Sganarello

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SGANARELLO

SGANARELLO

ovvero

IL CORNUTO IMMAGINARIO

COMMEDIA

Rappresentata per la prima volta

 a Parigi

sul teatro del Petit-Bourbon

il 28 maggio 1660

dalla

Compagnia di Monsieur, fratello del re.

La traduzione è stata condotta sul testo stabilito da Robert Jouanny per l’edizione dei Classiques Garnier Frères, Paris, 1962.

In aggiunta alle didascalie che figurano nell’edizione adottata, compaiono, allo scopo di agevolare la lettura, alcune indicazioni sceniche tratte da altre edizioni, quale quella del 1734, detta “èdition des comèdiens”.

PERSONAGGI

GORGIBUS, borghese parigino

CELINA, sua figlia

LELIO, innamorato di Celina

GROS-RENE’, servo di Lelio

SGANARELLO, borghese parigino e cornuto immaginario

SUA MOGLIE

VILLEBREQUIN, padre di Valerio

LA CAMERIERA di Celina

UN PARENTE (della moglie) di Sganarello

La scena è a Parigi.

SCENA I

GORGIBUS, CELINA, LA CAMERIERA di Celina

CELINA – (entrando in lacrime, seguita da suo padre)         Ah, non sperate che il mio cuore vi acconsenta!

GORGIBUS – Che cosa state brontolando, piccola impertinente? Pretendereste sottrarvi alle mie decisioni? Non avrei dunque su di voi un potere assoluto? E il vostro cervellino, con le sue stupide scuse, vorrebbe dettar legge alla ragione paterna? Chi di noi due ha diritto di comandare all’altro? A vostro avviso, chi può giudicare meglio, voi o io, sciocchina, di quel che è il vostro bene? Perdiana! State attenta a non riscaldarmi troppo la bile; potrebbe anche capitarvi di trovare, in quattro e quattr’otto, se le mie mani hanno ancora un po’ di forza. Quel che vi conviene, signorina ribelle, è accettare senza tante storie lo sposo che vi ho destinato. Non so neanche quale sia il suo carattere, dite voi; e io dovrei prima sentire se vi piace. Ma sapendo delle grandi ricchezze che gli toccheranno un giorno, che cos’altro, secondo voi, dovrei andar cercando? Un marito del genere, con ventimila bei ducati, non è abbastanza affascinante per voi? Va, va, bello o brutto che sia, con i soldi che vi garantisco io va benissimo.

CELINA -   Ahimé!

GORGIBUS – Beh? Come sarebbe a dire, “Ahimé”? Bello,  questo ahimé che ci elargite! Eh, che se solo do retta un momento alla rabbia che ho addosso, ve lo faccio cantare io ahimé! Come si deve! Ecco: ecco i risultati di quella smania che avete tutte, giorno e notte,  di leggere quei vostri romanzi! Vi si riempie la testa di fanfaluche d’amore, e invece di parlar di Dio  parlate di Clelia. Nel fuoco voglio vederli, tutti quei libri che di giorno in giorno guastano tante giovani! E invece di tutte quelle stupidaggini, leggete come si deve: le Quartine di Prybac e le dotte Tavolette del consigliere Matthieu, opera di grande valore, pena di belle frasi e di proverbi da imparare a memoria. E altro buon libro è La guida dei peccatori, che in poco tempo vi insegna a vivere come si deve; e se voi non aveste letto altro che queste opere edificanti, oggi mi ubbidireste un po’ di più.

CELINA -   Come? E voi pretendereste, padre mio, che io scordi la costante amicizia che a Lelio mi lega? Avrei certamente torto se senza  di voi disponessi di me; ma voi stesso ai suoi voti avete impegnato la mia fede.

GORGIBUS – Gliel’avessi impegnata anche mille volte, adesso è arrivato un altro con tanti bei soldi da disimpegnarla subito. Lelio è senz’altro bello; ma sappi che nessun’altra considerazione può venir prima di quella del denaro, che l’oro dà anche ai più brutti un notevole fascino, e che senza i soldi tutto il resto è una ben triste cosa. Valerio non ti piace, lo so; ma se non ti piace da fidanzato ti piacerà da marito. Il nome di marito lega più di quanto non si creda, e l’amore è spesso frutto del matrimonio. Ma guarda che stupido, star qui a discutere quando ho pieno diritto di comandare! Quindi basta, per piacere, con i vostri spropositi; non voglio sentir più queste stupide lamentele. Valerio verrà a farvi visita stasera: provate, provate un po’ a non riceverlo bene! Se non vi vedo fargli buona cera, io vi… Basta, non voglio dir altro. (Esce.)

SCENA II

CELINA, LA CAMERIERA

LA CAMERIERA – Ma come, signorina? Rifiutare in questo modo quel che tante altre desidererebbero con tutto il cuore? A una proposta di matrimonio rispondere con le lacrime, e tardare tanto a dire un sì pieno di grazia? Ahimé, perché nessuno chiede a me di sposarlo? Non sarei certo io a farmi pregare; e non solo un sì non mi costerebbe fatica, ma vi assicuro che ne direi subito una dozzina. Il precettore che dà lezioni al vostro fratellino ha proprio ragione quando, parlando delle cose terrene, dice che la donna è come l’edera, che cresce rigogliosa finché si tiene ben aggrappata all’albero, e langue invece se ne viene separata. Non c’è niente di più vero, mia padrona carissima, e io ne ho la prova in me stessa, povera peccatrice. Che il buon Dio l’abbia in gloria, il mio povero Martino! Ma quando era vivo lui avevo i colori di un cherubino, una salute che era una meraviglia, l’occhio vivo e il cuor contento; adesso invece sembro la mia comare triste. Durante quel tempo felice, passato come un lampo, andavo a letto senza la brace in pieno inverno;  persino stendere le lenzuola davanti al camino mi sembrava ridicolo; adesso invece tremo di freddo anche nei giorni del solleone. Insomma, signorina, credete a me, la cosa più bella del mondo è avere di notte un marito vicino, non foss’altro perché qualcuno vi dica un “Dio vi salvi” quando starnutite.

CELINA -   E vorresti consigliarmi un tal delitto: lasciare Lelio per prendere quel mostro?

LA CAMERIERA – Ma anche il vostro Lelio, io dico che è una bella bestia, a starsene in viaggio in un momento tanto poco opportuno. E poi, questa lunga lontananza mi fa sospettare che possa aver cambiato idea.

CELINA -   (mostrandole un ritratto di Lelio) Ah, non affligermi con tristi presagi! Osserva bene i lineamenti di questo volto: essi giurano eterno amore al mio cuore. Io voglio pur credere che essi non siano menzogneri, e siccome egli e in tutto simile al ritratto sono certa che ricambia ancora il mio amore con la costanza della sua affettuosa amicizia.

LA CAMERIERA – E’ pur vero che queste sono le sembianze di un innamorato fedele, e anche voi fate bene ad amarlo teneramente.

CELINA -   E tuttavia bisogna… Ah sorreggimi! (lascia cadere il ritratto di Lelio)

LA CAMERIERA – Signorina, di dove mai…? Ah, buon Dio, è svenuta! Olà, presto, qualcuno!

SCENA III

CELINA, LA CAMERIERA, SGANARELLO

SGANARELLO – Che cosa succede? Eccomi qua.

LA CAMERIERA – La mia padrona sta morendo.

SGANARELLO – Come? Tutto qui? Credevo fosse una cosa grave, a sentir gridare a quel modo. Beh, vediamo un po’ da vicino. Signorina, siete morta? Ahi, non mi dice niente.

LA CAMERIERA – Vado a chiamare qualcuno per portarla via. Sorreggetela voi, per piacere. (Esce.)

SCENA IV

CELINA, SGANARELLO, LA MOGLIE DI SGANARELLO

SGANARELLO – (Passandole la mano sul seno) E’ fredda dappertutto, non so proprio cosa dire. Avviciniamoci un po’ a sentire se la bocca respira. Beh, io non so, ma a me qualche segno di vita mi pare di trovarlo ancora.

LA MOGLIE – (guardando dalla finestra) Ah, cosa vedo? Mio marito che abbraccia…! Adesso scendo io; è chiaro che mi tradisce e voglio proprio sorprenderlo.

SGANARELLO – Bisogna sbrigarsi a soccorrerla. Certo si è che farebbe male a lasciarsi morire; è una grandissima stupidaggine, andarsene all’altro mondo finché si è ancora in piena regola per questo. (La porta via assieme ad un uomo che la cameriera ha condotto.)

SCENA V

LA MOGLIE DI SGANARELLO (sola)

LA MOGLIE - Se ne è già andato, e la mia curiosità rimasta delusa; ma del suo tradimento non ho più alcun dubbio, e dal poco che ho visto è tutto chiaro. Adesso capisco la strana freddezza con cui risponde al mio pudico ardore; riserva le sue carezze ad altre donne, l’ingrato!, e sfama i loro piaceri tenendo a digiuno il mio. Ecco, come si comportano tutti i mariti; quel che gli è permesso gli riesce sgradito. All’inizio son tutte rose e fiori, e ci fan vedere una passione travolgente; ma ben presto i traditori si stancano di noi e  vanno a fare altrove quello che dovrebbero fare a casa loro. Ah, che rabbia che la legge non ci lasci cambiar marito come si cambia la camicia! Sarebbe proprio comodo; e io ne conosco più d’una che sarebbe d’accordo con me. (raccogliendo il ritratto che Celina aveva lasciato cadere) Ma che cos’è questo gioiello che il caso mi fa trovare? Lo smalto è molto bello, l’incisione graziosa. Proviamo ad Aprirlo.

SCENA VI

SGANARELLO E SUA MOGLIE

SGANARELLO – Sembrava morta ma non era niente. Tutto fatto: sta benissimo. Ma ecco mia moglie.

LA MOGLIE – Oh cielo, è una miniatura! E ecco il bel ritratto di un bell’uomo.

SGANARELLO – (a parte, guardando di sopra le spalle della moglie) Che cosa sta guardando con tanta attenzione? Questo ritratto, parola mia d’onore, non mi dice niente di buono. Mi sento sconvolgere la testa da un atroce sospetto.

LA MOGLIE – (senza vederlo continua) Non mi è mai capitato di vedere niente di più bello; ancora più che il valore, quel che è ammirevole è la lavorazione. Uhm, e senti che profumo!

SGANARELLO – (a parte) Come? Accidenti lo bacia! Ah, sono sistemato.

LA MOGLIE – (come sopra) Diciamolo pure, che c’è da perdere la testa davvero a vedersi corteggiata da un uomo come questo, e che se solo si mettesse un po’ a contarmela, anch’io sarei ben disposta a lasciarmi tentare. Ah, perché non ho un marito con una faccia come questa, invece di quell’orso spelacchiato…

SGANARELLO – (strappandole il ritratto di mano) Ah, sciagurata! Eccovi colta in fallo contro di noi, mentre infangate l’onore del vostro amato sposo. Dunque, stando ai vostri calcoli, mia troppo degna sposa, il marito, tutto considerato, non vale la moglie! In nome del diavolo che vi porti, credete di potervi augurare un partito più scelto? Si può trovare in me qualcosa da ridire? Questa figura, questo portamento, che tutti ammirano, questo volto così atto ad ispirare sentimenti d’amore, per cui mille beltà non fanno sospirare giorno e notte; insomma, secondo voi, la mia affascinate persona non è un boccone abbastanza buono per voi! E per saziare la vostra ingordigia, dovevate proprio aggiungere al marito il ragù di un amante!

LA MOGLIE – Non credete che non abbia capito subito a che cosa miri con questo scherzo. Tu pensi che così facendo…

SGANARELLO – Raccontala a un altro, per piacere! La cosa è ormai assodata: ecco qui il certificato del malanno di cui mi lamento.

LA MOGLIE – Son già anche troppo in collera, senza che tu debba farmi anche questo affronto. Sta a sentire: non crederti di tenerti quel gioiello, e pensa piuttosto…

SGANARELLO – Penso piuttosto a romperti l’osso del collo. Ah, se invece della copia avessi qui l’originale!

SUA MOGLIE – Perché?

SGANARELLO – Per niente, tesoro, dolce oggetto dei miei voti; ho, proprio torto a gridare così; la mia fronte deve anzi ringraziarti per quel che le hai regalato. (Guardando il ritratto di Lelio) Eccolo qui, il giovincello, il cocco di mamma, il maledetto tizzone della tua segreta fiamma, il bellimbusto col quale.

LA MOGLIE – Col quale… ? Continua.

SGANARELLO – Col quale sì, ti ho detto!… e io muoio dal dolore.

LA MOGLIE – Che storie mi racconta questo ubriacone?

SGANARELLO – Lo sapete fin troppo bene, signora carogna. Sganarello è un nome con cui nessuno mi chiamerà più; signor Cornelio, mi chiameranno. Il mio onore è a posto; ma a te, che me l’hai sistemato, ti sistemerò io perlomeno un braccio o un paio di costole.

LA MOGLIE – E tu osi farmi discorsi del genere?

SGANARELLO – E tu osi farmi scherzi di questo tipo?

LA MOGLIE – Ma quali scherzi? Di’ chiaro e tondo quel che hai da dire!

SGANARELLO – Ah, non val neanche la pena di prendersela! Adornarmi la fronte di un trofeo di cervo; buon Dio, un bel fenomeno da baraccone!

LA MOGLIE – E così, dopo avermi fatto la più dolorosa offesa che possa eccitare la vendetta di una donna, vorresti far finta di essere in collera per prevenire il mio risentimento! Davvero di un’insolenza mai vista, questo modo di fare: chi fa il torto protesta!

SGANARELLO – Ah, che bella sfrontata! A vederle quest’aria fiera, non la si direbbe una donna per bene?

LA MOGLIE – Va, continua pure così; riempi di coccole le tue amanti, sospira per loro, colmale di carezze, ma restituiscimi quel ritratto e smettila di prendermi in giro. (Gli strappa di mano il ritratto e fugge)

SGANARELLO – (correndole dietro) Sì, si, scappa pure: te lo prenderò io, ti piaccia o non ti piaccia.

SCENA VII

LELIO, GROS-RENE’

GROS-RENE’ – Finalmente eccoci qui. Ma se posso osare, signore, vorrei pregarvi di dirmi una cosa.

LELIO -      Ebbene parla!

GROS-RENE’ – Avete il diavolo in corpo, per non lasciarci la pelle, con tutte queste fatiche? Son otto giorni, con queste vostre tappe forzate, che diamo di sprone a dei mostri di ronzini, con un passo talmente maledetto che a furia di sballottamenti mi sento tutte le ossa peste; salvo restando un guaio ancor più grosso che mi tormenta un posticino che non vi dico; con tutto questo, appena arrivato ve ne uscite di casa bel bello senza riposarvi un attimo né mangiare un boccone.

LELIO -      Tutta questa fretta è sacrosanta; il mio cuore è in grande allarme per le nozze di Celina; tu sai che l’adoro, e voglio sapere cosa c’è di vero in queste funeste dicerie.

GROS-RENE’ – Va bene; ma fareste meglio a farvi una bella mangiata, signore, prima di andare a chiarire questa storia; il vostro cuore acquisterebbe senz’altro la forza necessaria per meglio resistere ai colpi del destino. Parlo per esperienza personale: quando sono a digiuno, il minimo contrattempo vale a scuotermi, ad abbattermi; ma se ho mangiato il mio spirito è saldo e incrollabile e neppure i più grandi rovesci riuscirebbero mai ad averne ragione. Date retta a me: rimpinzatevi senza riserve di sorta contro i colpi che potrà portarvi il destino; e per sbarrare ogni via d’accesso al dolore mettete a guardia del vostro cuore venti bicchieri di vino.

LELIO -      A mangiar non riuscirei neppure.

GROS-RENE’ – (a parte) E io invece possa morire se non mangio. (Ad alta voce) Comunque il vostro pranzo è subito pronto.

LELIO -      Taci, te lo ordino!

GROS-RENE’ – Ah, che ordine disumano!

LELIO -      Sono troppo preoccupato e non ho fame.

GROS-RENE’ – E io invece ho fame, e se sono preoccupato è perché vedo che non pensate ad altro che a questo stupido amore.

LELIO -      Ti ho detto che voglio aver notizie dell’unico oggetto dei miei voti! Smettila di importunarmi, e se vuoi mangiare mangia.

GROS-RENE’ – Io non discuto mai gli ordini del padrone. (Esce)

SCENA VIII

LELIO (solo)

LELIO -      No, no, a pene eccessive il cuor mio si abbandona; il padre mi si è impegnato, e la figlia mi ha dato prove di amore che ben alimentano la mia fiducia.

SCENA IX

SGANARELLO, LELIO

SGANARELLO – (tra sé) Preso! Posso studiare a mio agio il grugno di quel maledetto assassino che è causa della mia vergogna. Non lo conosco.

LELIO -      (a parte) Cielo, che vedo? Se quello è il mio ritratto, che cosa devo pensare?

SGANARELLO – (come sopra) Ah, povero Sganarello, a quale triste sorte è condannata la tua reputazione! (Notando Lelio che lo guarda si volta dall’altra parte) Bisogna…

LELIO -      (come sopra) Se questo pegno d’amore è uscito dalle mani cui l’avevo affidato, la mia fiducia non può non esserne scossa.

SGANARELLO – (come sopra) Bisogna che ormai ti rassegni a vederti fatto segno con due dita, a sentirti far sopra delle canzoncine, e ogni volta che incontri qualcuno, a vederti gettare in faccia lo scandaloso affronto che una moglie malnata ti ha impresso sulla fronte.

LELIO -      (come sopra) Oppur m’inganno?

SGANARELLO – (come sopra) Ah, pelandra! E tu hai avuto il coraggio di cornificarmi nel fiore degli anni? Moglie di un marito che ha buon diritto può passar per bello, bisognava proprio che uno scorfano, un maledetto storno…

LELIO -      (come sopra, continuando a guardare il ritratto) No, non mi inganno: è proprio il mio ritratto.

SGANARELLO – (voltandogli le spalle) Ma guarda che curioso!

LELIO -      (a parte) Sono esterefatto.

SGANARELLO – (come sopra) Ma con chi ce l’ha?

LELIO -      (come sopra) Vediamo di attaccar discorso. (Ad alta voce) Posso…? Ehi, di grazia: una parola!

SGANARELLO – (sfuggendogli, come sopra) E adesso cosa vuole?

LELIO -      Posso chiedervi per qual caso quel ritratto si trova in mano vostra?

SGANARELLO – (come sopra, e scrutando ora Lelio ora il ritratto che ha in mano) Di dove gli viene questa curiosità? Ma mi pare che qui… Ah, adesso capisco perché gli interessa! La sua sorpresa non mi stupisce più: questo è il mio uomo, o meglio: è quello di mia moglie.

LELIO -      Toglietemi questo peso dal cuore, e ditemi di dove l’avete avuto…

SGANARELLO – Abbiamo capito, con l’aiuto di Dio, che cos’è che vi tormenta. Questo ritratto che tanto vi preoccupa, siete voi fatto e finito; si trovava nelle mani di una vostra conoscenza; e i dolci ardori di vossignoria e della vostra dama sono cose a noi ben note. Non so peraltro  se alla cortesia di questa dama devo l’onore di essere noto a vossignoria; ma conto comunque che voi mi facciate la grazia di troncare immediatamente questo amore tanto sgradevole agli occhi di un marito; e vorrei ricordarvi che il sacro nodo del matrimonio…

LELIO -      Come? Voi dite che colei da cui avete avuto il pegno…?

SGANARELLO – E’ mia moglie e io son suo marito.

LELIO -      Suo marito?

SGANARELLO – Si, suo marito, vi ho detto: maritato e molto irritato. E voi sapete perché, e io vado subito a dirglielo ai parenti. (Esce)

SCENA X

LELIO (solo)

LELIO -      Ah, che cosa ho sentito! Me l’avevano detto, che le era stato destinato per marito l’uomo più brutto del mondo. Ah, quand’anche mille giuramenti delle sue labbra infedeli non mi avessero promesso eterno amore, la sola ripugnanza per una scelta così vile e vergognosa avrebbero ben dovuto prender le parti della mia passione, o ingrata, e per quanto ricco… Ma questa dolorosa offesa, unita alle fatiche del lungo viaggio, mi infligge un colpo così violento ed improvviso che il cuore vien meno ed il corpo vacilla.

SCENA XI

LELIO, LA MOGLIE DI SGANARELLO

LA MOGLIE – (voltandosi verso Lelio) Con quel vigliacco di mio marito, non sono riuscita a… Oh dio, che cosa vi sentite? Vi vedo sul punto, signore, di venir meno.

LELIO -      Un malessere che tutto a un tratto m’ha preso.

LA MOGLIE – Ho paura che stia svenendo; entrate in questa casa, ad aspettare che vi passi.

LELIO -      Per uno o due minuti, accetto la cortesia che mi fate. (Escono Lelio e la moglie di Sganarello.)

SCENA XII

SGANARELLO E UN PARENTE DI SUA MOGLIE

IL PARENTE – Capisco che per un marito la cosa può essere preoccupante; ma mi pere che vi siete fatto saltar la mosca al naso un po’ troppo in fretta; tutto quel che mi avete raccontato contro di lei non dimostra ancora, compare, che sia colpevole. E’ una  questione delicata: non si accusa mai una persona di una mancanza così grave senza averne delle prove sicure.

SGANARELLO – Sarebbe a dire che bisogna toccare la cosa col dito.

IL PARENTE – La troppa precipitazione ci espone sempre all’errore. Chi può sapere come mai quel ritratto è capitato nelle sue mani, e se è proprio vero che conosce quell’uomo? Prima informatevene; e se veramente è come pensate noi saremo i primi a punirla per quel che ha fatto. (Esce.)

SCENA XIII

SGANARELLO (solo)

SGANARELLO – Non si può dir meglio. In effetti, è giusto andarci piano. Può anche darsi che queste idee di corna me le sia messe in testa senza ragione al mondo, e che mi sia fatto venire i sudori freddi per troppo poco. In fondo, questo ritratto che mi ha tanto allarmato non prova ancora che io sia disonorato. Vediamo dunque di fare in modo…

SCENA XIV

SGANARELLO, SUA MOGLIE, LELIO (che sulla porta della casa di Sganarello sta parlando con la donna)

SGANARELLO – (continuando) Ah, che vedo? Sono morto! Qui non è più il caso di preoccuparsi del ritratto: ecco lì tutta la storia al vivo in carne e ossa.

LA MOGLIE – (a Lelio) Avete troppa fretta, signore; ve ne andate troppo presto e potreste sentirvi male di nuovo.

LELIO -      No, no, vi ringrazio infinitamente del cortese aiuto che mi avete dato.

SGANARELLO – Guarda quante smorfie gli fa quella sfrontata! (La moglie di Sganarello è rientrata in casa)

SCENA XV

SGANARELLO, LELIO

SGANARELLO – (a parte) Ecco che mi ha visto. Sentiamo un po’ che cos’ha il coraggio di dirmi.

LELIO -      (tra sé) Ah, il mio cuore è sconvolto, e al veder costui… Ma faccio male a lasciarmi trascinare dalla collera, e a null’altro devo imputar la mia disgrazia che alla crudeltà del destino. Limitandoci dunque a invidiare la sua fortunata passione. (Passando accanto a Sganarello e fissandolo) Oh, sposo felice di sì bella donna! (Esce)

SCENA XVI

SGANARELLO, CELINA (che vede Lelio andarsene)

SGANARELLO – (senza vedere Celina) Questo vuol dire parlar chiaro. Una frase così strana mi lascia tanto perplesso come se in testa mi fossero spuntate le corna. (Si volta verso il lato da cui Lelio è appena uscito) Ehi, voi: no è questo il modo di fare!

CELINA -   (tra sé) Come? Lelio improvvisamente apparso ai miei occhi? E perché mai mi si tien nascosto il suo ritorno?

SGANARELLO – (come sopra) “Oh, sposo felice di sì bella donna!” Disgraziato marito, vorrai dire, con una moglie infame, che spinta da una colpevole passione, oramai anche troppo provata, mi ha cornificato senza riguardi di sorta! (Celina a poco a poco gli si avvicina e aspetta la fine della sua tirata per rivolgergli la parola) E io dopo un indizio del genere lo lascio andare, e me ne sto qui con le mani in mano come un idiota? Ah, almeno buttargli a terra il cappello, dovevo; tirargli una sassata, infangargli il mantello, e per sfogare la mia rabbia fargli dare del ladro dell’onore altrui, da tutto il quartiere.

CELINA – Quell’uomo che or ora era qui con voi e che con voi discorreva, come lo conoscete?

SGANARELLO – Ahimé, non sono io che lo conosco, signorina; è mia moglie.

CELINA -   Ma che cos’è che tanto vi turba?

SGANARELLO – Non crediate che non ne abbia ben donde, e lasciatemi sospirare in libertà.

CELINA -   Qual è la causa di un dolore tanto fuor dal comune?

SGANARELLO – Se mi dispero non è certo per delle quisquiglie; e vorrei vedere che sarebbe capace di star nei miei panni pacifico e tranquillo. In me vedete il simbolo dei mariti sfortunati; al povero Sganarello han rapito l’onore; ma l’onore sarebbe niente: mi hanno distrutto anche la reputazione.

CELINA -   In che modo?

SGANARELLO – Quel bel giovanotto, signorina, con rispetto parlando, mi ha fatto cornuto, col vostro permesso. Proprio oggi ho constatato con i miei occhi il traffico che c’è tra lui e mia moglie.

CELINA -   Quello che poco fa…

SGANARELLO – Si, si, è lui la causa del mio disonore. E’ pazzo di mia moglie e mia moglie è pazza di lui.

CELINA -   Ah, ben a ragione ho pensato che questo segreto ritorno non poteva nascondere che qualche vile manovra; e non appena l’ho visto ho tremato come per un presentimento di ciò che infatti è vero.

SGANARELLO – Siete troppo buona ad assumervi la mie difese. Non tutti hanno questo spirito di carità; e varie persone che hanno saputo poco fa del mio martirio, ben lungi dal prendervi parte, si son messe a ridere.

CELINA – Che vi può essere di più turpe di questa vile azione, e quale castigo può bastare a punirla? E non dovresti giudicarti indegno della vita, dopo esserti macchiato di tale nefandezza? Oh, cielo, ma è possibile?

SGANARELLO – Per me fin troppo vero.

CELINA -   Ah, traditore, scellerato! Anima falsa e senza fede!

SGANARELLO – Che brava persona!

CELINA -   No, no, l’inferno non ha tormenti bastevoli per punirti del tuo crimine!

SGANARELLO – Questo è parlar bene!

CELINA – Trattare così l’innocenza stessa, la bontà in persona!

SGANARELLO – (sospira profondamente) Ah!

CELINA – Un cuore che non ha mai commesso il minimo peccato, ecco che ora subisce l’affronto cui il tuo disprezzo lo espone!

SGANARELLO – E’ vero!

CELINA -   Che ben lungi da me… Ma è troppo: non posso pensarci senza morire di dolore.

SGANARELLO – Non datevi tanto disturbo, signorina carissima. Vi prendete troppo a cuore la mia disgrazia, e io sono commosso.

CELINA -   Ma non illuderti al punto di credere che mi accontenti di sterili lamenti; so io ciò che devo fare per vendicarmi. Vado subito a provvedere e nulla potrà impedirmelo. (Esce)

SCENA XVII

SGANARELLO (solo)

SGANARELLO – Che il Cielo la preservi per sempre da ogni male! Ma pensate che bontà: volermi vendicare lei! In effetti, tutta questa collera suscitata in lei dalla mia disgrazia, è un altro monito a fare il mio dovere: non bisogna mai sopportare affronti simili in silenzio, a meno che uno non sia un idiota fatto e finito. Dunque corriamo a cercare quel delinquente che mi ha insultato; tiriamo fuori tutto il coraggio che abbiamo per far vendetta della nostra vergogna. Imparerete, furfante, a divertirvi alle mie spalle e a far cornuta la gente senza nessun riguardo! (Fa tre o quattro passi poi si volta) Un momento, per piacere! Quell’uomo mi ha l’aria di essere di sangue caldo e di temperamento vivace; potrebbe anche aggiungere il danno alle beffe, e caricarmi le spalle di legname così come mi ha fatto per la fronte. La gente collerica io non la posso soffrire, mentre mi piacciono molto gli uomini pacifici; io sono un tipo che pur di no pigliar le botte fa a meno di darle, e la mia più grande virtù è quella di avere un carattere conciliante. Però, il mio onore mi dice che di un tale affronto non posso assolutamente non vendicarmi. Oh, insomma: dica pure quel che vuole e al diavolo chi gli dà retta! Quand’anche avrò fatto l’eroe, e magari per mia disgrazia mi sarò fatto bucare la trippa da un colpaccio di spada, e per tutta la città correrà la notizia della mia morte, dimmi tu, onore mio, che cosa ci avrai guadagnato in salute? La cassa da morto è un soggiorno veramente malinconico, e poco indicato per uno che soffre di colite; e quanto a me, io trovo, tutto ben considerato, che è sempre meglio essere cornuto che morto. Che male ti può fare? Ti si piegano le ginocchia, dopo tutto, o ti si guasta la linea? Al diavolo chi ha fatto la bella scoperta di torturarsi l’anima con questa stupidaggini, e di vincolare l’onore di un uomo, foss’anche dell’uomo più saggio del mondo, a quel che può fare una donna leggera! Se giustamente consideriamo che la colpevolezza è un fatto personale, che cosa fa in un caso come il nostro onore di uomini per essere colpevole? Eppure è su noi che cade il biasimo; a noi si dà la colpa di azioni altrui. Se le nostre mogli, per conto loro, hanno una relazione illecita, tutto il male cade sulle nostre spalle! Loro fan stupidaggini, e noi siamo gli stupidi! E’ una mostruosa ingiustizia, un abuso contro il quale la polizia dovrebbe provvedere! Come non ne avessimo già abbastanza dei guai che ci saltano addosso nostro malgrado! Come se le liti, i processi, la fame, la sete, le malattie non turbassero già abbastanza la serenità della vita, senza che stupidamente ci si debba creare un altro fastidio totalmente privo d’ogni ragion d’essere! Infischiamocene: mandiamo al diavolo paure e sospetti e mettiamoci sotto i tacchi lacrime e sospiri. Se mia moglie ha sbagliato, pianga e si disperi lei; perché dovrei piangere io, che non ho fatto niente di male? Comunque, un’altra cosa che può aiutarmi a farmi passare il nervoso è il fatto che non sono certo il solo nella confraternita; al giorno d’oggi, vedersi corteggiare la moglie e non darsene per intesi, è molto di moda nella buona società. Vediamo dunque di non star lì ad attaccare lite per un affronto che è una stupidaggine qualsiasi. Diranno che sono un idiota a non vendicarmi; ma mi sentirei più idiota ancora se corressi a farmi ammazzare. (mettendosi la mano sullo stomaco) Eppure sento qui dentro agitarsi un furore che mi esorta a un qualche gesto virile! Si, la collera, mi afferra; bando a ogni viltà: sono decisissimo a vendicarmi di quel furfante. E tanto per cominciare, acceso di sacro fuoco, andrò in giro a dire a tutti che va a letto con mia moglie. (Esce)

SCENA XVIII

GORGIBUS, CELINA, LA CAMERIERA.

CELINA -   Sì, di buon grado in pieno a una sì giusta legge, padre mio; disponete pure dei miei voti e di me; fate che quanto volete si firmi il contratto di nozze; sono risoluta a fare il mio dovere: intendo dominare i miei sentimenti e sottomettermi in tutto e per tutto ai vostri comandi.

GORGIBUS – Ah, ecco: così mi piace sentirvi parlare! Perbacco! E’ tanto grande la gioia che provo che mi metterei a far le capriole, se non fosse per la gente che si metterebbe a ridere. Avvicinati; vieni qui che ti abbraccio! Un tal gesto non è fuori luogo: un padre, se lo desidera, può baciare sua figlia senza che vi sia di che scandalizzarsi. Ecco, la soddisfazione di vederti così buona e brava mi fa ringiovanire di dieci anni. (Esce)

SCENA XIX

CELINA, LA CAMERIERA

LA CAMERIERA – Questo cambiamento mi meraviglia.

CELINA –  Aspetta di conoscere la causa e mi darai ragione.

LA CAMERIERA – Può anche darsi.

CELINA -   Sappi dunque che Lelio ha commesso una perfidia che mi ha trapassato il cuore; era tornato qui senza nemmeno…

LA CAMERIERA – Eccolo!

SCENA XX

CELINA, LELIO, LA CAMERIERA

LELIO -      Prima di allontanarmi per sempre da voi vorrei se non altro rimproverarvi…

CELINA -   Come? E osate ancora parlarmi? Avete dunque questa audacia?

LELIO -      Troppa audacia, è vero! Ché tale è la vostra scelta che sarebbe assurdo da parte mia rimproverarvi alcunché. Vivete dunque, vivete felice; e irridete al mio ricordo, voi e il vostro degno sposo di cui siete tanto e giustamente fiera.

CELINA -   Sì, traditore, sarà così! E il mio più grande desiderio sarebbe il veder che ne soffrite!

LELIO -      Che cosa autorizza in voi un tal carruccio contro di me?

CELINA – Come? Vi fingete sorpreso e mi domandate qual è il vostro delitto?

SCENA XXI

CELINA, LELIO, SGANARELLO, LA CAMERIERA

SGANARELLO – (entrando armato) Guerra, guerra e morte a quel ladro d’onore che non ha avuto pietà nell’infangare il mio!

CELINA -   (a Lelio) Guardate, guardate: ecco la mia risposta.

LELIO -      Ah, vedo…

CELINA -   Basta questo a confondervi.

LELIO -      Ancor più, dunque, dovreste arrossirne.

SGANARELLO – Ecco la mia collera è matura ormai per l’azione; il mio coraggio sta squassando la criniera, e se incontro quell’uomo assisteremo a una carneficina. Sì, ho giurato la sua morte: nulla potrà impedirla: come lo trovo lo spaccio. Bisogna che lo becchi nel bel mezzo del cuore…

LELIO -      Con chi ce l’avete?

SGANARELLO – Non ce l’ho con nessuno.

LELIO -      Perché quelle armi?

SGANARELLO – Mi sono vestito così perché ho paura che piova. (A parte) Ah, che gusto che avrei ad ammazzarlo! Bisogna averne il coraggio, dai!

LELIO -      Come?

SGANARELLO – (dandosi dei pugni sul petto e degli schiaffi per eccitarsi) Non ho detto niente. (A parte) Ah, poltrone, la rabbia che mi fai! Vigliacco! Cuor di coniglio!

CELINA -   Deve voler dire molto per voi quell’uomo, da cui i vostri occhi sembrano tanto colpiti.

LELIO -      Sì, mi dice infatti che voi siete colpevole del più imperdonabile tradimento che abbia oltraggiato fiducia d’amante.

SGANARELLO – (a parte) Ma perché non ho un po’ più di fegato?

CELINA -   Ah, risparmiatemi almeno, o traditore, l’insolenza crudele di queste parole!

SGANARELLO – (come sopra) Sganarello, lo vedi che anche lei sta dalla  tua parte? Coraggio, figlio mio, un po’ di energia; forza mio prode! Buttati in questa audace impresa: ammazzalo mentre ti volta il didietro.

LELIO -      (facendo due o tre passi a caso per la scena e obbligando Sganarello, che si stava avvicinando per ucciderlo, a rinunciare) Poiché le mie parole suscitano la vostra collera, dirò d’essere soddisfatto del vostro comportamento e applaudirò sanz’altro alla bella scelta che ha fatto il vostro cuore.

CELINA -   Sì, sì, su questo nulla può aver nulla da ridire.

LELIO  -     Ah, sì fate bene a difenderla.

SGANARELLO – Certo che fa bene a difendere la mia causa! Il vostro comportamento, signore, è del tutto contrario alle leggi. E io ho pieno diritto di lamentarmene; e se non fossi d’animo temperante qual sono, potremmo assistere a un’incredibile carneficina.

LELIO -      A che cosa dobbiamo queste lamentele, e che cos’è questa furia…?

SGANARELLO – Basta così! Sapete bene qual è il legno che mi duole; lasciate che vi dica che la vostra coscienza e la voce dell’anima vostra avrebbero dovuto aprirvi gli occhi sul fatto che mia moglie è mia moglie, e che considerarla vostra in barba al sottoscritto non è affatto da buon cristiano.

LELIO -      Sospettarmi capace di questo è volgare e ridicolo! Orsù, quanto a questo non datevi pensiero: so che essa è vostra, e ben lungi dal bruciar d’amore…

CELINA -   Ah, come sapete mentire, traditore!

LELIO -      Come? Anche voi mi sospettate capace di nutrir pensieri in grado di offendere costui? Di tanta viltà volete dunque macchiarmi?

CELINA – Con lui, parlate con lui, ché saprà bene illuminarvi,

SGANARELLO – Voi mi difendete meglio di quanto non saprei fare io stesso, e prendete la cosa per il verso in cui va presa.

SCENA XXII

CELINA, LELIO, SGANARELLO,LA MOGLIE DI SGANARELLO, LA CAMERIERA

LA MOGLIE – (a Celina ) Non ho certo intenzione né voglia di farvi una scena di gelosia, signorina, ma non sono tanto stupida da non accorgermi di quel che sta accadendo. Certi capricci amorosi mi sembrano del tutto fuori posto; e il vostro cuore dovrebbe cimentarsi in altre imprese che non in quella di sedurre un uomo che appartiene a me soltanto.

CELINA -   Un discorso alquanto ingenuo.

SGANARELLO – (a sua moglie) C’era proprio bisogno che arrivassi tu, vecchia strega? Venir qui a provocarla mentre lei mi difende, tremando dalla paura che ti portino via il tuo amante!

CELINA -   Se è per questo, non crediate che vi sia chi ve lo invidia.(Volgendosi a Lelio) Vedete dunque se era menzogna; me ne compiaccio davvero.

LELIO -      Che cosa mi si vuol dare ad intendere?

LA CAMERIERA – Parola mia, vorrei sapere quando la finirete con questi enigmi; è già un bel po’ che mi sforzo di vederci chiaro, ma più vi ascolto e meno ci capisco. Credo proprio che dovrò occuparmene io (Andando a mettersi tra Lelio e la sua padrona) Rispondete uno alla volta e lasciate parlare me. (A Lelio) Voi: che cosa avete da rimproverare alla mia padrona?

LELIO -      Il tradimento di avermi abbandonato per un altro. Il fatto che come io, mosso da fatali voci di sue prossime nozze, volo sulle ali di un ineguagliabile amore, ardente al punto di rifiutarsi di credersi dimenticato, piombo in questi luoghi per trovarla già sposata.

LA CAMERIERA – Sposata? E con chi?

LELIO -      (indicando Sganarello) Con lui.

LA CAMERIERA – Come: con lui?

LELIO -      Certo.

LA CAMERIERA – Chi ve l’ha detto?

LELIO -      Lui stesso, oggi.

LA CAMERIERA – (a Sganarello) E’ vero?

SGANARELLO – Io? Gli ho detto che ero sposato, ma con mia moglie.

LELIO -      Vi ho visto poc’anzi, evidentemente sconvolto, fissare il mio ritratto.

SGANARELLO – E’ vero: eccolo.

LELIO -      E mi avete detto che colei dalle cui mani l’avevate avuto era legata a voi nel sacro nodo del matrimonio.

SGANARELLO – (indicando sua moglie) E’ verissimo. Gliel’avevo strappato proprio dalle mani, e senza di questo non avrei mai scoperto il suo peccato.

LA MOGLIE – Che cosa mi stai raccontando e di cosa ti lamenti? L’ho trovato per caso per terra; e dopo la tua ingiusta scenata, quando ho fatto entrare il signore in casa nostra (indicando Lelio) perché si riavesse dal suo malessere, neanche allora mi sono accorta che il ritratto era il suo.

CELINA -   Sono io dunque all’origine di questa avventura, poiché il ritratto mi era caduto di mano quando sono venuta meno, dopodiché col vostro aiuto (a Sganarello) ho dovuto tornarmene a casa.

LA CAMERIERA – Ecco: se non fosse per me ci sareste ancora dentro in pieno. Avevate proprio bisogno del mio granello di elleboro.

SGANARELLO – E noi dovremmo prendere il tutto per oro colato? Continuo a dire che sulla mia fronte ha fatto caldo eccome!

SUA MOGLIE – Neanche i miei timori son del tutto dissipati; e per quanto credervi mi sia allettante temo proprio di restarne ingannata.

SGANARELLO – Eh, concediamoci un po’ di fiducia l’un l’altro. In fondo, tra i due chi rischia di più sono io; quindi accetta senza tante storie le spiegazioni che ci si propone.

SUA MOGLIE – E va bene; ma attento al bastone, se vengo a sapere qualcosa!

CELINA – (a Lelio, dopo aver scambiato con lui qualche battuta a bassavoce) Ah, giusti dèi, se davvero è così che cosa ho mai fatto! Eccomi ora a dover temere le conseguenze della mia collera; sì, credendomi tradita ho voluto vendicarmi cercando soccorso nel malaugurato rifugio dell’obbedienza; e giusto or ora il mio cuore ha acconsentito a quelle nozze che ben a ragione avevo sempre rifiutato; l’ho promesso a mio padre, e ciò che mi angoscia… Ma eccolo che viene.

LELIO -      Manterrà la parole che mi ha dato.

SCENA XXIII

CELINA, LELIO, GORGIBUS, SGANARELLO, SUA MOGLIE, LA CAMERIERA

LELIO -      Signore, mi vedete di ritorno in questi luoghi, acceso ancora dello stesso fuoco d’un tempo, per vedere al mio amore ardente, com’io ben credo, adempiuta la promessa che mi fe’ confidare nella mano di Celina.

GORGIBUS – Signore, che vedo di ritorno in questi luoghi, acceso ancora dallo stesso fuoco di un tempo, per vedere al vostro fuoco ardente, come voi ben credete, adempiuta la promessa che vi fe’ confidare nella mano di Celina, servo umilissimo di vostra signoria.

LELIO -      Come, signore? Così vien delusa la mia legittima speranza?

GORGIBUS – Sì, signore, poiché così facendo adempio al mio dovere, alle cui leggi anche mia figlia si piega.

CELINA -   Il mio dovere, padre mio, mi esorta ora a mantenere la promessa che voi gli avete fatto.

GORGIBUS – E questo sarebbe rispondere da brava figliola ai miei ordini? Mi par che fai presto a smentire i tuoi buoni propositi! Poco fa per Valerio… Ma ecco suo padre; sta certo venendo a concludere l’affare.

SCENA ULTIMA

CELINA, LELIO, GORGIBUS, SGANARELLO, SUA MOGLIE, VILLEBREQUIN, LA CAMERIERA

GORGIBUS – Qual buon vento vi porta, signor Villebrequin?

VILLEBREQUIN – Un importante segreto, che ho saputo stamattina, e che assolutamente m’impedisce di mantenere la parola data. Mio figlio, che vostra figlia aveva accettato di sposare, vive ormai da quattro mesi, sotto nascosti legami che tutti hanno ingannato, come sposo di Lisa; e siccome il nome e le ricchezze della famiglia di lei mi rendono impossibile troncare questa unione, ecco che vengo a voi…

GORGIBUS – Basta così. Se vostro figlio Valerio si è impegnato altrove senza il vostro consenso, neanch’io posso nascondervi oltre che già da gran tempo mia figlia Celina è stata da me promessa a Lelio; e Lelio è tornato oggi ed è tanto ricco di buone qualità che non posso scegliere altro sposo che lui.

VILLEBREQUIN – Mi compiaccio di questa scelta.

LELIO – La vostra giusta risoluzione corona la mia vita di un’eterna felicità.

GORGIBUS – Andiamo a fissare il giorno del sì.

(Escono tutti ad eccezione di Sganarello)

SGANARELLO – (solo) Qualcuno è mai stato più convinto d’esser cornuto di me? Vedete dunque che in queste cose una falsa convinzione può nascere anche dalle apparenze più evidenti. Ricordatevelo bene; e quand’anche toccaste con mano, non credete ai vostri occhi.