Siamo momentaneamente assenti

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SIAMO MOMENTANEAMENTE ASSENTI


Due tempi

di Luigi Squarzina

Personaggi:

GIULIO, scrittore

ALBERTA, sua moglie

GIANLUCA, loro figlio

MIZZI, moglie di Gianluca

CRISTINA, amica di Alberta

EFFE EFFE, regista

Scene:

L’atrio di una bella casa in un quartiere isolato della capitale. Un atrio che è un vasto soggiorno. Siamo a. pianoterra, fuori c’è un giardinetto. L’ingresso dall’esterno e la finestra sono sul fianco sinistro. La porta di casa è un po’ in quinta, con un piccolo spazio d’accesso. Sulla destra una porta va verso la cucina e una verso altre stanze. Al centro una scala sale a un pianerottolo da cui si accede alle stanze di sopra, da due lati. Tavolo con sedie, divano, librerie, tavolino, altre sedie, telefono, quadri, uno specchio, ecc. Sono le otto e mezza di sera.


PRIMO TEMPO

Rumore di chiavi. Entrano Giulio e Gianluca con valigie, soprabiti, ecc.

GIANLUCA - No, papà.

GIULIO -       Ci viene incontro, vedrai.

GIANLUCA - (che ha le chiavi in mano) Papà.

GIULIO -       Sentiamo se sta scendendo. (chiama) Alberta! (dopo un’attesa) Non ci ha sentiti. Vado su a vedere. (Gianluca si mette davanti alla scala) Sali anche tu? Togliti.

GIANLUCA - Se ragioni.

GIULIO -       Togliti di lì! (vuole spingerlo via) Alberta! Tana! Tana, topino! (Gianluca resiste. Finisce che si picchiano. Giulio si ritrova sbattuto su un gradino)

GIANLUCA - (va a chiudere la porta) In aereo avevi le fumane. Non vedevi l’ora di arrivare, di entrare in casa per questo… per… (scuote la testa)

GIULIO -       Senza potermi abituare all’idea!

GIANLUCA - All’idea di perderla? Avresti preferito?

GIULIO -       Forse è stato meglio così. (grida a mezza voce) Tana!

GIANLUCA - Beh?

GIULIO -       Quando tornavo a casa… tu non c’eri ancora o eri piccolo… entravo, gridavo: “Tana, topino!”, lei mi rispondeva: “Tana, topone!”, e finivamo… Era bellissimo.

GIANLUCA - Adesso in genere ti grugniva: “Ah, sei qui”.

GIULIO - E a te? “Ecco l’assistito”. (squillano le sirene)

GIANLUCA - L’allarme! (corre a spegnere l’impianto aprendo uno sportellino e infilando una chiave)

GIULIO -       Eppure lo sai che Fatima in questo non sgarra. Ammaestrata da lei.

GIANLUCA - Guarda. (sopra un tavolino accanto alla porta d’ingresso c’è un cappellino) Lo aveva in mano la sera… (Giulio si alza e si avvicina. Guarda il cappellino senza toccarlo)

GIULIO -       Se li preparava sempre lì, i cappellini per uscire. Si vede che Fatima lo ha recuperato.

GIANLUCA - Le stava buffo.

GIULIO -       Le stava bene.

GIANLUCA - Bene ma buffo.

GIULIO -       Buffo ma bene. (si allontanano dal tavolino) Le otto e tre quarti. Una settimana fa, fra un quarto d’ora, stavamo uscendo con lei… “Possibile? Andavate a una cena, e lei…” “Appena fuori casa?” “Quanto ha tardato l’ambulanza?” “Non ha ripreso conoscenza?” E la domanda più imbarazzante è stata su a Trieste: “E le sue ultime parole prima di sentirsi male?” Ci è toccato far finta di averle dimenticate. Per carità di famiglia.

GIANLUCA - “Però che casino, gente!” Mentre uscivamo, lei al solito aveva ancora i bigodini in testa…

GIULIO -       Ci stava elencando le situazioni in sospeso…

GIANLUCA - Tu le hai detto che ti sentivi strano…

GIULIO -       Io? Sì. Mi pare. Un formicolio al braccio.

GIANLUCA - E lei, invece di risponderti, si è piegata in due.

GIULIO -       E siamo rimasti con quel bel: “Che casino, gente!”

GIANLUCA - Tu come conti di andartene? Esclamando nobilmente: “Più luce”?

GIULIO -       Se stai citando Goethe ti avviso che è una balla. Spirò dicendo alla nuora Ottilia: “Dammi la tua zampetta.” E io, così, mi ci vedrei…

GIANLUCA - Con Mizzi? Ti Ci vedi con Mizzi? Per fortuna, a quel punto, tua nuora non sarà più tua nuora da un pezzo. È passato già uno degli anni di legge. E non ce ne sarà un’altra. La nipotina te l’ho già data.

GIULIO -       Povera Carolina. Senza la sua nonna.

GIANLUCA - E con quell’altra nonna. Quando la bambina saprà… Io non ero favorevole a nasconderglielo. Per quanto tempo le possono far credere che è in viaggio?

GIULIO -       Finché la tengono In campagna. Quelle due ci sanno fare. Addio speranze di riprendercela, ormai.

GIANLUCA - Sono sempre suo padre.

GIULIO -       Ma se non sai che farne quando tocca a te.

GIANLUCA - Perché mamma la monopolizza… la monopolizzava. Farò un sacco di cose con Carolina: andremo al cinema, al Luna Park… (Giulio scuote la testa. Gianluca si smonta anche lui) È un classico, lo so.

GIULIO -       Che vuoto, Gianluca mio. Questa casa, finita di pagare l’anno scorso. Non mi ci posso più vedere. La vendo.

GIANLUCA - (desolatamente) Sì, sì. (sussulta) Casa nostra? Lei non sarebbe d’accordo.

GIULIO -       E avrebbe ragione. Dove finiremmo noi due, senza lei a consigliare.

GIANLUCA - A decidere, vuoi dire.

GIULIO -       A te non sembrava vero di abdicare a tutto.

GIANLUCA - Ubbidivo. E non mi sembra che tu ti opponessi mai.

GIULIO -       Mi fidavo. C’era una divisione dei compiti: lei… (si accorge che sta per dire “tutto”) e io… (si ferma per non dire “niente”. Ripiomba a sedere)

GIANLUCA - Guarda che mucchio. (indica un cestino ricolmo di telegrammi) La Capoverdina mi ha detto al telefono: "Los señores recebiam mas de cien telegramas."

GIULIO -       Cento? Non mi va di aprirli adesso. (pausa. Entrambi adocchiano i telegrammi) Due.

GIANLUCA - (apre) “Effe Effe”. Questo è di Effe Effe.

GIULIO -       Chissà dov’era sparito. Per non venire, lui!

GIANLUCA - “Desolatissimo perdita repentina carissima amica et dilettisima compagna mio migliore collaboratore…”

GIULIO -       Repentina? Dilettissima? Non è suo, lo avrà fatto qualche segretaria.

GIANLUCA - E quel vostro soggetto? A me sembrava un’idea peregrina… a dir poco.

GIULIO -       La genìa dei produttori e distributori la pensa come te. Specie dopo l’ultimo fiasco.

GIANLUCA - E tu? Proprio adesso, un film su… sulla…

GIULIO -       Sulla morte. Cos’è, non si può neanche nominarla? Non mi fa più nessuna paura, ora che lei se ne è andata prima di me.

GIANLUCA - Dicevi sempre: “Bisogna fare qualcosa contro l’eccesso dl vedove.”

GIULIO -       Non immaginavo che sarei stato preso in parola. Ero così convinto che sarebbe successo il contrario.

GIANLUCA - Anch’io. Come sarebbe stato giusto.

GIULIO -       Ah sì? Avresti preferito?

GIANLUCA - Tu pure, no? Lo hai appena detto.

GIULIO -       Ferro, comunque. (esegue) E… (mani nelle tasche)

GIANLUCA - Credevo che come Napoli in famiglia bastasse Mizzi.

GIULIO -       Napoli, qui? Qui scorre sangue baltico.

GIANLUCA - In queste vene. (le sue) Che c’entri tu con la nonna di mamma?

GIULIO -       Per affinità.

GIANLUCA - Ti dai al razzismo anche tu?

GIULIO -       Tua madre non era affatto razzista.

GIANLUCA - Un altro po’.

GIULIO -       Diceva solo che al Sud non sono come noi. Sono diversi. E quanto a Mizzi, non era affatto tenuta ad aiutarci tanto.

GIANLUCA - Pur d’infilarsi, quella… Gli amici sì, sono corsi subito. Andrea, soprattutto. È il tipico uomo di potere, sempre occupatissimo, eppure ci ha tolto tanti problemi. Compreso il più difficile.

GIULIO -       Sì, ma Mizzi con più cuore di tutti. E poi si è ritirata in buon ordine.

GIANLUCA - Perché sa che di spazio non ne ha più. (fa saltare in mano il suo mazzo di chiavi)

GIULIO -       Mamma si è dispiaciuta molto (indica la porta d’ingresso) quando hai cambiato la serratura. E negli ultimi tempi, avrei detto che verso Mizzi lei…

GIANLUCA - Perché è troppo buona.

GIULIO -       Perché pensa alla bambina…Oddio. “È… pensa…” Che cosa non darei per poter sentire la sua voce.

GIANLUCA - Possiamo sentirla, papà.

GIULIO -       Come?

GIANLUCA - Prometti di non agitarti peggio?

GIULIO -       Sei tu che mi agiti! Come?

GIANLUCA - (va al tavolino del telefono, cerca, brandisce una cassettina) Avevo tolto il suo messaggio. E ho dimenticato di metterne un altro. La Capoverdina ha scritto una sfilza (mostra il bloc-notes) di telefonate incomprensibili. (legge) “Señor Perdinsavinse…”

GIULIO -       Al diavolo. Sentiamo.

(Gianluca finisce di sistemare il nastro. Gira la levetta. Si sente una voce di donna)

LA VOCE - “Siamo momentaneamente assenti. Se lasciate un messaggio sarete richiamati. Parlate dopo il segnale acustico. Grazie.”

(Gianluca ferma il nastro)

GIULIO -       (dopo un silenzio) È meglio di un’aria della Callas. Bis.

(Gianluca fa ripartire il messaggio)

LA VOCE -    “Siamo momentaneamente assenti…” (i due sono incantati)

GIULIO -       Basta. Spegni. Ma non toglierlo.

(Gianluca esegue. Giulio si accascia)

GIANLUCA - Non fare così.

GIULIO -       È tutta la settimana che non faccio così! Poi uno crolla!

GIANLUCA - (riprende i telegrammi) “Condòlgomi stop Era forse necessario ella mancasse onde verificare quanto era da tutti amata et stimata stop Firmato…”

GIULIO -       Dice proprio “Firmato“? Non voglio sapere di chi è. Poi?

GIANLUCA - Era il secondo.

GIULIO -       Continua, va.

GIANLUCA - (un altro) “…nostra preziosa traduttrice…” È l’editore della Blixen.

GIULIO -       La traduzione è rimasta incompiuta. Lei ci teneva tanto.

GIANLUCA - (un altro) “Corsera tutto associasi gravissimo lutto.”

GIULIO -       Stringato ma in rima. (Gianluca fa per leggerne un altro) Dimmi solo di chi sono.

GIANLUCA - “…Effe Effe…”

GIULIO -       Rieccolo?

GIANLUCA. No, aspetta. “Effe Effe et Etta Etta”.

GIULIO -       Lei, che vuole esserci.

GIANLUCA - (un altro) “…Etta Etta”

GIULIO -       Lei, che rivendica la sua autonomia dal coniuge.

GIANLUCA - (un altro) “…relazioni pubbliche films Effe Effe”. (un altro) “…collaboratori montaggio et doppiaggio films Effe Effe”. Di questo passo, cento è un modo di dire.

GIULIO -       Infatti mi parevano troppi.

GIANLUCA - Sei invidioso? Vedremo quanti ne rimedierai tu.

GIULIO -       Basta, adesso.(vaga per la stanza) Se almeno ci fosse da fare qualcosa. Di urgente. (vede delle carte sul tavolo) Ah! La dichiarazione.

GIANLUCA - (cupo) Dei redditi?

GIULIO -       Sia la mia che la tua. Scadono domani. O dopo. Ci sono le carte come le ha lasciate lei.

GIANLUCA - Tutto deve restare come lei lo ha lasciato. Intatto.

GIULIO -       Non cercare alibi. Le dichiarazioni vanno fatte. E in tempo, sennò chi la sente. Cioè, non ce la perdonerebbe.

GIANLUCA - E sia. Alla memoria. (si siedono al tavolo, scartabellano)

GIULIO -       Non mi ci raccapezzo. Pensaci tu.

GIANLUCA - Ti confesso che neppure io… Lei era un fulmine. Anche Mizzi se la cavava. Ma lei!

GIULIO -       La eccitava, l’idea di detrarre, di dichiarare il meno possibile. Di nascondere. “Tutto fatturato”, diceva, “neanche una lira in nero. E sì che quel prosdòcimo lavora con gente che ci nuota, nel nero!”

GIULIO -       Io, prosdòcimo?

GIANLUCA - Nelle cose di tutti i giorni. In quelle della mente tu per lei eri un genio. Sempre esagerata.

GIULIO -       E tu sempre gentile. Si aspettano ancora le prime manifestazioni del tuo genio. (stanno per litigare. Suonano) Qualcuno vuole piangerci addosso. Liquidalo. (strapazza le carte mentre Gianluca apre. Si affaccia una bella donna)

GIANLUCA - Cristina! (al padre) È Cristina. (Giulio fa per alzarsi ma si lascia ricadere affranto. Cristina è sui cinquanta, età ideale in un certo tipo di donna. È languida e affettuosa)

CRISTINA -   Speravo tanto di trovarvi! Siete appena tornati?

I DUE -           (insieme, l’uno vivace e l’altro affranto) Sì.

CRISTINA -   La Capoverdina mi ha risposto: esta tarde. E non vi ha aspettati?

I DUE -           No.

CRISTINA -   Gentaglia. Mercenari senza cuore. Poveri cari! (li abbraccia entrambi, Gianluca di passaggio, Giulio inginocchiandoglisi accanto) Vorrei aiutarvi io in qualcosa, non so, cucinare per voi, ma a casa aspettiamo gente. “Proprio come aspettavamo loro”, ho detto a Pietro, “a quest’ora, una settimana fa”. E non ho resistito a darvi almeno il ben tornati. Farvi coraggio. Anch’io devo farmene… Un’amica così! E così giovane! Appena qualche anno più di me! Continuare a vivere, ecco l’importante. (si rialza, si guarda attorno) Non avete ancora disfatto le valige? Vi capisco. Non sarò io a rimproverarvi. Lei, oh! Si era inventata un proverbio: “Uomo sgridato si sente amato”.

GIULIO -       Ah sì?

CRISTINA -   Sì. E c’è del vero, a patto di non esagerare. Aveva l’approccio didattico, povera cara. Con quel suo “se io fossi in te” avrebbe spiegato a un moribondo come si agonizza. (si copre la bocca) Oh.

GIULIO -       (scoprendo qualcosa che non gli era mai stato chiaro) Ce la fai sentire viva.

GIANLUCA - (id.) Vivissima.

CRISTINA -   (si aggira) E cosa fa lì quel tegamino? (ha visto il cappellino) Voglio dire, che tenerezza. Cari, carissimi, capisco quello che rappresenta per voi, ma non dovete… (vede i telegrammi) Quanti.

GIULIO -       (a Gianluca) Metti via. (Gianluca esegue chiudendo il cestino nello sportello di un mobile. Cristina si muove)

CRISTINA -   So che è andata come volevate, su. Il vostro amico del Ministero, Andrea, aveva risolto tutto? Sì? Meno male. Oggi senza un santo in paradiso, se non si lascia la volontà scritta, non si può neanche farsi dare fuoco. L’importante è che lei ora è come voleva essere. Questione di gusti. Io non potrei mai. In fumo! La mia carnina, che qualche soddisfazione me l’ha data! No, no. (tocca col piede le valige) Però queste, qui in mezzo…

GIULIO -       (a Gianluca) Levale dai piedi… (Gianluca prende le valige e va via sulla scala)

CRISTINA -   (appena Gianluca è uscito) Lei non ha mai, capito, vero?

GIULIO -       No.

CRISTINA -   Neanche un sospetto?

GIULIO -       Che ragione avrebbe avuto? No. Né lei né Gianluca. Né altri.

CRISTINA -   Degli altri sono sicura. Di Gianluca più che sicura. Ma lei, non potrei vivere col pensiero di averla fatta soffrire.

GIULIO -       Ti dico di no. Sta’ serena, sei sempre rimasta la sua amica del cuore. Ma ti viene adesso il pensiero?

CRISTINA -   E a te?

GIULIO -       A me anche prima. Adesso di più. Non il pensiero che lei potesse sospettare. Di non averglielo detto. Io. Visto che fra me e te era tutto finito.

CRISTINA -   (dolorosamente) Ah.

GIULIO -       Puoi capirlo, no?

CRISTINA -   Capisco che ti penti di non avermi sputtanata.

GIULIO -       Non le avrei detto con chi.

CRISTINA -   L’ingenuità dell’uomo non si finisce mai di conoscerla. Credi che non t’avrebbe estorto il nome, come condizione per perdonarti? E a me: “Se fossi in te non mi farei più vedere!” Avrei perso la mia migliore amica. Ma siamo proprio sicuri? Qualche mia lettera… aprendo un cassetto… Dove le hai nascoste?

GIULIO -       In cima a una montagna.

CRISTINA - Non scherzare.

GIULIO -       Dietro a una vecchia enciclopedia che non serve mai, su in uno stanzino da sgombero.

CRISTINA -   Ti dispiace ridarmele? Quando in una casa succede… quello che è successo a voi qui… si fanno svuotamenti, riordini… Pensa se la domestica… o Gianluca…

GIULIO -       Lassù? L’enciclopedia è in cima allo scaffale. Tu sei dietro la T.

CRISTINA -   Come tesoro?

GIULIO -       Come “tutto”. (allude, un po’ vergognoso)

CRISTINA -   (si inginocchia di nuovo accanto a lui e gli prende le mani) Dev’esserci anche quella sulla carta di sughero, dopo il pomeriggio delle rose. Voglio bruciarle. Un rogo. Come bruciavamo tu e io. Le tue non potrei, sono dei capolavori. (si porta la destra di lui al viso) Te le porterò, così le bruci tu.

GIULIO -       Forse è giusto.

CRISTINA -   Non peri rimorsi, che non dobbiamo avere. Per il futuro (si stacca, cambia tono) Perché Pietro lo ha capito, sai? Lo ha capito subito.

GIULIO -       Tuo marito? (si accorge con ritardo che in cima alle scale è comparso Gianluca)

CRISTINA -   Che dovevo correre da voi. Farvi sentire che non siete soli, tu e il tuo ragazzo.

GIULIO -       (a Gianluca) Le valigie?

GIANLUCA - Le ho ficcate lì senza disfarle, nello stanzino.

GIULIO -       (si alza) Eh? Sì, il solito posto. (a Cristina) Devo salire anch’io. Permetti? Un attimo.

CRISTINA -   Fai, fai. (Giulio sale, esce)

GIANLUCA - (piano) È proprio vero che i funerali hanno qualche cosa. Il nero ti pennellava. Ti avrei spinta contro un albero, lì, nel giardino della clinica.

CRISTINA -   Gianluca!

GIANLUCA - Che posso farci se anche adesso, a rivederti… Dovrei vergognarmene? Sprofondare?

CRISTINA -   E io? In tutti questi mesi? Tu ti eri separato, ma io! Che prima di te non sapevo neanche cosa fosse fingere!

GIANLUCA - Sei pentita?

CRISTINA -   No. Eri tornato a vivere qui, così solo.

GIANLUCA - Questa pettinatura…

CRISTINA -   Ascolta. Come fate adesso per la bambina? Chi le baderà quando lei tocca a te?

GIANLUCA - Questo vestito… (fa per scenderle la chiusura lampo)

CRISTINA -   Basta, Gianluca. Amici, come ci ha sempre visto il mondo.

GIANLUCA - Sei tu che hai parlato della tua carnina. Di sopra, or ora, era come se dalle tue lettere venisse un sospiro.

CRISTINA -   Le mie lettere?

GIANLUCA - Quella delle violette, quella…

CRISTINA -   Non le distruggevi ogni volta?

GIANLUCA - Ci provavo.

CRISTINA -   (come se si sentisse venir meno) Mi hai mancato di parola! E dove…

GIANLUCA - Nelle nuvole.

CRISTINA -   Ma quali nuvole! (capisce) Dietro che volume?

GIANLUCA - Il primo. Ma come sai?

CRISTINA -   (rimediando) Me lo hai detto tu: una vecchia enciclopedia, su in uno stanzino.

GIANLUCA - Io?

CRISTINA -   Ma sì. Tutte lì?

GIANLUCA - Con le polaroid.

CRISTINA -   Anche quelle?

GIANLUCA - Tutte. Quella delle sculacciate…

CRISTINA -   Che incosciente! Pensa se lui le trovasse!

GIANLUCA - Beh?

CRISTINA -   Come, beh? La migliore amica di Alberta, con suo figlio! Appena scende sali a prenderle. E giurami che lui non lo saprà mai. Qualunque cosa accada in futuro.

GIANLUCA - Che cosa può accadere?

CRISTINA -   Tu giuralo.

GIANLUCA - Un bacio, prima. (chiude gli occhi e protende le labbra)

CRISTINA -   (impaziente) Prima giuralo!

GIULIO -       (riapparendo in cima alle scale) Che cosa deve giurare?

CRISTINA -   Di arrivare puntuale al lavoro, domattina a Latina.

(Gianluca riapre gli occhi. Giulio scende le scale. Nasconde qualcosa dietro la schiena. Gianluca fa in tempo a deformare la bocca come frenando il pianto)

GIANLUCA - Giuro, sì.

CRISTINA -   Povero Gianluca. Vuoi andare su a rinfrescarti?

GIANLUCA - Se lei permette.

CRISTINA -   Però scendi a salutarmi. Ci conto.

GIANLUCA - Ci conti. (sale le scale in fretta come chi è troppo emozionato ed esce)

CRISTINA -   (con un sospiro e un sorriso) Se avessi potuto avere figli ne avrei voluto uno come lui. Allora?

(Giulio le porge due buste rigonfie. Lei le prende. Estrae qualche lettera, un po’ come se ne sapesse il numero e le contasse. Le affonda via via nella sua borsa capace)

Era l’unica prova.

(non vuol far notare il suo sollievo)

Dev’essere tutto chiaro, pulito, intorno a noi. Anche se mi era parso giusto tirarmi da parte per rispetto a lei, questo non significa che dentro io sia cambiata. Sono la stessa. (dolce) Tu pure, lo so. E non sei uomo, tu, da lasciare vuota la tua casa. Nessuna estranea, per carità. Ma qualcuna che sappia cosa era Alberta per te, che apprezzi Gianluca, che vi aiuti a riconquistare la bambina… Il tempo è un gran chirurgo. Anch’io, sapessi, devo ritrovarmi.

GIULIO -       Con Pietro?

CRISTINA -   Pietro è un angelo, ma dopo aver avuto il demonio… (a occhi bassi) Basterebbe un tuo cenno. Non subito, al momento giusto. Il cuore ti avvertirà. (in fretta, sbirciando le scale) Domani Gianluca va a Latina. Io sono a casa. Manda via più presto che puoi la Capoverdina e chiamami. Io corro. Volo… (gli tende le braccia).

(In cima riappare Gianluca. Cristina ostenta di guardare l’orologio al polso)

 …perché sono quasi le nove.

GIANLUCA - La accompagno. (scende)

CRISTINA -   No, caro, grazie, ho la macchina qui davanti. Piuttosto, Giulio, un bicchier d’acqua, ti prego.

(Giulio esce verso la cucina)

GIANLUCA - (a mezza voce) Avevi ragione, è stato meglio. Qualche volume era smosso.

CRISTINA -   Ci sono le foto? Tutte?

GIANLUCA - Sì. (Cristina fa per prendere il piccolo plico) Il bacio.

(Cristina afferra il plico, lo infila nella borsa e gli dà un bacetto sulla guancia. Li vede Giulio che torna col bicchiere d’acqua su un piattino)

CRISTINA -   (dando un bacetto a Gianluca sull’altra guancia) A presto, ragazzo mio. Grazie, Giulio. (beve un sorso con languore) Rivedervi, parlare di lei…(si interrompe) Avete sentito?

I DUE -           Sì.

CRISTINA -   La terra ha vibrato. Come se passasse il metrò.

GIANLUCA - La linea è lontana.

GIULIO -       “Scava, vecchia talpa!”

CRISTINA -   Che talpa?

GIULIO -       È Amleto. Risponde così allo Spettro che da sottoterra gli ha gridato: “Ricordati!”

CRISTINA -   Ricordare non basta per vivere.

GIULIO -       Infatti lo Spettro dice ad Amleto di andare avanti.

CRISTINA -   Così si fa. Bisogna imparare dai classici. (guarda l’orologio) Le nove! (abbraccia Giulio) Domani sono a casa, per qualunque cosa. (apre la porta. A Gianluca) Tu prenditela comoda, a Latina.

(esce e chiude. I due si guardano)

GIANLUCA - Gli spettri non esistono e Amleto lo sa benissimo. È lui che se lo inventa, per nostalgia… (ha premuto nostalgicamente il tasto della segreteria)

LA VOCE -    “Siamo momentaneamente assenti.”

(i due si bloccano, perché alla prima parola colei che aveva inciso il nastro appare in cima alle scale e comincia a scendere Una settimana fa, al momento di uscire per andare da Cristina Alberta aveva, come adesso, parecchi anni meno dell’amica e una bellezza tanto meno vistosa quanto più penetrante, con qualcosa di buffo. Le calze che si tira su da sotto il vestito, il cappottino indossato fra un gradino e l’altro, la borsa al mignolo, i bigodini che evidentemente intende portare anche in macchina per toglierseli all’ultimo momento, indicano una perenne tendenza al ritardo e una abitudine a rassettarsi solo dopo aver dovuto, o voluto, rassettare una quantità di altre cose. Infatti ha in mano un vassoio col the che era stato lasciato di sopra. Scende rapidamente, traversa ed esce verso la cucina. Intanto la segreteria ha continuato)

LA VOCE -    “Se lasciate un messaggio sarete richiamati. Parlate dopo il segnale acustico. Grazie.”

ALBERTA -   (dalla cucina) Quanto scommettiamo che nessuno ha spento l’autoclave? (si sente che lava le tazze e la teiera e le mette nello sgocciolatoio sopra il lavello) Scommessa vinta. Anche il generale del gas, aperto… Quante volte lo devo spiegare? Manetta verticale, chiuso. Manetta orizzontale, aperto. Al momento di uscire, come adesso, manetta ver-ti-ca-le. E meno male che vi siete ricordati di accendere la segreteria.

(Un silenzio. I due parlano trasognati, ognuno per conto proprio)

GIULIO -       La ho negli occhi.

GIANLUCA - Io negli orecchi. “L’autoclave! Il gas!” (Giulio lo guarda) Mi è parso di sentirla.

GIULIO -       Tu?

GIANLUCA - E di vederla. Lì. (indica le scale)

GIULIO -       Sono io che l’ho vista.

GIANLUCA - Tu?

GIULIO -       E sentita, di là. (indica la cucina)

GIANLUCA - Lo sto raccontando io a te!

(Alberta si affaccia sulla porta della cucina asciugandosi le mani con uno strofinaccio)

ALBERTA -   Capisco essere uomini, ma neanche una manetta… E martedì, al condominio di Fregene, io, sennò l’acqua che consumano in dieci ce la caricano tutta a noi. (va dentro a posare lo strofinaccio) C’è la controsoffittatura andata in economia. Che per voi due è greco. (torna) E tutto quanto è banca, sanscrito. quindi mercoledì, a cercar di strappare un centesimo di interesse in più a quei ladroni, io, coi miei fascini. Gianluca dal giudice tutelare non se la caverà certo da solo. E la Tao Film? Chi dovrà accompagnare papà dall’avvocato per evitare che quel filone si metta d’accordo con loro? (Si guarda) Bene. Benissimo. Stavo venendo da Cristina senza un gioiello che è uno. Che testa. Siete voi che me la mandate in acqua. (sale le scale) Voi controllate che sia tutto chiuso e mettete l’allarme… (esce in cima alle scale da destra. Le sue parole corrispondono a quelle ricordate dagli altri, ma in bocca a lei, come spesso accade, hanno un suono e un effetto opposti, di travolgente simpatia, appena offuscata o forse intensificata da una nota malinconica).

(Giulio è immobile. Gianluca fa due passi verso le scale. Si ferma come per un rifiuto)

GIANLUCA - Un dolore forte come il nostro è una droga. Può dare delle visioni.

GIULIO -       In due? La stessa visione in due?

GIANLUCA - In mille. Esistono allucinazioni collettive.

GIULIO -       Il suo corpo. Il suo viso.

GIANLUCA - Parlavamo di spettri…

GIULIO -       E la sua voce?

GIANLUCA - La segreteria è ripartita, e noi… (va a spegnerla) Adesso chiamo, nessuno risponde, e la facciamo finita. (sta per chiamare verso le scale)

GIULIO -       No. Godiamoci questo momento.

GIANLUCA - Tu stai male, papà.

GIULIO -       Non distruggiamo così presto questa cosa meravigliosa.

GIANLUCA - Se ammetti che è stata un’illusione, io non chiamo.

GIULIO -       E se fosse, la vorresti distruggere?

GIANLUCA - Per il tuo bene. Sei fuori di te. (fa per chiamare)

GIULIO -       Aspetta!

GIANLUCA - No. (grida) C’è qualcuno di sopra?

GIULIO -       Maledetta la tua impazienza. (si chiude le orecchie con le mani).

(Silenzio)

GIANLUCA - (chiama ancora) C’è qualcuno? Rispondere! (silenzio. Al padre) Sei convinto?

GIULIO -       (togliendo le mani dalle orecchie, con strazio) Perché hai voluto che finisse?

ALBERTA -   (da sopra, fuori scena) Cosa c’è? (poiché i due, paralizzati, non rispondono) Si può sapere cosa ha da gridare Gianluca? Allora? Mah. Fareste perdere la pazienza a un santo.

GIANLUCA - (con rifiuto) No, no.

(Giulio è incantato)

GIANLUCA - Le ho detto addio due volte, in due città diverse. A lei e alle sue ceneri.

ALBERTA -   (riappare sulla scala guardandosi un anello alla mano destra) L’anello della nonna Greta fa sempre la sua figura. Adesso non facciamo che andare. (scende) Però che casino…

GIULIO -       Non devi dire così!

ALBERTA -   (si ferma) Perché? Perché disapprovi il turpiloquio, o perché non è vero che siete dei casinisti?

GIULIO -       È vero. Ma tu non dirlo.

ALBERTA -   E voi non siatelo. (scende e si avvia verso la porta)

GIULIO -       Che fai?

ALBERTA -   Esco. Usciamo. (prende il cappellino) Sbrigatevi con quei cappotti che avete sparsi in giro. Gianluca, l’allarme.

GIULIO -       Non si esce.

ALBERTA -   Perché no?

GIULIO -       (in fretta) Non si va più da Cristina. Ha disdetto. Non si esce.

ALBERTA -   (si ferma) Quando ha disdetto?

GIULIO -       Adesso. (indica il telefono) Pietro sta poco bene. L’invito è rimandato. È tutto rimandato.

ALBERTA -   (a Gianluca) Era questo che mi gridavi? (va verso il telefono)

GIULIO -       Chi vuoi chiamare?

ALBERTA -   Cristina, per sapere.

GIULIO -       Sono usciti.

ALBERTA -   Ma lui non sta poco bene?

GIULIO -       Lei lo ha portato a un controllo medico.

ALBERTA -   Ah. (solo adesso nota che i due sono rimasti inchiodati accanto al tavolo) E voi vi eravate già messi a fare i cazzi vostri, lasciando che io finissi di acchittarmi? Tipico. Ma visto che è andata così… (sventola il cappellino) Oh. Posso confessarvi una cosa? Non ne avevo nessuna voglia. Cristina è buona e cara ma suo marito che peso, e gli amici che rimediano… Io avevo lasciato in sospeso il lavoro. A malincuore. L’ultimo capitolo, proprio alla fine. Possiamo rilassarci. Una serata tutta per noi. (si avvicina al tavolo) Le tasse? Miracolo. Come mai? Mi ostino a sperare che imparerete, almeno tu, Gianluca, che hai una vita di contribuente davanti a te, ma ceno non al momento di uscire. Cos’è, una delle vostre messinscene di buona volontà? C’è ancora una settimana, ma andate, andate avanti. Io salgo a liberarmi un po’. (si mette il cappellino sottobraccio e va via per le scale cominciando a togliersi i bigodini)

GIULIO -       Per un pelo. Ce l’ho fatta per un pelo. Se usciva…

GIANLUCA - È uscita. Una settimana fa.

GIULIO -       Non hai sentito la frase: “Che casino, gente”? Non ti è venuto il terrore che là fuori… Che ora è?

GIANLUCA - Le nove.

GIULIO -       L’ora esatta.

GIANLUCA - No. Non è lei. È la mancanza di lei. La privazione che ci è stata inflitta. Quando uno non mangia, non beve, non dorme per giorni e giorni, può avere di queste esperienze.

GIIULIO        Tu in questi giorni hai mangiato eccome… Abbuffate funebri alla contadina. E quanto a dormire…

GIANLUCA - Parlo di un’altra privazione. Non fingere di non avere capito.

GIULIO -       Non voglio capire. Voglio godermi il regalo che mi viene fatto. Tenerlo stretto.

GIANLUCA - Ce lo siamo fatto noi a noi stessi, papà. Non c’è traccia della sua presenza. Non un oggetto, non una prova. Guardati intorno.

GIULIO -       E dentro? Non ti guardi dentro? Nel cuore? Le hai lì le prove. Ingrato. E una c’è. Il suo cappellino, che non c’è più.

GIANLUCA - Lo avrà spostato Cristina, prima.

GIULIO -       E l’anello? Lo avevo rimesso io in cassaforte…

GIANLUCA - Io telefono a Trieste.

GIULIO -       E io ti lego e ti imbavaglio!

GIANLUCA - Ma tanto lo sappiamo, che è cenere.

GIULIO -       Era, non è, se è qui.

GIANLUCA - Usato così il verbo essere è un abuso. Una contraddizione in termini.

ALBERTA -   (da sopra) Oh.

GIULIO -       Lo senti, l’abuso?

(Alberta è in cima alle scale. Non ha più i bigodini né il cappotto. È elegante, in nero)

GIULIO -       (piano) La vedi, la contraddizione in termini?

GIANLUCA - (piano) Non è lei.

GIULIO -       (id.) E chi e?

GIANLUCA - (id.) Non lo so. Lei certo no.

ALBERTA -   (scende e viene al tavolo) Giacché ci siamo, forza. Però che casino…

GIULIO -       Non dirlo. Tesoro, amore mio, questo non dirlo più, ti supplico…

ALBERTA -   Ah, qui mi si vuole intenerire. Lo sapete che ci casco sempre. Beh, vedrete che pian pianino… Cominciamo con papà. Riquadro… (a Giulio) Lo sai qual è il tuo riquadro? No? Nemmeno questo? (si scosta) Stasera non voglio arrabbiarmi. Voglio stare allegra. Metto su l’acqua per la pasta e preparo quel condimento mio.

GIANLUCA - (subito) Quale?

ALBERTA -   Quello col pomodoro, i capperi, le olive, il peperoncino. (si avvia verso la cucina)

GIANLUCA - (piano, a Giulio) Non è lei. (a Alberta) E nient’altro?

ALBERTA -   Una grattatina di noce moscata, s’intende. (si avvia di nuovo)

GIULIO -       (piano, a Gianluca) Miscredente. La grattatina di noce moscata.

GIANLUCA - (piano) È una ricetta notissima. (a Alberta) Io mi sono molto stupito.

ALBERTA -   (si ferma) Di che?

GIANLUCA - Che tu sia ancora così.

GIULIO -       (terrorizzato) Gianluca!

GIANLUCA - Di solito, ti metti da casa.

ALBERTA -   Per lo sconforto, mi ci metto. Di voi due sciamannoni che vi trascinate in pantofole. Per una volta i signori sono in scuro e la signora pure. Soirée. (si avvia)

GIANLUCA - E una settimana fa, ti ricordi com’eri? (Alberta ha un’oscillazione) A quest’ora.

ALBERTA -   …Una settimana fa… (oscilla ancora) È importante?

GIANLUCA - (piano a Giulio) Non è lei. (a Alberta) Una scommessa con papà.

ALBERTA -   (meno vaga) Lui che dice?

GIANLUCA - Lui è arterio. Ma tu?

ALBERTA -   E tu, di te? Te lo ricordi, tu, com’eri vestito?

GIANLUCA - Io? (si guarda l’abito. Non sa dire “come stasera”)

ALBERTA -   (si è ripresa, scrolla le spalle) Dal naso alla bocca. Sono loro che non si ricordano dal naso alla bocca. Se fossi in voi scommetterei su quale avete sopra e quale sotto. (torna in cucina)

GIULIO -       (lo agguanta, lo assale a bassa voce, lo malmena) Pazzo! Il terzo grado! Perché finisca tutto? Io sono arterio, eh? Dovrei strapparti la lingua!

GIANLUCA - (dibattendosi) È come se lei… fosse lei, senza sapere…

GIULIO -       Oh! Ci sei arrivato. (lo lascia)

GIANLUCA - (almanaccando) Come se, allora, non se ne fosse accorta.

GIULIO -       Lo hanno detto i medici: “Se n’è andata senza neppure accorgersene.”

GIANLUCA - Se tutti quelli che non se ne accorgono…

GIULIO -       Lei non è tutti. Cade e si rialza come una gatta. Ci possono essere tanti stati fra la vita e il dopo. Quanti suoni si perdono fra una nota e l’altra… quanti decimali fra un numero e quello seguente… E gli atti di volontà? Continuamente, fra l’uno e l’altro, esitazioni, rinunce…

GIANLUCA - (con difese sempre più incerte) Forse oggi non è oggi. È una settimana fa. Non è ancora successo.

GIULIO -       E non succederà, se tu non glielo spiattelli.

GIANLUCA - Ma così noi non capiremo…

GIULIO -       Non importa capire. Importa che lei resti.

GIANLUCA - D’accordo. Da noi non verrà a saperlo. Ma tutti quelli che l’hanno vista, che erano con noi, che ne sono stati informati?

GIULIO -       La proteggeremo noi. Con ogni mezzo. Non avrà contatti con nessuno.

GIANLUCA - Per quanto tempo? Stava per incontrare Cristina. Qualcun altro verrà, prima o poi.

GIULIO -       Ci barricheremo.

GIANLUCA - E se lei vuole uscire?

GIULIO -       Glielo impediremo.

GIANLUCA - La Capoverdina?

GIULIO -       La licenziamo in tronco, per telefono. Faremo tutto noi.

GIANLUCA - Noi. Sì. (si abbracciano)

ALBERTA -   Secondo me voi non state bene. (li ha colti abbracciati tornando dalla cucina con il vasetto dei capperi in mano) Gianluca deve avere pasticciato, in questi giorni. (a Gianluca) Fa vedere la lingua. (Gianluca esegue) Puh. Che palla.

GIULIO -       (incantato) Alberta.

ALBERTA - Eh?

GIULIO -       Niente. Dicevo: Alberta. Un nome speciale.

ALBERTA -   Alberta Greta. Ci sono volute due nonne speciali: Alberta, l’italiana devota, e Greta, la danese avventuriera. Poi la devozione ha esorcizzato l’avventura e il mio nome intero non me lo dà più nessuno. Quasi nessuno. Ma la mia parte Greta (ostenta l’anello e fa una mimica audace) è sempre in agguato. (a Giulio) Fa vedere anche tu. (Giulio esegue con la lingua, felice) La lingua, non le tonsille. Bianchiccia anche la tua. Meno male che non andiamo più da quella avvelenatrice. (anche Gianluca è restato con la lingua di fuori) E tiratele dentro, cagnoni. (i due eseguono) La salsina la faccio pro domo mea. Per voi due, spaghetti all’inglese. (a Giulio) Tu, se non fai un po’ di dieta, di moto…

GIANLUCA - (felice) Mamma.

ALBERTA -   Eh?

GIANLUCA - Almeno i capperi. (indica il vasetto)

ALBERTA -   Concesso.

GIULIO -       Come lo porti bene quel vasetto. Non ci avevo mai badato.

ALBERTA -   A che?

GIULIO -       A come tieni in mano le cose.

ALBERTA -   Sto sempre a portare roba, qui. Si vede che mi guardi poco. (si muove verso la cucina)

GIANLUCA - Come cammini.

ALBERTA -   (un po’ sorpresa dall’insistenza) Come cammino?

GIANLUCA - Un passo dopo l’altro.

ALBERTA -   Eh già. Altrimenti salterei.

GIANLUCA - La spalle dritte. Come dici sempre a Carolina…

ALBERTA -   Mah. Chissà se anche lo specchio mi trova uno schianto. (ci va davanti)

GIULIO -       (pianissimo) Oddio. Se…

GIANLUCA - (id.) Se?

GIULIO -       Se non si vede!

ALBERTA -   Beh, tutto sommato… (si liscia i fianchi)

GIULIO -       (sempre pianissimo) Si è vista! C’è!

ALBERTA -   (a Gianluca che la stava guardando incantato con le mani alle guance) Fa vedere quelle unghie. (Gianluca esegue) Orrende. Tu proprio escludevi a priori che Cristina e le sue amiche ti potessero guardare come un uomo. Io vi voglio chiedere una cosa, a voi due. (esce)

GIULIO -       Che cosa vorrà chiederci? Attento. Attentissimo. Io ti controllo. Se stai per scivolare ti fermo.

GIANLUCA - E come? Mi dici: “Fermati”?

GIULIO -       No. Una parola usuale. Lascio cadere lì un modo di dire.

GIANLUCA - Ma non c’è problema, io…

GIULIO -       Eccola, la parola d’ordine! “Non c’è problema”.

ALBERTA -   A proposito di parole… (sta tornando con un paio di forbicine e un rotolo di Scottex. Siede sul divano e mette un quadratino di Scottex sul bracciolo. A Gianluca)

Dai qua.

(Gianluca le si avvicina e le allunga la destra, ma appena Alberta fa per prenderla la ritira istintivamente)

Beh?

GIULIO -       (teso) Non c’è problema, Gianluca.

(Gianluca allunga la mano chiudendo gli occhi. Alberta la prende)

GIULIO -       Lo stai toccando…

ALBERTA -   E come dovrei tagliargli le unghie? Col laser? (comincia a tagliare badando a far cadere i frammenti sullo Scottex) Tu, papà, come lo definiresti un istante che non ha fondo, ma in cui sembra di vedere il fondo delle cose e si resta sbigottiti?

GIULIO -       (preoccupato) Perché me lo chiedi?

ALBERTA -   La Blixen. A lei basta una parola. Un aggettivo. Mi manca solo quello e la traduzione è finita. Un istante…

GIULIO -       Sospeso.

ALBERTA.    C’è già. L’ultima frase dice proprio: “E rimase così, sospesa a un istante…”

GIULIO -       Infinito.

ALBERTA -   No, è iperbolico. Qualcosa di meglio, sennò a che mi serve avere sposato un dizionario vivente dei sinonimi…

GIULIO -       Abissale. Vertiginoso.

ALBERTA -   No, il danese esprime un altro tipo di attrazione.

GIANLUCA - (a occhi chiusi) Magico.

ALBERTA -   Troppo esplicito. Lasciamo stare. (ha finito le unghie della destra) L’altra. (Gianluca è in trance) La sinistra!

(Gianluca apre gli occhi di scatto e le dà l’altra mano)

GIULIO -       (con prudenza) Tutto qua, quello che volevi chiederci?

ALBERTA -   Per me è fondamentale, chiudere in bellezza… (i due fremono e si guardano) la traduzione. Ma parliamoci chiaro: vi sembra giusto quello che mi succede?

GIANLUCA - (ritira la mano inorridito) Ahi! (si è punto. Alberta gli riafferra la mano)

GIULIO -       (cercando di essere persuasivo) Non ti succede niente di particolare.

ALBERTA -   Vedete? A voi sembra normale. Tutto io. Tutto addosso a me. Sempre. Succede che mi confondo, mi perdo anch’io nel vostro caos. (i due si scambiano uno sguardo di sollievo) E a volte, per giunta, ho una sensazione… la netta sensazione… adesso, per esempio… che voi mi nascondete qualcosa.

GIULIO -       (in bilico) Noi?

ALBERTA -   Sì. Qualche scontentezza. Sì, sì. Fate i segreti. (ha finito con le unghie. Dà uno schiaffetto sulla mano a Gianluca e chiude nello Scottex i frammenti) Beh? Cosa c’è sotto? (a Giulio) Cominciamo dal più vecchio.

GIULIO -       (scaricando la tensione con una improvvisa recriminazione, soltanto in parte strumentale) C’è, che è colpa tua se siamo ridotti così. Ci aiutavi troppo.

GIANLUCA - Non c’è problema, papà.

GIULIO -       Eh?

ALBERTA -   Lascialo, lascialo dire.

GIULIO -       (a Gianluca) Ah, sì. (a Alberta) Ci aiuti troppo.

ALBERTA -   Ma guarda. E te ne accorgi stasera?

GIULIO -       Perché stasera lo hai detto. (al figlio, chiamandolo in causa) Tutto lei. Dal badare a quando finisce la carta igienica, a smandolinare quelli della banca, a… (indica sul tavolo i moduli della dichiarazione) Tutto! Sembra che non lo faccia per noi, ma per voler vivere anche le nostre vite. Viene da domandarsi se ci ama davvero.

GIANLUCA - (veemente) Te sì. Sono testimone.

ALBERTA -   Sentiamo il più giovane.

GIANLUCA - Testimone, e parte in causa. Io sono stato questo caso eccezionale: un figlio unico che per la madre viene secondo dopo il padre. E con distacco. (tragico) Non me ne sono più ripreso.

ALBERTA -   Almeno non sei venuto su frocio come tanti cocchi di mamma.

GIANLUCA - Da quando, poi, c’è la bambina…

ALBERTA -   Questo sì. Carolina avanti tutto. Il mio tesoro.

GIANLUCA - Ecco! Lo so che cosa sono io: un tramite!

ALBERTA -   Tu sei un mammalucco. Ti era piovuta in. braccio, non si sa come, una donna di aspetto civile e di famiglia accettabile, ancorché partenopea e fattucchiera, e te la sei giocata. E sì che a letto eravate i classici due gatti.

GIANLUCA - Se bastasse quello!

ALBERTA -   Intanto, quello. Senza quello…

GIANLUCA - Lo so: non nascerebbero le Caroline.

ALBERTA -   Senti, facciamo così: d’ora in poi tuo padre pensa alla banca, tu pensi alla carta igienica, e io penso ai fatti miei. (ha preso forbicine e Scottex e torna in cucina)

GIULIO -       (al figlio) Io non ho mai sentito che lei mi anteponesse a te. Al contrario. E se vuoi saperlo, sarei stato ben felice di venire al primo posto. Te lo dico senza nessun pudore.

GIANLUCA - E senza nessun diritto.

GIULIO -       Sempre doveri, verso di te! E in cambio? (si affrontano come se stessero per venire alle mani)

ALBERTA -   (tornando) Il segreto è svelato: siete gelosi. Mi sento Gilda, contesa fra Glenn Ford e… quell’altro. Ma adesso, il forno è regolato, passeggiatina tutti e tre insieme.

GIANLUCA - (preso dal panico) Fuori?

ALBERTA -   No, su e giù per le scale.

GIULIO -       (annaspando) A quest’ora?

ALBERTA -   Dieci minuti. Cosa ti predica il dottore? Niente cappotti, e marsh.

(I due assistono impotenti al movimento di Alberta che apre la porta, la spalanca. Fuori si intravede qualcuno che stava per suonare. Un visitatore inatteso; cappello appoggiato all’indietro, sciarpa lenta, soprabito sulle spalle)

L’UOMO -     Alberta!

ALBERTA -   Effe Effe! Che piacere! Entra.

L’UOMO        Solo con un piede, ho il taxi qua fuori. (entra) Ho trovato la strada!

ALBERTA -   Era ora. (a Giulio e Gianluca) Non si saluta?

GIULIO -       Strada? Che strada? (è terrorizzato)

ALBERTA -   Di casa nostra, no?

EFFE EFFE - (a Alberta) Dunque con lui non ne hai parlato.

ALBERTA -   Di te? E del bel po’ che non ti fai vedere? Te lo meriteresti, che ti dimenticassimo.

GIULIO -       Tu non… non eri a Roma…

EFFE EFFE - No. No, che non c’ero. Vengo dalla stazione, ho le valige in taxi. (ilare) Lassù, da solo, nessuno sapeva dov’ero, senza telefono, senza giornali, senza notizie…

GIULIO -       Nessuna notizia?

EFFE EFFE - Per una settimana. La pace della montagna. La felicità.

GIULIO -       Non hai saputo neppure…

GIANLUCA - (salvando) …degli incassi?

EFFE EFFE - (incupito) Niente. (chiude la porta. A Alberta) Dobbiamo parlare, io e te.

GIULIO -       Parlare?

GIANLUCA - Che c’è di male, papà?

ALBERTA -   (a Effe Effe) Eccomi qua…

EFFE EFFE - Io e te, ho detto.

GIULIO - Da soli?

GIANLUCA - Non c’è problema, papà. Effe Effenon ha visto i giornali.

EFFE EFFE - (di scatto, fissando un punto dietro Alberta) Chi è che se la ride, li? (a Alberta) Avete gente?

ALBERTA - (si gira) No. Nessuno.

EFFE EFFE - Ettore, forse? O Damiano? (vagando qua e là chiama) Siete li? Lo so, che lui (Giulio) vi ha promesso un soggetto. E anche a Franco. Io sono il regista con più corna del cinema italiano. Ma ve lo regalo. (a Alberta, indicando Giulio) Digli di lasciarci soli.

GIULIO - Io di qui non esco! (a Gianluca) E tu non dire che non c’è problema! Lo sai quanto me che c’è!

ALBERTA - Quale, secondo te? Che io sono troppo sincera? (a Effe Effe) Cosa vuoi da me? La mia opinione sul tuo film?

EFFE EFFE - Anche, si.

ALBERTA - Ma io non me la cavo con quell’“a me è piaciuto” che ti demolisce, perché esclude tutti gli altri.

EFFE EFFE - Dunque neanche a te…

ALBERTA - Beh, quest’ultima ciambella non è che ti sia riuscita proprio col buco.

EFFE EFFE - Tutta buco. Un buco nero che inghiotte miliardi anziché polvere di stelle. Ma perché? Io mi ci sono messo tutto.

ALBERTA - Appunto.

EFFE EFFE - Cioè?

ALBERTA - Ma poi, amici?

EFFE EFFE - Spara.

ALBERTA - Sempre te e te stesso. Spezzatino di te in salse sempre più unte.

EFFE EFFE - E che c’è di male? Michelangelo alla Sistina si è fatto l’autoritratto. Scuoiato.

ALBERTA - Tu saresti Michelangelo?

EFFE EFFE - Questo è da vedere. Ma scuoiato sì. Come lui. Dai critici. Nanerottoli gozzuti e impotenti che osannano il gigante e poi gli si accaniscono addosso appena inciampa. Teste di cazzo! Senza i coglioni attaccati!!

GIULIO - Io te lo avevo detto.

EFFE EFFE - Anche il Padreterno glielo aveva detto a Adamo ed Eva. E loro?

GIULIO - Sì, ma per una scopata storica, loro, non per una sega.

ALBERTA - Oé. Qui c’è una signora.

EFFE EFFE - Neanche tu ci vai piano.

ALBERTA - Ma sono la signora. Se proprio vuoi sfogarti, c’è il sistema che avevi adottato. Di sostituire tutte le parolacce con una sola.

EFFE EFFE - Non pronunziare il nome di quella cosa! La odio! Porca tele! Non rompere la tele! Dio tele! Ti faccio un ventisette pollici così! Oh! (cade in ginocchio)

ALBERTA -   Va meglio?

EFFE EFFE - Sì.

GIULIO -       Allora… (gli indica la porta)

ALBERTA -   (al marito) Ma che hai? (a Effe Effe) Vuoi che ce ne andiamo noi in cucina? Ti faccio un buon caffè.

EFFE EFFE - No… Cinque minuti. Il tassametro scatta. Plic, plic.

(Alberta fa segno a Gianluca che secondo lei, per quanto il fatto sia molto strano, Effe Effe ha bevuto)

GIANLUCA - Possiamo andare noi, papà. (prende Giulio per un braccio e lo tira verso la cucina)

EFFE EFFE - È in gamba, questo Gianluca. Vorrei essere io giovane oggi. E la bambina? Quanti anni? Sette?

ALBERTA -   E mezzo.

EFFE EFFE - Qualcuno ha detto che quello è il cinema: il sogno a occhi aperti di un bambino. E infatti è l’età media dei registi, oggi. Chissà cosa le piace vedere.

GIULIO -       (sempre per restare) La nostra brodaglia non le piace di certo…

EFFE EFFE - Brodaglia saranno i tuoi romanzi fiume che sfociano direttamente nell’oceano dei Remainders.

GIULIO -       Sempre meglio del macero. Che è il tuo sbocco naturale.

ALBERTA -   Andate, su.

GIANLUCA - (a Giulio) Vieni. (esce tirandoselo dietro)

EFFE EFFE - E non si origlia alle porte!

(Alberta chiude. Effe Effe striscia in ginocchio davanti a lei)

Grazie!

ALBERTA -   Tu hai bevuto.

EFFE EFFE - No.

ALBERTA -   Tirati su.

EFFE EFFE - Subito. (ci prova ma tentenna. Alberta non lo aiuta) Sì. In vagone ristorante. Mi son fatto portare una bottiglia di Borgogna. (adesso Alberta lo sorregge)

ALBERTA -   Per scolarla con chi?

EFFE EFFE - Da solo.

ALBERTA -   Tu che non bevi mai?

EFFE EFFE - Ma neppure mi era mai successo quello che mi è successo lassù. (d’improvviso la abbraccia stretto) Te lo dice, lui, quanto sei bella?

ALBERTA -   Stasera quasi. Tu a Etta Etta glielo dici?

EFFE EFFE - Se lo dice abbastanza da se. Non ci meritano, quei due. (le accarezza il corpo) Quando scappiamo insieme?

ALBERTA -   Appena me ne lasci il fiato. (Effe Effe si stacca e indietreggia barcollando)

EFFE EFFE - Ho bevuto per festeggiare. Grazie! Quella è la strada! Sottobraccio ad Aiello!

ALBERTA -   Per il nuovo film? Con Aiello, che secondo Giulio ti ha già detto: (imitando l’accento napoletano) “Vui mmò…”

EFFE EFFE - “Vui mmò pazziate proprio!” (cava di tasca un foglio e glielo dà) Leggi l’appunto che gli avevo dato, prima, e dimmi se aveva torto! Leggi! (si libera del cappotto e del cappello e piomba a sedere)

ALBERTA -   (legge) “Due superfici nere specchianti riflettono la faccia di un uomo. Espressioni beate e grottesche. Zummata ad allargare. Si vede una coppia nuda. L’uomo sta facendo l’amore con una donna bellissima che indossa solo un paio di occhialoni a specchio. L’uomo non sopporta più di vedersi riflesso. Glieli strappa. E si trova abbracciato a uno scheletro.”

EFFE EFFE - E così via. Povero Aiello! Sgranava il suo rosario di cornetti rossi!

ALBERTA -   E tu ci hai rinunziato? Gli hai proposto qualcos’altro?

EFFE EFFE - Come se fosse possibile! Tu lo sai!

ALBERTA -   Io?

EFFE EFFE - Mi stai mettendo alla prova! Mentre vengo a dirti grazie!

ALBERTA -   Ma grazie di che?

EFFE EFFE - Mammoletta! Le tue frasi!

ALBERTA -   Le mie frasi?

EFFE EFFE - (come per ricordare a lei e a se stesso) Che un film su una cosa così è possibile farlo a un solo patto: che lo si faccia per giovare alla sua immagine.

ALBERTA -   …Alla immagine… della… (è vaga)

EFFE EFFE - Per renderla potabile. Solo a questo patto. E il tono dev’essere come dici tu: tenero, giocondo, fantastico. Niente di macabro! (indica i fogli del soggetto)

ALBERTA -   Non ricordo di averti mai detto queste cose.

EFFE EFFE - Neppure io lo ricordavo. Sarà stato chiacchierando. Bisognava che arrivassi agli estremi, quel pomeriggio, in Engadina. Avevo attorno a me le montagne, tanto stregate di bellezza quanto prive di anima, eppure proprio per questo oscenamente belle, e pensavo: queste cime ci saranno ancora fra millenni di millenni, intatte e indifferenti, e io che adesso sono qui, sbigottito da tanta bellezza, fra una manciata di anni non ci sarò più, sarò nulla. E allora, strapparle la maschera, alla bellezza! Mostrare che cosa nasconde! Come lì! (indica il foglio) Il burrone, sotto, mi attraeva. E in quel momento, la tua voce: “Cambia strada. Macché scheletri. Giocondità. Tenerezza. Un bel lifting bisogna farle, alla vecchia signora!”

ALBERTA -   (si è scossa) Il mondo alla rovescia. Un lifting. Bravi. Questo sì vi somiglia. (accomuna con un gesto Effe Effe e Giulio in cucina)

EFFE EFFE - Che c’entra lui?

ALBERTA -   Ne avrete discusso insieme. Ci ripensavi a voce alta, lassù, e ti ha risposto la eco.

EFFE EFFE - Con la tua voce?

ALBERTA -   E dagli. Io e te non ne abbiamo mai parlato.

EFFE EFFE - Sì.

ALBERTA -   Ti è sembrato, ma non è vero.

EFFE EFFE - È vero.

ALBERTA -   No.

EFFE EFFE - Sì.

ALBERTA -   Oh, senti, mica sempre in vino veritas!

EFFE EFFE - Mi dai del bugiardo?

ALBERTA -               Ti dico che è la strada giusta. E voglio dirlo anche a lui. (fa un passo verso la cucina come per chiudere l’argomento. Effe Effe balza dalla sedia)

EFFE EFFE - No! (la afferra, la spinge contro la porta della cucina e la tiene inchiodata per i polsi a braccia spalancate) Lui non deve entrarci. Gli sfiduciati creano sfiducia. Scrive per gli altri? Padrone! Se le cose mie non gli vanno più!

ALBERTA -   Sei ingiusto. Tu per lui sei il massimo. (gli scivola via) Sarebbe come dire che a me non va più di avere Karen Blixen da tradurre. (come per distrarre Effe Effe, ma stimolata dalle sue confidenze e dai suoi furori) È il mio angolino, la Blixen… Non ho altro di mio. Proprio mio. Lavoro con la portatile sulle ginocchia… di sopra. E lei mi trasporta. Castelli nella foresta. Cavallerizze. Praterie. Rossori d’amore. Incantesimi. Istanti… Sono alla fine, sai? Ma c’è un aggettivo che mi perseguita. Senti. Come diresti tu, di un istante così importante che non se ne vede il fondo?

EFFE EFFE - Sfondato.

ALBERTA -   Sii serio. Un istante…

EFFE EFFE - Sfinterico. (ride)

ALBERTA -   (gli parla alle spalle nell’orecchio) Il momento dell’amore ti mette a disposizione il corpo di un altro. E mette il tuo a sua disposizione. Tradurre è lo stesso. Due corpi invece di uno.

EFFE EFFE - Vuoi dire che io sarei (indica la cucina) la tua Blixen? E tu sei la mia. (si gira verso di lei, le prende il viso fra le mani) È adesso o mai più per me, lo capisci, vero? Mi danno l’ostracismo dopo il fiasco. E se si sa che vado in giro a sentirmi dire di no sono fritto. L’ho visto succedere a tanti altri.

ALBERTA -   (gli aggiusta i capelli) Non al grande pifferaio. Non al Mago di Oz.

EFFE EFFE - Sai perché ho tenuto il taxi? Per costringermi ad andare subito da Aiello, a raccontargli il nuovo inizio. (cammina su e giù) Un aereo nell’uragano. I passeggeri impauriti. La paura è comica. L’aereo… Ma tu questo lo sai.

ALBERTA -   Io? Ah già.

EFFE EFFE - E naturalmente, se vogliamo che ci sia fantasia, tenerezza…

ALBERTA -   (ironica) Come dicevo io…

EFFE EFFE - …non un uomo! Altro sbaglio enorme! Una donna! Niente Leopoldo!

ALBERTA -   Leopoldina?

EFFE EFFE - (come citando parole di Alberta) Due occhioni spalancati sul più pauroso dei misteri, che, così, non mette più paura.

ALBERTA -   Due occhioni? Ho pensato proprio a tutto, io. Etta Etta ci sguazzerà.

EFFE EFFE - (una smorfia) Dovrà meritarsela, una parte come Leopoldina. (ride) Ah! È fatta, è fatta! Aiello resterà a bocca aperta! Un film così non si vende, si stravende! Corro da lui! (afferra cappello e soprabito e si dirige a zig zag alla porta della camera da pranzo)

ALBERTA -   Non si esce di lì.

EFFE EFFE - Lo so. (va verso la cucina)

ALBERTA -   Vuoi salutare Giulio?

EFFE EFFE - (si ferma) No. Anzi, promesso? (fa segno di tenere il segreto)

ALBERTA -   Tu prometti che resterete insieme?

EFFE EFFE - Se dici “resteremo”.

ALBERTA -   È roba tua e sua. (lo aiuta a infilare il cappotto) Tu sei innamorato della vita, innamorato pazzo, e vuoi offrirle anche quello che c’è dopo… non come un mazzo di crisantemi… come un bouquet di fiori d’arancio… (gli mette il cappello) e solo Giulio può coglierli per te.

EFFE EFFE - Ah! (fa per abbracciarla di nuovo. Si trattiene) Peccato che io non sia il tuo tipo.

ALBERTA -   E che io non sia il tuo.

EFFE EFFE - Silenzio, intanto. Domattina verrò a mostrarti il contratto del secolo. Firmato: Aiello.

ALBERTA -   O chi per lui.

EFFE EFFE - Chi per lui? (ride) È il nome ideale per un produttore: “chi per lui”! (è alla porta d’ingresso. La apre, sta per uscire. Si volta) Ma… (guarda Alberta. Scrolla le spalle) Proprio peccato. (esce)

ALBERTA -   (gli grida dietro) Passeggia un po’ per schiarirti la testa! Sennò “chi per lui” ti boccia un’altra volta! (richiude la porta. Scrolla le spalle anche lei).

(Veloce viene Giulio dalla cucina)

GIULIO -       Perché gridavi? Cosa voleva?

ALBERTA -   Te lo dirà lui. Dato e non concesso che quando gli sarà passata si ricordi di essersi fermato da noi.

GIULIO -       Ubriaco?

ALBERTA -   Perso. Continuava a vedere spettri alle mie spalle.

GIULIO -       È lui lo spettro! Del regista che era!

GIANLUCA - (dalla porta di cucina) Sarebbe una fortuna, papà.

GIULIO -       Che cosa?

GIANLUCA - Che si dimenticasse di tutto per la sbronza. Una manna. (a Alberta) Perché gli dispiacerebbe di essere stato poco gentile con papà.

ALBERTA -   Il quale sbaglia a scrivere per gli altri dando per spacciato lui. Che invece secondo me lo fa.

GIULIO -       Cosa fa? Quel film? Non troverà un produttore al mondo! Un film su… Di questo ti parlava?

ALBERTA -   Io non l’ho detto.

GIULIO -       (fuori di sé all’idea dell’argomento tabù) Lo strozzo!

GIANLUCA - Era brillo, papà.

GIULIO -       Tirare fuori questo! Con te!

ALBERTA -   Per tua norma, non tutti gli uomini direbbero che il mio posto è in cucina, o a far di conto, o alla portatile a tradurre per giovare al bilancio.

GIULIO -       Ma lui non può piombare qui…

ALBERTA -   E dove sennò, se sei stato tu a suggerirgli una strada… (s’interrompe)

GIULIO -       Per il film?

ALBERTA -   Non l’ho detto…

GIULIO -       Io? Macché strada! No!

ALBERTA -   E con questo? Ti conviene comunque sostenere che gliel’hai suggerita. (gli dà una botta sulla nuca) Se fossi in te salterei sul vagone prima che prenda velocità, scemo. (altra botta sulla nuca. Va in cucina. Giulio si sfiora la nuca)

GIANLUCA - (ostile) Ha toccato prima me. (mostra le unghie. Ha un sobbalzo) Non litighiamo! Dobbiamo proteggerla!

GIULIO -       Che idioti! La porta. Che lui fosse sbronzo è stato un dono del cielo, ma se suonano?

GIANLUCA - Il filo è esterno. (lo segue lungo lo stipite cavando di tasca un temperino)

GIULIO -       Taglia. Terremo fuori tutti.

GIANLUCA - Zac! (lo recide)

GIULIO -       Abbiamo le sigarette?

GIANLUCA - Sono due anni che lei ci ha fatto smettere, papà.

GIULIO -       Ah già. Il telefono! (va per staccare la spina)

GIANLUCA - No. Tolgo il contatto, così si blocca anche l’apparecchio di sopra. (comincia a svitare l’apparecchio con il temperino) Però, prima… (cerca velocemente un numero sull’elenchetto dei numeri più usati e lo forma) Tu guarda che non torni. (Giulio va alla cucina)

GIANLUCA - (al telefono coprendo la voce con la mano) C’è Fatima?… Sì. Io, sì. Stia a sentire. Non venga, domattina… No. No, niente venire domani Fatima. Neanche dopodomani. Niente più. Fatima licenziata. Pagheremo. Liquidazione. Premio. Non venga. E non pianga! (mette giù, svita, e stacca il filo interno) È nostra, papà!

GIULIO -       Solo nostra!

(Si abbracciano. Bussano alla porta. I due restano attaccati l’uno all’altro come naufraghi allo scoglio. Bussano ancora)

GIULIO -       (impervio) Non si apre.

(Dall’altra stanza torna Alberta e li ritrova abbracciati)

ALBERTA -   Daccapo?

(Si sente girare la chiave nella toppa ed entra una giovane donna. È carina. Porta gli occhiali)

LA GIOVANE - Come mai non rispondevate?

ALBERTA -   Mizzi!

MIZZI -          (vede Alberta) Ma… Chi c’è? Vedo… Voi non vedete?

GIULIO -       Attenta. Mizzi!

ALBERTA -   Cosa vedi? Chi c’è?

MIZZI -          E sento! (quasi sviene)

ALBERTA -   Oddio. Carolina sta male. (a Mizzi, semisvenuta) Che succede alla bimba? Dov’è? Ha qualcosa?

MIZZI -          (in napoletano stretto, senza capire con chi sta parlando) Sta benissimo. È a casa con la nonna. Sono appena tornate.

ALBERTA -   Da dove?

MIZZI -          (apre gli occhi e vede Alberta) No! (viene meno. Gianluca la sorregge e la porta via)

ALBERTA -   Oh questa. Non c’è che dire, è una soddisfazione fare alla propria nuora l’effetto di un fantasma.

GIANLUCA - (con Mizzi quasi in braccio) Ex nuora, mamma. (va in camera da pranzo e chiude la porta)

GIULIO -       (allarmatissimo) Macché fantasma. L’hai assalita. Forse Mizzi ha bisogno di un anticipo sul mensile.

ALBERTA -   Fammi sentire. (si accosta alla porta. Giulio fa rumore con degli oggetti) Sst. Fermo, voglio ascoltare. (ascolta. Imita) E bibì e bibì e bibì. Bisticciano sottovoce. Come i primi anni quando ci hanno deliziato accampandosi qui: e bibì e bibì e bibì. Finche Carolina è cresciuta. E proprio allora hanno messo su casa per conto loro.

GIULIO -       Non c’era spazio, qui.

ALBERTA -   Se restavano, non sarebbero arrivati a questa coglionata della separazione. E pur di godermi Carolina io mi sarei fatta il letto in garage. Mah. A costo di chiamare la nonna bantù, voglio vederci chiaro. (è andata al telefono, alza il ricevitore) Niente. (batte sulla forcella) Niente.

GIULIO -       Cristina ci avrà lasciati isolati.

ALBERTA -   (battendo sulla forcella) Macché, è la linea. Il quartiere. Il distretto. L’accidente che gli prenda. Maledette le Aziende di Stato. lo liberalizzerei tutto, anche l’Anagrafe. Pensa che bello: l’età a trattativa privata. (grida nel ricevitore) Vergogna! (lo riappoggia)

GIULIO -       Ma chi può averle dato le chiavi nuove? (un sibilo dalla cucina)

ALBERTA -   Il forno! (si avvia)

GIULIO -       Tu? Gliele avevi date tu?

ALBERTA -   E me ne vanto. La mamma di Carolina! Ma dove siamo! Per qualunque cosa! (si ferma) Colpa vostra se si brucia tutto. (via).

(Giulio corre all’altra porta e la socchiude. Gianluca si affaccia subito seguito da Mizzi che sta pulendosi gli occhiali)

GIANLUCA - Non cercare di capire. Vattene e non aprire bocca con nessuno.

GIULIO -       (che sorveglia la cucina) Non può andarsene. (indica la cucina) Alberta vuole notizie della bambina.

MIZZI -          Alberta? Basta. Siamo laici e maturi. (inforca gli occhiali e va con decisione a occhieggiare sulla soglia della cucina. Indietreggia e si fa un velocissimo segno di croce)

GIANLUCA - Non eravamo laici?

MIZZI -          Un momento. So benissimo dov’è lei. Com’è, ormai. (gesto come di cenere che scorra fra le dita) Il lutto fresco è un rischio per la sanità mentale. È scientifico.

GIANLUCA - Due volte l’hai vista. E prima ci hai pure parlato.

MIZZI -          Appunto. La psiche rifiuta di accettare che la persona cara non ci sia più, perché verso di lei abbiamo qualche sentimento di colpa.

(Giulio la guarda colpito)

GIANLUCA - Io no.

MIZZI -          Io sì. E anche tu, bamboccio egoista. Sapevamo quanto soffriva di non avere qui la bambina e adesso ce lo rimproveriamo. Finché sentiamo così, gli occhi, gli orecchi, ci ingannano.

GIANLUCA - Anche il naso? (indica la cucina) Fiuta… (Mizzi annusa)

MIZZI -          Noce moscata? È impossibile…

GIANLUCA - Perché? Perché questo Freud non lo dice?

MIZZI -          Ma se fosse così… vorreste tenere per voi un evento che introdurrebbe una variante radicale in tutto ciò che la razza umana ha sperimentato da sempre?

GIULIO -       Non ce ne importa un fico della razza umana. (prende sottobraccio Mizzi e fa cenno a Gianluca di sorvegliare la cucina) È qui con noi, Mizzi. Questo solo conta. Lei non lo sa.

MIZZI -          Non sa…

GIULIO -       Non sa di essersene andata. Non se n’è accorta. Lì fuori, uscivamo, sette giorni fa. D’improvviso (porta la mano al petto) il cuore mi è sobbalzato, un presentimento. Lei si è fatta immobile. E l’abbiamo vista cadere. Col cappellino in mano.

GIANLUCA - (fra i denti) E i bigodini in testa.

GIULIO -       (a Mizzi) La propria fine, se arriva così, si può: non saperla. O rifiutarsi di saperla. Tu di mestiere non tratti con signore e signori stesi su un divano che si rifiutano di sapere che cosa gli è successo? Voglio che fai lo stesso con Alberta appena torna di qua…

GIANLUCA - Abbiamo la necroanalista?

MIZZI -          Lei sa quanto la rispetto, Giulio. Non è colpa di nessuno se un grande scrittore è il padre di un buono a nulla che desidero incontrare solo in tribunale. Sono disgrazie che capitano. Ma non mi può chiedere di… di…

GIULIO -       Fallo per lei, Mizzi. Se è qui per qualcosa dobbiamo capirlo. Noi siamo troppo coinvolti. Tu sai restare distaccata. Ti prego.

MIZZI -          È pazzesco!

GIULIO -       Roba tua, quindi.

MIZZI -          Anche ammesso, io perché sarei venuta qui stasera? Non posso mica dirle che non rispondevate e che volevo decidere insieme a voi come dirlo a Carolina. Di lei. (indica la cucina, si confonde) Della nonna. (si esaspera) Che è morta!

GIANLUCA - (al padre) La senti? Rovinerà tutto.

GIULIO -       Che non ti sfugga, Mizzi. Bada. Neanche una allusione.

GIANLUCA - Eccola. (torna Alberta)

ALBERTA -   (a Mizzi) Allora, la bambina? Da dove è tornata? Eh?

MIZZI -          (che la guarda attonita) Ah. Dal compleanno di Camilla. C’è voluta la pazienza di mia madre per strapparla via.

ALBERTA -   Che tesorino. Starà dormendo, spero.

MIZZI -          (sempre sbalestrata) Sì…

ALBERTA -   Ma tu, qui? E com’è che voi due non vi state azzannando?

MIZZI -          Come no! (recita una lite) Il videoregistatore! Gliel’ho comprato e venivo a chiedere a lui se poteva fare il suo dovere! Subito, una volta tanto!

ALBERTA -   E… (accenna allo svenimento)

MIZZI -          C’è da farsi venire uno sturbo, a rincorrerlo! Dopo dieci ore passate ad ascoltare gli sturbi degli altri!

GIANLUCA - Quante storie! (recita anche lui)

ALBERTA -   Con garbo, Gianluca. Mizzi te lo ha chiesto civilmente. O quasi. E il videocoso per quella cucciola ce lo possiamo permettere. Con fattura, s’intende. Controllati.

GIANLUCA - È lei, che farebbe uscire dai gangheri la porta blindata di un caveau!

MIZZI -          Bello, il paragone. E tu cosa saresti? Il tesoro d’una banca? Non si direbbe quando ti presento i conti: “La ginnastica? Il nuoto? E perché tutta questa danza?”

GIANLUCA - Sei… sei…

MIZZI -          Sono la madre di una creatura che se fosse per il padre verrebbe su rachitica.

ALBERTA -   Per carità. (a Mizzi) Mangi con noi?

GIANLUCA - Io mangio in cucina, allora.

ALBERTA -   Mi sono già stufata. Lasciatemi con questo maleducato, che non si sa da chi abbia preso. E Mizzi mi farà il piacere di gettarci un occhio lei, in cucina. (a Giulio) Tu porta di là i moduli. Così come sono… senza spargerli al vento.

MIZZI -          Con me non vuole parlare?

ALBERTA -   Prima uno, poi l’altra.

(Mizzi e Giulio escono, uno di qua coi moduli, e una di là. Alberta è sola con Gianluca)

ALBERTA -   A vent’anni eri sull’ultrarosso. Un bel colore. Così bello che nello spettro non c’è. Poi per uscire dal vicoletto inclinavi all’arancione. Eri lì lì per lasciarti rapare a zero. Adesso, dopo un bagno rigeneratore nell’antropologia, come dici tu, ti stai tingendo di verde.

GIANLUCA - Io non sono un prodotto, mamma. Sono un processo.

ALBERTA -   Alle intenzioni.

GIANLUCA - Le linee rette non usano più. Io seguo un arco.

ALBERTA -   Un arcobaleno. Percorrendo il quale in eterna tenera età, come Peter Pan, hai trovato modo non solo di sposarti, ma di popolare il mondo.

GIANLUCA - Mi rimproveri Carolina?

ALBERTA -   Non farmi dire quello che non dico. Carolina è stata l’unica buona idea della tua vita. E tanto hai fatto che ce l’hanno tolta perché tu non leghi con tua moglie.

GIANLUCA - Ancora soltanto per sedici mesi, moglie.

ALBERTA -   Ma padre e madre lo sarete per tutta la vita. Io non intendo che la bambina ci vada di mezzo. E… siccome un momento come questo potrebbe non tornare più…

GIANLUCA - (sospeso) Che momento?

ALBERTA -   Di essercene rimasti a casa. Con Mizzi che si è presentata. (chiama) Mizzi! (a Gianluca) Tu aspetta di là con tuo padre.

(Mentre esce Gianluca entra Mizzi dalla cucina e fa appena un passo nella stanza)

ALBERTA -   Guarda che io ho capito. So. È inutile fingere, con me.

MIZZI -          (col fiato sospeso) Sa?

ALBERTA -   Quindi, carte in tavola.

MIZZI -          (viene avanti, esitante) Non vorrebbe sdraiarsi? (le indica il divano, ricorrendo all’approccio professionale)

ALBERTA -   Magari! Non c’è niente che preferirei alla posizione orizzontale, ma pare che stasera non me la possa permettere. Allora? Avanti. A noi donne la verità non fa paura.

MIZZI -          Io non ho paura. Sono felicissima che lei… sì, ci sia. E nessuno mi convincerà…

ALBERTA -   Di che?

MIZZI -          Che (esplorativa) lei non se ne è accorta.

ALBERTA -   Brava. Gli uomini! Loro, non si accorgono mai di niente. Se non ne parlavo, se aspettavo, è perché certe cose sono appese a un filo. No?

MIZZI -          (incertissima) Sì. Forse. Ma mi spieghi.

ALBERTA -   Io a te? Marpiona. C’è da imparare. Buona la scusa.

MIZZI -          (sentendosi fuori strada) Che scusa?

ALBERTA -   Del videocoso. E pluff (imita lo svenimento) fra le sue braccia. Gli hai ricordato come sei fatta. Cos’è averti addosso. È questo che ha sempre funzionato fra voi. (chiama) Gianluca! (a Mizzi) Sotto.

(Gianluca si affaccia con Giulio)

GIULIO -       (a Mizzi) Dunque? (Mizzi allarga le braccia e si appoggia a una parete)

GIANLUCA - (al padre) Eccola lì, quella che restava distaccata.

MIZZI -          (salvando al volo) Da questa casa, eh? Dove sono di troppo!

GIANLUCA - (si adegua) Si! (per litigare) E si può sapere come hai fatto a entrare?

MIZZI -          Non credevi, eh, che avessi le chiavi?

GIANLUCA - Infatti! Come…

ALBERTA -   Lascia stare. Le ha.

MIZZI -          Sei arrivato a cambiare la serratura! Si fa così quando si licenzia una serva ladra.

GIANLUCA - O quando la serva, il paragone è tuo, se ne va lei, portandosi via la cosa più preziosa.

MIZZI -          Non parlare di Carolina. Non ti conviene.

GIANLUCA - Un padre…

(I due stanno dimenticando che la lite dovrebbe essere una simulazione a uso di Alberta)

MIZZI -          I tuoi visceri sbudellali in faccia al giudice. Mai un pensiero per lei. E adesso: “come faccio senza Carolina?”

GIANLUCA - Come fa Carolina senza di me?

ALBERTA -   Break! Badate che il tempo passa e nessuno dei due ringiovanisce.

GIANLUCA - Nelle donne si sente di più.

MIZZI -          Questa è degna di un mitteleuropeo.

GIANLUCA - Mittelafricana.

MIZZI -          (a Alberta in napoletano stretto) Ma lei lo capisce con chi ho avuto a che fare?

ALBERTA -   Tradurre.

MIZZI -          Lo capisce con chi ho avuto a che fare?

ALBERTA -   Altroché. Già nella nursery, con la faccina viola, voleva dire la sua. Lasciamogliela dire.

MIZZI -          E cosa sarebbe “la sua”? Il catalogo delle storie che ha avuto nel frattempo?

ALBERTA -   Ma se non avesse colto neanche una occasione, tu che uomo lo giudicheresti?

MIZZI -          Qualche mocciosa. O qualche vecchia carampana.

GIANLUCA - (sussulta) Cosa intendi per…

ALBERTA -   Meglio evitare, Gianluca.

GIANLUCA - Io non so di carampane!

MIZZI -          Peggio, allora. Faccine sciape da pubblicità di TV locali. Grazie al fatto che suo padre lavora con Effe Effe.

GIANLUCA - (ad Alberta) E lei? Questo vorrei sapere! Niente, lei?

ALBERTA -   Come se ti importasse.

GIANLUCA - Molto. Moltissimo. E ne ho motivo. Una notte l’ho eccitata a fare il conto dei miei predecessori. Episodi, li chiamava. Sedici episodi, prima di conoscermi. O diciotto. Non lo sapeva neanche lei.

ALBERTA -   Forse perché il diciassette porta male.

GIANLUCA - Infatti lo ha riservato a me.

MIZZI -          Neanche per idea. Nel caso, ne avrei aggiunto uno alla svelta.

GIANLUCA - La sentite, la troia?

GIULIO -       Gianluca!

ALBERTA - Ormai lo dicono anche i bambini alle bambine, Giulio. E per una donna perbene è un gran complimento.

GIANLUCA - Perbene?

MIZZI -          Dormire da sola, per un anno e mezzo. Una comincia a guardarsi attorno. E a farsi guardare.

GIANLUCA - La gente ha certi gusti. Io piuttosto lo metterei fra due mattoni.

MIZZI -          Però, chiusi dentro il suo armadio (indica Alberta) il soffice ti aiutava.

ALBERTA -   Dentro il mio…

GIANLUCA - Due volte troia! A farlo e a dirlo!

MIZZI -          (ad Alberta) E mi costringeva ad aspirare insieme a lui il profumo rimasto sui suoi vestiti.

GIANLUCA - Perdonami, mamma!

ALBERTA -   Ma è bellissimo.

GIANLUCA - Mi provocava, appena sposati! Diceva che non riusciva a disedipizzarmi!

MIZZI -          Neanche Freud farebbe miracoli, dove sono passate certe madri. (pentita) Oddìo.

ALBERTA -   Non hai detto niente di male. Del resto, anche al dottor Freud in fasce qualcuna glieli avrà cambiati, i pannolini.

GIANLUCA - Fatevi dire piuttosto cosa mi faceva fare lei con la sua (indica Giulio) schiuma da barba!

GIULIO -       Per questo finiva Così presto.

MIZZI -          Vigliacco! Spia!

GIANLUCA - E non scendo ai particolari.

MIZZI -          Ci scendo io. Il suo (indica Alberta) completo di velluto rosso. La sua sottoveste coi volàn.

GIULIO -       (a Alberta) Lei?

ALBERTA -   Lui, Giulio.

GIULIO -       Lui??

MIZZI -          Le sue calze nere traforate…

GIANLUCA - (a Mizzi) Chiudi quella boccaccia! O te la chiudo io!

MIZZI -          Provaci! (gli si piazza davanti)

GIANLUCA - Vuoi vedere? (le dà uno schiaffo. Lei lo incassa e glielo rende fortissimo)

ALBERTA -   Brava. (lui indietreggia, poi si lancia per afferrarla. Lei lo fa inciampare buttandogli fra le gambe due cuscini del divano)

ALBERTA -   Bravissima.

GIANLUCA - Aspetta me! (la insegue. Mizzi si gira e gli allunga un calcio al basso ventre che lui evita ricevendolo su una coscia)

GIANLUCA - E se mi prendevi lì?

MIZZI -          Per me puoi anche donarlo a Houston per un trapianto! (si tirano delle sedie)

GIULIO -       (vorrebbe intervenire) Siete impazziti?

ALBERTA -   Se fossi in te li lascerei fare…

MIZZI -          Sarai cornuto! Sarai cornuto! So già con chi! (si azzuffano)

GIULIO -       Separiamoli!

ALBERTA -   Lasciali fare, ti dico.

(Gianluca afferra Mizzi e finisce che la bacia. Mizzi si stacca)

GIANLUCA - Così almeno stai zitta. (la bacia di nuovo. Si baciano)

MIZZI -          (si stacca) Se speri che ci ricasco… (Gianluca la bacia ancora buttandosi con lei sul divano. Mizzi si stacca) Fossi matta. (è lei a baciarlo)

GIANLUCA - (si alza e cerca di sottrarsi) Io, sarei da legare.

MIZZI -          (lo stringe) Fatti anche questa, stupido. Ogni lasciata è persa. (i due si avvinghiano in piedi)

GIANLUCA - Guarda che a me i piatti riscaldati… (la solleva e va verso le scale)

MIZZI -          Guarda che ti conosco.

(Si baciano mentre Gianluca la porta su in braccio. Spariscono insultandosi a soggetto e baciandosi. Da sopra si sente continuare la lite e il tonfo di una porta sbattuta)

GIULIO -       Giù calcinacci. (arrivano grida) Si sbranano. (rumori diversi, soffocati) Ah. (guarda Alberta) Li aizzavi…

ALBERTA -   (rialza una sedia e gliela tira) Una nonna fa questo e altro.

GIULIO -       Canaglia.

ALBERTA -   (raccatta un cuscino e glielo tira) Oppure è la mia parte Greta che fa capolino. (alza la mano dell’anello e se la guarda)

GIULIO -       Sei bellissima.

ALBERTA -   Mizzi è bella. Finche non si sfascia. (si liscia un fianco con l’altra mano) Il Nord ha questo, che tiene. Comunque, ricordatevi: le mie scorie agli Asburgo. (fa un gesto come quello fatto da Mizzi, di cenere che scorre fra le dita Giulio è ipnotizzato) Non potendo nel Baltico, come lei, la nonna Greta, che finì beatamente fradicia di vino bianco, Fiammeggerò meglio, diceva. (bacia l’anello e ride, Giulio ha l’esigenza irresistibile di liberarsi da ciò che lo opprime da quando Mizzi ha parlato del senso di colpa)

GIULIO -       Alberta… (non riesce a continuare)

ALBERTA -   Alberta Greta, stasera. Che c’è, Pulcinella? Qualche altro segreto? (si muove riordinando) Di che si tratta, sentiamo, di Cristina? (Giulio resta senza parole) Fammi spegnere il forno, (gli toglie il cuscino e lo rimette sul divano) Là. Nessuno direbbe che c’è appena stato un safari sessuale, qui. (va in cucina)

GIULIO -       Un momento, un momento! Tu…E io che cercavo il modo… già da prima, da molto prima… e non lo trovavo!

ALBERTA - (dalla cucina) Questo è vero. Certe volte pensavo: “Adesso me lo dice. Macché, vedrai che si ferma”. E infatti, ti fermavi.

GIULIO -       Da quando? (forte, verso la porta della cucina) Da quando lo sapevi? Eh? Da… da subito? Eri diversa, in quel periodo… Ma come potevo immaginare che, se eri diversa, era per via…

ALBERTA -   (dalla cucina) Di Andrea.

GIULIO -       Andrea? Che c’entra?

ALBERTA -   (torna dalla cucina, Ha un piattino con degli appetizers) Ci sono dei cubetti di formaggio. Fatima non ha lasciato altro.

GIULIO -       Impossibile…

ALBERTA -   Hai ragione. Mi sentirà, domattina.

GIULIO -       Ma che mi importa! È impossibile che tu…

ALBERTA -   E ti sembra possibile che una crisi come la tua, è così che si usa dire, no, non ne provocasse una anche a me?

GIULIO -       Non è vero. Dì che non è vero. Eppure… Andrea? Sì! Lo vedevo a pezzi, e pensavo: che amico!

ALBERTA -   A pezzi, lui? Quando?

GIULIO -       Non so quel che dico! Ero così felice stasera! Perché me lo hai detto?

ALBERTA -   Hai cominciato tu. (lo imita) “Alberta…”

GIULIO -       Io dovevo! Non mi sarei mai perdonato di avere perso questo momento! Ma tu che bisogno avevi…

ALBERTA -   Di dirlo? O di farlo?

GIULIO -       Quando te ne sei accorta non potevi, piuttosto, fermarmi?

ALBERTA -   Perché voi due mi mentiste ugualmente, e doppiamente? No. Meglio il pareggio.

GIULIO -       Non è uguale!

ALBERTA -   Perché tu sei un uomo?

GIULIO -       No! Perché tu sei tu! Vuoi rovinare tutto? Ma… bada che io potrei impedirtelo!

ALBERTA -   E come? Riavvolgi il nastro e tagli un pezzo?

GIULIO -       Non scherzare! Non capisci che sei in mio potere? Senza che io lo abbia voluto! Ti ci sei messa tu, da te stessa, non so come né perché, né…

ALBERTA -   Quale potere? Quello che io ti detti appena ti conobbi?

GIULIO -       Mi basterebbe dirti cosa sei, e tu…

ALBERTA -   Abolita?

GIULIO -       Con una parola! Una sola!

ALBERTA -   Dilla.

GIULIO -       Se avessi le prove! Tu e lui? Non posso pensarlo!

ALBERTA -   Pensalo, pensalo.

GIULIO -       Bada! Cosa credi di essere, tu? Come credi di essere? Tu sei…

ALBERTA -   Avanti.

GIULIO -       Sei… come non puoi essere!

ALBERTA -   Di carne? Non posso essere di carne anch’io?

GIULIO -       (esasperato) No! No! Tu sei… (fa il gesto della cenere fra le dita) Ah! Eccola, la prova! Così premuroso! Ecco perché!

ALBERTA -   Andrea è sempre pieno di premure.

GIULIO -       Non nominarlo come se niente fosse! Bada!

ALBERTA -   Avanti. Avanti con quel tuo potere.

GIULIO -       (è ricondotto alla situazione) Non ce l’ho più. (trasforma il gesto in quello di stringere il vuoto con la mano) Non ce l’ho più, adesso. (si mette in bocca automaticamente un appetizer)

ALBERTA -   Peccato, Per un istante ho sentito davvero come se tu, con una parola, potessi… non so, annientarmi. Non mi sarebbe importato. Ma tu non riesci a finire una frase, stasera.

GIULIO -       E ne ho motivo! (gesticola)

ALBERTA -   Il dolore al braccio? Sputa il formaggio! Ti misuro la pressione?

GIULIO -       Sto benissimo. È quell’ipocrita che mi torna in gola! Quel capogangster!

ALBERTA -   Ti dirò che, dovendo variare, lo spirito di iniziativa…

GIULIO -       (indica se stesso) Dopo l’insipienza… (gli scappa il gesto della cenere) Ecco chi ti chiamava Alberta Greta!

ALBERTA -   Se è per quello, continua a chiamarmi così.

GIULIO -       Continua?

ALBERTA -   Sciocco, Se te ne parlo…

GIULIO -       Una cosa breve?

ALBERTA -   Non so se a te con Cristina è sembrata breve. Io comunque ho fatto in modo che la mia cosa non si prolungasse oltre la tua. (stupore di Giulio) Avevo il contatore. Dietro… (un gesto come a cercare dietro dei libri)

GIULIO -       Le… (sta per dire: le sue lettere)

ALBERTA -   Dapprima l’incremento era regolare.

GIULIO -       Non parlarne come se fossero le bollette del gas! Le hai lette?

ALBERTA -   No. E appena ho visto che si diradavano… (gesto come per troncare)

GIULIO -       Bruciate, sai? Tutte. (ha un pensiero) Ma dimmi: ti ha resa felice?

ALBERTA -   Che domanda.

GIULIO -       Devo saperlo, adesso che tutto è bruciato.

ALBERTA -   Beh, la faccenda fra me e te era diventata sindacale, devi ammetterlo. E neppure selvaggia. Confederale.

GIULIO -       Mentre con Andrea…

ALBERTA -   In piena sincerità non potrei dirti: “Vorrei non averli avuti, quei momenti”.

GIULIO -       E allora neppure io, adesso, posso volere che tu non li abbia avuti. È assurdo ma è così. Per niente al mondo vorrei toglierti qualcosa di tuo, adesso. (fra la gelosia e l’altro sentimento) Beato Andrea. Porco schifoso, ma beato.

ALBERTA -   Anche quella porca schifosa non dev’essersi trovata male, se è rimasta così affezionata alla famiglia.

GIULIO -       Non era stato contro di te, sai. Ti adorava.

ALBERTA -   Non più?

GIULIO -       Accidenti a chi ha inventato l’imperfetto. Ti adora. È più che mai la tua migliore amica.

ALBERTA -   Che tenera.

GIULIO -       Per lei tu eri, sei, un mondo in cui entrare.

ALBERTA -   Non solo io. La famiglia.

GIULIO -       Perché continui a nominare la famiglia?

ALBERTA -   Tu non sei l’unico uomo di casa, caro.

GIULIO -       E chi altro? (ha un pensiero) Eh? (grida infuriato) Gianluca! (silenzio) Gianluca!

GIANLUCA - (da sopra) Che c’è?

ALBERTA -   (forte) Niente, caro. A che punto siete?

GIANLUCA - (c.s) Buono.

ALBERTA -   (forte) Fate con calma.

GIULIO -       Te lo ha confessato lui?

ALBERTA -   Che cosa sono, un prete? No. Anche lui si ritiene insospettato e insospettabile. Sarà ereditario.

GIULIO -       E allora? Il sesto senso delle donne?

ALBERTA -   Il settimo.

GIULIO -       E cioè?

ALBERTA -   Il senso del ridicolo, caro. Non hai collegato, prima? A sentir parlare di carampane sembrava punto da una vespa. (imita il sussulto di Gianluca)

GIULIO -       Definire Cristina una carampana… (riflette) Così, mentre con me…

ALBERTA -   No. Dopo. Subito dopo. Ma è roba strafinita anche quella. Altro contatore azzerato.

GIULIO -       Eh? (rifà il gesto di lei, di pescare dietro una fila di libri. Poi si porta una mano alla fronte pensando alla visita di Cristina) Sotto i miei occhi! Che bestia!

ALBERTA -   La mia migliore amica?

GIULIO -       Io, bestia. Io. E lui. Ma…

ALBERTA -   No, lui non sapeva di te. Cristina è di quelle a cui piace giocare alla prima e unica volta… Cos’è, mi tocca pure consolarmi?

GIULIO -       È stato per via di lei, che lui e Mizzi…

ALBERTA -   Mizzi non ne sa niente, la separazione c’era già. E ti pare quello il metodo di Cristina? Ha cercato forse di staccare te da tua moglie?

GIULIO -       Tutt’altro. Adesso, però… (va su e giù) Quei suoi accenni: che adesso, al momento giusto… Un ipoteca. Uno che non sapesse il resto ci potrebbe anche cascare. Un’ipoteca, sì.

ALBERTA -   Su Gianluca?

GIULIO -       (capovolgendo) Su di lui, sì. Ma adesso che Gianluca e Mizzi…

ALBERTA -   Questo sì. Se ci si mette (indica le scale) la ragazza se ne mangia sei, di Cristine.

GIULIO -       (timidamente) E io, di Andrei? Se mi ci mettessi?

ALBERTA -   (ambigua) Tu non hai bisogno di competere. Basterebbe il modo con cui hai detto che non vorresti privarmi di quei momenti.

GIULIO -       A nessun costo.

ALBERTA -   Devo cercare di dimenticarli?

GIULIO -       No. Ricorda tutto, finché puoi. Finché vuoi.

ALBERTA -   Bada che non ti voglio smidollato. Mi piaceva quando ti sentivi quel potere. Preferisco la gelosia. La rabbia. Ne ho bisogno per sentirmi viva.

GIULIO -       Ah, sì? Sono gelosissimo, allora! Idrofobo!

ALBERTA -   (sul divano) Ecco. Dai, sfogati, Perché sono stata lì lì, sai.

GIULIO -       Eh?

ALBERTA -   Più di una volta. Ho scoperto che ci vorrebbe poco a passarlo, il Rubicone.

GIULIO -       Alberta…

ALBERTA -   Alberta nicchiava. Greta la sfrontata, era pronta a varcarlo di un balzo. “Quel suo amico, Andrea: il capogangster!” “Amico per amico”, rimuginava Alberta, “perché non l’artista di genio?”

GIULIO -       No. Lui no. Non avrebbe osato.

ALBERTA -   Era così buffo, stasera.

GIULIO -       Ci ha provato? Con me di là?

ALBERTA -   Ma a che pro, ormai? Il pareggio c’era già. (Giulio è sulle spine) Sì, perché questa Alberta, così positiva… se poi è vero che lo è… lettere dopo lettere che si ammucchiavano lassù, altrettante lei se ne andava scrivendo da sé… per sé, nella mente… da crederci lei stessa… e non c’è adultera che possa competere con la fantasia di una moglie inguaribilmente fedele. Tanto più che era l’ultima occasione.

GIULIO -       Questo no! Mi stai facendo felice, non sai quanto, ma non devi dire l’ultima!

ALBERTA -   È lo specchio, che ha cominciato a dirlo. E io non voglio rampini ne carrucole. Meglio starsene all’ovile e trincerarlo ben bene: si aggirano certe iene.

GIULIO -       (felice fin quasi alle lacrime) Tana, allora?

ALBERTA -   Galeotto. Vieni qui. (sul divano. Giulio esita) Tana, topone.

GIULIO -       (disperato) Se penso che ti avevo… e ti ho…

ALBERTA -   Sst. Chiuso. (giocando a offrirsi) Non erano tutte di fantasia, quelle lettere. Mi aiutavo con Punta del Este.

GIULIO -       Il Festival…

ALBERTA -   L’invito me lo avevi fatto avere tu, ti ricordi? Lei, signorina, deve sapere che cosa si fa nel mondo. Vedrà il Mar della Plata.” Mascalzone. Non uscimmo di camera da un sabato all’altro. (si alza e lo allaccia)

GIULIO -       Pioveva di continuo…

ALBERTA -   E i film te li facevi raccontare al telefono. Colazione pranzo e cena, tutto a letto. (lo tira verso le scale)

GIULIO -       Neanche un minuto bisogna perdere.

ALBERTA -   Che galletto. Sei su di giri per quello che ti ho fatto pensare. Ma quando vedi Effe Effe, non dirgli…

GIULIO -       Non lo vedrò. Non vedrò più nessuno e non farò più niente finché tu…

ALBERTA -   Finché io?

GIULIO -       …non mi scaccerai dalle tue braccia. (cominciano a salire allacciati)

ALBERTA - Sono discorsi da giovani amanti, non da nonni. E forse nonni recidivi, a quest’ora. Sarà la serata. (accelerano la salita) Povera la mia cena. Nessuno ce la porterà in camera.

SIPARIO

SECONDO TEMPO

Mattina presto, poco dopo le otto. Quasi buio perché gli scuri della finestra sono chiusi come al primo tempo. In alto, sul pianerottolo, appare da destra Giulio in vestaglia. Tende l’orecchio verso la porta d’ingresso del pianterreno. Dalle altre stanze, a sinistra in alto, appare Gianluca in pigiama.

GIANLUCA - (indica la porta in basso) Qualcuno? (Giulio annuisce) E lei? (Giulio gli indica la stanza a destra. Gianluca felice) Com’è?

GIULIO -       Sst. Come vuoi che sia?

GIANLUCA - Voglio vederla. (va a destra. Giulio scende cautamente. Gianluca torna subito, incantato) Dorme beata e soddisfatta. Come Mizzi. Possibile?

GIULIO -       Sta a vedere che le donne sai soddisfarle solo tu.

GIANLUCA - Anche? (scende) Ti ha detto qualcosa?

GIULIO -       (minaccioso) Tante cose.

GIANLUCA - Oddio. Di sé?

GIULIO -       Sst. Non in quel senso. (alla porta, sfidando sottovoce chi è fuori) Suona, suona pure, chiunque tu sia. Non siamo tornati.

VOCE DI UOMO - Niente. Che sia guasto anche il campanello?

GIANLUCA - È Effe Effe.

GIULIO -       Maledetto. Ormai avrà saputo.

UOMO -         Io busso.

GIANLUCA - E non è solo.

(Bussano piano. I due guardano verso l’alto delle scale, terrorizzati)

GIULIO -       Così la sveglia. Devo aprire.

GIANLUCA - Ma l’ha vista!

GIULIO -       Gli dico che era sbronzo e lo mando via.

UOMO -         (chiama) Giulio!

(A Giulio non resta che aprire rapidamente mentre Gianluca va a nascondersi in cucina)

GIULIO -       (aprendo a metà) Chi è? Che c’è? (a chi è fuori) Voi?

VOCE DI DONNA - Ti abbiamo svegliato? Come stai?

(Entra per prima Cristina infilandosi fra Giulio e la parete. La segue Effe Effe, commosso e eccitato)

EFFE EFFE - Che dolore, Giulio! Povero amico, che hai perso una simile compagna! Che dolore, e che figura con te, ieri sera! (lo abbraccia)

GIULIO -       Che cosa, ieri sera? Che volete?

EFFE EFFE - Sei buono, a non prendertela! Chissà come mi sono comportato. Cos’ho fatto. O detto.

GIULIO -       (preoccupatissimo) Parla piano. Ho mal di testa. (richiude la porta di casa. Effe Effe abbassa la voce)

EFFE EFFE - Io ho smaniato tutta notte. E stamattina… Il tuo telefono è strano. Non prende. Allora ho pensato alla vostra amica intima. (cede la parola a Cristina)

CRISTINA -   Non lo sapeva, quando è stato qui! Capisci? Non sapeva ancora di lei!

EFFE EFFE - Ma tu sembri sereno.

GIULIO -       Io?

EFFE EFFE - Sì. Non hai l’aspetto di un vedovo fresco.

GIULIO -       Chi, vedovo? …Ah.

EFFE EFFE - Credevo di trovare un uomo disperato. Come me. Ma… forse, dopo una settimana…

GIULIO -       Sono disperatissimo, non dire sciocchezze. E casomai dille piano.

EFFE EFFE - (abbassando ancora la voce) Dorme ancora?

GIULIO -       (in guardia) Chi? Chi dorme?

EFFE EFFE - Gianluca, no?

(Gianluca sta adocchiando dalla cucina, visto solo dal padre)

CRISTINA -   (delusa) Non è andato a Latina?

GIULIO -       Non si è svegliato. Non chiudeva occhio da una settimana.

CRISTINA -   Povero ragazzo. Sento di volergli ancora più bene di prima.

GIULIO -       Sì, eh? Ancora di più?

(Gianluca sparisce in cucina)

CRISTINA -   Poverini! (abbraccia Giulio e gli dice all’orecchio) Giù dal letto e via quel pelandrone. La Capoverdina l’hai già rispedita? Che impazienza. Io pure, sapessi. Sbriga anche lui (indica Effe Effe) così abbiamo la mattinata. (forte) Un’ora fa, mentre ascoltavo del terremoto…

GIULIO -       Che terremoto?

CRISTINA -   In Oriente. Era quella la talpa, ieri sera. Nono grado. Città intere nel sonno. Un macello all’alba, laggiù, così terribile, diceva la radio, che una scossettina ha viaggiato fino qui. Beh, lui mi telefona che non riesce a parlarti… Infatti… (alza e abbassa il ricevitore) e se io lo accompagno da te. Che emozione! Rivolgersi a me, un genio! Un Oscar!

EFFE EFFE - (che si guarda intorno) Due, signora. Sono due gli Oscar.

CRISTINA -   Volentieri, gli dico. (piano) Sennò come avremmo fatto a comunicare? (forte) Ma che buio.

(Si dirige alla finestra per aprirla. Giulio non saprebbe come impedirglielo ma Effe Effe interviene)

EFFE EFFE - No! (gira un interruttore. Luce) Era così, ieri sera… (indica) Io qui e lei li.

CRISTINA -   (per intonarsi) Palpabile! Anche per me!

GIULIO -       Palpabile un corno. (a Effe Effe) Tu eri sbronzo. Stravedevi. Adesso ti dispiace. Va bene, sei scusato. Chiuso. (a Cristina) E tu sei stata gentile. (a tutti e due) Arrivederci.

CRISTINA -   Ma…

GIULIO -       Non serve altro. Finis.

EFFE EFFE - No che non è finita! Ieri sera…

GIULIO -       E dagli. È un capitolo chiuso.

EFFE EFFE - Aperto, Giulio! Apertissimo! Grazie a lei! Violani è piombato da me stamattina alle sette! Col suo legale e col mio! Carta bianca!

GIULIO -       (pensando ad altro) Violani?

EFFE EFFE - (vede Gianluca che non ha potuto fare a meno di affacciarsi sulla porta della cucina) Gianluca! (va ad abbracciarlo) Pensa: non lo sapevo! Che cosa terribile! E meravigliosa! Sono uscito di qui con una carica tale…Non sono l’uomo della bonaccia interiore, io! Devo averci dentro i cavalloni alti dieci metri!

GIANLUCA - Piano. Ho la testa…

CRISTINA -   Tu pure? Fatti una doccia, visto che eri sveglio, e corri a lavorare. Non preoccuparti per papà, non resterà solo: eh, Giulio? E Carolina ve la organizzo io.

GIULIO -       Non è un problema, Carolina. Si rimettono insieme.

CRISTINA -   (guarda Gianluca e indovina) Ah. Come sarebbe contenta Alberta. Lo desiderava tanto. Una bella notizia, nella disgrazia. (a Gianluca) Ma ieri sera, dì un po’, quando io ero qui a consolarti, era già sbocciata la riconciliazione?

GIANLUCA - (con imbarazzo) Non ancora. È proprio dalla disgrazia che sta sbocciando.

EFFE EFFE - (impaziente) È così, bravo Gianluca! Sboccia! È combinato! Anche per lui! (mostra un foglio) Ponti d’oro! (a Giulio) Ecco! Si fa!

GIULIO -       Che cosa?

EFFE EFFE - Il film!

GIULIO -       (interdetto) Quel film?

EFFE EFFE - Sì!

GIULIO -       Impossibile.

GIANLUCA - (gli sfugge) Lo diceva…

GIULIO -       (salvando) Chi? Nessuno.

EFFE EFFE - Nessuno poteva dirlo! Nessuno al mondo! Eppure!

CRISTINA -   (che vuole passare ad altro) L’importante è il tuo contratto. Effe Effe ti ha messo come condizione. Me lo ha raccontato venendo qui. Il produttore non ti voleva. Ma lui gli ha detto che non si poteva escluderti, nel momento che attraversi. E di non lesinare con te. (a Effe Effe) Oh. Forse non dovevo. (Effe Effe ha un gesto magnanimo)

GIULIO -       (a Effe Effe) Ti sei permesso…

CRISTINA -   È un’altra bella notizia, no? Sempre nella disgrazia. (lo abbraccia e gli mormora) Che hai? Sembri diverso.

EFFE EFFE - Lo so, che non puoi metterti al lavoro adesso. Questo (il foglio) è pro forma. La storia c’è.

GIULIO -       Da quando?

EFFE EFFE - La butto giù io. Poi ti spiego. Tu sei garantito comunque. Fior di impegno. Violani ha capito e vuole assolutamente la tua firma. Qua. (glielo allunga) Guarda solo la cifra. Un record.

GIULIO -       (prende il contratto) Non sapevo che quel bancarottiere fosse in predicato.

EFFE EFFE - Non lo era! Eh già, tu sei rimasto ad Aiello. Ma ieri sera…

GIULIO -       Si era detto di lasciar stare ieri sera.

EFFE EFFE - Eh no! “Aiello, o chi per lui”: è stato il suo viatico, mentre uscivo.

CRISTINA -   Suo?

EFFE EFFE - (senza dar tempo) In taxi ho pensato: “Chi per lui? Alt! Si cambia strada!” E ho fatto irruzione da Violani. È sempre in saletta, a quell’ora, con i suoi scagnozzi. Quando mi hanno detto di lei non ci volevo credere. Per me lei era qui. Vengo dall’averle parlato, dicevo. Allegramente! Di cinema!

GIULIO -       Sei andato raccontando…

CRISTINA -   (incredula) A me no…

EFFE EFFE - Loro: sei pazzo! I pazzi siete voi, mi ha aperto lei la porta! Da una settimana? Pazzi! Ma avevano tenuto i giornali, e di fronte all’evidenza, mi sono sciolto in lacrime.

GIULIO -       E che avevi… (gesto di bere)

EFFE EFFE - Quel Borgogna! Piangendo a dirotto, gliel’ho detto.

GIULIO -       (sollevato) Ah.

(Cristina gli fa segno di aver capito che Effe Effe era proprio ubriaco)

EFFE EFFE - Parlavo tra i singhiozzi, del film. Gli ho raccontato la storia, alla bell’e meglio. L’aereo, non la lagna che sai tu.

GIULIO -       Che aereo?

EFFE EFFE - Nell’uragano. Poi ti spiego. Gli ho descritto il tono, chissà come. Fatto sta, Violani mi lascia finire, manda via gli altri che scuotevano la testa, e appena siamo soli sbotta: “Questa è una cosa! Parlavate, tu e lei? Come tu adesso con me? E anche loro? Lui e il figlio, le parlavano? Questa sì che è una cosa! Non c’è intellettualismo! C’è cuore! C’è il prodigio!” Commosso! Lui! Un bisonte! Mi dice: “Il tempo di fare un po’ di conti. Ma zitto, eh, per ora!” E stamattina abbiamo firmato. Non la solita opzione ballerina. Regolare contratto, come se avesse paura di perdere l’affare della sua vita. Anche Etta Etta per la parte di Leopoldina. Il tuo è lì, pro forma. Un en plein.

GIULIO -       (che sta sfogliando il suo contratto) Leopoldina? Leopoldo, si diceva.

EFFE EFFE - Prima. Adesso, Leopoldina. Poi ti spiego. Tu firma…

GIULIO -       Fammi capire. Tu hai detto a Violani che qui, quando la vedevi… soltanto tu, noi certo no, lei che è cenere… Alberta ti ha parlato del film? Lei, che non ci metteva mai bocca?

EFFE EFFE - Sì!

GIULIO -       E Violani ti ha dato spago? Non ti ha preso in giro perché…(gesto di bere)

EFFE EFFE - (indicando il contratto) Ne vedi spesso di prese in giro così?

GIULIO -       Dici che hai tutto. La storia. I nomi. Il contratto per te e per tua moglie. Che altro cerchi qui?

EFFE EFFE - Eh, non sono cose che si spiegano. (suggestivo) Echi, flussi. Flussi, echi. Le alchimie succedono. I prodigi. Ma su una base.

GIULIO -       Cioè?

EFFE EFFE - Ci deve essere qualcosa fra le sue carte. Lo sento. Degli appunti.

GIULIO -       Di Alberta?

EFFE EFFE - Ci giuro, dopo ieri sera, che qualcosa c’è.

GIULIO -       E tu vorresti averli come base, quegli appunti? Se ci fossero.

EFFE EFFE - Devono esserci! (entusiasta) Capite?

CRISTINA -   No.

GIULIO -       Io credo di sì. Un messaggio dalle tenebre, per così dire?

EFFE EFFE - O dalla luce! Sì! È stata qui per questo!

GIANLUCA - (violento al padre) Ma che dice?

GIULIO -       Non lo interrompere. (a Effe Effe) E di sua mano, il messaggio?

EFFE EFFE - O magari sulla sua macchina da scrivere.

GIULIO -       Ah.

EFFE EFFE - Di sopra, dove lei lavorava con la portatile sulle ginocchia. Un flusso sulla sua tastiera.

GIANLUCA -            Un flusso di Borgogna!

GIULIO -       Aspetta, Gianluca. (a Effe Effe) E io, in questo?

EFFE EFFE - (indica il contratto) Tu firmi e cerchiamo insieme.

GIULIO -       Noi due soli, vero, di sopra?

EFFE EFFE - Vedo che ci capiamo.

GIULIO -       Tu, io, e la sua macchina da scrivere?

EFFE EFFE - È un piacere trattare con te. Una firmetta lì, pro-forma, così saliamo.

(Gianluca si butta quasi di traverso sui gradini)

GIANLUCA - Papà!

GIULIO -       Se lui è venuto per questo, Gianluca. Con lagrime, abbracci, e ponti d’oro. Portandosi dietro tanto di testimone della sua generosità.

CRISTINA -   Io? Beh, i soldi non guastano.

GIULIO -       E, addentato il formaggio, il contratto, io sarei rimasto nella trappola. (a Cristina) Lo sai di che tratta il film? Il tema?

CRISTINA -   No. Ma il contratto è…

GIULIO -       Pro forma, sì. Senza bisogno che io lavori. La prima volta in vita mia. Per la mia (legge) “collaborazione amichevole”. Quella, certo. Perché senza quella… (a Effe Effe) Fa vedere il tuo, di contratto. Con la firma del bisonte.

EFFE EFFE - Non l’ho qui.

GIULIO -       E neppure a casa, scommetto. Non si fida. Chiede prima la mia. Altro che non volermici.

CRISTINA -   Si vede che il tuo nome…

GIULIO -       No. In questo caso è la mia ignominia, che serve. Il bisonte sniffa odore di soldi ai botteghini, ma per partire alla carica vuole avere una base. Una prova. Quella che lui (Effe Effe) gli ha promesso.

CRISTINA -   E la tua firma sarebbe la prova… di che?

GIULIO -       Del prodigio. Che Alberta è stata qui per davvero. Capisci, adesso? La vedi, la trappola? Dovrei farlo saltar fuori io, il messaggio dalle tenebre. (indica le scale) Gli appunti, scritti da lei ieri sera. (getta il contratto sul tavolo) Che schifo. Via! Via! (fa cenno che se ne vadano e si butta a sedere, accasciato)

CRISTINA -   (agli altri) È meglio che andiate. Resto io con lui.

GIULIO -       No! Tutti via! Non vedete che non reggo più? Via!

(Posa la testa sul tavolo in atto di sconforto, per liberarsi dei due intrusi. Gianluca fa la guardia alle scale)

EFFE EFFE - (in tono contrito) Io non mi offendo, signora. Ha visto il mio ultimo film?

CRISTINA -   Appena uscito.

EFFE EFFE - E che ne pensa?

CRISTINA -   Beh…A me è piaciuto.

EFFE EFFE - Grazie. È cacca. Per farla corta. E neppure di quella soda.

GIULIO -       (sollevando appena la testa) Attenta, signora testimone. Quando fa il pagliaccio diventa pericoloso.

EFFE EFFE - Per me stesso e per gli altri, sì. Un appestato. Chi fa perdere soldi è un appestato. E le camionate che ne ho fatto incassare prima, per decenni, non contano più. Il presidente è in riunione, il commendatore è uscito, il direttore la chiama appena può… Se è così, il lazzaretto me lo scelgo da me. Di lusso, finché si può. A duemila metri. E sarei ancora lassù, se non fosse stato (si tocca le tempie) per quella voce.

CRISTINA -   (incerta) La voce… di…

GIANLUCA - Echi…

EFFE EFFE - Mi ha stanato lei. Sono di nuovo in sella, grazie a lei. (prevenendo Gianluca) E grazie anche al Borgogna, va bene. Prodigio? Enorme, sì: che si torni a darmi credito. Per lei… “Vuoi parlare di quello di cui nessuno vuol sentire?”, mi diceva la voce. “Della morte?”.

CRISTINA -   Ah. (poco entusiasta) Sarebbe questo il tema?

EFFE EFFE - Aspetti. “Parlane”, mi ha detto, “ma non per farla temere e odiare sempre più. Quel tuo soggetto è lugubre. Cambia la storia. Il tono. Il personaggio.” E io venivo qui a ringraziarla, ieri sera, perché non sapevo. Ma appena ho saputo, ho capito.

GIANLUCA - Che ne avevi bevuto troppo?

EFFE EFFE - (senza badargli, ispirato) Non vuole che sia tutto finito per lei. Per questo mi ha parlato. E io la esaudirò. La ricambierò. La strapperò dalle grinfie che la tengono, come lei ha strappato me dall’abbandono. La porterò via da dov’è. La terrò con me. Mia, come era qui ieri sera. Mia, finché lei lo vorrà. A lui, (Giulio) che l’ha avuta per tutta la vita, chiedo solo di non sbarrarmi la strada che conduce a lei.

CRISTINA -   (mezzo plagiata) Cioè… a quella macchina da scrivere? (indica le scale),

EFFE EFFE - Dove altro è lei adesso?

GIULIO -       Fuori di qui. (indica la porta)

CRISTINA -   (con rimprovero già coniugale) Ma Giulio!

GIULIO -       Vorresti che io assecondassi questo delirio da matinée? Sua, dice! Dovrei permettergli di fare di lei un’adultera postuma, dopo che lui ci ha provato inutilmente in vita? (geloso e vendicativo) Senza ottenere niente da lei se non di sembrarle il buffone che è!

EFFE EFFE - (interdetto) Che ne sai? Che ne sai, tu?

GIULIO -                   (cavalcando la propria imprudenza) So che è stata sempre e solo mia, dalla prima volta che ci siamo visti! E mai così mia come l’ultima notte che ha passato con me! Nessuna donna è mai stata così di un uomo!

CRISTINA     Nessuna?

GIULIO -       No! Né mai lo sarà! E nessuno profanerà quello che è stato suo! Con questo, la pianto. (a Effe Effe) Non è chiaro? Pianto tutto (indica la porta) e tanti saluti.

GIANLUCA - Tutto?

CRISTINA -   (a Effe Effe) Non gli badi. (a Giulio, sedendogli accanto) Amici come siete…

GIANLUCA - (siede all’altro fianco di Giulio) Papà, ascolta Cristina che ci vuole bene.

GIULIO -       Zitto. Abbi un po’ di pudore davanti ad estranei.

CRISTINA -   Estranea io? Che sono di famiglia, si può dire?

GIULIO -       Questo si può proprio dirlo.

CRISTINA -   Grazie, Giulio. (mette una mano sulla sua)

GIULIO -       Da come difendi il bilancio domestico. (libera la mano) Insieme a Gianluca.

GIANLUCA - Non è a questo che penso! Intendevo (gli ricorda la volontà di Alberta) che se c’è uno con cui puoi farlo bene, questo mestiere, è lui. (indica Effe Effe)

EFFE EFFE - Grazie, Gianluca.

GIULIO -       Ma lui è pronto a farlo da se, il suo bel mestiere. La storia c’è. Dunque si accòmodi. (indica ancora la porta. A Gianluca) E tu fai bene i tuoi conti, d’ora in poi, perché tuo padre smette di prostituirsi.

GIANLUCA - Da quando?

GIULIO -       Da adesso. Mettile tu le chiappe sul mercato.

EFFE EFFE - (bruscamente) E lui cerca di nascondere la vergogna (indica di sopra) che c’è.

CRISTINA -   Quale vergogna?

EFFE EFFE - (a Cristina) Che alle sue spalle c’era lei. Alberta. Questa volta, e sempre. Ha paura che salti fuori questo dagli appunti.

GIULIO -       Eh?

EFFE EFFE - Era lei a dargli le idee. La sua quotazione crollerebbe di colpo se si scoprisse che la doveva a lei. Che senza di lei non ha più niente da offrire. Perciò si oppone tanto.

GIULIO -       Tu non lo pensi.

EFFE EFFE - La sfruttava. In questo come in tutto. Povera Alberta.

CRISTINA -   A onor del vero, la poveretta gli faceva pisciare sangue: dest! Sinist! dietrofront! Parlandone da viva.

(Gianluca si alza, combattivo)

GIULIO -       (furioso) Che ne sapete voi di com’è Alberta?

MIZZI -          Di com’era, purtroppo.

EFFE EFFE - Ma non sarò io a fare la spia, se lui accetta (indica il contratto) la lauta mancia che gli offrono. Anche questo lo dovrà a lei.

GIULIO -       Forse è naturale che un ruffiano veda intorno a sé solo mantenuti e puttane. È il mestiere. Un mestiere da pazzi. Da fannulloni. Da bambini. Ma ora basta. Riporta questo (il contratto) al tuo bancarottiere e accompagna a casa la tua testimone. O lei te.

CRISTINA -   Giulio!

EFFE EFFE - Basta, sì. Tu non metti alla porta proprio nessuno. Sarà il mestiere a mettere alla porta te con la tua puzza al naso. Lascialo ai ruffiani come me, questo mestiere. Ai bancarottieri come Violani. Ai pazzi, hai detto bene. Ai fannulloni. Ai bambini. È un mestiere così. Non lo puoi cambiare. Se vuoi arrivare alla gente. Se non vuoi le edizioni numerate. Che non mi interessano. Voglio le code ai botteghini, io. Lo faccio fino in fondo, il mio mestiere. E se stavolta, per farlo, mi serve lei, quello che ho avuto promesso da lei, lo avrò. Ci puoi giurare che lo avrò. (guarda 1’orologio) Sono pronto a dichiararlo in conferenza stampa.

GIULIO -       (intuendo) Una conferenza stampa?

EFFE EFFE - A minuti. Quelli di Violani sono impazienti di dar fiato alle trombe.

GIULIO -       Non sarai così porco…

EFFE EFFE - Ci puoi giurare. O mi credevi così ingenuo da presentarmi a te contando sui resti di una vecchia amicizia? È tutto disposto per farli correre qui. Se non li fermo adesso, entro le nove, ci sarà un’invasione.

CRISTINA -   I giornali… (cava lo specchietto dalla borsa) E la tele?

EFFE EFFE - Al completo. II bisonte spera di pascolare in coproduzione.

CRISTINA -   Spalanchiamo. Io vengo un mostro coi flash. (si muove verso la finestra. Giulio la blocca)

GIULIO -       Sta bluffando.

EFFE EFFE - Sì? (siede, incrocia le braccia e accavalla le gambe) Aspettiamo.

GIULIO -       Ti sputtanerò. Dirò che eri sbronzo marcio.

EFFE EFFE - Sbronzo?

GIULIO -       Tu stesso…

EFFE EFFE - Tu lo hai detto. Io no. A nessuno. (guarda Cristina che fa segno “a me, no certo“) Avrò detto che nel Borgogna del Wagon Restaurant c’è una pozione magica che dà uno stato di grazia. Questo avrò detto, e dirò. Prodigio. (Giulio si muove, in trappola)

GIULIO -       Vorresti sfruttare…

EFFE EFFE - Tutto. La sua voce in montagna. Lei che mi apre la porta.

GIULIO -       (mentendo convulsamente) Ti abbiamo aperto noi! Io e Gianluca! Non c’era nessun altro, qui! È una buffonata! Una montatura!

EFFE EFFE - (a sorpresa) Bella scoperta. Vuoi che non lo sappia? (un attimo di sconcerto)

CRISTINA -   Eh?

MIZZI -          Dunque…

GIANLUCA - Papà…

GIULIO -       E lo ammetti così?

EFFE EFFE - Così? (con sincerità improvvisa) Darei tutto il po’ di buono che ho fatto dacché campo perché fosse ancora ieri sera. Per potermi ancora illudere di vedere qualcosa di più dei vostri due ceffi. Di sentire una voce che fosse qualcosa di più della mia. So io la notte che ho passato, via via che mi si schiariva la mente, e realizzavo.

GIANLUCA - Cambia tutto, allora!

EFFE EFFE - (rivoltandoglisi contro) Niente! Non cambia niente!

GIANLUCA - Se hai realizzato…

MIZZI -          E non ti illudi più, dici…

EFFE EFFE - A me stesso, lo dico! A nessun altro! Stampatevelo qui! (in fronte) Sono riuscito sì o no a sembrare, anche stamane, a voi, a tutti, l’illuso, il pazzo, che purtroppo non sono più? Non so come ho fatto, ma ci sono riuscito. E andrò fino in fondo così.

CRISTINA -   In fondo con il film?

GIULIO -       Se sai che è una menzogna!

EFFE EFFE - È roba vera. Tutta vera.

CRISTINA -   Vera?

EFFE EFFE - Lo sarà, una volta girata e montata. (va da lei, con l’orrore istrionico ma autentico di quando parlava con Alberta) Cosa sarebbe vero, invece? Lo dica lei stessa, signora. Che dopo tanto faticare e soffrire, o sul più bello, diventiamo tutti… Cosa? Lo dica lei, se le sembra possibile. Nulla? L’orribile parola per cui ci lasciamo ricattare dai preti, dai dottori, dai tiranni? Nei secoli dei secoli, nulla? Possibile? E saperlo, perdi più? Sapere che un giorno perfino la memoria che al mondo ci sia stata memoria di qualcosa sgocciolerà via per l’universo come una eiaculazione precoce fra le cosce di un’amante annoiata? E allora? Lo dica, signora. Glielo chiedo. Tutto, nulla? Fiasco totale della creazione? Uno schermo vuoto davanti a una sala vuota? E che schermo. Che sala. Un fallimento tale che al creatore, chiunque sia stato, non saranno mai più dati i mezzi per provarci di nuovo. Scommetto che neanche lei, di fronte a uno spettacolo simile, avrebbe la faccia tosta di dire, pietosamente o perfidamente: a me è piaciuto!

CRISTINA -   (orripilata) Io… Ma qui si torna sempre a bomba!

EFFE EFFE - E allora, invece, questo. Questa buffonata. Sì. Questa montatura. Lo so che è tutta farina del mio sacco, e che lassù, in Engadina, mi sono soltanto fischiate le orecchie. Che soltanto il Borgogna me l’ha fatta trovare qui ieri sera, lei, ad ascoltarmi, e a parlarmi. So che quella non poteva essere la sua voce, la voce di una donna che da giorni è… (muove le dita nel gesto di far scorrere la cenere) Lo so fin troppo bene. Che importa? Non è vero, ma sarà vero. La gente è pronta a crederci. Ne ha bisogno. Come me. Qualunque buffonata è meglio del nulla. Qualunque montatura. Ce n’è che vanno avanti da millenni, e mica più serie della mia. (a Giulio) Fra poco saranno qui. Prova a smentirmi. Cosa farà notizia per loro? Il tuo no, o il mio sì, sì, sì? Posso ancora bloccarli. Se firmi (il contratto) e sali di sopra con me.

GIULIO -       Vuoi ricattarmi? Io ti ammazzo prima! (lo afferra alla gola con forza disperata. Lottano)

ALBERTA -   Fermi! Che fate? Che c’è? Chi deve venire?

(Già da qualche frase, non vista perché nessuno guardava in alto, Alberta è in cima alle scale. Si è buttato il cappottino sulla vestaglia. Giulio lascia Effe Effe e indietreggia)

EFFE EFFE - (senza realizzare, nel silenzio pauroso degli altri, passandosi le dita nel colletto) Buongiorno, Alberta. È lui (Giulio) che mi mangia la faccia senza motivo. Mi precipito qui di prima mattina, portandogli un piattino da far gola, col capo cosparso di cenere… (la parola gli suscita un pensiero. Continua incerto) e lui… (si è smorzato)

CRISTINA -   Giulio… Gianluca…

ALBERTA -   (a Effe Effe) Parlavi di una notizia. Che notizia? (scende)

CRISTINA -   (un rantolo) Oooh!

ALBERTA -   Zitta un po’. (Cristina ammutolisce. A Effe Effe) Non rispondi? (si guarda attorno) Tutto Chiuso, la luce accesa. Non hai detto che è mattina? Come siete entrati, tu e lei? C’è l’altra suoneria, su, sveglierebbe anche… (vaga qua e là quasi sbattendo nelle pareti e nei mobili. Va al telefono) E questo… (alza e abbassa il ricevitore) Non è guasto. È rotto. È stato rotto. Perché? Perché nessuno senta una certa voce? (lo posa) Come dicevi a loro? La voce… di…

EFFE EFFE - (istintivamente nega) Io?

ALBERTA -   Avanti. Cosa dicevi?

EFFE EFFE - …Che la gente… vuole credere…

ALBERTA -   Questo lo hai detto dopo.

EFFE EFFE - Una buffonata… una montatura…

ALBERTA -   Anche questo dopo! Non sono scema! Non so più cosa sono, ma scema no! La voce…

EFFE EFFE - Ma tu…

MIZZI -          …Bada, Effe Effe! Lei non lo sa!

ALBERTA -   Che cosa non so?

GIANLUCA - Per carità! Torna di sopra, mamma!

EFFE EFFE - Di sopra? Era questo che mi nascondevate?

GIANLUCA - Per carità!

ALBERTA -   Che cosa? Gianluca!

EFFE EFFE - (sforzandosi di reagire) Non è possibile! Non sono più ubriaco! Non è più il Borgogna!

ALBERTA - Ecco, Effe Effe, quando hai detto del Borgogna! (fa un passo verso di lui. Effe Effe indietreggia) Non respingermi! Aiutami! È orribile sentir parlare di sé come di una notizia da dare o da nascondere! Una donna, stavi dicendo. La sua voce, ieri sera, qui. E che non poteva esserci, quella donna. Ma tu l’hai abbracciata, Effe Effe! Come io adesso te! (lo abbraccia) E dici che ti scivolerei via fra le dita? O forse io qui non ci sono, perché non posso esserci? E neppure ieri sera, se la voce che sentivi… che adesso ti parla…è la voce… è questa la notizia? Dalla prima a me! La voce di una donna… dillo!

CRISTINA – I            ncenerita e sepolta…

GIULIO -       No! (alle parole di Cristina e al grido di Giulio, Alberta si stacca da Effe Effe. C’è come un cambiamento in lei)

ALBERTA -   Giulio! (d’ora in poi si rivolgerà soltanto a lui) Stiamo uscendo, noi tre, c’è l’invito… Gianluca chiude la porta… e tu…

(Giulio contrae le braccia come se stesse per portare le mani al petto. Anche in lui c’è un cambiamento).

(La luce si attenua)

ALBERTA -   È venuta, amore mio. È venuta mentre usciamo di casa. E ti fa cenno.

GIULIO -       …No…

CRISTINA -   Che c’è, Giulio? Che hai?

GIULIO -       No…

ALBERTA -   Riesci appena a dirle…

GIULIO -       …Adesso no, ho ancora da fare…

CRISTINA -   A chi dici così? Giulio!

ALBERTA -   “La solita scusa”, ti schernisce lei. “Una guerra da vincere? Un regno da governare?” Io mi faccio avanti: “Questo no, signora. Ma non è una scusa. Ha tanto da fare davvero.” “È tua moglie?”, ti chiede. “Sì, signora”, le dico io. Lei ridacchia.

CRISTINA -   Chi? Si può saperlo? E si può sapere chi è questa, che finge di essere chi non c’è più e fa due voci come una ventriloqua?

ALBERTA -   “La famiglia, eh?”, dice. “Figli piccoli, scommetto.” “Uno grande”, le dico, “da mettere in sesto. E una nipotina.” “Chi non ne ha? Starei fresca. Vieni”, ti ordina, “dobbiamo andare.”

CRISTINA -   Dove? Oh insomma!

ALBERTA -   “Un momento”, le dico, “che diamine. Aspetti. Anche libri da scrivere. Importanti. Non perché è mio marito. E film. Che senza di lui non si farebbero. Grandi film. Signora Morte, lei lo segue il cinema?”

CRISTINA -   Signora che?

ALBERTA -   “È il cinema, che segue me”, risponde lei stizzita. “Anzi, mi precede. Stragi, campi seminati di cadaveri, torrenti di sangue nelle strade, Kalaschnikov dietro le porte, corpi nel cemento o nel trita immondizie. Una diffamazione continua. È un regista che fa di quella roba, lui?” “No, signora. No. Mio marito li scrive, i film. Lavora per Effe Effe. Lei non può sapere, non è al corrente. Effe Effe, un grande regista. Qualcuno dice il più grande.” “Effe Effe…”, mormora lei.

EFFE EFFE - Come se il nome non le riuscisse nuovo…

ALBERTA -   “Non è uno che va dicendo proprio di voler fare un film su di me?” “Si, signora.” “Per calunniarmi, anche lui! Lui e tuo marito! Violenze! Orrori! Sempre orrori e violenze!” “No, signora!” “Presto o tardi mi verrà a tiro anche lui, il regista. Intanto…”

(Giulio porta le mani al petto. La luce sui quattro spettatori si attenua ancora)

MIZZI -          Gianluca. (gli indica Giulio) Così, là fuori?

CRISTINA -   Lui?

GIANLUCA - …Non so… Io chiudevo casa… (Giulio contrae le mani)

ALBERTA -   “Ascolti, signora!” “Non ascolto niente. Procediamo.”

(Giulio porta le mani al collo come per aprirsi il colletto)

MIZZI -          (a Gianluca) Così?

CRISTINA -   Lei. Che c’entra lui, Gianluca? Lei, così. Sette giorni fa, lo sanno tutti.

MIZZI -          Pensaci bene, Gianluca. Là fuori?

CRISTINA - Tu non confonderlo! Là non è qui, allora non è oggi! E chi è morto non è vivo!

MIZZI.           Non sogna, lei? E il chi, il quando, il dove, in sogno li sa?

CRISTINA -   Vi faccio vedere se sogno! (fa per andare verso Giulio) Non riesco a muovermi. (si agita sul posto) Non riesco. (si agita) Effe Effe! Si è incantato anche lei? Giulio!

MIZZI -          Non vede che non può parlare? E neanche può sentirla, beato lui. (Giulio sbarella)

ALBERTA -   No! (a mezza voce, con estrema intensità) “Aspetti, signora. Ascolti. Se fossi in lei…”

CRISTINA -   Beh!

ALBERTA”   …farei un’eccezione. Una piccola eccezione per mio marito. Lo dimenticherei in un canto. Uno più uno meno, con il carnet che ha…” “Non si scherza coi numeri. I conti devono tornare.” “Rimandi un poco, almeno. La supplico.” “Quante storie. Basta”. Sono esausta, Giulio. “Finisce tutto, allora?” “Finire? Il solito equivoco. Io faccio spazio e tutto continua.” No, Giulio. Non continua un cazzo, senza di te. Ti amo. Ti amo quanto non sono mai riuscita a dirti. Si può riporre tutto in un essere che da un istante all’altro svanisce? No! Non voglio! “Perché lui, signora? Proprio lui?” “Devo prendere una vita e la prendo”, dice. Una vita? Come non ci ho pensato subito! Una vita!

MIZZI -          Gianluca…

ALBERTA -   “Aspetti! Ho una proposta. E se venissi io?” “Tu? Non sei in preventivo”, dice. “E non siamo in India. Ma anche lì, ormai, le vedove…” “No, signora. Ascolti. Non dico seguirlo. Dico, sostituirlo.”

GIANLUCA - Mizzi…

GIULIO -       Io…

ALBERTA -   Non dire niente, tu! Lasciami fare!

CRISTINA -   Dest! Sinist! Dietrofront! Ah, perfetto! Troppo perfetto per essere vero!

ALBERTA -   “La mia vita al posto della sua, signora. Mi prenda. Lui vivrà il tempo che tocca ancora a me.”

GIULIO -       (a Alberta) E non mi chiedi se accetterei?

ALBERTA -   L’ho fatto, amore mio.

GIULIO -       Quando? Non ne abbiamo mai parlato, in trent’anni!

ALBERTA -   Non ce n’era bisogno. Tu non vuoi morire.

GIULIO -       Io? Morire, io? Così? Qua fuori? No! È una fitta passeggera! Ne ho avute altre! Gianluca non si preoccupa!

ALBERTA -   Non discutere, Giulio! Sta per incamminarsi! Con te! “Mi ha sentito, signora? Io al posto suo! Mi prenda. Non sono nessuno, ma faccio numero. I conti tornano.” “E perché mai dovrei prendere te?” Già. Perché. Che altro ho da offrire, oltre me stessa? Devi fare di meglio, Alberta. Dare di più… Ah. Forse… Ecco. Per il film, signora! Che così potrà essere fatto!”

EFFE EFFE - Eh?

ALBERTA - “II suo film, signora! Quello di Effe Effe! Soltanto mio marito può scriverlo! Il film definitivo su di lei!”

EFFE EFFE - Ecco…

ALBERTA -   “Mi lasci spiegare. Niente orrori, nei film di Effe Effe. Niente violenza. La sua vena è tutt’altra. Lirica. Gioconda. Fantastica.”

EFFE EFFE - Ecco, ecco…

CRISTINA -   Ma cosa, ecco?

ALBERTA -   “Sarebbe un grande rilancio per lei. Un look tutto nuovo. Le gioverebbe non sa quanto come immagine. Lei si è trascurata, diciamo la verità. Si è lasciata un po’ andare.”

GIANLUCA - Adesso le dice di far vedere le unghie…

ALBERTA -   “Va curata, oggi, l’immagine”, insisto. “Capisco che sia scettica. Ci vuol altro, mi dirà, per risalire millenni di cattiva fama. Ma oggi c’è il cinema. Il cinema fa e disfa. Pensi agli indiani d’America. Dei mostri di crudeltà. Sterminatori da sterminare. Eppure con qualche film diverso sono diventate vittime. Eroi. Non si osa più parlarne male. Nel caso suo sarà lo stesso. Effe Effe dice che su di lei farà il suo capolavoro. Ma ha bisogno di lui. Senza di lui rinuncerebbe. Lei resterebbe in balla dei calunniatori. Prenda me e lasci lui. Vedrà. Vedrà che servizio le renderanno.” Non risponde, ma mi lascia parlare. E a ogni parola mi sembra di guadagnare un secolo. “Vorrei proprio vederlo, questo film”, dice. “Lo vedrà, signora. Lei e tutto il mondo. Basta lasciarli lavorare.” “Subito. Vorrei vederlo subito.” Ridacchia. Sono in trappola, Giulio. Nella mia stessa trappola. Subito? Voi due siete a zero. Sotto zero. Nessun produttore.

CRISTINA -   Come!

MIZZI -          Sette giorni fa.

ALBERTA -   Niente titolo. Niente storia. Peggio, quel po’ che ne avete ci giurerei che è tetro come l’umore di Effe Effe dopo il fiasco. L’esatto contrario dell’immagine di sé che io sto cercando di venderle. Ma se c’è uno spiraglio, un buco di spillo, mi ci devo infilare. “Bisognerebbe, sa cosa?”, le dico, “che io restassi con loro per un po’.” “Ah! Ci stai ripensando. Me lo aspettavo. Da vicino non è più così bello, il sacrificio.”

CRISTINA -   Eh già. Fandonie.

EFFE EFFE - Zitta.

CRISTINA -   E immobile. Ad ascoltare fandonie.

ALBERTA -   Sacrificio? La parola non mi è mai piaciuta, Giulio. Mi fa pensare al ricatto. A una scorciatoia. La lampo al posto dei bottoni. La prima volta tu mi sbottonasti con tanta buona grazia. Non mi sarei lasciata squarciare come una triglia al cartoccio, io.

CRISTINA -   Che c’entra?

ALBERTA -   Qui occorre furbizia. “Non ci ripenso, signora. È che lei il film lo vorrebbe subito. La capisco, la capisco benissimo. Ma il fatto è che è cestinato, così com’è adesso. Da tutti. Ogni volta che Effe Effe lo propone, giù scongiuri.” Contro di me?” Toccata, Giulio! Forse l’ho toccata! “Gestacci, signora. Volgarità. Non volevo dirglielo. Gente rozza, i produttori, i distributori. Sapesse.” “E allora? Niente film? Tu mi prendi in giro!” “No, signora. Effe Effe non si scoraggia. Lui è un trascinatore. Mio marito lavora giorno e notte al soggetto. Gratis. Hanno idee bellissime, lusinghiere per lei. Però…” “Però?” L’ho proprio toccata! “Però ci manca qualcosa. L’essenziale, forse. Ed è qui che servo io.” “Tu?” “Sì. Ho delle idee anch’io. Per il film.” “Tu menti”, dice lei sospettosa. Della grossa, Giulio. Come Pinocchio. (fa il gesto del naso lungo) “No, non mento. signora. (cercando) Sa che cosa manca al soggetto? (ha trovato e se ne convince lei stessa) Il tocco femminile. Sì. Che lo renda appetitoso. Perché può sembrare indigesto, siamo giusti. Serioso. Per carità. Oggi? Se non li ecciti, oggi, o non li fai ridere. Per questo, anch’io, le dicevo, per un po’. Restare anch’io con loro soltanto per un po’. Si fidi, signora. So quel che ci vuole.” “Dunque è semplice. Le tue belle idee tu le racconti al regista, e io mi tengo lui come da preventivo.” Niente paura, Giulio. È qui che la volevo. “Non è così semplice, signora. Belle, forse, la ringrazio, le mie idee, ma inutili senza di lui. Io faccio traduzioni, a volte sto dietro a un aggettivo per delle ore. Lo scrittore è lui. Ci vuole lui. La sua forma. La forma è tutto. Ed è lei che la dà, alla fine. Lo ha scritto un grande poeta sulla tomba di un altro scrittore: quale in se stesso infine l’eternità lo cambia. Intendeva che lei è veritiera, e onnipotente.” Continuo a lusingarla, Giulio. A incensarla. Per te. E vorrei maledirla. Vorrei urlare come il maiale sgozzato. Gridare con quell’atro poeta… No! Non ci andiamo con le buone in quella vecchia notte! Gridiamo! Gridiamo contro il venir meno della luce! Oh, Giulio… Giulio… “L’eternità…” sospira lei, “altri tempi. Dove sono più dei poeti così.” “Effe Effe lo è. Un astro grandioso eppure delicato. Enormità. Sarabande. Pazzie. Tutto deriso e tutto perdonato. Nella memoria e nel presente. Non c’è pagina, oggi, che valga il suo schermo.”

EFFE EFFE - Se avessi qualcuno che sapesse vendermi così.

ALBERTA -   “E non c’è schermo che valga la pagina di mio marito. Con lui a fianco, Effe Effe …” “E tu a fianco del fianco?” “Per un po’, signora. Il tempo di far bere il cavallo. Il produttore, cioè.” Intanto è lei, che beve. “Delicatezza, dicevi?” “Sì, signora.” “E niente spari? Torture? Niente più andar dicendo che me la faccio coi corvi? Coi vermi? Salgo su una sedia, io, a vedere un topo. Io posso essere dolce. Desiderabile. Amica.” “Lasci fare a mio marito, signora. E un pochino anche a me.” Tace. “Siamo d’accordo, allora?” Tace. Quindi acconsente. Acconsente, Giulio! Ce l’ho fatta! Sei salvo, amore mio! Oh, amore, che gioia! Sei salvo! Che felicità! Salvo, fino a quando sarebbe toccato a me! E mai come adesso, che i miei giorni diventano tuoi, vorrei che me ne fossero stati dati all’infinito, perché tu possa… Già. Sei salvo, ma come la vivrai, la mia vita? Dandola via, brutto scemo? Quello che è mio? Senza neppure sospettare che ti stanno menando per il naso. Illuso. È fatta, ormai. Se non fosse fatta… La rifarei, sta tranquillo, sono più scema di te. Ma così? Eh no. Così no. “Senta, signora”, le dico. (con trattativa dura) “Senta. Farò del mio meglio per il film. Il suo film. Ci conti. Ma un po’ di tempo mi ci vuole anche per altre faccende. Non deve irritarsi. Lo so che non c’è niente, a parte lei. Ma è la sua vicinanza. È lei a farle diventare tutto. Faccende mie. Nostre. Della vita. Da niente, ma da sistemare, prima di… Cinque o sei. Quattro. Tre.” “Tu chiedi una grande concessione, ma attenta: una faccenda che non ti riuscisse, una sola su tre, o guai, il film! E anche lui verrebbe con me.” “Anche lui?” “Grande concessione, grande rischio. Non voglio creare precedenti. Pensaci. Perderesti te stessa inutilmente.” Meglio perdere avendo rischiato, Giulio. “Va bene, signora”, le dico. “II film, e tre faccende. Comincio subito a darmi da fare.” “No”, dice lei. “Niente affatto. Tu adesso vieni con me.” “Adesso? E quello che si è detto?” “Quando io dico, dico. Non come voi. Ma mi occorre movimento. Confusione. Andirivieni di numeri. Caos. Un momento di caos. E adesso non ce n’è. Una unità in meno si noterebbe. Vediamo il palinsesto dei prossimi giorni. Sei fortunata, c’è in programma qualcosa. L’ottavo giorno. Una ecatombe all’alba dell’ottavo giorno. Il sole sorge sulla devastazione.” “Ecatombe? Dove?” “Non deve importarti. Nel marasma, qualche ora te la potrò dare.” “Quanto?”, le chiedo, “Ha detto ore? Ho sentito male?” “Hai sentito benissimo. Avrai le prime ore dell’ottavo giorno. Sono le migliori. Dodici. Posso arrivare a dodici.” “Per tutto? Sennò si prende anche lui? Che patti sono questi?” “Niente patti con me. È già mio, ricordatelo. È solo il tuo quando al posto del suo. O così o puoi dirgli addio.” “Così, cioè mezza giornata?” Ridacchia, d’improvviso. Perché? “È uno scherzo, signora? Dall’alba: dodici ore, al tramonto?” Ride, Giulio. Non risponde e ride. Cos’ho detto? Mezza giornata, Giulio, per tutto. Che c’è da ridere?

GIANLUCA - C’è, che è al contrario, per giunta!

CRISTINA -   Che dici?

GIANLUCA - Al contrario! Ma lei non lo sa!

MIZZI -          Che cosa?

GIANLUCA - Il terremoto! Città intere devastate, Cristina lo ha sentito alla radio! È quella l’ecatombe! Il marasma, l’andirivieni di numeri: quanti sotto le macerie?

CRISTINA -   E con ciò? In Oriente.

GIANLUCA - Ma questo lei non lo sa! Quindi non sa del sole! L’altra non glielo dice, e ride!

CRISTINA -   Il sole? È impazzito. Lo avete fatto impazzire.

MIZZI -          No! Non è mai stato così savio! Quando sorge in Oriente, il sole da noi è appena tramontato!

CRISTINA -   Scopriamo i fusi orari adesso?

MIZZI -          E l’alba, laggiù, dell’ottavo giorno, vuol dire la sera del settimo, qui! Ieri sera! (indica Alberta)

ALBERTA -   Ridacchia. Continua a ridacchiare. “Tutto fatto, signora, in mezza giornata?”

GIANLUCA - (quasi alle lacrime) No! No! Al contrario! In una notte!

CRISTINA -   Eh?

GIANLUCA - Ha uno scampolo di tempo, solo uno scampolo, e senza sapere che è di notte! Per questo ride l’altra!

CRISTINA -   Di notte? Un momento. Quali faccende? Quali faccende, di notte?

ALBERTA -   “Siamo pratiche, signora”, le dico. “Fatto, un film? Lei certo intende fattibile. Reso fattibile. Combinato, diciamo. Finanziato. Che cosa di più, in poche ore? Il contratto? Le basta? Le firme, nero su bianco? In mezza giornata!” Annuisce. E ridacchia. Maledetta. “Il contratto”, ripeto io. “nero su bianco. Le va bene così? Sì? E sia. Va bene anche a me.” Deve andarmi bene, Giulio. Che scommessa, però. Da zero. Neanche so dov’è Effe Effe. Dove sarà, quel giorno? Come farò a parlargli? Ma intanto…“Signora!” È già lontana. La inseguo con la voce: “Cosa devo aspettare, intanto? Dove, per otto giorni? E come sarò allora? Cosa sarò diventata? Dovranno pur vedermi, in quelle ore! Toccarmi! E io in mezzo a loro, sapendo che sono… Signora!” Se ne è andata. L’eternità, Giulio. Eccola, un passo fuori di casa. Ma, sapere cosa sono? No! Questo no! Non potrei! Se sapessi non reggerei, fra voi, quelle ore! Le sprecherei! Mi tradirei. Fallirei. E cadresti anche tu, come sto io per cadere. No… Non dovrò sapere cosa sono. Dovrò sentirmi come voi, in quelle ore. Una di voi. Quella di sempre, in tutto. Questo (il cappottino che ha indosso) non devo sciuparlo cadendo. Mi servirà. E… (si tocca i capelli) Dov’è? Lascio tutto in giro… in sospeso… (insegue un pensiero. La luce sugli altri comincia a tornare)

CRISTINA -   Ma dunque…

EFFE EFFE - (furibondo) La smetta d’interrompere, una buona volta!

CRISTINA -   Non c’è più niente da interrompere! È vero! Sarà contento! È tutto vero! Lei è qui! È qui da ieri sera! E stanotte… (a Giulio) Eh? (Giulio non risponde. A Gianluca) Gianluca! Stanotte? (non ottiene risposta) Oh. Oh. Ma che razza di casa è diventata questa? Sfido! Sfido, che stamane (indica Giulio) l’ho trovato diverso!

GIANLUCA - (di scatto) Lui?

CRISTINA -   Ora so chi devo ringraziare! Che tiro! Da moglie!

GIANLUCA - Diverso, lui? Da che? Cristina!

CRISTINA -   Diverso! Diverso! Ah, ma può stare tranquilla, all’inferno o dove andrà, sono io che qui dentro non ci metterei più neanche la punta di un piede! (ripensandoci, inferocita) Stanotte!

GIANLUCA - Cristina!

MIZZI -          Non so di che parla, ma che te ne importa in questo momento?

CRISTINA -   E questo è un altro!

MIZZI -          Di che?

CRSTINA      Dei suoi tiri, carina. Faccende, le chiama. Belle faccende! La prima da moglie, proprio.

MIZZI -          E non è bello che lei abbia desiderato, con lui…

CRISTINA -   Ah, una bellezza. Come quest’altra faccenda. Voi due.

GIANLUCA - Noi? Per me, allora! Da madre, per me!

CRISTINA -   Poveretto. Non la conosci.

MIZZI -          Per Carolina.

GIANLUCA - Da nonna?

MIZZI -          Non sei contento?

CRISTINA - Come no. Contentezza generale. Che ingrati. Tutti e due, non so quale di più.

MIZZI -          Noi due, ingrati? Perché? Oppure, chi? Chi? Ah! Che squallore!

GIANLUCA - Aspetta Mizzi… Lui sì! (indica Giulio) Ma io non tradivo nessuno! Tu non c’eri più per me, da tanto!

MIZZI -          E stanotte? Non c’ero, stanotte?

GIANLUCA - Sì! Tu sola!

CRISTINA -   Grazie. Non ho più niente a che spartire qui. È tornata la serva tuttofare, come lei voleva. Buon pro.

MIZZI -          Ah! Vorrei potermi muovere!

CRISTINA -   Anch’io! (si agitano sul posto, una contro l’altra)

EFFE EFFE - Zitte. Manca qualcosa.

CRISTINA -   È vero! (a Gianluca) Quando l’avete vista, ieri sera? Appena uscita io?

GIANLUCA - Sì… ma…

CRISTINA -   Niente ma! Alle nove! Dodici ore! O tutte e tre le faccende, in queste ore, o niente! E sono le nove!

MIZZI -          Cosa vuol dire? Che non si salva nessuno dei due? È questo che desidera?

CRISTINA -   Dico solo che, qualunque sia la terza faccenda, è troppo tardi!

MIZZI -          No! Non ancora! Non sono le nove. Lei è ancora con noi. Può ancora succedere tutto. Questo, che ci resta con lei, è solo un istante… un istante, ma è… è… (non trova le parole)

ALBERTA -   Era semplice, Giulio. Cercavo una parola che non c’è. Non c’è aggettivo per un istante come questo. Qualche puntino di sospensione, li puoi battere tu, fammi chiudere in bellezza, il foglio è sulla macchina, di sopra, ed è sbrigata anche l’ultima faccenda, quella fra me e la Blixen, l’unica che fosse tutta mia. Tu stacchi le mani dal petto, amore mio. Respiri. (scivola lentamente in ginocchio) In bellezza, Giulio, ti prego.

GIULIO -       …No! (si sta riprendendo)

GIANLUCA - Ormai è fatta, papà.

GIULIO -       Non a questo prezzo! Assassini! II film non è concluso! E le ore, lei le ha avute per quello! Non perché fra me e lei tornasse la sincerità! Non per ridare alla bambina quello che le spetta! O per finire una traduzione! È il film che conta, non le faccende! E non è concluso! Non è concluso in tempo!

EFFE EFFE - Il contratto è lì.

GIULIO -       Io non l’ho firmato! Non c’è nero su bianco! E di suo, per te, non c’è niente, di sopra!

EFFE EFFE - La sua macchina c’è.

GIULIO -       Non serve, se io non accetto! Lo sai!

EFFE EFFE - Anche lei lo sa. Tu non puoi lasciarla così, come una bestiola investita in autostrada.

GIULIO -       E lei non può lasciar decidere a me! Se accetto, sono un vigliacco! Se rifiuto, un ingrato!

GIANLUCA - Cosa vorresti, un referendum?

GIULIO -       Tu! Lo so bene come voteresti!

CRISTINA -   Per me viva pure senza onore l’uomo così vile da lasciar morire la moglie al posto suo.

GIULIO -       Non l’ho chiesto io! Lei non me lo ha chiesto!

GIANLUCA - Va con lei, se ne hai il coraggio. Che non resti sola.

EFFE EFFE - Vai. Così tutto questo sarà stato inutile. Senza senso.

GIULIO -       E così, invece? Che cosa ha senso, senza di lei?

EFFE EFFE - Niente. Hai ragione… Non c’è strada che attraversi il paese dov’è. E qui, chi saprà di lei? Tu credi che te ne ricorderai? Qualunque cosa sia stata questa, ce ne dimenticheremo. Saremo stati soli, qui.

GIULIO -       E dunque! Che importa firmare?

EFFE EFFE - Niente. Hai ragione. Non importa niente. Siamo stati soli, da sera a mattina. Nessun’altra presenza. Se non in una favola. Che non è niente. Hai ragione. L’opera d’arte è cosa da niente. Una spavalderia. Un albero della libertà drizzato in mezzo alla landa dove la più tirannica delle dittature, la legge di natura, vuole fare il vuoto. Cosa importa che su quell’albero qualcuno ci si arrampichi. Un pazzo. Un fannullone. Un bambino. E gridi, dalla cima, che non è tutto qui. Non è mai importato niente, un grido. Eppure è questo che lui chiede. Vero o non vero che sia tutto quanto, lei è vera, Giulio, e ce lo chiede. È poco, in cambio del suo amore. Noi non sapremo. Dimenticheremo. Ma possiamo gridare… E forse c’è un aereo fra le montagne.

(Giulio è vicino al tavolo dov’era rimasto il contratto e dove c’è una penna. La prende e firma)

ALBERTA -   Però che casino, gente. (va giù a terra). (

Velocemente, buio. Squilla il telefono. Lentamente, luce. La stanza è deserta. La porta d’ingresso è chiusa, la finestra è aperta al sole del mattino, anche la porta della cucina è aperta. Il telefono sta squillando sul tavolino. In alto, da destra, sbuca in fretta sul pianerottolo Effe Effe seguito da Giulio. Giulio tiene penzoloni dalla mano destra una piccola portatile con infilato un foglio extra strong. Sotto, dalla cucina, si affaccia Mizzi che porta un vassoio con quattro tazzine e lo zucchero. Dietro di lei c’è Gianluca. Effe Effe si precipita giù per le scale. Due, tre squilli. Poi l’apparecchio ingrana la segreteria)

LA VOCE - - “Siamo momentaneamente assenti.” (Effe Effe si ferma) “Se lasciate un messaggio sarete richiamati. Parlate dopo il segnale acustico. Grazie.”

(Al bip del segnale Effe Effe scende. Alza il ricevitore e spegne la segreteria)

EFFE EFFE - Pronto, sono io, commendatore, ciao… La pelle d’oca?… Ah, sì. Era lei… Lei, sì. La segreteria. È tutto così, qui…. Lui? Lui ha firmato, sì, ben contento. (guarda l’orologio) Non ti ho chiamato prima perché stavamo facendo… voglio dire, stavamo cercando… Trovati, sì… Gli appunti. Suoi.

(Gianluca va ad allungarsi sul divano Mizzi mette un cucchiaino di zucchero in una tazzina e gliela porge. Poi posa il vassoio e va in stanza da pranzo)

Un foglio tutto pieno, ancora sulla sua macchina da scrivere… È prodigioso, sì… Allora?… Ah! Ah, bene. Benissimo.

(fa un cenno di OK a Giulio, che scende le scale)

Grazie, commendatore. Farà epoca, vedrai… E anche soldi, sì… Sì, un momento.

(passa il ricevitore a Giulio e prende una tazzina e dello zucchero. Intanto Mizzi è tornata con le cartelline colorate contenenti le dichiarazioni dei redditi. Siederà al tavolo a redigerle bevendo il suo caffè)

GIULIO -       (al telefono) Come sta, commendatore… Eh, che vuole. Grazie. Grazie… Grazie anche per… Sì, ecco…

(supplica Mizzi col gesto, Mizzi tentenna il capo e gli mette mezzo cucchiaino. Giulio posa la portatile sul tavolo, prende la tazzina, beve un sorso, accenna che è ottimo) Ecco. (sta per sfilare il foglio e leggere. Effe Effe che sta guardando l’ora gli impone di lasciare il foglio infilato. Giulio annuisce e legge)

“Un aereo nella tempesta. All’interno i passeggeri sono sballottati. Le luci si spengono e si riaccendono. Paura. Un uomo e una donna di mezza età si tengono per mano. Sono marito e moglie. Lui ha gli occhi chiusi per il terrore. Lei li ha spalancati. Grandi occhi… Uno schianto. Le cinture si strappano come paglia… L’uomo viene proiettato in avanti, a testa china. Poi in alto, con forza terribile. Così batterà la nuca e si spezzerà il collo. La donna fa in tempo a pensare: “No! Lui no! Io, piuttosto! Io al posto suo!” La stessa forza la spiaccica contro un oblò mentre l’uomo sprofonda nel sedile, svenuto e salvo. Lui solo fra tutti. Esterno. L’aereo si è infranto in una foresta piena di neve. Un globo nero di fumo soffocato dalla nebbia.”

EFFE EFFE - (prende un attimo il ricevitore) Bianco e nero. Esterno giorno. Silenzio.

GIULIO -       “Il portello è divelto.”

EFFE EFFE - (c.s) Lo vediamo scorrendo lungo la fiancata della fusoliera.

GIULIO -       “Nel vano del portello si affaccia qualcuno. Il fumo si dirada e riconosciamo la donna. Esce. Sgrana gli occhi.”

EFFE EFFE - (c.s) Nelle sue pupille, lentamente, si riformano i colori.

GIULIO -       “Si trova nella strada principale di una grande città. Una città nuova, sconosciuta.”

EFFE EFFE - (c.s) Dove tutto quello che si muove si muove lentamente e senza rumore…

GIULIO -       “La donna sorride. Cammina. Per Leopoldina comincia un altro viaggio.” (suonano alla porta)

EFFE EFFE - (c.s) Ti richiamo. (mette giù. Giulio va ad aprire. Subito molti flash)

SIPARIO