IL RACCONTO DEL CONTADINO
SILURO, IL GRANDE NAÏF
Stefano Benni
Si - disse il vecchio
contadino - il 1978 fu l'anno della caccia al pittore naïf. In città si
era sparsa la voce che nella nostra valle c'era un'alta percentuale di
ignoranti che dipingevano: perciò ogni domenica arrivavano Land Rover piene di
critici d'arte. Entravano nelle case e chiedevano:
- Scusi, lei dipinge?
- No - rispondevamo - guido il trattore.
I critici ripartivano lanciando feroci occhiate di disprezzo. Mercanti d'arte e
collezionisti setacciarono la nostra campagna per mesi, ma la trovarono
«refrattaria a ogni fermento creativo». Una campagna - dicevano con
disprezzo - che non produce che rape e frumentone! Uno scandalo.
Fu così che venne dalle nostre parti il critico Omar Marchese, grande
cacciatore di naives. Era lui che aveva scoperto Barella, detto il «Tintoretto
di Viadana», il contadino che aveva affrescato cento soffitti di stalle, nonché
nonna Egle, la «Cezanne di Comacchio», che con le sue pere quadrate aveva
«vertiginosamente ripercorso l'itinerario artistico del Novecento» anche se lei
continuava a dire che non erano pere ma fette di polenta. Era sempre Omar
Marchese che aveva scoperto il grossolano falso di Gesualdo Rosolino, il
pittore di maiali selvaggi rivelatosi poi nient'altri che Borruso, il noto
pittore romano che si era travestito da pastore per piazzare alcuni vecchi
quadri.
Omar Marchese prese a scorrazzare in lungo e in largo nella valle, dicendo che
sicuramente lì si nascondeva qualche esemplare di pittore naïf, perché il
paesaggio era ignorantissimo e pittoricamente assai stimolante. Dopo una
settimana però non aveva trovato nulla, e i suoi colleghi cominciavano a
sogghignare.
Omar Marchese batté, uno per uno, i cascinali più sperduti. Non trovò che
calendari e riproduzioni di fiamminghi omaggio della Banca Agricola. Arrivò
persino a giudicare «interessante» una scritta su un muro: «Piadine e vino
metri cento» giudicandola opera di hip-hop art di un kid locale. Finché un
giorno l'esimio critico entrò nel bar del paese e vide in bella mostra un
quadro raffigurante alcuni giovanotti su un prato verde.
Bene, bene - disse lisciandosi i baffi - un «déjeuner sur l'herbe»
reinterpretato ingenuamente, ma con una certa audacia dello schema compositivo,
che alterna figure in piedi a figure accovacciate... opera stimolante... chi
l'ha dipinto?
- Io - disse pronto il barista.
- Lei è rozzo e ignorante?
- Rozzo e ignorante come un rospo - rispose quello.
- Un vero naïf dunque... e... come si chiama l'opera?
- Sogno in bianco e nero.
- Non male - disse Omar Marchese esaminando il dipinto da vicino
- realista nei volti e nelle anatomie ma surreale, direi quasi
transavanguardiale nella scelta dei vestiti a righe che ricordano Rousseau e
poi quella soluzione del bianco e nero, quasi un oltraggio che l'ignoranza
dell'artista fa alle nevrosi policromatiche delle cosiddette ricerche colte...
- Trecentomila ed è suo - disse il barista.
- È un affare! - bisbigliò il critico a un suo collezionista.
Fu così che per trecentomila lire comprarono la foto della formazione della
Juventus 1975-'76.
***
Dopo quell'incidente nessuno venne più a cacciare naives dalle nostre parti. E
dire che ne avevamo uno bravissimo. Ma tanto matto, e burbero, che guai se lo
avessimo indicato ai critici: ci avrebbe sbranato. Era il famoso Girolamo,
detto Siluro perché aveva due baffi a manubrio e una testa gigantesca, proprio
come il pesce gatto siluro. Viveva pescando rane nei maceri e rivendendole ai
ristoranti. Passava ogni mattina nel paese con un grande sacco gracidante. Se
qualcuno lo prendeva in giro gli diceva: «A te tra un anno ti picchio». E dopo
un anno lo ritrovava e lo riempiva di sberle.
- Nella pesca e nella vita - diceva - ci vuole pazienza. Prima o
poi le cose arrivano.
Siluro dipingeva fin da bambino: faceva dei quadretti a matita, tutti con lo
stesso soggetto: il tramonto sul monte visto dalla finestra di casa. Dopo
qualche anno cominciò a disegnare il fiume e la valle. - Sei maturato
artisticamente - gli disse la maestra. - No - rispose lui
- sono cresciuto mezzo metro e adesso riesco a vedere al di là del
monte -. A diciotto anni la mamma gli regalò dodici acquerelli Giotto e
Siluro cominciò a dipingere sul serio. Andava sulla riva del macero, con una
mano pescava e con l'altra dipingeva. Anzi non con una mano, con tutto: con i
gomiti, con i piedi, dava delle gran ginocchiate di rosso e linguate di verde e
alla fine non si distingueva più lui dal quadro. Dipingeva dei bellissimi pesci
appena gli venivan su dalla lenza; poi smise di colpo.
- Non stanno mai fermi - disse -. Poi son stufo di dipingere
della roba che muore.
Smise di pescare. Solo ogni tanto prendeva con la rete una carpa e la metteva
in un catino. Stava ore a guardare le sfumature color oro e fango sulle
scaglie, il lustro sulla testa, le linee della coda. E guardava ore e ore il
macero, ogni variazione di luce e colore, anche due giorni e due notti, come in
trance. Quasi non mangiava più ed era ormai solo testa e baffi. Molti avrebbero
comprato i suoi quadri, ma lui non li vendeva e diceva:
- Nei miei quadri non c'è il buio e la luce, il giorno e la notte; non
sono veri.
- Ma Siluro - gli disse il suo amico Bigattino, che era pescatore e
quindi paesaggista - un quadro non deve essere vero, deve fare pensare!
- A me fa pensare quando c'è la luce e poi buio - rispondeva cupo
Siluro.
Sempre più magro e triste cominciò addirittura a stare con la testa sott'acqua
per vedere i colori del fondo, gli vennero i baffi verdi di melma e da un
momento all'altro temevamo di vederlo apparire trasformato con le branchie e la
coda. Poi un giorno passò nel paese urlando «ecco l'idea, ecco l'idea!».
Corse a casa, lavorò una settimana e inventò una macchina che battezzò
silurolumiera. Era un sistema di lampadine dentro a uno scatolone, le lampadine
ruotavano e cambiavano la luce, la luce uscendo da un buco del cartone si
rifletteva sul quadro. Così sul dipinto s'alternavano l'effetto di alba e
tramonto e notte, come nei presepi meccanici.
Siluro dipinse il laghetto, e colse così bene ogni sfumatura dell'acqua, delle
piante e dei riflessi degli alberi che sembrava di potercisi tuffare dentro, e
la gente stava incantata a guardare, con la silurolumiera che cambiava la luce.
Ma Siluro non si accontentò, scuoteva la testa e diceva:
- Va un po' meglio, ma è sempre bel tempo. Manca la pioggia e la nebbia.
Allora Talpa l'idraulico gli inventò un marchingegno a doccia che sprizzava un
temporalino sulla tela, e con l'acqua bollente faceva anche i vapori di nebbia.
Siluro guardò a lungo e poi sospirò - Sì. Ma mancano i pesci. Nel macero
c'è il pesce che nuota, la biscia che sguazza, la ranocchia che salta. Qua è
tutto immobile. Non ci siamo.
- Siluro! - disse Talpa - Tu vuoi eccedere in realismo!
- Fanculo - rispose Siluro - mi deve piacere a me.
Dopodiché sparì per sei mesi, si chiuse in un capanno e quando ne uscì era
stravolto e di tutti i colori, ma con il trionfo sul viso. Ci chiamò e ci
mostrò il suo nuovo lavoro. Un quadrone di sei metri per tre con un laghetto
bellissimo, si vedevano perfino le zanzare e le ombre di ogni foglia e le
ranocchie ferme, si sentiva addirittura gracidare. - Bello! - disse
Bigattino - e per il rumore delle rane come hai fatto? Con un disco?
- Come no - ghignò Siluro - vacci più vicino.
Il pescatore si avvicinò e spalancò la bocca tre volte la carpa più grossa che
avesse mai preso. Nel quadro adesso c'era lui, riflesso nell'acqua!
- Diavolo di un uomo - disse - come hai fatto? - Non è
tutto - disse orgoglioso Siluro - qualcuno vuole provare a pescare?
Si fece avanti Bruni, il re della pesca al lancio, l'uomo che con l'amo poteva
pettinare una zanzara in mezzo al lago. Disse:
- Non ci credo neanche se lo vedo.
- E allora perché non provi?
- Un vero pescatore ci prova anche nella vasca da bagno - disse
Bruni, lanciò l'amo sul quadro e, non si sa che colori o materiali avesse usato
Siluro, fatto sta che l'amo andò giù e il galleggiante rimase su, sospeso nel
blu dipinto.
Siluro ridipinse il galleggiante di giallo, perché stonava con gli altri
colori, e poi disse:
- Aspettiamo un po'. Ci vuole pazienza. Prima o poi le cose arrivano.
Tra pescatori questa frase è superflua. Passa un'ora, passano due, qualcuno
sbuffava e diceva, sembriamo diventati tutti matti, ma Bruni stava fermo,
immobile a puntare il galleggiante e alla terza ora il galleggiante balla un
po' e poi sprofonda nel quadro e il Bruni tira su una bella carpa colorata,
verde e gialla.
- Eccezionale - disse Bruni - almeno un chilo.
- Ne ho dipinte quindici - disse con noncuranza Siluro - qualcun
altro vuol provare?
Da allora il quadro di Siluro è diventato uno dei laghetti più pregiati della
zona. Il pesce che ne vien fuori è buonissimo, anche se Siluro si rifiuta di
dipingerci aragoste perché non sarebbe serio. Ma, chiederete voi, perché non si
è mai sentito parlare in città di questo quadro miracoloso?
La risposta è semplice: quando i pescatori trovano un posto buono, non lo
dicono a nessuno.
E come fece Siluro a dipingere il suo impossibile capolavoro?
Anche questa risposta è semplice: con la pazienza, prima o poi le cose
arrivano.