accende meglio. Grazie. Dobbiamo fare in fretta. Domani si parte. Iselhohebad ha assolto il suo com­pito, ora si va a Maiorca.

Il Segretario                  - A Maiorca?

L’Autore                       - Un po' di Mediterraneo fa bene. Posso cominciare a dettarvi?

Il Segretario                  - Agli ordini, signor Korbes.

L’Autore                       - E allora cominciamo... Signore e si­gnori! Per prima cosa vorrei descrivere, quasi fossi uno scenografo teatrale - o meglio, qualora esistes­sero, uno scenografo radiofonico - il luogo in cui avviene questa strana, ma - ve lo giuro - veridica istoria. Certo, non è senza pericolo raccontar fatti realmente accaduti: qualcuno della polizia, o addi­rittura un pubblico accusatore, potrebbe esser pre­sente, anche se non per servizio; eppure mi posso permettere questo rischio, perché so che lorsignori non prenderanno per vera questa mia verissima storia, almeno ufficialmente; poiché in realtà - in maniera non ufficiale, se così posso esprimermi -voi sapete tutti benissimo- (compreso l'eventuale pub­blico accusatore o il poliziotto), che io racconto «soltanto » fatti realmente accaduti. E adesso, signore e signori, posso chiedervi un piccolo sforzo di fantasia? Vogliate immaginare il salone dell'appartamento di un grande albergo... (Musica di chiusura).

FINE