Sogno delle mille e una notte

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SOGNO DELLE MILLE E UNA NOTTE

Commedia in tre atti

di Alessandro ALFREDO VANNI

PERSONAGGI

IL MARAGIA’

IL VISCONTE RAUL D’ORIGAN

IL BARONE DON PEDRO DOMINGUERZ DE KARACAS

SINGH

GAVARADAM

IL DIRETTORE

IL PORTIERE

IL BARMAN

IL MARITO DELLA SIGNORA GIOVANE

TONINO E TONINA

LUANA

LA CASSIERA

UNA MISS

UNA SIGNORA GIOVANE

UNA SIGNORA ANZIANA

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

In un grande albergo di Roma. Un « hall » lus­suoso. Per tre larghe vetrate, in fondo, si va nel giardino dominato da una terrazza. La ve­trata di mezzo è tra due massicce colonne. Le vetrate laterali confinano con due pilastri.

A sinistra, in prima, la porta del bar. Poi un monumentale camino e poi la porta della sala di lettura.

A destra, in prima, la comune. Poi una scala di tre gradini semicircolari, con guida rossa, da cui si sale a un ripiano, dove s'immagina sia l'ascensore.

Circa le undici del mattino. Una bella gior­nata su la fine di febbraio.

Il direttore, biondo e irreprensibile, è presso la scala, in atto di salire. Il portiere, gran barba, il berretto gallonato in mano, è a due passi da lui.

Direttore                       - Ebbene?... Anche l'abitudine di seguirmi nell’hall?

Portiere                         - Una parola, signor direttore... Una sola parola.

Direttore                       - Che c'è, sentiamo... Che c'è?

Portiere                         - Il nuovo « piccolo »...

Direttore                       - Tonino?... Che vi ha fatto?...

Portiere                         - A me, veramente, nulla...

Direttore                       - E allora?... Non è svelto, ri­spettoso?

Portiere                         - Sì, però... un po' delicatino...

Direttore                       - Oh, per il suo servizio...

Portiere                         - Ma se non sa nemmeno andare in bicicletta! Pencola di qua, di là, come un tordo ubriaco. E poi, prende le mance.

Direttore                       - Chiede le mance?

Portiere                         - Le prende. Sono i clienti che glie le danno. E lei sa che al personale è proibito...

Direttore                       - Di ricevere mance. (Ironico) Al portiere è lecito, naturalmente.

Portiere                         - Non dico questo...

Direttore                       - Sta bene: occuperò il nuovo boy nel servizio interno.

Portiere                         - Sarà peggio.

Direttore                       - Non vi chiedo consigli. (Pauso) Chi è alla porta?

 Portiere                        - Giovanni.

Direttore                       - In questi giorni non è prudente affidare il servizio al vice-portiere. Andate. E ricordatevi che chiunque si presenta per impor­tunare il Maragià, non deve passare. Giorna­listi, fotografi, fornitori, seccatori, indietro... indietro. Se insistono, c'è il segretario di Sua Altezza, ci sono io.

Portiere                         - Sta bene. (Rattenendo il diret­tore con un gesto) Perché?... Sua Altezza si sa­rebbe forse lagnata...

Direttore                       - Di nulla, di nulla. (Ridendo) Ah, sì: non gli piace il vostro naso.

Portiere                         - Il mio naso?

Direttore                       - Ieri ha detto: « Se fossimo in India, glie lo farei cambiare ».

Portiere                         - Cambiare il mio naso?

Direttore                       - Mah! (Allarga le braccia, spa­risce ridendo).

Portiere                         - (indignato) Mi piglia in giro? Il mio naso?...

Cassiera                         - (entrando dalla comune) Signor Asdruhale, l'Agenzia Koock telefona per sapere se ci sono camere...

Portiere                         - Signorina Virginia, venga qui. Sa che al Maragià non piace il mio naso?

Cassiera                         - Non capisco.

Portiere                         - Sua Altezza ha detto al direttore che se fossimo in India me lo farebbe cambiare.

Cassiera                         - Ma lei, signor Asdrubale, è un uomo fortunato!

Portiere                         - Fortunato?

Cassiera                         - Ma sì, perché l'attenzione d'uno dei più ricchi e mattacchioni nababbi della terra s'è posata sul suo naso. E non mi meraviglierei se domani si posasse su la sua cravatta, o al suo dito, una delle molte pietre preziose che il Prin­cipe distribuisce con tanta generosità.

Portiere                         - Crede?

Cassiera                         - Io invece non ho avuto finora la degnazione del più piccolo sguardo. E sì che quando passa mi sprofondo in inchini e non manco mai di augurargli: « Sallemeh, Sahib!... Sallemeh!... ».

Portiere                         - Sallemeh?...

Cassiera                         - « Cento di questi giorni, salute, augurii, felicità... » È scritto in un libro su l'India che ho comprato per sapere come rego­larmi.

Portiere                         - Guarda guarda... Un libro? Può prestarmelo?

Una Miss                       - (esce dalla sala di lettura con un pacco di cartoline in mano) Per favore...

Portiere                         - (ossequioso) Good morning, miss.

Miss                              - Good morning... Per favore: attac­care francobollo e impostare.

Portiere                         - Attaccare?... Yes. (Tra sé, con le cartoline in mano, mentre la miss si allon­tana verso le vetrate) Accidenti! Sono una cin­quantina... (Al groom, che entra dalla comune e si dirige verso la scala) Ehi, piccolo!

Tonino                           - (è in divisa blé scura con triplice fila di bottoni d'oro, tondino in capo con sottogola. Si volta con molta calma) Che c'è?

Portiere                         - Come, che c'è? Ti chiamo io: il portiere. La signorina Virginia ti darà i fran­cobolli. A te. Attacca e imposta.

Tonino                           - Attacco?

Portiere                         - I francobolli.

Tonino                           - (restituendo le cartoline) Sono di servizio all'ascensore.

Portiere                         - Eh?

Tonino                           - Mi ha telefonato proprio ora il di­rettore. Lift! (E poiché la miss sta per salire, Tonino si trae da parte con un inchino, sorri­dendo) Good evening, miss!

Miss                              - (sorpresa, ridendo) Evening?... Sera?...

Tonino                           - Oh, pardon! (Riprendendosi) Good morning! (E segue la miss consultando in fretta un piccolo vocabolario rosso che ha tratto di tasca).

Portiere                         - E questa è la roba che ci regala il nuovo direttore! Ha visto? Mi toglie dall'a­scensore un ragazzo come Riccardo... per met­terci un monellaccio insolente.

Il Barman                      - (esce dal bar, giacca bianca) Ohi, Asdrubale, siete qui? Io ho l'ossa rotte. Sono andato a letto alle tre...

Cassiera                         - Hanno ballato?

Barman                         - Fin verso l'una e mezzo. Poi, un capriccio del Maragià: giro per la campagna ro­mana al chiaro di luna. Quattro automobili per Sua Altezza e gli amici. La quinta per me e le cassette dello champagne. Alle due e mezzo eravamo in cima a una collina.

Portiere                         - A far che?

Barman                         - Ma... a guardare il panorama.

Cassiera                         - C'era, naturalmente, anche la ba­ronessa dell'appartamento 25?

Barman                         - Col barone. Quello, però, quando non ha le carte in mano, si annoia. Così, tutta la gita non ha fatto che giocare in automobile col segretario di Sua Altezza. Toh, eccolo. Guardate che distinzione! Gentiluomo di razza.

Il Barone...................... - (apparso in cima agli scalini, sa­ luta con gesto amichevole Tonino, che da qual­ che momento ha ripreso il suo posto) Ciao, chico, sei qui? (E discende con passo un po' abulico).

Barman                         - (mentre il portiere e la cassiera s'in­chinano) Buon giorno, signor barone.

Barone                          - Buenos dias, cari... Buenos dias, Paolino. La salute es buena?

Barman                         - Come dice?

Barone                          - State bene?

Barman                         - Ah, sì. Benissimo. Il signor ba­rone, già, si vede...

Barone                          - Grazie. Allora... un cocktail par recreare las ideas...

Barman                         - (sorridendo) Con un poco di radio?

Barone                          - No, no. Prima di pranzo, la mu­sica me ataca los nervios... (Entra nel bar, se­guito dal barman).

Cassiera                         - Dunque, che cosa rispondo all'Agenzia?

Portiere                         - Altri viaggiatori? È pazza? Dove li vuol mettere?

Cassiera                         - Al primo piano c'è ancora qual­che camera libera.

Portiere                         - Il primo piano, tranne l'appar­tamento della baronessa, è del Principe.

Cassiera                         - Tutto? Da quando?

Portiere                         - Glie lo dirà il direttore. Sua Al­tezza non vuole vicini.

Cassiera                         - Saranno almeno diecimila lirette il giorno!

Portiere                         - E qualche bigliettone, speriamo, per il personale, quando Sua Altezza partirà. (Al groom, che si è avvicinato e ascolta) Tu... che t'intrufoli?... Al tuo posto!... E non ri­dere! (Alla cassiera) Mi ride sul muso!

Cassiera                         - Venga.

Portiere                         - Ride del mio naso!

Cassiera                         - Ma venga. Non faccia il perma­loso. (Via dalla comune. Il portiere la segue, voltandosi ancora irritato a fissare il groom).

Tonino                           - (solo) Che paradiso, se non ci fosse quel padreterno!... (S'inoltra soddisfatto, carez­zando qualche mobile) Gran bella cosa i quat­trini!... (Carezza con voluttà il dorso d'una pol­trona) Vivere da signori... dormire da signori... sdraiarsi da signori... (Si guarda attorno, siede rapido nella poltrona, si distende, sobbalza sul soffice cuoio) Mah!... (Chiude gli occhi).

Raul                              - (entra dalla sala di lettura umettando con le labbra una busta. È un giovanotto coi calzoni alla Wacleff, calzettoni, berretto di panno. Vede un braccio pendente del boy, sorride, si fa dietro la poltrona, incrocia le braccia sul dorsale) Mestieraccio, eh?

Tonino                           - (balza in piedi) Lift?

Raul                              - No. Non eri di servizio alla porta?

Tonino                           - Ora sono all'ascensore.

Raul                              - Progredisci. Bravo. (Lo guarda) Ti farebbero comodo cinque lirette?

Tonino                           - Che domanda! Però, se si tratta di servizio esterno, non posso.

Raul                              - Interno, interno.

Tonino                           - (con un fine sorriso) Dia qua.

Raul                              - Non parlo della lettera. (Lo guarda) Sei un ragazzo serio, discreto, fidato...?

Tonino                           - Abbottonatissimo!

Raul                              - Bene. Avrei bisogno di alcune notiziette.

Tonino                           - Di che genere?

Raul                              - Eccoti le cinque lirette...

Tonino                           - Ho capito. Mi dica soltanto il nu­mero della camera.

Raul                              - E dagli. Non si tratta di donne. Si tratta del Maragià.

Tonino                           - Ahi, ahi. Il signore è giornalista?

Raul                              - No.

Tonino                           - Fotografo, operatore cinematogra­fico, antiquario, rigattiere, gioielliere, pittore...

Raul                              - No.

Tonino                           - Stoccatore? Sbafatore?

Raul                              - Nemmeno. (Lo guarda) Ti piacciono i romanzi?

Tonino                           - Vende romanzi?

Raul                              - Li scrivo. Io sono... Guardami e pen­sa al nome d'un grande romanziere.

Tonino                           - Alessandro Manzoni.

Raul                              - Ma che Manzoni! Hai mai sentito nominare Dekobra? No? Ebbene, io ho scritto e viaggiato quanto lui. Però, sempre in inco­gnito.

Tonino                           - Curiosa. Allora il signore non è più il...

Raul                              - Ma sì: visconte D'Origan, camera 213. Per tutti sono il visconte D'Origan. Per te sarò anche il romanziere che ha bisogno di qualche piccola notizia.

Tonino                           - Su chi?

Raul                              - Te l'ho detto. Il romanzo che sto scrivendo è di colore... indiano. Ha per titolo: L'occhio di Siva. E sai qual è l'occhio di Siva? E brillante che il Maragià porta al turbante.

Tonino                           - (diffidente) Dico... Lei non sarà qui in incognito per « grattare » il brillante?

Raul                              - Che ti salta in testa? Io seguo il Prin­cipe attraverso l'Europa unicamente per docu­mentarmi, perché il romanzo che sto scrivendo è bello e meraviglioso come una favola... Eccoti altre cinque lirette... Tu dovrai favorirmi tutte le notizie che ti sarà possibile raccogliere sul Maragià. Per esempio, chi riceve.

Tonino                           - Non è facile.

Raul                              - Facilissimo per te, che fra il su e giù dell'ascensore potrai fermarti qualche volta al piano nobile. Si tratta di tenere le orecchie dritte, studiare le persone che entrano dal Prin­cipe... Quella baronessa, per esempio, è interes­santissima...

Tonino                           - Ah.

Raul                              - (con bonomia) Non è vero?

Tonino                           - (indifferente) Dio... sì... così...

Raul                              - E il barone non è un tipo da ro­manzo ?

Tonino                           - Oh, quello sì!

Raul                              - Vedi? E chissà non ti riesca di scam­biare qualche parolina col personale del Prin­cipe, ad esempio con Gavaradam.

Tonino                           - Il saraceno?

Raul                              - Insomma quello che ti chiedo è poco, pochissimo. Sua Altezza t'incarica di portare un mazzo di fiori, un bigliettino, un oggetti-no?... E tu lo dici al tuo buon amico del 213, che se ne servirà per il colore indiano e ti pa­gherà ogni notiziola, più o meno, secondo l'im­portanza.

Tonino                           - E quanto sarebbe il meno?

Raul                              - Cinque lirette.

Tonino                           - E il più?

Raul                              - Dieci... venti lire.

Tonino                           - Fuori venti lire. Stanotte Sua Al­tezza, dopo il ballo, è andato...

Raul                              - ... in giro per la campagna romana con la baronessa, il barone e altri amici. No­tizia vecchia. Notizie fresche, ci vogliono, fre­schissime. Siamo intesi? Qua!... (Tende la ma­no, Tonino, stende in fretta la sua. Raul glie la stringe, mentre dalla comune entra il portiere) Amici, eh? E silenzio. (Via in giardino).

Portiere                         - (con un mazzo di rose, indignato) Prendi le mance?

Tonino                           - Ma che mance! Voleva cacciarmi in mano, per forza, cinque lirette. Ho rifiutato.

Portiere                         - Porta queste rose all'apparta­mento 25.

Tonino                           - Chi le manda?

Portiere                         - C'è il biglietto. E non dimenti­care di dire alla signora baronessa che il mazzo l'ho ritirato io: il portiere.

Tonino                           - Subito. Eccola che scende. (Va in­contro a Luana che scende con grande dignità i gradini) Hanno portato queste rose per la si­gnora baronessa. Le ha ritirate lui: il portiere!

Luana                            - Grazie. (Al portiere, con un sorriso) Muchos gratias!... (Asdrubale si ritira de­luso).

Tonino                           - Devo portarle nel salottino della signora baronessa?

Luana                            - Lasciale qui: mi fanno piacere. (Siede).

Tonino                           - Come crede. (Posa il mazzo su un tavolino accanto).

Luana                            - (con languore) Dammi il biglietto. (Apre la busta. Legge il biglietto, languida, in­cantata).

Tonino                           - (appoggiato alla poltrona, piano, con­fidenziale) È lui?

Luana                            - Sì.

Tonino                           - (curvandosi) Di'... Matilde...

Luana                            - (sobbalzando) Non mi chiamare a nome! Te l'ho già detto!

Tonino                           - Hai ragione...

Luana                            - E poi... su, su!... Sta' su! Non ti appoggiare! Non dimenticare che sei il groom dell'hotel...

Tonino                           - È vero... (Si scosta un poco).

Luana                            - E poi, perché cammini a passi brevi e in punta di piedi?

Tonino                           - Perché su questi pavimenti si sci­vola maledettamente e i calzoni mi tirano al ca­vallo. (Riaccostandosi) Di', Matilde...

Luana                            - Ma smettila di chiamarmi...

Tonino                           - Di', baronessa... Non era meglio se mi aveste fatto entrare nell'albergo come ca­meriera?

Luana                            - Ti avrebbero cacciata via dopo due giorni. Come ragazzo invece è un'altra cosa... Un groom è un apprendista.

Tonino                           - Sì, ma con questi calzoni che mi tirano al cavallo...

Luana                            - Te lo dirà il barone perché ti ab­biamo fatta entrare qui.

Tonino                           - Non c'è bisogno che me lo dica lui. L'ho capito da me.

Luana                            - E allora, se l'hai capita, guarda di renderti degna della nostra fiducia. E ringrazia il barone se da dieci minuti non sei più alla porta, ma all'ascensore.

Tonino                           - Augusto?...

Luana                            - Non far nomi! Già: il barone si è lagnato col direttore perché l'altro lift non era mai al suo posto.

Tonino                           - Adesso capisco perché l'altro lift mi ha promesso un paio di schiaffi. E quel por­tiere, poi, che mi vien sempre dietro...

Luana                            - Ha qualche sospetto?

Tonino                           - Macché. Tutti mi credono maschio. Soltanto, il portiere dice che sono un essere neutro e non reggo alla fatica. Vedremo se reg­gerò alla fatica andando su e giù in ascensore. Però... di'... non ci sarà pericolo che la fac­cenda vada a finir male?

Luana                            - Dov'è don Pedro le faccende vanno sempre bene. Hai paura d'essere qui con noi? O questa vita ti dispiace?

Tonino                           - Mi dispiace? Mi par di sognare! E il sogno è cominciato una settimana fa, quando sei venuta a cercarmi. Ci pensi? Ero nel laboratorio a stirare un feltro. Madama entra: « Tonina, c'è di là una signora che ti vuole ». Passo in bottega... e chi vedo?

Luana                            - Tua cugina.

Tonino                           - Una signora in pelliccia, elegantis­sima. E pensare che sette anni fa portavi lo sca­tolone da madama Legrand!

Luana                            - Non far gesti... (Sorridendo) Get­tai lo scatolone il giorno che un signore... molto per bene...

Tonino                           - Ti portò in America...

Luana                            - Al Venezuela, dove conobbi...

Tonino                           - Augusto...

Luana                            - (con. un'occhiata severa) Il barone don Pedro Dominguez de Karacas, allora sem­plice commesso di pasticcere.

Tonino                           - Si vede ch'è nato pei pasticci...

Luana                            - No: per la vita movimentata, agi­tata, piena d'incognite. Infatti passammo nell'Argentina, dove, unendo la sua esperienza e la mia giovinezza, conquistammo una posizione magnifica. Ed ora, eccoci qua: barone e baro­nessa de Karacas, come è regolarmente scritto nei nostri passaporti.

Tonino                           - Sarei curiosa di sapere se sul pas­saporto c'è pure scritto che cosa siete venuti a fare in Italia.

Luana                            - Una semplice visita ai monumenti.

Tonino                           - O alle tasche del Maragià?

Luana                            - Non abituarti a pensare a voce alta. Con Augusto è pericoloso.

Tonino                           - Penserò... sottovoce. Almeno gli vuoi bene al Maragià?

Luana                            - (che vede il direttore scendere la scala) Su, presto: dammi una rosa e porta le altre in camera.

Tonino                           - (dandole la rosa) Gli vuoi bene? (Vede il direttore) Subito, signora baronessa!... (Afferra il mazzo e via. Luana fiuta sorridendo la rosa).

Direttore                       - Buon giorno. La signora baro­nessa ha riposato bene?

Luana                            - Molto bene. Grazie.

Direttore                       - Ho il piacere di annunziare che oggi, nella sala da tè, farò servire anche il mate.

Luana                            - Davvero? (Al barone che rientra dal bar) Senti, caro? El sefior director mi farà gustare oje el mate!... (Al direttore) Oh, sefior, che sia caliente, mi raccomando!

Barone                          - E io, quando potrò avere il mio puchero ?

Direttore                       - Ho dato precise disposizioni perché domani venga servito al signor barone un puchero che sembrerà preparato a Buenos Aires.

Barone                          - Ah! Buenos Aires! Città del mio corazon! (Dando la mano al direttore) Muchos gratias!... (Volgendosi a Luana) Come sta la salude, ma pequefia?

Direttore                       - (sorride, s'inchina, e via).

Barone                          - (cambiando modi e parlata) Me ne infischio di lui, del puchero e del mate.

Luana                            - Che è accaduto? Che c'è?

Barone                          - C'è che mi trovo in una singolare tensione di nervi.

Luana                            - Già ubriaco?

Barone                          - Ma che ubriaco! Ubriacato, se mai, da tutti i mirabolanti racconti del segretario del nababbo.

Luana                            - Singh? Gli hai parlato?

Barone                          - No: ha parlato lui, stanotte, nell'auto, fra una partita e l'altra di écarté.

Luana                            - Ha parlato lui?

Barone                          - Forse perché aveva bevuto troppo o perché la luna spingeva anche lui alle confi­denze. La sai tu la vera storia di Foglia di Loto?

Luana                            - La ballerina amante del Maragià?

Barone                          - Non ballerina. Danzatrice, sacer­dotessa di Siva. Sembra che nelle danze sacre non ci fosse che lei. Il nababbo se ne innamorò perdutamente. I sacerdoti, per ragioni di con­correnza, si opposero. Allora il nababbo decise di fare un viaggetto in Europa. Foglia di Loto lo raggiunse a Belgrado. Senonchè a Parigi, una sera, in un cabaret di Montmartre, Foglia di Loto, scaldata dall'ambiente e dallo cham­pagne, eseguì la danza del loto, ma senza la fo­glia. Un successo pazzo. Inebriata dalle lodi dei giornali e dalle offerte degli impresari, la baia­dera piantò il Principe per darsi alla libera pro­fessione.

Luana                            - Che stupida!

Barone                          - Quello che dico anch'io. Ma si ra­giona con le donne? Afflitto e deluso, il Prin­cipe continuò il suo vagabondaggio attraverso l'Europa, sperperando a destra e a sinistra, ma senza riuscire a dar fondo al milione di sterline portato via dall'India...

Luana                            - Un milione di sterline?

Barone                          - ... per le piccole spese di viaggio. Ti meravigli? Spalanchi gli occhi? Le somme che profuse per la danzatrice sono fantastiche. A Montecarlo perdette in una notte trentasette mila sterline. Nelle spiagge francesi passò come una meteora. Qui in Italia vive in un mezzo in­cognito: poco personale, spese relative. Ma... ma le perle che porta al turbante valgono due milioni di lirette al cambio attuale. Aggiungi un secondo turbante con un diamante di non so quanti carati. E poi altre due collane di perle. E gli anelli che ha alle dita... E le pietre... zaf­firi... rubini... smeraldi che ha...

Luana                            - Dove?

Barone                          - Non so. Forse in uno scrigno, in un forziere. Non vedi con quanta disinvoltura dà via ora un gioiello, ora l'altro? Come rega­lasse una liretta!

Luana                            - (nervosa) Augusto! Queste gioie io le vedo... le tocco!...

Barone                          - Le tocchi?

Luana                            - Sì: mi par di averle alle dita, alle braccia, sul petto...

Barone                          - Pequefia! Non mi far perdere la testa! Perché poi, a tutta questa roba, devi ag­giungere una collezione di gemme...

Luana                            - Anche una collezione?

Barone                          - Di un valore incalcolabile. Dieci fra le più belle del mondo. C'è il topazio del Gange, uno smeraldo del Bengala... lo zaffiro di Budda...

Luana                            - E le avrà con sé?

Barone                          - Sciocca! Non è roba che si tiene in casa. Sarebbe troppo bel colpo! Però, parola d'onore, stanotte ho sentito in me il sangue d'un assassino...

Luana                            - (spaventata) Augusto!

Barone                          - (con dolcezza) O almeno, d'un la­dro. Ma, a proposito, dov'è la chica?

Luana                            - L'ho mandata in camera a portare un fascio di fiori.

Barone                          - E il nababbo? Se la dorme, lui. Tra l'altro, deve anche regolarmi un conticino di sessantaduemila lire che ha perduto iersera al baccarà. Una miseria per lui. Ma per me... (Tonino scende a precipizio i gradini).

Luana                            - Che hai? Che c'è?... Perché corri?

Tonino                           - Ho fatto conoscenza col Maragià.

Luana                            - Davvero?

Tonino                           - Ho visto il suo appartamento.

Barone                          - Parla!

Tonino                           - Un incontro accidentale. Avevo portato le rose in camera e tornavo correndo, quando, proprio all'angolo del corridoio, mi sono scontrato con una persona che veniva in senso opposto. Naturalmente, essendo io peso leggero, sono andato a gambe all'aria. Figura­tevi il mio spavento quando mi sono accorto che era Sua Altezza!

Luana                            - E lui?

Tonino                           - Si è precipitato a raccogliermi: «Piccolo, ti sei fatto male?...». «Ma, Altezza, non saprei... ». Mi ha accompagnato nel suo ap­partamento, dove ha voluto farmi sedere a ogni costo sopra un divano.

Luana                            - Tutto questo?

Tonino                           - Tanto lusso non l'avevo mai ve­duto. Divani, tappeti, stoffe, cuscini, lampade...

Barone                          - E lo scrigno? Non c'era uno scri­gno, un forziere, una cassaforte tra i mobili?

Luana                            - (al barone) Ma l'avrà in camera. (A Tonino) L'hai vista la camera da letto?

Tonino                           - Un attimo. Mentre Gavaradam al­zava la portiera. È in fondo a due o tre salotti.

Barone                          - (scaldato) Il tesoro è là! (A Luana) Vedi se ho fatto bene a travestire da boy la chica ?

Tonina                           - (a Luana) Ma che dice?

Barone                          - Sì, chica del mio corazon! Tu 6ei la chiave maschio e femmina che la divina prov­videnza ha messo nelle mie mani per penetrare nel tesoro di Golgonda.

Tonino                           - E se Golgonda mi pizzica?

Barone                          - No, perché, fatto il colpo, la chia­ve maschio ridiventerà femmina. Però, muoviti con più disinvoltura, caramba! Su, spigliatezza!

Tonino                           - Con questi calzoni stretti!

Barone                          - (in fretta) Scostati, vattene... E tu, Luana, sorridi... Ecco il Maragià. No: non guar­dare, non ti voltare... Distinzione, contegno...

(Il Maragià è vestito all'europea, tranne il turbante a fasce d'argento con filo di perle e /'aigrette. Singh, il segretario, è un ometto ma­gro, con gli occhiali a stanghette, piccola barba, vestito anche lui all' europea e col turbante).

Maragià                         - (presso i gradini, piano a Singh) Hai con te il denaro?

Singh                             - In tanti biglietti da mille, Altezza.

Maragià                         - Quando l'avrò salutato, lo con­durrai altrove col pretesto di pagargli la vincita.

Singh                             - Vostra Altezza non dubiti.

Maragià                         - (andando incontro a mani tese a Luana e al barone) Oh, cari! Buongiorno. Buongiorno...

Barone                          - Buongiorno, Altezza.

Maragià                         - Buongiorno. Io credevo che la ba­ronessa   (le bacia la mano) stanca della nostra gita notturna, fosse ancora in letto.

Barone                          - In letto? Sangue delle Pampas, Altezza!

Luana                            - È vero. (Fiutando la rosa che ha ancora in mano) Sento quasi in me la freschezza delle rose che Vostra Altezza volle gentilmente inviarmi.

Barone                          - Sua Altezza ti ha inviato...?

Luana                            - Un magnifico fascio di rose.

Tonino                           - (con slancio) Che io ho portato proprio ora in camera della signora baronessa! (Silenzio glaciale. Il barone mette la caramella).

Maragià                         - (sorridendo) Sei qui, piccolo? Hai ancora dolore?

Tonino                           - Il dolore di non esser caduto da­vanti a Vostra Altezza su le ginocchia!

Maragià                         - (ridendo) Sarà per un'altra volta. (Battendo le mani) Barman! (Entra il barman) Un aperitivo, baronessa?

Luana                            - Grazie. No.

Maragià                         - (al barone) Voi, don Pedro?

Barone                          - Esco proprio ora dal bar.

Maragià                         - (al barman) Allora, niente aperi­tivo. Però, aprite laggiù, che entri il sole e il profumo di questo bell'inverno romano.

Barone                          - Ah, sì! Es un invierno veramente... (A Singh, che da un pezzo gli gira attorno e lo tocca al gomito) Usted desidera?...

Singh                             - (mentre il Maragià e Luana vanno su la soglia del giardino) Vuole il signor barone permettermi di regolare la somma perduta ier-sera da Sua Altezza?

Barone                          - Uno chèque?

Singh                             - Biglietti di banca. Sessantadue bi­glietti da mille.

Barone                          - Tanto meglio. Li avete qui?

Singh                             - Se il signor barone vuol favorire un momento nella sala di lettura...

Barone                          - Ah. Benissimo. (Escono. Il barman rientra nel bar).

Tonino                           - (fermo a pie della scala, guardando il Maragià e Luana che lentamente tornano) Finalmente soli! Il Principe offre una sigaretta a Luana e ne mette una in bocca. Tonino si af­fretta a porgere il fiammifero acceso, il porta­cenere, ecc. Poi discretamente si ritira verso la scala. Il Maragià e Luana seggono in un canapè che ha il dorso rivolto a Tonino).

Luana                            - Questo cielo così bello vi rammenta forse il cielo della patria lontana?

Maragià                         - Forse.

Luana .......................... - La rimpiangete? .... . .

Maragià                         - (con galanteria) Accanto a voi?

Luana                            - (civettando) Parlatemi dell'India.

Maragià                         - Un'altra volta. Ora vorrei parlare di voi, anzi di noi, tanto più che vostro marito può tornare... E adesso, Luana, siamo soli!... (Le prende la mano).

Luana                            - Badate: c'è il piccolo.

Maragià                         - (sollevandosi) È voltato dall'altra parte... (Bacia con ingordigia la mano di Luana).

Luana                            - (con civetteria, lasciandolo fare) Come sono le donne del vostro paese?

Maragià                         - Bellissime...

Luana                            - (crucciata, ritirando la mano) E al­lora?...

Maragià                         - (sorridendo, riprendendole la mano) ...ma non hanno l'aspro sapore che trovo in voi. Sanno amare, ma non sanno far soffrire.

Luana                            - E Foglia di Loto? Non vi ha fatto soffrire?

Maragià                         - Lasciate il passato. Voi siete il presente.

Tonino                           - (un poco discosto, a parte) E Au­gusto il futuro...

Luana                            - Parlatemi di Foglia di Loto...

Maragià                         - Un'altra volta. Ora voglio finire il discorso incominciato stanotte, al chiaro di luna...

Luana                            - Anche stanotte vi ho ripetuto che sono incatenata a un uomo geloso come una tigre...

Tonino                           - (e. s.) Augusto geloso? (E non può trattenere una risatina).

Maragià                         - (sollevandosi) Che c'è?...

Tonino                           - (finge di tossire, si allontana di qual­che passo).

Maragià                         - Le tigri le ho affrontate più volte nella jungla...

Luana                            - Don Pedro è una belva d'una spe­cie un po' diversa...

Maragià                         - (fra i denti) Ma non rara. (Si alza) Questa sera, penultima di carnevale, avre­mo ballo a notte lunga. Lo sapete?

Luana                            - Ho avuto il programma.

Maragià                         - (abbassando la voce, mentre Tonino da lontano fa vani sforzi per udire) Perché non venite un momento da me?

Luana                            - Questa notte? Che dite?!...

Maragià                         - Vi ho offesa?

Luana                            - (un po' smarrita) No... Ma... ve­nire da voi... di notte... sola...

Maragià                         - I nostri appartamenti sono vicini. Il corridoio è sempre deserto...

Luana                            - (con impaccio puerile) Sì... ma tro­vare... il pretesto per lasciare il ballo...

Maragià                         - La solita improvvisa e comoda emicrania.

Luana                            - E don Pedro?

Maragià                         - Sarà inchiodato al tavolo da gio­co con il mio segretario. (Insinuante) Luana, sarà una notte divina... (A Tonino che è lì con un altro portacenere) Grazie... Ma chi te l'ha chiesto? (A Luana, mentre Tonino si allontana) Di più!... Sarà una notte d'oriente!

Luana                            - (sorridendo) E che cosa mi offri­rete d'orientale?

Maragià                         - Fumeremo insieme l'oppio... che fa sognare... O se vorrete dare un'occhiata al mio grande album, dove passa la grandezza del mio regno, con le città, i templi, le pagode, le danzatrici, i duecento elefanti, i duemila ca­mmelli, i diecimila cavalli e le ventimila vacche sacre... O se vorrete adornarvi di qualche pre­zioso gioiello... o ammirare la mia collezione di gemme...

Luana                            - La vostra collezione?...

Maragià                         - Sì: ciò che v'è di più raro, di più femminino, di più allucinante e abbacinante, di più tentatore insomma.

Luana                            - (scossa) Altezza, siete voi il tenta­tore... Le vostre parole, i vostri omaggi... La vostra corte senza respiro...

Maragià                         - Luana! Questa notte... dite?... questa notte?...

Luana                            - Datemi tempo...

Maragià                         - No, no, questa notte!...

Luana                            - Lo desiderate?

Maragià                         - Lo voglio!

Tonino                           - (a parte, vedendo riapparire il ba­rone) Ecco la tigre...

Luana                            - Scostatevi... Mio marito...

Maragià                         - (sottovoce, offrendo il portasigarette aperto) A che ora?...

Luana                            - (forte) No, grazie. (Piano) Vi man­derò un biglietto dal piccolo...

Maragià                         - Barone, una sigaretta?

Barone                          - (prendendo) Grazie. E grazie per la piccola somma...

Maragià                         - Mio dovere. Sarò lieto di trovarmi anche questa sera di fronte a un avversario tanto forte.

Barone                          - L'avversario vi augura la rivin­cita.

Maragià                         - (di buon umore) Eh! Chissà? Chissà?... Ma io dovrei dettare una lettera a Singh. Possiamo accomodarci anche qui, in sala di lettura. Permettete? A fra poco, baronessa. A fra poco, barone.

Barone                          - Servo suo, Altezza. (Il Maragià entra nella sala di lettura seguito da Singh).

(Tonino, che torna dopo avere accompagnato in ascensore un cliente entrato dalla comune, alle prime parole concitate si accosta curioso).

Barone                          - E così? E così?...

Luana                            - Ho accettato.

Barone                          - Accettato che?...

Luana                            - Di andare a fumare il narghilè.

Tonino                           - Che cos'è il narghilè?

Barone                          - Taci. Scostati. (A Luana) Nel suo appartamento ?

Luana                            - Sì... dove è... Indovina! Indovina!

Barone                          - Che?... Che cosa?...

Luana                            - La collezione di gemme!

Barone                          - Caramba! E quando, quando an­drai?

Luana                            - Stanotte. Durante il ballo.

Barone                          - Stanotte? Ah... ma bada che il narghilè stordisce facilmente.

Luana                            - Ebbene?

Barone                          - E tu dovrai stare sveglia, molto sveglia.

Luana                            - Mi fai il geloso?

Barone                          - Al diavolo! È proprio il momento. Dico che a me non sarà facile penetrare nella fortezza. Tra l'altro, c'è anche quel Gavaradam.

Luana                            - Gavaradam non ci sarà, perché dirò al Principe di allontanarlo. E poi la tua opera non occorre.

Barone                          - No?

Luana                            - Tu dovrai restare al tavolo da gioco. E farti vedere da tutti e tutta la notte.

Barone                          - Ma tu, come te la caverai?

Tonino                           - Se la caverà benone!

Barone                          - Taci. Scostati. (A Luana) Come farai ?

Luana                            - Prima di tutto, farò con molta pru­denza. Tirerò due o tre boccate di narghilè. Poi dirò di sentirmi male. Capogiro. Il Principe mi solleva fra le sue braccia, mi porta in camera... Una volta in camera lo pregherò con fievole voce di prepararmi con le sue mani una di quel­le microscopiche tazzine di caffè...

Barone                          - ... che ci ha offerto altre volte. Magnifica idea!

Luana                            - Naturalmente, per far questo, dovrà allontanarsi, tornare in salotto...

Barone                          - E tu, allora... Magnifica!... Ma se ripone le gemme dentro uno scrigno, una cassa­forte, che tu non puoi aprire?...

Luana                            - Dipenderà dalle circostanze. Insomma prenderò quello che posso, con dolcezza e con prudenza. E alla peggio avrò studiato l'ambiente per tentare insieme il gran colpo.

Barone                          - Hai ragione. Prudenza. (A To­nino) Tu, chica...

Tonino                           - (avvicinandosi) Ho capito: stanotte si lavora.

Barone                          - Ma non gridare! Sì: stanotte balle­remo. Tu però dovrai soltanto stare all'erta nel corridoio. Quando vedrai Luana uscire dalla stanza del Maragià, la seguirai. Se Luana ti darà qualche cosa e ti dirà « fila», tu filerai.

Tonino                           - Dove?

Barone                          - Fuori dell'albergo. Tra la confu­sione degli invitati e delle automobili non ti sarà difficile. Metterai il mantello. Appena fuo­ri, un amico ti si avvicinerà...

Tonino                           - E se è una guardia?

Barone                          - Un amico, ti dico. Vi allontane­rete, monterete in un tassì. E dieci minuti dopo ti troverai nel retrobottega di un orefice a Cam­po di Fiori, dove ti spoglierai...

Tonino                           - Mi spoglierò?

Barone                          - Per rivestirti da ragazza.

Tonino                           - Ho capito: la chiave maschio e femmina. Ma se me la svigno vestito da ma­schio, cioè da groom, la polizia crederà che sono stato proprio io a... (Completa col gesto).

Barone                          - Ma sicuro. Anzi, se l'affare s'im­broglia, Luana dichiarerà di aver visto coi suoi occhi il groom introdursi nella camera del na­babbo.

Tonino                           - Preferirei un piano meno... com­plesso.

Barone                          - Più semplice di così! L'orefice, Abramo, ti troverà un posto di nurse o di bam­binaia presso qualche famiglia di sua cono­scenza...

Tonino                           - Bambinaia? Proprio ora che inco­minciavo ad abituarmi ai calzoni?

Barone                          - Ma li porterai ancora: non man­cheranno occasioni. Intanto avrai la tua parte, sarai ricca. Ti terrai così, fuori di circolazione, qualche giorno, giusto il tempo di lasciare ad­dormentare la faccenda. (Fissa Tonino) Ma che hai? Che pensi?

Tonino                           - Penso che è un indiano simpatico.

Barone                          - Simpaticissimo. Però è straricco. (A Tonino) Uno straricco simpatico. E tu, chica del mio corazon, pensa che a questo mondo il pesce più furbo mangia sempre quello più stu­pido.

Tonino                           - E poi la polizia lo frigge in pa­della.

Barone                          - Non dir porcherie, o ti lascio an­dare un pignolo... (Raul rientra dal giardino) Ecco quest'altro idiota. Ride sempre. (Forte a Tonino) Hai capito, chico? Dirai al principe che siamo in giardino. (A Luana) Vieni, pequena, un poco d'aria ti farà bene... (Via con Luana).

Raul                              - Il barone ha detto qualcosa di me?

Tonino                           - No.

Raul                              - Sì: quando sono entrato.

Tonino                           - Ma no...

Raul                              - Andiamo, via. Cinque lirette. Dieci, se la notizia m'interessa.

Tonino                           - Ha detto: «Ecco quest'altro idiota... ».

Raul                              - (dà le dieci lire. Poi, ridendo) Ah, ah, fa lo spiritoso, il marito fuori quadri!

Tonino                           - Fuori quadri?

Raul                              - Voglio dire: fuori servizio. Non ha parecchi annetti più della moglie?

Tonino                           - Però vanno d'accordo.

Raul                              - Che ne sai, tu?

Tonino                           - (prudente) L'immagino.

Raul                              - Immagini male. Non farai mai car­riera.

Tonino                           - Quale carriera?

Raul                              - Quella del perfetto groom, che deve a colpo d'occhio capire, pensare e sviscerare i suoi clienti. Sai chi è Gorki? No? Ebbene: pri­ma di diventare quello che sono, ho fatto come lui parecchi mestieri.

Tonino                           - Anche il groom?

Raul                              - Quello no. Ma so anch'io che cosa significa obbedire. E per questo mi sei simpa­tico. Però manchi di fantasia. La baronessa non ama suo marito.

Tonino                           - Se è tutta qui la sua fantasia!...

Raul                              - La baronessa ama il Maragià.

Tonino                           - La baronessa non ama nessuno.

Raul                              - Come lo sai?

Tonino                           - (prudente) Lo immagino.

Raul                              - Il Maragià n'è innamorato...

Tonino                           - (puntiglioso) Ma che innamorato!

Raul                              - ... pazzamente.

Tonino                           - Ma che pazzamente! Lo pelano. Anche ieri il Principe ha perduto sessantadue­mila lire...

Raul                              - Notizia vecchia.

Tonino                           - ...che il segretario ha pagato poco fa, nella sala di lettura, in tanti biglietti da mille. Notizia nuova. (E tende la mano).

Raul                              - (dando il denaro) Cominci a pelarmi anche tu...

Tonino                           - Però le par giusto che un signore così nobile si lasci ciurlare nel manico?

 Raul                             - È un peccato. Tanto più che è molto simpatico.

Tonino                           - (con slancio) Oh, molto, molto! (Si riprende) Intendo di quella simpatia che passa da uomo a uomo. E poi qui tutti l'ammirano.

Raul                              - Ragazzo mio, si ammira sempre chi ha miliardi.

Tonino                           - (con vivacità) No: io l'ammiro per la nobiltà, la distinzione, la signorilità. E anche perché, vedendolo con Singh e Gavaradam, la mia fantasia galoppa.

Raul                              - Galoppa?

Tonino                           - Verso l'India. Non capisce? Ele­fanti con la proboscide lunga, tutti bardati... mori, danzatrici, tigri, piume di struzzo...

Raul                              - E la chiami fantasia? Questa è roba che hai già visto coi tuoi occhi.

Tonino                           - E dove?

Raul                              - Ma al cinematografo! (Altro tono) Io salgo in camera a cambiarmi per il pranzo. (Movendosi verso la scala) Lift!

Tonino                           - (che vede il Maragià rientrare dalla sala di lettura seguito da Singh, finge di non sentire).

Raul                              - (imperioso) Lift!

Tonino                           - Pronto, Eccellenza...

Raul                              - Ma che Eccellenza! Non sono an­cora Accademico. Avanti! E galoppa con le gambe, piuttosto. (Esce con lui).

Maragià                         - (a Singh) La lettera deve partire subito. E non dimenticare il telegramma. Pas­sando poi dal fioraio ordinerai due corbeilles di rose e orchidee, una per le cinque e l'altra per le nove di questa sera.

Singh                             - Sì, Altezza. (S'inchina e con le due mani incrociate sul petto indietreggia verso la comune. Il direttore scende la scala seguito da Tonino).

Maragià                         - L'automobile è alla porta. Fa presto.

Singh                             - Volo, Altezza... (Tonino si ferma a pie della scala. Singh esce, sempre a ritroso).

Direttore                       - Buon giorno, Altezza.

Maragià                         - Buon giorno, caro direttore.

Direttore                       - Vostra Altezza pranza nel pro­prio appartamento?

Maragià                         - No. Fatemi preparare un coperto alla tavola del barone e della baronessa. Voglio far loro una sorpresa.

Direttore                       - Bene. (Per avviarsi).

Maragià                         - Un momento. E il programma musicale ?

Direttore                       - (sorridendo) - Per il gusto di Vo­stra Altezza. Roba allegra,

Maragià                         - Allegrissima. Dinamica.

Direttore                       - Però, con una punta di senti­mento...

Maragià                         - Sì: non guasta. L'orchestra è pronta?

Direttore                       - Credo. Vado a vedere. (Inchi­no, via. Il Maragià, dirigendosi verso la scala, si sofferma e cava il portasigarette).

Tonino                           - (con sveltezza porge un fiammifero acceso al Principe).

Maragià                         - (accende la sigaretta) Grazie. (Si muove).

Tonino                           - (timidamente) Altezza...

Maragià                         - Che c'è? (Sorridendo) Hai ragio­ne. (Fa atto di mettere la mano in tasca).

Tonino                           - (rifiutando) Grazie.

Maragià                         - È poco? (Sorridendo) Metteremo nel conto anche il capitombolo di stamani. (Di nuovo vuol dar denaro).

Tonino                           - (rifiutando) Altezza, tutto pagato.

Maragià                         - (sorpreso) Non vuoi?

Tonino                           - No.

Maragià                         - Straordinario! Ecco la prima per­sona che non vuole danaro da me. Sei una perla rara, tu! (Si muove verso la scala).

Tonino                           - (lo segue. Poi, timidamente) Al­tezza...

Maragià                         - (fermandosi) Che c'è?

Tonino                           - Vorrei... ora che siamo soli... fra di noi... Ma la lingua mi s'imbroglia... (Sem­pre timidamente).

Maragià                         - Che cosa vorresti?... Una racco­mandazione? Forse qualche tuo parente da si­stemare?... Tuo padre? Tua madre?

Tonino                           - Quelli sono sistemati da un pezzo.

Maragià                         - E allora, che c'è? Il direttore ti ha sgridato?

Tonino                           - No. (Con ardore) Altezza, mi provi!

Maragià                         - Ti provo?

Tonino                           - Voglio dire che stamani... poco fa... quando Vostra Altezza mi ha accompagna­to... quasi portandomi... nel suo appartamen­to... io ho avuto come una vertigine...

Maragià                         - Sfido. Avevi battuto la nuca nel corridoio... sul pavimento...

Tonino                           - Non precisamente la nuca... Ma, capisce, mi è parso di entrare in un sogno delle Mille e una Notte....

Maragià                         - (sorridendo) Per così poco? Ma qui, piccino mio, siamo in Europa, nella decre­pita e borghese Europa. Tu vedessi in India, nel mio regno, a Raypore!...

Tonino                           - E questo è il mio sogno. La cassiera mi ha prestato un libro su l'India. Lo leggo di notte. So tanta roba su l'India! Anche come si saluta... Poi ho comprato un piccolo Vocabo­lario inglese... (Con ardore) Mi provi, le dico!

Maragià                         - (divertito, ridendo) È strardinario!

Tonino                           - Stamani ero ancora di servizio alla porta, all'ombra della barba del portiere. A mezzogiorno, eccomi di servizio all'ascensore. E stasera, prima che questa giornata felice abbia fine... vorrei...

Maragià                         - Che cosa vorresti?

Tonino                           - ...fermarmi al piano nobile, al ser­vizio di Vostra Altezza.

Maragià                         - Ma che vuoi che me ne faccia di te? C'è Gavaradam, c'è Singh, ci sono i came­rieri dell'albergo...

Tonino                           - (a mano a mano sfacciato) Oh, ma nessuno c'è che sappia come il piccolo portare un fascio di rose... e all'occasione... un bigliettino...

Maragià                         - (sorridendo) Briccone! (Lo guar­da, indeciso) Ma... e poi... quando partirò...?

Tonino                           - Quando partirà, Vostra Altezza avrà trovato nel piccolo groom il servo più de­voto, più fedele, più affezionato. E salendo nell'automobile per andare alla stazione, dirà: « Toh, ho dimenticato qualcosa. Che cosa?... Tonino! ».

Maragià                         - (ride sonoramente).

Tonino                           - (incoraggiato) Mi provi!... Baga­glio più, bagaglio meno...

Maragià                         - Ebbene dirò al direttore che entr'oggi ti trasferisca al primo piano, alle mie dipendenze.

Tonino                           - Grazie, Altezza!

Maragià                         - Sei contento?

Tonino                           - Arcicontento!

Maragià                         - Parola d'onore, è impagabile! (A Tonino) Faccio avvertire il direttore. Da questo momento tu sei al mio servizio.

Tonino                           - (con zelo) Lift, Altezza?

Maragià                         - Sì, andiamo. È tardi.

Tonino                           - (corre avanti, si ferma presso i gra­dini facendo ala, e chinandosi profondamente con le due braccia incrociate sul petto, pronun­zia) Sallemeh, Sahib!

Maragià                         - Ma che diavolo dice?!

Tonino                           - (c. s.) Sallemeh, Sahib!

Maragià                         - (con uno scroscio di risa) È impa­gabile!... (Passando) Parola d'onore, è impaga­bile.

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Un salotto nell'appartamento del Maragià. È lievemente semicircolare e tutto chiuso da lun­ghi drappeggi d'un azzurro opalescente. Por­tiere che scorrono su anelli.

Quattro entrate. A destra, le stanze del Prin­cipe. A sinistra, l'alloggio di Singh e Gavara-dam. In fondo, a destra, una stanza dove è il numeroso bagaglio. La comune, in fondo, a si­nistra, ha dietro il tendaggio la porta a bat­tenti, che mette nel corridoio. Il corridoio ha la balaustrata che affaccia su lo scalone.

Il salotto è di un gusto orientale, con qual­che sfumatura europea, come il telefono posto sopra un tavolinetto. Divani bassi in seta e broc­cati, con cuscini disposti a capriccio. Altri cuscini, in terra, su morbidissimi tappeti.

Un narghilè ad acqua, simile a un'anfora d'oro e di cristallo, verso destra, in fondo. Ancora a destra, ma in prima, bene visibile, col dorso alla parete, un Budda panciuto e sor­ridente. Un gong con martello di velluto, verso il mezzo. Un altro tavolino verso sinistra, con scatole di dolciumi esotici e bottigliette di stra­ni liquori. Qualche curioso ninnolo.

Le lampade diffondono nel salotto una luce assai dolce. Lontana e leggerissima vien su la musica dai saloni dell'albergo, dove si balla.

Di poco passate le due dopo la mezzanotte.

 Singh                            - (entra da sinistra. Turbante e redin­gote color ciclamino con manopole azzurre) Gavaradam! (Batte il gong) Gavaradam!

Gavaradam                   - (esce da destra e si pianta dinanzi all'entrata. Uniforme chiara, turbante, piccola scimitarra) Il signor Singh non va alla festa?

Singh                             - Ne torno. Sono passato dalla scala di servizio per liberarmi dalla curiosità di que­sti europei. Pare che non abbiano mai visto nulla. Quattro signori mi hanno alzato su le loro spalle e mi hanno portato in trionfo gri­dando: « Evviva Confucio! ...».

Gavaradam                   - Davvero, signor Singh?

Singh                             - Proprio così. Con la scusa dell'al­legria, come dicono loro, mi hanno anche rove­sciato in testa due coppe di champagne.

Gavaradam                   - E Sua Altezza?

Singh                             - Mi ha rovesciato in testa la terza. È incredibile come si sia impadronito subito dello spirito e delle usanze di questi barbari. Del resto, non lo dice ogni momento che si di­verte più in Europa che a Reypore?

Gavaradam                   - Anch'io, signor Singh. Oh, tanto!

Singh                             - Ti diverti?

Gavaradam                   - Con Enriquicca.

Singh                             - E chi è Enriquicca?

Gavaradam                   - Molto bella cameriera hotel. Bionda. Oh, molto bionda.

Singh                             - Ho capito: Enrichetta.

Gavaradam                   - Nome italiano un po' difficile. E così, chiamo lei Enriquicca e lei chiama me « morettino mio ».

Singh                             - (impressionato) Morettino mio? E dove vi vedete?

Gavaradam                   - Oh, ci pensa piccolo furbo.

Singh                             - Tonino?

Gavaradam                   - Quando momento buono, To­nino viene me avvisare: « Ehi, Gavaradam! ».

Tonino                           - (alla portiera della comune) Ehi, Gavarad... (Vede il segretario) Oh, signor Singh! Come mai non va alla festa? È magnifica.

Singh                             - (amabile) Entra, entra, piccolo... Sì: bella festa, belle donne, belle spalle... Però, poco nude...

Tonino                           - Poco?

Singh                             - Da noi, statue. Vero, Gavaradam? (Confidenziale) Di', Tonino, non avresti una... Enriquicca anche per me?

Tonino                           - Una?... (Guarda Gavaradam, che ride) Ah. Mica difficile. Stanotte tutte le Enriquicche dell'albergo hanno perduto la testa.

Singh                             - Davvero?

Tonino                           - Paga Sua Altezza; e molte bottiglie nella confusione sono passate dalle mani dei camerieri in quelle delle cameriere. Eccone una. (Mostra una bottiglia che teneva nascosta dietro le reni) Mòet-Chaudon. La manda Enri-quicca al suo Gavaradam. Con l'obbligo però di berla insieme.

Singh                             - E dove?

Tonino                           - In camera. Quando Gavaradam, fi­nito il servizio, si ritirerà nella sua camera, io avvertirò Enriquicca.

Singh                             - E io?

Tonino                           - La camera del signor Singh non ha anch'essa la porta sul corridoio? E al corridoio non si entra anche per la scala di servizio? En­riquicca porterà un'amica e... Vuol dire che la bottiglia la berrete in quattro.

Singh                             - E tu?

Tonino                           - Io starò qui a far buona guardia. Sono da poche ore entrato al servizio del Prin­cipe e ci tengo a far bella figura. (Tastandosi le tasche) Caramba!

Singh                             - Che c'è?

Tonino                           - Non mi ricordavo che ho in tasca un telegramma.

Singh                             - Ma dammelo!

Tonino                           - Che vuole... la bottiglia... la fe­sta... Enriquicca...

Singh                             - (aprendo il telegramma) È in cifre. Quand'è arrivato?

Tonino                           - Due ore fa. È urgente.

Singh                             - Corro a decifrarlo. (A Tonino) Do­v'è Sua Altezza?

Tonino                           - Nella sala da ballo, in mezzo a una baraonda di coppie... di chiasso... di stelle fi­lanti...

Singh                             - - Se è necessario, l'avvertirò. (Via a sinistra).

Gavaradam                   - E tu, non torni alla festa?

Tonino                           - (siede) Mi riposo.

Gavaradam                   - Bevuto anche tu?

Tonino                           - Un sorso... appena un sorso.

Gavaradam                   - Cos'hai? Champagne fare te triste ?

Tonino                           - No, Gavaradam, no. (Si alza) Ma sono come stordito. Questa nuova vita mi ubriaca.

Gavaradam                   - Ah, ah. E qual era tuo mestie­re prima groom albergo?

Tonino                           - Il mio mestiere?... Prima?... Ah. Fattorino in un negozio di mode... Che cosa fai, Gavaradam?

Gavaradam                   - Non vedi? Preparo narghilè mio signore.

Tonino                           - Il narghilè?

 Gavaradam                  - Sì, per fumare.

Tonino                           - Curiosa! Tutta questa complicazio­ne per fumare?

Gavaradam                   - Oh, no. Semplice. Fumo pas­sare attraverso acqua e arrivare bocca fresco, profumato.

Tonino                           - E si fuma anche in due a questo affare qui?

Gavaradam                   - In due, dieci, venti. Io tirare boccate fumo e poi passare pallina ambra a te. Te tirare boccate fumo... e poi passare...

Tonino                           - Ma è una bella porcheria!

Gavaradam                   - Oh, no... Dove vai?

Tonino                           - A dare un'occhiatina...

Gavaradam                   - Appartamento Sahib? Impos­sibile.

Tonino                           - Appena una sbirciatina...

Gavaradam                   - Impossibile, dico. Apparta­mento Sua Altezza entrare solo io, signor Singh e... Foglia di Loto, se tornare.

Tonino                           - Foglia di Loto?... Tornerà?

Gavaradam                   - Difficile. Bellissima danzatrice Visnù preso volo. E Sahib rimasto solo.

Tonino                           - Le voleva bene?

Gavaradam                   - Primo giorno Sua Altezza mi­nacciato uccidersi mia scimitarra. Poi fumato oppio per dimenticare. Poi, malinconia. Poi, al­legria. Però abito bellissima « devadasa » sem­pre stare accanto letto Principe...

Tonino                           - Fammi vedere...

Gavaradam                   - No...

Tonino                           - Un minuto... un attimo... un ba­leno... (S,insinua, sparisce).

Gavaradam                   - (su la soglia) Tonnino! (Con ansietà) Presto, Tonnino! Fuori!

Tonino                           - (riapparendo) Eccolo, eccolo, Ton­nino... Roba davvero da far girare la testa. Quell'alcova, in fondo ai salottini, illuminata dalla lampada rosa... quei tappeti che par di camminare su la neve... E poi, quello scintillìo di pietre preziose qua e là... Ma sono buone?

Gavaradam                   - Buonissime.

Tonino                           - E quel letto basso come un divano, che occupa mezza camera...

Gavaradam                   - E il radiofono sotto lo scialle di Cachemir? Quando mattina io portare cola­zione Principe e Foglia di Loto, Sahib volere subito radiofono... e sonare sonare sonare... E tutto questo essere niente!... miseria!... Se tu vedessi palazzo Sahib Reypore, e letto cristallo, brillanti, topazi, perle... E lui vestito abito sme­raldi rubini come Visnù, come Siva... (Udendo voci, fuori) Lui! Sahib!... (Si precipita a solle­vare la portiera della comune davanti al Ma­ragià, che entra seguito da Singh. Il Maragià è in nvarsina e turbante. A un cenno di Singh, il groom sgattaiola fuori dalla comune nel corri­doio e Gavaradam rientra a destra).

Maragià                         - Bella idea, Singh, di chiamarmi.

Singh                             - Vostra Altezza mi perdoni, ma, ap­pena decifrato il telegramma...

Maragià                         - (abbandonandosi sopra un divano) No, no. Dico che hai fatto benissimo.

Singh                             - Vostra Altezza è stanca?

Maragià                         - Stanco, no. Ma credo di avere quella che gli Italiani chiamano una sbornia.

Singh                             - Pesantezza di testa?

Maragià                         - (la mano su la fronte) Un poco.

Singh                             - Senso di gonfiore, bruciore allo sto­maco?...

Maragià                         - Già.

Singh                             - Ma la ricetta del fakiro, Altezza! (Si affretta a mettere un po' d'acqua in un bic­chiere) Cartine sempre pronte. (Versa la carti­na) Ecco. (Offre il bicchiere).

Maragià                         - (beve, restituisce) Grazie.

Singh                             - Va meglio?

Maragià                         - Va benissimo. (Si alza).

Singh                             - Vostra Altezza torna al ballo?

Maragià                         - Ho l'impegno di qualche partita col barone.

Singh                             - Mi permetto di fare osservare a Vo­stra Altezza che il barone è un furbo matri­colato.

Maragià                         - E io, secondo te, sono un imbe­cille. Ma credi che non abbia capito da tempo che panni veste... don Pedro de Karacas? Mi diverto. Sicuro: mi diverto a perdere.

Singh                             - E anch'io perdo, secondo gli ordini di Vostra Altezza. E la perdita complessiva, in pochi giorni, è di trecentomila lire.

Maragià                         - Una sciocchezza.

Singh                             - Meno che una sciocchezza, se fos­simo a Reypore. Vostra Altezza mi permette di esporre il contenuto del telegramma?

Maragià                         - (fermandolo col gesto) Ah, no, Singh, ti prego. Gli affari, no. In questo mo­mento, poi, no... proprio no.

Singh                             - (col telegramma in mano) Si tratta di una semplice notizia di famiglia.

Maragià                         - (seduto) Noiosa, fastidiosa... anti­patica?

Singh                             - (dopo breve esitazione) ...Non sa­prei.

Maragià                         - (con. pazienza) Sentiamo la notizia di famiglia.

Singh                             - Il Consiglio di Reggenza toglie ogni appannaggio a Vostra Altezza...

 Maragià                        - (calmo) Ah.

Singh                             - ... a meno che Vostra Altezza non si decida a tornare e a riprendere subito le re­dini del suo Governo.

Maragià                         - Benissimo. E a guidare quella mu­la recalcitrante e pazza che è il popolo di Reypore. Ma non è più bello starsene qui, in pace, come uno qualunque, divertirsi come gli altri, ridere come gli altri, spendere come gli altri?...

Singh                             - Più degli altri, Altezza.

Maragià                         - Il Consiglio di Reggenza mi tagli pure i viveri, tagli fino all'ultima rupia. E i valori che ho in Europa? Basterebbe soltanto la collezione di gemme...

Singh                             - (vivamente) Vostra Altezza non vor­rà mica...

Maragià                         - Venderla? No. Tanto più che non sarebbe facile trovare chi possa comprarla. (Su lo scherzo) Se il denaro non basterà, venderemo i miei turbanti, e il tuo, e la scimitarra di Ga-ravadam. E quando non avremo più nulla, io farò i giochi che mi hanno insegnato i fakiri, tu addomesticherai i serpenti, e Gavaradam so­nerà il flauto. E il piccolo... Perché ora ab­biamo anche il piccolo... Ma dov'è?... (Batte le mani) Ehi, piccolo! (Batte un colpo di gong) Gavaradam! (Tonino e Gavaradam appaiono: l'uno alla comune, l'altro a destra) Ho bisogno di voi. (A Singh) E tu, Singh, non affliggerti. Scendi nella sala da gioco, mettiti contro il ba­rone, e perdi, perdi, perdi... (Via Singh. Il Maragià a Gavaradam) È tutto in ordine, di là?

Gavaradam                   - Tutto in ordine. Sahib.

Maragià                         - Prepara tre o quattro pigiama di quelli leggerissimi lasciati da Foglia di Loto. Aspetta... Il narghilè è pronto?... Bene. Pre­parerai anche di là nel primo salottino... (ac­cenna verso il suo appartamento) l'occorrente per il caffè... E quando tornerò, ti ritirerai nella tua camera e non ti farai vedere se non chia­merò io. Siamo intesi? Va'.

Gavaradam                   - (rientra a destra).

Maragià                         - Piccolo, corri a vedere se la baro­nessa è ancora nel salone da ballo.

Tonino                           - Sua Eccellenza la baronessa di Ka­racas è proprio ora rientrata nel suo apparta­mento. Anzi, passando davanti a me nel cor­ridoio, mi ha detto: «Dirai a Sua Altezza che ho un gran mal di testa...

Maragià                         - Benissimo.

Tonino                           - ... e che me ne vado subito a letto ».

Maragià                         - A letto? Se ne va a letto? Ha det­to così?

Tonino                           - Era sofferente sul serio. E così... se ne va a letto.

Maragià                         - Ma no, non può essere. Hai capito male. Ad ogni modo non posso aspettare inu­tilmente. Ho bisogno di una conferma. A te: portale questo biglietto. (Scrive, consegna il bi­glietto) Con prudenza, eh?

Tonino                           - Vostra Altezza non dubiti.

Maragià                         - Aspetto la risposta giù. E subito.

Tonino                           - (ossequioso e maligno) Lift, Al­tezza ?

Maragià                         - Al diavolo! (Esce arrabbiato).

Tonino                           - (lacerando il biglietto) Sono stanco di fare il portapollastri! Anzi la portapollastri, perché in fin dei conti sono donna anch'io. Purtroppo ho detto una bugia inutile. Matilde sta benone e figuriamoci se rinunzierà al narghilè.

Raul                              - (si affaccia con circospezione alla comune. È in marsina) Ehi, piccolo!

Tonino                           - (sussultando) Eh! Chi è? Senta: lei qui non può entrare.

Raul                              - Cinque lirette.

Tonino                           - Nemmeno un milione.

Raul                              - (facendo un passo) incorruttibile?

Tonino                           - Questa notte si.

Raul                              - Dimmi una cosina….. Non deve venir qui tra poco, una signora?

Tonino                           - (sventatamente) Come lo sa?

Raul                              - (sorridendo) Grazie. Non lo sapevo. Ora lo so.

Tonino                           - Con lei non si sa mai come parlare. Ebbene si, deve venire.

Raul                              - (espansivo) Lo sapevo.

Tonino                           - Lo sapeva?

Raul                              - L’immaginavo.

Tonino                           - E che cosa c’entra il signore in tutto questo?

Raul                              - C’entro. C’entro. Io amo quella signora…..

Tonino                           - (sorpreso) Lei ama la baron….

Raul                              - L’amo. Le ho dedicato il più bel capitolo del mio romanzo. Posso inoltrarmi?

Tonino                           - S’inoltri. Badi però che la tengo d’occhio.

Raul                              - Temi di me?

Tonino                           - Non si sa mai….

Raul                              - Sbagli. Le ricchezze qui accumulate io le odio. Sono il trionfo dell’opulenza su l’ingegno. E mi prende la disperazione se penso che tra poco ella verrà qui e il nababbo la bacerà, l’abbraccerà, la trascinerà nel suo letto, mentre il mammalucco sarà di guardia alla porta.

Tonino                           - Gavaradam? Ma è libero.

Raul                              - Allora sarai tu il mammalucco.

Tonino.......................... - (con un sussulto) Io?... Se ne vuole andare?

Raul                              - Ti ho offeso? Ebbene: se riesci a farmi parlare cinque minuti soli con... con quella signora, prima che s'incontri col nababbo e divenga sua...

Tonino                           - Che cosa farà?...

Raul                              - La convincerò a esser mia.

Tonino                           - È pazzo?

Raul                              - Rifiuti? (Si mette a sedere).

Tonino                           - Io domando se è pazzo. Su, su, su... Se capita il Principe...

Raul                              - Capiterà prima lei. (Si alza) Pic­colo, fammi restare cinque minuti con lei...

Tonino                           - Ma le riderà sul viso!

Raul                              - La persuaderò.

Tonino                           - A far che?

Raul                              - A lasciare il nababbo.

Tonino                           - Se ne vada.

Raul                              - Scommettiamo cento lire?

Tonino                           - Ne ho appena quindici.

Raul                              - Duecento, trecento, mille... contro quindici. Eccole. (Sventola il biglietto).

Tonino                           - Senta... Non è per le mille lire... Ma se riuscisse a portarsi via la baronessa... io... le regalo non solo le mie quindici lire... ma anche tutte le mance d'una settimana...

Luana                            - (in gran toelette, amabilmente) È permesso? (A Tonino) E Sua Altezza?

Tonino                           - È uscito poco fa.

Luana                            - (perplessa, guarda Raul) Passan­do... volevo augurargli... la buona notte.

Tonino                           - La signora baronessa può aspet­tare, se crede.

Luana                            - Grazie. (Evidentemente seccato dal­la presenza di Raul) Ma... il signore...

Raul                              - (s'inchina sorridendo).

Tonino                           - Il signore... (D'un tratto) Senta un po' lei che cosa vuole il signore... (E via dalla comune).

Raul                              - (sorridendo) Il piccolo non ha sa­puto spiegarsi. Sono entrato pochi minuti fa credendo di trovare già qui la baronessa.

Luana                            - Credeva di trovarmi qui?

Raul                              - Fortunatamente la baronessa è an­data prima nelle sue stanze a darsi un poco di cipria.. E così (respira) mi sento più tranquillo.

Luana                            - (con alterigia) Il signore vuol presentarsi?

Raul                              - Visconte Raul D'Origan, romanziere.

Luana                            - Visconte? Romanziere ?

Raul                              - La baronessa può controllare nel registro dell’albergo.

Luana                            - Non ne vedo la necessità. Soltanto vorrei sapere perché ora si sente più tranquillo di pochi minuti fa.

Raul                              - Perché ora sono qui, solo con lei, e posso parlarle.

Luana                            - Parlare con me? Non le sembra un po' sconveniente d'avere scelto proprio questo luogo per parlarmi?

Raul                              - La baronessa non ha osservato l'am­mirazione discreta con la quale i miei occhi più d'una volta l'hanno sollevata in una nube d'o­maggio appassionato?

Luana                            - Io non posso seguirla tra le nubi della sua fantasia. Riconosco però che la sua ammirazione è discreta. Infatti me ne accorgo soltanto ora.

Raul                              - (un po' enfatico) Baronessa, io l'amo!

Luana                            - Ed io, no. Se entra il Principe, che cosa gli dirà, lei?

Raul                              - Mah... che l'amo.

Luana                            - (con un sobbalzo) Eh?

Raul                              - Però non abbia timore: me ne andrò prima che venga il Principe.

Luana                            - Allora, subito.

Raul                              - (quasi pregando) Purché la dolce Luana mi segua.

Luana                            - Seguir lei?

Raul                              - E allora dovrò andarmene via, ce­dere il campo, ritirarmi nella mia solitaria ca­meretta, al terzo piano, e percorrerla su e giù, in preda alla gelosia, mentre al piano nobile il miliardario nababbo stringe fra le sue braccia, sul letto d'oro, la creatura che amo?

Luana                            - Senta: se nei suoi romanzi ci sono di queste filastrocche, lei dev'essere un autore poco venduto.

Raul                              - (con impeto) Luana!

Luana                            - (spaventata e sdegnosa) Signore!

Raul                              - Pardon... baronessa. Ma non com­prende che io... non posso permettere a quell'uomo di toglierla a me? Che quell'uomo vuol levarsi un capriccio che durerà appena qualche ora... Vespace d'une nuit? Mentre io invece...

Luana                            - Lei?

Raul                              - Le offro la mia esistenza.

Luana                            - Senta: l'ora precipita...

Raul                              - E io mi precipito ai suoi piedi. (Ese­gue) Luana! Venga con me!

Luana                            - Vuol lasciare i miei piedi?

Raul                              - Piedini adorati!

Luana                            - Lei ha bevuto...

Raul                              - Con te, Luana, con te!

Luana                            - Mi lasci le gambe...

Raul                              - Levigate come alabastro... (Le ca­rezza).

Luana                            - Badi, chiamo gente.

Raul                              - Sarebbe uno scandalo. (Sempre in ginocchio, stringendo le gambe di Luana) Men­tre tutto si può accomodare... se dalle gambe passo alle braccia... (Esegue) se nel piccolo orec­chio a conchiglia io verso la mia tenera poesia...

Luana                            - Senta, la prendo a schiaffi... (Si li­bera).

Raul                              - (le si riavvicina dopo breve pausa, in­sinuante) Perché, Matildina, perché?

Luana                            - (con un sussulto, fissandolo) Eh? (Turbata) Ma... evidentemente lei mi scambia con... un'altra donna...

Raul                              - Perché ho detto « Matildina » ? Udii per caso una sera chiamarla con questo nome da don Pedro.

Luana                            - Una sera?

Raul                              - Nell'intimità... Erano seduti in giar­dino... Io passavo...

Luana                            - (turbatissima) Può darsi, ma... a ogni modo... signore... visconte... lei com­prende...

Raul                              - Ma perché si allontana? Perché mi sfugge?

Luana                            - (fissandolo) Chi è... lei?

Raul                              - Un uomo che l'ama.

Luana                            - (con un pallido sorriso) Mi ama ve­ramente ?

Raul                              - Guardi i miei occhi. Non dicono tan­te cose?

Luana                            - (si sforza di sorridere. Poi, decisa) Visconte!

Raul                              - Se lei volesse, Luana, se lei volesse!...

Luana                            - (sorridendo) Forse, vorrò...

Raul                              - Ah!

Luana                            - ... non appena fumato il narghilè col Principe.

Raul                              - Ma io ho delle magnifiche sigarette orientali!

Luana                            - (impaziente) Le dico...

Raul                              - (pregando) Via, Luana... Matilde...

Luana                            - (arrabbiata) Ma perché mi chiama così?

Raul                              - Il vezzeggiativo del barone...

Luana                            - (mordendosi le labbra) Ebbene, verrò.

Raul                              - (insistendo) Subito?

Luana                            - (ancora con uno scatto ribelle) Ma è una prepotenza strapparmi di qui!

Raul                              - Non la strappo. Lei torna tranquil­lamente alla festa, danza quanto vuole col Prin­cipe, e poi...

Luana                            - E poi?...

Raul                              - (sorridendo) ... le mie sigarette orientali.

Luana                            - (rabbiosa) È un ricatto!

Raul                              - È... (Vicinissimo, prendendola per il gomito) Ma via... andiamo... Matilde... Matildina... (Tonino, con faccia spaventata, solleva la portiera dinanzi al Maragià e sparisce).

Maragià                         - (entra, si ferma, guarda interrogati­vamente i due).

Tonino                           - (fa capolino alla portiera).

Raul                              - Altezza...

Maragià                         - Il signore ha qualche cosa da chiedermi? (Chiamando) Tonino! Come è en­trato il signore?

Tonino                           - È entrato. Poi è entrata la signo­ra... E il signore e la signora...

Maragià                         - Basta. Accompagna il signore alla porta.

Raul                              - (offrendo il braccio a Luana) Baro­nessa, vogliamo andare?

Maragià                         - (sorpreso) Eh?

Luana                            - (riluttante, guarda il Principe, vor­rebbe parlare).

Raul                              - (dolcemente) Baronessa, le ho chie­sto se vuol venire...

Maragià                         - Che cos'è questa commedia? Ba­ronessa, chi è costui? (A Tonino, aspro) Tu, che fai?... Che aspetti?... Vattene! (Tonino sparisce).

Raul                              - Il piccolo non ha colpa. Io e la ba­ronessa ci siamo incontrati nel corridoio di­nanzi alla porta di Vostra Altezza. La curiosità spingeva lei. La curiosità ha spinto me, die­tro lei.

Maragià                         - Benissimo. Ed ora ella... (Ac­cenna la porta).

Raul                              - (porgendo come dianzi il braccio) Baronessa...

Maragià                         - (muovendo un passo, a Luana) Ma, insomma, chi è costui?

Luana                            - È... è... Ma io non lo so chi è!

Maragià                         - Luana, vi prego di non mentire.

Luana                            - Non mento. (Guarda Raul).

Maragià                         - Il vostro amante?

Luana                            - Ma se è la prima volta che parlo con costui!

Raul                              - Quante bugie sul roseo bocciol della tua bocca, o Luana! (Piano) Di', Matilde: se non vuoi finire questa notte sul tavolaccio, vieni con me. (Forte, con un inchino) Altez­za!... (Piano) Matilde... (Luana china la testa, accetta il braccio).

Maragià                         - (interdetto, con dolore) Ma... baronessa!... (Tonino, apparso, si affretta a sol-i levare la portiera, guardando sbalordito i due 1 che escono a braccetto).

Raul                              - (piano, passando, a Tonino) Fuori le mance della settimana!

Tonino                           - (guarda trasecolato il Principe).

Maragià                         - Piccolo!... Non una parola sul quanto è accaduto.

Tonino                           - Io non ho visto nulla.

Maragià                         - Bravo. Però quella baronessa è una... Come si dice nella vostra lingua?

Tonino                           - Altezza: si dice in cento modi.

Maragià                         - Ma guarda un po'!... (Va su e giù arrabbiato, eccitato, sotto gli occhi stupiti e spauriti del groom). È la seconda volta che mi capita. Sicuro: la prima fu a Parigi. E ili cuore, si ha un bel dire, è un muscolo stupido... troppo... troppo stupido. (Afferra il martello e dà un gran colpo di gong) Gavaradam!

Gavaradam                   - (da sinistra).

Maragià                         - La pipa di tek.

Gavaradam                   - (fissa il Principe quasi spaventato).

Maragià                         - Non hai capito? Presto!

Gavaradam                   - (s'inchina, attraversa la scena ed esce a destra. Torna quasi subito portando un tavolinetto basso, di lacca, su cui è la piccola pipa, qualche scatolina, una lampadina a spirito e alcuni ferruzzi e palettine d'avorio).

Singh                             - (appare alla comune, guarda Gavaradam che depone il tavolinetto in terra e si prepara ad accendere la lampadina a spirito. Fissa sorpreso il Principe) Vostra Altezza non torna al ballo?

Maragià                         - Preferisco restare qui.

Singh                             - Ma la festa è piena di vita e di verve. Tutti acclamano, tutti vogliono Vostra Altezza. E Vostra Altezza preferisce invece...

Maragià                         - « Oppio è amore », Singh.

Singh                             - «E amore è oppio», dicono i cinesi. Ma mi permetto di fare umilmente osser­vare che le dame in attesa nel salone dei favori di Vostra Altezza sono di carne e d'ossa...

Maragià                         - Me ne infischio.

Singh                             - Mentre quelle create dall'oppio...

Maragià                         - Me ne infischio, ti dico! Io voglio dimenticare.

Singh                             - (vicino, subdolo, sornione) E al­lora, non è cento volte migliore l'oppio inven­tato dalla vecchia Europa?

Maragià                         - Quale oppio?

Singh                             - Lo champagne, Altezza, lo cham­pagne!

Maragià                         - (cambiando umore) Hai ragione, Singh. Perché arrabbiarsi? Gavaradam, lascia andare... (Gavaradam soffia su la lampadina) Sì, più dell'oppio lo champagne! Frizza nel sangue, ringiovanisce, fa vivere... Hai ragione. Bravo, Singh!... (Gli batte un colpo su la spal­la) Andiamo a ballare!... (Ed esce rapido, se­guito da Singh).

Tonino                           - Che mulino a vento! L'oppio, lo champagne... il ballo... (Prendendo la pipetta in mano) Ma perché oppio è amore, Gava­radam?

Gavaradam                   - (ridendo) Perché amore è oppio.

Tonino                           - Questo non è ben chiaro.

Gavaradam                   - Oh, chiarissimo. Tu mettere grano oppio pipetta, fumare e vedere.

Tonino                           - Che cosa vedrò?

Gavaradam                   - Tutto quello che voler vedere.

Tonino                           - Fammi un esempio.

Gavaradam                   - Tu desiderare esser miliar­dario?

Tonino                           - Anche milionario.

Gavaradam                   - Bene. Tu fumare pipetta e so­gnare palazzi, automobili e centinaia di servi­tori e bionde cameriere...

Tonino                           - (posando la pipa) Se si tratta di sognare soltanto...

Gavaradam                   - Non importa. Vita non essere sogno continuo?

Tonino                           - Ma quando poi ti svegli...

Gavaradam                   - Non importa. Intanto, un'ora, due ore, tre ore, tu aver vissuto tuo desiderio come vero, come... come...

Tonino                           - Realtà. Già: realtà. Fammi un altro esempio.

Gavaradam                   - Tu desiderare possedere ver­gine bellissima?

Tonino                           - Per me è indifferente. Però, se tu ci tieni...

Gavaradam                   - Ebbene: fumare pipetta e ave­re fra le braccia vergine bellissima.

Tonino                           - Invece di aspettare Enriquicca, fuma la pipetta e vedrai se è la stessa cosa.

Gavaradam                   - Oh, no!

Tonino                           - (ridendo) Vedi?

Gavaradam                   - Ma se io essere tremendamente innamorato Enriquicca, allora disperazione fu­mare oppio e credere avere Enriquicca, e fu­mare fumare fumare, finché sprofondare in Nulla o Nirvana, come dice Budda.

Tonino                           - (accennando il Budda) Quello là?

Gavaradam                   - Quello là.

Tonino                           - Oh, quello se ne infischia dell'a­more. Guarda che pancia! (Pausa, in confidenza al servo) Gavaradam, un altro esempio. Se io amassi una persona simpatica...

Gavaradam                   - (ridendo) Una Enriquicca an­che tu?

Tonino                           - No... Ricca, potente...

Gavaradam                   - Una regina? Allora tu fumare pipetta, e sognare essere re. E tua regina fare molti figliuoli... (Ride, poi) Zitto! Vado dare occhiata corridoio se passare Enriquicca. Tu, restare qui, fermo... (Via dalla comune).

(Nel silenzio la musica sale insinuante e si spegne nelle dense stoffe del salotto. Tonino guarda il tavolinetto laccato. Rapido si accosta, riprende la pipetta, la fiuta. E senza pensarci due volte, accende la lampadina, brucia una la­crima d'oppio in cima al ferretto, la mette nella pipa, dà un'occhiata alla comune e aspira qual­che boccata).

Tonino                           - « Oppio è amore »... (Fuma) Pe­rò, pizzica... (Siede) Sa di liquorizia... (Fuma ancora) Forse ne ho messo poco... « Amore è oppio »... Che cos'è? Il divano si muove... Pare d'essere su la schiena d'un camello. (Si alza) No: è la mia testa che gira... (Lascia cadere la pipetta) Oh bella... gira come un mappamondo in cima a una canna... (Spaventato, drizzan­dosi) Chi è?... (Sommessamente) Gavaradam con Enriquicca... Se ne vanno in camera... (Ri­dendo) Prosit!... To', Singh, con la testa di elefante... Il portiere che vola... E Foglia di Loto che balla con Augusto... Mascalzoni!... Corro a dirlo al Principe... Eccolo che entra... (Guarda la comune) È arrabbiato... No: ride... Mi fa l'occhietto... (Inchinandosi a rischio di perdere l'equilibrio) Sallemeh, Sahib!... (L'immaginario Principe si avanza, continuando a guardare Tonino con un sorriso ambiguo, a cui Tonino, che si tiene in piedi e stordito, ri­sponde con un sorriso un po' vergognoso. A testa bassa, come parlando al Maragià vicino) È furbo, lei! (A se) E dagli che mi fa l'occhiet­to! Mi vergogno... (A se) Mi passa il braccio attorno alla vita... (Forte) Altezza, le mani a posto... (A se) Mi fa dolce violenza... No... non voglio. (Quasi sospinto, movendosi a destra) Co­me andrà a finire, Budda, come andrà a finire? (Scompare vacillando dietro il tendaggio. La musica lontana è coperta dal vocìo di parecchia gente che sale lo scalone).

Gavaradam                   - Tonnino! Tonnino!... Sua Al­tezza!... (Dà un'occhiata attorno, sorpreso, ed apre la portiera dinanzi al Maragià, che entra seguito da persone eccitate e gesticolanti).

Direttore                       - Io ero all'estremità della sala, dietro le colonne, e non so veramente come sia andato il fatto.

Signora Anziana           - Semplicissimo. Il Prin­cipe era in mezzo alla sala, tra le stelle filanti che fioccavano da ogni parte. Può darsi che una striscia di carta, impigliandosi nelle perle e ti­rata con forza, abbia spezzato il vezzo.

Signora Giovane           - Ma è impossibile! Io cre­do piuttosto che qualche male intenzionato...

Barone                          - La prego di credere che qui non ci sono male intenzionati.

Il Marito della Signora Giovane         - Mia mo­glie non ha inteso minimamente di offender lei.

Barone                          - Prendo atto. Del resto io scendevo lo scalone e non so nulla.

Maragià                         - (seduto sul divano) Lei scendeva lo scalone?

Barone                          - Sicuro. Venivo dalle stanze della baronessa.

Maragià                         - Aveva forse l'emicrania, la baro­nessa?

Barone                          - Cosa vuole che ne sappia? Nelle sue stanze non c'era.

Maragià                         - (ridendo) Nemmeno al ballo, era.

Barone                          - Già.

Maragià                         - E allora, un piccolo scherzo... (Coti uno scroscio di risa) Carnevale! Carne­vale!

Barone                          - (fra i denti) Ha una sbornia da pellirossa...

Direttore                       - (ossequioso) Vostra Altezza mi permetterà di chiedere...

Maragià                         - (mettendo la mano in tasca) Una perla? (Non trova nulla) Tutto finito!

Direttore                       - No... di domandare perché, spezzatosi il vezzo di perle, Vostra Altezza ha preso quelle che non erano cadute...

Maragià                         - E le ho gettate nella sala? Car­nevale! Carnevale!

Barone                          - (a parte) Che sbornia!

Direttore                       - Ma l'effetto è stato dinamico...

Maragià                         - Ah, ah! Braccia in aria... E poi, tutti in terra a quattro zampe...

Signora Anziana           - Oh, per restituir le per­le, Principe, soltanto per restituirle!

Maragià                         - La signora ha forse trovato...?

Signora Anziana           - Nulla. Proprio nulla. (Allontanandosi) Che selvaggio!

Signora Giovane           - (al marito) Andiamo, Giulio.

Marito della Signora     - Sì, andiamo. Ho preso dianzi una pedata in testa... (Escono par­lottando. Gavaradam solleva la portiera).

Barone                          - Allora, Altezza...

Maragià                         - Scendete? Salutatemi la baro­nessa.

Direttore                       - Come? Vostra Altezza non tor­na al ballo?

Maragià                         - Il tempo di mettere un altro tur­bante.

Direttore                       - (sorridendo) Però, senza perle.

Maragià                         - Oh, no. Solo il gran diamante che donò a mio nonno lo Scià di Persia. (Ba­rone e direttore indietreggiano sbalorditi, con segni di grandissimo rispetto ed escono).

Maragià                         - (a Singh, che si avvicina con mezzo bicchier d'acqua) Non sono ubriaco. Porta via. Ho voluto soltanto fare uno scherzo.

Singh                             - Mi permetto di fare umilmente os­servare a Vostra Altezza che il filo di perle...

Maragià                         - Sempre umilmente, tu mi dai dell'idiota. Se ti dico che ho scherzato! Non ab­biamo una imitazione perfetta delle perle? Io non ho fatto stasera, prima di scendere al ballo, che cambiare il filo...

Singh                             - Vostra Altezza ha cambiato?...

Maragià                         - ...con le mie mani.

Singh                             - Che Budda mi protegga! Ma quan­do chi ha preso le perle si accorgerà che non sono buone, dirà... dirà che Vostra Altezza...

Maragià                         - È un imbroglione? Ma io non ho venduto le mie perle. Le ho gettate in aria. Tanto peggio per chi le ha raccolte. Ah, ah! Tutti carponi, con le mani in terra, a raspare... (Con brusco cambiamento d'umore) Chiudi la porta, Gavaradam. Non voglio tornare più giù.

Singh                             - Vostra Altezza desidera coricarsi?

Maragià                         - Sì... no... Non so. Mi sento stan­co, tediato. Dov'è il piccolo?

Gavaradam                   - Sparito. Andato a dormire.

Maragià                         - Vai a dormire anche tu, Singh. E tu, Gavaradam, spruzza un poco d'essenza di rose. (Mentre Gavaradam spruzza) Hai chiuso a chiave?

Gavaradam                   - Se Sahib volere, io dormire at­traverso porta.

Maragià                         - Non occorre. Bastano le mie ri­voltelle. Va'. (Anche Gavaradam, come prima Singh, fa un inchino con le braccia incrociate sul petto, ed esce a sinistra).

Maragià                         - (fiuta l'aria. Poi riprende l'essenza, spruzza con vigore qua e là. Sempre spruzzando si ferma davanti a Budda. Incrocia le braccia sul petto, fa una riverenza, poi irrora di pro­fumo l'idolo).

Tonino                           - (appare stordito, tenendosi alla por­tiera).

Maragià                         - (si ferma stupefatto, immobile).

Tonino                           - Mi fa l'occhietto...

Maragià                         - Tu? Che cosa facevi di là?

Tonino                           - Non so... Credo d'aver sonnec­chiato... sul suo letto... (A un gesto del Prin­cipe) Per l'amor di Dio, non chiami... (Vacilla).

Maragià                         - (si slancia a sorreggerlo) Ma che hai?... Che cosa hai fatto?... Champagne? Li­quori?... No: la tua bocca odora di... (L'abban­dona sul divano, va al tavolinetto, guarda, rac­coglie la pipetta di tek) L'oppio?... Hai fumato l'oppio?...

Tonino                           - (con un filo di voce) Curiosità... No! Non chiami!...

Maragià                         - Non chiamo. Però sei un ragaz­zaccio.

Tonino                           - Sì... (Cerca di alzarsi) Mi metta soltanto fuori della porta. Scenderò le scale... da me...

Maragià                         - Ma le ruzzolerai tutte, le scale. Ho il modo di farti passare lo stordimento. (Prende da uno stipetto una fiala, la mette sotto il naso del groom) A te. Annusa con forza.

Tonino                           - (esegue).

Maragià                         - Più forte!

Tonino                           - (esegue).

Maragià                         - Tienila sotto il naso. (Gli lascia la fiala, si scosta) Come mai ti è venuta la bella idea di attaccarti alla pipetta? Hai visto me, eh? E tu, scimmia...

Tonino                           - Vostra Altezza ha detto: « Oppio è amore »...

Maragià                         - Ebbene?

Tonino                           - E Gavaradam ha detto: ce Vuoi ve­dere vergine bellissima? ».

Maragià                         - (ridendo) L'hai vista?

Tonino                           - Non me ne parli. Uomini con la testa di elefante... palloni che giravano... il por­tiere in aeroplano... E poi là, sul suo letto, il mare... il bastimento... su e giù...

Maragià                         - (ancora ridendo) Ragazzaccio!... Andiamo, sbottonati...

Tonino                           - Eh?

Maragià                         - Allenta un poco il colletto... ti farà bene...

Tonino                           - Ma... Altezza...

Maragià                         - Te lo permetto. Davanti a me, te lo permetto.

Tonino                           - Grazie... Mi sento benissimo.

Maragià                         - Soffochi. Non vedi che soffochi? Sei rosso... congestionato, continui a diventar rosso... Su, via... Sei apoplettico!... (Con vio­lenza, sbottonandogli qualche bottone sul petto) Apri! Apri!... là!... così!... respira!...

Tonino                           - Basta!

                                      - (Ma il Maragià si ferma stupito. Fissa To­nino, che abbassa gli occhi).

Maragià                         - Che abbia fumato l'oppio anch'io? (Afferra la fiala, l'annusa con forza) Ep­pure... non mi sembra di avere allucinazioni. (Scuote la testa, torna a Tonina, che ora pudi­camente tiene stretti i due lembi della giubba sul petto).

Tonina                           - (alzandosi mortificata) Altezza... mi lasci andar via...

Maragià                         - Padronissimo... cioè padronissi­ma. Però, anche a me adesso viene la curiosità. Sicuro: la curiosità di conoscere il perché di questa... trasformazione.

Tonina                           - (movendosi) Altezza...

Maragià                         - Fermo! Cioè... ferma. Ebbene, che c'è? Ti metti a piangere?

Tonina                           - (lacrimando) Andrò a finire in ga­lera!

Maragià                         - Ma no: siamo di carnevale. Tu ti sei mascherata da groom e io mi diverto.

Tonina                           - Si diverte?

Maragià                         - Enormemente. Ero annoiato, non trovavo nulla di allegro... E adesso non darei questo scherzo per il più bell'elefante del mio regno.

Tonina                           - (sollevando gli occhi) Scherzo?

Maragià                         - Siedi. Cioè... segga. (Offrendole una seggiola) Prego, signorina: si accomodi. (Togliendo la seggiola) Anzi no: sul divano sta­rà meglio. (Tonina siede) Una sigaretta? Un bic­chierino di... (Altro tono) La divisa mi smonta. Senti, Tonino, fai una cosa...

Tonina                           - (balzando in piedi) Comandi!

Maragià                         - Non comando. Prego. Ti prego di andare in camera...

Tonina                           - In camera?

Maragià                         - Sì... e di metterti uno dei pi­giama che troverai sul letto.

Tonina                           - Non potrei restare così?

Maragià                         - Così... non mi sembri né carne, né pesce. Va'.

Tonina                           - (chinando il capo) Obbedisco. (Via).

Maragià                         - Conosco tutti i trucchi dei fakiri. Il seme che su la palma della mano diviene a poco a poco pianticella... il fumo e fuoco dalla bocca... il ragazzo vivo dentro il sacco sforac­chiato dalle spade... Ma un uomo che tra le dita vi diventa donna... e donna vera... così, in un attimo... (Presso la portiera a destra) Fatto?...

La voce di Tonina         - Un momento!

Maragià                         - (scostandosi) Prodigioso! Incredi­bile! (Movendo le dita come un prestigiatore) Là!... e là!... Voilà!..,          - (Al voilà Tonino, rien­tra vestita d'un magnifico pigiama opportuna­mente rimboccato alle maniche e ai malleoli).

Tonina                           - Ho scelto il più piccolo...

Maragià                         - Il preferito di Foglia di Loto. Sì: era più alta di te. Siedi, siedi. (Seggono) E dim­mi come ti chiami.

Tonina                           - Tonina.

Maragià                         - Eh?

Tonina                           - Tonino... Tonina.

Maragià                         - Una piccolissima differenza. E perché ti sei mascherata da groom?

Tonina                           - Non mi sono mascherata. Mi hanno fatto mascherare.

Maragià                         - E chi?

Tonina                           - Non m'interroghi...

Maragià                         - Voglio saperlo.

Tonina                           - Matilde...

Maragià                         - E chi è Matilde?

Tonina                           - Luana.

Maragià                         - Eh?

Tonina                           - E... don Pedro.

Maragià                         - Una combriccola di ladri?

Tonina                           - (quasi supplicando) No!... Io, no!

Maragià                         - Tu, no?

Tonina                           - Ma non m'interroghi!...

Maragià                         - Voglio sapere tutto, tutto!

Tonina                           - Luana venne a cercarmi nel magaz­zino. Non era più quella di sette anni fa, quan­do portava lo scatolone da madama Legrand. Adesso tornava dall'America. Pellicce, gioielli, automobile... Mi fece conoscere Augusto...

Maragià                         - Augusto?

Tonina                           - Il barone di Karacas. Augusto, cioè don Pedro, aveva combinato un gran piano...

Maragià                         - Svaligiare quell'imbecille del Ma­ragià.

Tonina                           - Sì. Cioè, no...

Maragià                         - Pelarmi al gioco, incantarmi con l'amore e derubarmi se si presentava la buona occasione. Come se non l'avessi capita che sono due avventurieri.

Tonina                           - (sorpresa) Ma, allora, se l'aveva capita...

Maragià                         - Mi guardi? Volevo cavarmi un capriccio. E anche, chi sa?... divertirmi. Ma non sospettavo che avessero dei complici. E pro­prio te.

Tonina                           - Me?... Ah, no... non dica così!

Maragià                         - E allora? Hai chiesto di entrare al mio servizio soltanto per imparare l'inglese e fumare la pipa d'oppio?

Tonina                           - Quella non la toccherò mai più...

Maragià                         - (sempre più arrabbiato) Dal portone al lift, dal lift al piano nobile, poi il corridoio, l'anticamera, il mio appartamento, fino al momento che - eh?... fatto il colpo, avre­sti ripresi i tuoi abiti di donna...

Tonina                           - Ha ragione. Chiami le guardie.

Maragià                         - Non ci penso neppure. Hai forse I rubato qualcosa?

Tonina                           - Mi frughi.

Maragià                         - Però, te ne vai.

Tonina                           - Me ne vado?

Maragià                         - Ti metti il tuo vestitino da groom, ì e fili.

Tonina                           - E questo ? (Accenna il pigiama).!

Maragià                         - Lo lasci.

Tonina                           - (risoluta) Non ci pensi neppure.

Maragià                         - Come?

Tonina                           - H « vestitino » mi tirava. Qui den­tro, invece- (muove le maniche), mi trovo benis­simo. E poi, si mette alla porta una signorina, alle tre dopo mezzanotte... in un grottesco co­stume da groom? Mentre dentro questo pigiama (si crogiola) mi sento un'altra, ah sì, un'altra, definitivamente un'altra?... (Si palpa, si acca­rezza una manica) Seta, vero?

Maragià                         - (quasi senza volerlo) Di Samar­canda.

Tonina                           - Che morbidezza! Che pastosità! Adesso capisco perché i ricchi si vestono d'una stoffa diversa da quella dei poveri. L'abito è tutto. Tutto! (Si palpa, si accarezza) Dà un'al-tr'anima, un'altra disinvoltura, un'altra forza, un altro... cachet. Matilde dice cachet! (Pren­de da una scatola sul tavolino una sigaretta. Inconsciamente il Principe si affretta a servir­la) Thank you. (Il Principe porge il fiammi­fero acceso) Thank you. (Una boccata, una smorfia di disgusto).

Maragià                         - È cattiva?

Tonina                           - Ottima. Però... thank you... (Posa la sigaretta) mi ricorda l'oppio... (E incomincia a muoversi su e giù, le mani in tasca, con mosse capricciose ed eleganti, da gran dama) E così, Altezza, avremo quest'anno il piacere di avervi tra noi a Biarritz?

Maragià                         - (con un grido) Fermatevi!

Tonina                           - (spaventata) Eh? (Tra sé) Avrei forse detto una bestialità?

Maragià                         - E adesso... camminate... piano... dolcemente... senza voltarvi... (Con un grido) La devadasa!

Tonina                           - (si gira, guarda il Principe, senza ca­pire) Chi è?

Maragià                         - Sì: la Sacerdotessa della Gran Pa­goda: Foglia di Loto!

Tonina                           - Era Sacerdotessa?

Maragià                         - Ora danzatrice in un tabarin.

Tonina                           - Quando c'è la vocazione... (Con un balzo, vedendo che il Principe afferra il mar­tello del gong) Che cosa fate, Altezza?

Maragià                         - Pardon... Stavo per chiamare. E allora, mi dispiace di non potervi offrire una coppa di champagne. (Si accosta a un tavoli-netto carico di fiale e di scatole) Volete un poco di rosolio d'ananas? O di banana? O di fra­gola?...

Tonina                           - Mi mettete nell'imbarazzo...

Maragià                         - Prendete. Ecco dei dolcetti pro­fumati alla vainiglia. (Siede con la scatola sul divano, accanto a Tonina) Foglia di Loto usava metterne una tra le labbra e offrirne la metà...

Tonina                           - Anche da noi si usa.

Maragià                         - (vicinissimo, porgendo il dolce) Mettete fra le vostre labbra... così... (Voltan­dosi dì scatto verso la comune) Qualcuno pic­chia...

Tonina                           - (che per l'emozione ha inghiottito il dolce) Non aprite!...

Maragià                         - (alzandosi) Qualcuno chiama som­messamente...

La voce di Luana          - Altezza!... Sono io!...

Tonina                           - (sottovoce, balzando in piedi) Non apra!

La voce                         - Apra!

Tonina                           - Non apra!

Maragià                         - (presso la comune, in ascolto) Qualcuno sopraggiunge... le parla... Un uomo...

Tonina                           - Il barone...

Maragià                         - (c. s.) No... Vanno via insieme...

Tonina                           - Allora... il visconte...

Maragià                         - Già... il visconte... (Tornando verso Tonina, impetuoso, violento) Tonina!... Nelle braccia di Foglia di Loto io dimenticavo tutto, tutto!... Ella mi baciava... e io la strin­gevo... (afferra Tonina) la squassavo come un tenero bambù... la stroncavo...

Tonina                           - Altezza... la stanza... la testa... il mappamondo... tutto gira... gira... È l'op­pio!... l'oppio!...

Maragià                         - No! Tu sei fra le braccia del Ma­ragià!

Tonina                           - Davvero?! (Con fievole voce, men­tre il Principe, che le tiene il braccio alla vita, la sospinge dolcemente verso l'entrata a destra) E allora, Budda mio, questa volta lo so come andrà a finire!...

                                  Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena del secondo atto.

Singh                             - (passeggia su e giù) Quasi mezzo­giorno, Gavaradam.

Gavaradam                   - (inipassibile) Quasi mezzogior­no, signor Singh.

Singh                             - E non ha sonato? Non ti ha chia­mato?

Gavaradam                   - Io entrato come solito ore dieci e mezzo aprire finestre. Ma lui gridato: « No, no, no!». E poi: «Ih, ih, ih!...» piccola ri­sata donna.

Singh                             - Una risatina di donna?

Gavaradam                   - Non aver visto nulla perché an­dato via subito. Però, «ih, ih, ih!... ».

Singh                             - Cosicché, non ha ancora fatto cola­zione ?

Gavaradam                   - Oh, sì. Ore undici. Piccola co­lazione per due.

Singh                             - Per due?

Gavaradam                   - Due tazze, due piattini, due cucchiaini. Però, una sola zuccheriera.

Singh                             - Ma, allora, se tu hai servito la cola­zione...

Gavaradam                   - Oh, io no. Sua Altezza telefo­nato da suo letto maitre d'hotel mandare colazione. Cameriere portato colazione e andato via. Io presa colazione per entrare camera...

Singh                             - Ebbene?

Gavaradam                   - ... ma Sua Altezza uscito ca­mera e detto me: ce Oh, bravo...». E preso vas­soio, rientrato là...

Singh                             - Lui?

Gavaradam                   - Rientrato fischiettando...

Singh                             - Col vassoio?

Gavaradam                   - Due mani. Così. Fischiettando. (Dall'appartamento del Principe, il grammo­fono) Ecco. Precisa questa aria.

Singh                             - Franz Lehar. Segno ch'è di buon umore...

Gavaradam                   - (malizioso) Forse perché avrà trovata altra Foglia di Loto...

La voce del Direttore    - È permesso?

Singh                             - Avanti. Prego.

Direttore                       - Buon giorno, signor Singh. Buon giorno, Gavaradam.

Gavaradam                   - Buon giorno.

Direttore                       - Non è qui da loro Tonino, il groom?

Singh                             - È andato via stanotte, tardi, assai tardi.

Direttore                       - Strano. Nella sua cameretta non c'è. Dove si sarà cacciato? Bah. Del resto, all'ascensore ora è l'altro boy. Scusi, signor Singh. (Per andar via, ma torna) Dimenticavo. Ho qui due delle perle cadute stanotte a Sua Altezza. Le ha trovate un cameriere spazzando.

Singh                             - Non importa...

Direttore                       - È mio dovere restituirle.

Singh                             - Le tenga, le tenga.

Direttore                       - (con dignità) Grazie. Ho l'ob­bligo morale di restituire ogni cosa scrupolosa­mente. Le metto qui. (Posa le perle sul tavo­lino).

Singh                             - Come crede.

Direttore                       - Prego. (Per andar via. Ma tor­na) Un'altra piccola formalità. (Sorridendo, cer­cando le parole) Giacché parlo col segretario... Scuserà, ma io non sono che il direttore... E il regolamento dell'albergo...

Singh                             - Quale regolamento?

Direttore                       - ...e anche la consuetudine... prescrivono che... ogni otto giorni...

Singh                             - Il conto ? Ma lo prepari subito!

Direttore                       - Oh, non c'è fretta...

Singh                             - Ma sì. Prepari, prepari. Passerò io al bureau. (Tra se) Imbecille! L'affare delle perle lo ha smontato...

Direttore                       - I miei ossequi, signor Singh.

Singh                             - Servitor suo, signor direttore!

Maragià                         - (entra di buon umore indossando una ricchissima veste da camera) Che c'è? Che c'è?

Singh                             - (con un inchino) Ogni gioia possi­bile col nuovo giorno a Vostra Altezza.

Maragià                         - Grazie. Però il tuo giorno è già trascorso a metà. E la mia gioia, grazie a Bud-da, è intera.

Singh                             - Vostra Altezza ha riposato bene?

Maragià                         - Riposato, veramente... Però non mi posso lamentare. Ma chi parlava poco fa?

Singh                             - Il direttore. Ha voluto - per de­bito di onestà - consegnare queste due perle. E ha rammentato - gentilmente - che il re­golamento dell'albergo prescrive di regolare il conto ogni otto giorni.

Maragià                         - Ah.

Singh                             - Come avevo preveduto, lo scherzo delle perle lo ha un po' smontato.

Maragià                         - Fa piacere d'esser preso, almeno una volta, per un povero diavolo. Hai con te il libretto degli chèques?

Singh                             - Sempre con me.

Maragià                         - Da' qua. Ne firmo qualcuno. (Siede) Tu, poi, segnerai le somme man mano che occorrono. (A Gavaradam) Dove vai?

Gavaradam                   - Preparare bagno.

Maragià                         - Non importa. L'ho già preso.

Gavaradam                   - (sorpreso) Sahib preso bagno solo?

Maragià                         - Ho fatto da me. Dove vai?

Gavaradam                   - Vuotare vasca.

Maragià                         - Non importa: l'ho vuotata da me.

Gavaradam                   - (sorpresissimo) Sahib avere...

Maragià                         - Sì: vuotata e poi riempita la va­sca. Anzi fa conto ch'io stia ora prendendo un secondo bagno. (Gavaradam e Singh si guardano sbalorditi sopra la testa del Maragià, che sta fir­mando gli chèques. Il Maragià, a Singh, conti­nuando a firmare) Ho telefonato a parecchi ma­gazzini perché mi mandino qualche oggetto di cui ho bisogno. Piccole spesucce che tu pa­gherai senza contrattare. Prendi, e via. Senza discutere. Hai capito? (Consegna il libretto a Singh. Intanto il grammofono, che taceva, at­tacca a un tratto una vecchia e popolarissima canzone italiana: « Funiculì, funiculà!....

Maragià                         - (balzando in piedi) Il bagno è fi­nito... Singh! Stanotte ho rubato ai fakiri il più bel trucco. Vuoi vedere? (Forte) Vieni, pic­cina, vieni! (A Singh e Gavaradam, con gesto da prestigiatore) Voilà! (Tonina appare, in pi­giama).

 Tonina                          - (con grazia) Buon giorno, signor Singh! Buon giorno, Gavaradam!

Maragià                         - Cara! Hai fatto il bagnetto?

Tonina                           - Sì, amore.

Maragià                         - Siamo in piena forma?

Tonina                           - Sono un'altra!

Maragià                         - (incantato, ai due) Si sente un'al­tra! E infatti, non è un'altra? Singh! Gavara­dam! Da oggi, ecco la vostra signora.

Singh                             - (sbalordito, stropiccia gli occhiali) Mi permetto umilmente di domandare...

Maragià                         - (aspro) Che cosa?... Sentiamo... Che cosa?

Singh                             - ...come dovremo chiamarla.

Maragià                         - È vero: Tonina. Ma no: voi po­treste sbagliare con Tonino. Chiamatela Foglia di Loto. Ecco: Foglia di Loto. E smetti di pu­lire gli occhiali, Singh. Un vero indù non si meraviglia mai. (Suona il telefono) Senti tu, Singh.

Singh                             - (al telefono) È il portiere. (In ascol­to) Scatoloni?... Non conosco... Ah, sì: due fat­torini con scatoloni... Ma certo... vengano su. (Al Principe) Sono le spesucce...

Maragià                         - Ricevi e paga.

Singh                             - Subito. (Chiamando Gavaradam, ancora intontito dalla sorpresa) Gavaradam! (Più forte) Gavaradam!

Maragià                         - (con un colpo di gong) Gava­radam! (Il servo si scuote ed esce dietro Singh, a sinistra. Il Maragià, accostandosi a Tonina) Cappelli, abiti, scarpine, non ti mancherà nulla. Per la biancheria ci sono i cassoni di Foglia di Loto.

Tonina                           - (gli occhi incantati) E se tutto que­sto fosse un sogno?

Maragià                         - Ma è realtà. Non credi? (Le scoc­ca un bacio) Tutto andrà bene. E perché vada bene, cominceremo col partir subito.

Tonina                           - Partire?

Maragià                         - Vuoi si accorgano che il piccolo groom...

Tonina                           - (con un brivido, stringendosi al Prin­cipe) È un sogno!... Un sogno!...

Maragià                         - No...

Tonina                           - Sì... Cadrò dal letto e mi risveglierò!

Maragià                         - Cadrai fra le mie braccia. (La stringe) E nell'intimità non chiamarmi Altez­za... La devadasa mi chiamava Nalò...

Tonina                           - Come è bello!... Nalò!... (Mentre sono abbracciati, rientrano Singh e Gavaradam con vari scatoloni).

Singh                             - Abiti e cappellini. Altezza.

Maragià                         - Speriamo di trovare fra questa roba le misure giuste. Portate di là. (A Tonina, mentre Singh e Gavaradam escono a destra) Ca­rina, vuoi andare a vedere? E se manca qual­cosa, una telefonatimi e...

Tonina                           - Come sei buono, Altezza... Cioè, Nalò! (Sparendo) Nalò!

Maragià                         - (sorride, accende una sigaretta).

Luana                            - (picchiando) È permesso? (Insi­nuandosi subito dentro) Ah, la porta non è chiusa, fortunatamente, come stanotte.

Maragià                         - Oh, baronessa! Voi?

Luana                            - Ci tenete a vedermi?

Maragià                         - Enormemente.

Luana                            - E allora perché... questa notte...

Maragià                         - Questa notte?

Luana                            - ... verso le tre, non avete aperto quando ho picchiato?

Maragià                         - Voi avete picchiato...? Ah sì, aspettate... Verso le tre, vero? Ed io infatti volevo aprire, ma...

Luana                            - Ma?...

Maragià                         - Mi è sembrato di udire un altro passo nel corridoio.

Luana                            - Forse un cameriere...

Maragià                         - No... perché l'uomo si è fermato accanto a voi... ha parlato con voi... e con una certa autorità vi ha condotto via.

Luana                            - (imbarazzata) È vero: mio marito. Ma se voi mi aveste aperto subito, io avrei avu­to tutto il tempo di sfuggirgli. O forse avete paura del barone? (Ridendo, in tono leggero) Via, per un uomo abituato a cacciare la tigre nella jungla...

Maragià                         - Non è la tigre che mi spaventa, ma... lo sciacallo.

Luana                            - Quale sciacallo?

Maragià                         - Quel signore che, con gran disin­voltura, qui dentro, in casa mia, vi ha «sof­fiato » a me.

Luana                            - (guarda il Principe, dà in uno scroscio di risa) Ah, ah, ah!... Ingenuo!...

Maragià                         - Perché?

Luana                            - Ma non siamo di carnevale? E non capite ch'è una burla, una commedia uscita dalla fertile fantasia del romanziere? Andiamo, avreste dovuto capirla!...

Maragià                         - Toh: curiosa: Non l'ho capita.

Luana                            - Peccato non sia qui Tonino...

Maragià                         - Tonino?

Luana                            - Il groom. Vi farei dire da lui se, prima che voi entraste, io e il romanziere non ci eravamo messi d'accordo...

Maragià                         - Per recitare una commedia che non ho bene afferrato? (Il telefono suona) Per­mettete... (Chiamando) Singh! (Gran colpo di gong, che fa dare un sobbalzo a Luana, rimasta in posa patetica).

Singh                             - (entra da destra, accorre al telefono) Calzaturificio?... Va bene... (Si avvicina a destra) Gavaradam! (Gavaradam entra da destra ed esce dietro Singh, a sinistra).

Luana                            - (corre a chiudere a chiave la comune).

Maragià                         - (sorpreso) Che fate?

Luana                            - Ho chiuso a chiave... (Tornando a lui) Principe! Siamo soli! Finalmente soli!

Tonina                           - (entrando di corsa da destra, in pi­giama e calcandosi un cappellino in testa) Nalò!... Nalò!... (Vede Luana) Oh, pardon!... (E con una piroetta rientra).

Luana                            - Ah! Non siamo soli! Chi è quella ragazza?

Maragià                         - È... la figlia di Singh.

Luana                            - Quando è venuta?

Maragià                         - Stamani, cioè... stanotte... mentre si ballava.

Luana                            - E avete passata la notte con lei?

Maragià                         - Ma che dite? Dorme di là, perché qui non c'è posto. (Singh e Gavaradam rien­trano da sinistra con varie scatole, ed escono a destra).

Luana                            - (guardando Singh che passa) Non mi pare che gli rassomigli.

Maragià                         - Può darsi. Questi sono affari pri­vati del mio segretario. Ma scusatemi se vi la­scio un momento. Vado a cambiarmi. Volete attendermi? (Luana, rimasta sola, contempla e tocca con un sospiro il narghilè. Singh e Gava­radam ripassano impassibili ed escono a si­nistra).

Luana                            - (voltandosi a guardare Singh) Mac­ché! È tutt'altro tipo. (Qualcuno picchia discre­tamente alla comune).

La voce del Barone       - Si può?

Luana                            - (correndo ad aprire) Augusto!

Barone                          - Finalmente ti trovo! (Abbassando la voce) C'è lui?

Luana                            - È di là...

Barone                          - Ti ho cercata dappertutto. Insom­ma: hai lavorato o no?

Luana                            - No.

Barone                          - Come no? Non lasciasti il ballo verso le due dopo mezzanotte con la scusa dell'emicrania?

Luana                            - Sì: ma purtroppo il medico non era lontano.

Barone                          - Il medico?

Luana                            - Quel giovanotto che si spaccia poeta e scrittore.

Barone                          - Il visconte?... Ah, forse... un po­liziotto ?! ...

Luana                            - Non so. Ad ogni modo un poliziotto sui generis. Con l'aria più dolce del mondo mi sorprese qui, mentre aspettavo il Maragià, e mi costrinse a seguirlo...

Barone                          - Dal Commissario?

Luana                            - ... in camera sua.

Barone                          - Ti ha interrogata?

Luana                            - Si: abbastanza cortesemente. Mi ha tenuta sotto chiave fino a stamani alle otto.

Barone                          - Caramba! Grazie a Dio non sei mia moglie che sul passaporto. A ogni modo, o tu sei una stupida... o quello... è un furbacchio­ne... Bisognerà cambiare aria il più presto.

Luana                            - Sì, tanto più che stanotte è anche arrivata la figlia di Singh. L'ho vista coi miei occhi.

Barone                          - La sua amante?

Luana                            - Pare di no.

Barone                          - (arrabbiato e impaziente) Pare... pare... E la chica dov'è?

Luana                            - Tonina?

Barone                          - Sì, Tonina. Dov'è? Nella sua ca­meretta all'ultimo piano stanotte non è rien­trata. Qui non la vedo. Si burla di me? Pa­rola d'onore, se mi capita davanti, le assesto un pignolo...

Tonina                           - (sporge il viso dalla portiera in fon­do, a destra. È vestita da groom. Chiama piano, con la voce e col gesto) Ehi! ... Psss! ... Psss! ...

Luana                            - Tonina!

Barone                          - Chica!

Luana                            - Hai passato la notte qui?

Tonina                           - (facendo un passo, le mani sul dorso) Là. Nella stanza dei bauli. E che notte! Ho ancora tutte le ossa peste.

Barone                          - Chica del mio corazon! Su te, al­meno, si può contare. Hai visto roba? Hai fatto niente?

Luana                            - (in fretta) Dimmi: c'è una ragazza di là?

Tonina                           - Sì.

Luana                            - Chi è? Chi è?

Barone                          - (a Luana, impaziente) Mi lasci par­lare? (A Tonino) Ma non avrai passato, immagino, tutta la notte nella stanza dei bauli?

Tonina                           - Tutta, no. Perché, a una cert'ora, udendo ridere nella stanza del Maragià...

Luana                            - Ridevano?

Tonina                           - Lui e quella ragazza. Mi sono al­zata, ho spiato. Che cosa dicessero, non capivo. Però lei pregava lui, tra un bacio e l'altro. Que­sto si capiva. Infine lui è andato a un piccolo forziere, ha toccato un punto verso l'angolo a destra, e lo sportello del forziere s'è aperto co­me d'incanto.

Barone                          - Avanti! Parla!

Tonina                           - Lui ha tolto dal forziere un astuc­cio di velluto lungo poco più d'un palmo... met­tiamo un palmo e mezzo...

Barone                          - Ma parla!

Tonina                           - Lo ha aperto... Ho visto danzare alla parete, al soffitto, su gli specchi, su le stoffe, come tanti piccoli folletti di luce... Ma questo è niente: la ragazza, gorgheggiante di gioia, ha cominciato a cavare dall'astuccio le gemme, a guardarle, rimirarle, farle saltare da una mano all'altra...

Barone                          - Tu mi fai morire...

Tonina                           - Vi assicuro che in quel momento ho creduto di morire anch'io. Tra l'altro c'era uno smeraldo grosso così... (Tira fuori la de­stra e mette a forma d'uovo il pollice e l'indice) Poi il Principe ha richiuso l'astuccio nel for­ziere.

Barone                          - E tu?... Che cosa hai fatto, tu?

Tonina                           - Ho aspettato. E quando un paio d'ore dopo li ho visti addormentati ben bene, sono entrata come una volpe, mi sono avvici­nata al forziere, ho toccato la molla... Sèsamo, apriti! Proprio come nelle Mille e una Notte...

Barone                          - (con un grido represso) L'astuccio ?

Tonina                           - (trionfante) Eccolo qui! (Cava fuo­ri la sinistra).

Barone                          - (strappandole come un gatto l'astuc­cio di mano) Dammelo!

Luana                            - (come una gatta) Fa' vedere!

Tonina                           - Ma piano! Se entra il Principe...

Barone                          - Me ne infischio! L'importante è di mettere le gemme al sicuro. (A Tonina) Hai richiuso il forziere?

Tonina                           - Che domande! Se non l'avessi ri­chiuso, già si sarebbero accorti della sparizione. Prima di notte io credo che Nalò non riaprirà il forziere.

Luana                            - Nalò?

Tonina                           - Il Principe. Si chiama così.

Barone                          - Prendo un tassì a cinquanta metri dall'albergo e scendo in prossimità della bottega di Abramo. (A Luana) Tu rimani. Quando tor­na Nalò, lo stordisci con una scenetta di ge­losia. (A Tonino) E tu...

Tonina                           - Io, alle sei e mezzo, quando la ser­vitù è a cena, metto il mantello e me la svigno col pretesto di una lettera da portare.

Barone                          - Brava. Ti aspetterò da Abramo, fingendo di guardare la vetrina. Tu entri nella bottega, passi nel retrobottega, dove è pronto il vestito... Ti trasformi...

Tonina                           - (ridendo) La chiave maschio e fem­mina!

Barone                          - Sss! Zitta! (Presso la soglia, alle­gro) Ragazze!... Se tutto va bene, saremo ricchi!

Tonina                           - E se va male?

Barone                          - Qualche annetto di carcere. Ma la roba non la troveranno. E quando usciremo, sa­remo noi i nababbi!... Io scappo. (Sparisce).

Luana                            - Farabutto!

Tonina                           - Augusto ?

Luana                            - L'Indiano. Darmi a intendere che quella ragazza, la figlia di Singh, è una vergi­nella...

Tonina                           - Ma che figlia di Singh e che vergi­nella! È una bajadera, una sacerdotessa, o qual­cosa di simile. Ma perché ti arrabbi? Non ti basta l'astuccio con le gemme?

Luana                            - No, non mi basta. Prima accettavo l'amore dell'Indiano per un secondo fine. Ma adesso che lo scopo è raggiunto...

Tonina                           - ...diventi gelosa?

Luana                            - Ma che gelosa!

(Singh rientra da sinistra con due grandi maz­zi di fiori. Lo segue Gavaradam portando altre scatole).

Tonina                           - (a Gavaradam, sorpreso di vederla di nuovo vestita da groom) Svelto, svelto, Ga­varadam!... (/ due uomini escono a destra).

Luana                            - (mordendosi le labbra) Tutto, natu­ralmente, per... la figlia di Singh?

Tonina                           - Tutto.

Luana                            - E si può almeno vedere?

Tonina                           - Chi?

Luana                            - Questa favorita?

Tonina                           - Se ti trattieni, può darsi che venga. Ma io scappo perché se mi cerca il Principe... (Via dal fondo, porta a destra, da cui era en­trata. Luana si muove dispettosa. Poi si avvi­cina risoluta alla portiera dell'appartamento, forse per ascoltare o spiare. Ma la portiera è aperta di colpo da Gavaradam, che si scosta per lasciare entrare il Maragià, ora in abito da pas­seggio e col turbante su cui è solo un grosso diamante).

Maragià                         - Scusatemi, cara amica, se vi ho fatto aspettare.

Luana                            - Ma no. Il piccolo mi ha tenuto pia­cevole compagnia.

Maragià                         - Ah, sì?

Luana                            - E poiché la verità è sempre su la bocca degli innocenti, indovinate che cosa mi ha detto il piccolo?

Maragià                         - Che cosa?

Luana                            - Mi ha detto, col massimo candore, che voi siete in ottimi rapporti con... la figlia del vostro segretario.

Maragià                         - Silenzio. Ecco il padre. (Infatti Singh, solo, rientra da destra ed esce a sinistra).

Luana                            - Un padre... di pochi scrupoli.

Maragià                         - Perché?

Luana                            - Negate di aver passato la notte...?

Maragià                         - (bonario) Quel Tonino! Gli tirerò le orecchie. Ebbene: si tratta non della figlia di Singh, ma di una fanciulla che mi è capitata in camera...

Luana                            - (ironica) ... stanotte. Mentre si bal­lava.

Maragià                         - La fanciulla che stanotte, mentre si ballava, mi è capitata... nel letto... è...

Luana                            - È?...

Maragià                         - Foglia di Loto.

Luana                            - La danzatrice?

Maragià                         - Danzatrice, devedasa, bajadera: chiamatela come volete.

Luana                            - Non è vero.

Maragià                         - (con un colpo di gong) Singh!

Singh                             - (da sinistra).

Maragià                         - Come si chiama la signora ch'è di là?

Singh                             - Foglia di Loto, Altezza.

Luana                            - Un momento...

Maragià                         - Non credete ancora? (Altro colpo di gong) Gavaradam!

Gavaradam                   - (da destra).

Maragià                         - Come si chiama la signora ch'è di là?

Gavaradam                   - Foglia di Loto, Sahib!

Maragià                         - (a Luana) Come vedete: non c'è stato tra loro due accordo. (A Gavaradam) Che cosa fa in questo momento Foglia di Loto?

Gavaradam                   - Camera vestirsi.

Maragià                         - Pregala di venire da me. (Gava­radam rientra a destra. Singh esce a sinistra. Il Principe, a Luana) Vi arrenderete all'evi­denza.

Luana                            - (astiosa) Non chiedo di meglio.

Maragià                         - (andando alla portiera a destra) Foglia di Loto, sei pronta?... (A Luana) Ec­cola. (Col solito gesto di prestigiatore) Voilà!... (E Tonina entra. È tutta avvolta in un manto di Cachemir a pagliuzze d'oro, morbido e scin­tillante. Ha babbucce rosse e un velo che le avvolge la testa, lasciando scoperti gli occhi).

Maragià                         - Siete convinta? È inutile ch'io le parli la nostra lingua. Non capireste nulla.

Tonina                           - (siede con gran dignità all'angolo del divano).

Luana                            - Viene da Parigi?

Maragià                         - Sì. Ed è ancora stanca del viaggio.

Luana                            - È nuda, sotto?

Maragià                         - No. Perché?...

Luana                            - Non è quello il manto scintillante che, come mi raccontaste una volta, ella lascia cadere ai suoi piedi quando incomincia a dan­zare?

Maragià                         - Sì.

Luana                            - Pregatela di danzare.

Maragià                         - Ci mancherebbe altro!

Luana                            - Si può almeno vedere il viso?

Maragià                         - Una sacerdotessa di Visnù? Sa­rebbe il più grave affronto per lei e per me.

Luana                            - Da noi, veramente, quando si ha un bel volto, si usa mostrarlo.

Maragià                         - (che vede le dita di Tonina contrarsi) Tacete. Potrebbe capire e irritarsi.

Luana                            - Ah, ah. Una piccola belva della jungla. Morde?

Maragià                         - Graffia... (Sorridendo, accarezzan­do la testa di Tonina seduta) No, no: è anzi un caratterino dolce...

Luana                            - (indispettita) Ma non fate compli­menti! Tiratele giù il velo e baciatela quanto vi pare.

Maragià                         - Permettete?

Luana                            - Ma ve ne prego! Guardate: io mi volto dall'altra parte...

Maragià                         - (togliendo il velo) Voilà!

(Come aveva previsto, Luana si rigira rapida. E le due ragazze si fissano qualche attimo: Tonina sorridente, Luana con uno stupore che a mano a mano diviene spavento).

Luana                            - Tu!?...

Tonina                           - Io... pequena.

Luana                            - Ma... è un gioco?... uno scherzo?...

Tonina                           - Un gioco. Tu vai giù, io vado su. Lift!

Luana                            - (presa da paura, movendosi verso la comune) Ma... allora...

Tonina                           - Scappi? Inutile correre ad avver­tire Augusto. Niente guardie, niente manette, niente galera. Vero, Nalò?

Maragià                         - Ma certo. (Ridendo) È così gra­ziosa, è così buffa la storia di questo furto or­ganizzato alla Fantomas! E poi, e poi... (A Luana) Fatevi narrare da lei i particolari... Io ho qualche ordine da dare. (Uscendo a destra) Un groom nel mio letto?... Mai capitato!... Mai capitato!...

Luana                            - (fischiante) - Così... tu ci hai traditi!

Tonina                           - Colpa del barone di Karacas. Lui studia i piani, lui fa i progetti, lui inventa la chiave maschio e femmina... Gira e gira, la ser­ratura s'è rotta.

Luana                            - Sì, eh?... Cosicché, stanotte, men­tre io ero nel corridoio...

Tonina                           - Io ero qui, seduta sul divano. Do­mandalo a Budda.

Luana                            - Stracciona! E pensare che io, pro­prio io, t'ho levata dai cenci e t'ho messa qua dentro.

Tonina                           - Tu mi hai messa al pianterreno e Augusto al piano nobile. Ma qui dentro sono entrata coi miei mezzi.

Luana                            - Quali mezzi?

Tonina                           - Domandalo a Nalò. Amo Nalò!

Luana                            - Dovrai fare i conti con Augusto.

Tonina                           - Li farò!

Luana                            - (ripensandoci) Eppure non capisco questo tuo gioco stupido. Infine tu hai rubato l'astuccio, l'hai dato a noi...

Tonina                           - Quello è un altro paio di maniche. Da una parte il dovere verso voi, dall'altra l'a­more verso lui. E così, quando lui si accorgerà che le gemme sono scomparse, voi sarete lon­tani... e io...

Luana                            - Tu?

Tonina                           - (patetica) Sconterò con qualche an­netto di carcere la mia notte d'amore orientale.

Luana                            - Imbecille! Metteranno dentro pri­ma te, poi noi.

Tonina                           - Anche questo può darsi. Ma che fai ancora qui? Che aspetti? Fila.

Luana                            - E Augusto?

Tonina                           - Quello ha già filato.

Luana                            - (udendo picchiare e la voce del ba­rone) No! Eccolo! Te la vedrai con lui!

Tonina                           - Allora filo io... (Via a destra).

Barone                          - (entrando cauto) Nessuno?... (Sot­tovoce) Ho portato l'astuccio da Abramo.

Luana                            - Augusto! L'Indiano sa tutto!

Barone                          - Caramba! Ha aperto il forziere?

Luana                            - No... Sa che Tonina è donna!

Barone                          - Un'imprudenza della chica?

Luana                            - Tonina ha passata la notte col Prin­cipe...

Barone                          - In camera? Lo so.

Luana                            - Nel letto!

Barone                          - Sei pazza? Se poco fa è comparsa di là vestita da groom.

Luana                            - Ed ora è scomparsa di qua, vestita da Foglia di Loto.

Barone                          - Sedotto il Principe? Chica del dia­volo: ha sedotto Nalò?... Ecco che cosa capita a servirsi delle donne. (In fretta verso la co­mune).

Luana                            - Dove vai?

Barone                          - Corro da Abramo... Le gemme non le ritroveranno... ti giuro che non le...

Maragià                         - (entrando) Oh, barone!...

Barone                          - Altezza...

Maragià                         - Un aperitivo?

Barone                          - L'ho preso proprio ora.

Maragià                         - Ve ne andate? Dove siete diretto?

Barone                          - Ma... a cambiarmi per la table d'hóte.

Maragià                         - (guarda l'orologio al polso) Man­cano ancora venti minuti. Se pranzassimo in­sieme ?

Barone                          - Giù?

Maragià                         - Qui. Da me.

Barone                          - Impossibile: ho già ordinato il puchero...

Maragià                         - Lo faremo servir su...

Barone                          - Ma... così vestito...

Maragià                         - Senza cerimonie. Saremo in fa­miglia.

Barone                          - In famiglia?

Maragià                         - Voi, la baronessa, io... e Foglia di Loto.

Barone                          - Foglia di Loto? (Sforzandosi di ri­dere) Ah, già... sì... Mia moglie mi ha detto... e anch'io ho pensato: ce Ma questi Indiani!... Dove le vanno a pescare?... ».

Maragià                         - Dove meno si crede di trovarle. (Andando a destra) Foglia di Loto... vuoi ve­nire un momentino ? (Riappare Tonina col man­to di Foglia di Loto, senza il velo).

Barone                          - Ah, ah! Graziosissima! Che ne pensi, pequefia?

Luana                            - (velenosa) Una trovata da carneva­le. Non vedi? Le manca la maschera.

Tonina                           - Tu l'hai. Ma verde.

Luana                            - (furiosa) Non la senti, don Pedro?

Barone                          - (su le spine) Andiamo...

Luana                            - (ostinata, arrabbiata) No! Voglio restare!

Barone                          - Accidenti alle donne!... (La pren­de pel braccio).

Luana                            - (liberando il braccio) E voglio dire una parola, anzi due parole... a Nalò!

Tonina                           - Gli vuoi forse dire che ho rubato io l'astuccio? (A don Pedro, che ha fatto un balzo verso la comune) Fermo, barone di Karacas! (A Luana) Ma sì: l'ho rubato io, proprio io, mezz'ora fa.

Luana                            - Mezz'ora fa?

Tonina                           - E d'accordo con lui. (Accenna il Principe).

Barone                          - (tornando) D'accordo con lui? (Sbalordito) Allora... un tranello?... Sicuro: farmi portar via le gioie... farmi seguire... per poi riacchiappare l'astuccio quasi subito...

Luana                            - (investendo Tonina) Ma ci dovrai venire anche tu in galera!... Con noi! Con noi!... Perché ti accuseremo senza pietà!

Maragià                         - Calma...

Luana                            - E vedrai se sul tavolaccio giocherai con le perle e le gemme come hai giocato stanotte sul letto del Principe!

Tonina                           - Ti cavo gli occhi!

Maragià                         - (afferrandola) Calma... Ma calma... Andiamo... Vieni...

Barone                          - (tragico) Favorita del Re!

Tonina                           - (esasperata, sparendo dietro la portiera col Principe) Ma vai al diavolo anche tu, chico del mio corazón!...

Luana                            - (atterrita) Augusto! ...

Barone                          - Ferma...

Luana                            - Ho paura!...

Barone                          - Ferma, ti dico! Un'ultima speran­za... Può darsi che non abbiano ancora arrestato Abramo. (Corre al telefono, siede) L'avverto di fare sparire subito le gemme... ce Pron­to?... Con chi parlo?... Sei tu?... Sono io... Zè, zè, zè... Brucia!.., Sì, fuoco!... Il tre vola col cinquantuno... Asso piglia tutto... Imbecil­le?... Chi?... Re di Coppe?... Io?... Come!... Perché ?... Imitazione ?... Di che ?... » (Furibon­do) Ladro!... Falsario!... (Posa il ricevitore, si alza barcollante) Andrò in galera per un pugno di pietre false!

Maragià                         - (su la soglia, sorridendo) Ma per­fettamente imitate!

Barone                          - False, false, false! (Cade a sedere) Ma che razza di Maragià è lei? Si poteva am­mettere lo scherzetto delle perle... Eccone quin­dici: se le riprenda... (Posa il mucchietto sul tavolino) Ma falso anche il topazio del Gange e il brillante di Maometto e lo smeraldo del Ben­gala e lo zaffiro di Budda!... E non mi dia a intendere ch'è buono il diamante che ha sul turbante. Ah, no! Si vede di qui. È un culo di bicchiere!

Maragià                         - (al barone che si asciuga la fronte) Mio caro don Pedro, il vostro dolore mi affligge. Un bicchierino di cognac?

Barone                          - (balzando in piedi) No, no. Gracias a Dios, so ancora perdere con eleganza. Pequefia...

Raul                              - (su la soglia della comune) Alt! (Entrando) Scusatemi, Altezza, se m'introduco per la seconda volta nel vostro appartamento. La prima volta, perché spinto da un'ardente ammirazione per la baronessa. (Inchino a Lua­na) Ora, per chiedere un piccolo favore al ba­rone. Passavo appunto nel corridoio quando, udendo la voce di don Pedro, mi son detto: « Se gli chiedessi un fiammifero? ».

Barone                          - Proprio qui viene a chiedermelo?

Raul                              - È giusto. Avrei dovuto chiedervelo poco fa a Campo di Fiori.

Barone                          - (ha un sussulto).

Maragià                         - (a Raul) Pardon... il signore è...?

Raul                              - Visconte Raul D'Origan, autore di romanzi un poco interessanti, come mi lusingo sia quello che ora sto scrivendo. C'è infatti una coppia che corre dietro a un alto personaggio per pelarlo, e c'è un detective, diremo, Nove­cento, dernier cri, che ingaggia con i suoi av­versari un duello spesso piacevole - vero, baro­nessa?...        - (inchino a Luana) o ad armi cor­tesi - vero, barone?...          - (inchino al barone); ma che rifugge a ogni costo dallo scandalo, an­che per evitare che la più lieve ombra di ridi­colo turbi il prestigio e l'allegra spensieratezza dell'alto personaggio.

Maragià                         - Tutto questo è scritto nel suo ro­manzo?

Raul                              - Che mi auguro sia a lieto fine. (Al barone che si muove verso la comune) Dove va?

Barone                          - Se è a lieto fine...

Raul                              - Sì, purché la coppia prenda oggi stesso il direttissimo dell'Alta Italia, valichi le Alpi e vada a continuare il suo gioco... a un altro banco...

Barone                          - (dopo una pausa) Pequena, voglia­mo andare? (Si muove dietro Luana, ma torna, cava dal taschino ed offre a Raul un oggetto).

Raul                              - Che cos'è?

Barone                          - Non desiderava un fiammifero? Ec­cole il mio accendisigaro d'oro.

Raul                              - Grazie. Lo terrò per ricordo. A meno che non salti fuori il legittimo proprietario... (Via il barone e Luana).

Maragià                         - (passeggia rapido, si ferma davanti a Raul, lo fissa) Di quale polizia?

Raul                              - Ma dello Stato di Reypore, Altezza!

Maragià                         - Reypore? Non ricordo di avervi mai veduto nel corpo degli agenti. Inglese?

Raul                              - Napoletano. Pasquale Aniello, di Na­poli.

 Maragià                        - Aniello... Aniello... C'era niello nelle cucine.

Raul                              - Un intraprendente giovanotto, che scoprì sotto il trono di Vostra Altezza un certo ordigno destinato a far volare Vostra Altezza nel regno di Brama, Visnù e Siva.

Maragià                         - Ricordo, ricordo. Che mattac­chioni, quei miei sudditi! (Va a destra, chiama) Foglia di Loto?...

Tonina                           - (entra correndo. È in abito da pas­seggio, senza cappello).

Maragià                         - Ti presento il miglior poliziotto... (Tonina si volta per fuggire) Ferma! Il più abi­le poliziotto del mio dominio.

Tonina                           - (sbalordita) Poliziotto?!

Maragià                         - Pasquale Aniello, di Napoli.

Tonina                           - Di Napoli?!

Maragià                         - Lo conosci?

Tonina                           - (con grazia, porgendo la mano) Mi pare... e non mi pare.

Maragià                         - (a Raul) E così, da quanto tempo siete alle mie calcagna?

Raul                              - Dalla partenza da Reypore. Seguen­do giorno per giorno Vostra Altezza e inviando giorno per giorno un dettagliato rapporto a Reypore. E come dianzi ho invitato il barone e la baronessa a sgombrare il campo, così ora dovrei invitare il piccolo groom...

Tonina                           - (con un grido sommesso, stringendosi al Maragià) No!... No!...

Raul                              - (sorridendo) Ho detto il groom, non la graziosissima donnina che il Principe vuol condurre con sé a Reypore.

Maragià                         - Certo, certo... (Sovrapensiero) Io mi domando però che cosa diranno all'albergo vedendomi uscire a braccetto del boy.

Raul                              - Vostra Altezza non si preoccupi. Nell'albergo si sussurra che una donna è fin da stanotte col Maragià. Io ho sparso discretamente la voce che si tratta di Foglia di Loto, insinua­tasi tra gli invitati e poi nell'appartamento del Principe.

Tonina                           - (a parte) Nalò! Dagli una promo­zione!...

Raul                              - Così, fra dieci minuti, quando tutti saranno a table d'hóte, la nuova devadasa, con un fitto velo sul viso, salirà con Vostra Altezza nell'automobile pronta davanti all'albergo. Io mi tratterrò per le eventuali complicazioni.

Tonina                           - Corro a mettere il velo! (Via).

Maragià                         - (in fretta) Sì! È meglio partire su­bito. (Colpo di gong. A Singh, entrato da sini­stra) Scendi al garage: che l'automobile sia fra dieci minuti alla porta. (// telefono trilla).

 Singh                            - (che ha preso il microfono) Il di­rettore domanda se Vostra Altezza può riceverlo subito.

Maragià                         - Venga. (A Raul) Restate. (Altro colpo di gong) Gavaradam! (A Gavaradam, en­trato da destra) Prepara subito un paio di valige... Due nécessaires, due pigiama... Sì, consi­gliati con Foglia di Loto... Un momento... Tu parti con me. Va'! Presto!

La voce del Direttore    - È permesso? (Singh fa passare il direttore, poi esce a sinistra).

Direttore                       - (sorpreso, agitato) Vostra Al­tezza parte?

Maragià                         - Fra pochi minuti. Il mio segre­tario resterà per incassare, imballare e spedire tutto.

Direttore                       - Vostra Altezza porta con se an­che il piccolo? Da stanotte la sua camera è vuota.

Raul                              - Da stanotte il piccolo ha « filato » per mio consiglio. Permettete che mi presenti. (Mette una tessera sotto gli occhi del direttore).

Direttore                       - Lei?... Visconte?... La poli­zia?... La polizia nel mio albergo?... Uno scan­dalo nell'hotel che dirigo da un mese appena?... Un groom che sparisce... una danzatrice che torna... il barone che paga il conto... Sua Al­tezza che se ne va... Non ci vedo chiaro, ecco, non ci vedo chiaro!

Maragià                         - (sorridendo) Come quel povero indù della favola. Era miope, quasi cieco... Tro­vò un anello... (si toglie l'anello), se lo mise al dito... (lo infila al dito del direttore) Oh, pro­digio!... diventò presbite!...

Direttore                       - (con un inchino fino a terra) Altezza!... Come è profonda la letteratura in­diana!... (Ed esce emozionatissimo, dopo aver fatto su la comune un altro profondo inchino).

Maragià                         - (verso destra) Foglia di Loto!

Tonina                           - (entrando di corsa in pelliccia, cap­pellino e velo raccolto su la fronte) Pronta!

Maragià                         - E Gavaradam! Che cosa fa Gava­radam?... (Via a destra).

Raul                              - (sommessamente a Tonina, che sta per rientrare dietro il Principe) Ehi!... Psss!... Tonino! ...

Tonina                           - (si volta impaurita).

Raul                              - (tendendo la mano) E le mance della settimana?

Tonina                           - (andando a lui, ridente e commossa) Grazie... Pasqualino!

Raul                              - Ma che grazie! Tu mi sei riuscita simpatica, anzi simpatico, fin dal primo mo­mento che t'ho visto. E sai perché? Perché anch'io sono stato un monello povero in canna, fino al giorno che m'imbarcai per l'India. Niente quattrini, niente amici... Ma esportavo una gran dose di volontà e di speranze.

Tonina                           - Ed io che cosa esporterò?...

Raul                              - Ma la tua gioia, la tua allegria, il tuo amore!...

Maragià                         - (in fretta, cappello floscio, ricca pel­liccia) Ebbene? Siamo pronti?... (A Singh, l che rientra da sinistra) L'automobile?

Singh                             - È alla porta, Altezza.

(Gavaradam con una gran pelliccia d'orso indosso e due valige attraversa la scena, esce a sinistra. - Suono di campana).

Maragià                         - La table-d'hóte. Tutti scendono. Ancora un minuto e scenderemo anche noi.

Tonina                           - Mi trema il cuore...

Maragià                         - E perché?

Tonina                           - Le Mille e una Notte! Una favola delle Mille e una Notte!...

Maragià                         - Non sarà una favola... Singh, apri! (Singh tira di colpo il cortinaggio. Il corridoio è pieno di camerieri e cameriere, che attendono ossequiosi, in duplice fila).

Raul                              - (spaventato, sottovoce a Tonina) Il velo!... Il velo!...

Tonina                           - (abbassa il velo).

Il Portiere                      - (di fuori, in vista, curvandosi alla balaustrata e chiamando con voce stentorea) I Ehi, piccolo!... Lift!... (Tonina per l'emozione ì ha un sussulto, la borsetta le cade di mano. Raul si affretta a raccoglierla).

Maragià                         - (che non si è accorto di nulla, of­frendo il braccio) Vogliamo andare?

(Singh e Raul, di qua e di là della portiera, s'inchinano. E Tonina esce al braccio del Maragià, tra la profonda riverenza del personale dell'albergo, che fa ala).

FINE