Si accorciano le distanze

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SI ACCORCIANO LE DISTANZE

Commedia in tre atti

di ATTILIO CARPI

PERSONAGGI

DARIA SARRA

GIOVANNI BIANCHI

ALDO SARRA, padre di Daria

BEATRICE, sua madre

ZIA ANNA, sorella di Aldo

ANGELA

PIETRO

(Modernissimo salotto in casa Sarra. Un uscio a sinistra. Facendo scorrere una tenda, che occupa quasi tutta la parete dì fondo, appare un altro grande salotto, di cui si vedono le entrate. Nel primo hanno incominciato ad apparecchiare per la colazione del mattino, e sulla tavola si trovano già il cestino del pane, un vassoio di biscotti, ecc. La tenda è aperta).

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Pietro                            - (distinto cameriere sui quaranta, precede l'elettricista, giovane alto e ben squadrato che in­dossa la tuta e reca la borsa degli attrezzi) Si accomodi pure.

Giovanni                       - Però sui tappeti si cammina bene.

Pietro                            - Sì, eh?

Giovanni                       - Dovrebbero metterli anche per le strade.

Pietro                            - (guardandogli le scarpe) E dire alla gente di non stropicciare tanto le suole.

Giovanni                       - Che gliene importa a lei?

Pietro                            - Come si chiama? Per sapere.

Giovanni                       - Bianchi.

Pietro                            - Senta, elettricista, le valvole ieri sera sono saltate quando hanno girato questo interrut­tore qui.

Giovanni                       - Corto circuito.

Pietro                            - Che scoperta. Ma è la quarta volta, da quando l'impianto ha cominciato a funzionare.

Giovanni                       - Quattro volte in quindici giorni? Quindici giorni che sono venuti a stare qui, no? (Si guarda attorno) Tutto nuovo, tutto bello.

Pietro                            - Sì, hanno rinnovato il mobilio: meno quello della zia, che non vuol saperne.

Giovanni                       - Che spesa! Milioni, no?

Pietro                            - Già. Ma la luce è un guaio: ogni tanto, che si giri un interruttore o un altro, le valvole saltano e si resta al buio. Che modo schifoso di fare gli impianti!

Giovanni                       - Dovevano chiamare me. Che cosa sono questi tonfi?

Pietro                            - La signorina nella stanza di ginnastica.

Giovanni                       - Diavolo, che energia!

Pietro                            - Un pezzo di ragazza.

Giovanni                       - Ah sì? Bene.

Pietro                            - Bene che?

Giovanni                       - Nulla, fa piacere.

Pietro                            - (squadrandolo) Anche lei è ben piantato.

Giovanni                       - (spiegando) Dunque c'è un contatto. Non proprio un contatto, altrimenti le valvole sal­terebbero ogni momento: ma in qualche punto, chissà dove, i due fili che formano il cordone elet­trico - mi spiego? - per la vibrazione che dà alle pareti un cretino di camion che passa per il viale o il portone giù sbattuto da qualche maleducato -case moderne, mi spiego? - questi due fili, insomma, vengono a contatto e, più, le valvole saltano. (An­gela, cameriera ventenne, entra portando il caffè-latte. Depone e riprende ad apparecchiare).

Pietro                            - Due fili? Due fili che sono rimasti sco­perti, vuole dire.

Giovanni                       - Eh già. Il più è pescarli, con questo sistema delle condutture interne.

Pietro                            - Perché lei sarebbe pei fili che corrono da tutte le parti come serpenti?

Giovanni                       - Io? Io sono per la luce elettrica senza fili. Be', vediamo.

Angela                          - (brontolando) Bella seccatura anche questa.

Giovanni                       - (che non l'aveva veduta) Chi è? Ah, la cameriera.

Angela                          - (piano) Villano.

Pietro                            - Starà qui finche non li avrà pescati, i due fili a contatto; anche a dormire, se è necessario.

Giovanni                       - Grazie, a dormire vado a casa mia. Non ho portato la scala: ce l'avete?

Pietro                            - Di là nel ripostiglio; quando vuole, se la viene a prendere.

Giovanni                       - (a se stesso) Dunque, cominciare a con­trollare stanza per stanza col mio sistema brevet­tato. Chissà che cane ha fatto l'impianto.

Pietro                            - Era uno dei tanti che hanno bottega come lei. Nessuno lavora più come si deve. Pare che si aspetti il diluvio.

Giovanni                       - Lo dice lei! Be', prima una visita a tutti gli interruttori. (Fruga nella borsa e ne cava il cacciavite).

Pietro                            - Ho da fare dal signore. Ci badi lei, Angela, a questo giovanotto. (Se ne va).

Angela                          - Io ho da fare qui. Non hanno detto che è fidato?

Pietro                            - (scomparendo) Sì, l'hanno detto.

Giovanni                       - (sbirciandola) Che? Avete preso infor­mazioni?

Angela                          - (seccata, continuando il suo lavoro) Dalla portinaia della casa accanto, mi pare.

Giovanni                       - Sì, mi conosce. Meglio, del resto. (La sogguarda distratto).

Angela                          - Che fa, non lavora?

Giovanni                       - Ha paura che la sciupi?

Angela                          - (brontolando) Volevo ben dire; appena uno arriva subito incomincia. Sono stufa, stufa.

Giovanni                       - Non me n'ero neppure accorto di lei; non so che farmene.

Angela                          - Ragazzo mio, ho altro per il capo io.

Giovanni                       - Fa bene; perché anch'io, se mi garba, ho certe figliole! (Si mette a svitare l'interruttore).

Angela                          - (tra se) Chissà da quanto tempo non ha fatto il bagno. (Entra Beatrice, signora quaran­tenne, che si muove e gestisce giovanilmente).

Beatrice                         - Angela, Angela, è pronto? Che fa quel giovanotto?

Angela                          - E' l'elettricista.

Beatrice                         - Di buon mattino. (A lui) Mi racco­mando, faccia la riparazione a dovere. E' un dram­ma, questa luce.

Giovanni                       - Ma siamo all'ultimo atto. Ci penso io, signora, a mettere a posto le cose.

Beatrice                         - (gaia) Ah sì? Ci pensa lei? Bravo. (Sedendo a tavola) E i grissini? Angela, vuole per forza che ingrassi?

Angela                          - Sono qui nel cestino.

Beatrice                         - Manca il burro per mia cognata e per Daria.

Angela                          - (mentre la serve) Ora lo vado a pren­dere.

Beatrice                         - Sopratutto per Daria. Con che appe­tito si leva mia figlia! Mi dispiace di non poter attendere neppure mio marito: devo filare.

Angela                          - Sono appena le otto e un quarto.

Beatrice                         - Lo so. (Mangiando) Prima di pagare, assicurarsi che l'impianto funzioni, che non debba saltare di nuovo in aria.

Giovanni                       - (facendo scattare l'interruttore) Que­sto qui funziona bene. (Passa nell'altro salotto, cer­cando gli interruttori: poi sì mette ad armeggiare. Aldo arriva in abito da cavallo. Rapido, energico, baffetti grigi, distintissimo. Parlando va dritto alla tavola).

Aldo                              - C'è l'elettricista? Benissimo. Strappare tutto, rifare tutto, se è necessario: ma che oggi la luce funzioni perfettamente.

Giovanni                       - Funzionerà.

Aldo                              - (sedendo) Bice, tanta fame, stamani? E Daria?

Beatrice                         - Ginnastica. (Ridendo) Sai, Dodo, non è che io abbia tanta fame, ma devo correre ad un'adunanza del nostro Comitato.

Aldo                              - Il Comitato per l'educazione delle giovani ventenni?

Beatrice                         - Questa volta l'hanno stabilita per le nove meno un quarto.

Aldo                              - Presto?

Beatrice                         - Non dico: sai che mi levo; ma è in­solito.

Aldo                              - La gente che si leva tardi diviene sempre più rada. La vita urge, i tempi son mutati, ed è giusto che anche i comitati si riuniscano di buon mattino. (Le bacia la mano).

Beatrice                         - Non domando di meglio. Sono scesa dal letto, sono entrata nella doccia... Però l'acqua da un po' di tempo mi fa l'effetto di essere più diaccia. Possibile?

Aldo                              - Non badarci.

Beatrice                         - (riprendendo) In venti minuti mi sono preparata, ed eccomi qui prontissima.

Aldo                              - Sei imbattibile. (Ad Angela) Attenta a non versarmi il latte sui calzoni.

Angela                          - Signora, mi saluti il commendator Ferri, per favore.

Aldo                              - Chi è il commendator Ferri?

Beatrice                         - Il vicepresidente. Angela mi fu segna­lata da lui. Le era stata raccomandata dalla con­tessa Girli. E' vero?

Angela                          - Sì, dalla contessa Girli.

Aldo                              - (mangiando) La sua padrona di prima?

Angela                          - La signora in casa della quale ero im­piegata prima.

Aldo                              - E perché la lasciò allora?

Angela                          - (abbassando il capo) Perché c'era in casa una persona innamorata di me.

Aldo                              - Il cameriere?

Angela                          - (meravigliata) No. (Si allontana per far qualcosa).

Beatrice                         - (sottovoce) Il figlio; che vorrebbe spo­sarla.

Aldo                              - Perché no?

Giovanni                       - E anche qui non c'è nulla da dire.

Aldo                              - (voltandosi) Come?

Giovanni                       - Negli interruttori di queste due stanze non ci sono contatti. Vorrei controllare gli altri. Posso andare di là?

Aldo                              - Vada pure. Avverto. (Suona. Giovanni scompare dal fondo) Anch'io stamani avrò molto da fare, dopo la mia stancata al galoppatoio. A proposito, ho l'impressione che Croco cominci a indebolirsi nelle reni; non me lo sento più tra le ginocchia come prima. Ho bisogno di una bestia energica, io.

Beatrice                         - Cambialo.

Aldo                              - Vedremo.

Beatrice                         - Molto da fare, dunque?

Aldo                              - Ricevere il fattore, accordarmi per il cam­bio dell'ascensore della casa di via Garibaldi perché gli inquilini hanno paura di rompersi il collo -sciocchezze! - una corsa all'aerodromo a vedere gli esperimenti di un nuovo apparecchio velocissimo...

Beatrice                         - Attento.

Aldo                              - Non temere. (Riprendendo) Nel pome­riggio, assemblea degli azionisti della S.A.P., So­cietà Anonima Polveri, un'ora di scherma, e verso sera una bella volata in automobile all'aria pura. Vieni?

Beatrice                         - Certamente, se lo desideri. (Ad An­gela, mentre prende la mano del marito) E il burro?

Angela                          - Vado. (S'avvia. Pietro entra dal fondo e si ferma).

Beatrice                         - (che sta per abbracciare il marito) Badi all'elettricista, Pietro.

Pietro                            - Sissignora. Angela però ha detto che ci si può fidare.

Angela                          - (mentre sta per uscire) Io? La portinaia della casa accanto lo ha detto alla cuoca. Pare che in casa dei suoi inquilini abbia fatto molti lavori e non sia mancato niente.

Aldo                              - (a Pietro) Non era per questo: ormai so che dagli operai che vanno per le case non c'è nulla da temere, ma...

Pietro                            - (pronto) Nel caso che avesse bisogno di qualche indicazione o di aprire qualche uscio?

Aldo                              - Appunto. (Pietro e Angela escono nelle opposte direzioni).

Beatrice                         - (abbracciandolo) Alla fine!

Aldo                              - Che c'è?

Beatrice                         - Volevo soltanto dirti che ti ammiro. Sempre attivo ed energico. Caro.

Aldo                              - Anche tu. Ma pensi forse che alla mia età si debba incominciare a esserlo un po' meno? Eh?

Beatrice                         - Guardatene bene. E io?

Aldo                              - (accarezzandola) Tu? Le portiamo magni­ficamente le nostre belle trentotto primavere, eh?

Beatrice                         - Amore mio, le nostre belle trentotto primavere sono quarantadue.

Aldo                              - Non è vero. In quanto alle mie cinquanta, me le sento bollire nel sangue.

Beatrice                         - (maliziosamente) Allora la facciamo questa grande volata in automobile? Alle cinque?

Aldo                              - Alle cinque.

Beatrice                         - Da soli, eh?

Aldo                              - Come due innamorati ventenni, che non j hanno bisogno di forzare la macchina. (Con orgoglio) Diciamolo: siamo o no all'altezza dei tempi? Siamo o no giovani come avrebbero il dovere di essere tutti in quest'epoca fantastica? E Daria? Che ra­gazza! Un capolavoro di architettura moderna. Ma che dico: un capolavoro di architettura naturale. Ecco la parola. Una magnifica pianta che ha spinto i suoi rami robusti in tutte le direzioni e che, ubbi­dendo a se stessa, si ritrova sempre in armonia per­fetta con le leggi sane della vita. Opera nostra. Là!

Beatrice                         - Tua, più che mia. Io non ho che il merito di non aver ostacolato l'educazione che hai voluto darle.

Aldo                              - Ti par poco? Daria è una vera donna.

Beatrice                         - (esitando) Direi, scusa sai, che da qualche tempo sia diventata un po' colorita di linguaggio.

Aldo                              - Colorita? Efficace. Eppoi le frasi nella sua bocca acquistano sempre un certo sapore schietto che rivela subito il carattere e la fa piacere assai.

Beatrice                         - Com'è forte!

Aldo                              - Lo sport, l'aria libera, assenza di pregiu­dizi, un'istruzione semplice, lineare, senza pesan­tezze, senza «musica»... sai ciò che voglio dire...

Beatrice                         - Certamente.

Aldo                              - Daria è antimusicale, pur essendo armonica.

Beatrice                         - Bellissimo. Come ti sei espresso bene!

Aldo                              - (con finezza) E se mai, musica viva, leg­gera - parlo sempre simbolicamente - di quella che piace al popolo, che è sano. Ti par possibile che nell'anno 1952, mentre il cielo è solcato da mac­chine che volano a mille chilometri l'ora, o qualche cosa di simile, si possa concepire che una ragazza s'indugi a strimpellare Chopin o a illanguidirsi leggendo le poesie di Leopardi?

Beatrice                         - Oh, Leopardi è troppo tragico davvero. E la vita dev'essere gioia, specialmente per la gio­ventù; ad onta di tutto.

Aldo                              - Gioia che morde la vita. Trionfo dell'istinto sano. Là. (Pausa).

Beatrice                         - (riflessiva) Senti, per Daria: tu credi che riguardo al contino Remoli dobbiamo cominciare a interessarcene?

Aldo                              - Daria te ne ha parlato?

Beatrice                         - Ne parla.

Aldo                              - Come?

Beatrice                         - Come di un uomo che le fa la corte.

Aldo                              - Nessuna ragione d'intervenire. Daria sa quello che fa. (Scherzoso) Non ha ancora telefonato', stamani! Strano. [Appare Anna, seria vedova qua­rantenne. E' scandalizzata. La segue Angela col piatto del burro).

Anna                             - Io mi domando se certe cose debbono acca­dere: mi domando se si può ammettere che alle otto e mezzo della mattina un operaio si aggiri liberamente per la casa e a un certo punto entri, come se nulla fosse, nella stanza di ginnastica, dove una signorina sta facendo gli esercizi.

Aldo                              - Diamine, avevo avvertito Pietro di dare un'occhiata di tanto in tanto.

Beatrice                         - Meno male che ha l'abitudine di farli in costume da bagno.

Anna                             - Non sempre.

Angela                          - (sorridendo) Ad ogni modo basterebbe girare la chiave.

Aldo                              - Angela. Vada piuttosto a chiedere se la signorina era in costume o no. Qui lasci fare. E dica a quel giovane di chiamare qualcuno quando crede di dover aprire un uscio.

Angela                          - (avviandosi) Glielo farò sapere.

Anna                             - Che non entri in camera mia prima che io non sia stata a rifare il mio letto.

Angela                          - Devo rifarlo io?

Anna                             - Non derogo dalla mia buona abitudine. Che non entri, eh? Angela [uscendo) Bene, signora.

Beatrice                         - Ma dal momento che in camera non ci sei, Anna!

Anna                             - Ma c'è il mio letto disfatto, c'è la mia camicia da notte in vista.

Beatrice                         - Oh, scusa.

Anna                             - Io sto perdendo la testa. Poco per volta la promiscuità arriverà a un punto tale che non si saprà più come fare a distinguere i sessi. (Mangia).

Aldo                              - Cara Anna, ci penseranno loro a distin­guersi.

Anna                             - Questo non è spirito degno di te. Ah, il mondo precipita in un abisso senza fondo se non vi si mette un rimedio radicale.

Aldo                              - Cioè?

Anna                             - Leggi draconiane.

Beatrice                         - Pena di morte.

Anna                             - E perché no, in certi casi? La reazione s'impone su tutta la linea.

Aldo                              - Diamine, che faresti?

Anna                             - Che farei? Articolo primo: donne a casa.

Aldo                              - (ridendo) E come farebbero milioni di donne a guadagnarsi da vivere?

Beatrice                         - Dovrebbero di nuovo pensarci gli uo­mini?

Anna                             - Precisamente. Donne a casa.

Aldo                              - Donne fuori! Attività, libertà, salute, spon­taneità. Articolo secondo?

 Anna                            - Capelli lunghi, tacchi bassi, gonne lunghe e larghe, colori sobri, distruggere tutti i belletti, fa­cendo saltare in aria le fabbriche di profumi, impri­gionare le manicure. Le unghie tinte di rosso! Pen­sate. Chi avrebbe mai potuto immaginare che le donne sarebbero giunte a tingersi le unghie color sangue? Che orrore! Che spavento!

Aldo                              - Nell'elenco hai dimenticato i bagni di mare.

Anna                             - Affatto. E per combattere quest'orribile Usanza, ordinerei semplicemente di cospargere le spiagge di acido solforico.

Aldo                              - Ma la marea del buon Dio purificherebbe subito la sabbia, e i bei corpi della nostra gioventù potrebbero continuare ad esporsi alla luce rigenera­trice.

Anna                             - I bei corpi! I bei corpi! E le anime dove le metti?

Aldo                              - Le belle anime stanno dentro i bei corpi.

Anna                             - Leopardi era gobbo. (Daria arriva con passo rapido ed energico. E' in abito da tennis. Siede a tavola).

Daria                             - Fame! Fame! (Afferrando) Latte, burro, biscotti.

Beatrice                         - Non divorerai anche noi!

Daria                             - Non vi scandalizzate, ho una fame tre­menda. Angela.

Angela                          - Eccomi.

Beatrice                         - Non è cosa nuova il tuo appetito.

Aldo                              - Mangia. Fa così piacere vedere sparire uno dopo l'altro quei bei panini imburrati!

Daria                             - Sono satura, stamani.

Beatrice                         - Di che?

Daria                             - Di appetito. Anna (sottovoce) Dianzi eri in costume? Daria (forte) In costume? No; sì. (Ad Angela) Aiutami a imburrare i panini.

Beatrice                         - Lo avevi proprio? Un po' di calma, ti prego.

Daria                             - (più basso) Domandate per quando l'elet­tricista ha aperto l'uscio?

Aldo                              - (pronto e sbrigativo) Basta, e un'altra volta ricordati di rinchiuderti a chiave. Non ci pensava nemmeno più.

Daria                             - Siccome non ho nulla da nascondere, ho anche perduto l'abitudine di chiudere gli usci. Ma sì, ma sì, non dubitate, chiuderò. Chi poteva imma­ginare che uno aprisse senza bussare?

Anna                             - E' il meno che possa accadere. Daria (trattenendo il riso) Il lato più interessante è che l'ho subito riconosciuto.

Aldo                              - (sorpreso) L'elettricista?

Beatrice                         - (un po' allarmata) In che senso?

Daria                             - Nel senso che mi sono trovata accanto a lui in una manifestazione sportiva. Bel caso. Proprio una combinazione.

Anna                             - Spero che ad ogni modo se ne sarà uscito subito.

Daria                             - Zia, non crederai che abbia tentato di assalirmi. Per me potreste lasciar girare per la casa anche un reggimento; so difendermi.

Aldo                              - E ora basta. (Si leva e fa qualche passo rapido).

Daria                             - (ad Angela) Dammi un altro panino. Più burro. Conserva.

Aldo                              - (in ascolto) Mi hanno condotto Croco, lo sento scalpitare. E' impaziente. Buon segno.

Beatrice                         - Se volessi attendermi soltanto tre mi­nuti, scenderei con te per vederti montare.

Daria                             - «Sapesse come monta bene il suo papà! » diceva la signora...

Aldo                              - Grazie, cara, lascia perdere.

Beatrice                         - Angela, avverta per la macchina. (An­gela eseguisce) Vorresti accompagnarmi a mettermi il cappello?

Aldo                              - Idea gentile.

Daria                             - Buona galoppata, papà. Mi hanno detto che al galoppatoio hai ferito il cuore di una bella signora inglese. Mamma, attenta. Ti consiglierei di riprendere a montare per conto tuo.

Beatrice                         - Ma il medico mi ha detto che...

Daria                             - Ti curi del medico, mamma?

Aldo                              - I medici sono bestie. Andiamo. (Escono a braccetto).

Daria                             - (seguitando a mangiare) Papà e mamma si adorano da vent'anni. Credi che partendo da oggi, questo sarebbe ancora possibile?

Anna                             - Certo, sono molto entusiasti l'uno dell'al­tro, per la loro età.

Daria                             - Papà è un uomo straordinario: dopo ven­t'anni sempre la medesima spinta.

Anna                             - (sobbalzando) Sei in forma, stamani! Mi hai tolto il respiro.

Daria                             - (abbracciandola) Su, che cosa pensi di papà e mamma? Come sono cari!

Anna                             - Vuoi davvero che te lo dica?

Daria                             - Dimmelo, zia cara.

Anna                             - Secondo me non basta rinnovare tutta la mobilia per sentirsi giovani; io ho gli anni di tua madre, eppure...

Daria                             - Due di più, zia.

Anna                             - Ma è anche un pezzo che non mi sento più giovane.

Daria                             - E' anche un pezzo che sei vedova, pur­troppo.

Anna                             - Se anche fosse vivo il mio povero Luigi, ti garantisco che il bagno freddo tutte le mattine non lo farei.

Daria                             - E che cosa faresti?

Anna                             - Nulla.

Daria                             - Povero zio Luigi. (Erompendo) Ah, che primavera stupenda! Non puoi immaginare che cosa mi sento addosso. E quando sono in strada, sotto il sole caldo, e vedo la gente che cammina rapida e le automobili che corrono e qualche aeroplano che passa in alto nel cielo, oppure entro con un salto nel campo di tennis, oppure attraverso il parco, sapessi, zia...

Anna                             - (calma) Ti senti giovane, lo capisco.

Daria                             - Ma così giovane, così giovane che mi vien voglia di abbracciare gli alberi.

Anna                             - (dominando l'impressione) La primavera è bella pei giovani.

Daria                             - Ascolta, zia. Noi siamo esattamente l'op­posto; eppure ogni tanto mi piace ascoltarti espri­mere sinceramente le tue opinioni, e sono perfino giunta a farti delle confidenze che alla mamma non oserei fare: e ne ho del coraggio!

Anna                             - Se tu sapessi quanto, ne avresti un po' meno.

Daria                             - Ma la nostra amicizia si spiega: tu, m fondo, sei capace come me di dire pane al pane.

Anna                             - C'è pane e pane.

Daria                             - Sicché non potrei azzardarmi a farti una confessione?

Anna                             - (irrigidendosi già terrorizzata) Parla.

Daria                             - Io, cara zia, vado, vengo, leggo, monto a cavallo, gioco al tennis, mi piace la montagna, le passeggiate col sacco; ma da un po' di tempo tutto questo mi è diventato secondario.

Anna                             - (cauta e stupita) Sul serio? E perché?

Daria                             - Devo proprio dichiarartelo?

Anna                             - Avanti.

Daria                             - Perché ho una voglia pazza di prender marito.

Anna                             - (dopo un piccolo sussulto, resistendo anche questa volta all'urto) E' un desiderio onesto... comune a tutte le ragazze. Soltanto che una volta non si dichiarava così apertamente. Però, avendo detto marito...

Daria                             - Come avrei dovuto dire? Ma quale marito prendere? Questo è il punto.

Anna                             - Mi pare che avresti da scegliere, ragazza mia. Per esempio il conte Remoli, che ti sta attorno e ti telefona ogni momento, non ti è simpatico?

Daria                             - (desolata) Me l'ero dimenticato.

Anna                             - (bruscamente) E se non ti piace, perché non gli fai capire di starti lontano?

Daria                             - Appunto perché non me ne importa nulla.

Anna                             - C'è già chi dice che siete fidanzati.

Daria                             - Non io. E lui neppure, se è un gentiluomo.

Anna                             - E ti par giusto di far soffrire inutilmente un gentiluomo?

Daria                             - No che non soffre. E' una storia che gli uomini soffrano quando una donna non li vuole.

Anna                             - Sarà così ora. Bel giovane ad ogni modo.

Daria                             - Non dico che non sia un bel ragazzo - se non fosse almeno bello non vorrei vedermelo vicino - ma io, zia cara...

Anna                             - Forse anche colto e intelligente.

Daria                             - Chissà. Ma io, prima di tutto, in un uomo ho la necessità di sentire l'uomo. Comprendi, zia?

Anna                             - (pedagogicamente) E' logico e mi fa pia­cere che tu voglia nel tuo futuro marito sentire l'uomo: una persona energica, forte, capace di do­minare...

Daria                             - E lì invece, sì, anche... ma insomma... come dire?

Anna                             - Non so.

Daria                             - Cercherò di spiegarmi. Per esempio da un po' di tempo non amo come prima l'eleganza: mi sembra innaturale, vesto come viene viene. Ma che un uomo poi « si scelga il sarto e il camiciaio » ormai mi fa ridere. (Ridendo) Non parliamo dei profumi, del colore intonato della cravatta e del faz­zoletto, oppure stonato apposta per ubbidire all'ul­tima smorfia della moda! Per me un uomo dovrebbe mettersi addosso quel che capita e andarsene pei fatti suoi. Io tutti questi giovanotti ben vestiti e artificio­samente spigliati non li sento: manca loro qualcosa; qualcosa che corrisponda alla mia forza, alla mia esu­beranza, insomma alla mia natura. Sai, zia, che im­pressione ho? Che noi ragazze, sì, siamo veramente d'oggi, ma che gli uomini, invece, almeno quelli che stanno intorno a me, nonostante i loro sforzi per aggiornarsi, siano rimasti indietro.

Anna                             - In che senso? Non capisco.

Daria                             - Non te lo saprei spiegare. Dimmi, zia: e se il mondo si stesse capovolgendo? Perché, vedi, io mi sento, è vero piena di vita e di giovinezza, ma al tempo stesso mi vien fatto a volte di pensare di non essere neanche più una donna.

Anna                             - E che cosa ti sembra di essere?

Daria                             - Carne.

Anna                             - (in un urlo) Eh?

Daria                             - Carne piena di salute, carne intelligente, ma carne. Ho paura di averla detta grossa questa volta.

\nna                               - (asciugandosi la fronte) Che il mondo stia per capovolgersi tu me lo stai dimostrando. (Rabbri­videndo) Carne? (Breve silenzio) Ma insieme a que­sto penso che tu mangi troppo, ti muova troppo, respiri troppo ossigeno, faccia troppa ginnastica, goda troppa salute.

Daria                             - Troppo ossigeno? Troppa salute? Che mi stai dicendo? Va' a farli a papà certi discorsi!

Anna                             - Li trova ridicoli, lo so. Lui è modernista, naturista, vitalista, come dite voialtri.

Daria                             - Ma credi forse che vorrei essere diversa da quello che sono? Se tu sapessi come mi sento vivere!

Anna                             - Me l'hai già fatto capire in diversi modi. (Dopo ancora un no' di silenzio, considerandola con affetto) Un marito, eh? (Piano) E un bambino ti piacerebbe averlo?

Daria                             - Ne ho un desiderio!

Anna                             - (contenta) Ah, ecco. (Squilla il telefono).

Daria                             - (si leva di colpo e va all'apparecchio) Pronto. Ah, buongiorno. - Se rispondo vuol dire che sono alzata. - Grazie. - Eh? - Vado al tennis, mi alleno per una gara, lo sa. - A prendermi? Ma no, mi lasci stare, stamane non ho voglia di vederla...

Anna                             - (protestando) Ma non rispondere così, figliuola mia.

Daria                             - (con garbo) Sta bene, parli, ascolto.

Anna                             - E non lo respingere, se sai che vale. Per sapere se un uomo veramente piace bisogna che diventi marito. (Andandosene e sospirando) Vado ad occuparmi della mia camera. (Esce).

Daria                             - (sempre al telefono) Ma sì, ma sì... - Eh? -Nessuna novità. - Che cosa vuole che sia accaduto di nuovo? Ecco, sì: è entrato l'elettricista mentre stavo facendo la ginnastica. - Me l'ha detto anche papà, grazie. - Come vuole. - Eh? No, ero nuda. -Arrivederci. (Posa il ricevitore e si mette a riflettere. Nel frattempo, Giovanni è entrato1 dal fondo por­tando una scaletta, che ha appoggiato alla parete. Si è tolta la tuta ed è in camiciola bianca e larghi calzoni estivi da buon prezzo, ha sua prestanza fisica è in mostra. Osserva col naso in aria l'impianto. Daria appena lo vede, s'immobilizza un attimo a guardarlo).

Giovanni                       - Il contatto dev'essere proprio in questa stanza.

Daria                             - Bene, lo cerchi. Tra poco potrà entrare anche nelle stanze della zia.

Giovanni                       - (avvicinandosi) Così si ricevono gli amici?

Daria                             - Amici? Noi? Che fa?

Giovanni                       - E' arrabbiata?

Daria                             - (un po' più mite) Di che? Non sono un bulldog. Badi al suo lavoro, per favore.

Giovanni                       - (un po' esitante) Io, se avessi saputo, non avrei aperto.

Daria                             - Lo credo bene. (Si leva per andarsene).

Giovanni                       - (per agganciarla) Chi l'avrebbe potuto immaginare? (Daria si ferma) Scusi, chi è quella signora che è passata nel corridoio quando io ho aperto l'uscio e poi lei ha girato la chiave e ha detto: « Che educazione è questa? ».

Daria                             - (dopo un'occhiata) Zia Anna, la sorella di papà.

Giovanni                       - Ho cercato di spiegarle che l'ho fatto senza pensare, andando dietro al filo, ma lei mi ha dato una di quelle occhiate! (Dopo un momento) A parte tutto, che combinazione!

Daria                             - Già, lo dicevo anch'io.

Giovanni                       - (gentilmente, ma esitante) Mi ha rico­nosciuto?

Daria                             - L'ho riconosciuto... ma non subito: era vestito in modo diverso al campionato di nuoto.

Giovanni                       - Vestito per modo di dire.

Daria                             - E ora perché si è tolta la tuta?

Giovanni                       - Avevo caldo.

Daria                             - (incredula) Ah sì?

Giovanni                       - Vuole che me la rimetta?

Daria                             - Che me ne importa?

Giovanni                       - Si ricorda che cosa mi rispose quando le domandai se avremmo potuto rivederci?

Daria                             - Non era il caso, mi pare, di fare una domanda simile.

Giovanni                       - Difatti mi rispose di no. Ma ecco che stamani vado dietro a un filo, apro per distrazione un uscio, e chi vedo? Lei. Più lei di così non poteva essere.

Daria                             - Non si prenda confidenza, altrimenti devo...

Giovanni                       - Eh, si sa. (Più deciso) No, non capisco: non sono forse lo stesso? (Le si avvicina).

Daria                             - (ansando un poco) Ma senta...

Giovanni                       - Si vede che si è scordata l'impressione che le feci con quei due pugni famosi. E sì che glieli diedi in suo onore.

Daria                             - Laggiù anche i pugni erano al loro posto.

Giovanni                       - E mi strinse la mano. Poi facemmo conversazione. Ero così contento di aver trovato una donna con la quale parlare un po' sul serio.

Daria                             - Parlare sul serio?

Giovanni                       - Non sul serio di cose serie - che sono sciocchezze, mi spiego? - ma sul serio delle cose che ci piacciono.

Daria                             - Quali cose?

Giovanni                       - Che so? Per esempio, lei a un certo punto disse: « Che buon odore ha il legno scaldato dal sole! ». Era pei tronchi di pino della balaustra e io sentii un tal piacere ad aspirare quell'odore, che mi parve... mah...

Daria                             - Chissà che cosa le parve.

Giovanni                       - (esitando nella scelta delle parole, ma accentuando) Che mi avesse regalato un po' della sua persona. (Subito) No, non se ne abbia a male: che cosa c'è?

Daria                             - Non sa quel che dice.

Giovanni                       - Sì, ora lo so; ma ho paura che le di­spiaccia. Però è così intelligente!

Daria                             - Grazie.

Giovanni                       - (che sempre la fissa) Eh, lei, lei... (Re­pentinamente) Mi ricordo anche un altro discorso. Disse: « Un uomo prima di tutto deve essere forte, perché soltanto con la forza si può avere ragione». Ohe. E io risposi: «E anche una donna prima di tutto dev'essere forte, altrimenti che figli mette al mondo?». (Con entusiasmo) E lei si mise a ridere in un certo modo, che io non me lo sono più scordato. (Daria ride di gola, a lungo) Così. Ci si inten­deva magnificamente.

Daria                             - Dice?

Giovanni                       - Sì, perché vede, lei è una ragazza elegante, di buona famiglia, come si dice, ma è naturale. Lei, capisce, ha sul viso tutto quello che io sento dentro. Ma come si fa a spiegarsi?

Daria                             - Si spiega benissimo.

Giovanni                       - E' vero, in fondo; me lo disse anche allora, quando mi misi a raccontarle la vita che faccio.

Daria                             - La sua vita di elettricista.

Giovanni                       - Già, la mia vita di elettricista. Un momento, però: faccio l'elettricista perché per vivere bisogna lavorare, ma non è mica il mio scopo.

Daria                             - E che scopo ha, lei?

Giovanni                       - Star sano, forte, godere il sole, l'aria libera. Io mi sento io soltanto quando sono all'aria aperta, o in barca a remare. Ah!

Daria                             - Anch'io.

Giovanni                       - Ecco. (Con altro tono) Però è curiosa: andiamo avanti a forza di combinazioni: prima si è trovata seduta accanto a me nei posti da cento lire, poi... Giusto, ora che l'ho ritrovata in questa bella casa non riesco a capire come fosse capitata là.

Daria                             - Ci ero capitata comprando al botteghino un posto da cento lire.

Giovanni                       - Risposta secca.

Daria                             - Volevo assistere al campionato primaverile in piena libertà e volevo sentire intorno a me dell'entusiasmo spontaneo.

Giovanni                       - Ci è riuscita, perdinci!

Daria                             - Per merito suo?

Giovanni                       - Il mio non è stato che un piccolo inter­mezzo. Ma le pare possibile che uno si dovesse met­tere a sostenere quella decisione stupida dell'arbitro?

Daria                             - Aveva torto.

Giovanni                       - (accostandosi dì più) E siccome voleva avere ragione e credeva di poter fare valere il suo parere con le minacce, me lo sono tirato a distanza utile e poi l'ho fatto rimbalzare al suo posto.

Daria                             - Sì. (Sogguardandolo) Eppure forse era più alto e più tarchiato di lei.

Giovanni                       - Ma io sono meglio distribuito, non le pare?

Daria                             - (lasciandosi sfuggire una risatina) Sì. Giovanni     - E anche lei, senta... (ha considera am­mirandola).

Daria                             - Ma taccia.

Giovanni                       - Me ne sono accorto fin da allora. Che donna! Me ne intendo, non faccio per dire. (All'im­provviso, con gioia calda) Com'è bella! Ah! (Le si accosta un altro poco) Questione che, si sa, c'è... la distanza.

Daria                             - (turbata) Appunto, lei si scorda d'essere un operaio venuto per riparare l'impianto. Non è vero?

Giovanni                       - L'impianto, già. Ma no, non me ne scordo mica. (Breve pausa, quindi si azzarda a farle una leggera carezza) Questo è un magnifico impianto. E non c'è bisogno di nessuna riparazione.

Daria                             - (trattenendo il respiro) Stia fermo.

Giovanni                       - Non vuole? Perché?

Daria                             - Non mi tocchi.

Giovanni                       - (con impeto, ma ritirando la -mano) Ma non si faccia ripescare nei posti da cento lire, altri­menti...

Daria                             - Altrimenti?

Giovanni                       - Non lo so: ma potrebbe succedere... Vede, glielo dico. (Daria lo fissa col fiato sospeso, poi corre via) Senta... (Resta un momento a fissare la porta per cui è uscita) Sparita. Eh già, si capisce. (Si rimette a guardare l'impianto, ma pensa ad altro) Sì, trovalo il guasto, ora; ho la testa che mi ronza. (Squilla il telefono. Giovanni cambia svogliata-niente di posto alla scaletta) Qui non viene nessuno. Smet­tila. (Dopo un po' perde la pazienza e va a rispon­dere lui) Pronto. - Sì... casa Sarra. - La signorina? La signorina... non c'è, è uscita. Chi la vuole? L'elettricista. - Che c'è di straordinario? Nessuno viene, rispondo io: questione di educazione, come si dice. - E perché è contento di fare la mia cono­scenza? - Delle mie gesta? Ah, si riferisce a quei due pugni del campionato? (Si corregge) Ma no, che deve saperne lei! Eh? sono l'elettricista e mi occupo di tutti gli apparati elettrici della casa, com­preso il telefono. - Buon giorno. (Posa il microfono).

Angela                          - (è entrata in fretta prima che la telefonata avesse termine. Avendo udito le ultime frasi, si è fer­mata di botto) Ehi, dico?

Giovanni                       - E' qua finalmente? Poteva venire prima.

Angela                          - E' matto. A chi ha risposto?

Giovanni                       - A uno che voleva la signorina.

Angela                          - Era il suo fidanzato.

Giovanni                       - E' fidanzata? Benissimo, mi fa piacere.

Angela                          - Che modo! Dove crede di essere?

Giovanni                       - (noncurante) La signorina non si dà le arie che si dà lei, l'avverto.

Angela                          - Faccia il piacere.

Giovanni                       - Abbiamo appena finito di conversare.

Angela                          - (signorilmente) Scusi, non si avvicini.

Giovanni                       - Perché?

Angela                          - Perché deve starsene lontano. Ha un certo odore.

Giovanni                       - Odore di salute.

Angela                          - Se la tenga. Meno salute e più sapone.

Giovanni                       - Com'è stupida! La sera faccio sempre la doccia.

Angela                          - Bel risultato! Guardi che se ora vuole può passare nelle stanze di fondo.

Giovanni                       - Dov'era il letto da rifare? No, credo che il guasto sia qui. Qui. Sì, tra quell'interruttore là e quello fuori dell'uscio. Qui.

Angela                          - Poteva capirlo subito.

Giovanni                       - (voltandole le spalle e allontanandosi di qualche passo) L'ho capito adesso. (Daria ricom­pare d'impeto colla racchetta in mano).

Daria                             - E' qui Angela?

Angela                          - Signorina?

Daria                             - Volevo dirle... Lei sa se...

Angela                          - Se hanno telefonato?

Daria                             - Ecco, appunto.

Angela                          - Sì, ma non ho fatto in tempo a rispon­dere: aveva già risposto l'elettricista.

Daria                             - Lei?

Giovanni                       - Dal momento che non veniva nessuno!

Angela                          - Come? (A Daria) Ero in fondo all'ap­partamento, dove il campanello non si sente quasi, Pietro è uscito a comprare la cera...

Daria                             - Chi era?

Giovanni                       - Non so: ha detto che conosce le mie gesta.

Daria                             - Che sciocchezza! Non importa, ora chia­merò io. (Si accinge a telefonare. Angela sorpresa che non redarguisca Giovanni, resta un po' indecisa, quindi esce. Daria comincia a formare il numero, ma poi, come avendo riflettuto, posa il ricevitore) Già che è qui, vorrei un'informazione.

Giovanni                       - (con slancio) Un'informazione?

Daria                             - (un po' agitata) Resti dov'è. Dunque senta: la gara nazionale dei cinquecento metri quando c'è?

Giovanni                       - Metà luglio.

Daria                             - Metà luglio? Ne è sicuro? Dove? E' una gara che mi interessa perché vi prendono parte dei conoscenti, ma vorrei sapere dove si svolge. A metà luglio chissà dove saremo, e... (Non riesce a conti­nuare).

Giovanni                       - (che la fissa) Ecco, veramente di que­sta gara non so proprio nulla. Che gara è?

Daria                             - Se ha detto...

Giovanni                       - Mi era parso. E' sicura che ci sia? Ad ogni modo m'informerò e glielo farò sapere.

Daria                             - Grazie. Arrivederci. (Si avvia).

Giovanni                       - (afferrandola per una mano) No, un momento; un momento solo.

Daria                             - Mi lasci andare.

Giovanni                       - (pregando) Un appuntamento. Andre­mo a fare una bella passeggiata... magari a infor­marci dei cinquecento metri. Non vuole?

Daria                             - Una passeggiata? Ma dove? No, è im­possibile.

Giovanni                       - Che importa dove? Basta che si vada, non le pare?

Daria                             - Ma io... non posso.

Giovanni                       - Perché è fidanzata?

Daria                             - Non è per questo...

Giovanni                       - Ah, del fidanzato non le importa?

Daria                             - Non sono fidanzata. Mi lasci la mano.

Giovanni                       - E' proprio tornata per chiedermi quell'informazione?

Daria                             - Come dice? No, sono tornata per parlare con la cameriera.

Giovanni                       - Che maleducata quella ragazza!

Daria                             - Che le ha fatto?

Giovanni                       - Nulla. Dunque vuole o no che ci incontriamo per andare a respirare insieme una boc­cata d'aria? Sono certo che sarà di nuovo un'altra, e non se ne pentirà.

Daria                             - Un'altra come?

Giovanni                       - Com'è stata la prima volta. Qui forse si vergogna un po' perché è casa sua, io sono un operaio... ma laggiù, fuori, all'aria aperta, certe cose non contano più niente, ci si sente vicini... Eppoi noi siamo tutti e due giovani, e quello che conta è piacersi, no?

Daria                             - Devo andare.

Giovanni                       - (trattenendola) Non ha voluto confes­sarlo, ma è tornata per me. No, forse? Ecco, ho da dirle una cosa: quando quel giorno ci salutammo e non mi permise che l'accompagnassi, io le venni dietro di lontano, poi lei saltò in tassì, e arrivederci. Ma in quei cinque minuti di strada se sapesse che tormento! Perché io sentivo che noi due, volere o non volere... insomma eravamo fatti per essere impa­stati insieme. Sì. E se lei non fosse stata una ragazza ricca, educata, noi due, fin dalla prima stretta di mano... e a quest'ora le garantisco che qualcosa si sarebbe deciso.

Daria                             - Mi fa male.

Giovanni                       - Sì? Mi piacerebbe che ci fosse quello che ha telefonato: scommetto che anche lui direbbe mi fa male.

Daria                             - Chissà.

Giovanni                       - Certamente. (Con più calore) Domani l'aspetto sulla spiaggia dopo la villa rossa. La mattina la sabbia è ancor umida e ci si cammina così bene! C'è un'aria che a respirarla vien voglia di non morir mai. Andremo sugli scogli. Si porti il costume: faremo un tuffo, il primo della stagione, insieme.

Daria                             - Non verrò.

Giovanni                       - Invece verrà.

Daria                             - (con poca voce) No, non verrò.

Giovanni                       - Sì, perché io voglio stare con lei. E anche lei vuol stare con me. E' così. Se non ci fos­simo più rivisti, allora, si capisce; ma siccome ci siamo rivisti e ormai ci rivedremo spesso...

Daria                             - (con impeto ansioso) Non ci rivedremo.

Giovanni                       - Tutte le volte che andrà ad assistere a qualche gara ci sarò anch'io, e mi ritroverà vicino a sé come quel giorno. Non stava forse bene accanto a me? Anzi, a un certo punto lei...

Daria                             - (interrompendolo) Me ne vado.

Giovanni                       - Non voglio.

Daria                             - E' la mia volontà che conta.

Giovanni                       - Ma la mia conta di più.

Daria                             - (con lo stesso impeto) Bene domani alle undici mi aspetti. E' contento? Andremo sugli scogli. ;

Giovanni                       - Faremo una bella nuotata. Quando sarà stanca si appoggerà a me.

Daria                             - Eh? (Turbata) Ma che faccio?

Giovanni                       - (prendendola per le braccia) Grazie.

Daria                             - (smarrita) Ma perché ho detto di sì! Eppoi lei non sa che qui siamo... Mi lasci per favore. Era venuto per... non per...

Giovanni                       - (senza lasciarla) Senta una cosa: lei non mi ha detto come si chiama.

Daria                             - Daria.

Giovanni                       - (inebriato) Daria! Com'è bello, Daria!

Daria                             - E lei come si chiama? Perché mi stringe?

Giovanni                       - Giovanni.

Daria                             - (come stupita) Giovanni?

Giovanni                       - Quanti anni ha?

Daria                             - Venti.

Giovanni                       - Io ventiquattro.

Daria                             - Com'è giovane anche lei!

Giovanni                       - Mi guardi. Così. Così. Così. Daria!

Daria                             - (fuori di sé) Perché? Dov'è la mia testa?

Giovanni                       - (con passione) Che vuol farne della testa? (Simultaneamente, spinti dalla stessa forza, stringono in un abbraccio. Ma quasi subito Daria si divincola e lo respinge).

Daria                             - No.

Giovanni                       - Daria! (Tenta di riprenderla).

Daria                             - No. (Fugge).

Giovanni                       - (inseguendola da vicino, a voce bassa ma con ardore) Daria, Daria, Daria! (La scena resta vuota. Squilla il telefono più volte. Accorrono, dopo qualche momento, contemporaneamente, Angela e Pietro. Ma il campanello tace).

Pietro                            - (che ha preso il ricevitore) Se n'è andato. (Ad Angela) Avrebbe potuto correre prima.

Angela                          - Correre? Io? E perché non lei? (Tra se) Spero che presto sarò io a farvi correre.

Pietro                            - (avvicinandosi e prendendola per la vita) Contessa...

Angela                          - Stia indietro. Giù le mani.

Pietro                            - (con calore) Accorciamo le distanze, con­tessa.

Angela                          - Sì, ecco. (Gli assesta uno schiaffo e se ne va. Pietro resta sorpreso a guardarla).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La stessa scena del primo atto, ma invertita. Il sa­lotto da pranzo appare in fondo. (Là è Giovanni in cima a una scaletta appoggiata alla parete. Sta lavorando. Daria, invece, si trova nel primo salotto abbandonata in una poltrona, con faccia tra le mani).

Giovanni                       - Chissà mai quando riuscirò a trovare il guasto.

Daria                             - (senza muoversi) Che va dicendo? (A lui) Sss, piano.

Giovanni                       - Eh?

Daria                             - Nulla. (Tra sé) Che calma! (Gli getta un'occhiata) Che io mi sia data a un delinquente?

Giovanni                       - Che cosa hai detto?

Daria                             - Ho detto... che ho paura. Parla piano.

Giovanni                       - Paura di che? (Scende dalla scala).

Daria                             - (spaventata) Continua a lavorare; perché scendi? (In orgasmo) E io perché non me ne vado? Mi sento come inchiodata in questa stanza.

Giovanni                       - Perché ci sono io.

Daria                             - Torna al lavoro, ti prego.

Giovanni                       - Perbacco, ma bisogna bene che in qual­che modo ci mettiamo d'accordo.

Daria                             - Come? Le persone di servizio, che ti hanno visto sparire, Angela, che sapeva che io ero in casa e che ha bussato al mio uscio, ha girato la maniglia e l'ha trovato chiuso... Mi sai dire che cosa avranno pensato?

Giovanni                       - Che uscendo ti eri portata via la chiave.

Daria                             - O che ci eravamo chiusi dentro.

Giovanni                       - Eh no, diamine.

Daria                             - Del resto, Angela cercava proprio di te, e non capiva dove ti fossi ficcato. Non hai inteso che cosa ha detto a Pietro?

Giovanni                       - (dopo un momento di riflessione) Ascolta: non potresti uscire di casa senza farti ve­dere, per poter dimostrare, semmai, che quando ci cercavano tu non eri in casa? In quanto a me, non appena mi vedranno, dirò... Nulla, lascerò che dicano loro.

Daria                             - Impossibile che esca, ormai: stanno luci­dando il corridoio e l'ingresso. Eppoi c'è il segnale. (Con altro tono) Su, inventiamo qualcosa.

Giovanni                       - Inventare? Se si scopre sempre tutto!

Daria                             - (con una scossa) Hai detto? (Dopo un momento) Ma allora in che maniera vorresti che ci mettessimo d'accordo?

Giovanni                       - Mah. L'unica sarà forse di parlare a tuo padre e di chiedergli la tua mano, come si dice.

Daria                             - Come si dice?

Giovanni                       - Intanto non ho ancora cavato il ragno dal buco con questo impianto.

Daria                             - (rimettendosi nella posa di prima e cercando di estraniarsi) Si, la prego: finisca la maledetta riparazione. Poi... che ne so io? Vada, dunque.

Giovanni                       - Del lei, ora?

Daria                             - Per adesso non c'è altro da fare.

Giovanni                       - Ad ogni modo, bada che io faccio fronte a tutto e non ho paura di nessuno. Voglio dire che faccio onore alla mia firma.

Daria                             - Lo so. Se si trattasse di una firma! (Lo considera) Ma che cosa abbiamo fatto? Come si rimedia? (Colta dallo sdegno) Perché mi hai rin­corso? Non sei stato forse tu a rincorrermi fino in camera mia?

Giovanni                       - Sì, è vero; ma sono stato trascinato, spinto; non so; ormai è fatto.

Daria                             - E ora? Ora? Fossi andata al tennis! (Ironica e scoraggiata) Sì, al tennis!

Giovanni                       - Daria...

Daria                             - (a sé, con stupore) Daria? Lui a me? (Lo guarda come per rendersi conto).

Giovanni                       - Come ti devo chiamare? Ti dispiace?

Daria                             - (di nuovo rigida) Continui il suo lavoro; se lo sorprendono davanti a me così, in codesto atteg­giamento... (Fa per levarsi) Anzi, me ne andrò di là. (Di nuovo scoraggiata) Ma mi chiederanno di dove esco. (Si sforza di concentrarsi) Non mi riesce di pensare, non ho più testa.

Giovanni                       - (allontanandosi) Colpa dell'impianto. (Mentre risale la scaletta) Galeotto fu il libro e chi lo scrisse.

Daria                             - (a se stessa) Che cosa ha detto?

Giovanni                       - E' la « Divina Commedia ». Ogni tanto quando mi capita un libro sottomano, così per impa­rare qualcosa...

Daria                             - (sottovoce) E chi se ne ricorda della « Di­vina Commedia»? (Angela e Pietro entrano dal fondo).

Pietro                            - Almeno ad arrotolare i tappeti mi aiuterai; non hai ancora la corona.

Angela                          - Non mi dia del tu e faccia presto.

Pietro                            - Come è aspra! Sia un po' più dolce, almeno per una volta.

Angela                          - Lo sono già stata dianzi; non le basta?

Pietro                            - Sì, sì, prego. (Sospirando) Un'ora ho dovuto girare per trovare la cera perché lei possa specchiarsi nei pavimenti.

Angela                          - Basta. Mi dica piuttosto se è sicuro che l'elettricista non sia uscito dietro di lei.

Pietro                            - Sarò stato distratto e non l'avrò visto; altrimenti... (Termina con un gesto).

Angela                          - (nervosamente) Altrimenti dove può es­sersi cacciato quel matto? (Con grande meraviglia scopre Giovanni sulla scala) Eccolo là!

Pietro                            - To'!

Giovanni                       - Sono qui, che c'è di strano?

Angela                          - Si può sapere dov'era?

Giovanni                       - Ero uscito.

Angela                          - Sa, glielo domando perché a un certo punto è sparito.

Giovanni                       - Perché ero uscito.

Pietro                            - Ammettiamo che io sia stato distratto fino al punto di non accorgermi che era uscito con me, perché deve sapere che ogni volta che si apre, suona di là un campanello sordo, e se non è uscito con me non so come sia uscito; ma ammettiamo, come ho detto, che sia uscito con me; mi sa dire come ha fatto a rientrare? Chi le ha aperto?

Daria                             - (tra sé) Ci siamo, è logico.

Angela                          - E' rientrato dalla finestra? Siamo al secondo piano.

Giovanni                       - Dalla porta, che ho trovata aperta.

Pietro                            - Si chiude automaticamente. (Dopo che sono rimasti un po' a guardarlo) Perché si è levato la tuta?

Angela                          - (ironica) Chi lo sa. E' forse stato in con­versazione? Non si sa mai.

Daria                             - (rimasta fino a quel momento quasi celata dalla spalliera della sedia) Che cosa sono queste chiacchiere?

Pietro                            - La signorina! Oh!

Angela                          - Signorina, lei è qui?

Daria                             - Ebbene?

Angela                          - (avvicinandosele perplessa) Nulla, ma... Dicevamo che non si capisce come l'elettricista sia rimasto introvabile per un bel po'.

Daria                             - Se non lo sa lui! Non mi ero neppure accorta che fosse là.

Pietro                            - Già, neppure noi. Straordinario.

Angela                          - (dopo averla un po' guardata) Lei non è uscita, signorina?

Daria                             - (dominandosi) Io? No... attendo un'amica. Perché s'incanta a guardarmi? Ha qualcosa da dire? (A Pietro) E lei?

Pietro                            - Io, signorina, direi... cioè, no, direi... E' straordinario.

Angela                          - Ecco, signorina: siccome ho bussato al suo uscio, che era chiuso, e lei non mi ha risposto, ho perfino pensato...

Daria                             - Che cosa?

Angela                          - Che, per distrazione, avesse chiuso e por­tato via la chiave.

Pietro                            - (in fretta) Questo l'ho pensato anch'io.

Giovanni                       - (tra sé) Hai visto?

Angela                          - Ma poi mi sono detta: come può essere uscita la signorina se nessuno se n'è accorto? C'è la spia.

Daria                             - (trasalendo) La spia?

Angela                          - Il campanello sordo.

Giovanni                       - Se è sordo nessuno lo può sentire.

Daria                             - Insomma... non mi sentivo bene... non mi sento bene... e mi ero assopita in camera mia. Ho mal di capo.

Angela                          - Davvero?

Pietro                            - Dobbiamo telefonare al dottore, signorina?

Daria                             - Sì, il dottore! Vada, Angela. Vada, Pietro.

Angela                          - (avviandosi) Con quell'appetito che aveva stamani!

Daria                             - (scattando) Insomma, basta. E' una sfac­ciata. Vada di là.

Angela                          - Una sfacciata io?

Daria                             - Vada, dunque. (Angela se ne va gettando un'occhiata di compatimento).

Pietro                            - Signorina, avrei da lucidare questo pavimento: rimando a più tardi?

Daria                             - (sempre urtata) Sì, più tardi; come vuole. Zia Anna è di là?

Pietro                            - E' da un pezzo sulla terrazza a curare i cactus. Vuole che la chiami?

Daria                             - No, perché? Vado io. Papà è rientrato?

Pietro                            - Sì, sta facendo la doccia.

Daria                             - Perché mi fissa? Che cosa ho di strano?

Pietro                            - Nulla, signorina, proprio nulla. (Squillai il telefono, e Daria va all'apparecchio, Pietro andan-dosene senza fretta, passa accanto alla scala su cui si trova tuttora Giovanni e fa in modo che lo senta) Io non la bevo, ella non la beve, noi non la beviamo...

Daria                             - Pronto. - Ah, è lei. andarci, sono andata altrove, l'ingresso? - Mah. - Non le - Che cosa vuol venire a fare? (Irritandosi) Ma no, ; sono sempre come prima. (Infuriata) No, non sono! più come prima. Perciò è ora di finirla. Addio. (Lascia il telefono) Se non altro avrà servito a romperla. Ah. (Si nasconde il viso).

Giovanni                       - (dopo un momento) Forse è una buona idea quella di confidarsi con la zia Anna.

Daria                             - (con impeto) Ascolta, scendi da quella scala, vieni qui.

Giovanni                       - (scende e le si avvicina) Parla.

Daria                             - (con tormento) Che facciamo? Tu sei un operaio, io sono una «signorina di buona famiglia »... (le sfugge una smorfia) non possiamo mica sposarci per davvero.

Giovanni                       - Siccome tra noi due è accaduto qual­cosa di molto più importante del matrimonio, mi par­rebbe che il problema fosse già risolto.

Daria                             - (perplessa) Non so neppure chi sei.

Giovanni                       - Giovanni, sono. Bianchi.

Daria                             - Sì, lo ricordo, ma... (Sospira).

Giovanni                       - Un operaio. E va bene, miglioreremo la posizione; diventeremo... Insomma, farò tutto il possibile, come si dice.

Daria                             - Come sei ordinario!

Giovanni                       - Non si può far tutto in una volta.

Daria                             - Ah, che abbiamo fatto!

Giovanni                       - Abbiamo. E restiamo su questa parola. E quel che abbiamo fatto non si può disfare.

Daria                             - E hai il coraggio di dirlo?

Giovanni                       - Io però ho da farti una domanda, e tu devi rispondermi con sincerità. Mi vuoi bene?

Daria                             - (dopo un momento di riflessione) Eh, no.

Giovanni                       - E allora... perché?

Daria                             - E tu perché?

Giovanni                       - Io?! Io per te metterei a pezzi una casa. Io appena ti ho vista mi sono detto: caro Giovanni, che cosa daresti perché una donna come quella diventasse tua moglie? La vita, mi sono risposto, dato che è il meglio che posseggo. Tu, invece, che cosa ti sei detta?

Daria                             - Io? (Evitando di guardarlo) Di che cosa posso ricordarmi, ora? Forse mi sono detta che eri un bel ragazzo.

Giovanni                       - Grazie. Ma forse ti ricorderai almeno che cosa provavi per me un'ora fa, qui, quando tutto a un tratto ci siamo trovati uno nelle braccia dell'altra.

Daria                             - Questo... mi pare che ormai tu debba saperlo.

Giovanni                       - E riconoscerai che lo slancio c'è stato da tutte e due le parti.

Daria                             - (frenando un nuovo impeto) Sì, è vero, c'è stato. (Zia Anna entra e si ferma ad osservarli).

Anna                             - Angela mi ha detto che non sei uscita perché hai mal di capo.

Daria                             - (d'impulso) Zia, vieni qui, ascolta.

Anna                             - Chi è questo signore? (Lo riconosce) Non siete quello dell'impianto elettrico? Strano, stamani aveva un'altr'aria.

Giovanni                       - Mi sono levato la tuta, signora.

Anna                             - Sì, ma... che cosa fa?

Daria                             - Questo signore è il mio fidanzato.

Anna                             - (in una scossa) Tuo fidanzato?

Daria                             - Inevitabilmente. Parlagli. (Fugge).

Anna                             - (imbambolata) E da quando... da quando lei sarebbe il fidanzato di mia nipote?

Giovanni                       - Ecco... lo abbiamo deciso poco fa.

Anna                             - Poco fa? E perché?

Giovanni                       - Perché... così. Prima c'era una diffi­coltà... si pensava che apparteniamo a famiglie un po' diverse, che i genitori forse non avrebbero per­messo... Ma dopo, studiando meglio la questione...

Anna                             - Scusi, caro: non sono più molto giovane, ho avuto dei forti dispiaceri, e ogni tanto - di rado, veli - mi accade d'essere un po' intontita e di pren­dere una cosa per un'altra. Mia nipote, un momento fa, mi ha proprio detto che lei è il suo fidanzato? E lei ora ha davvero parlato di... (Lo considera stra­nita) Ma sì che ha detto così; ed ha aggiunto: inevitabilmente.

Giovanni                       - E' vero.

Anna                             - E perché?

Giovanni                       - Perché forse Daria ha anche deciso che ci sposiamo.

Anna                             - Ha anche? Che significa? Non ricordo che ci siano stati dei pazzi nelle nostre famiglie.

Giovanni                       - Neppur io lo ricordo.

Anna                             - Lei?

Giovanni                       - Nella mia famiglia.

Anna                             - Questo non conta.

Giovanni                       - Conta molto, invece. Tutti sani di mente e di corpo, come si dice. Anzi, forse perché sono sano ed equilibrato e abbiamo gli stessi gusti, tre settimane fa c'incontrammo ad un campionato e simpatizzammo subito. Poi...

Anna                             - Poi?

Giovanni                       - (esitando) ...incominciammo a vederci, facemmo insieme delle lunghe passeggiate...

Anna                             - Ah, proprio?

Giovanni                       - Sì, è verità. Sì, insomma, pressappoco.

Daria                             - (ricomparendo, com'è uscita, di corsa) Zia, no, non è vero. Fa finta che non abbia parlato. Dimentica tutto.

Anna                             - Non è vero? Insomma, che cosa è vero?

Daria                             - (con meno decisione) Nulla. Dianzi m'ero un po' montata e ho detto così senza pensare.

Anna                             - Ma perché l'hai detto? Questo voglio sa­pere.

Giovanni                       - Io penso che già che tua zia è qui; sia meglio che ci confidiamo. Non lo dirà a nessuno e potrà consigliarci.

Anna                             - (quasi boccheggiando) Ma lei parla come se mia nipote... (Soffocando un grido) Daria, dov'era questo giovanotto dianzi, quando lo cercavano per tutta la casa?

Daria                             - (rassegnata) In camera mia.

Anna                             - (coprendosi il viso) Ah! (Pausa).

Daria                             - Sta bene, zia, ci sposeremo.

Anna                             - Un cataclisma. Ma perché? Perché? Dim­melo. No, sta' zitta.

Daria                             - Forse doveva accadere.

Anna                             - Doveva?

Daria                             - Se è accaduto!

Anna                             - Come si fa a riparare ad una simile cata­strofe?

Giovanni                       - Catastrofe? Non direi.

Anna                             - Taccia. (Li studia di nuovo) Non è un sogno?

Daria                             - No, zia, siamo proprio desti.

Giovanni                       - E' la realtà: ma mi permetto di dire che non mi pare spaventosa.

Anna                             - A lei. Ma faccia il favore. Anzi, voglio parlare con mia nipote; in sua presenza non posso. Vada di là... nelle mie stanze... lavori... finga di lavorare...

Giovanni                       - Come vuole. Del resto, non sono an­cora riuscito a trovare il guasto.

Anna                             - Eh, sfido. E' riuscito soltanto a farne. Vada, dunque. (Giovanni abbozza una specie d'inchino, va a prendere la scala e se n'esce. Le due donne lo guardano allontanarsi. Anna agitata) Com'è possibile che sia accaduto?

Daria                             - Zia...

Anna                             - (si concentra. In uno scatto) Ma ti piace?

Daria                             - No. Non lo so. Sì. No.

Anna                             - Sì? No? Come, come ha potuto accadere?

Daria                             - Eravamo qui in conversazione, e a poco a poco è stato come se incominciassi a bruciare. E a un tratto gli ho gettato le braccia al collo.

Anna                             - Tu per la prima.

Daria                             - Forse. Oppure tutti e due insieme.

Anna                             - E ora? Ma lo sai bene che cosa significa questo per una donna? (Sarcastica) E lui com'è ca­valleresco!

Daria                             - Lui non ha paura.

Anna                             - Bel coraggio. (Cercando di raccapezzarsi) Sì sì, ricordo tutta la nostra conversazione di sta­mani. Ecco qual era il significato delle tue parole. Mi fai spavento. (Abbracciandola) No, non posso ancora credere che sia stata proprio tu a... (Alutando di colpo) Allora l'ami? Ami quell'operaio?

Daria                             - Posso amare un elettricista, io?

Anna                             - (disperata) Ma che accade dentro di te? Hai perduto il cervello?

Daria                             - Non lo so, può darsi, non mi sento più io.

Anna                             - (risoluta) E' necessario decidere che atteg­giamento vuoi assumere verso quel giovanotto.

Daria                             - Lo sposerò.

Anna                             - (terrorizzata) E forse stai pensando di dirmi di parlarne ai tuoi genitori? Ma da che parte dovrei incominciare?

Daria                             - (improvvisamente abbattuta) Non inco­minciare affatto; sarà quel che sarà.

Anna                             - Tacere? E se si giunge a scoprire lo stesso? Del resto, tu ora, ormai...

Daria                             - E allora racconta tutto a papà, com'è tuo dovere.

Anna                             - Che uragano!

Daria                             - Quando l'uragano sarà passato ci conte­remo.

Anna                             - Diventi cinica? (Cercando di rimettersi) Attenta, c'è tuo padre. Santa Rita, aiutaci! (Aldo ha cambiato abito ed è soprapensiero).

Aldo                              - Curioso. Strano. Non riesco a comprendere.

Anna                             - Che cosa, Aldo?

Aldo                              - Parlo dell'elettricista. Non sarà un fan­tasma.

Anna                             - Direi il contrario.

Aldo                              - Di là mi hanno riferito, molto allarmati, che è sparito per un pezzo ed è riapparso non si sa come.

Anna                             - (con noncuranza) Sono rimasta a lungo sulla terrazza coi miei cactus e non saprei; comunque sarà andato fuori.

Aldo                              - Dicono che è impossibile.

Anna                             - Che te ne importa, alla fine? Non è affar tuo.

Aldo                              - - Non me ne importerebbe, se Angela non insistesse a dire che è sparito senza uscire di casa. (A Daria, irritato) Mi sapresti dire perché Angela mi ha detto per tre volte di avere bussato a lungo! all'uscio della tua camera? I cassetti erano chiusi?

Daria                             - (con lo stesso tono di Anna, ma forzatamente) E' una sciocca: c'ero io in camera. Non ho aperto I perché mi ero assopita e non ho inteso. Non sto molto bene.

Aldo                              - (un po' sorpreso) Non stai bene? Per questo non sei andata al tennis?

Daria                             - Sì, per questo. (Se ne va).

Aldo                              - (dopo un momento) Voglio interrogare ili fantasma. (Suona).

Anna                             - Lo credi necessario? Si sarà trattenuto in qualche angolo buio ad armeggiare intorno ai fili e non l'avranno visto.

Aldo                              - A me è necessario veder sempre chiaro in  tutto. Sai come sono fatto. (Entra Angela) Mi chiami il fantasma.

Angela                          - Il fantasma?

Aldo                              - Sì, l'elettricista. Non è lei che lo ha definito I così? (Mentre se ne va la sogguarda) Angela!

Angela                          - Mi ha chiamata?

Aldo                              - Mi è parso. Senta: frugando per la casa, si è ricordata di dare un'occhiata anche nella sua! camera?

Angela                          - Nella mia e soprattutto in quella della I signorina.

Aldo                              - Va bene. Ma che cosa intende dire?

Angela                          - Nulla, che me ne vado. (Esce sdegnata) Non è più la mia aria, questa.

Aldo                              - (con calma) Appunto; non è giusto trat­tenere una cameriera che aspira a diventare contessa,

Anna                             - Soprattutto quando diventa insolente.

Aldo                              - (vedendo venire Giovanni) Eccolo qua.

Giovanni                       - Mi vuol parlare?

Aldo                              - Giovanotto, c'è un enigma da risolvere.

Giovanni                       - Mi sono già spiegato con quella gente di là: sono uscito a prendere un arnese che avevo scordato; in bottega ho trovato un cliente ed ho tardato.

Aldo                              - Sì? Ha almeno riparato l'impianto?

Giovanni                       - Sto ancora cercando il guasto, ma credo che a momenti lo scoprirò.

Aldo                              - Finalmente. E' da stamani che è qui.

Giovanni                       - Sì, ma... se sono uscito...

Aldo                              - E se per caso non fosse uscito, dove sarebbe I stato?

Anna                             - Scusa, Aldo, ma devo dirti che questa domanda non è logica.

Giovanni                       - (osando) Veramente pare anche a me.

Aldo                              - (scacciando un certo pensiero) Sta bene, facciamola finita; termini alla svelta, si faccia pagare e se ne vada. Anzi: quanto le devo pel suo disturbo? (Mostra di voler pagare) Chiameremo un altro.

Giovanni                       - Come le pare, ma non voglio nulla.

Aldo                              - Perché non vuole nulla?

Giovanni                       - Perché non ho ancora fatto nulla.

Aldo                              - (fissandolo) Giovanotto, lei non è un ope­raio: questo è un trucco. Lei è venuto con un altro scopo.

Anna                             - (sconcertata) Aldo, non perdere la calma, te ne prego; stai dicendo cose assurde.

Giovanni                       - (mostrando le mani) Mi guardi le mani; è un peccato, ma purtroppo...

Aldo                              - (non potendo più contenersi) Perdio, non posso mica credere che mia figlia si sia chiusa a chiave in camera con un elettricista!

Anna                             - (spaventata) Aldo, via!

Aldo                              - (a Giovanni) Eh? non risponde?

Giovanni                       - Che cosa devo rispondere?

Aldo                              - (con forza) Che non c'era.

Giovanni                       - (dopo un momento di riflessione) C'ero.

Anna                             - Imbecille!

Giovanni                       - Tanto prima o dopo credo che avrei dovuto dirlo. Preferisco farlo subito per dimostrare che rispondo delle mie azioni.

Aldo                              - (impietrito) Possibile, Anna?

Anna                             - Ascolta...

Aldo                              - Che cosa devi dirmi? Dunque lo sai. Che cosa è accaduto qui stamani? (Fa un moto verso Giovanni, ma si frena, volgendosi ad Anna) Tu lo sai. Parla.

Anna                             - Nulla... non è accaduto nulla. (A Giovanni) E' pazzo o che cosa? (Ad Aldo) Non è vero nulla. Cioè... Ti spiegherò io dopo. Anzi, Daria mi aveva incaricata... o meglio, ero io che...

Aldo                              - Avanti.

Anna                             - Non metterti in mente delle enormità. L'elettricista... si trovava, infatti, in camera di tua figlia, ma vi era andato per continuare il suo lavoro...

Aldo                              - E Daria dov'era?

Anna                             - Ecco. Siccome in una certa occasione ave­vano fatto conoscenza, si sono messi a chiacchierare, quando Angela ha battuto all'uscio.

Aldo                              - Che era chiuso.

Anna                             - Per caso. Una distrazione.

Aldo                              - Continua pure.

Anna                             - Daria ha avuto paura che la servitù po­tesse credere chissà che cosa, e in un momento di perplessità non ha osato rispondere.

Aldo                              - Che mi stai raccontando? Daria, un mo­mento di perplessità? Impossibile, la conosco. (Acco­standosi a Giovanni minaccioso) Perché era là dentro?

Giovanni                       - La signora ha spiegato molto bene.

Aldo                              - Risponda chiaro e netto, se è un galan­tuomo. Lo è?

Giovanni                       - Sì. (Breve silenzio) Vuole proprio che le risponda da galantuomo nel vero senso della pa­rola?

Aldo                              - Sì.

Giovanni                       - (con gravità) Allora, signor conte, ho l'onore di chiederle la mano di sua figlia Daria, come si dice.

Anna                             - Eh?

Aldo                              - Signor conte? A chi parla?

Giovanni                       - Siccome ho visto lo stemma, credevo...

Aldo                              - Che c'entra lo stemma? E' impazzito?

Anna                             - Pensa o no a ciò che dice? Non vede a che rischio mette mia nipote?

Giovanni                       - Ho risposto da galantuomo come mi è stato chiesto.

Aldo                              - (intontito) Mi domanda la mano di Daria? (Si precipita a suonare il campanello).

Anna                             - (a Giovanni) Lei è il terremoto. Non con­tento di aver lasciato credere ciò che non è, ora aggrava la situazione con una domanda priva di senso.

Aldo                              - Taci, Anna. (Entra Pietro) Pietro, faccia sapere a mia figlia che voglio parlarle un momento.

Pietro                            - E' nel salottino della signora con la signora e il conte Remoli.

Aldo                              - Il conte Remoli?

Pietro                            - E' arrivato con la signora dieci minuti fa.

Aldo                              - Che cosa fanno?

Pietro                            - Conversano.

Aldo                              - Anche mia figlia?

Pietro                            - Sì.

Aldo                              - (celando un certo sollievo) Bene. Le dica lo stesso che la prego di venire un momento qui. (Mentre va) Dica ad Angela che devo parlarle e che non esca.

Pietro                            - Va bene. E... se fosse già uscita?

Aldo                              - Niente affatto, corra a cercarla, la riporti qui in braccio, se necessario. (Pietro esce) E' assolu­tamente necessario che le si impedisca di far chiac­chiere; è un'esaltata. (A Giovanni) E lei, eh, che ha voluto lasciarmi credere... Faremo i conti tra poco.

Anna                             - (pregandolo) Aldo, sta' attento a ciò che fai. Tutto si può ancora rimediare.

Aldo                              - (dì nuovo sconvolto) Rimediare che cosa? (A Giovanni) Rimediare che?

Giovanni                       - In coscienza, non posso far altro che ripetere la mia domanda di matrimonio.

Anna                             - (uscendo fuori di se) E se invece suo padre ti rompesse la testa? (Siccome si avvia per andarsene, incontra Daria) Coraggio, cara. Io me ne vado a prender aria.

Daria                             - Zia!

Aldo                              - (balbettando) Vieni qui. Dunque è vero? Tu, con l'educazione che ti ho dato, col tuo carat­tere, col tuo equilibrio, hai potuto... (A Giovanni) E lei, come ha potuto approfittare di una ragazza indifesa che... sì...

Giovanni                       - Perché approfittare?

Aldo                              - (tornando a Daria) Così, com'è capitato, da un momento all'altro? Con quest'operaio? Che ne dici? Devo considerarti una bestia, dunque?

Daria                             - (risentendosi) Non sono una bestia.

Aldo                              - Ti ribelli?

Daria                             - (riflette un attimo) Forse hai ragione: sono una bestia. D'accordo.

Giovanni                       - Nient'affatto: dovrei esserlo anch'io, e invece sono certo di non esserlo.

Aldo                              - Ah no? (A Daria, con ironia) Giusto sta­mani io e tua madre avevamo parlato di te, ed io ti definivo come una pianta magnifica sempre in armonia con le leggi sane della vita; io ti vantavo come il nostro capolavoro; tu invece...

Daria                             - Le bestie agiscono forse contro le leggi sane della vita?

Aldo                              - Che vorresti dire?

Giovanni                       - Che è soltanto una donna.

Daria                             - Quel che vorrei dire... non lo so dire in questo momento. Sento solo che se ho commesso un errore, è un errore anche tutto il resto... sì, tutto ciò che mi riguarda.

Aldo                              - Vale a dire?

Daria                             - (dopo un momento) Che io... ho ubbidito.

Aldo                              - A che cosa? A chi?

Daria                             - A me stessa... a quel che sono, a quel che sento. E se anche avessi voluto resistere, non ci sarei riuscita, perché era più forte di me.

Aldo                              - (gridando) Che cosa era più forte di te?

Daria                             - La mia natura... la mia forza.

Aldo                              - (annientato) Non capisco più nulla.

Giovanni                       - Eppure è semplice.

Aldo                              - (subito, scuotendosi) Sa perché lei è tut­tora al mondo, e perché non lo faccio arrestare?

Giovanni                       - Forse lo so: lei...

Aldo                              - (interrompendolo) Vada via. In ogni caso, non ha più nulla da fare qui. Via.

Giovanni                       - Non condivido la sua opinione, come si dice.

Aldo                              - Esca.

Giovanni                       - (a Daria) Devo andarmene sul serio?

Daria                             - Non so. Cioè no, resti. Papà...

Aldo                              - (eccitatissimo) Sì, resti. Diamine, può darsi che mia figlia abbia intenzione di sposarlo, dal mo­mento che... che è già stata sua moglie.

Daria                             - (vagamente, come a se stessa) Sua moglie.

Aldo                              - La parola ti fa stupire? Sua moglie. Non lo giudichi dunque al tuo livello?

Daria                             - (quasi dimessamente) Si vede che ho per­duto il senso del livello, che la distanza tra una per­sona e l'altra ho finito col non sentirla più. Che posso farci?

Aldo                              - Per te, insomma, tra lui e il conte Remoli, che è di là con tua madre, nessuna differenza?

Daria                             - Il conte Remoli non mi piace.

Aldo                              - E invece l'elettricista, che è venuto stamani in casa nostra per riparare l'impianto, ti piace mol­tissimo.

Daria                             - Sì. Cioè, no.

Aldo                              - Come no?

Daria                             - (disperata) Non so più niente, io! Lasciai temi andare. (Esce).

Aldo                              - (subito a Giovanni) Prima di tutto lei non si farà mai più vedere e non racconterà a nessuno! la sua avventura; altrimenti...

Giovanni                       - Non ho bisogno di minacce; per chi! mi ha preso? (Ad un suo. gesto) Mi lasci parlare uni momento.

Aldo                              - Che vorrebbe dirmi? Ringrazi che sono costretto ad evitare ogni rumore. Quell'attimo di debolezza inconcepibile di mia figlia è...

Giovanni                       - (lo interrompe) Non è stata debolezza.!

Aldo                              - Ah, ne è certo?

Giovanni                       - Sì. A sua figlia io piaccio; le sono pia­ciuto subito appena ci siamo conosciuti e che mi ha visto al lavoro.

Aldo                              - Al lavoro?

Giovanni                       - Rimettere a posto con due magnifici pugni un tale che si dava delle arie perché c'era lei a guardare; proprio come dico.

Aldo                              - Ah, mia figlia è stata anche oggetto di contesa tra due tipi come lei.

Giovanni                       - Mah. Dopo si sa, facemmo un poi d'amicizia. Ma non c'eravamo più rivisti. Stamani mi vengono a chiamare per riparare un impianto, e chissà perché...

Aldo                              - Apre sfacciatamente l'uscio della stanza di! ginnastica...

Giovanni                       - (interrompendolo) Senza volere. (Pausa)ì A me, per dire la verità, non mi pare una catastrofe,! Gente ricca, che ha belle case, che va in villeggia-! tura di qua e di là, che si tien su... e va bene: mal chi sono quelli che possono essere certi dell'avvenire?! Le persone che lavorano, che hanno un mestiere e lo conoscono come si deve. Per un buon lavoratore, lai vita sarà sempre assicurata; per uno che ha soltanto! dei milioni, non si sa che cosa può nascere.

Aldo                              - Perché lei i milioni non vorrebbe averli?

Giovanni                       - Finora me ne sono sempre infischiato/

Aldo                              - Sappia dunque, giovanotto, che mia figliai ha trenta milioni di dote. E' fantastico, ma a momenti) si potrebbe dire che il colpo le è riuscito. (Beatrice entra mentre Aldo pronuncia le ultime parole e sì ferma attonita).

Beatrice                         - La dote?

Giovanni                       - (senza curarsi di lei) Guarda, fino ai questo momento alla dote non avevo pensato. (Con orgoglio) E se la tenga, la dote! E si tenga anche! sua figlia. (Se ne va).

Beatrice                         - La dote? Si tenga la figlia? Che c'entra in queste cose quell'operaio?

Aldo                              - Nulla, è pazzo: è impazzito poco fa.

Beatrice                         - Abbiamo in casa un pazzo?

Aldo                              - Sì, e forse più d'uno.

Beatrice                         - Perché parlavate di Daria? Che cosa è successo?

Aldo                              - Nulla: cosette.

Beatrice                         - Che fa Daria? Ero venuta a cercarla. Di là il conte Remoli sta piangendo di dolore per ciò che gli ha detto.

Aldo                              - (con disprezzo) Che è venuto a fare quel disgraziato?

Beatrice                         - A chiedere ragione a nostra figlia di una frase che gli ha lanciato al telefono. L'ho dovuto calmare e farlo passare nel mio salotto: quindi ho chiamato Daria perché una buona volta definisse il suo atteggiamento.

Aldo                              - (sempre con sarcasmo) E allora?

Beatrice                         - Ha risposto di essere impegnata con un altro.

Aldo                              - Con l'elettricista.

Beatrice                         - (suddita) L'elettricista? Vuoi spiegarmi? Che c'entra l'elettricista?

Aldo                              - Lo chiamo così perché non so nemmeno il suo nome.

Beatrice                         - Ma che vai dicendo?

Aldo                              - Che è... o dovrebbe essere il fidanzato di nostra figlia.

Beatrice                         - (quasi ridendo) E da quando?

Aldo                              - Oh, da poco. Sai, le cose oggi si fanno alla svelta; anzi, in giornata.

Beatrice                         - (che ancora non crede e non capisce) Che vai dicendo, ripeto? Che cosa è avvenuto?

Aldo                              - Che Daria a un certo punto non ha più sentito la distanza che la divide da un operaio elet­tricista, ed è caduta fra le sue braccia.

Beatrice                         - (senza respiro) Caduta?

Aldo                              - Caduta non è la parola: ha preso lo slancio e ci si è buttata. Naturalmente, si tratta di due brac­cia molto robuste, ed è questo che l'ha sedotta. Ah, non nego che sia un pezzo di giovanotto.

Beatrice                         - (non riuscendo a prender fiato) Sedotta? Come?

Aldo                              - Come quando ci siamo sposati.

Beatrice                         - Ma tu... mi avevi sposata.

Aldo                              - E loro invece ci sono passati sopra. Del resto hai ragione: sedotta non è la parola; trovane tu un'altra.

Beatrice                         - (mezzo svenuta) Daria? L'elettricista? Quando?

Aldo                              - Qui stamani.

Beatrice                         - Qui in casa? (A stento) No, non è pos­sibile.

Aldo                              - Dice che ha ubbidito.

Beatrice                         - A chi?

Aldo                              - All'impulso, alla primavera, al demonio... Che ne so, io?

Beatrice                         - (abbattuta) Daria!

Aldo                              - Altro che impegnata!

Beatrice                         - (smarrita) E... si amano?

Aldo                              - A simile altezza di ingenuità l'amore non è più necessario.

Beatrice                         - Ma... vogliono sposarsi?

Aldo                              - Lei non credo.

Beatrice                         - E allora che cos'è?

Aldo                              - Natura.

Beatrice                         - (improvvisamente si riscuote e corre da sua figlia, disperata) Daria! Daria! (Sulla soglia si arresta di colpo e si volta) Se ciò che mi hai raccon­tato è vero la colpa è tua.

Aldo                              - (protestando) E perché mia?

Beatrice                         - (tornando) « Un capolavoro di archi­tettura naturale»! Eccolo il capolavoro. «Un'istru­zione semplice, lineare, senza pesantezze, senza mu­sica... ». Altro che musica! « Musica leggera, di quella che piace al popolo, che è sano. Morte a Chopin e a Leopardi ». E il risultato è stato che mia figlia s'è innamorata di un elettricista. Innamorata? Neppure: gli si è data così, in un momento che l'istinto sano - parole tue - ha trionfato. (Uscendo disperata) Daria! Daria!

Aldo                              - Daria. Come la consegnerei volentieri a quel filosofo del cacciavite! (Entra Anna seguita da Giovanni).

Anna                             - Aldo. Aldo.

Aldo                              - Che c'è? (Rivedendo Giovanni, stupisce) Lei è ancora in casa mia?

Giovanni                       - Mi scusi: ma ho pensato che prima di andarmene sia meglio che io e sua figlia definiamo i nostri rapporti. E' necessario, creda.

Anna                             - S'era piantato in anticamera; ce l'ho trovato mentre congedavo il povero Remoli. Non dobbiamo far chiasso.

Aldo                              - (a denti stretti) Ha preso la mia casa per un campo di manovra? Per una città in preda al saccheggio?

Anna                             - Non gridare, ti prego.

Aldo                              - E' lo stesso: la servitù è stata la prima a capire tutto. In casa si può gridarlo. (A lui) Ah sì, adesso vuole definire i suoi rapporti...

Anna                             - (cow una certa energia) D'altronde è bene che Daria gli dichiari nettamente come la pensa.

Giovanni                       - Io dicevo che se per caso sua figlia volesse sposarmi, non potrei mica voltarle le spalle soltanto perché lei mi ha detto che sono un caccia­tore di dote. Ma se invece ha deciso di non vedermi più, dò la mia parola di gentiluomo di far finta di non averla mai conosciuta.

Aldo                              - Sì, cavalleresco, soprattutto. (Ad Anna) Tu conosci le sue intenzioni?

Anna                             - Le ho riparlato un momento fa: mi ha detto che nonostante tutto non potrà mai risolversi a sposarlo.

Aldo                              - E dunque?

Giovanni                       - (pronto) Sta bene. Ma voglio che me lo dichiari lei stessa, per essere certo di non doverci pensare più. Altrimenti dovrò fare in modo di par­larle. Quando me ne sarò andato la partita sarà chiusa.

Aldo                              - (in uno scatto) Le mando mia figlia. E poi mantenga la promessa di scordarsela, e ringrazi il demonio di essersela cavata così a buon mercato. (Lo squadra un momento) Comodo essere elettricista. (Esce).

Giovanni                       - Quante parole inutili! Scusi: mettia­moci a guardare la cosa come si deve. Lo scopo del matrimonio qual è? Il figlio. E il figlio come dev'essere? Sano, forte e intelligente. Le pare forse che un figlio mio e di Daria non sarebbe bello, sano, forte e intelligente?

Anna                             - Non si può sapere.

Giovanni                       - Sì che si può sapere.

Anna                             - Ad ogni modo il mondo non si può capo­volgere.

Giovanni                       - Lo dice lei.

Anna                             - Ha una sicurezza e un modo così strano di affermare! Eh, capisco che abbia osato ciò che ha osato.

Giovanni                       - Sì, lei capisce tutto.

Anna                             - Affatto. Ecco Daria. (Daria entra con atteg­giamento più sicuro).

Giovanni                       - Dovremmo ancora parlare un momento da solo a sola. Vuole?

Anna                             - (mentre si allontana) Non vedo che peri­colo tu possa correre, ormai.

Giovanni                       - Bisogna che mi dica che intenzioni ha.

Daria                             - Nessuna.

Giovanni                       - Voglio saperlo prima di andarmene. Se mi dice che è bell'e finito e che è stata una stupi­daggine, le dò parola che penserò ai fatti miei e me la scorderò. Me la scorderò per modo di dire... Si capisce, sì, insomma, me la scorderò. E' stata una stupidaggine?

Daria                             - No.

Giovanni                       - Allora è stata una cosa seria?

Daria                             - Sì, una cosa seria.

Giovanni                       - Lo credo. (Pausa) Dunque le ripeto che sono a sua disposizione. Nel caso che vedesse che non c'è di meglio a fare che diventare mia mo­glie, posso garantirle che avremo da vivere. Ho qualcosa da parte, col tempo potrò diventare pro­prietario di una piccola officina, e chissà che... Insomma si vedrebbe.

Daria                             - Vorrebbe forse che stessi nella sua bottega?

Giovanni                       - Non sarebbe necessario.

Daria                             - Io non posso sposarlo.

Giovanni                       - Va bene. Senta una cosa: se avrà un figlio?

Daria                             - (in un guizzo) Che dice?

Giovanni                       - Può succedere, no?

Daria                             - (tremando) Sì.

Giovanni                       - Dunque?

Daria                             - Allora lo sposerei.

Giovanni                       - Risposta secca. (Breve pausa; poi cauta­mente) E le piacerebbe avere un figlio da me?

Daria                             - (dopo averlo fissato) No.

Giovanni                       - Sicché non sente proprio nulla per me, E' stato un momento. Hanno ragione i suoi.

Daria                             - Sì, hanno ragione.

Giovanni -                     - Questa sincerità vale un tesoro. Ma

siamo intesi.

Daria                             - Intesi.

Giovanni                       - Addio. Oppure arrivederci. Secondo,

(Esce).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena del secondo atto. La cortina che divide i due salotti è tirata.

(Daria sonnecchia sui divano. Anna cammina avanti e indietro).

Anna                             - (arrestandosi a rimirarla) Senti, bambina cara: ne sei proprio certa?

Daria                             - Sì, zia.

Anna                             - Ma chi te l'ha detto?

Daria                             - La mamma lo aveva capito.

Anna                             - E tuo padre?

Daria                             - Ho pregato la mamma di farglielo sapere,

Anna                             - Semplicemente?

Daria                             - Sarebbe possibile nasconderglielo?

Anna                             - No, ma... sei straordinariamente calma.

Daria                             - Ho deciso di esserlo.

Anna                             - Una notizia che in altre circostanze avrebbe; riempito la casa di gioia! Una piccola creatura da' tenere in braccio, da cullare, c'è da struggersi dalla mattina alla sera! Gli occhietti, la boccuccia, la: vocina! (Mutando "bruscamente) Terribile. (Brevi pausa) Che accadrà? Ricomincerà lo scandalo; o meglio, è proprio ora che incomincerà. (Reagendo! Ma no, ma no, tu fra qualche settimana partirai con me e ce ne andremo nel Mezzogiorno. Poi vedremo. I tuoi genitori saranno del mio parere. Per forza, E anche tu, credo.

Daria                             - (ponendosi a sedere) Grazie, zia. Meni male che non ti è venuto in mente qualche espediente più sbrigativo.

Anna                             - (offesa) A me? Come puoi pensarlo? Ma un bambino non si può tenerlo nascosto in casa; 1 neanche una ragazza che deve averlo: ed è neces­sario trovare un'uscita.

Daria                             - Per liberarsene?

Anna                             - Non in senso assoluto, povero piccino.

Daria                             - Io starò dove sarà il mio bambino.

Anna                             - A qualunque costo?

Daria                             - A qualunque costo.

Anna                             - (con entusiasmo improvviso) Ecco dove noi donne diventiamo sublimi.

Daria                             - Dove diventiamo donne.

Anna                             - Sì. Ma sai che sto pensando? Che si potrebbe dire che è un mio figlio adottivo. Non ne ho mai avuti e li ho sempre tanto desiderati, questi angeli, anche quando, dopo la perdita di mio marito i dovetti rinunciarvi per sempre! Tutti crederanno.

Daria                             - Tutti capiranno.

Anna                             - Ah che situazione! Con dei regali, a forza di buone maniere, perdonando Angela e conceden­dole di uscirsene tutte le sere avevamo ottenuto dalla servitù - Angela, figuriamoci, continua a sognare di diventare contessa - avevamo ottenuto, dico, che nulla trapelasse fuori di casa, ed eccoci daccapo di fronte al pericolo, dieci volte ingrandito, questa volta.

Daria                             - Ti confido una cosa: ho scritto un biglietto a Giovanni.

Anna                             - All'elettricista? No, scusa, a... sì, a lui? Ma perché?

Daria                             - Perché dovrà sposarmi.

Anna                             - Daria!

Daria                             - Questo è il nostro patto. Lo mantengo.

Anna                             - Davvero?

Daria                             - E vivremo insieme col nostro bambino.

Anna                             - Daria!

Daria                             - Non qui con voi, si comprende.

Anna                             - E' lo stesso. Quasi. Che cambiamento di scena! Non dico che loro si fossero adattati... a ciò che è accaduto: ma ormai si erano in un certo modo abituati a considerarti una ragazza emancipata... E, anzi, non so chi di loro due aveva detto che avre­sti potuto studiare pittura, canto, fare l'attrice... e chissà...

Daria                             - L'attrice? Il palcoscenico non mi piace. Che mestiere è quello di ripetere le parole degli altri? Di pittura non capisco nulla. Sono una ragazza moderna.

Anna                             - Anche come ragazza moderna mi stupisci per la tua tranquillità.

Daria                             - Se è deciso!

Anna                             - Deciso da te. Sembri addirittura contenta di avere appreso di essere incinta.

Daria                             - (dopo un -momento) Sì, certo.

Anna                             - (dopo essersi passata più volte la mano sulla fronte) Peccato che tutto questo mi sembri pazzia.

Daria                             - Noi ci ritroviamo sempre, zia.

Anna                             - Perché, vedi, pazzia a parte, qui c'è qual­cosa di bello, di semplice, di grandioso. E di pro­fondamente onesto. Ma preferirei appunto vederlo sul teatro o in un romanzo.

Daria                             - Lo suggeriremo a qualcuno di quelli che scrivono libri. Per ora aiutami a fare il salto, a per­suadere loro di evitare la lotta. Tu devi darmi ragione.

Anna                             - Io? E con quali argomenti?

Daria                             - Non trovi questo profondamente onesto?

Anna                             - Ma di un'onestà troppo bruciante per la mia epidermide. (Compaiono Aldo e Beatrice, restando qualche momento silenziosi).

Aldo                              - (cupo) Sta bene. Abbiamo deciso che per intanto partirai.

Anna                             - Era già venuto in mente a me, com'è logico; ma sembra che... (Scuote il capo).

 Beatrice                        - Vedi con quale straordinaria calma papà ha accolto la notizia?

Aldo                              - La mia calma!

Beatrice                         - Mostra di comprenderlo promettendo di fare quello che noi decideremo per il bene di tutti.

Aldo                              - Per il bene!

Beatrice                         - Per il meno peggio, volevo dire. Lo prometti?

Anna                             - (visto che non risponde) Miei cari, la fac­cenda è seria.

Aldo                              - Hai paura che non lo sappia?

Beatrice                         - Come mi sento invecchiata da tre mesi a questa parte!

Aldo                              - (irritato) Non fai più i tuoi bagni freddi, non cammini quasi più, non esci; sfido.

Beatrice                         - Mi stanco. Del resto, mi stancavo anche prima. E tu non hai smesso di montare a cavallo?

Aldo                              - Perché è ammalato. Parliamo di lei.

Daria                             - Papà, mamma, ho deciso di sposare Gio­vanni.

Anna                             - L'ha varata.

Aldo                              - (cercando di restare calmo) Hai deciso? In che senso?

Anna                             - Il senso è uno.

Beatrice                         - (smaniando) Ma no, ma no, noi non vogliamo, è inammissibile.

Aldo                              - Spero che tu abbia detto per scherzo. Ma di scherzare non è il caso, credo.

Daria                             - Ho detto sul serio, papà. Mio figlio deve avere un padre.

Aldo                              - (alteratissimo) Un padre... sta bene; ma non un padre che tu dovrai sposare. Neanche se tra voi fosse accaduto non so che cosa e...         - (Termina annaspando).

Beatrice                         - Aldo...

Aldo                              - Straparlo, me ne accorgo. Ma voglio dire... Ah che bella, bella parentela dovremmo acquistare! (Energico) No. Non accordo la mano di mia figlia a quell'elettricista mancato.

Anna                             - (tra sé) Il fatto è che si è già preso il resto.

Daria                             - Ricordi, mamma, che cosa ti dissi quel giorno?

Beatrice                         - E' assurdo.

Aldo                              - No. Quali siano i rimproveri ch'io possa muoverle, non permetterò a quella che devo per forza continuare a chiamare mia figlia, e che porta il mio nome, una scempiaggine simile.

Beatrice                         - Daria, rifletti: ci siamo anche noi in questo mondo.

Daria                             - Me ne dispiace molto. (Trasalendo) Oh, mamma, perdonami; volevo dire che non mi pare una ragione perché io abbandoni mio figlio.

Beatrice                         - (trepidando) Nessuno ha detto che dovrai abbandonarlo. Io stessa... puoi immaginare se... Lo collocheremo.

Daria                             - E non dovrà saper mai che sono sua madre?

Aldo                              - Ebbene glielo dirai... glielo diremo; ma più tardi, quando sarà cresciuto, quando, evolven­dosi un altro poco i tempi, si potrà far senza che il mondo debba impallidire dallo stupore.

Daria                             - (mentre Anna si meraviglia di Aldo) Voi che dicevate di essere all'altezza dei tempi e di am­mirare i gusti del popolo sano.

Aldo                              - In quanto ai gusti del popolo non c'è nulla da ridire; non poteva scegliere meglio, il popolo. Sono i tuoi gusti che... Ma è inutile parlarne. (Scat­tando) D'altronde: dove prendi il coraggio di assu­mere codesto tono?

Daria                             - (pregando) Papà...

Anna                             - (crollando il capo) E' proprio il tono di questa strana discussione che, secondo me, andrebbe cambiato.

Aldo                              - Sei per caso passata dalla sua parte? Sarebbe enorme.

Beatrice                         - Siamo noi i genitori, Anna.

Aldo                              - M'è venuto fatto di dubitarne.

Anna                             - Hai torto, ti somiglia. E se, per esempio, Daria fosse stata mia figlia, credo che questa conver­sazione non avrebbe avuto luogo.

Aldo                              - Ti ringrazio.

Beatrice                         - Anch'io, molto.

Anna                             - Ma essendo vostra faglia ed allevata come sapete...

Aldo                              - Me lo hai già detto e ripetuto. Basta. Scioc­chezze. Io avevo voluto una figlia forte e sana, senza cascaggini sentimentali.

Anna                             - Allora eccola. Senza poesia.

Aldo                              - Poesia d'altro genere; nessuno ha mai messo in versi certe cose.

Anna                             - Qualcuno potrà risponderti che non tutta la poesia è in versi.

Daria                             - Grazie, zia, proprio così.

Aldo                              - (con ira) Questa, poesia?

Daria                             - Vita.

Anna                             - Vita... moderna. (A Daria) Non so come mi venga fatto di parlare così: io la penso come loro, in fondo.

Beatrice                         - E ti metti contro di noi.

Anna                             - E' più forte di me.

Beatrice                         - Così non so come potremo costrin­gerla a ragionare.

Anna                             - Neppur io, lo confesso.

Aldo                              - Enorme, assurdo, ripeto, che proprio tu che avresti voluto mandare a morte le manicure e cospargere le spiagge di acido solforico, sia giunta a considerare con tanta disinvoltura questa tremenda situazione.

Anna                             - Si vede che gli estremi si toccano anche quando facciamo degli sforzi per tenerli lontani. Questo bambino che dovrà nascere... (Non osa continuare. Pausa).

Daria                             - (ad Aldo) Mi ricordo che un giorno, anni fa, mi dicesti: « Bisogna sviluppare appieno gli istinti! sopra il terreno solido della perfetta salute fisica: questa stessa salute farà da controllo alle azioni, Ecco tutta la mia morale ».

Beatrice                         - Dicevi davvero così?

Aldo                              - Se lo dicevo non puoi ignorarlo. Ma è chiaro che quel controllo a un certo punto è stara spezzato.

Anna                             - Sempre effetto di troppa salute.

Aldo                              - (in un nuovo accesso) Allora, secondo te,| chiunque avrebbe potuto approfittare di lei?

Daria                             - (ribellandosi) Chiunque no.

Beatrice                         - (con voce tremante) Voglio ripeterti una domanda, e questa volta rispondimi: lo ami?

Daria                             - Ho capito che è il compagno che mi ci vuole. Io appartengo ad un'altra classe, ho perfino del sangue nobile nelle vene, come si dice, ma..,

Aldo                              - (interrompendola) Bella fine!

Daria                             - ... ma Giovanni dev'essere l'uomo che fa per me; altrimenti non avrebbe potuto attrarmi.

Beatrice                         - Mi sento male. (Ad Aldo) Sebbene, bada, certi discorsi mi ricordino sempre molto i tuoi. Ah mio Dio! (Si sente male).

Aldo                              - (sostenendola) Beatrice.

Anna                             - (brontolando) Daria è logica, non c'è che dire.

Aldo                              - Perché non lo dicesti subito che è il com­pagno che ti ci vuole invece di lasciare che lo met­tessimo alla porta?

Daria                             - Pensavo a voi, ai parenti, ai conoscenti, ai discorsi che si sarebbero fatti, e pensavo anche a me stessa.

Aldo                              - Ora invece pensi a... Giovanni.

Daria                             - Penso al bambino che dovrà giungere; e questo mi ha dato il coraggio d'interrogarmi bene: a fondo e di accettare, di conseguenza, ciò che prima i mi spaventava ed avevo respinto.

Beatrice                         - Ma per accettarlo senza spavento è necessario che... (Lo scruta).

Daria                             - Che lo ami? Ebbene, sì, se volete saperlo. Ho finito con l'accorgermi che lo amo anche; vuol dire che a poco a poco mi sono fatta un'anima da sartina o sarò addirittura nata così. Che farci?

Anna                             - (con slancio) Sposarlo e andartene pei fatti tuoi?

Daria                             - E' quello che farò. (Esce lentamente).

Anna                             - (seguendola fin sulla soglia) E tuo padre penserà a dargli una posizione. (Volgendosi a loro, rimasti attoniti) E' un giovane forte, sano, sveglio, e con della buona volontà chissà che non riesca a dare dei punti a molti. Per conto mio, se Daria ha deciso li aiuterò. E comincerò col mantenere il proponimento di regalarle i miei brillanti il giorno delle nozze.

Aldo                              - Tu loro complice? Tu?

Anna                             - Alleata; perché sono i più forti. (Se ne va a sua volta).

Beatrice                         - (desolata) La nostra Daria finire nelle mani di un operaio.

Aldo                              - Mai.

Beatrice                         - (dopo un momento) Ma come potremo impedirglielo se lo ama e ha deciso?

Aldo                              - Niente dote, per cominciare.

Beatrice                         - Ma poi?

Aldo                              - Poi vorrò vederla in pianelle e col mestolo in mano.

Beatrice                         - (avendo riflettuto di nuovo) Quel gio­vane sarà davvero molto ordinario? Chissà se non potrebbe migliorarsi. D'aspetto non è sgradevole.

Aldo                              - Finirai per dirmi che piace anche a te. Capite che cosa può combinare oggi un bel giovane? Un bel giovane oggi può sposare chi vuole; anche una ragazza bella, nobile e ricca. Basta che non abbia un centesimo ne un briciolo d'istruzione e di edu­cazione e che sappia scegliere. Che tempi!

Beatrice                         - Se Daria è irremovibile, abbandonarla senza nulla non possiamo.

Aldo                              - Dire che disponeva di trenta milioni di dote! E che sognavo per lei un costruttore, un inven­tore, un grande uomo politico... insomma un uomo ricco di energia, e invece... (Scoppia a ridere).

Beatrice                         - Però questo Giovanni non dev'essere privo di energia. (Sussultando) Qual è il suo co­gnome?

Aldo                              - Non ricordo; Rossi, mi pare. (Disperandosi) Daria Rossi!

Beatrice                         - (soppesando) Daria Rossi. Non stona neppure tanto.

Aldo                              - Te ne accorgerai.

Beatrice                         - Che cosa possiede questo ragazzo? Una bottega da elettricista? Si vede che in fondo sa fare, sa arrangiarsi. (China il viso, repentinamente avvi­lita, ma subito si scopre) Ce ne vuole del coraggio a guardare in faccia una simile realtà.

Aldo                              - Se un momento fa la realtà ti faceva svenire.

Beatrice                         - Quel bimbo, capisci. Io finora non ho voluto quasi pensarci: ma sarebbe nostro nipotino, le assomiglierebbe, potrebbe somigliare anzi a uno di noi due, essere magari il tuo ritratto.

Aldo                              - Avrei preferito un pittore di grido, per farmi il ritratto, invece di un elettricista. E che vor­resti? Che gli aprissi una fabbrica di apparati elet­trici, di radio, di ascensori?

Beatrice                         - Non so... magari in piccolo, per comin­ciare. Poi, se si vedesse che ci sa fare...

Aldo                              - Trasformare la mia azienda in società e nominarlo consigliere delegato?

Beatrice                         - Si sono viste certe metamorfosi in questi ultimi anni! Gente che dal nulla assoluto è divenuta padrona di decine di fabbriche o di mezze città.

Aldo                              - Città di film americani, cioè della luna.

Beatrice                         - E se ci avessimo vissuto noi nella luna nonostante la nostra modernità? Veramente io non tanto, riguardo nostra figlia: anzi, me n'ero accorta che scendeva, che cambiava modi, che perdeva la nostra educazione per acquistare un certo piglio; ma a te piaceva, ne andavi matto.

Aldo                              - Ricominci a rimproverarmi? (Entra Pietro e si ferma sulla soglia) Che c'è?

Pietro                            - C'è il signor Bianchi.

Aldo                              - Il signor Bianchi chi è?

Pietro                            - L'elettricista.

Aldo                              - (alla moglie) Bianchi?

Beatrice                         - Non avrà cambiato nome; si vede che hai sbagliato tu.

Aldo                              - (dopo un momento di perplessità) Che cosa vuole?

Pietro                            - E' stato chiamato dalla signorina: ma la signorina mi ha detto di farlo parlare con loro.

Aldo                              - Ah sì? Benissimo. (Lo osserva) Ma che cos'ha? Che significa quel viso?

Pietro                            - Nulla: considerazioni, considerazioni.

Aldo                              - (a Beatrice) Si sente male?

Pietro                            - Sono triste. Angela se ne va, diventa con­tessa. Se ne va! (Se ne va lui pure).

Aldo                              - (dopo un attimo di stupore, gridando) Fac­cia passare il signor Rossi!

Beatrice                         - (quando Pietro è uscito) Che facciamo? Parla.

Aldo                              - (sarcastico) Lo ha mandato a chiamare. Cammina dritta allo scopo, ormai; senza guardarsi attorno. Che forza! (Con rammarico) Peccato. (Gio­vanni entra. Vestito a nuovo, ben rasato, abbastanza elegante. Appare perciò anche un po' diverso nel dire e nel fare. Saluta con sufficiente disinvoltura) Si accomodi.

Giovanni                       - Grazie. (Siede. Quindi, con un leggero sorriso di contento) Appena ricevuto il biglietto di Daria sono venuto subito.

Aldo                              - (con calma e distacco) Ha fatto bene. Ma io vorrei rivolgerle la preghiera di rinunciare a spo­sarla. Se mi fa questa grazia gliene sarò riconoscente.

Giovanni                       - (dopo essere rimasto sorpreso) Vorrei prima sapere che ne penserebbe Daria. Scusi, non posso.

Aldo                              - E' suo padre che le parla.

Giovanni                       - Ma lei mi ha scritto.

Beatrice                         - Sì, va bene, perché erano rimasti intesi... Ma Daria, non se ne abbia a male, è troppo, troppo diversa da lei. Rifletta, la prego, signor Rossi.

Giovanni                       - Bianchi.

Beatrice                         - Oh perdoni. (Con stizza) Chi mi ha ficcato in mente questo cognome! (Di nuovo calma) Rifletta, signor Bianchi.

Giovanni                       - Per me penso che con un po' di pa­zienza e di vita comune diventeremo uguali.

Aldo                              - Tanto più che non le darò una lira di dote.

Giovanni                       - (accigliandosi) Lei continua a pensare che io sia un cacciatore di dote, come si dice?

Aldo                              - Tutt'altro, tutt'altro: ed è per questo che dico e ripeto che di dote non ve ne sarà.

Giovanni                       - D'accordo. E adesso potrei parlare con Daria? Mi ha scritto di venire, come le ho detto, e me ne ha dichiarato il perché.

Aldo                              - (dopo un po' di silenzio) Ebbene, senta, signor Bianchi: niente dote, già che siamo d'accordo; per contrapposto le offro ciò che vuole se rinuncia a mia figlia. Ciò che vuole. Accetti, glielo consiglio.

Giovanni                       - (levandosi) Neanche se mi offrisse una cifra con dieci zeri.

Beatrice                         - Ho capito, bisognerà rassegnarsi ad averlo per genero.

Giovanni                       - Con un genero come me, signora, non faranno mai delle brutte figure. Non ho mai combi­nato pasticci, non ho mai firmato una cambiale, non ho mai dovuto pagare una multa, neppure per aver attraversato la via prima del segnale. Filo diritto.

Beatrice                         - Sta bene, segga.

Giovanni                       - Grazie. (Torna a sedersi composto) Del resto, in questo periodo ho pensato a sistemare meglio i miei affari. Avevo qualcosa da parte, ho rilevato un'officinetta - per ora soltanto cinque operai, sei con me - e mi sono accorto di non aver sbagliato. C'è da vivere con ordine per tre persone. Non ho voluto essere colto alla sprovvista.

Beatrice                         - (stupita) Ma come, lei?

Giovanni                       - Sì, lo sentivo. Sono cose che a volte si sentono. Ad ogni modo, anche nel dubbio...

Aldo                              - Quindi tutto disposto per ricevere l'erede.

Giovanni                       - Ma devo dire un'altra cosa: Daria è una donna istruita, e alla fine potrebbe magari sec­carsi di avere un marito ignorante come me...

Aldo                              - (afferrando la frase) E' questo che ci spa­venta, glielo confesso lealmente, visto che lei stesso lo ammette. E mi creda: sarebbe cento volte meglio che accettasse la mia offerta. La sua officinetta po­trebbe così diventare subito uno stabilimentino e, al tempo stesso, lei restare libero come un uccello e in condizioni di scegliersi una compagna meno... im­provvisata.

Giovanni                       - Stavo per dire che ho cominciato ad istruirmi. Un po', insomma. Leggo. Si capisce, non dei romanzi da sartine.

Beatrice                         - (scettica, sospirando) E che cosa?

Giovanni                       - (modestamente) Per esempio, ho letto la storia d'Egitto. Bella. Ma quei Faraoni, che tipi.

Beatrice                         - (crollando il capo) E già: i Faraoni erano... Faraoni.

Aldo                              - L'ha presa di molto lontano.

Giovanni                       - Va bene, sì; ma ho letto anche la fisica del globo. Quante cose da conoscere! Ma questi sono libroni comprati su un carretto, tanto per cominciare; in seguito vedremo. Ci penserò.

Beatrice                         - (tra se) Che cosa sarà mai la fisica del globo?

Aldo                              - La storia d'Egitto, la storia del mondo… (Dopo averlo un po' guardato) Ha attitudine allo studio? Quanti anni ha?

Giovanni                       - Ventiquattro.

Aldo                              - (un po' astratto) Sì, ma... che cosa crede di poter fare alla fine con un'officinetta di cinque operai, sei con lei? Ci vuol altro! Daria è abituata a vivere ben diversamente. E sarà pur necessario riceverlo, qualche volta, presentarlo.

Beatrice                         - (con un altro lungo sospiro) Eh sì, que­sto almeno sì. Non potremo mica rinunciare a vedere qui nostra figlia.

Aldo                              - Di conseguenza...

Giovanni                       - ... verremo, se sarà necessario; verrà Daria. Per me, in questo, non vedo difficoltà.

Aldo                              - Capisco, ma allora sarà pur necessario,., non so... pensare di costruire per lei un piccolo sta­bilimento... comprarlo... Perché stia in ufficio, se non altro, e non si sporchi le mani.

Giovanni                       - (guardandosele) Eh, se uno lavora al banco...

Aldo                              - (con più forza) Appunto, non lavorerà più, Questa è la minima condizione che posso imporle, (Allargando le braccia) Capisco proprio che del tutto intransigenti non è possibile rimanere. C'è anche la gente, il mondo.

Giovanni                       - Vorrei vedere Daria. Si può?

Aldo                              - Mettiamoci prima d'accordo almeno su questo punto. Sta a vedere che adesso mi toccherà perfino di pregarlo.

Giovanni                       - (con fermezza) Le ripeto che io non sono un cacciatore di dote, come si dice; e anche lo stabilimentino può tenerselo. Daria no; perché deve essere mia moglie.

Beatrice                         - (ad Aldo) Bel risultato.

Giovanni                       - E mia moglie e mio figlio, o figlia che sia, vivranno del mio lavoro. Già stabilito prima.

Aldo                              - (indignato) Come? Noi cerchiamo di met­terlo in condizioni di poter sposare decentemente nostra figlia, e lei, in compenso, assume quell'atteg­giamento? Mi faccio tagliare... i capelli se ve nel mondo un tipo che si permetta un lusso simile.

Giovanni                       - Perché dovrei accettare dal momento che Daria mi sposerà lo stesso?

Aldo                              - Ah, ne è certo? (Ride).

Giovanni                       - Ma non c'è il bambino? Dico, che vor­rebbero farne del mio bambino se io e Daria non ci sposassimo?

Aldo                              - Il suo bambino? Piano.

Giovanni                       - Lo metterebbe in dubbio?

Beatrice                         - No no; soltanto che Daria avrebbe il diritto di tenerselo per sé. Ecco il vantaggio, final­mente.

Giovanni                       - Eh, vorrei vedere. Mio figlio l'ho fatto io e mi appartiene. (Daria entra e si ferma a stu­diarli. Giovanni facendo un passo) Daria.

Daria                             - Giovanni.

Beatrice                         - (« voce bassa) Daria, Giovanni. Pare un sogno.

Daria                             - Come stai?

Giovanni                       - Bene, come vedi.

Daria                             - Mi sembri un po' cambiato. Perché?

Aldo                              - Ha letto la storia dei Faraoni.

Daria                             - (dopo un momento, comprendendo) Ah. (Sorride).

Aldo                              - Cara Daria, vista la tua terribile ostina­zione, avevamo deciso di passare ormai su tutto, e di concludere secondo il tuo desiderio; ma ho paura che questo matrimonio non sia lo stesso possibile.

Daria                             - Perché?

Beatrice                         - Potrai adattarti a vivere come la moglie di un operaio?

Daria                             - Non mi darete la dote. Capisco.

Beatrice                         - E' lui che la rifiuta. Rifiuta tutto.

Daria                             - Rifiuta?

Aldo                              - Vorrebbe che ti adattassi a vivere dei pro­venti del suo lavoro. Ha acquistato una piccola offi­cina, e con quella penserebbe di tirare avanti. (A lui) Di quante stanze sarà il vostro appartamento?

Giovanni                       - Di tre, per adesso.

Daria                             - Tre stanze?

Giovanni                       - La camera, il tinello, la cucina e il bagno.

Daria                             - Grazie per quest'ultimo.

Aldo                              - Soddisfatto del risultato?

Giovanni                       - Non accetti?

Daria                             - Perché vorresti costringermi a vivere in modo così strano? Non è necessario.

Giovanni                       - Potremmo prendere una stanza di più, a trovarla, s'intende; ma senza mobilia, pel momento; tutto quel che avevo l'ho impegnato nell'officina.

Daria                             - Caro, non si tratta di una stanza di più, ma di molte altre cose indispensabili. Inoltre, non vedo la ragione che il mio bambino debba essere allevato nelle ristrettezze.

Giovanni                       - Io sono povero e non posso essere il marito di una donna ricca. Le tue abitudini e i tuoi begli abiti mi ridurrebbero a non sapere più come comportarmi, e la faccenda non camminerebbe. Poi dovrei a te uno stabilimentino, che tuo padre mi ha offerto, magari un'automobile... (Ridendo) Sarebbe proprio da ridere.

Aldo                              - Bisognava pensarci prima a non crearsi una situazione così disagiosa.

Beatrice                         - Certo che dover sopportare di posse­dere un'automobile...

Giovanni                       - Signora, per me è proprio così; sop­portare di possederla.

Daria                             - Io la capisco la tua pretesa: ma come vuoi che mi adatti? E poi perché?

Giovanni                       - Daria, la tua dote e il denaro di tuo padre io non li voglio.

Beatrice                         - E' certo che suo figlio, crescendo, ap­proverebbe tutta questa superiorità?

Giovanni                       - Dipenderà dal modo di formargli la testa.

Daria                             - Insomma, Giovanni, vorresti che mi adat­tassi a vivere la tua vita d'ora in ogni particolare?

Beatrice                         - (sempre ironica) Vita cui potrebbe be­nissimo adattarsi lei, e modificare un poco le sue abitudini.

Aldo                              - (altrettanto ironico) Un po' di sacrificio, diamine!

Giovanni                       - Ho già detto che voglio migliorare la mia posizione; ma non per forza e tutto d'un colpo. Cambierò la mia vita da me a poco a poco, mentre Daria mi verrà incontro. Non è logico?

Aldo                              - Ecco, sì: mentre lei s'istruirà e per mezzo dell'officinetta si arricchirà, Daria disimparerà ad essere una donna bene educata. Così un bel giorno v'incontrerete.

Giovanni                       - (senza scomporsi) Metà strada per uno.

Daria                             - (dopo breve silenzio) Io sono una donna moderna, semplificata, che ubbidisce ai propri im­pulsi, ma adattarmi a vivere senza persone di servizio, senza la mia camera, il mio bagno, una tavola appa­recchiata con proprietà ed essere costretta a non fre­quentare più del tutto le persone del mio ceto, credo sia al disopra delle mie forze.

Beatrice                         - E' davvero molto più agevole salire che scendere.

Daria                             - Ti ho capito benissimo e sento che ti am­miro... vali più di quanto non avessi immaginato, sì, questa è vera superiorità... ma temo di non avere la capacità di adattarmici.

Beatrice                         - Ha preso mia figlia per un animale da addomesticare dentro una gabbia di tre metri qua­drati?

Giovanni                       - (con impeto improvviso) Mi diano sei o sette mesi di tempo, e per ora rimandiamo il ma­trimonio.

Aldo                              - Ottimamente.

Daria                             - E che farai in sei o sette mesi?

Giovanni                       - Mi metterò in condizione di darti tutto quel che hai ora. Lasciatemi fare.

Beatrice                         - Neppure se assalisse una banca ci riu­scirebbe.

Aldo                              - Lasciamo che provi. (Tra se) Prova, caro.

Beatrice                         - Ad assalire una banca?

Daria                             - Papà, aiutami a convincerlo, piuttosto.

Aldo                              - Più di ciò che gli hai detto tu. (A Giovanni) Ad ogni modo, complimenti sinceri.

Daria                             - (fregando intenerita) Ascolta papà e mam­ma, che ora ti stimano, non vedi? Sei un bravo ra­gazzo, nessuno penserà male di te.

Giovanni                       - Ringrazio di cuore, ma è impossibile.

Daria                             - Neanche per il bambino lo faresti?

Giovanni                       - La ricchezza, se proprio ti è necessaria - se userà sempre diventare ricchi - voglio met­terla insieme da me. Come si fa ad essere liberi ma­novrando il denaro che non si è guadagnato?

Beatrice                         - Non si fa altro al mondo.

Giovanni                       - I tempi cambiano.

Aldo                              - (con ironia quasi gaia) Ma è una perla!

Beatrice                         - Esplosiva. La vita di nostra figlia va in aria.

Giovanni                       - E vorrebbero che a ventiquattro anni, con queste braccia e il mio bisogno di vita libera, mi adattassi ad un matrimonio simile? Appena avuto il denaro l'amore sparirebbe, ne sono certo. Per me scelgo l'amore e la libertà. E tu?

Daria                             - (combattuta) Non posso piegarmi alla tua volontà. Che cosa farò quando non...

Giovanni                       - E che cosa farai se non ci sposeremo?

Daria                             - Andrò a nascondermi in qualche luogo.

Giovanni                       - Ma io ti scoprirò e ogni tanto verrò a vedere il mio bambino.

Daria                             - E' un ricatto questo. (Subito) Ma ci terresti davvero ch'io non fossi più attraente e ti piacessi meno?

Giovanni                       - Mi piacerai forse di più.

Daria                             - Mi hai conosciuta elegante, abituata ad una vita diversa...

Giovanni                       - Difatti, eri elegantissima, ma era un vestito da pochi soldi. Me lo ricordo.

Daria                             - (ammettendo) Ricordo; di quei vestiti ne ho un repertorio; perché da tempo mi piace andare ogni tanto in mezzo alla gente semplice come quel giorno.

Giovanni                       - Quel repertorio, se ci sposeremo, sarà il tuo corredo.

Daria                             - (con veemenza) Sei sempre stato un pre­potente fin dal primo momento che mi hai vista. Chi credi di essere?

Giovanni                       - Giovanni Bianchi, elettricista.

Daria                             - Ne sposerò un altro, allora.

Giovanni                       - Un altro che per amore della tua dote si adatti a... (Tace guardandola).

Daria                             - (in un guizzo di ripugnanza, disarmando) Non so davvero come potrei.

Giovanni                       - Eppure un giorno o l'altro accadrebbe, se non ci sposassimo.

Daria                             - No, taci.

Aldo                              - (scattando verso Giovanni) Perdinci, ma è possibile che non capisca... (Si arresta) Questo non è un uomo, è un muro.

Giovanni                       - Sul quale non sarà mai permesso a nessuno di scrivere la parola scroccone.

Daria                             - Taci, ho detto.

Giovanni                       - Ascolta, dunque; vieni qui.

Daria                             - (accostandosi un poco) Che cosa vuoi?

Giovanni                       - Qui vicino a me.

Beatrice                         - La comanda come un cagnolino.

Daria                             - Parla.

Giovanni                       - (chiudendola fra le braccia) Stai qui.

Beatrice                         - Che cosa fate?

Aldo                              - Avranno bisogno del nostro permesso, ora!

Giovanni                       - Non stai forse bene qui?

Daria                             - (senza muoversi) No, non sto bene.

Giovanni                       - (aprendo le braccia) Vai.

Daria                             - (restando sul suo petto) E dove? A cercarmi un altro marito? Sarebbe bella. Certo che sono capitata male. Ma non c'è rimedio.

Giovanni                       - Non c'è rimedio.

Daria                             - Perciò rimarrò qui. Pazienza. (Si stringe a lui).

Aldo                              - Fate ciò che vi garba: ma non saliremo mai le vostre scale.

Giovanni                       - (facendo una carezza a Daria) Sai, c’è l'ascensore. (Anna rientra recando un grande astuccio dove luccicano molti gioielli).

Anna                             - Daria, guarda.

Aldo                              - Non ti scomodare, Anna.

Anna                             - Sarebbe a dire?

Aldo                              - Non accetta: è un puro.

Anna                             - Un puro? E di che specie?

Aldo                              - Di una specie nuova, non ancora identificata.

Anna                             - (a Giovanni) Anche i miei brillanti son puri; osservali, caro. Chi resiste a tentazioni simili

Giovanni                       - A tutte le tentazioni.

Anna                             - (protestando) Eh no, diamine.

Aldo                              - Purtroppo.

Anna                             - Ci sono anche due zaffiri. Non sono belli Osserva.

Giovanni                       - (fissando gli occhi di Daria) Ma questi sono più belli.

Beatrice                         - Vorrò un po' vedere se quando moriremo potrà obbligarla a rifiutare l'eredità.

Anna                             - (chiudendo l'astuccio) Capace di tutto, ormai.

Giovanni                       - L'eredità. Che idea triste! Noi pensiamo a oggi, alla vita. (Con un bel sorriso cordiale) Cento anni di salute a tutti. (Si abbracciano).

FINE