Sesto piano

Stampa questo copione

SESTO PIANO

Commedia in tre atti e nove quadri

di ALFREDO GEHRI

Versione italiana di Lorenzo Ruggi

PERSONAGGI

MASSIMO LESCALLI

GERMANA LESCALLI

BERTA

LA SIGNORA MARETTI

IL SIGNOR MARETTI

EDVIGE

GIOVANNA

IL SIGNOR GIUSEPPE

NINO

ROBERTI

IRENE

AL­BERTO

L'INQUILINO DEL TERZO PIANO

IL DOTTORE

IL FACCHINO

BOB

UN SIGNORE


ATTO PRIMO

In taglio, il sesto piano di una casa di Montmartre con il pianerottolo al centro. In primo piano, gli ultimi gradini della scala che confina col pianerottolo del sesto piano. Il montino, a partire dal gomito, raggiunge il parapetto di destra del pianerottolo. A destra, una camera: (N. 1) quella dei Lescalli, Laparete di fronte al pubblico, manca. Parimenti manca, a partire dal para­petto, la metà della parete che separa la camera dal pianerottolo. Di faccia alla camera N. I, e disposta nello stesso modo, la camera N. 7, quello del signor Giuseppe. Nella parete di fondo si apre una comu­nicazione che mette in altra camera. Il quartierino oc­cupato dal signor Giuseppe e do Edvige è di tre vani. Il pianerottolo termina in corridoio. A destra, dopo la camera N. 1, si apre la porta della camera N. 2. Segue un corridoio perpendicolare a quello del pianerottolo e che lo traversa verso destra e verso sinistra. Là vi sono le camere che non si vedono, occupate da altri inquilini del sesto piano. Le due camere di cui è visibile per il pubbìico l'interno (cioè la prima e la settima), sono leg­germente ad abbaino. Attraverso la finestra della camera N. 1 si intravvedono i tetti che scalano il monticello di Montmartre. 1 cinque primi quadri, si svolgono in estate. Il sesto, il settimo, l'ottavo quadro in autunno; il nono, alla fine dell'autunno.

PREMO QUADRO

(Nella sua cameretta  - (N. 7) sprofondata in una pol­trona, Edvige legge. Nella sua camera (N. 1) Massimo è in maniche di camicia. Ha il panciotto. Ma è senza il colletto. Ha già in testa la suo bombetta. Fruga nel disor­dine della camera, mentre Germana, seduta sul margine del letto disfatto, sta leggendo un romanzo popolare dalla copertina colorata).

Massimo                        - Germana, aiutami a cercare il mio bottone da collo. (Silenzio. Non sente) Mi farai perdere l'appun­tamento, Germana.

Germana                       - Per quello che ti serve andarci o non andarci! Quel tuo americano, tutto fumo! Dai retta a me: tu faresti meglio a lavorare.

Massimo                        - Perché dici così?

Germana                       - La padrona vien su per l'affitto. Con oggi noi le dobbiamo già...

Massimo                        - Porti pazienza. Ne porto tanta anch'io».

Germana                       - Se aspetti che le allodole ti caschino già cotte in casseruola...

Massimo                        - Io sono un artista.

Germana                       - Buono a far niente.

Massimo                        - Hai ragione di dir così! Lavoro venti­cinque ore al giorno!

Germana                       - Sì. E ne dormi quindici.

Massimo                        - Piantala! Cerca piuttosto il mio bottone da collo, e metti via questo romanzacelo.

Germana                       - Dove vuoi che te lo trovi, il tuo bottone. In mezzo a tutta questa insalata di pennelli, di carte  -

Massimo                        - Non disprezzare i ferri del mio mestiere. (Poi avendo trovato il bottone) Eccolo il boia!

Germana                       - Fai presto. La padrona è qui che viene per l'affitto.

Massimo                        - Quanto mi secchi con questo tuo affitto». (Alza le spalle ed esce sul pianerottolo terminando di abbottonarsi mentre discende la scala. Dopo qualche istan­te, Berta, che ascolta metà nascosta nell'angolo del pianerottolo, dà due colpi).

Berta                             - Permesso? (Nel dirlo entra) Hai finito il romanzo?

Germana                       - Quasi.

Berta                             - Cos'aveva Massimo, da gridare?

Germana                       - (d'un tono seccato. Mente) Pretenderebbe portarmi a Nizza. Il suo affare con l'americano è an­dato bene.:

Berta                             - (incredula) Ah! Cosa incassa?

Germana                       - Cinquantamila.

Berta                             - Finalmente! Dopo tanta bolletta!

Germana                       - Oh, sì! (Disdegnosa) Ma che cosa sonopoi cinquantamila lire?

Berta                             - Aspetta d'averle, prima di sputarci sopra.

Germana                       - Massimo mi ha detto che avrò un cameriere coi fiocchi. Si andrà a pranzo nei grandi ristoranti.

Berta                             - Dove si mangia male. Non t'invidio. (Dai piani inferiori sale un insieme di voci. Le due donne escono precipitosamente sul pianerottolo e si sporgono dalla ringhiera. Ma già il baccano è cessato) Luigi questa mattina si è alzato alle quattro. Aveva grandi arrivi al mercato.

Germana                       - Dorme ancora?

Berta                             - E’ uscito. (Nuovo chiasso ai piani inferiori. Le due donne si pongono in ascolto. Ma il rumore è cessato) Bisogna Che gli prepari lo «smoking». Questa sera va dalla signora a leggere dei versi.

Germana                       - (capendo che dice una bugia) E tu non vai con lui?

Berta                             - (con aria stanca) Cosa vuoi? Sono abituata male. Feci il palato a ben altro, quando ero alla corte di Turchia. Quindi, capisci, per me queste riunioni dell'alta società... (Si sente il rumore di passi sulle scalc. sporgendosi sulla ringhiera) E' lei. Io filo. (Sparisce dal fondo del pianerottolo).

Germana                       - Siete voi, signora Maretti?

La signora Maretti        - (appare. Una cinquantenne. E’ sa­lita con passo veloce. Ha in mano un blocco di quietanze e un grosso mazzo di chiavi) Sì, sono io, signora Lescalli. E voi? Voi, si sa, aspettate vostro marito che deve tor­nare coi soldi per pagare l'arretrato dell'affitto. Non è così? E' questo che mi volevate dire?

Germana                       - Ma, signora Maretti...

La signora Maretti        - No no, signora Lescalli. Ne ho abbastanza, sapete. A questa presa in giro, bisogna met­tere un termine.

Germana                       - Massimo aspetta dei quattrini da un momento all'altro. Il suo americano

La signora Maretti        - Storie! Vi avevo già detto che se non mi davate il saldo almeno delle prime rate, vi avrei messo alla porta. Il trentuno era ieri. Avete voi pagato? No. Quindi, march! Sloggiare!

Germana                       - Io prima aspetto Massimo. E se Massimo non vuole andarsene...

La signora Maretti        - Vorrei vedere anche questa! Oh! cari miei, in questo caso, ho dei mezzi per farvi slog­giare, sapete. (Esce di nuovo dalla camera e va a battere alla porta di suo marito. La camera n. 3) Sei lì, Co­stanzo? (La porta si apre. Il marito si presenta tutto rivestito cappello in testa) Avrei due parole da dirti.

Il signor Maretti            - Non di più, perché me ne devo andare subito.

La signora Maretti        - Va bene, va bene. (Urtandolo lo fa entrare ed entra con lui. La porta si chiude sui due. Massimo ricompare lentamente sull’’alto della scala. Ha in mano un telegramma che sta leggendo. Germana ha ri­conosciuto il suo passo e l’attende sulla soglia della porta).

Germana                       - Beh?

Massimo                        - (dopo essere entrato in camera) Mi ha mandato un dispaccio. Ho incontrato il fattorino dei tele­grammi proprio qui davanti alla porta.

Germana                       - La padrona, sai, è venuta. E ci scaraventa fuori.

 Massimo                       - Ah sì? E io non me ne vado!

Germana                       - Tu la fai sempre facile, tu che non con­cludi mai niente.

Massimo                        - (severo) Germana!

Germana                       - Germana, cosa? Cosa Germana? Ma non sai che quest'oggi il piccolo non ha ancora avuto il suo latte?

Massimo                        - Vado dal signor Giuseppe.

Germana                       - Non è ancora rientrato. E poi, non vorrà. Figurati! Gli dobbiamo già tanto!

Massimo                        - Accidenti alla bolletta! (Esce sul pianerot­tolo, giusto nel momento in cui la signora Moretti sta uscendo dalla camera di suo marito. Massimo nel vederla» abbassa la testa) Buongiorno, signora Maretti.

La signora Maretti        - Buongiorno, signor Lescalli. No, non parlate. so quello che mi volete dire: che aspettate quattrini da un momento all'altro... e patatì... e patata... Ebbene, no, no e no! Basta con le chiacchiere. O  pagare... o sloggiare!

Massimo                        - (inalberandosi) Non gridate, signora. E' inutile farsi sentire dai vicini.

La signora Maretti        - I vicini! Come se non vi cono­scessero i vicini! Tutti, ne debbono avere da voi. Insom­ma, poche chiacchiere: voglio fra un'ora a disposizione la camera.

Massimo                        - Voi signora, mi parlate con un tono che io non ammetto. Io, sono un artista, io, capite?

La signora Maretti        - E io me ne infischio! Fra un'ora la mia camera, e netta! .(Gli volta te spalle e va a bat­tere all’uscio del signor Giuseppe. Edvige si alza dalla sua poltrona e va ad aprire. Cammina con fatica, aiutan­dosi col bastone. E’ una malatina, debole forse di cuore. Avrà teso l’orecchio dopo l’arrivo della signora Maretti sul pianerottolo e avrà seguita la disputa).

Edvige                          - Entrate, signora.

La signora Maretti        - (tutta miele, entrando) Disturbo?

Edvige                          - Voi non mi disturbate mai. Prego. Sedetevi.

La signora Maretti        - (si siede e cerca fra le sue carte) Ecco la vostra. (Scambio delle quietanze con qualche biglietto da cento franchi che Edvige toglie dalla sua bor­setta) Ne avessi molti degli inquilini come voi. Ma i Lescalli, che stracceria! E quel povero maniaco che mi grida in faccia: e Ma io, signora, sono un artista! » Tre mesi mi devono ancora. Tre mesi! No, no, basta!

Edvige                          - Voi però non li metterete sul lastrico. No, voi non farete questo. E il povero piccolo?

La signora Maretti        - E devo pensarci io? Che il pa­dre lavori, quell'inconcludente.

Edvige                          - Nel suo mestiere, voi sapete.-

La signora Marietti       - Che ne scelga un altro. Ma, cara mia, è ora di finirla. In li caccio tutti in istrada. (Si alza).

Edvige                          - Signora Maretti, voi non potete far questo. E’ impossibile che lo facciate. Preferisco, guardate, prefe­risco pagare io la camera per loro... Preferisco... (Fruga nella sua borsetta).

La signora Maretti        - Non vi darà mica di volta la testa? No, no. Io non li voglio da voi i quattrini. Come se proprio ne aveste di troppi. E poi i Lescalli, dove volete che li metta?

Edvige                          - C'è la camera numero due che è vuota. (L costringe a prendere un biglietto da cento franchi) Ve no prego, signora; metteteli là al numero due, cosi... per un mese, m'impegno io di pagarvi tutto. In questo modo, capite, il signor Lescalli avrà tempo di riprendersi.

La signora Maretti        - (dopo un silenzio) Voi, Edvige, siete una gran brava figliola. Troppo buona, troppo buo­na. Ne avrete dei fastidi, e basta. Vi sfrutteranno. Ricor­datevi di questo che vi dico. Ma una volta che ci tenete proprio...

Edvige                          - Oh, sì, sì. Però con loro non dite che sono stata io. Preferisco non sappiano.

La signora Maretti        - Bene, bene, bene! A modo vo­stro. Ma il signor Giuseppe lo saprà?

Edvige                          - Glielo dirò solo se sarà proprio necessario.

La signora Maretti        - In fin dei conti è affar vostro.

Edvige                          - Andate subito a tranquillizzarli.

La signora Maretti        - Sì, vado subito dalla Lescalli per farle pulire la camera. (Esce sul pianerottolo, lo attraversa. Batte due colpi dai Lescalli e spinge la porta. Massimo e Germana la guardano timidamente) Vi sì concede di passare nella camera numero due per un mese. Poi, entro -questo termine, guardatevi di mettervi in regola con l'arretrato perché, intendiamoci, è l'ultima fortuna che vi capita.

Germana                       - Ma non c'è sole, nella camera numero due!

Massimo                        - (severo) Germana!

La signora Maretti        - (asprigna) E’ vero, la signora ha ragione, non c'è sole! Vorreste forse anche il riscal­damento centrale, acqua calda, frigorifero e sala da bagno con centocinquanta lire al mese? Via, via! E alla svelta!

Massimo                        - Signora Maretti, ritiro ciò che ho detto! Voi capite, signora, sono un artista...

La signora Maretti        - (uscendo) Sì, lo so! (Leva dal suo mazzo di chiavi quella della camera numero due. Apre e vi entra seguita da Massimo e da Germana) Ve­dete, almeno, di non sporcarmela come quell'altra. (Certa che ha ascoltato la scena dall’angolo del pianerottolo, si unisce a Massimo e a Germana per i trasporti dei bagagli dalla camera numero uno alla camera numero due.

Il signor Maretti            - (uscendo dalla sua camera) Ah, ah! Si fa San Michele!

Germana                       - Diventiamo vicini, signor Maretti!

Il signor Maretti            - (caustico) Piacere tutto mio.

Germana                       - Dite così per adularmi.

Il signor Maretti            - Niente affatto. Ciò che penso. (Va lentamente verso la scala e scende. L'andirivieni del San Michele continua. Dopo che il signor Maretti se n’è andato, Edvige sì è messa in ascolto dietro la porta. Come Maretti è sparito, apre la porta e chiama).

Edvige                          - Signora Germana.

Germana                       - (andando verso di lei) Ci tiene. Ci mette nella camera numero due.

Edvige                          - Mi fa tanto piacere. Potreste andare a com­prarmi del pane? A voi. Eccovi venti lire. Compratevi ciò che vi occorre anche per il vostro pranzo.

Germana                       - Oh, quanto siete buona, signorina Edvige!  

Edvige                          - Fate presto, che il piccolo avrà bisogno del suo latte. (Richiude la porta e va a sedersi).

Germana                       - (corre alla camera numero uno, strappa dalle mani di Massimo un paniere, mostrandogli la moneta da venti lire) Campane a festa!

Massimo                        - Non dimenticarti un pacchetto di nazionali.

Germana                       - Sempre fumare, si sa. (Discende svelta la scala, ma si ferma per ascoltare, perché dal fondo del pia-nerottolo, giunge l’eco della voce della signora Moretti)

La signora Maretti        - (che non si vede) Tutte, tutte precise. Tutte con le stesse chiacchiere. Io voglio essere pagata oggi, capite?

Giovanna                      - (non visibile) Io non posso dirvi altro che questo: il mio amico pagherà per me.

La signora Maretti        - (apparendo) Il vostro amico! il vostro amico! Tutte le settimane, il vostro amico è un altro. Sceglieteli un po' meglio i vostri amici

Giovanna                      - (che la segue, si mostra essa pure. E’ in pi­giama e fuma una sigaretta) Signora, io non vi per­metto.»

La signora Maretti        - (tenendole testa) Cosa? Cosa? Voi non avete niente da permettermi. Pagate, e allora potrete permettervi qualche «osa.

Giovanna                      - Ah sì? E io vi metto in libertà la camera per la fine del mese. Ne ho abbastanza d'essere trattata in questo modo!

La signora Maretti        - A piacer vostro. Però non ve ne andrete prima di aver pagato l'affitto. Intendiamoci. (Germana sparisce giù per la scala. Giovanna, irritatissima, misura il fondo del pianerottolo. Il signor Giu­seppe compare sugli ultimi gradini della scala) Ah, si­gnor Giuseppe! La gioventù d'oggi! Non me ne parlate!

Il signor Giuseppe         - (sul pianerottolo) I tempi sono duri!

La signora Maretti        - E per me, poi! Con tutti i miei oneri, le mie tasse, le mie tre cause, mio marito buono a niente, mio figlio che coi suoi studi mi costa gli occhi della testa, mia sorella la portinaia! Auff! (Ritornando amabile) Vostra figlia mi ha pagato. Vedete, signor Giuseppe, ci sono due generi di persone, al mon­do: quelli che pagano e quelli che non pagano.

Il signor Giuseppe         - Signora, vogliate scusarmi, ma ho una fame da lupo. Buon appetito.

La signora Maretti        - Buon appetito, signor Giusep­pe. (Va nella camera dei Lescalli, ora vuota).

Il signor Giuseppe         - (che è entrato nel suo apparta' mento, teneramente) Buongiorno, foglietta.

Edvige                          - Buongiorno, paparino. (Si abbracciano).

Il signor Giuseppe         - Cos'è- successo, dai Lescalli? La loro camera è mezza vuota.

Edvige                          - La signora Maretti li aveva cacciati sul lastrico.

Il signor Giuseppe         - Sul lastrico... con un bambino? Scherza!

Edvige                          - Ha finito col metterli provvisoriamente nella camera vicina. Paparino, debbo farti una confi­denza. Ho dato alla signora Maretti cento lire perché lì tenga.

Il signor Giuseppe         - (trasalendo) Cento lire! Cento lire!  (Riflette, poi sorride) Povera gente!  Hai fatto bene, figlietta! (Appoggiata alla spalla di suo padre, Edvige passa nella camera in fondo, della quale il signor Giuseppe sì chiude dietro la porta. La signora Maretti esce dall'ex camera dei Lescalli e sta per scendere la scala, quando Nino appare sugli ultimi gradini. Porta un berretto. Torna dal suo lavoro, carico di pacchetti e pacchettini).

Nino                              - (ancora sull’ultimo gradino) Buongiorno, si­gnora Maretti!

La signora Maretti        - Buongiorno, Nino. Ho qui la vostra rata. (Mostra la quietanza).

Nino                              - (sul pianerottolo) Ve la pago subito. (Depone i suoi pacchetti sul pavimento e leva il danaro di tasca).

La signora Maretti        - Come va, Nino?

Nino                              - Non c’è male, signora Maretti, grazie.

La signora Maretti        - Nessuno sciopero in prospet­tiva?

Nino                              - Per il momento no. Ma capita quando meno si aspetta. (Egli la paga).

La signora Maretti        - Ecco la vostra ricevuta. Alla prossima, e buon appetito.

Nino                              - Buon appetito, signora. (Raccoglie le sue provviste e raggiunge il fondo del pianerottolo. Appare il signor Roberti sugli ultimi gradini).

La signora Maretti        - (guarda Roberti interrogativa­mente) Signore?

Roberti                          - (salutando) Voi siete la proprietaria, si­gnora?

La signora Maretti        - Sì» perché?

Roberti                          - Giù mi hanno detto che vi avrei trovata qui. Avete da affittare una camera?

La signora Maretti        - Per quando vi occorrerebbe?

Roberti                          - Per subito. Non so, per domani, domani l'altro...

La signora Maretti        - (mostrandogli la camera numero uno) Questa sarà libera per domani. Entrate pure. Ma vi prevengo che è in condizioni deplorevoli. (Lo ha fatto entrare).

Roberti                          - (sorridendo) Costa la camera?

La signora Maretti        - Centocinquanta. Fornisco la biancheria una volta al mese, esclusi gli asciugamani. La camera ve la farete per vostro conto. Per il gas e la luce, c'è un contatore per ogni camera. (Lo mostra) Cosi voi siete indipendente in tutto e per tutto. E' il mio principio: ciascuno per sé e il buon Dio per tutti.

Roberti                          - (sorridendo) E? anche il mio. Un'altra do­manda. Per il mio lavoro mi occorre calma, silenzio. Sono studente ed ho una fobia folle delle radio.

La signora Maretti        - Nella mia casa non ce n'è.

Roberti                          - Allora senz'altro accetto. (Leva il porta­foglio) Eccovi centocinquanta lire.

La signora Maretti        - Giù da me al quinto piano. Vi farò una ricevuta. (Facendolo uscire sul pianerottolo) Prego, signor...

Roberti                          - (nell’uscire presentandosi) Roberti.

La signora Maretti        - Ed io sono la signora Maretti. (Roberti si inchina) Scusate un momento. (Va alla porta della camera numero due) Sbrigarsi con questa camera. E' già affittata ed io devo far venire l'imbianchino su­bito. (Raggiunge Roberti e col gesto lo invita a scendere) Signore...

Roberti                          - Dopo di voi, signora.

La signora Maretti        - (scendendo) Grazie, signore.

Roberti                          - (seguendola) E ditemi, signora. Tranquillo questo sesto piano? Gli inquilini?

La signora Maretti        - (che si è fermata) Agnelli, si-gnore. Qui non succede mai niente. (Continuano a scen­dere e spariscono dalla scala mentre Berta, venuta dal fondo del pianerottolo, va a sporgersi sulla ringhiera, procedendo in punta di piedi).

SECONDO QUADRO

 (Il giorno dopo. L’ora del caffè dopo la colazione. Roberti sta sistemandosi nella ex camera dei Lescalli, ora convertita in una specie di studio. Ai muri, nuova tappezzeria, qualche pittura, libri sopra scaffali. Roberti in maniche di camicia sta attaccando un quadro. In casa del signor Giuseppe, Edvige, sulla sua poltrona, ha da­vanti a sé una piccola tavola con sopra la macchina da scrivere. Batte sotto dettatura del signor Giuseppe che, senza giacca, pipa a becco, cammina in su e in giù per la camera).

Il signor Giuseppe         - (dettando) «Kinsley non volle vedere la mano che gli veniva tesa. Si piegò senza dir parola. Di fronte a un simile insulto, la piccola figlia dei crociati, arrossì fino alla radice dei capelli. " Io vi sa­pevo infame, signore, - sospirò. - Ma non vi sapevo uno svergognato " ».

Edvige                          - (ripetendo l’ultima parola) « Uno svergo­gnato ».

Il signor Giuseppe         - (ripetendo distrattamente) Uno svergognato. (Ripetendo la dettatura) « I due nemici, l'uno di fronte all'altro, come due pantere nella jungla, si guardavano senza parlare. Kinsley le chiese fredda­mente ».

Edvige                          - (ripetendo) «Freddamente». Paparino, sono le due meno dieci.

Il signor Giuseppe         - Perbacco (Vuota la tazza del caffè e si mette la giacca( A proposito, non te lo avevo detto? Vi saranno presto delle novità in ufficio.

Edvige                          - Ah?

Il signor Giuseppe         - Si tratterebbe di un allarga­mento delle mie funzioni di contabilità che di conse­guenza mi porterebbero un aumento dì stipendio. Oh, non è cosa fatta; si tratta di cosa di là da venire.

Edvige                          - Oh! paparino, fosse vero!

Il signor Giuseppe         - Ah, sì, magari! Potrei allora dedicarmi a lavori puramente letterari, invece di passare tutti i miei ritagli a fare questi romanzi gialli, ai quali imprimo, dopo tutto, un certo stile, ma che però... Arrive­derci, fìglietta. (Bacia Edvige).

Edvige                          - Portami il profumo.

Il signor Giuseppe         - Me ne ricorderò. Il profumo, gli aghi, l'aspirina. Ci vediamo. (Esce, discende le scale precipitosamente. Come è sparito, Edvige fa un gesto per richiamarlo. Rapida come le consente la sua claudica­zione, esce sul pianerottolo e chiama)

Edvige                          - (chiamando) Paparino!

Il signor Giuseppe         - (dal fondo) Cosa?

Edvige                          - Anche della carta carbone!

Il signor Giuseppe         - (dal fondo) Capito. (Udendo la voce dì Edvige, Roberti ha trasalito. Va alla porta nel momento stesso in cui Edvige raggiunge la sua. Essa sente il rumore che fa la porta di Roberti aprendosi. Lo vede. Egli la guarda, sorride, saluta. Essa si turba sotto il suo sguardo e chiude la porta. Tornata alla sua poltrona, vi resterà trasognata, tendendo spesso l’orecchio ai rumori del pianerottolo. Sparita Edvige, Roberti fa qualche passo di ricognizione sul pianerottolo, osserva i nomi scritti sulle porte - sono carte da visita fissate con punte si accorge che la sua porta ne manca. Rientra nella sua camera, vi prende un biglietto, esce di nuovo, lo fissa. Germana esce dalla sua camera e sorprende Roberti).

Germana                       - (indicando il biglietto) Il vostro nome? (Si avvicina e legge) «Roberti ».

Roberti                          - (ironico) Un nome, signora, che quanto prima sarà celebre.

Germana                       - C'eravamo prima noi nella vostra camera. Io sono la signora Lescalli. (Roberti s’inchina e saluta) La proprietaria ci ha cambiato di camera. Ci ha falciati via. Avreste bisogno di qualcuna per farvi la camera? Ve la farei a buon mercato.

Roberti                          - Entrate, signora. (La fa entrare e chiude la porta dietro).

Germana                       - Come tutto ora è diverso qui dentro!  Non la riconosco più. (Indicando le fotografie ai muri) Artiste da cinematografo! Questa qui la riconosco. L'ho vista al n Luxor ". Oh, guarda, vi ha scritto sopra qualche cosa. Anch'io vorrei fare del cinema. Ci fu una volta un re­gista che per la strada m'è corso dietro, ma io gli ho detto: «Io di quel pane io non ne mangio»..-. Era un biondone...

Roberti                          - (divertendosi) Avete risposto benissimo. Così ha capito subito con chi aveva a che fare. Vediamo ora che cosa intendete in pratica, per buon mercato.

Germana                       - Tre lire l'ora.

Roberti                          - Io non le guadagno, ma fa lo stesso. Voi però non c'impiegate mica un'ora per fare una camera così piccolina!

Germana                       - Un'ora no: poco più di mezz'ora. Però non bisogna dirlo a mio marito. Lui non vorrebbe che facessi delle camere. E' un artista!

Roberti                          - Ah! ah!

Germana                       - [Dipinge. Dipinge coperchi di scatole da confetti. Ma è un artista. Mentre lavorava si è chiuso la fabbrica, ma va tutti i giorni a prendere il tè da Delfini, dove le sue ammiratrici lo aspettano.

Roberti                          - E voi non siete gelosa?

Germana                       - Bisogna scusarlo. Come artista ha bisogno di ispirarsi.

Massimo                        - (dalla porta della sua camera, chiamando) Germana!

Germana                       - (andando verso la porta di Roberti, a voce alta) Vengo, vengo.

Massimo                        - (gridando) Dove hai messo il lucido da scarpe?

Germana                       - (gridando) Non ce n'è più. Sputa sulla spazzola. (A Roberti) Bisogna che lo raggiunga. Allora; si comincia domani?

Roberti                          - Sì, ma basta che non andiate intorno alle mie carte. Intendiamoci bene! Son canzoniere. Quando dico che sono canzoniere corro un ipò troppo. Voglio diventare canzoniere.

Germana                       - (guardandolo fissamente) Come sarà con­tento Massimo.

ÌRoberti                        - Massimo?

Germana                       - Sì, mio marito. (Lini ama tanto gli intellet­tuali. Mi ha sempre detto di avermi sposata perché sono un'intellettuale anch'io.

Roberti                          - Effettivamente, signora Lescalli, voi non eravate nata per vivere in una camera d'affitto al sesto piano di una casa come questa. E tanto meno per fare le camere degli altri.

Germana                       - Abbiamo avuto delle disgrazie. Come si fa? Tutti i nostri mobili sono immagazzinati. Paghiamo cinquecento lire al mese. Ma grazie a Dio questo stato di cose sta per finire. Massimo sta combinando un affa­rone con un americano. Cento mila lire. Mi ha detto che avrò un servitore. Poi si andrà a pranzare nei grandi ri­storanti. (Raggiunge la porta) Oh, a proposito: guar­datevi dalla Sultana.

Roberti                          - La Sultana?

Germana                       - Berta. Berta, quella che ha la camera in fondo al pianerottolo, la quinta. Anche lei fa servizi. Prima di noi qui c'erano altri inquilini, inquilini uo­mini, e lei passava tutta la notte con loro. Stomachevole!

Roberti                          - Io, invece trovo... trovo che far così era molto 'carino.

Germana                       - Oh, gli uomini!

Roberti                          - Graziosa, come ragazza?

Germana                       - Non male. Mi assomiglia.

Roberti                          - Perché la chiamate la Sultana?

Germana                       - Dice di essere stata alla Corte di Turchia. Era moglie, sempre dice lei, di un cognato del Sultano

Roberti                          - Comprendo.

Germana                       - Bisogna che ve ne guardiate. E vi guar­diate anche dalla portinaia.

Roberti                          - Mettetemi a giorno, signora Lescalli. Sem­pre molto utile conoscere i propri nemici.

Germana                       - La portinaia è gelosa della signora Maretti. E' sua sorella, quindi voi mi capite. Una sorella proprietaria e l'altra portinaia. Non fa niente la porti­naia, se ne... Tocca alla proprietaria di distribuire la posta, e c'è una serva che spazza il cortile e le scale.

Massimo                        - (dalla sua porta, chiamando) Germana!

Germana                       - (gridando) Vengo, vengo. (A Roberti) A domani.

Roberti                          - A domani. (Germana esce sul pianerottolo. Roberti ride silenziosamente e riprende i suoi lavori di sistemazione della camera. Giovanna appare sull’alto della scala).

Germana                       - Oh, guarda, guarda! Un cappello nuovo? Ve lo ha pagato il vostro amico?

iGiovanna                     - Sì, quello! Un tirchio come lui! Me lo son dovuto pagare coi miei soldi, altro che amico! Di­ciotto lire. Un fondo di bottega.

Germana                       - Non si vede più il vostro amico. Piantato?

Giovanna                      - Sì, mi piantano tutti. Non ci capisco più niente. A proposito, l'ho vista sapete, la vostra dama misteriosa.

Germana                       - No! Dove?

Giovanna                      - Qui di faccia, sul marciapiede. Bellissima, elegantissima. Non è così?

Germana                       - Bionda, grande, con due occhi azzurri

Giovanna                      - Sì, sì, è lei.

Germana                       - (chiamando) Berta!

Berta                             - (dal fondo del pianerottolo) Cosa c'è?

Germana                       - Vieni qui. (Berta appare subito con in mano un piumino) La signorina Giovanna ha visto la signora in grigio.

Berta                             - Sul serio?

Germana                       - Sul marciapiede qui di faccia.

Berta                             - Forse c'è ancora.

Giovanna                      - Probabilmente sì.

Massimo                        - (dalla sua porta) Germana, mi prendi in giro? Ci vai o no a prendermi le sigarette?

Germana                       - Ah, già! Le tue sigarette!

Massimo                        - (andando verso le donne) Cosa volete, io non posso lavorare senza fumare... E non posso fu­mare senza lavorare.

Germana                       - (a Giovanna) Lo sentite! lo sentite!

Massimo                        - (a Giovanna) Sempre bene i vostri amori?

Germana                       - (dalla scala) Vieni, Berta?. Forse si riesce a vederla. (Scende seguita da Berta. Giovanna raggiunge il fondo del pianerottolo).

Massimo                        - (trattenendola) E allora?... Sempre il lot­tatore?

Giovanna                      - No, col lottatore, finito tutto. Un vio­linista. Suona come solista nell'orchestrina di un caffè.

Germana                       - (dal quinto piano) Ehi, lassù! Mi racco­mando, non state a filare, mentre sono fuori.

Giovanna                      - (correndo al parapetto e ridendo) Potete vivere tranquilla. Vostro marito non mi piace.

Massimo                        - Ma è vero? Allora, secondo voi, non è possibile che un giorno io e voi...

Giovanna                      - (ridendo) Non credo, signor Lescalli. (Scompare nel fondo del pianerottolo. Massimo, non sa­pendo cosa fare, va alla porta di Roberti, osserva il bi­glietto che vi è attaccato, esita, poi batte due colpì. Ro­berti va ad aprire).

Massimo                        - Scusatemi. (Presentandosi) Massimo Le­scalli, vostro vicino.

Roberti                          - Ah, felicissimo. Entrate.

Massimo                        - (entrando difilato) No, no. Io volevo sol­tanto fare la vostra conoscenza. Fra vicini di pianerot­tolo, non è vero... Io ho conosciuto un Roberti impego­lato in un certo affare di divisione, un affare losco-.

Roberti                          - (ironico) Mi dispiace, ma non ero io, quello.

Massimo                        - Ha fatto su dei milioni.

Roberti                          - Allora, mi dispiace anche di più.

Massimo                        - (dopo aver riso fragorosamente) Avreste una sigaretta da darmi? Mia moglie è andata giù a pren­derne un pacchetto. Ma voi sapete, le donne... Ci vorrà un'ora. (Roberti gli tende il suo pacchetto. Massimo si serve. Entrambi accendono le loro sigarette) Grazie. Io non posso lavorare senza fumare.., e non posso fumare senza lavorare. (Ride) Rimpiango questa camera. Ci si lavorava tanto 'bene per la luce. sapete cosa faccio io?

Roberti                          - Il pittore, mi ha detto la vostra signora.

Massimo                        - Oh! è 'già venuta a importunarvi?

Roberti                          - Non mi ha importunato affatto.

Massimo                        - E' una specie idi malattia che ha quella donna. Ha bisogno di offrirsi subito per qualche servizio. E viceversa poi, trascura la propria casa. (Un eco della voce di Germana sale dal quinto piano. Massimo esce e va alla ringhiera) Germana! Ancora non sei giù? Ma vai sì o no a comprarmi queste sigarette?

 Germana                      - (dal quinto piano) Sto parlando qui «m la signora Maretti...

La signora Maretti        - (c. s.) Cosa volete lassù? Ho due parole da dire a vostra moglie.

Berta                             - (c. s.) Si sta discutendo!

Massimo                        - (a Roberti che lo ha seguito sul pianerottolo) Ah, le donne».

Roberti                          - La pittura, in questi tempi, come va? Piut­tosto male?

Massimo                        - Malissimo, va. I borghesi non comprano più. (Da qualche tempo Edvige si è alzata dalla sua poltrona, passando nella camera in fondo. Tutt'a un tratto, la si sente di là gridare)

Edvige                          - Mucci! Mucci! (Rientrando dalla camera di fondo) Oh! Oh! (Appare sulla porta che dà sul piane­rottolo) Ah, signor Lescalli!

Massimo                        - Cos'è successo?

Edvige                          - (appoggiandosi alla parete per non cadere) Il mio Mucci è caduto dalla finestra. (Dal quinto piano si è sentito. Berta e Germana salgono rapidamente le scale).

Germana                       - (dalla scala) Cos'è successo?

Massimo                        - Mucci è caduto dalla finestra.

Germana                       - (andando verso Edvige) Ma sì sarà ag­grappato. (La sostiene) I gatti, si sa, sono agili come le scimmie. (Decisamente Germana entra da Edvige, come in casa sua, e passa nella camera di fondo).

Edvige                          - (abbandonandosi sulla poltrona) Oh, oh, oh!

Roberti                          - Vado a cercarlo. (Scende le scale rapida­mente dinanzi a Berta che si affaccia. Germana esce dalla camera di fondo e si avvicina a Edvige).

Germana                       - C'è gente sul marciapiede. (Edvige piange) Andiamo, non bisogna ridursi in questo modo. Si tratta, alla fine di un gatto.

Edvige                          - Il mio micetto!

Giovanna                      - (venendo dal fondo in veste da camera) Cosa capita?

Berta                             - Il gatto che è caduto dalla finestra.

Giovanna                      - Oh, povero micio!

Massimo                        - Il nuovo vicino è andato a cercarlo. (Striz­zando adocchio) Un bel ragazzo. (Giovanna dà di spalla).

Berta                             - A me non piace.

Una Voce                      - (dai piani inferiori) Cosa succede?

Berta                             - (sporgendosi sul parapetto) E' il gatto di Edvige che è caduto dalla finestra.

(La Voce                       - (trasmettendo più lontano) E’ il gatto di Edvige che è caduto dalla finestra. (A Berta) E' morto?

Berta                             - Non si sa ancora. Sono scesi a vedere.

La Voce                        - (trasmettendo più lontano) ' Non si sa an­cora. Sono scesi a vedere. (In basso la porta che sbatte chiudendosi).

Germana                       - (è rimasta presso Edvige per consolarla).

Edvige                          - Ritorna o no? (Germana esce sul piane­rottolo).

Berta                             - (affacciata alla ringhiera) Eccolo.

Germana                       - (pure affacciata) Risale. (A Roberti) Un guaio serio? (Edvige è balzata su diritta).

Roberti                          - (dal quinto piano) Niente. Nessun guaio. Solo un poco stordito.

Edvige                          - Ah, mio Dio! (Ricade sulla poltrona coi nervi rotti).

  Germana                     - (andando verso di lei) Non si è fatto niente, solo intontito. H nuovo inquilino Roberti è un canzoniere.

Roberti                          - (appare sugli ultimi gradini della scala. Ha in braccio il gatto) Niente bua. Ma soltanto seria­mente scosso. (A Edvige che si è fatta sulla porta) Eccolo, signorina.

Edvige                          - (emozionata, prendendo il gatto) Oh, grazie, signore! (Se lo stringe al petto, e ha uno sguardo smar­rito di riconoscenza per Roberti. Gli sorride, poi va nella camera in fondo. Germana esce dalla casa di Edvige e chiude la porta).

Germana                       - Bisogna lasciarla sola.

Massimo                        - Un gatto ricade sempre sulle sue zampe. (A Germana) E le mie sigarette?

Germana                       - Con tutto questo trambusto, proprio non ci no pensato, (A Berta) Berta, vieni? (Discendono le scale).

Massimo                        - (alla ringhiera) E non fermarti più. Voglio fumare, insomma.

Roberti                          - (offrendogli il suo pacchetto) Allora pren­dete.

Massimo                        - (servendosi) Grazie. (Vedendo che Ro­berti guarda Giovanna) Ah, è vero, voi non vi conoscete. (Presentazione) Il signor Roberti, la signorina Giovanna.

Giovanna                      - (tendendo la mano a Roberti) Avete compiuto un atto veramente gentile.

Roberti                          - Più che naturale, mi sembra. (Giovanna raggiunge il fondo del corridoio).

Massimo                        - (quando essa se n'è andata) Bella figliola, no? In confidenza vi dirò: mica difficile.

Roberti                          - Professionale?

Massimo                        - Non ancora. Ma lo Sventerà. Per il mo­mento è dattilografa. Specialista in cambi. Ora è presa per un violinista. Fra quindici giorni ci sarà un altro. Voi o io.

Roberti                          - Carina. Ma anche la piccola è tanto carina. Mi piace di più. E’ interessante.

Massimo                        - Edvige? Mi ha ispirato una delle mie tele più belle. Ora le domando di potervela. mostrare.

Roberti                          - Non le seccherà, specie in questo momento?

Massimo                        - Ma neanche per sogno. Tra vicini... (Batte. alla porta di Edvige. Edvige esce dal fondo e va ad aprire) Non vorrei disturbarvi. (Facendo le presenta­zioni) Il signor Roberti il nostro nuovo vicino di pia­nerottolo e la signorina Edvige.

Edvige                          - (sorridendo) Ci ha già presentato il mio Muccì. (Tende la mano a Roberti) Poco fa vi ho rin­graziato male. Ero turbata.

Roberti                          - (che le ha preso la mano) Non ne parliamo neanche. Prego, prego.

Massimo                        - Ho detto al signor Roberti del ritratto che vi feci. Vorrei farglielo vedere... Possibile?

Edvige                          - (sgridandolo gentilmente) Fate dei compli­menti con me, signor Lescalli? Ma certo che è possibile. Entrate, signori. (Roberti e Massimo entrano. Edvige chiude la porta e mostra un quadro di piccole dimen­sioni) Eccolo.

Massimo                        - (lo cava dal chiodo e lo mostra a braccio teso) Che ne dite?

 Roberti                         - (esitando, tanto è brutto) L'avete molto stilizzata.

Massimo                        - Bisognava. Ho anche tra disegno a lapis della signorina. Vado a prenderlo. (Esce sul pianerottolo ed entra in casa sua).

Roberti                          - Avete di questo ritratto una personale opinione?

Edvige                          - (ridendo) Si. (Scoppiano a ridere) Poveruo­mo! Non bisogna disilluderlo. (Seria) Io penso che delle illusioni bisogna sempre averne.

Roberti                          - (dopo averla contemplata a lungo) Egli però ammira la vostra bellezza. Poco fa mi diceva: Essa -essa siete voi - essa mi ha ispirato uno dei miei quadri più belli.

Edvige                          - (vedendo Roberti che guarda una fotografia) Mio padre.

Roberti                          - Mi piacciono questi tipi leonini. (Si guarda intorno) Molto carina la vostra casa.

Edvige                          - Questo è il nostro salotto, magazzeno, studio, camera da lavoro, biblioteca. Non abbiamo che tre vani.

Roberti                          - (osservando la macchina da scrivere) Scri­vete a macchina?

Edvige                          - Un pò di lavoro letterario di mio padre. Papà, nei ritagli di tempo, scrive romanzi, romanzi gialli. Ciò lo diverte e aumenta di qualche poco le nostre risorse modeste.

Roberti                          - (levando un libro dalla copertina e leggendo il titolo) « Il mistero del padiglione di caccia », di Guy Desroses.

Edvige                          - Uno pseudonimo.

Roberti                          - Mi prendo questo romanzo per leggerlo, se permettete.

Edvige                          - (dopo aver esitato) Si, sì, benissimo. E dopo mi direte il parere vostro.

Roberti                          - Che strana giovinetta siete voi!

Edvige                          - Giovinetta! Sto per compiere vent'anni. E' vero che voi siete un autore di canzoni? Le canzoni mi piacciono tanto.

Roberti                          - Vi farò conoscere le mie. Per la verità, non sono un autore di canzoni, sapete. Vorrei diventarlo. Per il momento studio giurisprudenza. Dico « studio »... Do­vrei studiare... (Visto il pianoforte) Un pianoforte! Ma­gnifico! Ecco» con questo ve le potrei cantare accom­pagnandomi.

Edvige                          - Come sono le vostre canzoni? Allegre? Tristi?

Roberti                          - (vivacemente) Allegre. Odio le cose tristi.

Edvige                          - Anche a me piacciono le cose allegre.

Roberti                          - Il mondo è malinconico perché in bolletta. Date al mondo un minimo di quattromila lire al mese e il mondo sarà tutto gioioso. Canterà il mondo, dalla mattina alla sera.

Edvige                          - Perché, voi guadagnate già tanto?

Roberti                          - Per carità. Io non guadagno il becco di un quattrino. Sono studente. Ma non andrà sempre così.

Edvige                          - (che ha riso) Davvero mi farete conoscere le vostre canzoni?

Roberti                          - Certo che ve le farò conoscere e ne scri­verò anche una proprio per voi. Certamente. sarà la sto­ria dì un gattino dai propositi di suicidio.

Edvige                          - (ridendo, poi facendosi seria) Oh, Mucci suicidarsi! E’ troppo felice per farlo. Credete sul serio che le bestie si possano uccidere volontariamente?

Roberti                          - Se lo credo? Ma certo. Ci furono dei cani che si lasciarono morir di fame dopo la morte del loro padrone. E nessuno ha mai visto il contrario. (Avvicinandosi al piano) Cosa suonate?

Edvige                          - Un po' di tutto: suonatine, ballabili».

Roberti                          - (facendo scorrere le dita sul pianoforte e can­ticchiando)  « Come i vent'anni Emilio ebbe toccato il nonno un giorno, gli parlò così ».

Edvige                          - E' vostra? (Massimo è uscito dalla sua porta con un disegno e batte a quella di Edvige) Avanti, avanti, signor Lescalli. (A Roberti) Come si chiama que­sta canzone?

Roberti                          - « Vent'anni ».

Massimo                        - (che è entrato) Eccolo. (Mostra il disegno).

Roberti                          - (guardandolo) Grazioso. (Si alza).

Massimo                        - (soddisfatto della lode) Venite con me. Voglio mostrarvi altri miei lavori. Vedo che ne siete degno. Arrivederci, signorina Edvige.

Roberti                          - (sorridendo a Edvige) A presto.

Edvige                          - A presto. (Massimo e Roberti escono sul pianerottolo. Edvige chiude la porta dietro di loro. Poi stende le braccia in segno di contentezza e va al piano­forte dove suona una romanza in sordina).

Massimo                        - (a Roberti) Naturalmente qui in casa ho ben poco. Dopo che non ho più studio, lavoro meno in pittura. (Cerca nelle tasche un pacchetto di sigarette che non c'è).

Roberti                          - (tendendogli il suo) Sigarette?

Massimo                        - (servendosi) Abuso. (Entra in casa sua. Berta e Germana appaiono sugli ultimi gradini della scala. Hanno Varia misteriosa e sono eccitatissime. si collocano al davanzale e sporte fuori guardano e ascol­tano).

Roberti                          - (ridendo) Cosa succede?

Germana                       - (sussurrando) Silenzio! Sta salendo la dama in grigio.

Roberti                          - (a bassa voce) Chi?

Germana                       - (sussurrando) La dama in grigio.

Berta                             - (bisbigliando a Roberti) Bisogna che non ci veda. (Affacciata alla ringhiera) E' al quarto piano.

Germana                       - (sussurrando) Nascondetevi.

Roberti                          - (c. s.) Ma io voglio vederla.

Germana                       - (c. s.) No, rovinereste tutto. La vedrete un'altra volta. Entrate. (Docile e ricreato, Roberti entra. Però è curioso. Resta quindi dietro la porta a orecchio teso. Appare Giovanna dal fondo del pianerottolo, in veste da camera. Le due donne le fan segno di, ritirarsi).

Berta                             - (a Giovanna, sottovoce) Eccola.

Germana                       - (affacciata al parapetto, sottovoce) E' al quinto piano. (Germana spinge Berta e Giovanna verso il fondo del pianerottolo. Esse rimangono in osservazione nascoste dietro l’angolo. Dì li a poco appare Irene. Non se ne vede che il busto. Scruta il pianerottolo. Non si ode che la romanza in sordina di Edvige. Irene ascolta. Poi, osando, sale fino al pianerottolo. Appoggiata alla ringhiera, in preda ad una profonda emozione, posa gli occhi sulla porta di Roberti).

Massimo                        - (dalla sua camera) Corpo di mille bombe! Che disordine! (Irene trasale e rapida ridiscende le scale. Com'è scomparsa, Germana e Berta, seguite da Giovanna, escono dai loro nascondigli. Si sporgono).

Berta                             - (a Germana a mezza voce) andiamo dietro?

Germana                       - Magari!

Berta                             - Hai dei soldi per l'autobus?

Germana                       - In qualche modo ce la caveremo. (Senza rumore scompaiono già per la scala. Giovanna sporta anche lei, ma dal pianerottolo, le osserva, divertendosi. Roberti apre adagio, vede Giovanna, esce).

Roberti                          - (a Giovanna) La seguono?

Giovanna                      - Vogliono assolutamente sapere chi è e dove abita.

Roberti                          - Vien qui da molto tempo?

Giovanna                      - La si è vista due o tre volte in tutto. Sale fino al pianerottolo, guarda questa porta, la vostra, e se ne va.

Roberti                          - Strano! (Si appoggia col gomito al para­petto come fa Giovanna) Non provate come l'impres­sione d'essere sul ponte di un postale appoggiata al para­petto, col mare che fugge sotto di noi?

Giovanna                      - (ridendo) Veramente, non troppo.

Roberti                          - Perché guardate ad occhi aperti. Chiudete gli occhi e vedrete. Chiudeteli. (Giovanna ride, poi obbe­disce) Siete in crociera. Il vostro battello fila verso le Antille. Fuggite un amore perduto. E' notte. Una notte dei tropici, pesante, calda. (Passa una mano intorno alla vita di Giovanna che non protesta) La terra si avvicina. Il domani li separerà perché ci sarà lo scalo. Ma questa notte è ancora tutta per loro. E senza osare di dirselo, pensano che bisogna cogliere il fiore dell'avventura finche si offre. (Giovanna apre gli occhi e lo guarda. Il viso di Roberti è vicino al suo seno) Chiudete gli occhi, chiu­dete gli occhi per meglio vedere. (Dolcemente la stacca dalla ringhiera e tenendola allacciata la conduce verso la porta della sua camera) Le cabine sono vicine le une alle altre! Un passo di più a destra o a sinistra e ci si sbaglia di porta. (Essa apre gli occhi, lo guarda, li ri­chiude e si abbandona a lui) Non ha detto niente. Ma c'è bisogno che parli? I loro occhi si sono già detto tutto quello che avevano da dirsi. (Apre la porta della sua camera e la fa passare sempre tenendola allacciata) Chiudete gli occhi. Chiudete gli occhi per meglio ve­dere. (La bacia. Le labbra sulle labbra; mentre Massimo che ha finalmente trovato i suoi disegni, esce dalla sua camera giusto giusto per trovare la coppia in quella posa. Massimo s'irrigidisce col viso contrariato. Poi ha un gesto di transigenza e rientra nella sua camera).

TERZO QUADRO

(Qualche giorno dopo, fine pomeriggio. Il pianerot­tolo è vuoto. Roberti nella sua camera legge, cammi­nando in lungo e largo. In casa del signor Giuseppe, ci sono Giuseppe e Nino. La porta di comunicazione con la camera in fondo è chiusa. Nino siede nella poltrona di Edvige, immobile. Giuseppe cammina in lungo e largo. Improvvisamente si ferma dinanzi a Nino).

Il signor Giuseppe         - Preferisco parlarti apertamente: Edvige non è per te. Prima di tutto è una bambina. Non ha ancora vent'anni. Poi è una malata. Guarirà, ne son sicuro; con cure ed aria di campagna si farà robusta. Con l'età anche. Ma non si può pensare al suo ma­trimonio almeno per il moment». (Facendo Nino un gesto per interrompere) No, lasciami parlare. C'è anche un'altra ragione del mio no. Tu mi dici che le vuoi bene e lo credo, perbacco. Ma lei te ne vuole? Ha senza dubbio per te dell'affetto. Vi conoscete da oltre dieci anni. Tu per lei sei stato un fratello, ma forse Edvige ha delle altre vedute. Non esce mai, non conosce niente del mondo. Ma quando uscirà. Poi c'è un'altra cosa. Tu non hai una posizione, mio povero Nino.

Nino                              - Ho un posto, signor Giuseppe.

Il signor Giuseppe         - Un posto che domani puoi per­dere. E allora?

Nino                              - Ho dei risparmi.

Il signor Giuseppe         - Eh, so anche questo! Credi che io non ti abbia osservato e non ti conosca? Non vai a caffè, non fumi. Io mi chiedo ancora come hai potuto mettere da parte cinquemila lire. Me lo domando e ti ammiro. Ma sì, Nino, e trovo che tutto questo è magni­fico. (Nino ride dolcemente nel suo dispiacere) Ti si po­trebbe portare come esempio. Ah, senza dubbio non potrei augurare a Edvige un marito migliore di te, se...

Nino                              - (dopo una pausa) Se... che cosa?

Il signor Giuseppe         - Se... (Lo guarda dall'alto in basso e non può dirgli come lo trovi poco attraente).

Nino                              - Ah, capisco! Io sono un coso qualunque. Io sono...

Il signor Giuseppe         - Povero ragazzo!

Nino                              - (mettendosi a piangere) Ma io le voglio tanto bene, signor Giuseppe, in compenso!

Il signor Giuseppe         - Lo so, lo so, caro. Ma dopo tutto non c'è mica solo Edvige a questo mondo. Andia­mo, via, non piangere. Non lo permetto. (Un silenzio) Ascoltami, Nino: Edvige deve ignorare che tu mi hai fatto questa domanda. Capito? E un giorno ti convin­cerai che avevo ragione. Ti sarà penoso in principio, lo so.

Nino                              - (dopo un lungo silenzio) Potrò venire a tro­varvi come prima?

Il signor Giuseppe         - S'intende. Nulla di cambiato. Edvige a non vederti si meraviglierebbe.

Nino                              - Posso restare questo pomeriggio?

Il signor Giuseppe         - Ma certamente, mio piccolo Nino. Il pomeriggio del sabato senza di te, non sarebbe più un pomeriggio del sabato.

Edvige                          - (uscendo dalla camera di fondo) Finiti que­sti misteri?

Il signor Giuseppe         - Oh, misteri I No, Nino aveva da parlarmi di una certa bega che ha, una cosa che tu non puoi capire.

Edvige                          - Tu hai una bega, Nino? (Nino si turba).

Il signor Giuseppe         - Lascialo stare. Tanto, non ti può spiegare. Bè, Edvì, si lavora? (A Nino) Resta pure, Nino. Tu non ci disturbi affatto.

Edvige                          - (in poltrona) Ecco. (Una pausa) Sai, è vero? Oggi alle cinque il signor Roberti viene a prendere da noi il tè.

Il signor Giuseppe         - (guardando l'orologio) Caspita! Fra venti minuti! Però abbiamo venti minuti. Approfit­tiamone.

Edvige                          - (leggendo sul foglio rimasto sul rullo della sua macchina da scrivere) « Il visconte portava una giacca corta »... Ti sei fermato qui quando ha suonato il fatto­rino del telegrafo.

Il signor Giuseppe         - Esatto. (Detta. Edvige scrive) « II visconte portava una giacca corta e calzoni dello stesso colore. Due occhi magnifici aveva, a distanza rigo­rosamente uguale l'uno dall'altro...». (Massimo è uscito da qualche istante dalla sua camera e cerca con gli occhi Germana).

Massimo                        - (chiamando) Germana! (Silenzio) Ger­mana! (Va al parapetto).

Il signor Giuseppe         - (dettando) « La vita al castello sembrava essersi fermata. Lontano, un orologio, sgranò nell'aria traslucida i dodici colpi della mezzanotte».

Edvige                          - (ripetendo) «Mezzanotte».

Massimo                        - (alla ringhiera, chiamando) Germana!

Il signor Giuseppe         - (dettando con un gesto di irrita­zione) « Mezzanotte - ruggì il visconte, che trasalì. Gli sembrò che le sue quattro membra si conficcassero nel suo cervello ».

Edvige                          - (ripetendo) « Cervello ».

Nino                              - Buona questa immagine! (Avendo Massimo battuto alla porta, il signor Giuseppe s'interrompe e gli apre).

Massimo                        - Scusatemi se disturbo. Mia moglie è da voi?

Edvige                          - (allegramente dalla sua poltrona) No, è uscita la signora Germana. Con la Sultana. Fanno la posta alla dama in grigio.

Massimo                        - Sono matte! Scusatemi. (Rientra nella sua camera).

Edvige                          - (al padre) Vogliamo rimettere il seguito a più tardi, se non ti dispiace? Mi sento un po' stanca.

Il signor Giuseppe         - (allarmato) Stanca? Sul serio?

Edvige                          - Non sul serio. Ma mi disturba fissarmi su ciò che scrivo.

Il signor Giuseppe         - (guardandola a lungo) Sei di­magrita. Ti ci vorrebbe la campagna. Ah, benedetti quat­trini! (Si nasconde il viso fra le mani).

Edvige                          - (consolandolo) Non scoraggiarti, paparino.

Il signor Giuseppe         - Anch'io mi sento un pò stanco. Questa mungitura continua delle facoltà creative, consu­ma un uomo. (Osserva i fogli dattilografati) In questo pomeriggio abbiamo lavorato parecchio. Lo finiremo stasera questo romanze.

Edvige                          - (gaiamente) Con un giorno di vantaggio, paparino.

Il signor Giuseppe         - Sì, però domani riposo lo stesso. Assoluto riposo. (Si siede) Ho invitato quel signore pro­prio per farti piacere. Dopo tutto non lo conosciamo. Chi è? Di dove viene? Mi ha l'aria un pò strana. Qualche cosa, non so, di enigmatico. (A Nino) Non trovi, Nino?

Edvige                          - (minacciandolo scherzosamente col dito) Paparino, gli sportelli del romanzo d'appendice sono Chiusi. (// signor Giuseppe ride) Non è vero, Nino, che non ha niente di enigmatico, come dice papà, quel si­gnore?

Nino                              - (sforzandosi di parere indifferente) Ah, io non posso dir niente. Non l'ho ancora visto.

Il signor Giuseppe         - Io voglio sapere chi viene in casa mia. E' stato molto gentile con te e bisogna resti­tuirgli la cortesia, d'accordo. In seguito poi, vedremo. (Guarda il suo orologio) Vado a cercarlo. (Osservando Nino) Tu Nino... (Va nella camera in fondo).

Nino                              - (capendo di esserci di troppo) Io vado a fare un giretto. Ho mal di testa.

Edvige                          - (a Nino) Hai molto male? (Gli mette una mano sulla fronte) Sì, è vero. Hai la fronte che brucia.

Nino                              - Lo so.

Edvige                          - (dopo un istante) Dimmi, Nino, andresti a farmi una commissione, tu?

Nino                              - Ben volentieri.

Edvige                          - Vai in un negozio di musica e comprami una canzone che si chiama « Vent'anni ». Ti ricorderai questo titolo?

Nino                              - Non è difficile ricordarlo-

Edvige                          - Mica solo le parole. Anche la musica.

Nino                              - Capito.

Edvige                          - Poi da un profumiere prendimi un po' di rossetto per le labbra, idi quello da meno. Un pastello. Hai dei soldi con te?

Nino                              - Sì. A fra poco. (Fa per uscire).

Edvige                          - A fra poco. (Richiamandolo) Nino, cos'è questa tua bega?

Nino                              - Oh, niente. Non ti interesserebbe. (Uscendo) Arrivederci, signor Giuseppe.

Si signor Giuseppe        - (dalla camera in fondo) Arri­vederci, Nino. (Dopo pochi istanti Roberti ha infilato una giacca ha rifatto il nodo della cravatta, guardato l’orologio. Torna sul pianerottolo, mentre Nino sta scendendo i primi gradini della scala. Roberti lascia cadere m dì lui uno sguardo indifferente, mentre va difilato a battere alla porta di Edvige. Nino si è fermato e lo segue con uno sguardo torbido. Quando Roberti sarà entrato da Edvige, continuerà lento la sua discesa a testa bassa; Giuseppe aprendo la porta) Stavo per venirvi a cercare. Entrate, entrate, caro vicino. (Roberti entra. Giuseppe chiude la porta).

Edvige                          - (tendendo la mano a Roberti) Buon giorno, signore. il mio Mucci è ancora un pò stordito. Già prima della caduta dormiva molto. Ora dorme sempre.

Il signor Giuseppe         - (ritornando con una bottiglia dì Porto e dei bicchieri) Cosa vuoi che faccia di di­verso? (Stura il Porto).

Edvige                          - Ho una tremenda paura quando cammina sulla grondaia.

Roberti                          - Perché noi guardiamo la grondaia coi no­stri occhi di uomini. Se noi avessimo le stesse abitudini dei gatti, noi passeggeremmo sulle grondaie larghe ses­santa centimetri e anche meno.

Edvige                          - (ridendo) Non so immaginarmelo, il papà che passeggia sopra una grondaia.

Il signor Giuseppe         - Mia figlia ride di me perché soffro di vertigini. Cosa posso offrirvi? Tè, Porto...

Roberti                          - Niente, grazie. Ho preso il tè che è poco.

Il signor Giuseppe         - Non rifiuterete allora un bic­chiere di Porto. (Va nella camera in fondo).

Edvige                          - Anche per me un bicchiere, papà.

Il signor Giuseppe         - (dal fondo) Bene, bene, bene! Giorno di stravizi! (Massimo è uscito dalla sua camera e si è fatto sul parapetto).

Massimo                        - (chiamando) Germana!

Edvige                          - (ridendo) E pensare che sono alla caccia della dama in grigio.

Roberti                          - Chi è questa dama in grigio di cui si parla

tanto?

Il signor Giuseppe         - Non sì sa. Sono semplici supposizioni. Si lavora di fantasia. La dama in grigio. Un grazioso titolo. (Massimo ha lasciato il parapetto ed è rientrato in casa) Non so ancora esattamente chi siate, perché, se ho ben capito, siete ad un tempo studente compositore di canzoni. (Bevono).

Roberti                          - (ridendo) Così. Circa.

Il signor Giuseppe         - lo invece sono un contabile. Questa è la mia qualifica: il signor Giuseppe, il conta­bile. Avete osservato come conta la professione sulla vera personalità di ciascuno? La società vi qualifica: militari, contabile, commerciante, operaio. E sembra che non pos­siate essere che tale. Mi sono spesso domandato come gli altri mi giudicheranno: senza dubbio, il signor Giu­seppe il contabile. Ed è anche esatto, in fondo, perché è la mia vita apparente. Otto ore al giorno io sono al mio scrittoio a tirar somme. Eppure, non ostante questo, arrivata la sera, io trovo qui il mio focolare, mia figlia, , i miei libri, i miei lavori e torno ad essere io. Oh, lo so, che se avessi tempo e modo, scriverei ben altre cose. Ma le nostre risorse sono modeste, e di conseguenza mi sono messo a scrivere romanzi popolari.

Roberti                          - (che vuol essere gentile) Che valgono, in taluni casi, quanto gli altri...

Il signor Giuseppe         - Più degli altri. Lo dico forte, più, più degli altri. E’ in questo genere di romanzi che si trovano ancora le grandi parole: «onore, coraggio, devozione, fedeltà, fierezza ». Osservate le mie opere, gio­vanotto. (Indica la scansia, dove sono custoditi libri dalle copertine multicolori) L'opera mia dì quindici anni. Centoquarantasei romanzi. (Ne prende uno) Chissà che non ne abbiate letto qualcuno.

Roberti                          - Può darsi. Datemi qualche titolo.

Il signor Giuseppe         - «Il cavaliere di Miramas». Un romanzo di cappa e spada.

Roberti                          - No.

Il signor Giuseppe         - A voi. Leggetelo. (Glielo dai Porta il nome di Gustavo Dalebelle. E' mio egualmente, (Prende un altro libro) « Sempre sola ».

Roberti                          - Neanche questo.

Il signor Giuseppe         - Non si può leggere tutto. Ho quindici pseudonimi. Ciò mi permette di fare un romanzo al mese.

Roberti                          - Ma come fate a concepire tante favole nuove, e creare tanti nuovi personaggi?

Il signor Giuseppe         - Non li offre forse la vita? Basta pensarci. E poi... è tutta questione d'immaginativa.

Edvige                          - (ridendo) E poi - aggiungi - c'è il registro dei personaggi. Non dici tutto, paparino.

Il signor Giuseppe         - (ridendo) Se io volessi vantarmi delle mie possibilità, con Edvige, non sarebbe possibile. (Aprendo un registro) A voi. Ecco un registro per darci, romanzo per romanzo, tutti i personaggi che possiamo desiderare. Osservate! A sinistra ì personaggi maschili, a destra i femminili. Dinanzi a ciascuno un numero. Ecco tutto.

Roberti                          - E allora?

Il signor Giuseppe         - Non capite?

Roberti                          - No, ve lo confesso.

Il signor Giuseppe         - (ridendo con superiorità) Non capisce!

Edvige                          - (ridendo) Non capisce!

Roberti                          - No, non capisco.

Il signor Giuseppe         - Stanchi di cercare personaggi nuovi per i nostri romanzi, un giorno li abbiamo riuniti tutti qui, dentro questo registro, elencati, numerati. E -di qui sortono tutti i mesi, per virtù del saio. E il caso è la mia Edvige.

Edvige                          - Sono io.

Il signor Giuseppe         - Lunedì, dobbiamo cominciare un romanzo nuovo, e vorrei essere impiccato, se so che cosa succederà e chi vi figurerà. I dadi, figlietta.

Edvige                          - (lanciando a caso tre dadi, poi guardando le cifre) 5, 2, 6.

Il signor Giuseppe         - 5, 2, 6. Consulto il registro. Ora il numero 526, è - osservate voi stesso – un gioielliere, E Io scrivo. Dopo?

Edvige                          - (lanciando i dadi) 412.

Il signor Giuseppe         - (consultando il registro) 412, Direttore d'orchestra. Io scrivo « Direttore d'orchestra ». Poi?

Edvige                          - (continuando a lanciare i dadi) 214.

Il signor Giuseppe         - (come sopra) 214. Banchiere.

Edvige                          - (c. s.) 112.

Il signor Giuseppe t(c. s.) Pescatore di perle.

Edvige                          - (c. s.) 655.

Il signor Giuseppe         - (c. s.) Corridore automobilista.

Edvige                          - (c. s.) 422.

Il signor Giuseppe         - (c- s.) Pugile! Sono già sei uomini, bastano. Ora le donne.

Edvige                          - (c. s.) 441.

Il signor Giuseppe         - (c. s.) Gran dama.

Edvige                          - (c. s.) 516.

Il signor Giuseppe         - (c. s.) Donna giornalista.

Edvige                          - (c. s.) 515.

Il signor Giuseppe         - (c.s.) Bambinaia. Finito, finito! (A Roberti con aria contenta) Ecco fatto.

Roberti                          - Divertentissimo. (Riflette) Ma... resta da fare il più. Immaginare la trama.

Il signor Giuseppe         - Semplicissimo. Riavvicinate questi personaggi così piovuti dal cielo, e ci caverete fuori un romanzo. Io vedo subito che il banchiere è l'amante della gran dama, che sarà una contessa, che ha simpatia per il direttore d'orchestra. Ha un'amica, in­namorata anche lei del direttore d'orchestra. H ban­chiere geloso, uccide il direttore d'orchestra. Nessuno ha visto commettere il delitto. La donna giornalista, si fa portare dal suo fidanzato sul luogo del delitto. Essa lo mette sulla pista del banchiere. Il gioielliere sorprende una conversazione nella quale il banchiere vuol corrompere il corridore automobilista per fuggir­sene al di là della frontiera. Allora il gioielliere ferma il banchiere. Ma la donna giornalista che si è urtata col fidanzato, il corridore automobilista, lo pianta e cade fra le braccia del gioielliere, mentre che la con­tessa si unisce all'inglese per andare sotto altri cieli a smaltire il suo dolore. Ecco fatto.

Roberti                          - (ripetendo macchinalmente) Ecco fatto!

Il signor Giuseppe         - (versando del Porto) Ciò vi sorprende? Ma la vita è forse qualche cosa di diverso? Una lotteria, ne più, né meno. E lo stesso numero esce raramente due volte. (Bevono).

Roberti                          - Ma se fossero usciti altri numeri?...

Il signor Giuseppe         - Noi avremmo avuto altri per­sonaggi, ecco tutto. E un'altra favola, si sa.

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

PRIMO QUADRO

(Qualche giorno dopo, verso sera. In casa del signor Giuseppe non c'è nessuno. La porta di comunicazione con la stanza in fondo è chiusa. Roberti, allegrissimo, canticchia, sorveglia un recipiente sul fornello a gas).

Irene                              - (compare sugli ultimi gradini della scala. Ha un’ultima esitazione davanti alla porta di Roberti, ma subito dopo, prendendo il suo coraggio a due 'mani, batte. Roberti trasale, poi va ad aprire) Mi permettereste di entrare in casa vostra per qualche minuto? Vi spiegherò.

Roberti                          - Prego. (La invita con un gesto a entrare. Irene entra con timore in preda a un turbamento profon­do. Appena superata la porta, si ferma. Osserva con oc­chio penetrante la camera, i muri, i mobili. Poi lo sguardo suo si fissa sulla finestra aperta alla quale si avvicina adagio. Vi resta qualche secondo. Non vede Roberti, tutta presa com'è dal suo intimo sogno. Fa qualche passo e subito si sente malc. si lascia cadere allora sulla pol­trona. Vi resta immobile, la testa appoggiata sopra una delle sue mani che nasconde il suo sguardo. Un silenzio che Roberti rispetta, fiacche Irene e entrata, egli ha chiuso la porta, contro la quale è rimasto appoggiato, immobile).

Irene                              - (scusandosi) Non è nulla... Un leggero males­sere. E' una giornata pesante. scusate tanto, signore, se ho violato il vostro domicilio. Vi disturbo e per giunta, rischio anche di svenire in casa vostra. (Ride nervosa­mente) Ma è che io... in altri tempi, ho quasi abitato qui. Volevo rivedere questa camera dove... (indicando la finestra) questi tetti, questi camini, che una volta vedevo così spesso... (Ricade nel suo sogno. Roberti esce adagio sul pianerottolo, e chiude la porta senza far rumore. Irene voltandosi, si accorge che Roberti è uscito. Chiude gli occhi e abbandona indietro la testa sulla spalliera della poltrona. Pensa al suo passato. In tale posizione si terrà fino a quando rientra Roberti. Roberti sul pia­nerottolo ha acceso una sigaretta).

Germana                       - (uscendo dalla sua camera con una sporta sul braccio) State prendendo il fresco?

Roberti                          - (scherzando) No, vi aspettavo.

Germana                       - Aspettavate me?

Roberti                          - Scherzo. Andate a far spesa?

Germana                       - Si, se il droghiere mi fa credito.

Roberti                          - In bolletta?

Germana                       - Dura.

Roberti                          - Allora è un guaio serio. Per fare alla me­glio, stasera, dieci lire vi bastano?

Germana                       - E come!

Roberti                          - (dandole dieci lire) A voi. E’ un accanto sulle vostre are di servizio.

Germana                       - Grazie.

Roberti                          - (dandole ancora del denaro) E queste cin­que lire sono per un pacchetto di biscotti. Me lo andate a comperare?

Germana                       - Ma subito.

Roberti                          - (malizioso) Portare anche il resto!

Germana                       - Scherzate? Va da sé... Non laccio che scendere e tornare. (Si sente un passo sulla scala. Germa­na si sporge sul parapetto e si fa indietro prontamente, col viso improvvisamente rabbuiato. Berta compare sugli ultimi gradini, in capelli, con una rete per la spesa al braccio. Raggiungendo il fondo del corridoio, osserva Ger-mana dalla testa ai piedi con aria ostile. Germana la ful­mina con lo sguardo. Tutto questo senza una parola. Quando Berta è sparita dal fondo del corridoio)

Roberti                          - Non ancora finita, questa discordia?

Germana                       - (feroce) Mai. Preferirei crepare.

Roberti                          - Ma che cosa vi ha fatto?

Germana                       - Ottura apposta i gabinetti per farmi ar­rabbiare.

Roberti                          - (scherzosamente serio) Questo è grave.

Massimo                        - (uscendo dalla sua camera con in mano un quadretto, va alla ringhiera) Germana, vai via sì o no?

Germana                       - (sparendo) Che barba!

Massimo                        - Cosa dici?

Germana                       - (dal quinto piano) Cosi, così!

Massimo                        - (a Roberti) Avreste da offrirmi una sigaretta?

Roberti                          - (offrendogli il pacchetto) Ben volentieri!

Massimo                        - (mettendo la sigaretta dietro l’orecchio) La fumerò più tardi alla vostra salute. Vado a trovare la signorina Edvige. (Alla porta di Edvige) E grazie. (Batte alla porta) Sono io, signorina Edvige, Massimo. Posso entrare?

Edvige                          - (uscendo dalla porta di fondo) Entrate pure, signor Massimo. (Massimo entra, tenendo il quadretto dietro la schiena) Cos'è quest'aria di mistero che avete?

Massimo                        - Ho una cosetta per voi.

Edvige                          - Per me?

Massimo                        - (mostrandole il quadretto) Questo.

Edvige                          - Oh, un gatto. Com'è carino!

Massimo                        - Vi piace?

Edvige                          - Certo. Una volta che è un gatto.

Massimo                        - E che gatto! (Siccome lei non capisce) E' il vostro Mucci!

Edvige                          - Il mio Mucci? (Una pausa) Ah, ora vedo. Sì. E' lui.

Massimo                        - L'ho stilizzato. E’ il mio regalo per i vostri vent'anni.

Edvige                          - Che pensiero gentile avete avuto!

Massimo                        - Scusatemi. Bisogna che me ne vada.

Edvige                          - Avete un appuntamento?

Massimo--------------- - Ho un incontro col mio americano. Credo che questa volta siamo a posto. Sta per versarmi venti­ cinquemila lire di anticipo.

Edvige                          - Perlaceo!

Massimo                        - Sapete cosa si fa, signorina Edvige? Si parte per la campagna e vi si porta con noi. Va bene, così?

Edvige                          - Ma io non posso lasciar solo il papà. Chi scriverebbe i suoi lavori?

Massimo                        - Verrà da voi un mesetto.

Edvige                          - Prima bisogna incassare le venticinquemila lire, signor Massimo.

Massimo                        - Una volta che vi dico che è cosa fatta. E voi sapete bene, che come avrò la mia piccola casetta non mi muovo più. Addio città. (Con intenzione) L'in­viteremo.

Edvige                          - Chi?

Massimo                        - Roberti. (Ride) Ah, ah! Ci ho preso?

Edvige                          - (turbata) Cosa volete dire, signor Massimo?

Massimo                        - (fattosi serio) Bisogna stare attenti.

Edvige                          - Attenti, in che senso?

Massimo                        - Bisogna stare attenti. Arrivederci.

Edvige                          - Arrivederci. E ancora grazie. (Osserva il quadretto pensosa. Ciò che le ha detto Massimo, l'ha turbata. Massimo sì è fermato sul pianerottolo, dove si trova ancora Roberti, fumando).

Massimo                        - Dunque voi, là, fate strage. (Indica l’ap­partamento di Edvige) Don Giovanni! Va! (Dà un col­petto a Roberti sulle spalle, poi raggiunge la sua camera. Roberti alza le spalle. spegne la sigaretta e rientra in camera sua, Irene non si è mossa. Come se non ci fosse. Roberti mette la tovaglia sulla tavola. Dispone le tazze e la zuccheriera. Empie la teiera, versa il tè nelle tazze).

Roberti                          - Stanno per arrivare i biscotti. Zucchero, due cucchiaini?

Irene                              - (osservando con tutta naturalezza) Uno. Vi ringrazio di aver capito questo mio bisogno di restar sola. Come avete capito subito, e bene!

Roberti                          - Trovate molto cambiato, immagino.

Irene                              - (sedendosi) Sì, molto. Sono rimasti i muri, ma le persone non sono più quelle. Che triste cosa, il passato! Ciò che fu, più non esiste. (Lo guarda) Dovrei dirvi chi sono.

Roberti                          - Perché? Una donna che non è felice. (Essa lo guarda interdetta) Non si è felici quando si cerca di rimettere in vita un passato. (Pausa).

Irene                              - Poco fa, quando mi avete lasciata sola, ho rivissuto la mia vita di dieci anni or sono. (Esitando, ma presa da un irresistibile bisogno di parlare del passato) Si era d'estate, come adesso, nel pomeriggio del sabato. Lui non era libero che in quel giorno. Mi aspettava. Io arrivavo col cuore in festa. (Una pausa) Non avrei do­vuto venire.

Roberti                          - Io vi aspettavo.

Irene                              - Mi aspettavate?

Roberti                          - Non proprio oggi, ma un giorno... (Irene lo guarda interrogativamente) Non è la prima volta che voi salite a questo sesto piano e vi fermate davanti a questa porla, poi ve ne andate senza avere osato battere.

Irene                              - Mi avete vista?

Roberti                          - Non io. Ma il più terribile paio d'occhi che si siano mai posati sugli affari altrui. (Sorride) Eccoli. (Germana è riapparsa sull'alto della scala. Ha battuto alla porta di Roberti).

.

Germana                       - I vostri biscotti, signor Roberti.

Roberti                          - (aprendo) Grazie, signora. (Prende i biscotti).

Germana                       - Vi restituisco uno e trentacinque. Costano ano e sessantacinque.

Roberti                          - Teneteli. Faremo i conti domani.

Germana                       - Sta bene! (Irene fa un movimento per scorgere Germana. Essa la vede e dice una parola sola) Però!

Roberti                          - (le sbatte la porta sui muso) Grazie. (Dispone i biscotti sopra un piatto che mette dinanzi a Irene).

(Irene                            - (sorridendo, grata della cortesia) Grazie.

Roberti                          - Un po' di tè?

'Irene                             - Volentieri. (Roberti riempie il recipiente d'acqua e lo mette sul fornello. Germana è rimasta im­mobile per la sua scoperta, ma per poco. Fa un mezzo giro e batte alla porta di Edvige. Entra al tempo stesso).

Germana                       - Sono io, signorina Edvige.

Edvige                          - (un poco contrariata per la mancanza di ri­guardo) Veramente, signora, voi non aspettate troppo che vi si risponda.

Germana                       - Di là -da Roberti, c'è la famosa ….C’è la dama in grigio.

Edvige                          - (colpita) La dama in grigio?

Germana                       - Stanno prendendo il tè. Ho portato io stessa i biscotti a Roberti. Cosa ne dite, eh?

Edvige                          - Cosa volete che dica?

Germana                       - (uscendo) A fra poco. Bisogna che vada a mettere la mia minestra sul fornello. (Berta dal fondo del pianerottolo dopo qualche istante, è apparsa. Si è sporta sul parapetto. Quando Germana esce da Edvige, vedendo Berta non può resistere al desiderio di raccon­tare anche a lei) Di là da Roberti c’è... (Poi ricordandosi che è in collera con lei) No! (Entra in casa sua. Poco dopo Berta, dopo essersi riaffacciata alla ringhiera, rag­giunge il fondo del pianerottolo. La confidenza fattale da Germana ha scosso Edvige. Essa è rimasta dapprima disorientata. Poi, vincendo il suo dolore, toglie da un cassetto un abito che si proverà e ritoccherà durante le scene che seguono).

Roberti                          - (offrendo a Irene del tè) Ancora un poco?

Irene                              - (mentre egli la serve) Volentieri. Non capisco una cosa. Come avete fatto a riconoscermi non avendomi mai veduta?

Roberti                          - Già. Mi si parlava di voi, non appena ar­rivato qui. Mi si diceva: La dama in grigio - vi chiamano così qui al sesto piano - la dama in grigio oggi è salita su, ha osservato la vostra porta, poi se n'è andata senza battere,

Irene                              - - Ma poteva trattarsi di un'altra.

Roberti                          - No. Tutto mi diceva che eravate voi. Ah, voi avete messo in subbuglio tutto il sesto piano, sapete.

Irene                              - (ridendo) Divertentissimo.

Roberti                          - Due di queste comari raccontano di avervi seguita fino alla piazza, dove era ferma la vostra auto­mobile.

Irene                              - (divertita e sorpresa) Ma perché?

Roberti                          - Seduzioni del mistero. La smania di poter scoprire.

Irene                              - (che lo ha osservato lungamente) Voi chi siete?

Roberti                          - (alzandosi e salutando scherzosamente) Ro­berti, uomo libero.

Irene                              - Ce n’è ancora?

Roberti                          - Se ne rimane uno solo al mondo, sarò io, quello.

Irene                              - (che ha sorriso alla battuta)Cosa fate?

Roberti                          - Non avete ancora incontrato l’eterno stu­dente? (Indicandosi) Eccolo.

Irene                              - Oh, eterno! Mi sembrate tanto giovane! C’è una parte in voi di ragazzo che non scomparirà forse mai.

Roberti                          - Accetto l'augurio.

IIrene                            - Voi me lo ricordate un poco. (Fisicamente no, ma come temperamento. Un certo modo di dire le cose! (Pausa) Come andò che veniste ad abitare qui?

Roberti                          - Volli sfuggire una certa persona. Pensate: sesto piano, senza ascensore! (Ride).

Irene                              - Eppure io vi sono salita e solo per cercarvi un'ombra.

Roberti                          - Voi non patite di vertigini, fortunatamente. Veramente è un po' lontano dall'Università,

Irene                              - Medicina? Legge?

Roberti                          - Legge. E naturalmente studio lettere.

Irene                              - (con una sfumatura di presa in giro) Poeta?

Roberti                          - Autore di canzoni. Per lo meno vorrei diventarlo. Ne comporrò una su di voi, «e me lo per­mettete. E avrà per titolo: «La dama in grigio».

Irene                              - (ironica) Penseranno che io non abbia che un solo « tailleur » da mettermi.

Roberti                          - Nessuno saprà che siete voi, all'infuori di voi. Verrete a sentirla?

Irene                              - Forse.

Roberti                          - Saprò fra qualche giorno se sarò assunto, dove canterò.

Irene                              - Ma io come potrò saperlo?

Roberti                          - Vi scriverò.

IIrene                            - Voi però il mio nome non lo sapete.

Roberti                          - Me lo direte.

Irene                              - Neppure il mio indirizzo, vi è noto.

Roberti                          - Me lo darete.

Irene                              - (guardandolo a lungo) No.

Roberti                          - Poco fa mi dicevate: ritengo che dovrò dirvi chi sono.

Irene                              - Poco fa, era poco la.

Roberti                          - E adesso, è adesso. Vi è forse qualche cosa di cambiato?

Irene                              - Sì. Ho cambiato parere. (Si alza) Scusatemi d'essere rimasta qui tanto tempo e grazie delle cortesie.

Roberti                          - (alzandosi egli pure) Ve ne andate davvero?

Irene                              - Devo.

Roberti                          - Però ritornerete.

Irene                              - Non credo.

Roberti                          - Ne sarei desolato.

Irene                              - Perché?

Roberti                          - Ho provato, nel parlare con voi, una sod­disfazione così rara! Sapeste quanto mi piacete!

Irene                              - Ecco allora una buona ragione proprio per non tornare. (Alla porta) Addio, signore.

Roberti                          - Allora dirò... addio, signora. (Si fermano a guardarsi l’un l’altra tacendo. Egli sorride, poi ride. Lei fa lo stesso. Nel frattempo si è visto Massimo rive­stito di tutto punto, uscire di casa sua, raggiungere la scala e discendere con passo rapido, fischiettando) Se voi vorrete tornare e che io non sia in camera, troverete la chiave dell'uscio, qui, sotto la stuoia.

Iììene                             - (ridendo nervosamente) Sotto la stuoia. Benis­simo. Molto divertente.

Roberti                          - (tutto preso di lei) Sì?

Irene                              - (guardandolo a lungo) Forse. (Roberti le apre la porta. Irene esce e rapida, senza voltarsi, scende le scale. Roberti, chiusa la sua porta, accende una siga­retta, si stira. Germana esce dalla sua camera e corre ad affacciarsi al parapetto, cercando di intravedere Irene. Poi va a battere alla porta di Edvige).

Germana                       - Sono io. Posso entrare?

Edvige                          - Entrate.

Germana                       - (entra e chiude la porta) Se n'è andata.

Edvige                          - Credete che tornerà?

Germana                       - Chi può saperlo con certe donne! Il signor Roberti è un bel ragazzo, e lei, e lei è molto elegante. Dev'essere una dama dell'alta società. (// signor Giu­seppe appare sugli ultimi gradini della scala. Ha Varia frettolosa. Attraversa il pianerottolo ed entra in casa sua).

Il signor Giuseppe         - Buona sera.

Edvige                          - Buona sera, paparino. (Si baciano).

Germana                       - Buona sera, signor Giuseppe. L'avete in­contrata?

Il signor Giuseppe         - Chi?

Germana                       - La dama in grigio. E’ scesa in questo mo­mento.

Il signor Giuseppe         - (preoccupato) Forse. Infatti mi è parso di avere intravvista una signora.

Edvige                          - (che ha rilevato la sua preoccupazione) Papa­rino, cos'hai?

Il signor Giuseppe         - Una cosa inaspettata. I miei di­rettori mi mandano in provincia a verificare la contabi­lità della succursale. Parto questa sera alle nove.

Edvige                          - Questa sera? Ma si festeggia il mio com­pleanno...

Il signor Giuseppe         - E sono addolorato appunto per questo. Non piangere cara... A te. Ecco il tuo regalo. (Le dà una piccola scatola).

Edvige                          - (dopo averla aperta) Un anello!

Il signor Giuseppe         -  Ti piace?

Edvige                          - Oh, paparino, me lo domandi? (Lo ab­braccia).

Il signor Giuseppe         - Mi tocca fare la valigia. (Passa nella camera in fondo).

Germana                       - Verremo tutti a passare la serata da voi.

Edvige                          - Grazie, signora Germana. Così mi sentirò meno sola. (Al signor Giuseppe che è nella camera in fondo) Non darti pensiero, paparino. Hai sentito? Sta­sera verranno tutti a farmi compagnia.

Il signor Giuseppe ---- - (alla porta) Siete molto gen­tile, signora Germana. Grazie. (Scompare. Germana con gesti e una mimica espressiva nella direzione della ca­mera di Roberti, fa capire a Edvige che condurrà anche lui. Edvige confusa, dice di sì. Germana esce sul piane­ rottolo. Edvige chiude la porta dietro di lei. Si odono delle grida altissime dal piano inferiore. Germana si fa alla ringhiera e si affaccia. Quasi subito dopo, Berta occorre dal fondo e anche lei si sporge. Ma le due donne fra loro non parlano).

La signora Maretti        - (dal quinto piano) Ah, t'ho pescata!

Una voce                       - (c. s.) Che succede?

Altra voce                     - (c. s.) Oh, Dio, smettetela!

Una voce                       - (c. s.) Cosa c'è? Cosa c'è?

Altra voce                     - (c. s.) Perdio! E' ora di finirla!

'Una voce                      - (c. s.) Cosa succede?

Altra voce                     - (c. s.) E' la portinaia che litiga con la Maretti.

Una voce                       - (c. s.) Ma non fanno che litigare!

Altra voce                     - (c. s.) Basta, finitela! (Rumore di passi precipitosi nella scala e apparizione fulminea della si­gnora Maretti al colmo dello sdegno).

La signora Maretti        - La portinaia, accidenti! Mi aspettava con un cartoccio di pepe per accecarmi. (Si sporge sul parapetto e grida) Sporcacciona!

La Portinaia                  - (dal basso) Vecchia grinzosa ritinta! Va' a letto!

La signora Maretti        - (sempre sporta sulla ringhiera) Farò cacciar via te e i tuoi due mascalzoni da strada! (Va alla camera del signor Maretti e batte) Costanzo! Costanzo! Aprimi! (Battendo di nuovo) Vuoi aprirmi, vecchio rimbambito? La portinaia vuole accecarmi col pepe. (Siccome l'altro non risponde) Ah, non avere un uomo in casa! (A Germana) Vostro marito è un vigliacco. Non mi ha voluto accompagnare per non passare davanti alla portineria.

Germana                       - (sdegnata) Ha fatto questo? (Entra nella sua camera con passo deciso).

La signora Maretti        - (alla ringhiera, sentendo salire grida dal basso) Sporcacciona. Non hai niente da per­dere ad aspettare! Te l'assicuro io! (Batte alla porta dì Edvige. Dall’inizio della scenata il signor Giuseppe e Edvige si sono messi in ascolto col viso atteggiato a re­criminazionc. sentendo battere alla porta, il signor Giu­seppe trasale e va ad aprire).

Il signor Giuseppe         - Cosa succede, signora Maretti?

La signora Maretti        - Succede... che bisogna aiutarmi.

Il signor Giuseppe         - Io? Ma...

La signora Maretti        - Niente ma. Capirete, son sola. Mio marito è alle corse, e la portinaia mi attende con un cartoccio di pepe per accecarmi, assieme al sarto che tiene dalla sua parte.

Il signor Giuseppe         -Ma io non posso. Parto stasera stessa col treno. Ho appena il tempo di fare la valigia. Rivolgetevi al vicino qui in faccia.

La signora Maretti        - Non posso farlo. E’ nuovo. Che impressione gli farei? Insomma...

Il signor Giuseppe         - No, signora Maretti, mi dispiace. Ma queste beghe non mi riguardano. (Chiude la porta. Poi rivolto ad Edvige) Sono insopportabili. (Passa nella camera in fondo e ne chiude la porta)..

La signora Maretti        - (con dignità) E allora anidro sola. (Alle due donne) Insieme a voi, signore. (Germana esce dalla sua camera armata di una scopa e di un trita' patate che consegna a Berta).

Germana                       - A te! (Berta, inferocita, lo afferra) Se la Decaria si muove, io le rompo il muso...

La signora Maretti        - (raggiungendo la scala e brandendo il suo mazzo di chiavi) Sono in quattro col sarto. Attenti che uno ha uno scudiscio. (Le tre donne discen­dono le scale in fretta, mentre le grida della portinaia e dei suoi fedeli continuano a salire. Roberti disturbato da queste grida ha ascoltato dietro la sua porta. Come sente la partenza in frotta delle tre donne, esce sul pia­nerottolo e prende posto sul parapetto. Edvige, presa dalla curiosità apre la porta e vedendo Roberti, s'irrigi­disce. Roberti le sorride e fa un gesto d’invito).

Roberti                          - Venite qui! Questo è un posto magnifico per vedere e sentire. (Edvige lo raggiunge al parapetto) Che siano uguali le forze?

Edvige                          - (ridendo) Io ritengo superiori quelle della portinaia.

Roberti                          - Sì, ma quelle della padrona, hanno il van­taggio della posizione. scendono. Sentite? Si direbbero un branco di bufali al galoppo. (Edvige ride) Ma questo capita spesso?

Edvige                          - Si va a periodi. Una battaglia ogni mese c'è sempre.

Roberti                          - (affacciato alla ringhiera) Sono al terzo piano.

Edvige                          - Siete libero questa sera? Perché io darei una festicciola. E' il giorno che compio ì vent’anni.

Roberti                          - Vent'anni? Auguri!

Edvige                          - Grazie. Ritengo che tutto il 'sesto piano que­sta sera sarà da me. All'infuori di papà che deve met­tersi in viaggio. Verrete anche voi?

Roberti                          - Molte grazie. Accetto con molto piacere. (La guarda sorridendo. Essa distoglie lo sguardo, imba­razzata di sentirsi letta dentro. Salgono grida altissime dal fondo della scala. La voce penetrante della signora Maretti e quella della portinaia sovrastano).

Edvige                          - (lieta del diversivo) Ci siamo.

Roberti                          - Sono aperte le ostilità. Magnifico. Teatro a domicilio. (Edvige ride. Nei piani inferiori porte che sbattono. Per vedere e sentire sono usciti sui pianerottoli gruppi di inquilini. Alcuni protestano altri ridono. Le loro voci si distinguono al di sopra del putiferio bellicoso).

La Signora Maretti        - (dal basso, urlando) Costanzo!

Roberti                          - Oh, oh! La va male!

La signora Maretti        - (dal basso) Aiuto! Aiuto!

Roberti                          - Ci vado. Altrimenti stasera voi correte il rischio idi rimanere senza invitati. (Si slancia giù).

Edvige                          - Ma voi, è vero, ci verrete proprio? Non ve ne scorderete?

Roberti                          - (dalla scala, sorridendo) Non me ne scor­derò. (Edvige gli ricambia il saluto. E’ trasfigurata. La promessa di Roberti la rende felice. Alza le braccia al cielo come per gridare la propria felicità e resta, sorri­dendo al suo sogno, con gli occhi perduti nel vuoto, senza più dare ascolto agli echi della battaglia che con­tinua ad echeggiare sotto di lei).

SECONDO QUADRO

(La stessa sera, in casa di Edvige. C'è tutto il sesto piano con in più un nuovo personaggio'. Alberto, Vo­mico del momento di Giovanna. Tutti coi vestiti soliti; nessuno ha fatto toeletta speciale, all'infuori di Edvige che indossa un vestito nuovo. Germana Ha una benda sull'occhio, ricordo lasciatole dalla battaglia di cui al pre­cedente quadro. Il corridoio è al buio. Buio anche nella camera di Roberti. Dalla camera dei Lescalli con la porta rimasta semi-aperta, esce luce. Il pianerottolo non sarà illuminato che dalla lampada centrale, quando verrà pre­muto U bottone che è sul muro a un metro dal pavimento, sopra l'ultimo gradino. Al levarsi della tela, Roberti, è alle ultime note della canzone).

Roberti                          - (cantando) «E’ domenica e ho vent’anni ».

Tutti                              - (ridendo e applaudendo) Bravo! Bravo! Ma­gnifico!  Divertentissimo!

Massimo                        - (canta, stonando) «E’ domenica e ho vent'anni ».

Tutti                              - Taci, che stoni!

Edvige                          - Avrà successo la vostra canzone.

Roberti                          - Ne siete convinta?

La signora Maretti        - Ma senza dubbio, piacerà! Voi riuscirete certo!

Germana                       - Ha la linea della fortuna. Ho visto.

Berta                             - Tu vedi sempre tutto, tu!

Germana                       -E' vero, signor Roberti, che voi l'avete la linea della fortuna?

Roberti                          - Tutti ce l’hanno.

Germana                       - Io invece non l'ho. Non ho mai avuto fortuna, io.

Roberti                          - Lo dite voi. La mano. (Germana gli dà la mano destra) No, la sinistra. (La esamina).

Le Donne                      - Ah, voi sapete leggere nella mano? (Sono tutte intorno a Roberti. Nino, che osservava conservando un atteggiamento ostile, esce sul pianerottolo e va ad ap­poggiarsi coi gomiti al parapetto).

Roberti                          - (a Germana) La linea della fortuna c'è an­che da voi. E' spezzata in questo punto...

Germana                       - E' il mio occhio che la portinaia ha fatto «diventar nero.

Berta                             - Eh, ma tu dimentichi che le hai spezzato un dente.

Roberti                          - (a Germana) Linea della vita: bellissima. Nessuna malattia grave. solo qualche malessere.

Germana                       - Vivrò molto?

Roberti                          - Settanta, settanta cinque...

Massimo                        - Bisognerà ammazzarti! (Tutti ridono).

Germana                       - Va là, che ti seppellirò.

Berta                             - (offrendo la mano) E io?

La signora Maretti        - (offrendo anche lei la mano) E io?

Il signor Maretti            - Ma guarda queste due matte! Fa­reste meglio, signor Roberti, a leggere il futuro sulla mano di Edvige. Compie oggi vent'anni. A lei interessa conoscere il futuro.

Germana                       - (a Edvige) Su, su, signorina Edvige, da­tegli la vostra mano. (Gliela afferra).

Edvige                          - (ritirandosi) No, preferisco no.

Il signor Maretti            - (alzandosi) Signore, «ignori, si fa tardi. Io ho bisogno di riposo e come disse Enrico IV: non c'è buona compagnia che non si debba lasciare.

La signora Maretti        - (coti superiorità) Enrico IV? Tu vuoi dire Francesco I.

Il signor Maretti            - E' circa mezzanotte, amica mia, e per quanto io sia convinto d'aver ragione, non voglio impegnare una discussione con te- che durerebbe al­meno quattro ore. Permettete che io mi ritiri.

La signora Maretti        - Stai tranquillo. Nessuno ti trat­tiene, no. (Si ride).

Il signor Maretti            - (prendendo congedo da Edvige) Che il sonno sia leggero per i vostri sogni dorati.

Edvige                          - (commossa) Grazie, signor Maretti.

Le Donne                      - Buona notte, signor Maretti.

Il signor Maretti            - (ad Alberto) Dunque, sempre bene, il violino?

Alberto                          - (sbalordito) li violino?

Giovanna                      - (vivacemente) Il mio amico non è mica un violinista, sapete. E' un corridore ciclista.

Il signor Maretti            - (capita la gaffe) Ah, bene, bene benissimo così. Dunque buona notte.

Alberto                          - Buona notte, signore. (Mentre il signor Maretti esce sul pianerottolo) Cos'ha voluto dire con quel violino?

Giovanna                      - ( imbarazzata) Niente, niente. scherza sempre.

La signora Maretti        - Ed ora, ragazzi, io mi preparo ad imitare mio marito.

Edvige                          - Ma no, signora Maretti. Ancora un poco. Mi fa tanto piacere.

Germana                       - Non si compiono i vent'anni tutti i giorni.

Massimo                        - (annuendo) Questo sì, è vero. Io mi ri­cordo quando ho compiuto ì vent'anni. Mio padre mi aveva regalato dei soldi, e allora io... (Fa il sorriso di chi sta per raccontare una cosa sconcia).

Germana                       - Bada, che qui c'è una signorina. (Ad Al­berto) Voi, signor Alberto?

Alberto                          - Oh, io…Veramente io….

Giovanna                      - (che lo tiene per il collo) Lui è troppo timido.

Alberto                          - Ma no, io non lo sono affatto.

Germana                       - Io... (Pensa) Non mi ricordo.

Berta                             - Neppur io.

Giovanna                      - (presa da un grande scoppio di ilarità di donna che tenie il solletico) Hi hi hi hi! (Spiegando) E’ Alberto che mi ha fatto il solletico nella schiena!

La signora Maretti        - Voi parlate poco, signore, ma sapete farvi capire lo stesso.

Edvige                          - (offrendo) Biscotti, « sandwiches », tè, vino?

Tutti                              - (ricusando) Grazie, no grazie.

Edvige                          - Signora Maretti, c'è il permesso fino all'una?

La signora Maretti        - Se si vuole, anche fino alle due.

Berta                             - Benissimo. Allora si balla.

Germana                       -Magari. Sì va sul pianerottolo. Un valzer, signorina Edvige.

Tutti                              - (ridendo) Sul pianerottolo, sul pianerottolo. (Ci vanno tutti, tranne Edvige e Roberti. Germana è an­data a premere il bottone della luce).

Germana                       - E’la padrona che paga la luce. (Gridando) Signora Maretti, venite a fare un ballo?

Edvige                          - (a Roberti) Voi non andate?

Roberti                          - Mi dispiace di lasciarvi sola.

Edvige                          - Qualcuno che suoni, ci vuol sempre.

Tutti                              - (dal pianerottolo, tranne Nino) Musica!

Edvige                          - Sentite? (Siede al piano e comincia a suonare un valzer. Roberti esce sul pianerottolo e invita la signora Maretti. Berta ha scosso Nino, appoggiato al parapetto, e lui lascia fare. Giovanna balla con Alberto, Germana con Massimo. Tutto ciò in mezzo a risate ed esclama­zioni. Tutto a un tratto la luce si spegne. Doppia allegria).

Germana                       - (a Massimo) Attento, che tu mi cammini sui piedi.

Voci                              - Luce! Premere il bottone della luce! (Ger­mana va a premerlo. Torna la luce. Riprendono le danze. Il signor Maretti esce dalla sua camera e si fa avanti per veder ballare le coppie).

Germana                       - Quest'altro, signor Maretti, con me lo bal­late, no?

Il signor Maretti            - (ridendo) D'accordo. (Tornata la luce, dai piani inferiori sì fa sentire più distinta una voce, fino al momento in cui l'inquilino del terzo piano arriverà sull’alto della scala, dicendo sempre) C'è un malato, c'è un malato... (Ha un indumento infilato alla meglio sul pigiama in luogo della veste da camera).

L^Inquiluvo                  - Fermatevi, andiamo! Vi sto dicendo che c'è un malato... (Tutti smettono di ballare, ad ecce­zione di Massimo che non ha sentito e pretende trasci­nare Germana. Edvige, avendo intuito che qualche cosa succede, smette di suonare. Tutti si affacciano alla rin­ghiera ad eccezione di Edvige).

La signora Maretti        - (all'inquilino) Chi è malato?

L'Inquilino                    - La signora Lolli. Ha una crisi di ure-mia. C'è il medico. Sembra grave.

La signora Maretti        - Allora, smettere. (Scusandosi anche per gli altri) Noi non potevamo sapere...

Germania                      - (dopo una pausa) Cosa si fa?

Massimo                        - Quanto a me, vado a letto. Mi gira la testa. Buona notte a tutti. (Entra in camera, barcollando).

La signora Maretti        - E’ ciò che di meglio resta a fare a tutti quanti. Buona notte, signorina Edvige. (Tutti salutano Edvige, augurandole buona notte e se l’augurano fra loro. Giovanna, Berta e Alberto, raggiungono il fondo del pianerottolo. Si spegne di nuovo la luce).

Tutti                              - Oh! (Nino preme il bottone della luce. La luce ritorna. Nino e Roberti voltano le spalle alla rin­ghiera e vi si appoggiano).

Germana                       - Buona notte, (Va nella sua camera).

Il signor Maretti            - (con voce tremula) « E’ domenica ed ho vent'anni»! (A sua moglie, con intenzione) T'a­spetto!

La signora Maretti        - (con un gesto impertinente di ri­fiuto) Sì, li avevi. Va a dormire, vecchio intrampolo!

Il signor Maretti            - (supplicando) Emilia!

La signora Maretti        - (scende le scale e scompare. Ger­mana entra in camera sua. Non restano sul pianerot­tolo che Roberti, Nino ed Edvige).

Edvige                          - (a Nino) Nino, stasera hai parlato poco.

Nino                              - A me non piace, tu lo sai, il parlare molto. (Dopo uno sguardo esitante a Roberti) Buona notte, Edvì. (A Roberti) Buona notte, signore.

Roberti                          - (tendendo la mano) Buona notte.

Nino                              - (senza vederla raggiunge il fondo del pianerot­tolo. Lo si sente aprire la sua porta e chiuderla).

Roberti                          - Che cosa gli ho fatto?

Edvige                          - Me lo domando anch'io. È così un buon ragazzo.

Roberti                          - Si vede che non  di garbo. Ecco tutto.

Edvige                          - (ridendo) Oh» perché? Qui, voi piacete a tutti.

Roberti                          - Anche a voi?

Edvige                          - Certo. (La luce del pianerottolo si spegne ancora. Il pianerottolo non è più illuminato che dalla luce della camera di Edvige, sfuggente dalla porta aperta. Edvige è turbata) Buona notte, signor Roberti.

Roberti                          - Avete voglia di dormire?

Edvige                          - Oh, no!

Roberti                          - Neppur io. ET riuscita .graziosa questa vo­stra piccola serata.

Edvige                          - Merito vostro.

Roberti                          - Non parliamo di me. (Breve pausa) Per cortesia, vorreste offrirmi una tazza di tè? Muoio di sete.

Edvige                          - (impacciata, ma presa) Volentieri. Però deve essere freddo.

Roberti                          - Benissimo. Il tè freddo mi piace molto.

Edvige                          - (ancora esitante) Allora, entrate pure. (Va alla tavola, versa il te. Roberti è entrato. La porta è ri­masta aperta. Siedono).

Roberti                          - Non sapevo che conosceste così bene questa canzone.

Edvige                          - « Vent’anni »? Mi era tanto piaciuta il gior­no che me l'avete canticchiata...

Roberti                          - Sono quindici giorni, eppure mi sembra di conoscervi da tanto tempo, da tanto. C'è corrente d'aria! (Chiude la porta) Perché poco fa, non avete voluto che vi leggessi nella mano?

Edvige                          - (dopo  un'esitazione) Mi avrebbe imbarazzato.

Roberti                          - Capite bene che io avrei tenuto per me i segreti.

Edvige                          - Ho paura che voi leggereste troppo chiaro dentro di me.

Roberti                          - Per leggere dentro di voi, non ho bisogno della vostra mano. Si legge tutto, dentro ,gli occhi vostri. Non avete mai osservato il vostro sguardo?

Edvige                          - (ridendo) Sì, nello specchio.

Roberti                          - Ma in quel momento, non avrete colto che una sola espressione: la curiosità per qualche cosa di determinato. Ma la gioia, il dolore, il sogno, la malinco­nia, la noia, l'odio, il desiderio, tutti questi sentimenti che ci agitano, noi, nei nostri occhi, non li vediamo mai. Non li vediamo che negli occhi degli altri.

Edvige                          - Mi fate un po' paura.

Roberti                          - Perché paura? Paura di me, di un amico?

Edvige                          - Indovinate troppo a fondo, voi.

Roberti                          - Allora non vi osserverò più.

Edvige                          - (con impeto) Sì, ma tenetelo per voi. (Volge la testa. Dal fondo del pianerottolo sì avanza Nino, senza far rumore. Va fino alla ringhiera, vi si appoggia e resta immobile. Poco dopo si metterà a 'sedere sopra l’ultimo gradino della scala, il viso fra le mani).

Roberti                          - Strana ragazza. Guardatemi. (Essa continua a tenere la testa voltata in là. Roberti le prende le mani. Allora lei lo guarda e gli sorride).

Edvige                          - Voi indovinate tutto. (Poco dopo ritira le mani, turbata) Cosa veniva a fare da voi la dama in grigio?

Roberti                          - (con un piccolo riso, divertito) Una che corre dietro al suo passato. Volle rivedere quella camera dove è stata felice. Ecco tutto.

Edvige                          - Strana la vita! E tornerà?

Roberti                          - Non credo.

Edvige                          - Voi le avrete fatto la corte-,

Roberti                          - No.

Edvige                          - Come la fate, voi, la corte alle donne?

Roberti                          - (ridendo) Che strana domanda!

Edvige                          - Ditemelo, che almeno sappia come la si fa, perché a me non la farà mai nessuno.

Roberti                          - Che idea arbitraria.

Edvige                          - Perché arbitraria? Esatta. (Con un riso forzato) Chi volete che venga qui, in questo sesto piano, a parlarmi d'amore? Mi piacerebbe tanto che mi capitasse... una volta sola. Anche solo per ridere. (Con amarezza) Per ridere.

Roberti                          - Povera piccola! (Le prende la mano).

Edvige                          - Fate come se non fossi io ad essere qui ai vostro fianco. (Una pausa. Roberti è pieno di pietà. Poi si decide e comincia a mentire) Perché mi guardate così?

Roberti                          - Guardo le vostre labbra.

Edvige                          - Che cos'hanno?

Roberti                          - Un rosso delizioso, che intona perfettamente col vostro colore. Oh, un'idea! Se noi scommettessimo?

Edvige                          - Scommettessimo, che cosa?

Roberti                          - Se io vinco, avrò il diritto di baciarvi.

Edvige                          - Vediamo allora la contropartita.

Roberti                          - E se io perdo, voi mi domanderete quello che vorrete.

Edvige                          - Vediamo la scommessa.

Roberti                          - Quale genere di rosso adoperate. Va bene?

Edvige                          - Non so... (Ride turbata) Che strana idea!

Roberti                          - Va bene?

Edvige                          - Provate a indovinare. (Roberti la bacia bru­scamente) Voi siete un baro.

Roberti                          - Non del tutto. Bisognava pure che mi ren­dessi conto. Riflettete.

Edvige                          - Se voi mi baciate prima di aver vinto, la scommessa non ha senso.

Roberti                          - Ma io non vi ho baciata per provar «gusto. Per una semplice constatazione. È stato come una specie di bacio di perito che vi ho dato, una prova che andavo cercando. (Si passa la lingua sulle labbra. Edvige ride turbata) Ad ogni modo è delizioso questo rosso: una mescolanza di miele e di mammola. Ma non c'è più rosso.

Edvige                          - Io credo che me lo abbiate tolto tutto.

Roberti                          - Erano le tue labbra nude che volevo. Non sapevo come dirti che mi facevano voglia. Il modo ti è dispiaciuto?

Edvige                          - No. (Una pausa) Perché mi date del tu?

Roberti                          - E’ una tradizione. Quando un nomo bacia una donna» le dà del tu.

Edvige                          - A me riuscirà difficile darvi del tu.

Roberti                          - Ci si arriva così facilmente, così facilmente. (Si alza dal divano) Prova. Di' rana frase, non importa quale.

Edvige                          - Non posso.

Roberti                          - Ti aiuto. Ripeti dopo di me: «Spegni la lampada, che mi fa male agli occhi ».

Edvige                          - (dopo un'esitazione) « Spegni la lampada, che mi fa male agli occhi». (Roberti spegne. Non resta che la piccola lampada sul pianoforte).

Roberti                          - Vedi. Hai subito imparato. (Edvige ride) Ripeti con me: «Avvicinati».

Edvige                          - «Avvicinati».

Roberti                          - (che si è avvicinato) «Vieni anche più vicino a «me ».

Edvige                          - (dopo un’esitazione) « Vieni anche più vi­cino a me ».

Roberti                          - (che lo ha fatto) «Prendimi fra le tue braccia ».

Edvige                          - (dopo una lunga esitazione) «Prendimi fra le tue braccia ».

Roberti                          - (che lo lui fatto)Dimmi: «Ti amo ».

Edvige                          - «Dimmi: ti amo ».

Roberti                          - Ti amo.

Edvige                          - (che non ha più bisogno di lezioni) Dimmelo ancora.

Roberti                          - Ti amo.

Edvige                          - Ancora.

Roberti                          - Ti amo. (Si stringono. Roberti con una mano spegne la piccola lampada del pianoforte. L'oscurità diventa completa. Vagamente, si distingue sull’ultimo gradino della scala Nino seduto, la testa fra le mani, che silenziosamente piange).

TERZO QUADRO

(Due mesi dopo. E' autunno, nel principio di un po­meriggio. Il pianerottolo è vuoto. Pure vuota è la camera di Roberti. In casa del signor Giuseppe, Edvige è nella sua poltrona davanti alla macchina da scrivere, triste, pallida, viso scuro, quasi tragico. Fa uno sforzo enorme per sorridere a suo padre che sta dettando).

Il signor Giuseppe         - (dettando) « Entrò nello studio, dove troneggiava una riproduzione del Padre Eterno a grandezza naturale ».

Edvige                          - (ripetendo) «A grandezza naturale».

Il signor Giuseppe         - (dettando) «Dopo la morte della moglie da lui tanto amata, il generale aveva dato un crollo. Al momento dell'inizio di questo racconto aveva sessantacinque anni, ma ne dimostrava il doppio ».

Edvige                          - (ripetendo, stanca) « Il doppio »

Il signor Giuseppe         - (che non l’ha mai perduta Roc­chio) Stanca?

Edvige                          - (riprendendosi) Un porinino.

Il signor Giuseppe         - (guardando l'orologio) Le due e cinque. Non posso più aspettare. Ah, come mi secca! Avrei voluto essere presente.

Edvige                          - Ma, paparino, ti riferirò al tuo ritorno dall'ufficio.

Il signor Giuseppe         - Non ti senti mica male?

Edvige                          - No, papà. Solo un po' stanca.

Il signor Giuseppe         - Non siamo fortunati. Proprio adesso che sembravi star meglio, ecco nuove complica­zioni.

Edvige                          - Tu, veramente, ti allarmi anche per poco.

Il signor Giuseppe         - (crede di aver percepito un ru­more sulle scale. Esce e si affaccia alla ringhiera. Dopo una breve attesa, rientra) Mi era parso dì sentirlo salire. Dunque, figlietta, arrivederci. (La bacia).

Edvige                          - Arrivederci, paparino.

Il signor Giuseppe         - (uscendo) Mi raccomando che il dottore ti visiti proprio bene.

Edvige                          - Sì, sì. Sta’ tranquillo. (Si siede al piano, ma resta trasognata, ferma, senza suonare. Il signor Giu­seppe ha attraversato il pianerottolo e scende la scala, mentre Nino sopraggiunge sugli ultimi gradini).

Il signor Giuseppe         - Ah, Nino, noi aspettiamo il dottore. Ma io sono costretto ad andare all'ufficio. Fa tu compagnia ad Edvige. si abbatte, quella piccola.

Nino                              - Ben volentieri, signor Giuseppe.

Il signor Giuseppe         - Non sei al lavoro?

Nino                              - Riposo forzato. Chiuso più di tre giorni la settimana.

Il signor Giuseppe         - Le, cose che si accomoderanno.

Nino                              - Io non me la prendo.

Il signor Giuseppe         - A questa sera.

Nino                              - A questa sera, signor Giuseppe. (Il signor Giuseppe discende in fretta le scale. Nino balte da Ed­vige) Edvì, sono io.

Edvige                          - Entra pure. (Nino entra e chiude la porta).

Nino                              - Come va?

Edvige                          - Così...

Nino                              - Tuo padre è preoccupato.

Edvige                          - Ma non è niente. Un semplice malessere.

Nino                              - Però io non ti disturbo mica...

Edvige                          - Neanche per sogno. Siediti!

Nino                              - Lavori?

Edvige                          - No.

Nino                              - Tu dovresti, Edvige, suonarmi quell'aria che mi piace tanto. Ti secca?

Edvige                          - Affatto.

Nino                              - Suonala piano piano. Mi piace tanto la mu­sica quando sembra come in lontananza. (Edvige suona una romanza pianissimo).

Edvige                          - (cessando dì suonare) Nino, sai che sia tornato a casa?

Nino                              - (duro) Chi?

Edvige                          - Il signor Roberti.

Nino                              - (anche più duro) E come vuoi che io lo sap­pia? (Edvige sospira e si rimette a suonare. sugli ultimi gradini della scala compare Irene. Batte, capisce chi Roberti è fuori, prende la chiave sotto lo stuoino; apre ed entra lasciando la chiave nella serratura. In camera si cava il cappello e la volpe. Apre la finestra, si sdraia e accende una sigaretta. Nello stesso momento in cui Irene ha messo la chiave nella serratura, Germana è uscita adagio adagio dalla sua camera. Si è portata in punta di piedi all’angolo del corridoio, di là osservando Irene, poi rientra in camera sua. Edvige non ha smesso di suo­nare, ma la sua attenzione si è concentrata tutto verso quei rumori).

Edvige                          - (nervosa) E’ lui.

Nino                              - Può darsi.

Edvige                          - Ho bisogno di parlargli.

Nino                              - Stai calma, Edvige.

Edvige                          - Si tratta idi una cosa importantissima. (Men­tendo a fatica) Ho bisogno del signor Roberti; non posso spiegarmi dì più. È  un piccolo segreto. (Una pausa) Ma perché non arriva?

Nino                              - (dopo un'esitazione) Vuoi che vada a chiedergli se viene qui lui?

Edvige                          - Oh, no, (grazie! Non occorre. sai.., non ti posso spiegare.!

Nino                              - Come vorrai, Edvige. Era solo per farti piacere.

Edvige                          - Quanto sei gentile con me.

Nino                              - (turbato e disposto a tradire il suo segreto) Ma che gentile! Soltanto...

Edvige                          - Io non ti parlo che delle mie seccatore. Tu mai delle tue.

Nino                            - Oh, io...

Edvige                          - Niente di nuovo alla fabbrica?

Nino                              - Niente. Chiusura per tre giorni la settimana. (Ridendo, ma con un po’ di amarezza) Fortuna che io sono solo.

Edvige                          - Solo in che ;senso?

Nino                              - Solo, a mantenermi. Non ho moglie, non sono capo di casa.

Edvige                          - (ridendo non ostante il suo nascosto tormento) Mi vien da ridere, Nino. Io non so immaginarti spo­sato, padre di famiglia, tu.

Nino                              - Perché?

Edvige                          - Perché non so, ma questa idea mi fa ridere.

Nino                              - Ti prendi gioco di me.

Edvige                          - Tutt'altro. Come sei suscettibile, Nino. (Gli accarezza la mano) Non volermene. Ho dei pensieri

Nino                              - Anch'io.

Edvige                          - (che non lui sentito) Dimmi, Nino, vorresti farmi un piacere?

Nino                              - Figurali!

Edvige                          - Gli scrivo due righe. (Supplice) Gliele vuoi far passare lì, sotto l'uscio?

Nino                              - (con sforzo, mostrandosi gentile) Senz'altro. (Edvige si mette a scrivere. Butta già una lettera, la straccia. Pie comincia un'altra. Sugli ultimi gradini della scoia appare U dottore, un buon vecchio dottore di con-dotta. Ha la sua busta in mano e il fiato grosso. Attra­versa il corridoio, va a bussare da Edvige. Germana ha socchiuso la sua porta e osserva. Quando il dottore è entrato da Edvige, viene a mettersi adagio adagio con l’orecchio appoggiato alla porta per ascoltare. sentendo bussare, Edvige ha cacciato la lettera sotto la cartella).

Edvige                          - (a Nino) E' il dottore. Aprigli. (Nino apre).

Il Dottore                      - (entrando) Buon giorno, cara. (Piccolo segno a Nino che saluta).

Edvige                          - Buon giorno, dottore.

Il Dottore                      - Cosa c'è che non va? (Le prende il mento) Un po' pallidina.

Edvige                          - Nino, vuoi lasciarci un momento?

Nino                              - (uscendo) Arrivederci, dottore.

Edvige                          - Ritorna quando il dottore sarà andato via. Darò tre colpì alla parete per avvertirti. (Germana corre a chiudersi nella sua camera a tempo giusto per non essere sorpresa da Nino. Nino appena è uscito esita, poi raggiunge il fondo del pianerottolo. Poco dopo Germana esce dalla sua camera e viene a porsi di nuovo presso la porta di Edvige, origliando).

Il Dottore                      - Bè, cosa succede?

Edvige                          - Se non vi dispiace, dottore, passiamo di là.

Il Dottore                      - Parola d'onore, tu sei ancora cresciuta dall'ultima volta che ti ho "vista. (Edvige gli indica la camera di fondo. Il dottore vi entra dopo di che, Edvige chiude la porta dietro di sé. Germana, delusa, resta qualche istante sul pianerottolo, si sporge sulla ringhiera e va a battere da Roberti. Irene va ad aprire).

Germana                       - Posso entrare?

Irene                              - (senza sorpresa) Entrate pure, signora Ger­mana.

Germana                       - Ho dimenticato lo strofinaccio questa mat­tina nel fare la camera.

Irene                              - Cercatelo pure. (Germana entra e finge di cercare) E’ veramente strano, signora, come voi dimenti­chiate sempre qualche cosa in questa camera. E neanche a farlo apposta, nei giorni in cui ci vengo io. Finirò col credere che voi siete curiosa.

Germana                       - (piccata) Curiosa io? Oh, signora, se vi disturbo, posso andarmene subito.

Irene                              - (ridendo) Per carità! Mi piace anzi moltis­simo di chiacchierare con voi. E l'affare idi vostro ma­rito con l'americano?

Germana                       - Mancato! E io che speravo che avremmo potuto andarcene! Perché, signora, non crediate che siamo sempre stati cosi in bolletta come adesso.

Irene                              - Oh, non ne dubito.

Germana                       - (dopo una pausa) E' vero che voi siete un'artista del cinematografo?

Irene                              - Io? Io no. Ohi vi ha detto questo?

Germana                       - Lo sapevo. E? la Sultana che lo va di­cendo. Lei crede di saper tutto. Io, sì, volendo, avrei potuto fare del cinematografo. Ci fu un regista che una volta mi seguì per la strada.

Massimo                        - (uscendo dalla sua camera e chiamando) Germana!

Germana                       - (andando alla porta e gridando) Vengo! (A Irene con intenzione) 'Sta per arrivare lui, (Esce e chiude la porta).

Massimo                        - Sei matta a mostrarti in tenuta simile?

Germana                       - Ma in fin dei conti non è mica oro schietto neppure lei...

Massimo                        - Intanto, vuoi venire, sì o no, a lucidarmi le scarpe?

Germana                       - (che ha udito la voce del dottore) Stai zitto.

Massimo                        - Ma va là, bada ai fatti tuoi. (Entra in camera sua).

Germana                       - Stai zitto, ti dico. (Si va a collocare avanti alla camera di Edvige. La porta di fondo sì è aperta, e dopo qualche istante ne è uscito il dottore).

Il Dottore                      - Soprattutto, non ti avvilire. Ogni cosa si accomoda. (Va alla tavola dove ha lasciato la sua busta e il suo cappello. Dietro a lui, è apparsa Edvige, avvilita, ancora più pallida, disfatta. Statua vivente del dolore e del terrore) Parlerai a tuo padre, è vero? (Edvige fa un segno di assenso) Me lo prometti? (Altro segno di assenso) Bada: se non glielo dicessi tu, sarei costretto a dirglierlo io. Ne va di mezzo, tu lo capisci, la mia responsabilità di medico. (Nuovo segno di Edvige) Non vuoi dirmi dì ehi si tratta? (Edvige resta immobile senza rispondere) ET affar tuo, si capisce. (Riflette) Dim­mi, non si tratterà mica di quel ragazzino che era qui poco fa? (Edvige non risponde) Dopo tutto, chiunque sia, non ha da fare che una cosa, tu m'hai capito. (Segno d'assenso di Edvige) Su, su, arrivederci, figliola. E soprattutto niente tragedie. Quando si vuole, tutto si accomoda. (La guarda paternamente, le stringe il ganascino) Arri­vederci. (Germana si è fatta indietro fino alla porta della sua camera. Il dottore esce sul pianerottolo. Edvige chiude la porta dietro di lui. Si abbandona sul divano, morde i cuscini per non gridare).

Germana                       - (raggiungendo il dottore che sta. per infilare la scala) E' una cosa seria, dottore?

Il Dottore                      - (sul primo gradino) No, niente di grave; un po' d'anemia... E il vostro piccolo?

Germana                       - Sempre occupato a leccare il lucido da scarpe.

Il Dottore                      - Non è raccomandabilissimo, come ali­mento dell'infanzia. Attenta che non diventi un negro. (Ride della sua facezia) Arrivederci, signora.

Germana                       - Arrivederci, dottore.

Il Dottore                      - (dopo aver fatto due scalini) La pic­cola è un po' nervosa. Lasciatela sola per un'oretta. Capito?

Germana                       - (sorpresa) Capito!

Il Dottore                      - Va bene. (Sparisce dalla scala. Germa­na lo segue con gli occhi al di sopra della ringhiera).

Massimo                        - (comparendo sulla porta, stizzito) Ger­mana; vieni, sì o no?

Germana                       - (dalla ringhiera) Ecco, ecco! Oh, che uomo! Che barba! Sempre lavorare! Sempre qualche cosa da far fare agli altri.

(Edvige si rialza, il viso bagnato di lacrime, scossa da singulti, povera piccola cosa mutilata. Si trascina alla tavola, leva dal di sotto della cartella la lettera comin­ciata prima, la straccia, ne scrive un'altra che pure strac­cia, poi un'altra ancora).

Berta                             - (dal quinto piano) Buongiorno, dottore.

Il Dottore                      - (c. s.) Buongiorno, signora.

Berta                             - (apparendo sugli ultimi scalini) Ebbene?

Germana                       - (dalla rampa) Non! ha voluto dir niente. (Indicando la camera dì Roberti) C'è la signora. Sì è chiacchierato tutto il pomeriggio.

Berta                             - (gelosa) Che me ne importa?

Germana                       - E’ una vera dama dell'alta società.

Berta                             - (sui pianerottolo) Già, infatti tu le conosci bene. Diamine!

Germana                       - Per lo meno quanto te. (Un passo preci­pitoso si fa sentire sulla scala. Le due donne si sporgono sulla ringhiera).

Berta                             - E' Roberti. Come galoppa, per raggiungere la pollastrella. Bisognerà ascoltare. (Berta raggiunge il fondo del pianerottolo seguita da Germana che entra in camera sua. Roberti appare sugli ultimi gradini fret-toloso e ansante. Trova la chiave nella toppa. Capisce che lei è dentro e spinge la porta sorridendo)

Roberti                          - Buongiorno, tesoro.

Irene                              - Buongiorno. (Si abbracciano).

Roberti                          - Ti ho fatto aspettare?

Irene                              - Mi piace star qui... (maliziosa) anche senza di te.

Roberti                          - (tenendola fra le braccia) Tu sai di buono. Oh, il profumo della dama in grigio!

Irene                              - (tenera) Adulatore, vai

Roberti                          - L’ho sentito dal fondo della scala.

 Irene                             - A dirti che io ero qui, non è stato il tuo cuore, ma il tuo naso. Materialista!

Roberti                          - Se io fossi un puro spirito, mi ameresti, forse?

Irene                              - No, ma tu non ne possiedi abbastanza.

Roberti                          - Allora, perché mi vuoi bene?

Irene                              - Non lo so neppur io, perché.

Roberti                          - Te ne dispiace?

Irene                              - Non lo so. Non posso immaginare la vita senza di te. E’ terribile.

Roberti                          - Già: questo si crede, poi si ricomincia la vita con un altro.

Irene                              - O un'altra.

Roberti                          - (osservando un pacchetto sulla tavola) Pranzi con me, tesoro? (L'abbraccia).

Irene                              - Puoi far portare delle paste, al mattino?

Roberti                          - Senza dubbio. Perché?

Irene                              - Io, questa notte, resterei.

Roberti                          - Oh, tesoro! E' tanto che sogno di averti con me una notte intera! Ma... è dunque partito?

Irene                              - Perone queste domande? Sono qui vicino a te. Vi resto fino a domani. Non ti basta?

Roberti                          - Vorrei che tu rimanessi una settimana, un mese.»

Irene                              - Perché, non dici un anno?

Roberti                          - Magari! Perché, non un anno?

Irene                              - E alla fine di tre giorni, tu non mi potresti più soffrire.

Roberti                          - lo!

Irene                              - Sì, caro. Tu hai bisogno di libertà.

Roberti                          - (una pausa) Un po' di Porto?

Irene                              - Si. Ci sei riuscito?

Roberti                          - (levando una lettera dalla tasca) Ecco, leggi. (Irene comincia a leggere, mentre Roberti fa scal­dare l’acqua. E dispone le tazze sulla tavola) Non hanno voluto intendere ragioni, neanche quando io ho dato loro la prova...

Irene                              - (ironica) Vuoi che t'ascolti o che legga? Scegli.

Roberti                          - (ridendo) Leggi. (La bacia e ritorna ai suoi preparativi. Dopo qualche istante Edvige si è al­zata, è passata nella camera in fondo, dove ha battuto tre volte alla parete. Dopo di che, è ritornata alla tavola. Rilegge la lettera che ha scritto, la corregge. Qualche minuto dopo, Nino, venendo dal fondo del pianerottolo, batte alla porta di Edvige).

Edvige                          - Entra.

Nino                              - (entra. Colpito dall’aspetto di Edvige) Cos'è? Che hai?

Edvige                          - (nascondendo la propria commozione) Vor­resti ora portarmi quella lettera... di cui ti parlavo poco fa?

Nino                              - (cupo) Ma sì, dammela.

Edvige                          - Scusami, se l'ho chiusa... E' un segreto. Un segreto che non riguarda me. Mi prometti, Nino, di infi­larla sotto la porta?

Nino                              - Una volta che ti ho detto di sì

Edvige                          - Senza che nessuno ti veda?

Nino                              - Cosa sono queste storie? Proprio non credi di poterci contare, su di me?

Edvige                          - Ma senza dubbio, lo credo. A te. (Gli dà la lettera) E dopo... dopo che l'avrai messa sotto la porta, vorresti andare a prendermi dei «cachete », di aspirina?

Nino                              - (che ha messo la lettera in tasca) Capisco. Hai bisogno di restar sola con lui, perché tu gli chiedi di venir qui, non è vero?

Edvige                          - (torturata) Oh, Nino, tu non puoi sapere.-

Nino                              - Ma sì. Io so.

Edvige                          - (incredula, nella sorpresa) Tu sai? Cosa sai? Cosa vuoi dire? (Nino alza le spalle, ed esce sul pianerottolo. Edvige che si è spossata nello sforza, ri­cade sul divano, dove ha una nuova crisi di lacrime. Nino va alla porta di Roberti, si assicura che nessuno lo può vedere e infila la lettera sotto la porta. Poi di­scende rapidamente la scala. Irene sta terminando la let­tera che le aveva dato Roberti. Sta per parlare quando vede apparire la lettera, infilata da Nino sotto la porta. Si alza, va a raccoglierla. La esamina).

Irene                              - (allegramente, ma un po' gelosa) A te, a te: una lettera dì donna.

Roberti                          - Cosa?

Irene                              - Ti è stata infilata sotto la porta. (La fiuta) Profumo a buon mercato. Fa certamente errori di orto­grafia. Con tutta probabilità, una bambinaia... (Germana e uscita piano piano dalla sua camera per gettare un colpo d'occhio sulla ringhiera come sua abitudine. Poi sentendo voci provenienti dalla camera di Roberti, va ad appoggiare il suo orecchio alla porta).

Roberti                          - (esitando a prendere la lettera) Gelosa?

Irene                              - (che lo è) Oh, mio caro, tu vuoi ridere. A te! (Gli getta la lettera. Roberti la raccoglie. L'apre, la legge).

Roberti                          - Oh!

Irene                              - Cosa c'è? Cos'hai? Tu mi spaventi! (Gli strappa la lettera).

Roberti                          - Cosa fai? (Cerca di riprendere la lettera, ma lei ha già avuto il tempo di leggerla).

Irene                              - (fissandolo, inebetita) Cosa? Incinta? Edvi­ge... la piccola malata?

Roberti                          - (supplice) Irene!

Irene                              - (terrificata) Hai fatto questo?

Roberti                          - (con violenza, rapido) Non avevi il diritto di leggere questa lettera!

Irene                              - E tu avevi il diritto di fare quello che hai fatto? (Gli getta la lettera in viso. Berta appare all'an­golo del pianerottolo. Scorge Germana con l’orecchio ap­poggiato alla porta di Roberti. Ci va essa pure. Elo­quente mimica fra le due donne).

Roberti                          - Irene, ora ti spiego. E’ stata prima che tu venissi, voglio dire; prima che tu ritornassi. Tu non eri ancora niente per me. Una sera, c'è stata una piccola festa di là, per i suoi venti anni... Sono rimasto di là, dopo gli altri... Ho perduto la testa...

Irene                              - Tu perdere la testa! Andiamo! Via! Di' piut­tosto che avevi una ragazza sottomano e te la sei presa, come fa qualunque maschio. Ma ciò che per un'altra può essere un'avventura insignificante, è un dramma spaven­toso per questa povera piccola. (Pausa) Cosa pensi di fare?

Roberti                          - Non lo so. Non posso nemmeno credere che sia vero.

Irene                              - Sposarla, forse? (Una pausa) Insomma parla, di qualche cosa.

Roberti                          - Dirti che cosa? Cosa? (Va alla porta) Ci vado.

Irene                              - (trattenendolo) Vai per tranquillizzarla, per dirle che la sposerai. Ma domani? Quando avrai riflet­tuto? Domani? Pensi tu al domani?

Roberti                          - E allora?

Irene                              - E allora, cosa ne so io? Mi fai schifo. Ti odio. (Mette il cappello e i guanti).

Roberti                          - Non andartene. Te ne prego. Potevo io supporre una cosa simile? Irene... (Tenta di abbracciarla).

Irene                              - Non mi toccare! (Va alla porta. Berta e Ger­mana vanno a cacciarsi dietro l'angolo del pianerottolo)

Roberti                          - (trattenendo Irene) Tu non mi lasci cosi! E’ impossibile!

Irene                              - (sfuggendogli) Addio. (Va al pianerottolo e discende rapidamente la scala).

Roberti                          - (seguendola) Ti prego, torna indietro, Irene! Irene! (La voce di Roberti ha scosso Edvige dal suo torpore. Va a fatica alla porta, l’apre e vede Roberti sull’ultimo gradino che sta chiamando Irene).

Edvige                          - (grida, svenendo) Enrico! (Roberti sente. Ha un gesto folle di dolore e di incertezza. Si ferma, col­pito all’apparire di Edvige. Poi subito discende la scala continuando a chiamare Irene, mentre Edvige cade su se stessa, svenuta. Berta e Germana si precipitano, la rial­zano e la trasportano nella sua camera).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

 (La stessa, scena. Il giorno dopo al principio del po­meriggio. Il pianerottolo è vuoto. Roberti nella sua ca­mera sta facendo una valigia. In casa di Edvige vi è Ger­mana. La porta di comunicazione con la camera in fondo è chiusa. Il signor Giuseppe è col cappello in testa. Si dispone a uscire).

Il signor Giuseppe         - Sorvegliatela bene, mi raccoman­do. Mi dà pensiero.

Cermana                        - Ma no signor Giuseppe, non sarà niente. Ieri, me Io ha detto il dottore. Niente di grave, solo un po' d'anemia.

Il signor Giuseppe         - I medici dicono sempre così: niente di grave.

Germana                       - Sentite? (Tendendo t'orecchio) Niente-Mi sembrava che avesse detto qualche cosa.

Il signor Giuseppe         - No; dorme. Non muovetevi di qui, signora Lescalli.

Germana                       - Non mi muovo.

Il signor Giuseppe         - Grazie. (Esce sul pianerottolo, va alla scala e scende pensieroso. Germana esce, raggiunge il fondo del pianerottolo e chiama piano).

Germana                       - Berta! (Toma subito alla ringhiera)

Berta                             - (dal fondo del pianerottolo) Vengo. (Sopravvenendo dot fondo del pianerottolo) E’ uscito il signor Giuseppe?

Germana                       - Sì, va dal dottore.

Berta                             - S'incontrerà con Nino.

Germana                       - Non credo. Nino ha un'ora d'anticipo.

Berta                             - (raggiungendo la scala) Allora scendo?

Germana                       - Come vedi ritornare il signor Giuseppe, mi chiami.

Berta                             - Farò: hu, hu. (Scompare).

Germana                       - (battendo alla porta di Roberti) Sono io, signor Roberti.

Roberti                          - (aprendo) Se n'è andato il signor Giuseppe?

Germana                       - Sì.

Roberti                          - (segue Germana verso l’appartamento di Ed­vige, entrano tutti e -due. Germana va a socchiudere la porta di comunicazione).

Germana                       - E’ qui. Può entrare?

Edvige                          - (di dentro) Sì sì. (Roberti entra, chiude la porta dietro di se. Germana esce sul pianerottolo. Com­pare la signora Moretti. Ha in mano una lettera).

La signora Maretti        - E allora?

Germana                       - C'è da lei Roberti.

La signora Maretti        - Che roba!

Germana                       - Con la .salute che ha, non potrà soppor­tare un parto.

La signora Maretti        - (al di sopra della ringhiera, chia­mando) Vieni, Costanzo. (Va a battere alla porta dei Lescalli) Ho da parlarvi, signor Lescalli. (Scompare dal fondo del pianerottolo. La si sente battere ad altra porta).

Il signor Maretti            - (dal quinto piano, brontolando) Cosa c'è? Brucia la casa? (Lo si sente chiudere la porta al quinto piano e salire con fatica le scale).

Massimo                        - (uscendo dalla sua camera e andando verso la signora Moretti) Cosa succede, signora Maretti? (Giovanna appare dal fondo del pianerottolo. Il signor Maretti appare dall’alto della scoia).

Il signor Maretti            - Cosa succede? Un soviet? Un pronunciamento di inquilini?

La signora Maretti        - Esatto!

Il signor Maretti            - Ci si può sedere? (Siede sull’ultimo scalino).

La signora Maretti        - (a tutti) Ascoltatemi! Sapete tutti ,che cosa capita. (Segno con la testa nella direzione della casa di Edvige) Personalmente io sono seccatissima per questa faccenda. Io non ammetto che dei miei inqui­lini facciano robe idi questo genere. D'altra parte, quello che è fatto è fatto. La piccola se la caverà come potrà. C'è una cosa, tuttavia, alla quale tengo moltissimo, e alla quale so che tenete voi pure: una volta che c'è modo di accomodare le faccende, il signor Giuseppe non deve sapere niente. Poveretto!  Sul pianerottolo non c'è nessuno che non gli debba qualche cosa. E' la bontà personificata. (Tutti consentono) Ora, non ostante ciò, signori, fra noi esiste un traditore.

Tutti                              - (l'uno dopo l'altro) Un traditore?

La signora Maretti ---- - Sì, un traditore e un porco. Ce qualcuno che ha scritto al signor Giuseppe una let­tera anonima. Ecco la lettera. E' arrivata con la posta del mezzogiorno. Fu impostata questa mattina. Mi è parsa una lettera sospetta. L’ho aperta.

 

Il signor Maretti            - Tu hai fatto questo? Ma è roba da matti! Corri rischi gravissimi.

La signora Maretti        - Io non rischio un bel niente! Quello o quella che l'ha spedita, si guarderà bene dal farsi conoscere; non è logico?

Il signor Maretti            - Ma insomma, che cosa dice que­sta lettera?

La signora Maretti        - (leggendo) «Signor Giuseppe, la vostra figliola non ha affatto bisogno di punture di caco-dilato. Essa ingrasserà bene anche senza. A buon intenditor, saluti. Un amico! ». (A Germana) Signora Lescalli, siete stata voi?

Germana                       - Oh, signora Maretti!

La signora Maretti        - (a Giovanna) Voi?

Giovanna                      - (dignitosissima) Io potrò essere un'oca, signora Maretti, mai una mascalzona!

La signora Maretti        - E’quello che pensavo anch'io. (A Massimo) Voi?

Massimo                        - (alla signora Maretti) Un artista, per vo­stra regola, signora, non è mai un sudicione...

La signora Maretti        - Non ve ne offendete, signor Lescalli. Non dubitavo affatto che foste voi. Procedendo per esclusione, si tratta dunque idi qualcuno del sesto, siamo d'accordo, ma che non è fra i presenti. Edvige va esclusa. Roberti, escluso; Nino...

Tutti                              - (protestando) Oh, Nino...

La signora Maretti        - Berta! (Un lungo silenzio).

Germana                       - Oh, la vacca!

Massimo                        - (a Germana) Proibizione da oggi di rivol­gerle la parola.

Germana                       - (esaminando la lettera) Ma sì, ma è chiaro: è la sua scrittura contraffatta. Scrive sempre così, quando manda le lettere anonime. Ne abbiamo mandate insieme! (Si ride).

La signora Maretti        - La Sultana, cari miei, l'avrà da fare con me!

Nino                              - (appare bruscamente sugli ultimi gradini della scala) No, con me.

Tutti                              - Nino!

Nino                              - (a Germana) A me questa lettera. (Germana gliela dà) Me ne incarico io. (Alla signora Maretti) Sen­tito, sentito tutto quello che avete detto. (Non siete stata voi ad aprire la lettera, signora Maretti. Sono stato io. Io! In questo modo, voi non avrete responsabilità.

La signora Maretti        - Benissimo, Nino. (A tutti) Io vi ho già detto quello che vi volevo dire, signori. (Al si­gnor Maretti che ostruisce la scala) Se tu avessi l'estrema bontà di lasciarmi passare.

Il signor Maretti            - (restringendosi, con affettazione) Prego, prego, duchessa... ((La signora Maretti scompare dalla scalò. Il signor Moretti entra nello sua camera).

Giovanna                      - (a Germana, alludendo ad Edvige) Come andiamo? (Massimo è rientrato nella sua camera).

Germana                       - Non bene. In questo momento c'è da lei Roberti.

Nino                              - Roberti? (Si avvia verso la porta di Edvige).

Germana                       - (trattenendolo) Nino!  E' stata lei a volerlo vedere.

Giovanna                      - (raggiunge il fondo del pianerottolo).

Germana                       - (a Nino) Vi siete incontrato col signor Giuseppe?

Nino                              - No. Perché?

Germana                       - E' andato dal dottore. E’ uscito che saranno dieci minuti appena.

Nino                              - H dottore non gli dirà niente -dello stato di Edvige. Il dottore ha detto che per questa faccenda, bisogna che Edvige si mariti alla svelta. (Una pausa) E' molto, che quell'altro è 'da lei?

Germana                       - Da poco.

Nino                              - (parlando di Roberti) Fatemi un segno quando se ne sarà andato.

Germana                       - Sì. (Nino raggiunge il fondo del pianerottolo. La porta di comunicazione di Edvige si è aperta, e Roberti ne è uscito con aria scura. Edvige lo segue in veste da camera. Una lunga pausa.

Edvige                          - (a bassa voce) Dove sarebbe allora questa fattoria?

Roberti                          - Vicino. Lascia che me ne occupi.

Edvige                          - Ma chi pagherà? Tu, quattrini, non ne hai.

Roberti                          - Quando ieri mi mandasti quella lettera, c'era da me una persona...

Edvige                          - La tua amante.

Roberti                          - Le è capitata in mano la tua lettera...

Edvige                          - Dio!  Già tutti sanno...

Roberti                          - Ma bada, si tratta di una signora che ha compassione sincera della tua disgrazia. E' ricca. La fat­toria è di sua proprietà. Accetta, Edvige. Permetti che in qualche modo ripari...

Edvige                          - Non c'è che una sola riparazione possibile. Quella che voi non potete offrirmi. E io non ne voglio altre. (Germana, dopo che Nino se ne è andato, ha l’orecchio appoggiato all'uscio).

Roberti                          - Questa sera io vedrò vostro padre.

Edvige                          - No, no. Non voglio. Non voglio che per causa mia abbia a soffrire papà. Sarebbe terribile per lui sapere... La sua figlietta... Ve ne supplico. Promette­temi di non parlargli, di non vederlo.

Roberti                          - Va bene.

Edvige                          - Quanto poi a questa fattoria, io non dico di no. Voglio rifletterci. Non è cosa da farsi subito. Do­mani mio padre riprenderà il suo ufficio. Tornate su­bito in camera vostra. Papà potrebbe rientrare. (Lo trattiene) Dimmi, Enrico, tu l'ami questa donna?

Roberti                          - No. Ho creduto di amarla. E invece non l'amo.

Edvige                          - Ami ime?

Roberti                          - (dopo una pausa) No, Edvige. Almeno come vorresti tu, no. Ma io, sai, non m'innamoro di nessuna donna. E’ tremendo questo non potersi innamorare di nessuna» D'altra parte, siamo quelli che siamo. (Pausa) Arrivederci, Edvige. A domani. (Esce sul pianerottolo e chiude la porta, dicendo a se stesso) Mi faccio schifo! (Nell’attraversare il pianerottolo, sconvolto, non ha 6a-àato a Germana che, appena in tempo per non essere sorpresa, ha riconquistato il suo posto alla, ringhiera, dove asciuga lacrime provocate in lei dalla scena fra Edvige e Roberti. Roberti, tornato nella sua camera, si è lasciato cadere accasciato in poltrona. Come Roberti sarà in w mera sua, Germana andrà in fondo al pianerottolo ad avvertire Nino. Poi riprende U suo posto alla ringhiera, Nino ritorna dal fondo del pianerottolo e va a battere alla porta di Edvige, che è seduta sulla poltrona, con la testa fra le mani).

Nino                              - Edvige, sono io; posso entrare?

Edvige                          - Entra pure. (Con affettazione di allegria) Buongiorno, Nino, stai bene?

Nino                              - Non cercare di nascondermi la verità. So tutto.

Edvige                          - Tutto, che cosa?

Nino                              - Tutto. (Una pausa. Edvige abbassa la testa) Che farà Roberti?

Edvige                          - (con vivacità) Vogliamo non parlarne?

Nino                              - Vi sposerete? (Silenzio di Edvige) Vi spo­serete?

Edvige                          - (dopo una pausa)No.

Nino                              - Non vuole?

Edvige                          - Sono io che non voglio.

Nino                              - Perché? (Edvige tace) Non ;gli vuoi bene?

Edvige                          - Io, sì, che gliene voglio.

Nino                              - (colpito) Ah!

Edvige                          - Lui invece no. Lui non mi vuol bene. Ma­trimonio impossibile.

Nino                              - Ma Edvige, pensa a ciò che fai. Il bambino».

Edvige                          - Sono così malata... Morirò prima.

Nino                              - Ma no, Edvige...

Edvige                          - Ne avrò per poco. Lo sento. Ne son sicura. Cos'hai? Piangi?

Nino                              - Ma io, Edvige... Io, ti amo.

Edvige                          - Tu?

Nino                              - Da tanto tempo, Edvige. Da tanto. Avevo pro­messo a tuo padre di non dirtelo mai. Ma non posso più tacere... Non posso!

Edvige                          - (carezzandogli la testa) Strano, Nino. Non avrei mai pensato a questo. E' proprio vero? Tu mi vuoi bene? Me ne hai sempre voluto? (Nino fa un segno affermativo) Sono commossa, Nino, molto commossa. Ciò mi fa bene al cuore. Ah, perché debbo voler bene a ohi non me ne vuole?

ìNtno                             - Non parlarmi di lui!

Edvige                          - (dopo una pausa) Tu ne avevi parlato a mio padre?

Nino                              - Due mesi or sono. Due mesi or sono, quando è arrivato quello là. Ho capito subito che t'interessava. Avrei voluto passargli davanti. Ma tuo padre mi ha detto che tu non eri adatta per me. sono un operaio. Eh, lo so! Ma io ho qualche cosa da parte... Si potrebbe vivere, e magari felici! Non si lascerebbe tuo padre...

Edvige                          - Povero Nino!

Nino                              - Edvige, non è troppo tardi. Basta che io non ti perda. (Pausa) Sono stato dal dottore poco fa.

Edvige                          - Tu?

Nino                              - Non dirà niente del tuo stato, a tuo padre. Gli dirà soltanto che tu hai bisogno di famiglia.

Edvige                          - (turbata) Il papà è andato da lui? Tu lo sapevi?

Nino                              - Ha detto a mezzogiorno alla signora Lescalli che calcolava andarci nel pomeriggio. Lei me Io ha detto, e allora io ci sono andato prima. (Una pausa) Edvige, vuoi?

Edvige                          - Nino!

Nino                              - Non mi rispondi?

Edvige                          - No, Nino. Non è possibile. Io ti voglio bene, molto, ma come a un fratello.

 

Nino                              - E se l'altro se ne va?

Edvige                          - Tanto peggio. La vita è lo stesso finita, per me. Vuoi lasciarmi sola? Sono un po' stanca.

Nino                              - Ti lascio. Ma pensa a quello che ti ho detto.

Edvige                          - Grazie, Nino, e dal profondo. (Nino esce triste sul pianerottolo).

Germana                       - Come va?

Nino                              - Mi preoccupa. (Restano tutti e due appoggiati alla ringhiera. Edvige intanto si è lasciata scivolare m ginocchio davanti al divano e prega).

Beuta                            - (dal fondo della scala) Hu, hu!

Germana                       - (rispondendo) Hu, 'hu! (Batte da Roberti) Non ci tornate là. Il padre sta venendo. (Va alla rin­ghiera dove chiama) Signora Maretti!

La signora Maretti        - (dal quinto piano) Cosa?

Germana                       - (indicando col dito il fondo della scala)  Vien su. (Nino è andato al fondo del pianerottolo dove ha battuto alla porta di Giovanna).

Nino                              - Venite, signorina Giovanna. Berta sale. (Riap­pare e batte alla porta dei Lescalli) Venite, signor Lescalli. Sale.

Massimo                        - (aprendo) Berta?

Nino                              - Sì.

Massimo                        - Vengo. (Come Giovanna viene dal fondo del pianerottolo, Massimo si fa verso la ringhiera. La signora Moretti, appare sugli ultimi gradini. Silenzio ge­nerale. Passa gualche secondo. Si odono i passi di Berta. Poi essa appare ansante. Gii altri hanno lasciato la rin­ghiera e si tengono muti, fermi, ostili, come dei giu­stizieri).

Berta                             - (sull’ultimo gradino) Arriva. Sta salendo.

Nino                              - Perché avete scritto questa lettera? (Gliela mette sotto il naso).

Berta                             - (terrificata) Ma...

Nino                              - E’ vostra. Inutile che neghiate. E pensare che ieri sera avevate promesso... (Leva un coltello dalla ta­sca) Vedete questo coltello? Ricordatevi di ciò che vi dico: se il signor Giuseppe viene a sapere qualche cosa, io vi taglio la gola, com'è vero che sono qui. Lo giuro. (Berta terrificata, osserva il viso arcigno, ostile dei vicini, poi fugge verso il fondo del pianerottolo, sotto il gene­rale disprezzo. Germana sputa sopra i suoi passi. Poi torna ad affacciarsi alla ringhiera).

Germana                       - E’ già al quarto piano.

La signora Maretti        - Rientrate. Ci sorprenderebbe. (Nino e Giovanna raggiungono il fondo del pianerottolo che resta vuoto. Il signor Giuseppe appare sopra l’ultimo gradino, con alcuni pacchetti. Apre la porta, vede Edvige distesa sulla poltrona, pallida, esausta. Le corre vicino).

Il signor Giuseppe         - Edvige! Edvige! (Depone i pac­chetti e la scuote) Edvige, che bai? (Uscendo sul pia­nerottolo) Signora Lescalli, presto, presto. E' svenuta. (Torna accanto ad Edvige) Edvige, mia piccola.

Germana                       - (sopravvenendo) Cosa succede?

Il signor Giuseppe         - (scuotendo la figliola che reagisce appena) Edvige! Mia piccola! (Edvige fa movimenti incomposti, tiene gli occhi fissi nel vuoto,, Guarda e non vede. sembra ascoltare voci lontane per effetto di crisi isterica) Svelta, presto. Un dottore!

Germana -------------- - Non vi spaventate, signor Giuseppe! (Riappaiono tutti gli inquilini all’infuori di Berta, Tutti sono sulla porta di Edvige).

Il signor Giuseppe         - (sempre più allarmato) Io voglio un medico.

Nino                              - Vado a chiamarlo io. (Scende in fretta le scale. Intanto Edvige a poco a poco rinviene. Il padre la chiama).

Il signor Giuseppe         - Edvige! Edvige!

Germana                       - Ecco ritorna in sé. Si riprende. (Il signor Giuseppe si distacca dalla figliola, si avvicina al gruppo degli inquilini col viso sempre stravolto. Gli inquilini cogli occhi e col gesto lo rincuorano).

Il signor Giuseppe         - Io la perdo... io la perdo (Tutti gli sono attorno con espressione di diniego, di conforto, di pietà).

SECONDO QUADRO

(Tre giorni dopo, sul principio del pomeriggio. Il pia­nerottolo è vuoto. Del pari vuota la camera di Roberti dove tutto denuncia un'imminente sua partenza. Non più stampe né fotografie ai muri, nessun ninnolo sul tavolino. Presso la porta della camera un grande baule e due vali­gette piene. In casa di Edvige, il signor Giuseppe cam­mina in lungo e in largo nella camera; si ferma vedendo il dottore uscire dalla camera di fondo).

Il Dottore                      - Calmatevi. Si rimetterà presto.

Il signor Giuseppe         - Ah, dottore, questi tre giorni...

Il Dottore                      - Mio caro signor Giuseppe, tutto il guaio è in questo: che voi non vi siete ancora convinto che la vostra Edvige non è più una bambina. E’ una ragazza. Dirò meglio: è una donna.

Il signor Giuseppe         - Cosa devo dedurne?

Il Dottore                      - Una cosa molto semplice: che bisogna darle marito.

Il signor Giuseppe         - Ma prima bisognerà che gua­risca. Me Io avete detto voi stesso, dottore.

Il Dottore                      - Esatto.

Il signor Giuseppe         - E allora?

Il Dottore                      - E allora ho cambiato parere. Ecco tutto. Voi siete un uomo, signor Giuseppe. siete anche un let­terato. Le parole quindi, non vi debbono far paura. In­somma, vostra figlia ha bisogno di sposarsi. Mi sono spiegato?

Il signor Giuseppe         - Ma... E i bambini, se ne avrà, potranno poi nascere sani?

Il Dottore                      - Questa è bella. E perché no? Voi già pensate agli eredi?

Il signor Giuseppe         - Ah, dottore, ma perché solo adesso parlarmi di queste cose?

Il Dottore                      - Mio caro amico, voi siete suo padre, mica -sua madre.

Il signor Giuseppe         - Lo so, purtroppo. E’ chiaro. Lei qui, trascina accanto a me, una vita assurda. Siete vecchio amico nostro. Con voi, certe cose, che non avreb­be confessato a suo padre, con voi le dice.

Il Dottore                      - Ma lei non mi ha mica detto ancora niente, per la verità. Certe confessioni, mio caro signor Giuseppe, non si fanno a parole. Io l'ho capita al solo vederla. Tutto passa in seconda linea, purché la vita sia salva. Vi lascio. (Si alza e gli da la mano) Calma, riposo e dopo tre giorni non ci si penserà più.

 

Il signor Giuseppe         - (trattenendolo) Dottore, vi prego. Voi sapete qualche cosa. Edvige vuol già bene a qual­cuno. Indovino? Ma a chi vuol bene? Qui non vede mai un'anima! (Un dubbio gli attraversa la mente. Ha un grido) Ah!

Il Dottore                      - (che vuole allontanare Roberti dal suo pensiero) Ascoltatemi. Il mio incarico si ferma al malato e alla malattia. Parlate con vostra figlia. Se ha qualche cosa da dirvi, ve Io dirà. (Pausa. Esita) Probabilmente avrà veduto qui un uomo del quale si è inna­morata. E magari neppure pensa a qualcuno in concreto; si è creato un ideale fittizio. E soffre. No, no, bisogna darlo marito. Io almeno la vedo così. Arrivederci. (Stringe la mano del signor Giuseppe, ed esce sul pianerottolo)

Il signor Giuseppe         - Arrivederci, dottore, e ancora grazie. (Lo segue e lo guarda scendere lo scale. Germana esce dalla sua porta e viene a raggiungere la ringhiera).

Germana                       - Cos'ha detto?

Il signor Giuseppe         - Che è fuori di pericolo.

Germana                       - Tornate all'ufficio?

Il signor Giuseppe         - Bisognerebbe. Avrei i conti di fine mese che mi aspettano. Ma posso lasciarla?

Germana                       - Resterò io.

Il signor Giuseppe         - Grazie. Conto sa di voi, per il mio pranzo.

Germana                       - D'accordo. (Giuseppe rientra, chiude ada­gio la porta, siede sul divano trasognato. Germana è alla ringhiera. Rumori di passi sulla scala. Appare Berta).

Berta                             - (sull'ultimo gradino) Dietro di ime c'è Ro­berti che sale. (Germana non risponde verbo) Roberti sta salendo. (Germana persiste nel suo mutismo. Berta raggiunge il fondo. Appare Roberti. E' in soprabito col cappello).

Roberti                          - (sull’ultima gradino) Buongiorno, signora Lescalli.

Germana                       - (fredda) Buongiorno.

Roberti                          - (che ha aperta la sua porta) Venuto nes­suno a chiedere di me?

Germana                       - (che capisce a chi allude) La signora? No.

Roberti                          - (invitandola a entrare nella sua camera) Entrate, vi prego. Ho qualche cosa da dirvi. (Germana entra con renitenza) Ho incontrato per le scale il dot­tore. Cos'ha detto?

Germana                       - Che è fuori pericolo.

Roberti                          - (con un sospiro di sollievo) Ah!

Germana                       - Però, c'è poco Io stesso da stare allegri. Quel che è fatto, è fatto.

Roberti                          - Per carità, nessuna predica. (Dopo una pausa) Ha chiesto di vedermi?

Germana                       - No.

Roberti                          - Ha pronunciato il mio nome?

Germana                       - No.

Roberti                          - Le avete detto che partirò tra poco?

Germana                       - Ma neanche per sogno. E' come darle il tracollo!

Roberti                          - (passeggia agitato) Voglio vederla.

Germana                       - C'è il signor Giuseppe, di là.

Roberti                          - Se le scrivessi un biglietto, glielo porte­reste, voi?

Germana                       - (non risponde).

Roberti                          - Rispondetemi.

 

Germana                       - Non lo so. Una frase di congedo, potrebbe ugualmente ucciderla.

Roberti                          - Ah, basta! Vado dal padre e gli dico tutto. Meglio finirla. (Vorrebbe uscire. Germana lo trattiene).

Germana                       - Siete matto? E cosa risolvereste con questo?

Roberti                          - (la guarda smarrito) Cosa risolvo? Magari tutto.

Germana                       - Allora pensate di sposarla?.-

Roberti                          - Avete ragione. Pazzie! (Siede accasciato. Germana esce, chiude la porta. Getta un'occhiata al di sopra della ringhiera ed entra in camera sua. Roberti se­duto sul suo baule, pensieroso, fuma. Ha movimenti ner­vosi che denunciano l’interiore suo turbamento. Edvige esce lentamente dalla camera di fondo. E' quanto mai pallida e cammina con difficoltà più del solito).

Il signor Giuseppe         - Alzata? Ma è imprudentissimo. (La sostiene).

Edvige                          - Molto meglio, paparino. Mi sento meglio, te lo assicuro. Ho bisogno di toccarti, di sentirmi presso di te. (Si colloca nella sua poltrona, contempla la camera) La nostra cameretta da lavoro. (Una pausa) Cosa ti ha detto, il dottore?

Il signor Giuseppe         - Che sei fuori di pericolo, figlietta.

Edvige                          - E poi?

Il signor Giuseppe         - (teneramente) Non ti basta?

Edvige                          - E a te, basta? (Lo afferra per il collo e lo bacia) Ti ho fatto stare in pena, non è vero? (Accorgen­dosi soltanto ora dei fiori) Oh, dei fiori!

Il signor Giuseppe         - Non te li abbiamo messi in camera per l'odore.

Edvige                          - Chi li ha mandati?

Il signor Giuseppe         - Un po' tutti. I Lescalli, la Sulta­na, la signora Maretti, la signorina Giovanna, Roberti, tutti. E anche Nino, perbacco!

Edvige                          - (a mezza voce) Nino!

Il signor Giuseppe         - Quel povero ragazzo bisognava averlo visto! Era addirittura disperato. Faceva pena. Si, veramente sono stati tutti molto gentili con noi.

Edvige                          - Tutti!

Il signor Giuseppe         - Sì, proprio tutti.

Edvige                          - Il mio sesto piano! Il mio piccolo mondo a me. (Tiene gli occhi sui fiori; si commuove al pen­siero, trattiene un singhiozzo).

Il signor Giuseppe         - Cos'hai figlietta?

Edvige                          - Niente papà. Un po' nervosina. Capirai, dopo tante crisi.»

Il signor Giuseppe         - Edvige, tu mi nascondi qualche cosa. (Edvige non risponde) Ho diritto di sapere. (Muti­smo di Edvige) Il dottore mi ha detto... Sai che cosa mi ha detto? Che tu vorresti sposarti. E’ vero?

Edvige                          - Sì.

Il signor Giuseppe         - Mi vuoi lasciare?

Edvige                          - Ah, no! Lasciarti? Lasciarti, mai, papà! Tu sei per me tutto.

Il signor Giuseppe         - Eppure... Una volta che tu ti vuoi sposare… va da sé. (Un silenzio) E’ il destino delle ragazze, sposarsi! E sposandosi, lasciare, si sa, la casa paterna. E' la vita stessa che lo esige. (Pausa) Ma dimmi: tu pensi a qualcuno?

Edvige                          - Sì.

Il signor Giuseppe         - Ah! Qualcuno che io conosco?

Edvige                          - Certo papà. Ci sono forse persone che io co­nosco e che tu non conosci?

Il signor Giuseppe         - (col dito teso verso il pianerottolo) Roberti?!

Edvige                          - (dopo uno sforzo violento su se stessa) Il signor Roberti? Oh, no, paparino! Molto gentile, molto cortese, ma proprio no... Come ti è balenata l'idea?

Il signor Giuseppe         - Così. ((Dopo averla, guardata a lungo) Non sarà mica... Nino?

Edvige                          - (fingendo di ridere) Proprio lui!

Il signor Giuseppe         - (sorpreso) Nino! Ah, questa non me l'aspettavo!  Nino!  Il piccolo Nino!  Ah, figlietta, te lo confesso, ma io avevo sognato di meglio per te. Un buon matrimonio con qualcuno che valesse almeno quanto te, sognavo.

Edvige                          - Perché? Tu credi che non valga tanto?

Il signor Giuseppe         - Nino? Un bravo figliolo certa­mente! Ma, Edvige mia, ti sei resa conto di che cosa sarà la vita vicino a lui? Tu, dopo tutto, sei la figliola d'imo scrittore, di un artista».

Edvige                          - Lo resterò, paparino. (Si appoggia a lui) Nulla cambierà. Nino conserverà la sua camera in fondo al corridoio. Noi faremo aprire una porta che metterà in comunicazione la sua camera con la mia. La signora Maretti permetterà senza dubbio. Non credi?

Il signor Giuseppe         - E sia! Tu già parli di Nino, come se già sapessi che anche lui ci pensa.

Edvige                          - Ma questo lo sai anche tu, paparino. Perché un giorno mi tacesti della sua domanda di matrimonio?

Il signor Giuseppe         - Perché? Ma perché io ti ritenevo innanzi tutto ancora troppo giovane. strano! faccio fatica a crederlo! Questi progetti, questa porta da aprirsi è veramente tutto quello che sognavi nel tuo cervellino, da tanto tempo? Tutto qui?

Edvige                          - Sì, papà.

Il signor Giuseppe         - Ed hai sofferto tanto per così poco! Ah, la gioventù com'è sempre pazza!

Edvige                          - Non ti rammaricare. Pensa, papà: io re­sterò la tua segretaria. Tu, intanto, scriverai tante belle cose, quelle che ti stanno veramente a cuore. Io aro la moglie di Nino. Tu non avrai più ida affaticare sui tuoi romanzi d'avventure.

Il signor Giuseppe         - (sedotto dall’idea) Magari! Ah, scrivere ciò che voglio! Però sono pensieri da egoista. Ed è male!

Edvige                          - Egoista, tu? Tu che non pensi che agli altri, papà. Non avere questo scrupolo. Piuttosto, sai adesso cosa dovresti fare?

Il signor Giuseppe         - Cosa?

Edvige                          - Tornare al tuo ufficio.

Il signor Giuseppe         - No, non voglio lasciarti.

Edvige                          - Perché? Sto bene, ormai...

Il signor Giuseppe         - E se tu avessi bisogno di qual­che cosa?

Edvige                          - Non avrò bisogno. Ma in tutti i casi, c'è la signora Lescalli. Puoi star tranquillo.

Il signor Giuseppe         - Tu mi tenti.

Edvige                          - Va, va al tuo ufficio, papà. Sei tanto in arretrato.

 

Il signor Giuseppe         - (alzandosi) Sì, ci vado. Vuoi che ti comperi qualche cosa? Dei frutti, degli aranci?

Edvige                          - Sì, degli aranci.

Il signor Giuseppe         - Arrivederci, figlietta. (La bacia),

Edvige                          - Arrivederci, paparino. (Il signor Giuseppe esce dopo un ultimo gesto di saluto. Va a battere alla porta dei Lescalli).

Il signor Giuseppe         - Signora Lescalli.

Germana                       - (aprendo) Ve ne andate?

Il signor Giuseppe         - S'è svegliata. E sta molto me­glio. Io vado un momento all'ufficio. Vorreste darle ogni tanto un'occhiata?

Germana                       - Ma certo.

Il signor Giuseppe         - Grazie. Attenzione, mi racco­mando.

Germana                       - Non ci pensate. (Il signor Giuseppe raggiunge la scala, scende. Germana va alla ringhiera, lo guarda sparire, batte alla porta di Edvige) Posso entrare? (Nello stesso tempo entra) Va meglio?

Edvige                          - Meglio. (Pausa) L'avete visto?

Germana                       - E' nella sua camera. Vi voleva anzi ve­dere. Gli ho fatto presente che c'era vostro padre. Allora avrebbe voluto scrivervi. Ma io gli ho detto che non vi avrei portata la lettera.

Edvige                          - Ora tutto è cambiato... Troppo lungo spie­gare. Lui, com'è?

Germana                       - Aria inebetita.

Edvige                          - (sorriso amaro) Inebetita. (Si ode un rumore di passi. E’ un passo pesante di facchino. Si sente battere alla porta della signora Maretti, al piana di sotto).

Il Facchino                    - (dal quinto piano) Sta qui il signor Roberti?

La signora Maretti        - (c. s.) Sopra, all'ultimo piano. La prima porta a destra. Ad ogni modo io salgo con voi. (Con passo veloce essa appare sull’ultimo gradino e gli indica la porta di Roberti) Sta lì. (Il facchino batte).

Roberti                          - Ah, siete voi? Entrate. (Il facchino entra) E? questo il baule. Io porterò le valige. (Il facchino re­cinge il baule di una cinghia di cuoio. Germana si pone in ginocchio accanto ad Edvige e le accarezza la testa maternamente. La signora Maretti, atteso qualche istante, batte alla porta di Roberti).

La signora Maretti        - (fredda) Si può entrare?

Roberti                          - Entrate pure, signora. (La signora Maretti entra, e guarda la camera senza dir parola) Vi devo due mesi di preavviso. Eccoli, signora. (Le dà tre fogli da cento lire).

La signora Maretti        - Va bene. (Intasca il denaro ed esce sul pianerottolo dove resta ad attendere la partenza di Roberti).

Il Facchino                    - (a Roberti) Potreste con una mano aiutarmi? (Roberti l'aiuta). Si va?

Roberti                          - Si va. (Il facchino esce sul pianerottolo e discende la scala adagio. Roberti è uscito seguendolo, avendo in mano le sue valige) Vi raggiungo a basso. (Il facchino sparisce. Roberti depone le valige contro la rin­ghiera e va a battere alla porta dei Lescalli. Massimo appare sulla soglia) Signor Lescalli, vengo a farvi i miei saluti di congedo. (Massimo senza rispondere guarda Ro­berti negli occhi e chiude la porta. E Roberti abbassa la testa. Poi la rialza e va a battere dal signor Maretti che appare sulla soglia) Io parto, e vengo a darvi il salmo di congedo. (// signor Muretti lo guarda severamente e senza dirgli una parola, gli chiude la porta in faccia. Roberti abbassa la testa. La signora Moretti lo fissa e non ri­sponde. Edvige si è alzata per metà sulla poltrona. Dopo l'arrivo del facchino essa ha seguito i rumori del piane­rottolo. Capisce che Roberti se ne va, e che questo vuol dire la fine. Vorrebbe alzarsi, correre alla porta, vederlo ancora mentre sta scendendo la scala, ma capisce come sia inutile tutto ciò. Si abbatte allora sul petto di Germana e singhiozza):

TERZO QUADRO

(Un mese dopo, di mattina verso le undici. Il sole entra dalla vetrata, la camera di Roberti è vuota, Ha l'aspetto triste della camere disabitate. Anche il corri­doio è vuoto. In casa di Edvige ci sono fiori, molti fiori. Il signor Giuseppe è in soprabito, Nino in nero).

Il signor Giuseppe         - (guardando l’orologio) Che ora fai? Io faccio le undici e cinque minuti.

Nino                              - (guardando il suo orologio) E io le undici e un minuto.

Il signor Giuseppe         - Quelle là non finiscono mai. (Va a battere alla porta di comunicazione e grida at­traverso la fessura) Sono quasi le undici e dieci.

Germana                       - (di dentro) Ormai ci siamo.

Edvige                          - (di dentro) Fra cinque minuti.

Il signor Giuseppe         - E ì tassì?

Nino                              - E' andato a fermarli il signor Massimo.

Il signor Giuseppe         - Nino, ho un'ultima cosa da dirti. Fra mezz'ora tu sarai il marito di Edvige, e sarai tu a capo della tua piccola famiglia. Io non me ne immischierò. Sta tranquillo. Tu non avrai in me la suocera. Ma fintanto che tu sei ancora il mio piccolo Nino, il piccolo Nino che ho conosciuto così bene, tengo a dirti questo: io mi sento sicuro che tu resterai per tutta la vita un vero galantuomo, come si è sempre stati nella mia famiglia. Può riuscire difficile qualche volta man­tenersi tali. Spesso ci vuole addirittura dell'eroismo, per fare il proprio dovere. sai tu che cos'è l'eroismo, Nino?

Nino                              - Sì, signor Giuseppe.

Il signor Giuseppe         - Chiamami: papà. E dammi del tu. Sono sicuro che tu sarai per Edvige un buon marito.

Nino                              - Contateci.

Il signor Giuseppe         - Rendila felice. Lo merita. E’ un tesoro che io ti affido. Però...

Nino                              - Però: che cosa?

Il signor Giuseppe         - Però io mi domando... (dopo un'esitazione, con tonalità semischerzosa) potrai darmi dei nipotini, Nino? Bada che ci tengo moltissimo.

Nino                              - Ma certamente.

Il signor Giuseppe         - Poche storie! Due bei lupac­chiotti, un maschiotto e una bimbetta. Intesi?

Nino                              - Si farà di tutto.

Il signor Giuseppe         - Vedrai, vedrai. Tutti insieme si sarà felici. Io avrò fra cinque anni la mia piccola pensione e allora, sai, andremo tutti quanti in campagna. Potere finalmente scrivere ciò che voglio! (Un passo precipitoso si fa sentire sulla scala e Massimo appare sugli ultimi gradini. E’ senza cappello).

Massimo                        - Già pronti i tassì. (Va a battere da Edvige) Già pronti i tassì.

 

Il signor Giuseppe         - (aprendo) Ah, finalmente! Grazie. (Chiude la porta e grida verso la porta dì fondo) Edvige! Signora Lescalli! Spicciatevi. I tassì sono già alla porta, pronti! (Germana esce e va sul pianerottolo. Berta sbuca dal fondo e va presso Germana).

Berta                             - (con tono supplichevole) Non glielo vuoi domandare?

Germana                       - Non vorrà, te l'ho détto.

Berta                             - (pregando) Sapessi quanto mi dispiace!

Germana                       - Non dovevi fare quello che hai fatto.

Berta                             - Il tuo collettino è tutto arricciato di dietro. (Glielo accomoda) Sono stata punita abbastanza, va là. Tutti mi voltano le spalle, mi fanno certe facce! (Mo­strando un pacchettino che nasconde sotto il braccio) Almeno consegna agli sposi il mio regalo. L’ho lavo­rato io.

Germana                       - (svolgendo il pacchetto) Un corredino! Sei matta? Se lo vedesse il signor Giuseppe! (Riflettendo) Aspetta. (Batte alla porta di Edvige) Nino!

Nino                              - (aprendo) Cosa c'è, signora Germana?

Germana                       - Potete uscire un momento?

Nino                              - (uscendo e vedendo Berta) Ah!

Germana                       - Bisogna perdonarla. E' così avvilita.

Berta                             - (piangendo) Non sapevo quello che facevo. Ve lo giuro.

Germana                       - (dando il corredino a Nino) E’ il suo re­galo di nozze. L'ha fatto con le sue mani.

Nino                              - (aprendo il pacchetto. Con un sorriso un po' amaro dopo che ha visto il corredino) Grazie lo stesso.

Berta                             - (piangendo) Ce l'avete ancora con me?

Nino                              - (tendendole la mano) Dimenticheremo.

Germana                       - (di fronte all’esitazione di Nino) Nino, siate buono. Lasciatecela venire!

Nino                              - Ma sì. Basta che non pianga più.

Berta                             - No, non piango più. (Essa e Germana si riti­rano nelle loro camere. Edvige esce dalla porta di fondo. Veste un piccolo « tailleur » chiaro).

Il signor Giuseppe         - (a Edvige) Sei incantevole, figlietta. (Grida a Nino) Edvige è pronta!

Nino                              - (nascondendo il corredino in tasca) Eccomi.

Il signor Giuseppe         - (a Edvige) Felice?

Edvige                          - (baciandolo) Sì, paparino. (Nino entra. Il signor Giuseppe l’attira a sé, lo prende per le spalle e fa altrettanto con Edvige).

Il signor Giuseppe         - (molto commosso) Miei cari figlioli, io... (E’ troppo commosso per parlare. Esce sul pianerottolo e chiama) Signora Maretti! (Scende la scala. Lo si sente bussare) Signora Maretti, noi andiamo. (Edvige e Nino si sono guardati fra loro, commossi e sorridenti).

Edvige                          - Dammi la tua mano, Nino, che ti senta vicino a me. Come sei stato buono...

Nino                              - Ma no, Edvige. Io ti voglio bene. Ecco tutto. E tu... mi vuoi bene?

Edvige                          - Sì.

Nino                              - Non rimpiangi nulla?

Edvige ---------------- - No! (Edvige è seduta sul bracciuolo della poltrona. Nino sopra l’altro. La tiene avvinta. Essa ha posato la testa nel cavo della sua spalla. Tacciono. Ger­mana esce dalla sua porta con tanto di cappello inve­rosimile).

 

 

Germana                       - E il signor Maretti? (Batte da lui) Pronto, signor Maretti? (Va alla ringhiera e chiama) Signora Maretti!

Il signor Giuseppe         - (comparendo sugli ultimi gradini e parlando alla signora Maretti che ancora non si vede) Bisogna essere in chiesa prima delle undici e mezza, sapete.

La signora Maretti        - (dal quinto piano) Vengo, vengo. Un minuto solo e arrivo. (Appare Giovanna dal fondo del pianerottolo. Ha un vestito appariscente, accompa­gnata dal suo nuovo amico, un bel giovanotto dall’aria sportiva).

Germana                       - (ammirata) Come siete elegante!

Il signor Maretti            - Squisita!

Giovanna                      - (presentando) Signore e signori, vi pre­sento il mio amico Bob. E’ un boxeurs.

Il signor Maretti            - (stringendogli la mano) Felicis­simo, signore- Mi piacciono molto i boxeurs.

Giovanna                      - Cosa si aspetta?

Il signor Giuseppe         - La signora Maretti.

Tutti                              - Eccola. (Si avvicinano alla scala. Sugli ultimi gradini appare un signore. Man mano che sale guarda con curiosità gli inquilini).

Il Signore                      - (sugli ultimi gradini) E? qui che c'è una camera da affittare?

Germana                       - (indicando quella di Roberti) Lì.

Il Signore                      - La si può vedere? La portinaia non ha voluto assolutamente seguirmi.

Germana                       - Arriva ora la proprietaria. (Chiamando dalla ringhiera) Signora Maretti, c'è uno che domanda per la camera.

La signora Maretti        - (dal quinto piano) Ecco, ecco. (Sale precipitosamente).

Il signor Maretti            - Oh, oh! Hai tirato fuori tutti i tuoi vecchi stracci?

La signora Maretti        - (urtata) Vecchi stracci? Sei tu lo straccio vecchio. (Al signore) Volete vedere la camera?

Il Signore                      - Se si può, volentieri.

La signora Maretti        - (aprendo la camera di Roberti) Entrate, signore. (Lo fa entrare e lo segue. La porta è rimasta aperta) Osservate: bellissima vista, sole per tutto il pomeriggio.

Il signor Giuseppe         - (guardando l'orologio) Non pos­siamo più aspettare. (Apre la sua porta) Ragazzi, non c'è più tempo da perdere. March! (Edvige esce sul pia­nerottolo appoggiata a Nino).

Tutti                              - Buon giorno, signorina Edvige. Buon giorno! Quanto è carina!

Edvige                          - (sorridendo fra le lacrime) Buon giorno, amici.

Il signor Giuseppe         - Non c’è un minuto da buttar via. (Alla signora Moretti, per la porta rimasta aperta) Signora Maretti, noi andiamo.

La signora Maretti        -Andate, andate. Io vi raggiungo a basso.

Germana                       -Vi aspetteremo davanti alla loggia, per evitare la portinaia.

Edvige                          - (con la voce che trema) C'è un inquilino nuovo?

Germana -------------- - Non ancora. E’ un tale che si la mostrar la camera. (Al signor Giuseppe) La portate voi?

 

Nino                              - No. Io, io la porto.

Edvige                          - (sorridente) Lascia fare a Nino, paparino. Ho fiducia. (Pone le braccia intorno al collo di Nino. Egli la sorregge con la mano destra. Con la sinistra si appog­gia alla ringhiera della scala e comincia a scendere).

Nino                              - (prima di sparire) Non hai paura?

Edvige                          - Con te, no. (Sparisco io).

Giovanna                      - (a Bob, scendendo la scala) Mi piacereb­be tanto d'essere amata in questo modo: legittimamente.

Bob                               - Tu sei matta. Fila! (La picchia scherzosa­mente. Il signor Giuseppe e il signor Maretti si scambiano cortesie per passare l’uno prima dell'altro).

Il signor Giuseppe         - Dopo di voi.

Il signor Maretti            - Io non passo.

Il signor Giuseppe         - Vi prego. Io sono il padre della sposa.

Il signor Maretti            - E io il marito della proprietaria.

Il signor Giuseppe         - (ridendo) Allora, non insisto più. (Scende la scala gridando) Come va laggiù?

Tutti                              - (dal quinto piano) Bene! Benissimo! (Massimo scende a sua volta. Berta ritorna dal fondo del pia­nerottolo e discende dietro a lui. Spariscono).

Massimo                        - (scendendo) Eccomi.

Il Signore                      - (uscendo dalla camera) Mi piacerebbe, ma è un po’ caruccia...

La signora Maretti        - (chiudendo la porta a chiave) E’ il mio ultimo prezzo.

Germana                       - (dal basso) Signora Maretti, venite?

La signora Maretti        - (gridando) Vengo, vengo.

Il Signore                      - Cosa c'è? Un matrimonio?

1a signora Maretti         - Sì, un matrimonio.

Il Signore                      - Allegria di nozze. Allora, non volete fare venticinque lire di meno? Non volete proprio?

La signora Maretti        - Impossibile. Col prezzo che vi ho detto l'affitterò cento volte. scusate se vi passo da­vanti. Ma sono del corteo nuziale. (Scende la scala)

Il Signore                      - (seguendola) Be', insomma la prendo lo stesso... Però ditemi, signora: è tranquillo questo sesto piano? Gli inquilini come sono?

La signora Maretti        - (della quale non si vede che il busto) Agnelli, signore. Qui, non succede mai niente. (Continua a scendere).

                                     

                                                                 FINE