Sogno di una notte d’inverno

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SOGNO DI UNA NOTTE D’INVERNO

Commedia in tre atti e cinque quadri

di TUDOR MUSATESCU

Versione italiana di Paolo Soldati

PERSONAGGI

ALESSANDRO MANEA

BEBÉ CHRISTIAN

GÒGU PANAIT

MILÌCA DUMITRÉSCU

MANÒLE

ELVIRA

NATALIA

FÀNTZA

MARIA

Ai nostri giorni, a Bucarest.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

QUADRO PRIMO

Studio di Mànea. Grande, largo, luminoso. Lusso. So­brietà voluta. Solo i mobili necessari: una scrivania, un divano con un solo cuscino, due poltrone. Pochissimi quadri. Alcuni bronzi su piedistallo. Pochi libri. Due soli vasi da fiori, uno sulla scrivania, con rose gialle, l'altro sul tavolino accanto al divano, con garofani scuri. Tappeti vistosi, dello stile del mobilio, che può essere Novecento, o antico, a volontà. Una lampada da pavi­mento accanto al divano; un'altra da tavolo, sulla scri­vania. Illuminazione a luce diffusa. Radio. Termosifone, ma anche un caminetto in cui palpita il fuoco. Un tavo­lino per macchina da scrivere. Finestre grandi, senza tendaggi, con le sole tendine. Nessun gingillo superfluo, nessuna stonatura; ordine e lucentezza impeccabili. En­trata dal fondo. Porte: in primo piano, a destra, per la camera da letto; in secondo piano, sempre a destra, per la sala da pranzo: tra l'una e l'altra, il caminetto. A sinistra, in secondo piano, una sola porta verso il salotto.

(Al levarsi del sipario, la stanza è al buio. Splende solo il fuoco nel camino, i cui riverberi guizzano volubili e pittoreschi sui mobili. Più debolmente riluce il quadrante della radio, che è in funzione. Sono appunto i « pochi minuti d'intervallo »: si ode solo, il segnale della Radio Bucarest: poi la voce dell'annunciatore che dice: « Il prof. Mateiescu Hrisòv ha parlato delle usanze e dei fe­steggiamenti tradizionali per l'anno nuovo. Trasmettiamo ora alcuni canti popolari di Capodanno, cantati dal coro degli scolaretti della scuola Clemenza». Ancora un istante di silenzio: poi si ode il coro dei bambini, che cantano alla radio con le loro vocine un « colind »: « Florille sunt dalbe (I fiori son candidi) Oh! Lenii, Lerui, Doamne... » ecc. ecc.

Il fuoco palpita nel camino. Dopo la prima strofa, entra dalla sala da pranzo Manale).

Manòle                        - (accende la luce. Il primo interruttore è alla porta della sala da pranzo. Senza fare attenzione al coro, attraversa impettito la scena portando, appesa alla gruccia, la marsina del suo padrone. Quando arriva alla porta della camera da letto, bussa ed entra senza attender ri­sposta, badando a spegnere la luce. Alla porta della ca­mera da letto c'è un altro interruttore, e tutti e due servono la lampada da soffitto. Il coro continua a cantare. Poco dopo Manòle ritorna dalla camera da letto: ac­cende la luce, passa e va in sala da pranzo spegnendo la luce prima di uscire. Rientra un momento dopo, ac­cende, va al camino e mette un legno al fuoco. Spegne e va in sala da pranzo; suona il telefono. Manòle rientra, accende la luce e stacca il ricevitore) Pronto! ... Sì! ... Un momento, prego... (Va a chiudere la radio) Pronto!... Sì!... Un momento, prego. ((Posa il ricevitore sulla scri­vania e va a bussare alla porta della camera da letto) Signore... La signora!

Alessandro                  - (entra. Ha i calzoni della marsina, camicia inamidata e cravatta bianca; calza le pantofole e ha la reticella in testa. Afferra il ricevitore) Bene... Sì... Son quasi pronto... Bene!... Suono e aspetto giù in auto. Ne hai ancora per dieci minuti? Benone! Vuol dire che vengo fra mezz'ora. (Guarda l’orologìo) Son le undici e un quarto... Garantito che hai ancora da farti la faccia... Ah! Ti ci sei messa fin dalle cinque? Beh, beh, allora magari a tempo ci arriviamo. Come? Chi? Chi?!! Chri­stian?        - (Gli passa d'un colpo tutto il buon umore e Paria scanzonata. Si fa nero) Ma no, figurati... Non è niente, non fa niente. Non ci vado io, ecco tutto. No, no, no, no, Elvira!... Lascia perdere le spiegazioni... Te l'ho detto chiaro: se stasera da Madelaine ci viene lui, non ci vado io... Ma si capisce, diavolo... mica potevi pretenderlo! A casa sua invita al veglione chi gli pare... No, no, inutile... Ci vai tu sola... Ma va, come se fosse la prima volta... Telefona a chi ti pare che ti venga a prendere. Magari a Christian, perché no? Sarà contentone, e tu Io stesso, e anch'io... Non hai bisogno di stril­lare, sento benissimo.

Manòle                        - (entra dalla sala da pranzo. Traversa la scena, vede che la camera da letto è rimasta con la porta aperta e la luce accesa. Va a spegnere, toma e riesce per dove era venuto, lasciando che il suo padrone continui a par­lare).

Alessandro                  - (continua a parlare durante la scena muta di Manale) Bene, d'accordo. Se proprio ci tieni, vuol dire che son geloso. Lasciamo stare i perché, tanto non è il momento di litigare. Non posso litigare al telefono... Ma sì, tuuu... tu puoi litigare come ti pare e piace, anche per radio... E allora va bene, litighiamo!... Lascia stare, Elvira, è inutile, io non ci vado, e basta!... Ma questo Io dico anch'io! Ma tu vacci!... Divertiti... Io non esco. Non vado in nessun posto... Eche ne so io? Riceverò i ragazzini che vengono a cantare... leggerò... andrò a nanna... Non trovi che « somaro » è un po' troppo ener­gico?... Ah, ecco! Così sì! «Cretino » può andare. Aaa, aaa, aaa, a! Bada che se vuoi prendere la raucedine, chiudo il telefono, sai?... Conservati la voce per questa sera... Sì, ìsì, sì, sì sì sì sì... Sì, «ara, sì... sì! Siii!... Sì, ma certo! Sì!... sì sì isì sì sì sì sì... Puoi fare tutto quello che vuoi... liberissima... Puoi ballare, puoi civettare... sì! sì! Sì!... con chi vuoi... sì... sì... Ah, no, scusa!.., Questo tono non te Io permetto, no! No, no!... No, cara mia... Neanche per sogno, no!... No, no e poi no!... Addio. (Sbatte il ricevitore e se ne va in camera da letto. Du­rante l'ultima frase è comparso Manale. Quando arriva vicino al telefono, questo suona. Manale stacca il rice­vitore).

Manòle                        - (col ricevitore all'orecchio) Pronto!... (Ales­sandro ricompare sull'uscio) Mi ha dato dell'idiota e ha troncato... Dev'esserci un equivoco.

Alessandro                  - (sorridendo) Può darsi... Senti, Manòle!

Manòle                        - Comandate.

Alessandro                  - Non esco più stasera.

Manòle                        - (sorpreso) Prego?...

Alessandro                  - Ho detto che stasera non esco più.

Manòle                        - (una pausa) E restate a casa?

Alessandro                  - (nervosetto) Eh già, se non esco... non ti pare?

Manòle                        - (reticente) Hm...

Alessandro                  - Che c'è?

Manòle                        - Niente, signore... Pensavo che sono da otto anni al vostre- servizio, ed è la prima volta che passiamo Capodanno noi due insieme...

Alessandro                  - Da otto anni? Credo che sia la prima in vita mia che la passo da solo... Portami la giacca da casa.

Manòle                        - Se non uscite più, potreste cambiarvi anele i pantaloni, signore. Si sciupa la [piega inutilmente.

Alessandro                  - Non ho voglia di cambiarmi! (Si carezza le guance) Peccato che mi son fatto la barba: domani avrei avuto la faccia più fresca. E' un piacere stare senza radersi, almeno per un giorno all'anno. C'è qualcosa da mangiare?

Manòle '                      - Certo. Prosciutto, tacchino arrosto freddo, formaggio...

Alessandro                  - Basta, basta...

Manòle                        - Volete cangiare ora, o a mezzanotte?

Alessandro                  - Ora. Sbrigati.

Manòle                        - Sissignore. (Fa per andarsene).

Alessandro                  - Senti! Non preparare in sala da pranzo... Prepara qui, sul tavolino davanti al caminetto...

Manòle                        - Da bere, cosa volete? Vino, birra?

Alessandro                  - Un tè bollente.

Manòle                        - Benissimo, signore.

Alessandro                  - E se suona ancora il telefono... (Si avvia verso la camera da letto).

Manòle                        - Benissimo, ci penso io.

Alessandro                  - Dì che sono uscito, e che non ho lasciato detto nulla. Attacca la radio (Manòle va verso l'apparecchio) Se è una conferenza, chiudi.

Manòle                        - Stasera sono solo canzoni... Cantano i bam­bini. (Mette la radio in funzione. Infatti, c'è una can­zone).

Alessandro                  - (dopo una pausa, con voce assente) Manòle! Nevica ancora?

Manòle                        - Non so, signore. Vado a vedere.

Alessandro                  - (andando in camera da letto) Bene. Vieni poi a dirmelo. (Via).

Manòle                        - (spegne la luce ed esce. Il coro dei bambini continua).

Alessandro                  - (entra un momento dopo dalla camera da letto la cui porta è rimasta aperta. Si è messo un pigiama pesante da casa. Si siede ad ascoltare, su una poltrona accanto al camino. Accende una sigaretta, pigramente. Lunga pausa. Si sente il suono smorzato di un campa­nello, nell'anticamera).

Manòle                        - (entra dal fondo) Signore, il gioielliere ha mandato una persona che vi vuole consegnare qualcosa personalmente.

Alessandro                  - Ah, sì, la collana. Fa passare.

Manòle                        - Sissignore. (Esce. Poco dopo torna intro­ducendo Maria, dal fondo) Accomodatevi. Per di qua. (Accende la luce e se ne va in sala da pranzo).

Maria                          - (si ferma sull'uscio) Buona sera! (E' tutta intirizzita. Veste modestamente, ma con grazia. Paltò di panno con bavero di pelliccia a buon mercato. Guanti, sciarpa e berretto di lana).

Alessandro                  - (si alza) Buonasera, signorina. Prego! (Fa cenno che si faccia avanti). Maria       - Non posso, ho le soprascarpe.

Alessandro                  - Non fa nulla. (Ma non insiste. Maria non si muove).

Maria                          - Non pensavo che mi avreste fatta entrare... qui. (Si guarda le soprascarpe. Con altro tono, professio­nale) Mi manda il gioielliere.

Alessandro                  - (dandole un'occhiata di sfuggita) Allora, mi pare che ci conosciamo.

Maria                          - Oh, chi non vi conosce? Me, forse, mi avete vista così... in negozio... Ho portato la collana. (Sì toglie i guanti, si guarda con attenzione e si toglie di sotto il paltò un astuccio che porge ad Alessandro) L'ho nascosta bene per non perderla... trentamila «lei » sono qualcosa! (Mentre Alessandro disincarta l’astuccio) Il signor Rosenthal vi prega di scusarlo se ve la manda così tardi, ma solo ora abbiamo chiuso il negozio e non ho potuto venir via prima.

Alessandro                  - (da persona educata) Ma perché vi siete disturbata voi? (Chiude la radio).

Maria                          - Perché degli altri non si fidava. E poi, tanto, io sto in questo quartiere.

Alessandro                  - (tanto per dir qualcosa) Sì? E dove?

Maria                          - (imbarazzata) Così... da quella parte... (Fa un gesto vago).

Alessandro                  - (distratto) Abbastanza centrale.

Maria                          - (con un sorrisetto) Centralissimo. Dieci minuti a piedi oltre il capolinea.

Alessandro ;                - E non vi dà fastidio camminar sola?

Maria                          - Si capisce... Di sera, qualche volta, quando faccio tardi in negozio, mi dà molto fastidio. Ma ho il mio sistema.

Alessandro                  - Ah, sì? (Non bada a quel che lei dice).

Maria                          - Sì. A una fermata prima della mia, faccio l'occhiolino a qualche signore un po' maturo. E allora lui mi vien dietro fino a casa... mi tiene compagnia senza saperlo. Gli uomini anziani sono i più semplici.

Alessandro                  - (guardando la collana) (Bellissima!

Maria                          - Non è sempre bello, a dir la verità. Certe volte con si contentano solo di venirmi dietro... si credono in dovere di farmi tanti... (scandalizzatissima) ...compli­menti. Ce ne sono di quelli, che vorrebbero perfino prendermi a braccetto. (Si accorge che Alessandro non le bada, e allora anche lei si mette a guardare la collana) Splendida! (Guarda con ammirazione).

Alessandro                  - (contempla la collana, reggendola sulla punta delle dita) Davvero!

Maria                          - (guarda anche lei) Però, trentamila « lei », anche quelli...

Alessandro                  - (si rivolge a lei tanto perché è lì, ma in realtà parla a se stesso) Voi credete, signorina, che i soldi siano meno fini delle pietre preziose?

Maria                          - (spontanea) Ma sì. Perché i soldi stanno bene agli uomini e le pietre preziose alle donne.

Alessandro                  - (la guarda sorpreso, incuriosito).

Maria                          - Lo dite proprio voi nel vostro ultimo ro­manzo (cita): « Una donna con la borsetta piena di ban­conote è sgraziata, e un uomo coi brillanti alle dita è ripugnante ».

Alessandro                  - (piacevolmente sorpreso, guarda Maria con interesse).

Maria                          - (fissa lo sguardo in quello di lui, quasi per sfi­darlo, infantilmente felice di aver « citato » davanti al Maestro qualcosa della sua opera).

Alessandro                  - Avete letto il mio ultimo romanzo?

Maria,                         - L'ultimo? Tutti li ho letti. (Una pausa) Voi siete il mio autore preferito.

Alessandro                  - (divertito) Davvero?

Maria                          - Questo non vuol dire che siete uno scrittore per le commesse di negozio. Benché molte di noi leggano molto più dei loro clienti.

Alessandro                  - Lo so, signorina. (Con un altro sorriso) E' il desiderio di noi scrittori, quello di essere letti. Da chi, è una questione secondaria, o forse troppo complicata.

Maria                          - (che si era preparata la frase da molto tempo) Ho anche un vostro autografo.

Alessandro                  - Un mio autografo? Mio?

Maria                          - Sì! Della « Giornata del Libro », quando avete firmato il vostro ultimo romanzo.

Alessandro                  - Ah! E cosa ho scritto?

Maria                          - (un'altra citazione) «Un ricordo banale per due occhi straordinariamente belli ».

Alessandro                  - (con un sorriso) Avete proprio gli occhi belli?

Maria                          - Insomma, lo avete scritto voi, tanto per scri­vere qualcosa. (Si accorge che ha detto una sbadataggine) Comunque, mi ha fatto "piacere lo stesso. Chissà a quante donne avrete scritto quel giorno la stessa cosa, senza nean­che guardare se erano orbe. Infatti mi avete chiesto il libro che avevo comprato e avete scritto in fretta mentre chiacchieravate con uno che vi era vicino... Ta, ta, ta.„ pronto! Si capiva benissimo che era [una lezione impa­rata. (Urta pausa) Scommetto anche ora, che parlate con me da un quarto d'ora non sapete che occhi ho.

Alessandro                  - Ma sì! Azzurri. Come nell'autografo...

Maria                          - (non osa crederlo) Cioè? [Belli?

Alessandro i                - Sì. Cioè, straordinariamente belli.

Maria                          - (perde tutta la disinvoltura. Non trova più parole. Per darsi un contegno, fa un passo verso il caminetto. Poi ancora uno, e protende le mani verso il fuoco) Come fa caldo qui da voi!

Alessandro                  - (che ha seguito le sue mosse, e capisce be­nissimo il suo impaccio) Se fa tanto caldo, perché vi avvicinate al fuoco?

Maria                          - (naturale) Perché ho freddo.

Alessandro                  - Liberatevi un momento del mantello...

Maria                          - Oh! No, grazie. Devo andarmene. (Stenta a riprendere la sua naturalezza e la padronanza di se. Pausa) Allora... se la collana è in regola... mi firmate la bolletta di consegna. (La cerca nella borsetta e gliela dà) Qui... dove c'è scritto « firma del ricevente » (indica col dito).

Alessandro                  - Sì? (Prende la bolletta, va alla scrivania, accende la lampada da tavolo e si mette gli occhiali. Si siede per firmare. Maria gli scruta ogni gesto, non riesce a nascondere la gioia di stare, anche per pochi momenti, nella sua intimità) Ditemi, signorina dai begli occhi, dove festeggiate il Capodannoi stasera?

Maria                          - (candidamente) A letto.

Alessandro                  - (firmando) Possibile? Una ragazza gio­vane e carina come voi dovrebbe divertirsi. Nel vostro ambiente dovete essere deliziosa.

Maria                          - (risentita) Grazie del complimento.

Alessandro                  - (non si accorge di averla offesa. Si alza dalla scrivania e va con la bolletta verso di lei) Signo­rina dai begli occhi...

Maria                          - Mi chiamo Maria. Papà voleva chiamarmi Miosotide, ma al battesimo il padrino non lo sapeva pronunziare, e allora ci ha rinunziato. Ma a casa mi danno un altro nome.

Alessandro                  - Quale?

Maria                          - Non importa. In negozio mi chiamano Mary.

Alessandro                  - Volete dirmi come vi chiamano a casa?

Maria                          - (ancora risentita) Sì. Ma quello è un nome confidenziale, e da voi sono venuta per ragioni di servizio.

Alessandro                  - (con un'occhiata alla bolletta che ha ancora in mano) Bene, ma ora gli affari sono regolati.

Maria                          - E allora me ne devo andare.

Alessandro                  - (trattenendola) Signorina Mary...

Maria                          - Non chiamatemi così; non sono in negozio.

Alessandro                  - Ma come devo chiamarvi?

Maria                          - « Signorina Panait » o « Signorina ».

Alessandro                  - Ebbene, signorina Panait...

Maria                          - Prego?

Alessandro                  - Vorrei ringraziarvi per la pena che vi siete data, portandomi personalmente la collana, ma vi confesso che non trovo il modo.

Maria                          - (allibisce all'idea che Alessandro voglia darle una mancia) Tutt'altro, sono io che devo ringraziare, poiché grazie alla collana ho avuto l'occasione di venir qui... di parlare con voi... Inoltre, ci ho guadagnato cin­quecento « lei ».

Alessandro                  - Come?

Maria                          - (impacciata) Perché ho vinto la scommessa.

Alessandro                  - La scommessa?

Maria                          - Sì, ho fatto una scommessa con le ragazze, con le altre commesse, di cinquecento « lei » sul prossimo salario, che vi avrei conosciuto personalmente prima della fine dell'anno... e oggi è il trentun dicembre.

Alessandro                  - (incuriosito) E quando avete fatto questa scommessa?

Maria                          - Quando siete stato in negozio per la collana...

Alessandro                  - Insomma, se me l'avete portata voi, non è solo per caso?

Maria                          - Tutt'altro. Ho pregato io il signor Rosenthal di mandare me. E siccome di me si fidava, mi ha mandata.

Alessandro                  - (sorridendo) Specialmente perché state in questo quartiere...

Maria                          - Sì.

Alessandro                  - Dunque, scommessa!... E se non mi tro­vavate in casa?

Maria                          - Perdevo cinquecento «lei».

Alessandro                  - Vi sarebbe dispiaciuto?

Maria                          - Per i soldi, no.

Alessandro                  - E allora, perché?

Maria                          - Così... (Cerca uno scampo) In generale.

Alessandro                  - (la guarda a lungo, con interesse. Stavolta, sotto il suo sguardo, Maria abbassa gli occhi) Sono molto contento che mi abbiate trovato a casa.

Maria                          - Perché ho guadagnato cinquecento « lei » ?

Alessandro                  - No.

Maria                          - Allora, perché?

Alessandro                  - Così... In generale. (Pausa. Sorride. Sor­ride anche lei).

Maria                          - (non sa più che fare. Ripone la borsetta con cura, si infila i guanti, si abbottona il paltò, si stringe la sciarpa) Bisogna che me ne vada...

 

Alessandro                  - Avete fretta?

Maria                          - No, ma non vi voglio trattenere... vedo che vi preparate ad andar fuori... al veglione... (Accenna oli» cravatta bianca di lui).

Alessandro                  - Io? Neanche per sogno!

Maria                          - Credevo, perché avete la cravatta da marsina.

Alessandro                  - Già, è vero. Avevo intenzione di uscire. Ma ho rinunciato per una sciocchezzuola.

Maria                          - Che sciocchezzuola importante! (Si prepara a partire).

Alessandro                  - Credete?

Maria                          - Se restate a casa, ho idea che lo fate per vendicarvi.

Alessandro                  - Vendicarmi? Di chi?

Maria                          - Della sciocchezzuola.

Alessandro                  - No, signorina! Ma io, come anche voi, voglio fare il veglione a letto. O, per meglio dire, là davanti al camino.

Maria                          - Molto poetico... la notte di Capodanno... fuoco nel caminetto... (fuori nevica...

Alessandro                  - Nevica?

Maria                          - E come!

Alessandro                  - (con entusiasmo infantile) Che bellezza!

Maria                          - Vi piace molto quanto nevica?

Alessandro                  - Enormemente. E specialmente in una notte come questa. La neve la rende poetica.

Maria                          - Forse vi ispirerete e scriverete.

Alessandro                  - Se sapessi scrivere versi, forse.

Maria                          - Non avete mai scritto versi?

Alessandro                  - Ma ditemi un po', signorina. Avete l'aria di un giornalista camuffato da commessa con la complicità del signor Rosenthal.

Maria                          - Ma prima avete detto che mi conoscete.., o è una storia come quella degli occhi straordinariamente belli dell'autografo?

Alessandro                  - Non so niente, signorina, né dell'auto­grafo, né di quel che ho detto prima. Ma quello che so con certezza, è che la vostra visita, in questa notte, così tardi, è molto... molto... pittoresca.

Maria                          - Forse è anche uno spunto di romanzo.

Alessandro                  - Forse! In tutti i casi, è un momento speciale di una vita monotona!

Manòle                        - (entra spingendo un vassoio a rotelle con l'oc­corrente per la cena. Guarda sorpreso, quando vede che c'è ancora la ragazza. Comincia a preparare per la cena il tavolino accanto al caminetto).

Alessandro                  - (interrotto e seccato dall'ingresso di Manòle, tace un momento. Poi guarda il tavolino, e ha un'idea) Signorina Mary, vorrei chiedervi un favore...

Maria                          - Io? Con piacere! Solo che... (Manòle ha ter­minato nel frattempo di preparare un coperto. Esce col vassoio a rotelle).

Alessandro                  - Mi avete detto che stasera siete sola?

Maria                          - Sì.

Alessandro                  - Bene, fatemi il favore di dividere la mia cena.

Maria                          - (risentita, ma raggiante) Signor Mànea...

Alessandro                  - Ecco, là, davanti al caminetto... Comin­ciamo insieme l'anno nuovo e lo festeggiamo con una coppa di spumante.

Maria                          - Signor Mànea.. non so cosa pensare...

Alessandro                  - Questa sera tutti se la godono, solo voi e io siamo soli...

Maria                          - E credete che saremo un po' meno soli se stiamo insieme?

Alessandro                  - Proviamo.

Maria                          - Vi sono molto grata, ma, vedete...

Alessandro                  - Aspettiamo l'anno nuovo, poi vi accom­pagnerò fino al portone di casa vostra. (Sorridendo) Farò io, stasera, la parte dell'uomo maturo del tram. Su, leva­tevi i guanti, la sciarpa e il berrettino. Sedetevi là in poltrona. Come se fossimo vecchi amici... come se io fossi un amico più vecchio... un parente... un padre.

Maria                          - (guardando un, po' addomesticata) Padre?.,, Veramente l'aria paterna non l'avete.

Alessandro                  - Ma via, signorina Mary...

Maria                          - (guardandosi le soprascarpe) No, non si può. Impossibile. In ogni caso vi sono molto grata perché... Non avrei mai creduto in vita mia di avere... di essere... benché, sinceramente... avevo un presentimento che sta­notte doveva succedermi qualcosa di grande, qualcosa di incredibile... Che bellezza... Che caldo! (Si apre un po' il bavero).

Alessandro                  - (sorridendo) Allora andate a rinfre­scarvi davanti al camino... Insomma, dite di no?

Maria                          - Non posso...

Alessandro                  - Peccato!

Maria                          - Dispiace anche a me, credetemi... Ma è im­possibile...

Alessandro                  - Peccato!

Manòle                        - (entra col vassoio a rotelle e il necessario per un altro coperto).

Alessandro                  - Porta via, Manòle...

Manòle                        - (contrariato) Non cenate più a casa?

Alessandro                  - No.

Manòle                        - Preparo di nuovo la marsina?

Alessandro                  - No...

Manòle                        - Benissimo, signore. (Carica tutto sul vassoio a rotelle, e se ne va imbronciato).

Maria                          - (dopo che è uscito Manòle) Perché non ce­nate più?

Alessandro                  - Ero tanto contento di cenare con voi... e ora, da solo, mi farebbe malinconia... (Ha parlato mezzo serio, mezzo in burla) Ma non vorrei darvi l'impressione... che il mio invito non fosse...

Maria                          - Lo so, un capriccio di romanziere...

Alessandro                  - Può darsi. Il caso che vi ha portato qui... il fatto che per la prima volta in vita mia mi trovo solo in una notte come questa... la gioventù... la vostra grazia questo senso di pace, direi luminosa, che mi dà la vostra presenza, tutto questo... Vi prego, scusatemi se ho insi­stito... Ho pensato solo a me...

Maria                          - Oh!

Alessandro                  - Non mi son domandato se anche a voi fa lo stesso piacere passare la notte di Capodanno con me.

Maria                          - (gli fissa coraggiosamente gli occhi negli occhi. Tutto in lei, lo sguardo, il sorriso, la tensione di tutto l'essere, è una confessione).

Manòle                        - (entra dalla sala da pranzo).

Maria                          - (superando la timidezza, al cameriere) Psst! Per favore, riportate i due coperti.

Manòle                        - (la guarda in cagnesco).

Alessandro                  - (trattiene un sorriso per non offenderla: ha capito tutto. Al cameriere) Non senti che dice la signorina?

Manòle                        - (seccamente) Benissimo, signore. (Via).

Maria                          - (è rimasta diritta sotto lo sguardo riconoscente di Alessandro) Scusatemi se ho dato un ordine al vostro domestico, ma... voi dicevate una cosa... che non è vera...

Alessandro                  - Grazie, signorina...

Maria                          - (togliendosi il berretto) Gioietta! Così mi chiamano a casa. E' un nome che mi son data da me, quando ero a letto con la scarlattina e mi annoiavo. (Ogni suo gesto, ogni sua parola devono essere assoluta­mente infantili. Deve             - (mostrarsi sempre quella che è vera­mente, cioè una bambina per bene, che ogni tanto, nella lotta contro la sua timidezza, perde la bussola).

Alessandro                  - Gioietta. Bello. Permettete? (L'aiuta a levarsi il paltò).

Maria                          - Grazie. (Si guarda le soprascarpe) Ah! Di­menticavo! Alessandro           - (con il paltò di lei sul braccio) Cosa c'è?

Maria                          - Le soprascarpe!

Alessandro                  - Ma cosa hanno queste soprascarpe?

Maria                          - ;Non me le posso togliere perché sono strette e poi non posso più rimetterle.

Alessandro                  - Non fa nulla, le potete tenere. Facciamo finta che siano stivaletti alla russa...

Manòle                        - (entra col vassoio a rotelle, carico per due coperti. Comincia a preparare).

Maria                          - (a Manòle) Posso aiutarvi?

Manòle                        - (d'ora in poi lancerà continue occhiate alle soprascarpe di Maria) Grazie... Non ho bisogno, signo­rina! Posso togliervi le soprascarpe?

Maria                          - No, grazie... le tengo sempre anche a casa. (Suona il telefono).

Manòle                        - (dignitoso) Parlo io, signore?

Alessandro                  - (stacca il ricevitore) Pronto! (Il tono e lo sguardo dimostrano che ha pronta una rispostacela per Elvira) Pronto!... Sììì sì... casa Mànea. Io in persona. Buona sera, signor Rosenthal... La collana? Sì, sì... l'ho ricevuta (al nome di Rosenthal, Maria è rimasta di sasso). E' molto bella. Grazie, altrettanto... Buon anno... Chi? La signorina che l'ha portata?

Maria                          - Dite che sono andata via subito.

Alessandro                  - E' andata via subito... Prego. Buona sera. (Attacca il ricevitore. Maria è sulle spine) Ma non mi dicevate che Rosenthal si fida di voi? Vedo che ha voluto controllare se mi è arrivata la collana.

Maria                          - (col viso in fiamme) Ha detto così, per at­taccar discorso.

Alessandro                  - Ah! E' quel che voleva sapere, e se siete andata via di qui... Scusate!... Sono stato indiscreto.

Maria                          - (sempre più impacciata) Non fa niente... Ma non è quel che credete.

Alessandro                  - Ma io non credo niente... (Senza che se ne renda conto, è un po' contrariato).

Maria                          - (dopo un'esitazione) Ho rubato la collana...

Alessandro                  - (scottato) Eh?!

Maria                          - L'ho pregato di darmela da portare... mi ha detto idi no... si è indispettito a vedermi insistere

Alessandro                  - (con attenzione) Ebbene?

Maria                          - E allora l'ho rubata. Gli ho lasciato scritto che la prendevo per portarvela qui... e forse ha telefonato per vedere se era vero.

Alessandro                  - Se era vero che l'avete portata...

Maria                          - Anche per questo...

Alessandro                  - Come « anche » ?

Maria                          - (non sa se è il caso di dire tutto) Sapete, le ragazze in negozio mi prendono in giro per causa vostra.

Alessandro                  - Per me? Da quando?

Maria                          - Da allora, dalla « Giornata del Libro ». Gli ho detto che mi avete vista, dato un autografo e...

Alessandro                  - E allora?

Maria                          - E poi lo ha saputo anche il signor Rosenthal. Mi prende in giro anche lui... Più ancora delle ragazze... E stasera quando ha visto che insistevo per venire io con la collana da voi, è stato addirittura insolente.

Alessandro                  - (a bocca aperta) Ma cosa vi ha detto?

Maria                          - Eh, storie! Ho fatto l'insolente anch'io, e allora non mi ha voluto più mandare... Ha detto che lui fa il gioielliere, e non...

Alessandro                  - Ah!

Maria                          - Ecco perché ha voluto sapere se me ne sono andata subito.

Alessandro                  - (paternamente) Ma guarda, guarda... (Le carezza dolcemente i capelli) Quanti guai per la curiosità di conoscere uno scrittore e per l'ambizione di vincere una scommessa...

Maria                          - Non ho scommesso niente con nessuno...

Alessandro                  - Ma se me lo avete detto proprio voi...

Maria                          - Era una bugia...

Alessandro                  - E perché?

Maria                          - Così!

Manòle                        - (entra con i piatti di prosciutto, tacchino, ecc. che dispone sul tavolino) Signore, scrivete ancora?

Alessandro                  - No, perché?

Manòle                        - Per non sprecare la luce. (Spegne la lam­pada sulla scrivania. Esce).

Alessandro                  - (per riattaccare il discorso) Quella della luce, è la sua mania.

Maria                          - (alzandosi, guarda intorno).

Alessandro                  - Cosa guardate?

Maria                          - La vostra casa. (Continua la mimica).

Manòle                        - (torna portando le tazzine da tè).

Alessandro                  - No, lascia stare... Porta una bottiglia di spumante...

Manòle                        - Benissimo, signore. (Esce con le tazzine).

Maria                          - (portandosi presso la scrivania) Lavorate qui?

Alessandro                  - Di solito, sì.

Maria                          - (guarda la scrivania continuando in un suo in­ventario mentale) ...anche i fiori!

Alessandro                  - La mia sola superstizione, per così dire. Non so lavorare senza qualche rosa sul tavolo.

Maria                          - Anche a me piacciono i fiori. A casa, in ca­mera mia, ho due vasi di gerani e uno di garofani bian­chi. L'altro ieri me n'è sbocciato uno... (Accennando ad un ritratto di Elvira) Questa chi è?

Alessandro                  - Chi? (Si accosta per guardare, benché abbia visto benissimo).

Manòle                        - (entra con lo spumante in un secchiello pieno di neve).

Maria                          - Questa qui!

Alessandro                  - Ah... questa? E' una mia conoscente...

 

Manòle                        - (si volta con un gesto di sorpresa).

Alessandro                  - (punto dal gesto di Manòle) Un'amica,,

Maria                          - La vostra amica? Com'è bella!..

Alessandro                  - Sì! E' una fotografia riuscita. (Un momento di silenzio).

Maria                          - (continua la sua mimica).

Alessandro                  - (accende una sigaretta).

Manòle                        - (con gesti solenni, finisce di preparare la cerni

Maria                          - (si accosta ad Alessandro) Non avete una fo­tografia di quando eravate bambino?

Alessandro                  - No. Perché?

Manòle                        - (passa, prende il vaso di fiori rossi di «I tavolino accanto alla scrivania, lo mette sul tavolino a cena, dà un'occhiata riassuntiva di controllo, e se ne no),

Maria                          - Io indovino il carattere dell'uomo dall'aria che I ha nelle fotografie da bimbo...

Alessandro                  - E vi interessa il « carattere » mio?

Maria                          - Ihi!

Alessandro                  - (dopo una pausa) Che bella cosa che siete restata con me, signorina Panait...

Maria                          - (ferma davanti a un quadro) Potete chiamarmi Gioietta...

Alessandro                  - Brava!

Manòle                        - (entra. Si è messo la giacca bianca e i guanti) Signore, la cena è servita.

Alessandro                  - (guarda l'orologio) E' vero... mezzanotte meno cinque... Prego!

Maria                          - Grazie!

Alessandro                  - Dove state? (Accenna alle sedie).

Maria                          - (distratta) Via Plèvna duecentocinquantuno... (Osserva il gesto di lui) Ah, credevo che... (Ride) In qua­lunque posto... e voi?

Alessandro                  - Accanto a voi.

Maria                          - (si siede) Così!

Alessandro                  - (le si siede accanto) Così! (Pausa).

Manòle                        - Accendo la radio, signore?

Alessandro                  - (a Maria) Volete?

Maria                          - Sì, certo.

Alessandro                  - Come... Via Plèvna? Qui siamo in corso Ferdinando. Dicevate che state in questo quartiere!

Maria                          - Era una bugia.

Manòle                        - (va ad accendere la radio. Si sente il segnale di pausa, come al principio del quadro).

Voce dell'Annunciato

Re                               - Quando batterà il gong sa­ranno le ore ventiquattro. (Riprende il segnale di p

Maria                          - (sorride e aspetta) II mio orologio segna mez­zanotte meno uno.

Alessandro                  - (c. s.) Il mio, meno due. (Confrontano).

Manòle                        - (guarda fisso la radio).

Voce dell'Annunciato

Re                               - Attenzione: ore venti­quattro           (Colpo di gong. Nello stesso momento si spen­gono tutte le luci, anche quella del quadrante della radio. Buio e silenzio assoluto).

Manòle                        - Meno male che la luce qualche volta si spe­gne da sé. (Via. Dalla finestra si vede nevicare nel buio: è una nevicata fitta, pittoresca, pigra. Alessandro e Maria tacciono: si vede solo la sigaretta di lui, come una lucciola ferma a mezz'aria. Guardano la neve che cade).

Maria                          - (a bassa voce) Come nevica bene!...

Alessandro                  - (c. s.) Come in un racconto di Natale... (Di colpo, ritorna la luce. Alla radio un'orchestra attacca con molto brio la canzone romena Multi ani traiasca IViva molti anni!]).

Manòle                        - (entrando) Signore... Son venuto a dirvi che fuori nevica... (Cala lentamente il sipario mentre finisce la musica alla radio).

QUADRO SECONDO

(La stessa scena, due ore dopo. E' acceso solo il lumi da pavimento accanto al divano. Maria e Alessandro sono sempre a tavola. Si sente che la discussione, o forse lo spumante, 'ha fatto nascere fra loro una certa intimità non ancora tanto stretta).

Maria                          - (ha bevuto e non è abituata. Vuol darsi un con­tegno. Aspira a gran forza da una sigaretta che non arde e che lei non sa tenere in mano, benché voglia darsi l'aria di gran fumatrice) E dalli, che si spegne...

Alessandro                  - (tira fuori l’accenditore) Accendine un'altra.

Maria                          - Ma perché un'altra?

Alessandro                  - Perché una sigaretta, quando l'accendi tante volte, non è più buona.

Maria                          - Ma l'ho accesa due volte in tutto...

Alessandro                  - (porgendo l'accenditore acceso) E con questa... quattro.

Maria                          - Grazie. (Aspira).

Alessandro                  - Ancora un bicchiere?

Maria                          - (spaccona) Altroché... Io bevo come un ca­mmello. Non mollo neanche se... (Disinvolta) Quante bot­tiglie abbiamo bevuto? Tre? Quattro?

Alessandro                  - Una sola...

Maria                          - Una? Impossibile!

Alessandro                  - Sul serio... una!

Maria                          - (fanjarana) Allora l'ho bevuta tutta io... Lo so io quanto bevo...

Alessandro                  - Ecco, ora cominciamo la seconda...

Maria                          - Ce ne sono ancora? Non si sa mai, forse ci serviranno...

Alessandro                  - Ce ne sono. (Versa) Questa dev'essere più buona: è più fredda. Sta in ghiaccio da un'ora.

Maria                          - A me non piace freddo, piace dolce. (Ad Alessandro che le ha riempito il bicchiere) Grazie.

Alessandro                  - (brinda) Salute!

Maria                          - Non si dice « salute »! Questa sera si dice « buon anno »!

Alessandro                  - E' vero! (Brinda di nuovo) Buon anno!

Maria                          - (con bambinesca solennità) Buon anno e buona fortuna! (Leva il calice) Abbondanza e prosperità! (Beve fino in fondo) Brrr! Ma è freddo sul serio! (Ha dimenticato le sue parole di poco prima) Francamente, di tutte le bevande, che ci sono al mondo, la migliore è il caffelatte. Vedete, se alzo un po' troppo il gomito, vedo tutto nero.

Alessandro                  - Ma no! Che vuoi dire?

Maria                          - Mi addormento subito... (Le scappa un pic­colo sbadiglio).

Alessandro                  - Allora non ti dò più da bere...

Maria                          - Ma sì! Voglio bere. Perché stasera mi sento bene... mi sento così bene... Sono contenta... Non so perché, ma sono proprio tanto contenta. (Pausa. Si abban­dona sulla spalliera della poltrona e chiude gli occhi un momento) Tanto contenta! (Altra pausa) A voi non fa malinconia la notte di Capodanno?

Alessandro                  - Tutt'altro. Stanotte dobbiamo figurarci che, con l'anno nuovo che arriva, qualcosa di nuovo entri nella nostra vita... Qualcosa <di nuovo e di migliore...

Maria                          - A me ha fatto sempre malinconia, fino ad ora... Mi pentivo piccola, sola... imi veniva la voglia di uscire, di andare a cantare ad ogni finestra illuminata... Sentivo la nostalgia di quand'ero piccola... del sacco che mi faceva la mamma con la federa vecchia... Degli stiva­letti accanto alla stufa, dove Babbo Natale metteva un po' di tutto... dolci, bambole, vestitini. In sogno, natu­ralmente. (Rimane pensierosa) E tutta la notte mi pareva di sentir passare nel cielo tante slitte coi campanelli. (Altra pausa) Stasera è la prima volta che non mi sento triste... (Come parlando a se stessa) Ho cominciato quest'anno nuovo così bene, «osi a sorpresa... (Pausa) Parola d'onore, se penso che sono qui...

Alessandro                  - Perché?

Maria                          - Mi pare un sogno!... In casa vostra, con voi, a chiacchierare... (Sorride) Neppure nei miei sogni più intimi avrei mai pensato di poter vivere questo istante..

Alessandro                  - (con un sorriso) Insomma, pensavi a me anche altre volte?

Maria                          - (sincera) Oh! sapeste, quante volte! (Le si spegne la sigaretta. Alessandro gliela riaccende) Grazie. Sapete quando vi ho visto per la prima volta in carne ed ossa?

Alessandro                  - Alla «Giornata del Libro! ».

Maria                          - No. Al festival degli scrittori, all'Ateneo... Avete tenuto una conferenza sul romanzo romeno...

Alessandro                  - E cosa te n'è parso?

Maria                          - Stavate meglio che in fotografia.

Alessandro                  - Ma no, no... Parlo della conferenza.

Maria                          - Stavo attenta alla vostra voce e non ho badato a quel che dicevate.

Alessandro                  - Ah!

Maria                          - (lo spumante le sale alla testa) Eh, storie!

Alessandro                  - Prego! (Attratto sempre più verso di lei, ad onta di un'intima resistenza) E dimmi un po'... Mi conoscevi in fotografia? (Un sentimento che si è im­padronito di entrambi ha dettato questa domanda).

Maria                          - , Ne ho un mucchio a casa. Tagliate dalle rivi­ste, dai giornali...

Alessandro                  - Che onore...

Maria                          - Ah! Dovete esserci abituato. Chissà quante altre ammiratrici fanno lo stesso!

Alessandro                  - Questo capita ai divi del cinema. Uno scrittore  non fa tanto colpo sul pubblico.

Maria                          - Non fate il modesto, che tanto... Quante let­tere vi arrivano al giorno?

Alessandro                  - A me?, Così, una ogni tanto...

Maria                          - Perché le altre le buttate nel cestino?

Alessandro                  - Le leggo tutte.

Maria                          - Proprio tutte?

Alessandro                  - E le conservo tutte.

Maria                          - Davvero? (Ha un balzo al cuore. Per darsi un contegno, aspira dalla sigaretta) Eccola spenta ancora!

Alessandro                  - (gliel'accende).

Maria                          - Grazie. (Cerca qualcosa,con gli occhi).

Alessandro                  - (osservandola) Vuoi qualcosa?

Maria                          - (imbarazzata) Sì... sì... (Ha trovato) Ancora un po' di spumante... (Sbadiglia silenziosamente).

Alessandro                  - Ti verrà sonno...

Maria                          - Non fa niente. Vuol dire che farò qualche bel sogno. ,

Alessandro                  - (mesce).

Maria                          - (brinda) Che le ore peggiori siano come que­sta! (Beve) E ora basta! (Ha un brivido) Che spumante! Mi sembra di bere gelo e spuma... (Una pausa. Distende le gambe, si sgranchisce) Dio, come mi gira la testa... (Bruscamente, dopo un lungo sbadiglio) Perché non avete mai risposto alle mie lettere?

Alessandro                  - Come?

Maria                          - Almeno una riga..

Alessandro                  - Mi hai scritto tu?

Maria                          - Trentaquattro lettere...

Alessandro                  - Ah! (Ha capito di che si tratta).

Maria                          - Certe bustone grandi... con scrittura fine.

Alessandro                  - (con dolce sorprèsa) Tu sei... Gioietta? Non mi sarei mai figurato che una ragazzina così gio­vane... così... così...

Maria                          - Avanti... coraggio!

Alessandro                  - ...così carina come te... scrivesse delle lettere così belle...

Maria                          - Le, ho scritte tutte d'un fiato.

Alessandro                  - Di solito, solo le donne brutte scrivono bene.

Maria                          - Ah, ecco perché non m'avete risposto! Mi credevate brutta?

Alessandro                  - Non rispondo mai a lettere come quel­le... Ma se avessi immaginato, se avessi saputo che erano tue, avrei risposto.

Maria                          - Sì?! (Si illumina tutta).

Alessandro                  - (fermo e franco) Sì.

Maria                          - (l'emozione in lei diventa curiosità) E... cosa mi avreste scritto?

Alessandro                  - (un po' impacciato) E che so io?... Che mi fa piacere che tu legga i miei libri, che sono contento che tu pensi tanto a me. Che hai talento. O  forse che non credo una parola di tutto quel che mi dici.

Maria                          - Allora è meglio che non mi abbiate risposto. (Guarda l'orologio da polso) Dio mio! Quasi le due! (Con un sorriso insonnolito) Come vola il tempo con voi... Pensare che sono qui dall'anno scorso... (Tenta di aspirare dalla sigaretta spenta).

Alessandro                  - (porgendo il fuoco) Vuoi accendere?

Maria                          - Grazie. (Accende) Ma che sigarette cattive!

Alessandro                  - Non è colpa, loro se si .spengono. Sei tu che non sai fumare. (Faresti meglio a non tentare oltre.

Maria                          - Stasera voglio farne di tutti i colori!... voglio parlare, voglio bere. Mi viene voglia perfino di cantare, ma non ho voce... (Canticchia qualcosa).

Alessandro                  - Ma anzi, hai una voce graziosa...

Maria                          - Beh, così, un filo... tanto da ascoltarmi io sola. Ancora un po' di spumante!

Alessandro                  - (empie due bicchieri).

Maria                          - Grazie. (Beve) Sono molto felice!

Alessandro                  - Davvero?

Maria                          - (senza staccare le labbra dal bicchiere, fa un mugolio di approvazione).

Alessandro                  - Posso chiederti perché?

 

Maria                          - Voi non siete felice quando vi si avvera il desiderio?

Alessandro                  - E che desiderio è stato il tuo?

Maria                          - Non ve lo dico! Sareste capace di metterai in un romanzo!

Alessandro                  - Mi incuriosisci, Gioietta...

Maria                          - Come mi avete chiamata?

Alessandro                  - Gioietta! (Sorride) Ti dispiace?

Maria                          - (piena di gioia) No!

Alessandro                  - Ma, insomma, non me lo vuoi dire?

Maria                          - Ma sì. (Recita in fretta, in espressivamente) Ecco, il mio sogno, da un anno che... (Si interrompe) No; non posso dirlo!

Alessandro                  - Da un anno che?...

Maria                          - Da quando... ho letto il vostro primo libro. ho sognato di vedervi in persona, di parlarvi, almeno una volta, ed eccomi... sono qui... vi ho conosciuto... ti stiamo parlando... cioè parlo sempre io...

Alessandro                  - Preferisco ascoltarti.

Maria                          - E' lo spumante che mi fa parlare.

Alessandro                  - Ma se ti vantavi di essere una bevitrice! Perché dici sempre bugie?

Maria                          - Voi confondete la bugia con qualcos'altro.

Alessandro                  - Che cosa?

Maria                          - (dandosi delle arie) Eh! Storie!

Alessandro                  - Vediamole per filo e per segno queste « storie »... Mi hai detto che ti aveva mandato il signor Rosenthal con la collana, e non era vero. Mi hai detto che hai scommesso cinquecento « lei » con le tue amiche, ed era una semplice invenzione... Ti sei vantata di essere fumatrice appassionata, ed io son sicuro che questa era li prima sigaretta della tua vita. In due ore, da che stiamo insieme davanti al fuoco, (non so se hai detto una soli verità... Hai voluto convincermi che sei ima ragazza eman­cipata, magari qualcosa di peggio, che per te la vita e «li uomini sono un libro aperto... che per te, per esempio, bere dello spumante di notte con un uomo che conosci da un'ora è faccenda di tutti i giorni.

Maria                          - (abbandonandosi un po' allo spumante e un po' alla gioia, lo guarda ad occhi spalancati) E non lo dimostro?

Alessandro                  - (senza l’ombra dell'asprezza) Perché dici tante bugie?

Maria                          - Per dir meglio la verità...

Alessandro                  - E così nessuno ti crede più neanche la verità... vedi, comincio a pensare che anche la storia dell'autografo sia una bugia...

Maria                          - (ascoltando non s'è accorta che la sigaretta h si è consumata fra le dita) Ahi! mi sono scottata... (Gli mostra il dito) Guardate che bruciatura.

Alessandro                  - (le osserva il dito).

Maria                          - Non mi dò mai lo smalto alle unghie... non è serio! (Ritira la mano, impacciata).

Alessandro                  - Ti dò qualcosa da ungerti...

Maria                          - No. Lasciate che mi passi... lo intingo un po' nello spumante, e basta. (Dà un'occhiata ali'orologio) Ah! ma devo andare... non credevo che fosse così tardi... po­vera mamma, cosa penserà? Mi preoccupo più di lei, perché il babbo non si cura tanto di me.

Alessandro                  - Cosa fa tuo padre?

Maria                          - Il filosofo...

Alessandro                  - ???

Maria                          - Faceva l'impiegato, e da quando è a pensione fa il filosofo... (Una pausa) Un po' filosofo è stato sempre... ma ora ha più tempo da perdere e ne approfitta.

Alessandro                  - Chi ti vuol più bene?

Maria                          - La mamma a me, e il babbo a mia sorella.

Alessandro                  - E tu, a chi vuoi più bene?

Maria                          - Al mondo, o nella mia famiglia?

Alessandro                  - Al mondo.

Maria                          - Al mondo... è una cosa che riguarda me, e nella mia famiglia, a tutti lo stesso... e alla mamma un po' di più... un pochino... (Pausa) Dev'esserci anche Mi­lka da noi... se non è in giro a cercarmi...

Alessandro                  - Chi è Milìca?

Maria                          - (in fretta) Mio fratello. (Pausa) Nevicherà ancora fuori?

Alessandro                  - (si leva e va alla finestra) Vediamo. (Appoggia la fronte al vetro e guarda fuori, facendosi paraocchi delle mani) Sì, nevica, ma la luce non lascia vedere.

Maria                          - Spegniamo?

Alessandro                  - Se vuoi...

Maria                          - (tende la mano verso la lampada da pavimento che sta tra la poltrona e il divano).

Alessandro                  - (fa precede, e spegne. La stanza resta al buio. Si vede fuori la neve che cade).

Maria                          - Com'è bello! Mi pare una fiaba! (Abbandona il capo sulla spalliera).

Alessandro                  - (va a sedersi al sud posto).

Maria                          - Sì, una fiaba! (D'ora in poi, il sonno la pren­derà pian piano, dolcemente, e fa voce le si farà sempre più debole. Si odono i campanelli di una slitta che passa) Senti? Una slitta. Dev'esserci dentro Babbo Natale! (L'idea la fa sorridere infantilmente) Va a spasso sul viale? (Pausa) E domani tutta la città sarà bianca, e dappertutto si sentirà odor di mandarini. Domani!... Do­mani tutto mi parrà un sogno... Un sogno d'una notte d'inverno... (Ho un leggero tremito) Non credere che dorma... Sto qui un poco, poi me ne vado,.. (Altra pausa) Sto ancora un poco, così, per guardarmi bene intorno... (Guarda tutto quello che nomina) Questa stanza grande come al teatro... quella scrivania con le rose gialle, che altrimenti non puoi scrivere... questo  fuoco che si spegne nel camino... tu, che fumi e aspiri... (In fretta, si rimette il dito in bocca) Uh! Come mi fa male! (Se lo bacia) La neve di fuori... questa poltrona... (Rimane un po' pen­sierosa) E' molto bella la tua innamorata...

Alessandro                  - Chi?

Maria                          - Il ritratto sulla scrivania. Non mi dispiace che tu lo tenga là, ma mi dispiace che lo guardi mentre lavori... Devi amarla molto.

Alessandro                  - Come?

Maria                          - (dà retta solo a se stessa) Puoi dire tutto quel che vuoi, che io so tutto e non me ne importa niente... Sì, sì, proprio niente... Io dico buona notte a tutti e me ne vado... (Pausa) ...me ne vado... Quante cose avrò da scrivere stanotte nel mio diario... Io scrivo il mio diario, sai? (Pausa) E scrivo anche dei versi... qualche poesia... ho anche pubblicato. (Declama) « Vorrei, quando il sonno pian piano - Mi culla nella sua dolcezza, - Sentir sulla fronte una mane,, Una "mano che mi carezza... ». Questa è una mia poesia... dedicata a qualcuno... Dio sa a chi.. (Chiude gli occhi) Bello, no?

Alessandro                  - Molto bello.

Maria                          - « Sentir sulla fronte una mano, Una mano che mi carezza », questi sono i due versi più belli. Non credere che mi sia addormentata. Non temere... sto ancora un momentino e me ne vado. (Pausa lunga) Vado a casa... Via Plevna 251... stavo così bene qui... in poltrona potevo anche dormire... ma anche il mio letto, a casa mia, è buono. E ho un piumino morbido morbido... si chiama « lacrimetto » perché lo tengo apposta per piangere. Perché non mi veda Miau. Sai chi è Miau? E' il mio gatto... Cioè, veramente, è una gatta, ma tanto sempre gatto è... (Pausa) Sai che mi sembra di aver sonno... (E' quasi ad­dormentata) Sto così bene qui... (Sì rimpicciolisce nella poltrona e il sonno la vince).

Alessandro                  - (aspetta di vederla addormentata del tutto poi si siede sul bracciolo della sua poltrona. Le solleva dolcemente il capo e lo appoggia alla propria spalla. Poi la carezza lievemente sulla fronte. Ha una luce nuova ne­gli occhi e sorride. Si sente un canto lontano, dalla strada. Alessandro accende la lampada e suona).

Manòle                        - (entra).

Alessandro                  - Ssst! Zitto!... Dorme! (Bisbiglia, ma non troppo piano) Porta una coperta e il mio piumino,

Manòle                        - (esce).

Alessandro                  - (s'inginocchia sul tappeto e leva le sopra­scarpe a Maria).

Manòle                        - (porta gli oggetti comandati. Nell'entrare e uscire dalla camera da letto ha avuto cura di accendere e spegnere la luce).

Alessandro                  - (ha finito di togliere le soprascarpe « Maria. Le guarda sorridendo i piedi, calzati con pantofole),

Manòle                        - (acido) Ecco perché non voleva togliersi le soprascarpe.

Alessandro                  - Porta... cioè no, lascia. Il letto è fatto?

Manòle                        - Nossignore. Devo farlo per due persone?

Alessandro                  - (aspro) No! Aiutami a portare in ca­mera la signorina. (Sottolinea quest'ultima parola).

Manòle                        - (fa per aiutarlo).

Alessandro                  - No... lascia. (Prende in braccio, come una piuma, Maria) Dorme così bene...

Manòle                        - (seguendolo con il coltroncino e il piumino entra in camera lasciando la porta aperta. Si sentono le loro voci).

Voce di Alessandro    - Così. Mettile il coltroncino sulle gambe... spegni la luce grande.

Voce di

Manòle                        - Subito!

Voce m

Alessandro                  - E accendi la lampadina...

Voce di

Manòle                        - (triste) Sissignore. (Si è visto il gioco delle luci).

Alessandro                  - (rientra in scena, seguito da Manòle) Puoi andare a letto, Manòle.

Manòle                        - (fa per sparecchiare).

Alessandro                  - Lascia, lascia; sparecchierai domani. (Guarda la scrivania) Dov'è quel libro grosso, che ho preso oggi dalla biblioteca?

Manòle                        - L’ho rimesso a posto io, signore. Volete che lo porti?

Alessandro                  - No, vado io. (Esce verso la biblioteca).

Manòle                        - (aspetta che Alessandro sia lontano, si accosta al tavolino, si empie in fretta un calice di spumante, brinda) Alla mia salute! Buon anno! (Beve d'un fiato, poi esce tergendosi dignitosamente le labbra col dorso della mano).

Alessandro                  - (rientra dalla biblioteca con un libro grosso. Va alla camera da letto, spinge un po' Tuscia che non è ben chiuso, guarda con un sorriso Maria che dorme, poi va alla scrivania, si siede, apre il libro e si dispone a leggere. Ma gli occhi gli fuggono lontano).

Elvira                          - (entra. E" in abito da sera, con la pelliccia aperta e una sciarpa di velo in testa. Elegantissima, agi­tata, volubile; si vede che viene dal veglione).

Alessandro                  - (dopo un istante di sorpresa si domina. Si alza, le va incontro).

Elvira                          - Bon soir, Alex... (Gli porge la fronte per farsi baciare) Che dici di questa sorpresa?

Alessandro                  - Un incanto.

Elvira                          - Potresti anche augurarmi il buon anno...

Alessandro                  - Buon anno, Elvira!

Elvira                          - Non mi baci? Mi tieni il broncio?

Alessandro                  - Io? E perché?

Elvira                          - Non sei più geloso? (Sorride).

Alessandro                  - Non sono più geloso.

Elvira                          - Allora su, sbrigati a vestirti...

Alessandro                  - Dove andiamo?

Elvira                          - All'«Atlantis ». Ci aspetta là tutta la banda.

Alessandro                  - No, Elvira..., non vado...

Elvira                          - Come? (Dopo che mi scomodo io in persona a venirti a prendere?

Alessandro                  - Sei molto gentile, ma non posso venire...

Elvira                          - Perché?

Alessandro                  - (placido) Non sono solo...

Elvira                          - (interdetta) Come, non sei solo?

Alessandro                  - Ho un'ospite...

Elvira                          - (c. s.) Dov'è?

Alessandro                  - (indicando con un gesto del capo la porta della camera da letto) Dorme.

Elvira                          - Chi è? (Guarda a lui... osserva il tavolino, poi gli oggetti di Maria. Guarda, si convince che sono di una donna. Prende in mano il /berrettino di Maria, e lo mostra a lui) Alex! Che roba è questa?

Alessandro                  - (placidissimo) Non vedi? Un berrettino!

Elvira                          - (pallida, pia ancora padrona di se) Chi è questa donna?

Alessandro                  - Una ragazza!

Elvira                          - Una ragazza? E dov'è?

Alessandro                  - In camera da letto.

Elvira                          - (fa per precipitarsi in camera).

Alessandro                  - No! Ti prego!... La sveglieresti!

Elvira                          - Ebbene?

Alessandro                  - Ha appena preso sonno...

Elvira                          - (scoppia) Non so cosa mi tiene le mani. (Si accosta a lui) Cosa ci sta a fare qui quella donna?

Alessandro                  - E' venuta a portarmi , qualcosa dal i gioielliere...

Elvira                          - (ha un presentimento, si rabbonisce) Che cosa?

Alessandro                  - Una fattura...

Elvira i                        - Una fattura? Perché?

Alessandro                  - Per saldarla...

Elvira                          - Insomma, è una commessa di negozio?

 

Alessandro                  - Sì. E mi sono divertito a invitarla a passare la veglia con me. Ecco tutto!

Elvira                          - (guardando i resti del festino) Vedo vedo.., Vergognati!

Alessandro                  - Non ne vedo la ragione...

Elvira                          - Qui!? In casa nostra!?

Alessandro                  - (rettificando) In casa mia.

Elvira                          - (alzando la voce) Questa è anche casa mia, giacché sei il mio amante. E se una sera vengo all'improvviso, non è un motivo per farmi trovar qui la prima femmina da strada che ti è venuta a tiro.

Alessandro                  - Ti prego di rispettare i miei invitati.

Elvira                          - (nervosa) Se tu trovassi nel mio letto un garzone di bottega, lo rispetteresti?... Dovevi rispettate me, prima di tutto... Pensa che ho la chiave e che posto entrar qui in qualunque momento...

Alessandro                  - Ma sono contento che tu sia venata...

Elvira                          - (passeggia un po' poi si rivolge a lui) In-somma, hai voluto vendicarti per stasera! Bella roba!

Alessandro                  - E' stato un puro caso... ;

Elvira                          - Risparmiami i particolari, ti prego...

Alessandro                  - Non sono particolari. Stanotte è avve­nuto, per ime, qualcosa di serio.

Elvira                          - Me lo figuro. (Addita la camera da letta).

Alessandro                  - Ma tu giudichi solo secondo le appa­renze. Il resto, sento il dovere di fartelo notare io.

Elvira                          - Non dartene la pena. Vedo tutto chiarissimo. E del resto non ho nessuna voglia di trattenerti... non voglio guastare l'idillio... (Va al telefono) Permetti?

Alessandro                  - (porgendo il ricevitore) 'Prego...

Elvira                          - Allò! « Atlantis » ? Parlate con Madame Ma-riàn, Bonsoir, monsieur iPean, vi prego, dite al signor Bebé Christian, che do prego di venire tsubito con una macchina a prendermi, a casa del signor Mànea. Grazie. (Posa il ricevitore).

Alessandro                  - Avrei potuto ricondurti io...

Elvira                          - Merci. Ti prego di sopportarmi solo pochi minuti, finché viene Christian. (Accende una sigaretta) Ti avrei risparmiato anche questo, ma non posso entrar sola in un « tabarin ».

Alessandro                  - Se vuoi una coppa di spumante...

Elvira                          - Grazie. Non bevo gli avanzi;           (Pausa. Lo guarda) Come sei buffo, in questa situazione.

Alessandro                  - Che situazione?

Elvira                          - Così... tra me e la tua invitata... (Pausa).

Alessandro                  - Sono contento di ciò che è avvenuto. Questa situazione mi aiuta.4. a dirti delle cose che pensavo da molto tempo..

Elvira                          - Hm! (Una boccata di fumo) Interessante!

Alessandro                  - (calmo) Elvira, voglio che ci separiamo.

Elvira                          - (sorride) Questo me lo dici sempre, da quando ci conosciamo.

Alessandro                  - Perché l'ho sempre pensato...

Elvira                          - Ancora una crisi di gelosia?

Alessandro                  - No. Ho una crisi di personalità.

Elvira                          - Tiens... (Banale) E cosa ti senti quando ti prende?

Alessandro                  - Ci sono cose che tu non potrai mai capire...

Elvira                          - Certo non come le capite voi uomini! Mi accorgo da uri; pezzo che sei stufo di me.

 Alessandro                 - (come parlando solo) Già... forse è que­sta l'espressione esatta... Sono stufo, ima di tutti voi.

Elvira i                        - Chi « tutti noi » ?

Alessandro                  - Voi, quelli che mi circondano, voi, le « relazioni » di tutti i giorni... e specialmente, voi, le donne del mio mondo: tu e altre come te, tutte! Voi, le ondulazioni permanenti della vita!

Elvira                          - Non prendertela con le mie amiche, ti prego!

Alessandro                  - Animali da sartoria e da profumeria.

Elvira                          - Non possiamo restar nude tutto il giorno.

Alessandro                  - Cominciale la vostra giornata dal par­rucchiere.

Elvira                          - Colpa di chi ci spettina.

Alessandro                  - E la concludete al «tabarin ».

Elvira                          - Perché voi abbiate con chi ballare.

Alessandro                  - E intanto, cinema e amanti.

Elvira                          - Amanti se ne trovano ancora; ma pellicole buone non se ne vedono più.

Alessandro                  - E all'infuori di questo, niente, niente!

Elvira                          - (facendogli il verso) « Niente, niente »!

Alessandro                  - Vivete accanto a un uomo, e pensate solo a quelli che verranno dopo.

Elvira                          - Me l'aspettavo di vederti arrivare a Christian.

Alessandro                  - Ecco! Quella ragazza che dorme di là...

Elvira                          - (su un altro tono) No, ti prego! Paragoni, tra me e la tua... invitata da marciapiede, non ne tollero. Meglio che tu mi dica in faccia: i« Sai, cara, è venuta qui questa ragazza, ero solo, ero geloso, ero maschio, ho volato vendicarmi o divertirmi ». Per me è lo stesso. Ma se tu hai la sfacciataggine di... (Freme).

Alessandro                  - Forse sei solo indifferente.

Elvira                          - Nessuna donna è indifferente quando si vede tradita.

Alessandro                  - Se è una donna innamorata.

Elvira                          - Qualunque donna!

Alessandro                  - E poi, non è il caso. Non ti ho tradita.

Elvira                          - Sono venuta troppo presto?

Alessandro                  - Potevi venire in qualunque momento. (Suona il telefono) Permetti... (Stacca il ricevitore).

Elvira                          - Prego...

Alessandro                  - Pronto!... sì! Un momento. (Passa il ricevitore a Elvira) E' per te.

Elvira                          - Allò!... Siii... Non c'è? Sì... bene... allora appena torna fate il piacere di dirgli che lo aspetto. (Poso il ricevitore; poi lo riprende in fretta, per dire qualcosa ancora) Allò! Allò! ( Vede che la comunicazione è tagliata) In fondo, potevo dire che mi venisse a pren­dere un altro qualunque della banda.

Alessandro                  - Se puoi rinunziare al piacere di andare con Christian all'«Àtlantis », sono a tua disposizione.

Elvira                          - Beh e. allora andiamo. (Vede l'astuccio della collana, che è rimasto sulla scrivania) Cos'è? (Lo prende in mano).

Alessandro                  - Oh, niente! Una collana...

Elvira                          - Ah, già! La collana che mi avevi promesso per il mio compleanno... me la dai ora per Capodanno? Ma com'è bella! ... (Se la mette al collo) Vuoi fermarmela!

Alessandro                  - (passa alle sue spalle, e le ferma la collana).

Elvira                          - Sono vere? (Palpa le perle) Grazie. (Col suo tono abituale) Vedrai come crepa Madeleine quando me le vede al collo. Sei pronto?

 

Alessandro                  - Un momento, prendo la pelliccia...

Elvira                          - Metti la pelliccia sul pigiama?

Alessandro                  - Ti accompagno solo alla porta.

Elvira                          - Spero che mi accompagnerai fino alla tavola... Fino alla porta posso andarci anche sola...

Alessandro                  - Hai ragione... (Va in camera da letto).

ELvntA                      - (va alla sedia dove son posati gli oggetti dì Maria, e li osserva con disgusto e gelosia insieme).

Alessandro                  - (entra dalla camera da letto, vestito in marsina, ed esce dal fondo).

Elvira                          - (non può resistere alla curiosità. Va alla porta della camera da letto, l’apre e guarda).

Alessandro                  - (rientra dal fondo con la pelliccia addosso) Sono pronto! (Osserva Elvira).

Elvira                          - (avviandosi a uscire) Puah, che femmina!...

Alessandro                  - E' adorabile! (Cede il passo).

Elvira                          - (tirandosi su lo strascico) Bada a non pe­starmi lo strascico! (Esce).

Alessandro                  - (la segue. Una pausa. Scena vuota).

Manòle                        - (entra, dopo aver certamente origliato. Si af­faccia alla camera da letto per assicurarsi che Maria dorme) Fa la nanna! (Spegne le lampade, meno quella della scrivania. Va al tavolino, si offre una sigaretta, l'ac­cende e si accomoda in poltrona. Si riempie un calice di spumante. Lo leva brindando) Alla mia salute! (Beve. Si sente il campanello dell'entrata. Spegne la sigaretta, si terge dignitosamente ]le labbra ed esce).

Voce di

Manòle                        - (dal vestibolo) Sì, signor Christian, il signore è uscito or ora con la signora Elvira... (Manòle entra, preceduto da Christian).

Christian                     - (è belloccio. Ha il cilindro sulle ventitré, la sciarpa per traverso e una sigaretta che tenta di accen­dere con un accenditore che non funziona).

Manòle                        - Neppure cinque minuti fa sono usciti... (Gli dà il fuoco).

Christian                     - Insomma, hanno fatto la pace?...

Manòle                        - Non so quale sarà il risultato finale delle perle che gli ha dato ora... Ma come avrà fatto la signora Elvira a sapere che c'è «quella tale»? (Ammicca verso la camera da letto) Quella con cui lei ha sorpreso il signore.

Christian                     - Eh?! Elvira ha sorpreso Alex? (Scoppia a ridere).

Manòle                        - Non lo sapevate? Ma è per quello che vi ha telefonato di venirla a prendere... Per fare un dispetto al signore... perché sa che è geloso di voi. Cioè... sapete come vanno queste cose. Insomma, quella tale è rima­sta qui.

Christian                     - Ma no!!! (Guarda verso la camera da letto).

Manòle                        - Il signore le ha dato dello spumante, e lei non c'è abituata...

Chbistian :                  - Ma ehi è... costei? Io la conosco?

Manòle                        - No... non è di quelle che conoscete voi. Questa è di genere scadente... è commessa da un gioiel­liere... da Rosenthal... E si vede che ieri quando il si­gnore è andato a ordinare le perle, le ha detto di por­targliele lei in persona. Non so se mi spiego...

Christian                     - Almeno è carina?

Manòle                        - Come fisico è molto carina... e giovanis­sima... si vede che ha cominciato da poco a vivere... Non è capate neppure di fumare, e come toletta è molto scalcinata... non ha neppure un paio di scarpe; va in giro in ciabatte...

Christian                     - E che fa ora?

Manòle                        - Dorme sodo... volete vederla?

Christian                     - No... lascia... non voglio disturbarla...

Manòle                        - Ma che disturbare, che non sente niente!...

Christian                     - (con intenzione) C'è ancora dello spu­mante?

Manòle                        - Sì. (Gli riempie un bicchiere).

Christian                     - (beve).

Manòle                        - Alla vostra salute, signor Christian!

Christian                     - Grazie... Va pure, Manòle... Io aspetto che torni il tuo padrone.

Manòle                        - Come volete. ;Se vi annoiate a star solo, posso tenervi compagnia...

Christian                     - No no, va a dormire...

Manòle                        - Buona notte, e auguri...

Christian                     - Buona notte, Manòle...

Manòle                        - (esce).

Christian                     - (rimasto solo, accende una sigaretta, e at­tende per convincersi che Manale non torni più. Chiude la porta di dove è uscito Manòle, e quella del fondo. Pas­sando, osserva gli oggetti di Maria: li guarda, sogghigna. Apre la borsa, tira fuori la scatola della cipria, il pettine, il rossetto, il fazzoletto. Trova la carta d'identità, legge ad alta voce) « Maria Panait, impiegata, via Plevna n. 251 ». (Rimette tutto dentro; resta un momento a pensare) Bè, mettiamoci anche un biglietto da mille. Ca­podanno viene una volta sola. (Mette nella borsetta un biglietto da mille    - (.(lei». Si ferma al tavolino e beve ancora un bicchiere. Spegne la luce. La scena rimane al buio completo; dalla finestra si vede la neve. Traversa la scena in punta di piedi; si vede solo la punta accesa della sigaretta che si muove verso la camera da letto. Quando arriva alla porta della camera, si ferma un istante, esita, poi la, socchiude. Getta la sigaretta, spinge la porta della camera, che si apre lentamente, mentre scende il sipario. Si sente una pendola che batte tre colpi).

QUADRO TERZO

In casa di Maria. Ambiente ordinato ìe modesto della periferia. Tavola e sedie al centro; ai lati, una credenza a vetri, una stufa di ghisa col sua tubo, e altri oggetti d'uso quotidiano. L'entrata è dal fondo, per una piccola veranda che dà in cortile. Una pendola, molto in vista, mostra l'ora; la stufa è accesa, ed è pure acceso un lumino sotto un'immagine. C'è odore di pulizia e dì panettone; due panettoni sono infatti sul buffet. La porta a destra dà nella camera da letto dei coniugi Panait ; il letto di Maria è un divanuccio nella stanza da pranzo, perduto in mezzo a scaffali e cartacce, in un angolo.

(Al levarsi del sipario, Natalia siede a tavola. Ha gli occhi rossi, il respiro affannato, e stende per la centesima volta un mazzo di carte. Accanto a lei c'è una tazzina di caffè turco, capovolta sul piattino per leggere l'oroscopo nel fondo. C'è anche un setaccio con alcune fave. Panait sta seduto accanto alla stufa e arrotola macchinalmente una sigaretta. E' preoccupato. Appena s'è alzato il sipario la pendola batte tre colpi).

Panait                          - (si volta a guardare la pendola; guarda il suo orologio e lo confronta con la pendola) - ...e dieci. (Con­vinto) Devi sapere che uno dei due, o la pendola o E mio orologio, è avanti. (Regola l'orologio).

Natalia                        - Strano, perché la pendola l'ho regolata stamattina sul tuo orologio.

Panait                          - (accende la sigaretta al fuoco della stuja) -E allora si vede subito che s'è messo a correre.

Natalia                        - (dispone le carte, sospirando ad ogni gesto, Una pausa) Non viene male, Gògu... non predice nulli di male, né per noi né per lei... No, no. Non va mici male...

Panait                          - E allora proviamo a essere contenti...

Natalia                        - (sulle carte) Guarda... una fortuna in sin giorno di festa, buone parole e soldi in cassa... (Unti pausa) Promette bene, Gògu...

Panait                          - Che Dio ce la mandi buona...

Natalia                        - A me le carte non hanno mai mentito,

Panait                          - Sarà stata un'altra faccenda.

Natalia                        - Mah! Chi lo sa! Guardiamo anche il caffè. (Volta la tazzina e la scruta).

Panait                          - Le fave cosa dicono? (Addita il setaccio) Le hai consultate?

Natalia                        - Lo stesso, anche loro! (Guardando la taz­zina del caffè) Niente di male, Gògu...

Panait                          - Se è così... aspettiamo che arrivi la fortuna,,.

Natalia                        - Aspettiamo! Non si può fare altro.

Panait                          - (si alza, va alla credenza, e si versa un bicchierino di grappa).

Natalia                        - Non bere, Gògu... Poi ti fa male al cuore,

Panait                          - (tracanna) Perché non ho bevuto prima... (Torna a sedersi) Mi preparavo a bere per salutare l'anno nuovo... (Si siede; parla facendo il verso a Natalia) «Al­meno stasera che è Capodanno, non venire a casa ubria­co, che si possa bere un bicchierino insieme... per lare la veglia in famiglia... (Con voce naturale) Famiglia... figli... uff!

Natalia                        - (con un sospiro doloroso) La grande non vuol saperne di noi...

Panait                          - E con la piccola, non riusciamo noi a saper nulla di lei...

Natalia                        - (ripensando a Maria) Purché non le sia capitato niente di male, Dio non voglia!

Panait                          - Che cosa c'entra Dio, quando hai già avuto buone nuove dal caffè?

Natalia                        - Essere ancora fuori a quest'ora!... (Pausa) In ogni caso, senti, Gògu... non dirle niente quando viene, E' la prima volta che le succede di far tardi.

Panait                          - Io non dico mai niente... Quando Fàntza ha cominciato a non venire a casa, non ho detto niente.

Natalia                        - Bene, lei era un altro tipo. Potevi dirle...

Panait                          - Sarà un altro tipo, ima è finita bene. E' si­gnora, con soldi, servitori e tutto il ben di Dio...

Natalia                        - ...ma senza matrimonio.

Panait                          - Bè, e tu /che con me ti sei sposata in regola, cosa ti è entrato in tasca?

Natalia                        - Meglio una fede al dito che dieci anelli.

Panait                          - Questo non si può dire. I pareri sono di­scordi. E, in fondo, a cosa serve il matrimonio? Tutto sommato, io vi sono contrario.

Natalia                        - Dopo trent'anni che siamo sposati, Gògu?

Panait                          - Proprio per questo sono contrario.

 Natalia                       - Bel momento hai trovato per dirmelo!

Panait                          - Te l'ho detto ora perché c'è caduto il di­scorso. Ma io non sono contro il nostro matrimonio, io sono contro il matrimonio degli altri...

Natalia                        - Cosa vuoi dire?

Panait                          - , Non hai visto dei dottori che ti dicono con la sigaretta in bocca di smettere di fumare? Fàntza è stata una ragazza pratica, positiva... Ha saputo camminare coi piedi sulla terra, e per questo ora non cammina a piedi... Non perdeva tempo a far poesie, non aveva la testa nelle nuvole e non stava tutto il giorno a leggere romanzi... Quei romanzi che Milìca ruba dalla libreria! Sta sicura che anche quello una volta lo pigliano...

Natalia                        - Milìca non ruba, Gògu... Lui prende. Ha anche lui diritto a qualche libro gratis ogni tanto, lui che ne vende tanti tutto il giorno...

Panait                          - I libri non sono acini d'uva che si possono piluccare dal grappolo...

Natalia                        - Tu non lo puoi soffrire, perché vuol bene -a Maria.

Panait                          - E' nostro cugino; tra cugini non ci si sposa.

Natalia                        - Ma che parentele ha Milìca con Maria, se 'tu sei stato secondo cugino con suo padre?

Panait                          - Non lo so. Ma mia figlia non ha bisogno di innamorati.

Natalia                        - Ma ha bisogno di un marito. Milìca la vuole sposare.

Panait                          - A sposarla ci vuol poco, ma il difficile viene dopo. Cosa gli darà da mangiare?

Natalia                        - Milìca ha un buon salario... stanno anche per aumentarglielo.

Panait                          - Quando cresce la paga del marito crescono anche i bisogni della moglie. La paga cresce di uno, le pretese dalla moglie crescono di quattro. Cosicché la paga, quando te l'aumentano, ti diventa più piccola. (Va alla credenza e beve un altro bicchierino di grappa).

Natalia                        - Via, Gògu, non bere più... piuttosto va a letto...

Panait                          - Senza bere non mi viene di sonno.

Natalia                        - (con un sospiro) Ah! Che brav'uomo sare­sti senza questo vizio!

Panait                          - Ogni vizio deve avere il suo brav'uomo che se lo tiene... (Ha bevuto, torna a sedersi).

Natalia                        - Tu ti attacchi a tutto... (Pausa).

Panait                          - Va a letto tu, piuttosto, che sei più debole.

Natalia                        - .Come se potessi chiuder occhio, finché non torna la bambina... (Pausa) Chissà dove sarà andata? In qualche posto, con dei giovanotti e delle ragazze... Non avrà avuto modo di avvisarci.

Panait                          - Vuol dire che se avremo un'altra figlia, metteremo il telefono.

Natalia                        - (lo guarda offesa) Beato te che hai ancora voglia di scherzare...

Panait                          - Lo scherzo è l'unica cosa seria al mondo!

Natalia                        - (si alza) Hai visto dove ho messo gli occhiali?

Panait                          - Non so cosa li tieni a fare, gli occhiali. Per metterli dappertutto meno che sul naso...

Natalia                        - (cercando) Poco fa li avevo in mano...

Panait                          - Gli occhiali si tengono sul naso, non in mano.

Natalia                        - (cercando, arriva davanti alla finestra dove c'è un vaso con un geranio e un garofano) Hiii! (Grido di spavento).

Panait                          - Cosa c'è? Li hai pestati?

Natalu                         - Guarda, si è rotto il gambo del garofano; chissà come dispiacerà a Maria. Ci teneva tanto. (Prende un bicchiere e lo riempie d'acqua per metterci il garo­fano).

Panait                          - So bene come è andata. Oggi, quando hai messo i vasi da fiori in veranda, hai lasciato la porta aperta e il maiale di Giorgèscu ci ha strofinato il grugno!

Milìca                          - (è entrato nella veranda. E' coperto di neve; si toglie le soprascarpe, si ripulisce. Natalia e Panait trasal­gono al sentire i suoi passi).

Natalia                        - Credevo che fosse la bambina...

Panait                          - Morditi la lingua, che se la prende con noi perché l'abbiamo aspettata...

Milìca                          - (entrando in scena) Buona sera. Sono stato dappertutto, zia Natalia... Ho cercato dappertutto. Non è in nessun posto, neppure... (Vede il broncio di Natalia e Varia annoiata di Panait) Ma cosa c'è? Cosa è successo?

Natalia                        - (indicando il fiore) Il maiale ci ha sciupato il fiore, Milìca... (Posa il bicchiere col garofano sul tavo­lino accanto al divano di Maria).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

QUADRO PRIMO

Stessa scena dell'atto primo (quadri primo e secondo).

(Sono le sette e mezzo del mattino. Nulla è cambiato; c'è solo il fuoco del camino, che arde più vivamente. Alessandro, sempre in marsina, siede in poltrona e fuma. E' un po' stanco, dopo la notte bianca).

Manòle                        - (entra con un caffè, e lo posa su un tavolino: Alessandro lo ringrazia con un gesto. Suona il telefono).

Alessandro                  - (fa cenno a Manòle di rispondere).

Manòle                        - (al telefono) No, signora, non è ancora tornato... Prego? Sì, sì. Certo... Quella tale se n'è andata da un pezzo... (Guarda verso la camera da letto) ...Ma figuratevi! Perché non dovrei dire la verità? Mi sono occupato io di farla salire in taxi... (Rispettoso) Buon giorno, signora. (Posa il ricevitore) Sempre la signora Elvira...

Alessandro                  - (tace:, fa un gesto che vuol dire « lo sa­pevo » e intanto beve il caffè) Che ora è?

Manòle                        - Le otto meno dieci. (Pausa) Perdonate, si­gnore, ma è il quinto caffè che bevete stamane. (Ales­sandro tace preoccupato ; il domestico parla di pausa in pausa) Forse siete nervoso. Non avete chiuso occhio tutta la notte. Credete, signore, che la signora Elvira mi stra­pazzerà molto quando ritornerà qui?

Alessandro                  - (alzandosi) Forse non tornerà più qui...

Manòle                        - Mai più?

Alessandro                  - (con un sorriso) Ti rallegri?

Manòle                        - Io, signore? E come potrei permettermelo?

Alessandro                  - Ho osservato che non ti è piaciuta nes­suna delle mie « signore ».

Manòle                        - Scusate se sono un po' troppo franco: a me piacerebbe una signora che fosse d'altro genere...

Alessandro                  - E cioè?

Manòle                        - Così... che fosse... padrona! E che non ci fosse bisogno di dirle bugiei al telefono. Io non ho fa­miglia, ma tengo molto alla serietà in queste cose...

Alessandro                  - E allora perché non ti sei sposato?

Manòle                        - Perché ho fatto anch'io come voi.

Alessandro                  - Che vuoi dire?

Manòle                        - Oggi una... domani un'altra... ho perduto tutto il mio tempo con le cuoche, giacché io sono mo­desto e lavoro solo nel mio ramo... e con tante ragazze intorno son rimasto solo, e con tante cuoche mi toccherà saltare i pasti da vecchio... Dei figli, neanche parlarne... Ho lavorato tutta la vita per .gli altri.

Alessandro                  - (pensieroso) Quando penso che anch'io potrei aver dei figli giovanotti!

Manòle                        - Eh... siete ancora in tempo, ma per me è troppo tardi... E, in fondo, qualcosa avete messo al mondo. Dei libri!

Alessandro                  - (con un sorriso) Quaranta romanzi...

Manòle;                       - Permettete, quanti anni avete?

Alessandro                  - Quarantaquattro.

Manòle                        - Allora, contando un libro all'anno, vuol dire che avete cominciato a        - (scrivere a quattr'anni. (Suona il telefono) Pronto!... No, signora... è ancora fuori... Vi dò la mia parola d'onore... Buon giorno, signora. (Posa il ricevitore) Non ha sonno neppure la signora Elvira...

Alessandro                  - (finisce di bere il caffè).

Manòle                        - Posso prendere? (Indica la tazzina vuota).

Alessandro                  - Sì.

Manòle                        - Desiderate altro?

Alessandro                  - Sì. Un caffè molto forte.

Manòle                        - (esce, visibilmente scontento).

Maria                          - (socchiude pianai Tuscia della camera da letto, sporge t prima il capo, poi entra. Calza le pantofole di Alessandro, ed è ancora insonnolita. I suoi occhi deno­tano una felicità piena).

Alessandro                  - (sincero) Hai riaperto gli occhi, Gioietta?

Maria                          - Appena appena...

Alessandro                  - Buon giorno!

Maria                          - Buon giorno. (Solleva il viso, come porgendo la bocca a un bacio).

Alessandro                  - Hai dormito bene?

Maria                          - Non so se ho dormito o,se ho solo sognato... ma so che è stata la più bella notte della mia vita.

Alessandro                  - Davvero?

Maria                          - Non è stata una notte, ma sono state le mille e una notte.

Alessandro                  - (senza raccogliere allusione) Mi fa piacere, e sono contento di non averti svegliata. Dormivi tanto bene, che non ho osato.

Maria                          - Ero tanto felice!

Alessandro                  - Già! Ma ora cosa diremo a casa?

Maria                          - A casa? Ah, già, ho anche una casa! Cosa diremo?... Una bugia!

Alessandro                  - Si capisce. Ma quale?

Maku                          - Dirò che ho dormito da un'amica.

Alessandro                  - E hai un'amica che si presta al gioco?

 

Maria                          - No.

Alessandro                  - (divertito) E allora?

Maria                          - Dirò che ho dormito in Questura.

Alessandro                  - In Questura?

Maria                          - Sì. Che stanotte gli agenti di polizia mi hanno trovata in istrada senza documenti, e imi hanno fermata,

Alessandro                  - Ma dovrai dimostrarlo.

Maria                          - Allora cosa dirò? Dirò che sono stata a dor­mire da mia zia.

Alessandro                  - E dove sta tua zia?

Maria                          - A Olténizza.

Alessandro                  - Ah!

Maria                          - Dirò che sono andata e tornata in treno. Olténizza è a due passi...

Alessandro                  - Già, sulla carta!... E poi ti crederebbero?

Maria                          - Mi credono sempre perché non dico mai bugie... a casa. Le dico solo fuori... Non va bene la storia di Olténizza?

Alessandro                  - No! E' troppo stiracchiata.

Maria                          - E allora troviamone un'altra.

Alessandro                  - E se dicessi la verità?

Maria                          - (con gli occhi accesi di gioia) La verità?

Alessandro                  - Sì! Che hai dormito qui da: me..,

Maria                          - Direbbero che è una bugia. Sarebbe la sola cosa che non crederebbero.

Alessandro                  - E se venissi io a confermarla?

Maria                          - (con un'esplosione di gioia) Voi?

Alessandro                  - (la guarda sorpreso).

Maria                          - Fareste questo, voi?

Alessandro                  - Per levarti d'imbarazzo...

Maria                          - ...per levarmi d'imbarazzo...

Alessandro                  - Certo. Specialmente perché ti sei trovata nei guai per colpa mia.

Maria                          - Non per colpa vostra... non è vero! Per colpa mia: io ho voluto rimanere.

Alessandro                  - E se io non avessi insistito?

Maria                          - Anche se voi non aveste insistito. Perché non avete mica insistito voi per farmi addormentare: ha in­sistito lo spumante. (Suona il telefono).

Alessandro                  - (esita).

Maria                          - (convinta che esita per lei) Rispondete pure.

Manòle                        - (entra e va diritto al telefono) Pronto! Non è venuto. Vi giuro che non è venuto. ((Ossequioso) Buon giorno, signora. (Posa il ricevitore ed esce).

Maria                          - Perché,le fate dire « sempre » che non siete in casa?

Alessandro                  - E come fai a sapere che glielo faccio dire « sempre »!

Maria                          - Perché ho sentito « sempre ».

Alessandro                  - Non dormivi?

Maria                          - Ah, quante ne avrò da scrivere oggi sul mio diario... (Infantile) Ma perché siete ancora in marsina?

Alessandro                  - Perché ho lasciato la vestaglia nella camera dove dormivi tu...

Maria                          - (convinta) Ah... già! Ma perché non siete venuto a prenderla?

Alessandro                  - Per non svegliarti.

Maria                          - E siete rimasto così tutta la notte in marsina?

Alessandro                  - (sta quasi per dire la verità) Sì... Ho dormito su quella poltrona.

Maria                          - A che ora mi sono addormentata stanotte?

Alessandro                  - Alle due...

Maria                          - E dov'ero? Non ero qui?

Alessandro                  - Sì... ti sei addormentata dicendo una poesia.

Maria                          - Che poesia ho detto?

Alessandro                  - Una molto bella... che pareva di Eminescn...

Maria                          - (seria) Ah... sì, ho capito. Quella della mano che mi carezza. E poi cosa ho fatto?

Alessandro                  - Sei entrata nel mondo dei sogni.

Maria                          - Non ani ero più ubriacata così dal 1924.

Alessandro                  - E come ti eri ubriacata allora?

Maria                          - Ero infreddata, e la mamma mi ha messo un impacco di acquavite calda in testa... mi sono addormen­tata, e tutta la notte ho sognato che mi sposavo... Anche stanotte ho bevuto, e ho sognato che mi sposavo...

Alessandro                  - Sai che si dice che non porta bene so­gnare che ci si sposa?

Maria                          - (tutta luminosa) Ma come?... Anzi!... E ditemi, ho parlato nel sonno?

Alessandro                  - Non so, non ti ho ascoltata.

Maria                          - Io, veramente, non ricordo niente... (Impac­ciata) ...cioè, proprio niente no. E' così bello addormen­tarsi, sognando, e svegliarsi in sogno! e poi di nuovo addormentarsi... e sognare... e poi confondere il sogno con la realtà...

Alessandro                  - Io credo, Gioietta, che neanche adesso ti sia passato il sonno.

Maria                          - Quanto scommettiamo? Un pezzo da dieci va bene? Fatemi qualunque domanda, e se mi confondo a rispondere, pago io.

Alessandro                  - Benissimo! E allora rispondimi: cosa dirai a casa?

Maria                          - (facendosi seria seria) E' vero! Cosa dico? Quando penso che devo tornare a casa, mi prende il capogiro.

Alessandro                  - Proprio non vuoi che venga io con te?

Maria                          - E cosa direste?

Alessandro                  - La verità.

Maria                          - (allarmata) No no no... Non è possibile... Dopo aver passato la notte fuori di casa, andar anche a dire che l'ho passata con nn uomo, sarebbe...

Alessandro                  - Cosa sarebbe?

Maria                          - Avete mai preso delle capocchie di fiammi­fero sciolte nell'alcool?!

Alessandro                  - Mai!

Maria                          - Nella mia famiglia si prendono spesso... in casi come questo. Con mia sorella, ad esempio, la prima volta che è mancata di casa, si sono consumate due sca­tole di fiammiferi.

Alessandro                  - Tua sorella?

Maria                          - No... la mamma! Li mangia lei per tutta la famiglia. Perché da noi quando c'è una disgrazia in casa, non resta più un fiammifero neanche per accendere la sigaretta.

Alessandro                  - Bene, spiegherò alla tua mamma come sono andate le cose.

Maria                          - Tempo perso... Lei non capisce come me e come voi... Lei non è una letterata come noi.

Alessandro                  - Allora cosa bisogna fare?

Maria                          - Lasciate fare a me... Ci penserò in tram. Le idee più belle mi vengono in tram. (Guarda l'orologio) Uuh! Le otto e mezzo. (E' spaventata) Dio mio, a casa mi crederanno morta.

Alessandro                  - Non fa nulla. Quando ti vedranno sana e salva, si calmeranno.

Mabia                          - Purché abbia pensato il babbo a nascondere i fiammiferi... (Pausa) Insomma, sono a casa vostra da dieci ore. E non mi decido mai ad andarmene.

Alessandro                  - (tenero) Ho l'impressione che tu sia stata sempre qui.

Maria                          - In altre parole, sono diventata eterna.

Alessandro                  - Vorrei che tu non partissi più...

Maria                          - Non fa niente... Se vorrete... tornerò un'altra volta... più tardi... cosa fate nel pomeriggio, alle cinque?

Alessandro                  - Ti aspetto per il tè...

Maria                          - Col rum?

Alessandro                  - Con molto rum... là davanti al camino...

Maria                          - Oh, com'è bello!... Avete pane e burro?

Alessandro                  - Sì...

Maria                          - Se non ne avete non importa... Ne porto io da casa... frugo un po' nella credenza... Abbiamo qualche provvista per le feste... perché i negozi sono chiusi...

Alessandro                  -  Gioietta, non voglio che tu vada via...

Maria                          - Va bene, mettiamoci d'accordo... Resto ancora fino alle nove e poi vado a casa a farmi picchiare... e alle cinque torno qui. (Pausa) Ma sapete che di giorno siete molto freddo con me? Alla luce non vi piaccio?

Alessandro                  - Sei deliziosa...

Maria                          - Ma un uomo che parla con una donna a cui vuol bene, non sta tanto sulle sue... Sembra che parliate con l'Accademia di Romania, non con me...

Alessandro                  - Non ti riconosco più...

Maria                          - Sono cambiata... nel sonno... ora sono felice, mentre ero tanto triste quando sono venuta qui...

Alessandro                  - E quale mano ha operato questo cam­biamento?

Maria                          - (guardandolo negli occhi con amore, con sotto­missione, con gratitudine, con candore) La vostra!

Alessandro                  - (fa un gesto di esitazione).

Maria                          - Ed ora ve ne dispiace...

Alessandro                  - A me? Tutt'altro, sono felice...

Maria                          - Non ditelo più... altrimenti rompo l'accordo e non me ne vado neppure alle nove. (In fretta) Punge­temi con uno spillo.

Alessandro                  - Perché?

Marta                          - Per assicurarmi che sono sveglia... che tutto quello che mi è capitato da ieri sera ad oggi... non è un sogno... Ah, vorrei dirvi una cosa, ma non ho coraggio...

Alessandro                  - Com'è possibile? Una ragazza tanto co­raggiosa...

Maria                          - No... no... non posso... Lasciate, vi scriverò una lettera e ve la porterò dopo pranzo... E' un segreto che conosco solo io... e che dopo questa notte non posso più mantenere... (Si sforza dì far capire la verità senza dirla) Mi siete molto simpatico...

Alessandro                  - (compiaciuto del fascino e dell'ingenuità di lei) Ebbene, sono tanto sorpreso di questa confi­denza, che mi sento in obbligo di fartene una anch'io...

Maria                          - (ha tutta l'anima negli occhi) Sì...

Alessandro                  - Lo sapevo...

Maria                          - Vedete? Ora vi date delle arie! Per questo  si è bene che le donne siano gelose dei loro segreti... Ma se vi avessi detto che vi amo? Meno male che mi son trat­tenuta in tempo.

Alessandro                  - I? vero... che mi ami?

Maria                          - (sorpresa) Non lo sapete?

Alessandro                  - Sì... forse... ma non riesco a crederlo...

Maria                          - Come non riuscite a crederlo? (Si stringe in se stessa).

Alessandro                  - E' difficile credere nell'amore di una ragazza di diciotto anni.

Maria                          - E che altra prova volete? Il fatto che son venuta... che son rimasta tutta la notte qui da voi...

Alessandro                  - (tenendosi sulle generali) Sì, certo, Gioietta... tutte queste sono prove di simpatia... di fidu­cia... ma non d'amore... l'amore è qualcosa di più...

Maria                          - (fulminata) ...Ma non d'amore?

Alessandro                  - (brutale senza volerlo) Ma no, no! Cosa c'entra l'amore nel fatto che una notte... una donna...

Maria                          - (con un fìl di voce) ...una ragazza...

Alessandro                  - Una donna, una ragazza, è lo stesso... (Riprende il filo) ...dorme in casa di un uomo... (Si ac­corge del pallore di lei) Ma cos'hai, Gioietta?

Maria                          - Niente... ascolto quello che dite...

Alessandro                  - Ma non lo dico solo io, non è un mio parere personale... è una cosa che tutti capiscono. Ci sono centomila ragioni, oltre l'amore, che possono deci­dere una donna... o una ragazza, a passare la notte in casa di un uomo...

Maria                          - Che motivi?

Alessandro                  - Il caso... la curiosità... il capriccio... la noia... l'ambizione... il vizio... e poi la vendetta, la ge­losia... l'interesse...

Maria                          - L'interesse?

Alessandro                  - Specialmente l'interesse.

Maria                          - Lo credete proprio?

Alessandro                  - Assolutamente.

Maria                          - (colpita profondamente) Sì, forse... (Cerca di sorridere, sebbene a stento trattenga le lacrime).

Alessandro                  - (infervorato nel suo discorso, non ha os­servato che Maria si regge appena in piedi) Che hai? Sei pallida... non ti senti bene? (E’ sinceramente preoc­cupato. La sostiene).

Maria                          - Niente... è solo un piccolo capogiro... (Si appoggia a una poltrona).

Alessandro                  - (le prende le mani) Che manine fredde... (La fa sedere) Vedi cosa succede a bere come un co­sacco? Ora ti porto un po' di cordiale. Resta lì, tranquilla. (Esce per andare nella sala da pranzo).

Maria                          - (si alza, si accosta alla sedia dove è posata la sua roba. Vuol togliere il fazzoletto dalla borsetta, per asciugarsi le lacrime. Apre, e trova il denaro postovi da Christian. Resta con quel biglietto in mano, impietrita; si appoggia alla sedia per non cadere).

Alessandro                  - (entra con un bicchierino colmo su un vassoio) Ecco! (Glielo dà).

Maria                          - (lo respinge) No, grazie, mi è passato. (Si alza e comincia a vestirsi).

Alessandro                  - Ma cos'hai? Mi metti in pensiero!

Maria                          - Niente... questo succede quando si beve come un cosacco... (Sorride) Devo andar via.

Alessandro                  - Ma non puoi uscire cosi...

 

Maria                          - All'aria aperta mi passerà...

Alessandro                  - Va bene, ti lascio uscire, ma ad un patto: che ti accompagni io!

Maria                          - No, vi prego... lasciatemi andar via sola, come son venuta...

Alessandro                  - Ma non è possibile... se non ti senti bene...

Maria                          - E' una mia idea...

Alessandro                  - Niente « idee »! Qui non sei in tram!

Maria                          - (tenta di sorridere) Allora... è un mio cappriccio... (Si china per infilarsi le soprascarpe, i suoi movimenti sono slegati e comici).

Alessandro                  - Lascia, lascia... faccio io...

Maria                          - (lo lascia fare; mentre lui, chinato, non k guarda in viso, lei piange).

Alessandro                  - Che piedino piccolo... e gelato! E anche l'altro, lo stesso! (Finito di infilarle le soprascarpe, si alza) Gioietta! Ma perché piangi?

Maria                          - Perché è Capodanno. A Capodanno piango sempre.

Alessandro                  - Sì, ma oggi... sei felice!

Maria                          - Già, e credete che non si pianga di felicità?

Alessandro                  - (incredulo) Sono contento che tu te ne vada felice, Gioietta... (Le regge il soprabito).

Maria                          - (infilandosi un guanto) Potete esserne certo... me ne vado felice... anche se sapessi che non tornerò mai più.

Alessandro                  - Mai più, fino ad oggi alle cinque. Mando a prendere un taxi...

Maria                          - No... voglio fare quattro passi nella neve, fino alla fermata del tram...

Alessandro                  - Chissà, forse ti verrà ancora un'idea..,

Maria                          - (cercando di sorridere) No... l'ultima idea che mi è venuta in tram è stata quella di venir qui... Arri­vederci...

Alessandro                  - (la trattiene) Devo chiederti un favore.

Maria                          - Quale?

Alessandro                  - Lasciati baciare... Così alla luce... ad occhi aperti... in pieno giorno.

Maria                          - (gli porge la bocca).

Alessandro                  - Cara... (La bacia in fronte).

Maria                          - (toglie la banconota, che aveva messo accartoc­ciata nella tasca del soprabito, la lascia cadere ed esce di corsa).

Alessandro                  - (rincorrendola) Alle cinque, Gioietta! Non dimenticare! (La segue un istante con lo sguardo. La saluta con la mano, poi ritorna in scena. Suona per chiamare Manale. E' lieto, felice, trasfigurato).

Manòle                        - (entra).

Alessandro                  - Manòle! Portami un caffè... E non vo­glio seccatori! (Un gesto eloquente verso il telefono).

Manòle                        - Benissimo, signore... Non andate un po' a riposare?

Alessandro                  - Sì.

Manòle                        - Allora perché prendete il caffè? (Vede h banconota a terra) Avete perduto un biglietto da mille...

Alessandro                  - Io? Non avevo denaro con me... Strano... Forse l'ha perduto la signorina...

Manòle                        - 0 il signor Christian...

Alessandro                  - Come?

Manòle                        - Il signor Christian...

 

Alessandro                  - Cosa c'entra il signor Christian?

Manòle                        - E' venuto qui stanotte...

Alessandro                  - Eh?!

Manùle                        - Forse gli è caduto di tasca, perché era un po' brillo...

Alessandro                  - Stanotte è venuto qui il signor Chri­stian?

Manòle                        - Ma non lo avete incontrato?

Alessandro                  - Io? No!

Manòle                        - E' venuto a prendere la signora Elvira., quando lei era appena uscita con voi. E ha detto che vi aspettava, perché io gli ho detto che tornavate subito.

Alessandro                  - (tormentato) E quando è andato via?

Manòle                        - Non lo so, signore, perché io sono andato a dormire...

Alessandro                  - Ascolta, Manòle! Il signor Christian ha i che la signorina era qui?

Manòle                        - (vedendo la figura congestionata di Alessan­dro, indietreggia) Non saprei; avrà visto la sua roba sulla sedia...

Alessandro                  - Insomma ha saputo che c'era qualcuno di là? (Indica la camera da letto).

Manòle                        - Credo lo abbia capito.

Alessandro                  - E a te, non ha chiesto nulla?

Manòle                        - Ha tentato di farmi chiacchierare...

Alessandro                  - E tu cosa gli hai detto?

Manòle                        - (china gli occhi) Gli ho detto il mio pa­rere. ,.

Alessandro                  - E cioè?

Manòle                        - Che non capisco che gusto vi sia venuto, di pigliarvi in casa certe...

Alessandro                  - (violento) Vattene!

Manòle                        - Prego, signore, io...

Alessandro                  - Vattene! Non comparirmi più davanti! Via di qui! (Gli si scaglia contro) Non ti figuri nemmeno quel che hai fatto, miserabile!

Manòle                        - Io, signore...

Alessandro                  - Parla, ti ordino di dirmi che cosa è successo, qui, mentre io non c'ero.

Manòle                        - Non lo so esattamente, signore. Io sono andato a letto, ed il signor Christian è rimasto qui ad aspettarvi... mi è parso di veder la luce accesa in sa­lotto... son venuto qui, ed ho trovato solo la pelliccia e il cilindro, perché il signor Christian era là dentro. (Indica la camera da letto).

Alessandro                  - E aspetti ora a dirmelo?

Manòle                        - Credevo che fosse d'accordo con voi... com'è successo anche altre volte...

Alessandro                  - (lo piglia per il collo) Perché gli hai detto che c'era qui la signorina?... Perché lo hai lasciate solo? (Ad ogni frase, lo scuote) Ti ha dato del denaro, farabutto!

Manòle                        - Signore... perdonatemi... non mi ha dato niente...

Alessandro                  - Sai cos'hai fatto, vigliacco? Sai cos'hai fatto? (Lo scaccia in malo modo) Povera bambina! Po­vera bambina! (Forma un numero al telefono) Pronto! Pronto!... Casa Christian?... Senti, Dumitru... Sì, sono io... Il tuo padrone non c'è? Bene... (Posa il ricevitore. Forma un altro numero) Pronto! Pronto, Elvira? Ti di­sturbo?... Sei appena tornata? Bene... Puoi ricevermi per cinque minuti? Bene! Vengo subito! E se c'è Christian trattienilo, ti prego... Scusami! Arrivederci! (Posa il ri­cevitore e va in camera da letto. Subito dopo torna a squillare il telefono. Entrano insieme Manòle ed Ales­sandro).

Manòle                        - (al telefono) Signora Elvira? No, signora... Il signore è ancora fuori... Ve lo assicuro proprio... (Resta impietrito, e mette la mano sul microfono: ad Alessandro) ...Ha insultato mia madre!

QUADRO SECONDO

A casa di Elvira, alle undici del mattino. Arredamento moderno, elegante, da persona abituata a spendere molto e a ricevere molti regali; per questo, forse, si nota una certa mancanza di buon gusto.

Un gran sofà, poltrone, telefono, termosifone. Una larga finestra lascia supporre che l'appartamento è a uno dei piani superiori di una grande costruzione moderna.

In vista, su un mobile, il ritratto di Alessandro: molte fotografie di Elvira, di tutti i formati e in tutte le pose.

In fondo, un piccolo vestibolo: in un vaso., i fiori portati da Elvira al ritorno dal veglione.

(Al levarsi del sipario, Elvira siede in poltrona e fuma. Alessandro va e viene, fumando anche lui; si capisce chi i due stanno discutendo da molto).

Elvira, (si vedono i segni della notte bianca: è un po' spettinata e depressa. La truccatura fatta troppo in fretta la invecchia).

Alessandro                  - Ma non capisci che si trattava di una ragazza?

Elvira                          - Il ne faut jurer de rien...

Alessandro                  - Una ragazza, Elvira... una bambina... che io ho trattenuto a casa mia per rovinarla... (Rispondendo a se stesso) E' imperdonabile. Vigliacco!

Elvira                          - (ironica) E ora sei venuto a costringere Chri­stian a sposarla...

Alessandro                  - Ma lascia perdere Christian!... Da un'ora che son qui, da quando parlo con te...

Elvira                          - Ma se parli solo tu...

Alessandro                  - ...mi son chiarite le idee... vedo chiaro... capisco tutto...

Elvira                          - Meno male che capisci tu...

Alessandro                  - (proseguendo in un suo pensiero) Sì... Sì... il colpevole sono io... Solo io, Elvira...

Elvira                          - Ma se dicevi che è Christian...

Alessandro                  - Macché!... Lui non c'entra affatto... perché questa ragazza... non so se mi capisci... si è data a me, non a Christian.

Elvira                          - Quando? Dopo che è uscito lui?

Alessandro                  - No!... Nel momento stesso in cui è stata sua... Perché non importa in quali braccia si è data, ma a chi si è data...

Elvira                          - Sei impazzito...

Alessandro                  - No, Elvira! Sono un uomo che giudica seriamente, onestamente, superando il proprio egoismo e il proprio orgoglio di maschio. Mi meraviglio che tu, che sei donna, non capisca come nella vita di una fanciulla innamorata ci sia un istante decisivo, unico...

Elvira                          - Beh, e con questo?

Alessandro                  - E' un istante in cui la ragione chiude gli occhi.

 Elvira                         - E la donna li chiude anche lei.

Alessandro                  - Un istante di rapimento... un'estasi in cui risplende un solo pensiero: l'amore; in cui vive una sola immagine: lui, l'essere amato. E in quell'istante, la realtà cessa di esistere, i lineamenti delle cose si con­fondono, tutto si dilegua...

Elvira                          - Anche tu sei sparito, e non vedi più dove sei.

Alessandro                  - No! Christian c'è sparito! Cioè la realtà materiale... Perciò, fra le sue braccia, Maria si è data a me, capisci?... Perché io ero con lei, più presente della realtà, proiezione del suo essere che si faceva mio...

Elvira                          - (con un'occhiata di compassione) Stai scri­vendo, o parlando?

Alessandro                  - Spiego a te e a me nello stesso tempo. (Pausa) Ora, che mi rendo conto di tutto... quando penso alla mostruosità che è avvenuta stanotte, a casa mia... comprendo il suo pianto di stamattina... lo strazio di quel cuore in cui ogni mia parola penetrava come una pugnalata...

Elvira                          - Avresti fatto meglio a mandarla via a ceffoni fin da principio...

Alessandro                  - No, no... Questa ragazza non può re­stare cosi... ora che so.» che comprendo... che giudico...

Elvira                          - Insomma, vuoi sposarla?

Alessandro                  - Voglio solo ridarle la fiducia nella vita, nella forza delle sue ali... pensa che ha diciott'anni, Elvira...

Elvira                          - Ma va! Ne ha molti di più, e in ogni caso, tu, con i tuoi quarantatre, potresti essere suo padre...

Alessandro                  - Lo so, e non l'ho mai dimenticato: non temere...

Elvira                          - (dopo una pausa: riflettendo) Tu, insomma, sostieni che quella ragazza ha creduto che ci fossi tu al posto di Christian...

Alessandro                  - E come poteva credere diversamente?

Elvira                          - E' vero: tutti gli scrittori sono pazzi...

Alessandro                  - Così dicono tutti quelli che parlano perché hanno la bocca.

Elvira                          - Vuoi alludere a me?

Alessandro                  - No, perché spero che tu mi abbia capito.

Elvira                          - Ma certo che ti ho capito! Tu sei geloso di Christian per causa mia, e tutta questa scena la fai perché vuoi litigare con lui senza confessare il vero motivo... Perché sei vanitoso! Vanitoso e geloso...

Alessandro                  - Sono geloso, secondo la tua logica.

Elvira                          - La mia logica è molto logica, sappilo! Tutto quello che hai fatto da iersera ad oggi... tutto quello che hai detto in questo tempo, non è altro che una crisi di gelosia... Perché non ho voluto dire a Madeleine di non invitare Christian... perché sai che gli piaccio e che è un uomo che piace...

Alessandro                  - E proprio per questo... mi pare che sia venuto il momento di liquidare.

Elvira                          - Che cosa?

Alessandro                  - La nostra relazione. Separiamoci!

Elvira                          - Separarci? Così senza nessuno scandalo?

Alessandro                  - Così, come si separano due persone che non hanno più niente da dirsi.

Elvira                          - E tu credi di piantarmi così... come a teatro., per finire un atto e cominciarne un .altro. Mi secchi per due ore con le tue teorie, poi m'insulti... mi fai una  scena di gelosia, e credi che tutto sia terminato.

Alessandro                  - Non terminato: finito!

Elvira                          - Risparmiami le tue finezze di linguaggi! Va bene! Ci separiamo. Non ho nessuna pretesa... noi il faccio nessun rimprovero. Sono troppo fiera per fatiti Nessunissimo rimprovero! Mi hai preso gli anni pi belli della mia vita: tre anni compiuti.

Alessandro                  - Da quando ti conosco, non ne li compiuto nessuno.

Elvira                          - Mi hai compromessa, perché la gente li creduto che fossi innamorata di te... e una donna eoli me non si deve innamorare... Mi hai chiuso tutte.. altre strade con la tua gelosia... (Furiosa) mi hai fatto fare l'ondulazione permanente... mi hai tormentata... il hai obbligata a leggere tutti i tuoi libri... lo capisci cosa significano quaranta volumi, per una donna soli, in tre anni?

Alessandro                  - (sorride).

Elvira                          - Mi hai ingannata... con chi hai voluto,! quando hai voluto... io lo sapevo... ma non ti ho detti I niente, perché erano le mie amiche. Ma ora? Ora!! Questa non te la perdono... domani tutta Bucarest saprii che mi hai piantata per una commessa di negozio... som I umiliata... screditata...

Alessandro                  - Elvira, ti assicuro che...

Elvira                          - Ah! Bravo! Sentiamo cosa mi assicuri!

Alessandro                  - Ti assicuro che domani Bucarest noi saprà niente, se non penserai tu a informarla... ,

Elvira                          - Ebbene, se è così, carte in tavola? Sappi che siamo pari.

Alessandro                  - Non capisco.

Elvira                          - Ti ho tradito anch'io una volta con una persona incontrata in un negozio... e precisamente in una gioielleria...

Alessandro                  - Un commesso?

Elvira                          - No! Un diplomatico francese. Comprava un anello, e mi è subito piaciuto enormemente.

Alessandro                  - L'anello?

Elvira                          - No: il tipo. Gli ho detto di telefonarmi e, detto fatto, sono andata...

Alessandro                  - All'appuntamento?

Elvira                          - No! A casa sua. Allora non ero ancora stata in Francia...

Alessandro                  - Un po' di pazienza e visiterai tutta l'Europa.

Elvira                          - Non penso neppure a risponderti.

Alessandro                  - La tua bravura è di rispondere senza pensare.

Elvira                          - Le mie bravure non ti interessano più.

Alessandro                  - Come vuoi tu... Comunque, la partita è chiusa. (Si avvia alla scrivania).

Elvira                          - Perché io voglio chiuderla.

Alessandro                  - Allora facciamo punto. (Prende il suo libretto di assegni e scrive).

Elvira                          - (maliziosa) Strano! Non avrei mai creduto di lasciarti senza provare la minima emozione.

Alessandro                  - (scrivendo) Non hai di che emozionarti Gli uomini d'affari non si commuovono quando si sepa­rano: e la nostra relazione è stata solo un affare.

Elvira                          - (ironica) Ad ogni modo, sarebbe di prammatica essere « profondamente commossi »... siamo due amanti che si dividono.

Alessandro                  - Ti sbagli! Che liquidano!

Elvira                          - Un amante, tu! (Sogghigna) Se non fosse stata la tua fama di scrittore...

Alessandro                  - Quando vuoi essere cattiva, è come se fossi vestita male. Un uomo beneducato non sa come fare a dirtelo.

Elvira                          - Cos'hai scritto là?

Alessandro                  - Un assegno. (Non glielo dà).

Elvira                          - Forse credi che io non lo accetti?

Alessandro                  - Commetteresti un grave sbaglio. E' un regalo. (Glielo dà).

Elvira                          - (dà una sbirciatine all'assegno) Ti prego di notare che non lo guardo nemmeno...

Alessandro                  - Contentati di guardare la cifra.

Elvira                          - (dopo aver guardato) Non me ne importa: non sono curiosa.

Alessandro                  - Ti avevo promesso un viaggio all'estero...

Elvira                          - Credo che non ci andrò sola.

Alessandro                  - Ti auguro una compagnia piacevole.

Elvira                          - Grazie. Forse ci incontreremo.

Alessandro                  - Chi lo sa?!

Elvira                          - In ogni caso... « noi » saremo sulla Costa Azzurra. (Va a chiudere l'assegno in un cassetto) E ri­cordati che devi pagarmi quella borsetta che ho preso ieri nel pomeriggio... ho detto che sarebbe andato il tuo domestico a pagare.

Alessandro                  - (avviandosi ad uscire) Sarà pagata. Ar­rivederci, Elvira.

Elvira                          - (senza dargli la mano) Addio!

Alessandro                  - (passa nel vestibolo).

Elvira                          - Ricordati quel che ti dico al momento di lasciarci: tu non capirai mai l'anima di una donna.

Alessandro                  - (infilandosi la pelliccia, vicino alla porta) Lascio questa soluzione al mio successore. (Squilla il telefono).

Elvira                          - Dev'essere Christian. Permetti... (Alessandro aspetta. Elvira parla in fretta al telefono) Pronto... no, avete sbagliato. (Posa il ricevitore).

Alessandro                  - (a Elvira, che fa per accompagnarlo all’uscita) Prego, non incomodarti!

Elvira                          - (dignitosa) Non ti accompagno, ti congedo!

Alessandro                  - Ne prendo atto... (Esce).

vira                              - (torna in scena, dopo una pausa, quanto basta assicurarsi che Alessandro si è allontanato. Forma un numero al telefono) Pronto! Pronto!... Christian? Buon­giorno, sono io!... Sì, se n'è andato ora!... Non gli è neppure passato per la testa che io ti avessi telefonato di non venire. (Sogghignando) Se tu sapessi perché ti voleva vedere!... Per la storia di stanotte... a casa sua... con quella ragazza che era da lui... ha saputo che tu... (Pausa) Come? (Scoppia a ridere) Sul serio? (Accentua la mimica) Ah, questo è il colmo!... Il colmo... (Ride forte) Questo è tutto? Un bacio? (Ride a crepapelle) Come non ridere, pensando che lui l'ha presa sul tragico?... Sì, caro... lui ha creduto che... sì...! Che tu e™ certo!... ne è convinto. Avessi sentito che scemenze diceva... fanciulla... delitto-Dio mio, quant'è idiota! (Ride) Vuole sposarla... Parola d'onore!... farle il corredo... insegnarle il francese... Ah, caro, siete molto stupidi voi uomini... quand vous vous y mettez... ma certo!... Uff! Bene che mi sia liberata di lui!... Come?... Sìii! ... L'ho fatta finita!... Per dividerci? L'ho buttato fuori subito. Mi irritava da un pezzo, ma ora... dopo questa buffonata... ti figuri... Oui, c'est vrai!... tre anni... tu te rends compie!... Nemmeno un impermea­bile dura tanto... Per carità! Se sapessi che scena mi ha fatto!... Penosissima!... ha supplicato di perdonarlo, ha pianto, si è strappato i capelli... mi è caduto in ginocchio davanti... e poi mi ha detto che si sparava... ha tirato fuori la rivoltella... Ho stentato a convincerlo a non uccidersi. Gli ho detto che si copriva di ridicolo e che non avrebbe potuto più farsi vedere in giro... Ah, Christian!,.. Se sa­pessi com'è bello sentirsi libera... libera... sapere che puoi fare quel che ti pare, con chi ti pare... Pronto! Pronto!... Cosa fai oggi a pranzo?... Sei libero anche tu? Allora vieni da me... bon, chéri... Bene... ti aspetto... (Posa il ri­cevitore. Si alza, prende la fotografia di Alessandro e la chiude in un cassetto. Poi prende la fotografia di Christian da uno scaffale e la mette al posto d'onore. Apre la porta, e parla verso la cucina) Anna! Anna! ... Viene a pranzo il signor Christian... fagli il pollo coi funghi, che gli piace, e preparami il bagno... (Si allunga sul sofà).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

(In casa di Maria, la stessa mattina, verso le dieci. Al levarsi del sipario, Panait è con la bottiglia alla bocca, al suo posto preferito, accanto alla stufa. Natalia, seduta al tavolo fa un solitario. Milica, col soprabito addosso e col cappello in grembo, sta seduto tra loro. E' appena entrata. Tutti e tre portano i segni di una veglia agitata).

Natalia                        - Al negozio ci sei stato, Mirica?

Milìca                          - Sì... e ho parlato col custode. Mi ha detto che è uscita dal negozio verso le dieci... sola. Ha parlato anche con lui, gli ha dato uno scudo di mancia per le feste...

Natalia                        - Io continuo a credere che sia andata da Fàntza e che si siano recate insieme chissà dove...

Milìca                          - Ho telefonato anche a lei poco fa, ma è ancora fuori...

Natalia                        - Vedi?... Sono a spasso insieme... Se in questura non sanno niente, se non è all'ospedale...

Panait                          - Se non è alla camera mortuaria...

Natalia                        - Dio liberi!...

Panait                          - Forse è andata all'estero...

Natalia                        - Ma dove potrà essere?

Milìca                          - Non Io so... in ogni caso... io vado ancora a cercarla... ovunque... in tutta Bucarest... la devo trovare...

Panait                          - Verrà lei da sé... quando si ricorderà di noi...

Milìca                          - Che discorsi son questi, zio Gògu?

Panait                          - Discorsi da uomo con la testa sul collo, caro mio...

Milìca                          - (in piedi) Ma insomma, voi credete che...

Panait                          - Io non credo niente, ragazzo mio. Io so che

ogni uomo ha al mondo una sola cosa veramente sua: la vita. Perciò ognuno può farne quello che vuole... a una sola condizione: che gli vada bene. [E perché vada bene, bisogna prima di tutto evitare la miseria... in quale modo non m'importa di saperlo.

Natalia                        - Dici delle sciocchezze, Gògu... la bottiglia ti fa parlare.

Panait                          - (accarezzando la bottiglia) Questa è la mia scuola. (A Mitica) Ascoltami, caro mio. Il mondo si divide in due categorie: poveri e ricchi. Altre classi sociali, non esistono. Stupido o furbo, lavoratore o fannullone, bir-bante o galantuomo, son parole che non significano niente: coi soldi compri tutto.

Milìca                          - Io non lo direi, zio Gògu...

Panait                          - Lascia stare, non venire tu a insegnarmi a vivere!... Quelli che dicono di essere felici perché sono intelligenti, e fanno un pasto ogni tre giorni, non capi­scono quello che dicono, credi a me! Come non capi­scono niente quelli che fanno una vita grama per gua­dagnarsi la felicità nell'altro mondo... (Occhiata a Na­talia: sorso dalla bottiglia) Io non ho letto tanti libri come te, Milìca, ma ho osservato la vita: mia e degli altri, il che fa lo «tesso... Di dove veniamo? Dove an­diamo? Comunque prèndi la vita sempre arrivi dove dico io. Non sappiamo né donde veniamo, né dove siamo di­retti. Sappiamo solo che un giorno si comincia a vivere, e un altro si finisce. Tra questi due giorni, abbiamo un certo tempo per campare. Come quelli del circo che co­minciano su una corda tesa fra due cavalletti: noi comin­ciamo su una corda tesa tra due misteri. L'importante è di stare in equilibrio. Il ricco ha i soldi per comprarsi l'ombrello, e le scarpe da ginnastica, e la pece da dare alle suole, e la musica per accompagnarlo durante l'eser­cizio, e la rete per salvarlo, se casca... e cammina sulla corda come in piazza... senza nessun rischio! Ma il po­vero che non può comprarsi niente, si taglia i piedi sulla corda, arranca con le mani nel vuoto, e alla fine perde l'equilibrio e cade senza trovare un cane che lo raccolga. (Beve).

Milìca                          - (cattedratico) Questa è una concezione ma­terialistica della vita, zio Gògu...

Panait                          - Chiamala come vuoi... non cambia...

Milìca                          - Comunque, esiste lo spirito... Un essere può trovare la felicità anche al di fuori della ricchezza...

Panait                          - Va là, che so dove vai a parare... con queste idee per la testa, te lo dico io dove, la trovi la felicità! In una camera d'affitto, con un solo piatto a pranzo, il bambino col morbillo, il padrone di casa alla porta, il fisco alla finestra, l'esattore della luce in anticamera, e l'usciere sul tetto. Eccola, la tua felicità! Roba da libri! Di quelli che tu rubi in libreria! [Beve).

Milìca                          - Prego, zio Gògu, io non rubo: io prelevo dal mio conto. (Vanitoso) Prelevo nutrimento spirituale. E poi? Non è detto che in tutte le case ci debba essere il fisco alla porta e il bambino col morbillo.

Panait                          - Se non è morbillo, è scarlattina, il che fa lo stesso. (Sentenzioso) I bambini che non prendono le malattie infettive non sono sani.

Milìca                          - Grazie al cielo, c'è un mondo intero che vive senza la ricchezza.

Panait                          - Un conto è ,vivere per vivere, e un conto è vivere per star bene. Io ho fatto una brutta vita, e pei I questo voglio che le mie figlie vivano bene.

Natalia                        - Lascialo stare, Milìca! Con lui non si con. I elude niente. Piuttosto va a cercare ancora!

Milìca                          - Telefonerò a casa del signor Rosenthil!I andrò dalle amiche di Maria.

Natalia                        - Va dappertutto... bisognerà pure trovarli! Perché, guarda: mi è riuscito anche il solitario.

Milìca                          - Allora, arrivederci: vado e torno. (Fa atolli passi poi si volta) Zia Natalia... ti prego, prestami qualche spicciolo, che sono uscito da casa in fretta e ho dimenticato il portamonete... devo pagare il gettone del telefono...

Panait                          - Prova a metterci lo spirito, nel telefono, vedi se vale un gettone da cinque « lei »...

Milìca                          - Arrivederci... (Esce: si vede come in cortile s'incontra con Fàntza, che arriva. La saluta e le porta gesticolando, in modo da essere visto dal pubblico. Poi saluta e va via).

Fàntza                         - (entra in veranda e si ferma, poi scosta l'uscio e sporge il capo) Babbo, per favore, puoi aiutarmi a levare le soprascarpe?

Natalia                        - (avviandosi lei) Vuoi anche farti servire di tuo padre, ora?!

Panait                          - (piano a Natalia) Via, non cominciare...

Fàntza                         - (si è tolta le soprascarpe: entra in scena. E elegante, bella e profumata) Bella accoglienza! Ti sfoghi con me perché non ti è tornata a casa la figlia?

Natalia                        - (con un barlume di sorpresa) Come fai a saperlo? E' stata da te?

Fàntza                         - Da me? Neanche per sogno? L'ho saputo ora da Milìca (A Panait) Sempre tra i piedi quello lì?

Natalia                        - Milìca viene a trovarci un po' più spesso degli altri.

Fàntza                         - Già! Viene a trovarci!... Viene per Maria! (Cambiando tono) Guardate! Vi ho portato un po' di caviale avanzato da ier l'altro... un po' di sigarette estere per te (a Panait): me ne hanno mandato una scatola, ma a me non mi vanno, delle calze per te (a Natalia): hanno qualche buchetto, ma del resto son come nuove... (Posa i pacchetti sul tavolo) E a Maria le ho portato un vestito d'estate.

Panait                          - Ottima idea! Fuori, c'è un sole che spacca le pietre... (Comincia a disfare i pacchetti).

Natalia                        - Non dovevi incomodarti: da noi sei la  benvenuta anche a mani vuote.

Maria                          - (è comparsa inosservata in veranda. Cerca di mostrarsi allegra, ma non ci riesce. E' livida, gelata, si regge appena in piedi. Quando entra, vede tutti gli sguardi appuntarsi su di lei; cerca di essere disinvolta) Buon giorno!

Natalia                        - (piena di gioia, pur tentando di far la soste­nuta) Buongiorno! ,

Panait                          - Buongiorno... (Pausa imbarazzante).

Maria                          - (è rimasta sull'uscio, senza saper che fare) Buon anno! (Fa un passo senza direzione precisa).

Natalia                        - Buon anno...

Panait                          - (tace).

Fàntza                         - (tace. Si dà il tono di membro importante della famiglia).

Maria                          - (dopo un'altra pausa, sempre più confusa) Ho fatto un po' tardi...

Panait                          - Già, un po'...

Maria                          - Perdonatemi, ma...

Fàntza                         - (gelida) Dove sei stata, signorina?

Maria                          - (offesa) Quando me lo chiederà la mamma, risponderò.

Panait                          - Ed ecco che te lo chiede la mamma...

Natalia                        - (tace),

Fàntza                         - Non senti che te lo chiede la mamma?

Natalia                        - Siamo stati molto in pena... Ma, grazie a Dio, sei tornata e non ti è successo niente!

Maria                          - (in fretta) No, no, non mi è successo niente. Cosa doveva succedermi? Sai... ieri sera... ho avuto molto da fare in negozio... e...

Fàntza                         - E ci sei rimasta tutta notte.

Maria                          - No, non ci sono stata tutta notte. Ho detto forse di esserci stata tutta notte?

Panait                          - E allora dove sei stata?

Maria                          - Ecco... babbo...

Panait                          - Ti ho chiesto: dove sei stata?

Maria                          - (in fretta) Da Angela...

Fàntza                         - Chi è Angela?

Maria                          - (rossa e impacciata) E' una mia compagna di negozio... Voi dovete conoscerla...

Panait                          - E cosa ci sei stata a fare?

Maria                          - Niente... ma ier sera, verso le undici, quando siamo uscite dal negozio, mi ha invitata a passare una mezz'ora da lei... ci sono andate tutte le ragazze...

Panait                          - Dal negozio siete uscite insieme?

Maria                          - Sì: tutte insieme.

Panait                          - (occhiata d'intesa a Natalia) E poi cosa hai fatto?

Maria                          - Siamo andate da lei, e là ci ha dato... prosciutto... caviale... tacchino freddo... spumante... ecco, ecco! Ci ha dato dello spumante!

Fàntza                         - Brava! Tutto questo ben di Dio in casa di una commessa di negozio! E ce n'era per tutte voi!

Maria                          - Era un regalo di suo fratello, che è nego­ziante... le ha mandato due bottiglie per Capodanno... e le abbiamo bevute... e io ho bevuto più di tutte, perché era dolce e freddo...

Panait                          - E poi?

Maria                          - E poi... mi è venuto sonno...

Fàntza                         - Ah! E hai dormito fino ad ora?

Maria                          - Sì! Prima mi sono allungata un po'... solo cinque minuti... perché proprio mi girava la testa... E mi è venuto sonno, e Angela, stupida, non mi ha svegliata... Dice che le facevo pietà... e quando mi sono svegliata, era mattina... ecco tutto, babbo!

Fàntza                         - Strano! Dopo tanto dormire, hai quella faccia insonnolita! Ma guardati nello specchio, e vedi in che stato sei!

Maria                          - (istintivamente si guarda nello specchio) Eb­bene? Sto benissimo!

Natalia                        - Si sa che nel letto di un altro non si riposa bene.

Fàntza                         - Già... nel letto di un altro... « riposarsi » è una parola!

Maria                          - (scattando offesa) Fàntza! Bada come parli!

 Panait                         - Allora parlo io! Tu non dici la verità! Ieri sera sei uscita sola dal negozio... lo ha detto il custode a Milìca!

Maria                          - Il custode?

Panait                          - E gli hai dato anche la mancia di Capo­danno... (Pausa) Per conto mio, cara la mia ragazza, fa come vuoi... dormi tutta la vita dove ti capita!

Fàntza                         - Cioè come hai « dormito » stanotte « da Angela »!

Maria                          - Non è vero quel che tu credi! (A Fàntza, quasi urlando) Non è vero quel che credete! Non è vero, mamma! Credimi, babbo!... Sono stata da Angela! Ho dormito da Angela!

Milìca                          - (che è entrato inosservato durante questa bat­tuta) Non hai dormito da Angela! Ho telefonato pro­prio ora a suo fratello... Angela è là ancora ora, se vuoi saperlo. Ho parlato anche con lei! (Stupore. Maria resta impietrita, con gli occhi fissi) Sei uscita iersera dal ne­gozio, prima di tutte; me lo ha detto lei stessa!

Natalia                        - (fissa Maria, con aria desolata).

Fàntza                         - (sorride con aria di superiorità).

Milìca                          - (furioso, è rimasto sulla porta).

Maria                          - (ire mezzo a loro è rimasta rigida, sperduta).

Natalia                        - (aggrappata a un'ultima speranza) E' vero, figlia, quello che dice Milìca?

Maria                          - (fa cenno di sì col capo).

Panait                          - Hai mentito?

Natalia                        - (c. s.) E dove sei stata?

Maria                          - (non risponde).

Panait                          - Dove sei stata, signorina?

Natalia                        - Dove sei stata, figlia mia?

Milìca                          - Dove sei stata, Maria?

Fàntza                         - Dove sei stata, disgraziata?

Maria                          - (tace, a capo basso).

Natalia                        - (guarda a lungo Maria, e capisce. Si abbandona affranta su una sedia. Silenzio penoso).

Panait                          - (a Milìca) Fammi il piacere, va un po' a casa tua. Sarai un parente, ma non fai parte della famiglia.

Milìca                          - E non ci tengo affatto a far parte della fa­miglia! (Offeso, getta un ultimo sguardo di disprezzo a Maria e se ne va).

Natalia                        - Gògu... dammi una scatola di fiammiferi...

Maria                          - (con un grido) Mamma!

Natalia                        - (pacata, accorata) Mamma? Era meglio «e non ti mettevo al mondo. (Esce).

Panait                          - (prende dalla credenza una scatola di fiammi­feri) Bel regalo di Capodanno! (Esce dietro a Natalia).

Fàntza                         - (rimasta sola con Maria) Non hai bisogno di dirmi dove sei stata stanotte... Hai dormito da un uomo...

Maria                          - (accenna di sì col capo).

Fàntza                         - E' un ufficiale.

Maria                          - (accenna di no col capo).

Fàntza                         - (continua ad enumerare delle professioni e Maria fa sempre il medesima cenno di diniego col capo) Ingegnere? Dottore? Possidente? Banchiere? Impie­gato? Petroliere? Milionario? E allora cosa diavolo è? Non ha nessun mestiere?

Maria                          - (tace).

Fàntza                         - Non vuoi parlare?

Maria                          - Ma sì...

Fàntza                         - Chi è?...

Maria                          - E' un uomo...

Fàntza                         - Ma guarda che sorpresa! A questo proprio non ci pensavo!

Maria                          - E' un uomo molto per bene... Scrive.

Fàntza                         - Scrive? Cosa scrive?

Maria                          - Libri, romanzi, commedie...

Fàntza                         - Ho capito! Poeta! (Delusa) Uff! Solo un poeta ci mancava! Non avrà da vivere.

Maria                          - E' ricco... ha anche un servitore...

Fàntza                         - Allora vuol dire che Io mantiene suo padre...

Maria                          - Ma Fàntza! E' un uomo anziano!

Fàntza                         - Come, anziano? Poeti anziani non ce ne sono... I poeti non invecchiano mai, o muoiono, o cam­biano mestiere...

Maria                          - E' un uomo in gamba!

Fàntza                         - Bè, se è anziano, le cose cambiano...

Maria                          - Non c'è niente da cambiare...

Fàntza                         - (intendendola a modo suo) Cioè... fatto?

Maria                          - (intendendola in un altro modo) Fatto!

Fàntza                         - Eeee... gli vuoi bene?

Maria                          - (grave) Cosa c'entra l'amore col fatto che una notte, una donna o una ragazza, che è lo stesso, dorme in casa di un uomo?

Fàntza                         - Ma che dici? Sei matta?

Maria                          - Non lo dico solo io! E' una cosa tanto ele­mentare, che nessuno la discute più.

Fàntza                         - E allora cosa sei andata a fare da lui?

Maria                          - C'è un milione di motivi per indurre una donna o una ragazza, il che è lo stesso, a dormire da un uomo...

Fàntza                         - Ma va! Ce n'è uno solo!

Maria                          - Prego! Ora te li dico io. (Recitando la le­zione) La curiosità, il capriccio, il vizio, l'ambizione, la gelosia, la noia e l'interesse.

Fàntza                         - E di! tutti questi, qual è quello che ti ha fatto compiere la tua prodezza?

Maria                          - Nessuno... mi è venuta un'idea, così, in tram, mentre andavo in negozio.

Fàntza                         - E ora cosa vuoi fare? Vai a stare da lui?

Maria                          - Cosa dici?

Fàntza                         - Non vorrai dirmi che è ammogliato!

Maria                          - Non è ammogliato... Ima è come se Io fosse.

Fàntza                         - Allora ti prende un appartamento in città!

Maria                          - A me?

Fàntza                         - Dovresti capire che, così come stanno le cose, non puoi più stare a casa...

Maria                          - Perché?

Fàntza                         - Se tu ti 'sei compromessa, non devi compro­mettere tutti noi.

Maria                          - Ma, fra me e lui, tutto quel che c'è stato è cominciato e finito stanotte...

Fàntza                         - Come? Sei pazza?

Maria                          - No! Ma questo non potete capirlo, né tu né lui... è stato un sogno, e i sogni durano solo una notte...

Fàntza                         - (la guarda interdetta).

Maria                          - (pensierosa) Sai cosa vuol dire un istante di felicità, Fàntza? Di felicità intera, assoluta?

Fàntza                         - Va là, che la conosco io quella felicità... m ' ogni caso quest'uomo ha degli obblighi verso di te, che derivano dal fatto...

Maria                          - Nessun obbligo!... Io sono andata spontanea' mente da lui... io ho voluto tutto... perché lo amavo,., perché lo amo ancora, anche se non mi ha compreso.. anche se mi ha umiliata... anche se non lo vedrò mai più,.,

Fàntza                         - Cosa dici? Ah, no, bimba mia! Se tu sei sciocca, ci siamo qui noi a far valere i tuoi diritti, perché tu sei minorenne... Un mascalzone che abusa dell'inge­nuità di una ragazza è responsabile, questo sta scritto nel codice penale.

Maria                          - Ma non ha abusato di niente! Tutt'altro! Ho abusato io della sua ingenuità!

Fàntza                         - Ma che discorsi son questi, Maria? Ti rendi conto di quello che dici?

Maria                          - Certamente. Io, per prima, mi sono legata « lui; quando gli ho detto i miei versi e mi sono addor­mentata in poltrona. (Con tono cambiato) Ah, come stavo bene! Qualunque donna si sarebbe addormentata al mio posto! (Una pausa, e un momento di grande tristezza) Fàntza! Se tu sapessi quanto sono felice!

Fàntza                         - Succede sempre così all'indomani. Ma più tardi ci si pente di quel che si è fatto!

Makia                          - Non mi duole per me. Mi duole per loro. (G* sto verso la porta di dove sono usciti i genitori).

Fàntza                         - A loro dovevi pensarci prima. Hai gettato il ridicolo su tutta la famiglia!

Maria                          - E cosa faccio ora? Dove vado?

Fàntza                         - Affar tuo! Da «Angela ».

Maria                          - (fra i singhiozzi) Dio mio... Dio mio... Dio mio... (Siede al tavolo e piange col capo fra le mani).

Natalia                        - (dalla porta socchiusa) Fàntza! II babbo ti vuole un momento. Maria      - (levando il capo) Mamma! Natalia        - (dalla porta) Non chiamarmi più con questo nome! Non ho più figli! (Chiude la porta sbattendola).

Fàntza                         - Grazie. (Uscendo, a Maria) Ora ci voleva anche il consiglio di famiglia!

Maria                          - (rimasta sola, si leva dopo un istante, si asciuga gli occhi, che restano tuttavia lacrimosi, e guarda nel vuoto, pensando a qualcosa di grave).

MilÌca                         - (entra: ha qualcosa di nuovo nell'andatura e nello sguardo. Ha bevuto) Son io. Ho da dirti solo due parole...

Maria                          - (lo guarda e tace).

Milìca                          - Senti! (Gli accosta la bocca).

Maria                          - Sai di grappa... perché hai bevuto?

Milìca                          - Perché so tutto: questa notte sei stata da Alessandro Mànea.

Maria                          - (punta sul vivo) Come fai a saperlo?

Milìca                          - Me lo ha detto Angela al telefono, poco fa, ma non ho voluto svergognarti davanti a tuo padre... Sei andata a portare una collana... Hai insistito per andarci tu... Hai persino discusso con Rosenthal.

Maria                          - Taci!

Milìca                          - Perché tacere? Ora capisco perché mi chie­devi i libri di Mànea, appena uscivano... perché ritagliavi le sue fotografie dalle riviste... Ora capisco che l'auto­grafo della « Giornata del Libro » non l'hai avuto per caso. Ve l'intendevate, voi due... vi conoscevate da molto... Ridevate alle mie spalle...

Maria                          - (con un sorriso triste) Milica!

Milica                          - ...E io che l'ho lanciato... che se non gli met­tevo io i libri in vetrina, stava fresco!... Non ha l'ombra del talento... Mercante di carta stampata a dieci edizioni per volta!... Aspetta che si faccia rivedere in libreria: gli mollo due ceffoni da farlo girare come una trottola!

Panait                          - (tossisce dietro la porta: entra, si avvia, annullando, verso Mitica) Eeee... mondo nuovo!

Milìca                          - Tutto è vecchio e nuovo al mondo...

Panait                          - Ehi, galantuomo, vieni qua un momento!

Milìca                          - (gli si avvicina).

Panait                          - Soffiami un po' in faccia... Tu sai di grappa! Della « mia » grappa!

Milìca                          - Prego, zio Gògu...

Panait                          - (controllando la bottiglia) Mi hai toccato l'elisir... non sapevo che bevessi di mattina... Vattene!

Milìca                          - Non ho bevuto dalla vostra bottiglia... Ho bevuto all'osteria.

Panait                          - Hai bevuto i soldi dei gettoni...

Milìca                          - Sono triste, zio Gògu...

Panait                          - E cosa ti è successo? Ti è fallita la banca?

Milìca                          - Sono stato ferito nell'anima...!

Panait                          - E allora, va subito a casa a fasciarti, se no ti viene l'infiammazione!

Maria                          - Babbo...

Panait                          - Non comparirmi più davanti! (Ha preso dalla credenza un oggetto qualunque, ed esce).

Milìca                          - (guardando verso la porta di dove è uscito Panait) Ha ragione... qui non ho più niente da fare...

Maria                          - Anche tu mi abbandoni?... Anche tu?... Il mio solo amico... il solo che avrebbe potuto capirmi...

Milìca                          - Cosa c'è da capire?... Che mi son fidato di le come uno scemo... e invece sei come tutte le altre! (Si mette il cappello in testa) E non credere che io soffra­li mondo è pieno di donne... specialmente di quelle come te... dappertutto donne! Donne! Donne! (Esce).

Maria                          - (resta sola... Dopo un po' di tempo, si asciuga le lacrime, che però continueranno a scorrerle sul volto, e va al centro della scena. Ha preso una decisione grave... Va al suo divano... Guarda, a una a una, tutte le sue cose... Toglie da un cassetto un portafoglio, e ne con­trolla, visibilmente per il pubblico, il contenuto: alcuni biglietti di banca. I suoi risparmi. Prende un foglio di tarla, ci scrive qualcosa, ci mette il portafoglio sopra. Fa lo stesso con un anello, con la propria fotografia che Macca dalla parete, col vaso da fiori. Prende i romanzi di Alessandro, ne fa una pila, ci scrive sopra, ripetendo le parole ad alta voce) Questi volumi... saranno sepolti con me... (Poi va alla credenza e prende una scatola di fiammiferi... prende la bottiglia di grappa, e siede al ta­volo e comincia a spuntare i fiammiferi, gettandone le oapocchie nella bottiglia di grappa. Dalla strada viene un mono d'organetto).

Alessandro                  - (entra non visto. Al suo entrare cessa il suono d'organetto dalla via. Egli si ferma un momento, guarda, capisce, accorre verso di lei) Gioietta!

Maria                          - Voi!

Alessandro                  - Gioietta! Che vuoi fare?

 

Maria                          - Io?.. Niente... Così... giocavo...

Axessandro                 - (molto serio) I bambini non devono mai fare certi giochi! (La prende per le spalle, la fa voltare con la fronte a lui, la guarda negli occhi) Una ragazza come te... che ha tutte le vie aperte verso la felicità... che ha ancora tutta la vita davanti a se!

Maria                          - Cosa ne sapete voi?

Alessandro                  - So che così dev'essere... Che è giusto che sia così... (Pausa) Gioietta, vuoi essere mia moglie?

Maria                          - Io? (Resta pietrificata).

Alessandro                  - Tu, Gioietta!

Maria                          - (dopo una pausa) Ah... sì... capisco... avete compassione di me. No, signor Mànea... grazie... non voglio essere vostra moglie.. (Scoppia in lacrime) Non voglio essere sposata per filantropia...

Alessandro                  - Ma dopo quello che è successo fra noi la notte passata...

Maria                          - Ora si è fatto giorno, e tutto è finito!

Alessandro                  -  E sia: ma anch'io ho da dire la mia parola.

Maria                          - La vostra « parola » me l'avete messa nella borsetta!

Alessandro                  - Quei soldi te li avevo messi nella bor­setta... da principio... quando sei venuta... quando non eri altro per me che una ragazza qualunque... che mi aveva reso un servizio... ed alla quale volevo dare un compenso. Ma poi, stanotte, è successo fra noi qualcosa di nuovo... così bello... così grande... così meraviglioso...

Maria                          - Ma cosa volete che sia successo stanotte?!

Alessandro                  - L'hai dimenticato?

Maria                          - No, ma non me ne ricordo più.

Alessandro                  - Fai così presto a dimenticare?

Maria                          - E' un uso di famiglia: noi dimentichiamo da oggi a domani, parole e fatti. Ci piace far così...

Alessandro                  - (guardandola) Ma davvero! Anche quando avete gli occhi pieni di lacrime?

Maria                          - Io? Ma neanche per sogno!

Alessandro                  - Guardati gli occhi nello specchio.

Maria                          - E' perché ho bevuto una bottiglia di grappa... Macché spumante! Questa è la bevanda che fa per me... acquavite a sessanta gradi...

Alessandro                  - E perché hai bevuto?

Maria                          - Per dimenticare.

Alessandro                  - Ma cosa volevi dimenticare?

Maria                          - Quello che vi ho detto d'aver dimenticato.

Alessandro                  - Lo credi tanto facile?... Dimenticare ciò che è successo fra noi?

Maria                          - Ma che importanza può avere questo per voi?... Voi ci siete abituato... avete tante ammiratrici! Ed è naturale: siete qualcuno... siete bello...

Alessandro                  - Io?

Maria                          - So anche quante lentiggini avete in faccia... (Lo guarda un momento con ì suoi veri occhi) Beh... quando ho detto bello, forse ho esagerato... Ma insomma, siete belloccio... ilo guarda) fin da ragazzo... così che... non mi stupisco se anche altre hanno fatto quello che ho fatto io... Sono venuta così all'improvviso... Vi è parso divertente trattenermi a cena; forse vi è parso roman­tico: un signore in marsina che festeggia il Capodanno con una commessa di negozio!

Alessandro ;                - Gioietta!

Maria                          - Sei stato gentile... sei stato carino... e tutto si è svolto come nei romanzi... un po' di conversazione, un sorso di spumante... e un biglietto da mille nella borsetta per comprarmi un regaluccio...

Alessandro                  - Hai ragione... mi sento colpevole...

Maria                          - Perché avete preso sul serio quel che vi ho detto stanotte... perché forse avete creduto che io vi ami... che io soffra... state fresco! Mi sono divertita anch'io!

Alessandro                  - (non crede una parola) Sì, ma... io non ho diciotto anni, Gioietta... alla mia età ci sono cose, sulle quali non si può più scherzare... Avrei dovuto parlare prima di lasciarti uscire da casa mia, ma non potevo farlo: non ero libero. Ora mi sono sbarazzato della mia amica.

Maria                          - Elvira?

Alessandro                  - Sì... quella della fotografia... Credo tu abbia capito cos'era Elvira per me... era il ballo... la vetrina... era la vita «he io conducevo. Mia, senza esser mia... La vita che ho vissuto per abitudine... per pigrizia... per noia... accanto a lei... accanto agli altri, e, soprattutto, accanto a me...

Maria                          - Insomma, siete venuto a parlarmi di lei?

Alessandro                  - Sono venuto perché sono un uomo libero. Un uomo che ha concluso una esistenza, e si prepara a cominciarne un'altra...

Maria                          - E cosa vi ha deciso a far questo?

Alessandro                  - La notte che ho passato con te, Gio­ietta... Stanotte... nella mia anima... è avvenuta una rive­lazione...

Maria                          - Oh, che cosa?

Alessandro                  - Vedi, Gioietta, stanotte, quando ti stavo di fronte e tu ti meravigliavi del mio silenzio... non so perché, ho sentito a un tratto tutto il vuoto della mia vita di scapolo... il bisogno di una compagna della mia vita... mi sono accorto di avere sprecato i miei anni, fino ad ora... ho compreso di non essere mai stato felice, perché non ho mai amato...

Maria                          - Voi non avete mai amato?

Alessandro                  - Di un amore come quello che sento ora, no. E questa è la rivelazione di cui ti parlavo... Ma ti aspettavo. Al di là dei fatti, della volontà, della logica e degli uomini. Ti presentivo... intuivo che un giorno sa­resti venuta, e ti aspettavo inconsciamente...

Maria                          - (confusa, felice più per istinto che per coscienza della vanità) E io che credevo di avervi fatto una sor­presa... Se lo avessi saputo, sarei venuta molto prima...

Alessandro                  - Sei venuta a tempo...

Maria                          - Come?

Alessandro                  - Vedi dunque... che non è per compas­sione... che ti ho detto che mi sei cara, Gioietta... Che voglio averti per moglie. (Le si avvicina).

Maria                          - (gli cade fra le braccia e si baciano lungamente).

Alessandro                  - (accarezzandola) Bimba mia... donna mia...

Maria                          - Tua!

Alessandro                  - Non ;sei una donna... sei una bambina cui mancano soltanto le ali per essere un angelo...

Maria                          - (in estasi) Che belle cose sai dire! Bisogna che ti baci ancora una volta... bisogna... (Lo back, con altro tono) Sei felice?

Alessandro                  - (gravemente) Sì.

Maria                          - Con che tono hai detto « sì »!

Alessandro                  - Perché ti ho risposto sul serio...

Maria                          - Anch'io sono felice, ma non riesco ad esser» seria-.

Alessandro                  - Tu devi essere solo felice...

Maria                          - Ah, che gioia essere felice! (Si precipita ad aprire la porta di destra, e la spalanca. Di colpo grida) Mamma! Mamma! Mamma! (Quadro vivente nella cor­nice della porta. Fàntza, in ginocchio, guardava dal buca della serratura; Panait stava con l'orecchio contro il bai-tenie e la sigaretta accesa; anche Natalia origliava, più discretamente, alquanto discosta. Quando si spalanca la porta, sui loro volti ci sono tre sorrisi: invidioso quello di Fàntza, soddisfatto quello di Panait, e felice quello di Natalia. Maria resta di sasso davanti a loro. Alessandro sorride. Fàntza si alza in piedi, imbarazzata. Panait e Natalia restano appoggiati, a destra e a sinistra della porta. Maria con gesto da padrona di casa): La mia fami­glia. (Maestosa) Il mio 6poso e signore.

Alessandro                  - (a Natalia, baciandole la mano) I miei omaggi, signora...

Natalia                        - Grazie... (Ritira subito la mano).

Alessandro                  - (baciando la mano di Fàntza) . Signora...

Fàntza                         - Enchantée...

Alessandro                  - (stringendo la mano a Panait) Molto piacere, signor Panait...

Panait                          - Il piacere è mio, signore...

Alessandro                  - Signor Panait... certo vi sorprende il fatto... di trovarmi qui in casa vostra in una veste che Gioietta vi ha rivelato così... spontaneamente... In verità, il mio più vivo desiderio è di essere, col vostro consenso, il suo « sposo e signore ».

Panait                          - Caro signore... prima di tutto io non mi sor­prendo di niente... Da quando hanno inventato la radio e ho sentito, qui in via Plevna, un concerto da Tokio, mi son detto che non bisogna più meravigliarsi di niente», e poi... perché complicare le cose? Se Maria vuol pren­dervi, anche noi siamo contenti, a una condizione, però: che sia per il bene.

Natalia                        - (fa un cenno a Maria).

Maria                          - (si avvicina, e ascolta quel che le dice Natalia all'orecchio. Esce in fretta).

Panait                          - (dopo una pausa) Mia figlia non è che uni brava ragazza, credetelo...

Natalia                        - E' «molto» brava, Gògu: dì la verità!

Alessandro                  - E' pi angelo...

Panait                          - Voi dite giusto... perché sta sempre con la testa fra le muvole... le manca il senso pratico della vita...

Alessandro                  - E’ tanto giovane...

Panait                          - Giovane, giovane... ma ci vuole anche uno scopo pratico nella vita. Lei stava tutto il giorno a far poesie, o a leggere quelle scartoffie là...

Alessandro                  - (dando un'occhiata ai libri) Tutti i miei romanzi...

Panait                          - Voi siete quello1' che glieli ha dati?

Alessandro                  - Io sono quello che li ha scritti...

 Panait e Natalia         - (sorpresi) Come?!

Panait                          - Allora voi siete...

Alessandro                  - (sorridendo) Si.

Panait                          - Mi pare di aver letto sul giornale che state per entrare nell'Accademia...

Alessandro                  - Può darsi...

Panait                          - Ma, signore... avete pensato bene a quello che fate?

Alessandro                  - Ci ho pensato benissimo...

Panait                          - E allora, da parte nostra, siamo felici di avervi nella nostra famiglia!

Alessandro                  - Vi ringrazio.

Panait                          - Spumante non ne abbiamo, se vi contentate di un rinfresco alla buona...

Natalia                        - Ci ho già pensato, Gògu... è andata Maria.

Alessandro                  - Sono certo che staremo tutti bene.

Panait                          - Voi due starete benissimo... quanto a noi... (indica il soffitto) passeremo presto la dogana dell'aldilà. Speriamo che sia permesso portare con sé un po' di grappa...

Elvira                          - (appare sulla porta) Buongiorno...

Alessandro                  - (resta meravigliato al vederla).

Panait                          - Buon giorno, signora...

Elvira                          - Alessandro... devo parlarti subito... (Parla concitatamente).

Panait                          - Prego, se noi disturbiamo... (Accenna ad andarsene).

Alessandro                  - Potete rimanere.

Elvira                          - (trasalendo) Voglio parlarti subito! Sei vit­tima di un imbroglio... di un volgarissimo ricatto...

Alessandro                  - Ma che cosa dici?

Elvira                          - Mi hai detto che devi separarti da me... per poter essere libero di offrire alla signorina che è stata stanotte da te...

Panait                          - (a Natalia) Allora lui è «Angela»...

Elvira                          - ...qualunque riparazione... per il « delitto » commesso a casa tua. Ebbene non è avvenuto nessun «delitto». Poco fa è venuto Christian da me... gli ho detto tutto..! s'è messo a ridere a crepapelle... il solo delitto è stato un bacio, che lui ha strappato alla vittima nel sonno... e questo perché era ubriaco... altrimenti...

Alessandro                  - (illuminandosi) E' proprio vero?...

Elvira                          - Parola d'onore! Christian è indignato che In lo abbia potuto credere capace di una simile inde­licatezza con una commessa di negozio...

Alessandro                  - (va a prendere la bottiglia di grappa) E ora ti assicuro che imi ubriaco anch'io per la felicità, Elvira!

Elvira                          - Lo credo bene... e devi ringraziare solo me per lo scampato pericolo... D'altronde ora non c'è più ragione di separarci,

Alessandro                  - Mi sposo, Elvira. Sposo la « vittima ». Ero pronto a sposarla prima delle tue spiegazioni; ora sono decisissimo.

Elvira                          - (sarcastica) Allora perdonami se ti ho distur­bato... in famiglia...

Maria                          - (entra reggendo sulle due mani due vassoi colmi di tortine e bicchieri. Apre la porta spingendola con le spalle, ed entra camminando all'indietro).

Elvira                          - Pfui!... Mi par di vederti fra un anno...

 

Maria                          - (la sente, posa i vassoi sulla credenza, e si volge verso di lei guardandola sorpresa. Si volge ad Alessandro, e chiede col gesto se è quella della fotografìa).

Alessandro                  - (conferma, con un sorrisetto).

Elvira                          - (trasale) Ah!... forse... è la tua fidanzata?

Maria                          - In persona! (La guarda fieramente).

Elvira                          - Complimenti, signorina!

Maria                          - Grazie, altrettanto.

Elvira                          - (il guarda con disprezzo ed esce con sussiego).

Alessandro                  - Gioierta... Gioietta... (Gli prende una mano e vuole attirarla a se).

Maria                          - Lascia: ora ho da fare. (Prende un vassoio coi rinfreschi: Fàntza prende l'altro. Natalia vuol versare la grappa nei bicchierini).

Panait                          - Scusa (La ferma con un gesto; va a cercare un'altra bottiglia nella credenza).

Maria                          - (presentando il vassoio ad Alessandro) Cosa vuoi? Caviale nero o rosso?

Alessandro                  - E tu, cosa vuoi?

Maria                          - Io, prosciutto... (Si serve).

Panait                          - Senti, Natalia!... Avevamo da parte una bot­tiglia di grappa del tempo del voivoda Giovanni il Tre­mendo... Dov'è?

Natalia                        - Dietro il barattolo della marmellata...

Milìca                          - (entra, ancora più ubriaco di prima. Ha un'aria grave e decisa).

Panait                          - Eee! Benvenuto, cavaliere!...

Milìca                          - (dignitoso) Zio Gògu.. posso parlarvi seria­mente?

Maria                          - (ad Alessandro) Conosci Milìca?

Alessandro                  - Sì... mi pare di averlo visto, non so dove...

Panait                          - (a Mitica) Avanti, fuori quel che hai da dire! (Stura la bottiglia).

Milìca                          - Zio Gògu.. io ho l'onore di chiedere la mano di Maria

Panait                          - (mescendo) Chiedila pure! Purché suo marito te l'accordi... (Gli indica Alessandro).

Milìca                          - Non capisco cosa volete dire... Come, Maria sposa?,.. Maestro, non mi aspettavo questa conclusione... è bellissima! Concluderò così il mio romanzo...

Alessandro                  - Scrivete un romanzo?

Maria                          - Autobiografico.

Alessandro                  - Bene! Quando sarà pronto, vi scriverò io la prefazione, e vi troverò un editore...

Milìca                          - Maestro! Questo è di colmo della fortuna!

Panait                          - (leva il bicchierino) Ragazzi! (Tutti levano i bicchieri) Mille di questi giorni a tutti... a una sola con­dizione: che sia per il vostro bene.

Maria                          - (ad Alessandro) E quella là, cosa voleva? Perché è venuta?

Alessandro                  - Per portarmi il più bel regalo di nozze.

Maria                          - (va a prendere il garofano dal bicchiere) Ecco! Ieri, quando sono uscita di casa, l'ho colto per portartelo... e poi... ho cambiata idea... ma si vede che era destino che fosse per te. (Glielo infila all'occhiello).

FINE