Sole d’ottobre

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(1916)

Commedia in tre atti

di Sabatino LOPEZ

Rizzoli Editore Milano - 1960

PERSONAGGI

RUGGERO

DOMENICO

ROSALIA

NORINA

LA SIGNORA ROLIER

LA SIGNORA DORTOLI

LA SIGNORA FIRMANI

IL DOTTORE

GIANNINA

GARIBALDO

A Palazzolo. Oggi.

A Sisa, mia moglie

ATTO PRIMO

Una vasta sala di una villa signorile, a pian terreno, che da su un ampio giardino. Una scala interna con­duce al piano superiore.

(Garibaldo è seduto che aspetta, e mostra dei tele­grammi che ha in mano a Giannina che è in piedi.)

GARIBALDO      Guardate qui quanti sono! Son arri­vati tutti tra stanotte e stamani.

GIANNINA        Nientemeno! E che dicono?

GARIBALDO      Non vedete che son chiusi, o grulla?! Li ho ritirati or ora al telegrafo.

LA VOCE DI DOMENICO (dall'alto)  Vengo subito.

GARIBALDO      (alzandosi)  Sissignore, son qui che aspetto. (Breve silenzio. A Giannina)  Fa freschino stamane! E siamo ai primi di giugno! Tempo matto! E bisognava sentire alle cinque, quando mi sono alzato. Perché io mi alzo presto. (Malizio­so)  Voi l'avete, fresco?

GIANNINA        Così...

GARIBALDO      Io saprei come si fa a scaldarsi! Che ci vogliamo provare? Così ci mandano tanti tele­grammi anche a noi.

GIANNINA        Cucù! Avete bevuto di buona mattina?

DOMENICO      (entrando)  Buongiorno, Garibaldo.

GARIBALDO      Buongiorno, signor padrone. Ecco: so­no per Lei. (E gli dà i telegrammi.)

DOMENICO      Fa' vedere. Li guardo e poi andiamo. (Ne apre uno e legge)  « Auguri al piccino e alla mamma ». (Ne apre un altro.)  « Auguri alla mam­ma e al piccino ». (Ne apre un terzo.)  « Alla mam­ma, al babbo e al piccino tanti auguri ». Sono tutti uguali! (Ne apre un quarto.)  « Congratulazioni ai genitori... ». (Sospende.)  Finalmente eccone uno che muta. (E prosegue)  « E tra un anno una bam­bina ». Chi è? (Guarda la firma; sorridendo)  Lo zio Francesco. Non è mai contento, quell'uomo. - Gli altri li vedrò più tardi. Tanto!... (Li mette in tasca. A Garibaldo)  Andiamo, Garibaldo. (A Giannina)  Venite a chiudere.

(Escono. La scena rimane vuo­ta. Dopo un minuto discendono Rosalia e il dottore. Parlano già sulla scala.)

ROSALIA           Lei dunque assicura che non c'è nulla da temere perché tutto va regolarmente?

IL DOTTORE     Come non si potrebbe desiderare meglio: come del resto si prevedeva. Da sposi sani, giovani, belli, non potevano nascere che figlioli sani, forti e belli.

ROSALIA           Vero che è carino? Ha già tanti capelli! E le sue fossette alle mani... E le ditina affusolate... È proprio carino!... Però ha strillato tutta notte.

IL DOTTORE     Niente di male: si rinforza i polmoni.

ROSALIA           Ecco: non ha niente, vero? Sa, si è sem­pre in apprensione. La mamma specialmente. Il primo figliolo! Lei immagina. Io gliel'ho detto: « Vuoi star più tranquilla? E tu chiama il dottore ». Ha visto com'è contenta, serena? È tutta un sorri­so. Bravo, ha fatto bene a venir presto e la ringra­zio molto. Arrivederla, dottore. Quando torna?

IL DOTTORE     (d'un tratto)  Ma Lei, scusi, chi è? non ci hanno presentati.

ROSALIA           (sorride)  Ah, è vero. Forse Norina cre­deva che ci conoscessimo e non le ha detto. Io sono la nonna.

IL DOTTORE     La nonna? Lei! È inverosimile.

ROSALIA           (senza gioia)     Eppure!...

IL DOTTORE     Così giovane?!

ROSALIA           Non tanto.

IL DOTTORE     Mi perdoni, sa, se prima non le ho rivolta la parola. Credevo una parente lontana, un'amica... - Nonna materna?

ROSALIA           Sissignore.

IL DOTTORE     Potrebbe essere Lei la mammina. Davvero. - E non ha altri figlioli oltre la signora?

ROSALIA           Altri.

IL DOTTORE     Ha cominciato presto, ma ha finito anche presto. Speriamo che la signora, su, non la imiti; e continui a darci dei maschi. Ma Lei quan­do è arrivata? Quando il bambino era già nato?... A cose fatte?

ROSALIA           Già; non prevedevo che fosse così presto e sono qui soltanto da ieri mattina. - E pensavo di essere in anticipo!

IL DOTTORE     (si congeda)  Riverisco. E se non mi chiamano, non vengo più, perché proprio non occorre. Ma Lei non si disturbi ad accompagnarmi. Conosco la strada: torni, torni pur su.

ROSALIA           Grazie. Vado a cogliere due fiori. (Gli porge la mano.)

IL DOTTORE     (bacia la mano)  Tanto piacere. (Esce.)

ROSALIA           (come ripensandoci, chiama)  Giannina, Giannina!

(Entra Giannina.)  Se mi cercano, sono in giardino.

GIANNINA        Sì, signora contessa.

ROSALIA           Intanto stateci attenta voi, mi raccoman­do. Potete rimaner giù, perché la signora ha chi l'assiste. Meno gente rimane su in camera, è me­glio: minor confusione e più aria. Può darsi che la signora si assopisca e si riposi. Così badate alla porta. Vado. (Esce a sinistra).

(Giannina resta sola. Mette un po' d'ordine, senza fretta e senza rumore, per abitudine, e canticchia. Da destra suonano. Giannina non se ne dà per intesa e continua a can­ticchiare. Suonano più forte. Giannina si decide, ed esce a destra. Ritorna preceduta da Ruggero.)

RUGGERO         (entra, sicuro)     Come sta la signora?

GIANNINA        Sta bene, ma... Lei...?

RUGGERO         Io sto benissimo. Ma io non ho fatto un bambino. È un bambino, vero?

GIANNINA        Un bambino.

RUGGERO         Ecco: un maschio. Ora son tranquillo. Perché il telegramma dice bambino, ma da un o a un'a... si fa presto a cambiar il sesso per tele­grafo. E voi chi siete?

GIANNINA        Sono Giannina, la balia asciutta.

RUGGERO         Ah, capisco: perché la signora allatta da sé. - Asciutta, ma in carne...

GIANNINA        Sono di Bergamo.

RUGGERO         Perché a Bergamo son tutte così? Con­gratulazioni.

GIANNINA        Ma... scusi... il signore chi è?

RUGGERO         Io? Ah! già! Io sono il nonno.

GIANNINA        Oh! Ma il papà della signora non è morto?

RUGGERO         Da un gran pezzo. (E accompagna le parole col gesto.)  Ma io sono il papà del padrone. Il padrone non c'è?

GIANNINA        È andato in Municipio per la denunzia di nascita. - Il signore mi scusi, ma io non sapevo, non immaginavo che Lei... Non dicono mai nulla!

RUGGERO         E voi vorreste saper tutto. Si capisce. -Ma anche se vi avessero detto, non avreste suppo­sto che il nonno fossi io.

GIANNINA        (convinta)    Ah. nossignore.

RUGGERO         Ecco. Questo mi fa piacere. Sono ancora in gamba, sapete. In tutto. (E si avvia verso la scala.)

GIANNINA        E... la roba del signore?

RUGGERO         Quale roba? le valige? per ora, tutto all'albergo. Poi vedremo. - E la contessa?

GIANNINA        È arrivata ieri.

RUGGERO         Lo so.  Mi ha telegrafato.

GIANNINA        Ora è in giardino. Vuole che gliela chiami? (E si avvia.)

RUGGERO         (fermandola)  No. Lasciatela stare. Ci sarà tempo. (Sale la scala e va su. Suonano ancora.)

GIANNINA        Chi può essere? Il padrone ha la chia­ve. Mai un minuto tranquilli. (Esce, rientra con la signora Rolier.)

LA ROLIER        (col cappello e l'abito da automobilista)  No, no: non entro e non mi faccio vedere. Soltanto sapere come sta la signora e come sta il bambino.

GIANNINA        Bene, bene: tutti e due bene.

LA ROLIER        Ho piacere. È un bel piccino?

GIANNINA        Bellissimo, signora. Guardi: due occhi così.

LA ROLIER        Che nome gli mettono?

GIANNINA        Non me l'hanno detto. (Dolente)  Non dicono mai niente!

LA ROLIER        E il papà è fuori?

GIANNINA        Sì, signora, è fuori. Ed è arrivato anche il papà del padrone... Se lo vedesse, non lo direbbe!

LA ROLIER        Che cosa « non lo direbbe »?

GIANNINA        Che è il nonno. Pare quasi un fratello del padrone.

LA ROLIER        Gli somiglia tanto?

GIANNINA        No, non gli somiglia affatto, ma dico per l'età. - Non si è ancora incontrato col padrone: s'immagini la festa quando il padrone lo trova! Ma so Lei vuol vedere la signora contessa, la mam­ma della signora... è in giardino.

LA ROLIER        No, non occorre. Dite poi alla signora che c'è stata la signora Rolier a chiedere notizie e che tornerà un altro giorno, quando sarà in grado di ricevere. Ora non la vuol disturbare. E tanti rallegramenti, tanti auguri a tutti. Scappo via, per­ché ho l'automobile alla porta.

GIANNINA        Come vuol Lei!

LA ROLIER        E il padrone? È contento il padrone? Salutatemi anche il padrone.

GIANNINA        Sissignora: non dubiti.

LA ROLIER        La signora Rolier: ricordatevi. - Voi siete entrata al servizio?

GIANNINA        Sissignora, da ieri. Sono la balia asciut­ta. Sono di Bergamo.

LA ROLIER        Benissimo. Arrivederci.

GIANNINA        Arrivederla.

(Ruggero scende la scala, si sofferma, saluta col capo. La signora Rolier lo guarda con viva curiosità, risponde con un piccolo segno del capo, esce, accompagnata da Giannina che rientra subito.)

RUGGERO         Come si chiama quella signora?

GIANNINA        La signora Rolier.

RUGGERO         Ah! è un'amica della signora?

GIANNINA        Credo. Ha chiesto notizie e ha lasciato tanti saluti anche per il padrone. Dice che tornerà presto.

RUGGERO         Bella signora!

GIANNINA        È venuta in automobile. E guidava lei!

RUGGERO         Non è una ragione sufficiente: si può venire a piedi ed essere belle, ed è possibile... (Si volge.)  Oh!

(La contessa Rosalia entra con pochi fiori in mano. Saluta cortesemente, ma senza trop­po calore.)

ROSALIA           Buongiorno. Bene arrivato. (A Giannina)  Potete andare.

RUGGERO         Buongiorno, contessa. Sono molto lieto di ritrovarla.

(Giannina è uscita durante queste parole.) 

Si ricorda? Il giorno delle nozze dei nostri figlioli io le diedi appuntamento qui dopo dieci mesi. Io sono stato buon profeta, e gli sposi hanno fatto il loro dovere. Non occorre chiederle come sta: Lei è sempre più giovane. Un fiore tra i fiori.

ROSALIA           (gentile, ma fredda, deponendo le rose sul­la tavola)    Lasci stare i complimenti.

RUGGERO         Non è un complimento: è il mio modo di dire che Lei sta bene in salute. E dunque, con­tessa? Vogliamo congratularci a vicenda? Congra­tuliamoci, perché è di prammatica. Ho veduto il piccino, e ho veduto la mammina: la mammina ride, il piccino piange: va tutto bene.

ROSALIA           Sì: grazie a Dio, per questo rispetto tutto è andato bene. Però...

RUGGERO         Il bimbo continua la casa, e questo mi fa piacere; e ci fa nonni, e questo mi fa assai meno piacere. La cosa non è allegra, almeno per me, per­ché ci invecchia... ma congratuliamoci pure.

ROSALIA           (lenta e fredda)  Come siamo diversi! Lei ha subito pensato che il piccino la invecchia; io invece ho sentito che il piccino mi ringiovanisce: come si spiega?

RUGGERO         (sorridendo)  Si spiega che io sono il vizio, e Lei è la virtù. Si ricorda quel che le dicevo quando ci siamo conosciuti? Non ho cambiato parere.

ROSALIA           Che io sia la personificazione della virtù è troppo...

RUGGERO         E che io sia la personificazione del vi­zio, non le pare troppo? - È eccessiva, sa. Lei mi ha sempre visto sotto L'apparenza di un Mefistofele o di un Don Giovanni. No, sono più le voci che le noci. Lei ha preso sempre alla lettera certi miei atteggiamenti e certe mie parole. No, no, signora mia; soltanto mi pare che sia un po' presto per essere nonno. Non credo di averne l'aspetto e neppure la preparazione. Pensi che ho ancora per le mani qualche piccolo intrigo e che...

ROSALIA           (severa)  La prego, non ricominci con la storia dei Suoi piccoli intrighi che non mi interessano affatto.

RUGGERO         (sorridente)  Ha ragione, contessa; scusi.

ROSALIA           Non è proprio il giorno.

RUGGERO         Ha ragione, ma dicevo per spiegare, per giustificare: ognuno nasce col suo temperamento. Visto che per me non c'è di veramente bello al mondo che l'amore, così... Come ha detto il poeta? « Noi  troppo  odiammo e  soffrimmo!   Amate... ».

ROSALIA           Ma crede che il poeta si sia disturbato a cantare proprio il Suo appetito? Io non credo. L'a­more del quale cantava il poeta era un altro: l'amo­re della famiglia, l'amore della patria...

RUGGERO         Anche, anche. Ma anche il mio. Tutti gli amori e tutto l'amore. Io capisco da oggi anche l'amore per l'infanzia! (Con un buon sorriso)  An­che per quel cosino piccolo, lassù, per quel mo­striciattolo...

ROSALIA           Non lo chiami mostriciattolo.

RUGGERO         Perché? Mostriciattolo, in questo caso, è un vezzeggiativo. Or ora agitava le manine nel sonno. È proprio carino: pare un gamberetto fuor d'acqua. Non gli ho visto ancora gli occhi, ma sua madre garantisce che sono belli, e lo credo: saranno i suoi. (Galante)  I begli occhi sono una spe­cialità del ramo materno. Adesso, mentre ero su io, il piccolo li ha tenuti ostinatamente chiusi, ma li vedrò un'altra volta. Quando avremo fatto amici­zia. Non ha accolto molto bene il nonno. - Il nonno: bisogna che ripeta la parola per abituarmi... Ma è carino ugualmente. - Ma è buffo.

ROSALIA           Non dica che è buffo.

RUGGERO         Perché lui dovrebbe fare eccezione? Pretende troppo. Lei. Siamo tutti buffi quando ve­niamo al mondo.

ROSALIA           Se non le dispiace, io direi che siamo sacri.

RUGGERO         Sacri, ma buffi. Un cosino da nulla... uno scimmiottino quasi rosso, ancora un po' congestionato, una mezza porzione tra la bestiolina e la caricatura, tra la miniatura e la parodia... Eppure così piccolino, con la sua semplice apparizione nel mondo, quest'ultimo arrivato dovrebbe mutarmi la vita e farmi rinunziare alle partite di caccia, alle partite a carte, alle partite a due... - A propo­sito, come si chiamerà?

ROSALIA           (secca)  Ariberto.

RUGGERO         (sbalordito)  Ariberto? Non mi piace.

ROSALIA           Era il nome del mio povero marito.

RUGGERO         Scusi. Ma non mi piace lo stesso.

ROSALIA           E che cosa piace a Lei... oltre quello che ha detto? le partite di caccia, le partite a carte, le partite a due... - Già, Lei è un cinico, (piccolo movi­mento di Ruggero)  un gaudente spregiudicato (altro movimento di Ruggero)  un uomo che ha dato e continua a dare il cattivo esempio...

RUGGERO         (ride)  A chi? Ad Ariberto che non ha quarantott'ore?

ROSALIA           (secca)  A Suo figlio. (Più recisa ancora)  A Suo figlio, che ha imparato da Lei e che le somiglia.

RUGGERO         Ah senta! mi è sempre piaciuto irritarla un poco, turbarla un poco, nella Sua rigidità di gentildonna austera e severa, ma Lei prende tutto al tragico! E finché parla di me, passi, ma mio figlio...!

ROSALIA           È un vizioso, un donnaiolo come Lei!

RUGGERO         Chi? Domenico? si è sposato che era quasi un ragazzo, adora sua moglie come... come se fosse l'unica donna che ha conosciuto... e forse non ne ha conosciute altre...

ROSALIA           (interrompendo)  Niente, niente: mi la­sci finire, lasci parlare a me che ho le prove del contrario. - Ripeto quel che ho detto: Suo figlio è un vizioso come Lei e un donnaiolo come Lei. Ma Lei almeno è libero, Lei al più inganna donne che si meritano di essere ingannate, ma lui... - Sono stata io a telegrafarle che venisse subito. Ho firmato io, l'ho chiamata io per informarla di Suo figlio. - Che cosa credeva? Che la invitassi ad assistere alla festa di famiglia? Non l'avrei disturbata per così poco: per la nascita del mostriciattolo, di un gambero rosso, di un cosino buffo, come dice Lei. Cono­scevo già le Sue abitudini, le Sue tendenze, i Suoi gusti. Li avevo apprezzati quando ci furono le noz­ze, e li conosco per sentito dire. Se ne parla.

RUGGERO         (a mezza voce)  Se ne parla?

ROSALIA           Sicuro. Le farà piacere questo, visto che ne parla specialmente Lei. Prevedevo che la gioia di esser diventato nonno non le avrebbe dato alla testa. - No: io l'ho chiamata qui all'insaputa di Suo figlio per parlarle proprio di lui, del Suo caro fi­gliolo.

RUGGERO         Insomma, che ha fatto di terribile questo gran malfattore? Si può sapere?

ROSALIA           Di terribile, per Lei, secondo la Sua mo­rale, secondo il Suo punto di vista, nulla. Di straor­dinario, per Lei, nulla. Solamente... Suo figlio ha un'amante.

RUGGERO         Che?  Sul serio?!

ROSALIA           Crede che abbia volontà di ridere, io? No, sa. C'è in gioco la felicità, la dignità della mia Norina. E il mio caro genero mi ha avvelenato la gioia di questa mia nuova maternità. È proprio come le ho detto! Suo figlio ha un'amante.

RUGGERO         Ma Norina non lo sa! L'ho vista tran­quilla, felice, con accanto il suo piccolo... Ho scam­biato poche parole per non stancarla, ma mi ha parlato di Domenico con tanta tenerezza...

ROSALIA           Perché non sa nulla: per adesso. Ma lo saprà perché glielo dirò io. Non gliene ho parlato finora, per riguardo al suo stato: ho saputo soltanto ieri. Ma intanto ho voluto informar Lei. - Con mio genero nemmeno una parola; e lui non si è accor­to di nulla. Avrà la testa all'amante, il poverino! Ma a suo tempo saprà lui e soprattutto saprà Norina, che verrà col suo bimbo a stare con me.

RUGGERO         (deciso)  Ah. no!

ROSALIA           Ah, sì! Nella mia famiglia c'è tutta una lunga tradizione di fedeltà e di rispetto alle pareti domestiche. Le donne di casa de Giorgi non tra­discono: non tradiscono e per questo non transi­gono.

(Un breve silenzio.)

RUGGERO         (quasi tra sé)    O guarda!

ROSALIA           È tutto quello che mi ha da dire?

RUGGERO         No: mi stupisco. Dico la verità, non me l'aspettavo. - Il mio figliolo! Innamorato com'era!... Con una bella, buona mogliettina, una sposina di vent'anni...

ROSALIA           Prossima a diventar madre...

RUGGERO         Un'altra volta?

ROSALIA           Non dica sciocchezze: io non parlo di adesso, parlo di quando deve aver cominciato. Da più di tre mesi perché la... la signora è precisa: met­te anche la data alle lettere, per non lasciar dubbi sull'epoca: sono di tre mesi fa.

RUGGERO         (sollevato)  Le più recenti, di tre mesi fa? Allora...

ROSALIA           Allora?

RUGGERO         Allora, in tre mesi sarà una cosa finita.

ROSALIA           Le Sue non durano mai più di tanto?

RUGGERO         Punga, punga: finché punge me, ho la pelle dura.

ROSALIA           Intanto la mancanza di lettere più re­centi non significa che tutto abbia avuto un ter­mine. E comunque, è avvenuto. Anche se non du­rasse - e non c'è la prova che non duri - la cosa c'è stata.

RUGGERO         Ma bisogna sapere se la cosa... è una cosa seria o se è una avventura senza importanza.

ROSALIA           Non ce ne sono senza importanza: quando c'è la moglie da una parte, e dall'altra forse un marito.

RUGGERO         Lei mi ha parlato di lettere. Lei le ha viste? Sono timbrate? C'è l'indicazione della città da cui provengono? Sono firmate?

ROSALIA           Niente. Portano in fondo uno sgorbio che può essere l'iniziale di un nome o di un vez­zeggiativo.

RUGGERO         Sicché Lei non sa né può indovinare di chi siano?

ROSALIA           Io avuto da far altro che cercare, finora! Appena le ho trovate...

RUGGERO         (interrompe)  E dove le ha trovate?

ROSALIA           In un cassetto.

RUGGERO         Ah ah!

ROSALIA           No, non c'è stato nessun abuso da parte mia. Ma, guardi, se avessi saputo che esisteva­no, le avrei cercate e le avrei prese anche a co­sto di forzare il cassetto. Si tratta della mia fi­gliola: non soffro di tante delicatezze. - Ma non ho nemmeno frugato. Suo figlio ieri, appena sono ar­rivata, mi aveva fatto la consegna delle chiavi de­gli armadi... Ma tra le chiavi, distratto - è anche distratto, quel caro ragazzo - me ne ha data una che apriva un cassetto suo.

RUGGERO         Che imbecille!

ROSALIA           (quasi non avesse capito)  Come dice? - Già. - Io che non sono pratica di questi armadi, le ho provate tutte, e quella, naturalmente, non apri­va che quel certo cassetto dove eran le lettere. Non ho restituito né lettere, né chiave, e ho richiuso, perché, se mai, Suo figlio creda di averla smarrita. Se si accorgerà, quando mi chiederà, vedrò come regolarmi. - O mi dirà Lei, ora che è al corrente di tutto.

RUGGERO         Senta me! rimetta al posto le lettere e renda la chiave. Penso io.

ROSALIA           Troppo comodo, per Suo figlio. E gesui­tico per me.

RUGGERO         Si possono almeno vedere, queste let­tere?

ROSALIA           Perché? Non mi crede? (Va ad uno sti­po, leva un pacchetto, e lo mostra.)  Eccole! le guardi.

RUGGERO         (le apre, le guarda)  Non conosco que­sta scrittura. Ma già, io non conosco le amiche di Norina. Perché bisogna cominciare a cercare tra le amiche... se si tratta di una signora. Oppure è una... di quelle, e se è così non conta.

ROSALIA           Come, non conta?

RUGGERO         (deciso)  Non conta. - Me le vuol lasciare?

ROSALIA           No, perché Lei vuol distruggerle.

RUGGERO         Io?!  Nemmeno per sogno.

ROSALIA           E che vuol farne allora?

RUGGERO         Leggerle: per avere un'idea più chiara, più precisa.

ROSALIA           E poi? quali sono le Sue intenzioni? Pensa di parlarne subito a Suo figlio? Sarà forse meglio.

RUGGERO         Vedremo. Ma penserei di no. Se è cosa finita, è inutile; se continua, è pericoloso.

ROSALIA           Ah! solo per questo? Ma mi vuol dire che uomo è Lei?...

RUGGERO         Io? Un uomo pratico del viver del mon­do. Lei sta chiusa in un ritiro. Lei vive di teorie, di astrazioni: io mi nutrisco di fatti. Voglio avere un'idea più precisa, le ho detto. Quando saprò, se è il caso, parlerò con lei - con la donna - vedrò di divergere i suoi ardori e le sue curiosità verso qualche altra persona. O anche tenterò di ricondurla al dovere: ma questo mi par più difficile.

ROSALIA           Ma io non le lascio le lettere.

RUGGERO         Perché? Occorre la parola? Dò la mia parola che non distruggerò e che renderò oggi stesso. Ma poiché Lei non si fida di me, io voglio non fidarmi di Lei. Promessa per promessa. Lei mi prometta che non solo, per adesso, non parlerà con Norina, ma che non dirà nulla nemmeno a mio figlio e non gli farà capir nulla.

ROSALIA           Se mi riuscirà. Finché mi riuscirà.

RUGGERO         Oh! era difficile sul primo momento; ma ora basta che Lei voglia... D'altronde io non avrò bisogno di molto tempo per trovare: mi basteran­no ventiquattr'ore, forse meno.

ROSALIA           Non credo, perché l'indagine è delicata, le tracce non sono molte. Se Lei non è il diavolo...

RUGGERO         (sorridendo)    Io sono il diavolo.

ROSALIA           Perbacco! - Tenga pure le lettere.

RUGGERO         E Lei è un angelo. (Mette in tasca le lettere.)  Suonano: forse è lui.

ROSALIA           Io vado di sopra. È meglio.

RUGGERO         Come crede.

(Rosalia sale la scala. È appena scomparsa  quando  apparisce Domenico.)

DOMENICO      (festoso, entrando)  Papà! (E lo abbrac­cia.)  Mi hanno detto di là che sei arrivato. Io quasi non credevo, non speravo di trovarti. Pensavo che saresti venuto presto, ma non oggi. Che bella sor­presa mi hai fatto! Hai visto Norina?

RUGGERO         (che gli ha ricambiato l'abbraccio)  Ho già visto tutti: tua suocera, tua moglie, il tuo fi­gliolo... Vi siete fatti onore perché è un bel fi­gliolo! Piange, poppa, fa tutto quello che deve fare. Tu adesso eri al Municipio per denunziare la na­scita allo Stato Civile; gli avete messo nome Ariberto; il battesimo sarà giovedì; tua moglie allatta da sé, e avete preso una balia asciutta che si chia­ma Giannina ed è nativa di Bergamo. Come vedi, sono bene informato. Tanto che se avessi premura potrei anche ripartire subito.

DOMENICO      (ridendo)  Se non sei ancora arrivato!

RUGGERO         (senza badargli)  Ma non ho premura. Perché prima voglio sbrigare una piccola faccenda che ti riguarda. - Sei sicuro di non aver perso una chiave?

DOMENICO      (stupito)  Perché?

RUGGERO         Non te ne sei ancora accorto? Beh, te lo dico io: hai perso una chiave.

(Domenico istintivamente si fruga le tasche.) 

No, non cercare perché non la trovi. L'hai consegnata graziosamen­te a tua suocera, perché potesse leggere quanto ti scrive... la tua morosa. - Sei molto cortese con tua suocera. - E queste sono le lettere. (Le poggia su un tavolo, un po' lontano da Domenico.)  Oh, bada: in prestito, perché ho promesso di renderle!

DOMENICO      (fissa sbalordito suo padre)  Papà!

RUGGERO         Un'altra volta non prenderti un'aman­te; se non puoi farne a meno, dille che non scriva; se ti scrive non conservare le sue lettere; ma se tu proprio ci tieni a serbarle, non dare le chiavi dei cassetti a nessuno; e specialmente poi alle perso­ne meno adatte ad apprezzare i tuoi amori clan­destini. - Se poi tenevi a darne parte a tua moglie, potevi scegliere la via più breve.

DOMENICO      (smarrito)  Ma io non so, non capisco...

RUGGERO         Ecco, fermati lì: non capisci. E non ca­pisco nemmeno io, perché è enorme.

(A un tenta­tivo di lui per prendersi le lettere, gliele ritoglie bruscamente.) 

Oe, non facciamo scherzi. Io ho pro­messo di restituirle a donna Rosalia che le ha tro­vate grazie alla tua balordaggine. Le avevo anche detto che non te ne avrei parlato, e avevo ottenu­to che non te ne parlasse lei... almeno per ora, ma ci ho pensato su: è meglio discorrerne tra noi, fra uomini, tanto che io sappia chi è questa imbecille che ti scrive.

DOMENICO      (ferito)  Papà, ti prego. Tu mi parli con una durezza che non merito e che non è nelle tue abitudini.

RUGGERO         E infatti io son sempre stato un padre amabile e indulgente, e sono un uomo amabilissi­mo e indulgentissimo. Ma coi balordi, no. - Sentia­mo: chi è questa donna che ti chiama « amor mio »?

DOMENICO      (fieramente)  Io non ti dico nulla e non ti permetto nemmeno...

RUGGERO         Ma io il permesso me lo prendo ugual­mente. E quanto a non dirmi nulla, tu daresti una prova di più che insieme con la chiave hai per­so la testa. - Io non ti riconosco: eri un bravo ra­gazzo; impulsivo, ma giudizioso, prudente e pieno di buon senso, e ora... - Io non vorrei che tu fossi cascato nelle grinfie di una qualche civetta. Perché alla tua iniziativa credo poco, credo più alla sua. I colpi di fulmine sono rari, le donne fatali sono più rare ancora; ma le donne furbe per i ragazzi inesperti, abbondano. Tu non hai la stoffa del se­duttore: sapere almeno la stoffa della seduttrice. -Perché non mi vuoi dire il nome di questa donna? Non mi pare che si meriti tanti riguardi!

DOMENICO      Intanto è una donna.

RUGGERO         Sì... è una donna... Ma niente più. Sen­tiamo un po': questa... questa donna... questa si­gnora, era la tua amante prima che tu prendessi moglie?

(Breve silenzio.) 

No, eh? No. Ti sei sposato per amore: un amore ardente. « Papà, papà, faccio una pazzia se non me la lasci sposare ». E non eri ancora maggiorenne! - È divenuta la tua amante subito dopo, durante la luna di miele? No, eh? No. Perché bisognerebbe supporti un grado di corruzione del quale ti so incapace. - Quando è venuta, allora? Quando tua moglie, proprio per­ché ti voleva bene e te ne dava le prove che si son maturate l'altro ieri colla nascita di Ariberto, per­deva, temporaneamente, le sue ragioni di seduzio­ne e di grazia che farà presto a riacquistare. - Tut­to questo non è bello da parte tua, ma è maschile; ma da parte della tua amante non è femminile, è soltanto poco pulito.

DOMENICO      Papà, io voglio che tu rispetti la per­sona che tu non conosci.

RUGGERO         Nossignore, nemmeno per idea. Io ri­spetto solo chi è rispettabile. E una donna che approfitta della situazione anormale di un'altra donna per cedere alle seduzioni di un uomo ammo­gliato - ammesso che sia stato tu a sedurla e non lei a sedurre te - non è una dama. È appena ap­pena una pedina.

DOMENICO      Che ne sai tu?

RUGGERO         Lo so, cioè lo sento. La tua bella - spe­riamo almeno che sia bella - che non sente nemme­no la solidarietà del sesso, e si insinua, si intro­mette, quando sa che tua moglie non può essere la tua donna, sarà Venere, Diana, Giunone, o un'altra dea dell'Olimpo, ma conosco molte cocottine che valgono più di lei.

DOMENICO      Papà, ti ripeto...

RUGGERO         (più forte)  E se la conoscessi, glielo gri­derei in faccia senza tanti complimenti.

DOMENICO      (più forte ancora)  E per questo non voglio che tu sappia chi è.

RUGGERO         (smontato, sorridente)  Ecco la sola cosa ragionevole che hai detto finora.

DOMENICO      Mi hai fatto parlar così poco!

RUGGERO         Anche questo è vero. - Fuori, di' tutto quello che hai da dire.

DOMENICO      Io? non ho da dir niente. Se anche avessi negato ch'è successo... quel ch'è successo, hai le prove. C'è una donna che mi vuol bene. Ecco tutto quello che ti posso dire.

RUGGERO         Oh, povera diavola!

DOMENICO      (offeso)    Perché?

RUGGERO         Non vuoi che la compatisca? Allora dirò: oh, poveri diavoli! E così vi compatisco tutti e due.

DOMENICO      Il mio sarà stato un errore...

RUGGERO         Ah!

DOMENICO      ...è stato un errore. Nella mia vita è il primo: credo che sarà l'ultimo.

RUGGERO         Non è il primo: non ti dovevi sposare quando eri ancora ragazzo. - Sei ricco... non sei un Adone ma non sei brutto... io non sono pedante... Potevi godere la tua libertà, cioè vivere, cioè im­parare. Troppo presto, troppo presto. - E che sarà l'ultimo, non puoi sapere. E se mai, sarà perché sei stato pizzicato subito.

DOMENICO      No: perché non credevo... non sapevo... Mi ci son trovato così senza accorgermi... e quan­do invece... (Poi si chiude la bocca e tace d'un tratto.)

RUGGERO         Avanti.

DOMENICO      Non c'è avanti. Non dico altro. Ho finito.

RUGGERO         Hai fatto presto! Ti pare di aver parla­to troppo e ti sei fermato? E questo nome? Tanto per vedere se è il caso di fare qualche cosa o di non far nulla. A te non chiedo notizie o particolari; mi basta il nome. Qualunque cosa tu mi dica né mi turba di più, né mi rassicura, se non vedo io, se non capisco da me. - Questo nome?

DOMENICO      No.

RUGGERO         Perché non puoi.

DOMENICO      Perché non posso.

RUGGERO         Perché sei un gentiluomo.

DOMENICO      Perché sono un gentiluomo.

RUGGERO         Benissimo. Ho viaggiato tutta notte, ma almeno mi era riserbata questa soddisfazione. È bello conoscere un gentiluomo al mattino presto! -E nel pomeriggio, resti un gentiluomo? - No, sai, perché conosco dei gran mascalzoni alla mattina che diventano gentiluomini la sera: bisogna ve­derli in frac alle feste da ballo. E conosco dei gen­tiluomini la sera che diventano mascalzoni la mat­tina: bisogna vederli in giacca alla Borsa. Tu no, non muti? Ho capito. Vuol dire che cercherò da me e troverò da me. (Brusco)  Ma è peggio per te e per lei: se la pesco...

DOMENICO      E tu pescala. Se ti riesce!

RUGGERO         Non è mica difficile: ho le lettere, cioè ho la lenza col suo bravo innesco.

DOMENICO      Ma io la metterò sull'avviso.

RUGGERO         Troppo tardi. Tu credi di non avermi detto nulla? Se mi hai fatto capire quasi tutto di lei! Non è una cocotte, perché ti preme metterla sull'avviso; continui a vederla, perché ti è facile metterla sull'avviso; « non credevi », « non sape­vi » ... dunque è una donna più pratica o meno inesperta di te... È bruna...

DOMENICO      Quando mai ti ho detto questo?

RUGGERO         Che è bruna? - Ho sbagliato: è bionda. Perché fin qui avevi taciuto e adesso protesti. (Gli stringe la mano.)  Grazie delle informazioni. - Ora, io non esigo la virtù assoluta, esigo la prudenza... la più elementare prudenza... Se non casto, almeno cauto. E bisogna avere il senso delle proporzioni. La tua, probabilmente, è una piccola avventura che tu, comunque, con la tua imprudenza, con la tua goffaggine hai trasformato in una situazione da vaudeville; e anche in un pericolo. Il vaudeville, perché sei tu che fai sapere, mentre certo volevi nascondere; il pericolo, perché non so come l'inten­derà tua moglie, ma so già come l'intende tua suo­cera... - Oh, eccola qui, tua suocera.

(Rosalia discende. C'è un minuto d'imbarazzo.)

ROSALIA           (freddamente a Domenico)  Guarda che Norina ha chiesto di te.

DOMENICO      Ci vado. (E si avvia.)

RUGGERO         (fermandolo con la parola)  Prima che mi dimentichi: è stata qui una signora a chiedere notizie... Ha parlato con Giannina e ha lasciato i suoi saluti anche per te. - È la signora Rolier. - Un'amica di Norina?

DOMENICO      (in fretta)  Sì, è un'amica di Norina.

RUGGERO         Bella signora!

(Un secondo di silenzio.) 

DOMENICO      Allora vado.

RUGGERO         Di' a Norina che vengo di sopra anch'io. A che ora si mangia?

ROSALIA           D'ordinario alle dodici e mezzo. Ma, se vuole, possiamo anche anticipare.

(Domenico è uscito.)

RUGGERO         Non occorre.  È anche la mia ora.

ROSALIA           Suo figlio le avrà detto che c'è una ca­mera a Sua disposizione, come sempre. Ma forse Lei preferirà restar in albergo, per maggior libertà.

RUGGERO         (approvando)  Ecco.

ROSALIA           Qui il piccolo piange... (Con lieve ironia)  Le darà fastidio. E non gli si può chiuder la bocca.

RUGGERO         C'è il Codice che non lo permette. E io non sono Erode. - Ho parlato con  Domenico.

ROSALIA           Ha  confessato?

RUGGERO         Non poteva negare.

ROSALIA           Ha detto anche il nome?

RUGGERO         Gliel'ho chiesto. Non me lo ha voluto dire, e ha fatto benissimo. Ma non ce n'è bisogno.

ROSALIA           Perché?  Lo sa già?

RUGGERO         Forse...

ROSALIA           Lo ha indovinato?

RUGGERO         Forse.

ROSALIA           E me lo dirà?

RUGGERO         Forse. - Ecco le lettere.

ROSALIA           Non le servono più?

RUGGERO         Non mi credo in diritto di leggerle. Sul primo momento, per la sorpresa, per l'ansia di sa­pere... si dimenticano i limiti del lecito e dell'ille­cito. - Non sono dirette a me. Devo cercare io coi miei mezzi.

ROSALIA           Un buon metodo per non trovar nulla.

RUGGERO         Se le ho detto che credo di aver già tro­vato! Saprà, a suo tempo.

ROSALIA           E intanto io che devo fare?

RUGGERO         Aver pazienza. A Norina non potrebbe dir nulla per ora, dunque non c'è fretta. - Non cre­de intanto che si debban rendere queste lettere al suo legittimo proprietario?

ROSALIA           No, perché sono la prova.

RUGGERO         Ma dal momento che c'è la confessione...

ROSALIA           Non si può mai sapere.

(Ruggero le dà le lettere. Rosalia apre lo stipo per rinchiudervele.)

RUGGERO         Allora, scusi, aspetti un momento a ri­chiudere. Lei mi ha detto prima: « Se non è il dia­volo ». Credo che potrò dimostrarle che, in quel senso che dice Lei. sono il diavolo. (Prende un fo­glio, vi scrive un nome; prende una busta, ci chiu­de dentro il foglio.)  Ecco. Abbia la cortesia di metterla insieme con le lettere. Quando gliela chiede­rò, mi renderà questa busta. Senza aprirla, s'intende.

ROSALIA           Lei prende le cose con poca serietà! come se si preparasse a un gioco di carte!

RUGGERO         I diavoli d'oggi sono tutti un poco prestigiatori. - No, vede: molti mettono molta gravità anche nelle cose buffe; e molti mettono un po' di buffoneria anche nelle cose serie. Io credo che que­sti siano più savi. - Mi usi la cortesia...

(La contessa mette la busta sul pacchetto di lettere, nello stipo, e richiude.) 

Così: ecco fatto. Con permesso, contessa. (Allontanandosi)

 Vado a vedere se Ariberto mi vuol mostrare il colore degli occhi.

ATTO SECONDO

(La stessa scena del primo atto. Tre mesi dopo. (Norina entra dal giardino, va alla porta e suona.) 

GIANNINA        (entrando)  Sono qui, signora.

NORINA           Ah, sei tu? Perché invece non stai di sopra?

GIANNINA        Il signorino dorme.

NORINA           Ma se si sveglia?

(Giannina s'avvia per salire.) 

Aspetta. Il padrone è ancora di sopra? Di­gli che, appena può, scenda.

GIANNINA        Ma è fuori di casa.

NORINA           (sorpresa)  È uscito? Dov'è andato? Non ti ha detto?

GIANNINA        Nossignora. Non dicono mai niente!

NORINA           E quando torna, nemmeno?

GIANNINA        Ah, questo sì.

NORINA           Che ha detto?

GIANNINA        « Se ti chiedono, ci sarò per l'ora di cena ».

NORINA           Ah!... È andato già da un pezzo?

GIANNINA        Sissignora: è sceso che il signorino era ancor sveglio. Prima che venisse giù Lei.

NORINA           (seccata)  Me lo dovevi dire, che era anda­to via, che tornerà soltanto per l'ora di cena. Va' pur su. E non ti muovere. ( Va alla porta che dà sul giardino e chiama)  Mamma... scusa... un mo­mento.

(Rosalia entra e la interroga col viso.) 

È uscito! Lo sapevi?

ROSALIA           (semplice)  Io no.

NORINA           E che ne dici?

ROSALIA           Che vuoi che ti dica? Avrà avuto qualche impegno.

NORINA           Ma che impegno! No, no. La solita storia. Qui sta sui pruni, si sente come in prigione: ap­pena può, appena svoltiamo gli occhi, io o tu o suo padre...  evade.

ROSALIA           (fiaccamente)  Ma non ti mettere in testa!

NORINA           È così, è così. E pare che lo faccia appo­sta: quando c'è qualcuno che mi piacerebbe che lo trovasse in casa, qualcuno che vien più di rado - la Dòrtoli, per esempio, che non lo conosce anco­ra - lui, via... La Rolier, già tre o quattro volte che non lo trova! La Firmani, lo stesso; e l'ha osser­vato. Mi ha chiesto adesso: « E tuo marito? fuori anche oggi? ». Ho risposto: « Non so »; tanto per giustificarlo se non voleva scendere, ma son venu­ta qua sicura di trovarlo: non c'è. Che debbono pensare le mie amiche? Che si è pentito di avermi sposata.

ROSALIA           (col gesto)    Eh, via!

NORINA           Che non andiamo d'accordo.

ROSALIA           Non esagerare!

NORINA           E anche quando è con me, non è più quello d'un tempo. Pare incerto... oscillante... Io non lo capisco. Che ha? che ha?

ROSALIA           Non avrà volontà di farsi vedere, di chiacchierare. D'altronde ognuno ha il suo carat­tere, le sue abitudini, i suoi gusti.

NORINA           Ma non era così. Tu non puoi sapere, ma non era. Prima non mi lasciava mai. Appariva anche così socievole, così allegro... Come suo pa­dre, tal quale: aveva per tutti la parola gentile, la domanda che fa piacere, il piccolo servizio...

ROSALIA           Troppo, troppo. Parlo di suo padre. Suo padre, troppo.

NORINA           Ah, senti: il babbo è un tesoro! Con le ragazze, coi bimbi, con la povera gente... sta bene con tutti, gli voglion tutti bene. Guarda anche adesso, in giardino: le incanta tutte quante, giova­ni e vecchie. Non fanno che dirmi: « Ma quel tuo suocero com'è giovane, com'è simpatico!... ». Jannette, per esempio, la Rolier...

ROSALIA           (la interrompe)  Me ne sono accorta, del­la Rolier. - E si ferma?

NORINA           Chi?

ROSALIA           Tuo suocero. Si ferma ancora? Sono già tre mesi che è qui. Era venuto per poche ore. Di­ceva. Pareva. Non ha proprio niente da fare, nien­te che lo richiami a casa sua? L'avrà pure una casa!

NORINA           (sorridendo)  Ne ha due: casa sua e casa nostra. Ma oramai gli piace più casa nostra. Ogni tanto dice: « Vado. Ah, domani vado ». Ma poi ba­sta che io gli dica due paroline, gli faccia due graziette, due smorfiette, e rinvia. Se non ci fosse lui che mi rasserena, che mi tien su... Anche tu, mam­ma; ma lui è più allegro. E poi chiacchiera, chiac­chiera... Caro, caro, è proprio caro!

ROSALIA           (ironica)  Oh, dico, non te ne innamori mica anche tu?

NORINA           Tanto è simpatico lui, quanto mi diven­ta antipatico suo figlio. E gliel'ho detto, a babbo.

ROSALIA           (secca)  Non lo chiamare « babbo », ti prego.

NORINA           Perché? è il babbo di Domenico... L'ho chiamato sempre così!

ROSALIA           Ma quando sei con me, vedi di farne a meno... Babbo!... il tuo babbo!... un uomo pieno di donne... che pare si sdilinquisca con tutte... che faccia il tenero con tutte... Il babbo per te era uno solo, il vero, quello che si può dire non hai conosciuto. Quello che non c'è più; sono diciott'anni oggi.

NORINA           (afflitta)  Oh, scusa: era l'anniversario... perché non me lo hai ricordato?

ROSALIA           Per non toglierti il piacere delle tue vi­site. Il tuo è un divertimento così discreto! Ma ho dato a don Gaggini per i poveri. E avevo scritto fin da sabato che non si dimenticassero il solito ufficio alla cappelletta di Castelnuovo... - Ma io tor­no in giardino, sai. Che figura facciamo con quelle signore?

NORINA           Non temere: c'è babbo. (Si corregge)  Oh! scusa... E si divertono... Piuttosto di' che rientrino: faccio portare da bere. (Esce.)

ROSALIA           (alla porta che dà al giardino)  Se voglio­no prendere qualcosa di fresco...

(E spalanca la por­ta. Entrano la signora Dòrtoli, la signora Firmani, madama Rolier, Ruggero.)

RUGGERO         (discorre con tutte, ma particolarmente con la signora Rolier)  Lei proprio non sa chi era il re Meliadùs? E nemmeno Lei? (A Rosalia)  E nemmeno Lei, contessa? Ah, ah! Vi fa torto, signore mie. E magari sapete chi è il re Cristiano, il re Nicola, o il re Ferdinando! Meliadùs, re di Léonois, era il marito della regina Eliabella. Sicuro! E da madonna Eliabella e dal re Meliadùs nacque un figlio che si chiamò Tristano.

LA ROLIER        Basta, basta. Ora sappiamo. Tristano, quello del filtro, quello di Isotta la bionda.

RUGGERO         Già, proprio quello. (Alla signora  Ro­lier)  Ma perché voi lo sapete? Perché Isotta  era bionda come voi, madama; anzi, certamente, era meno bionda di voi... e meno bella.

LA DÒRTOLI     Vede? Io sono bruna, eppure cono­sco anche l'opera in musica: Tristano e Isotta.

RUGGERO         Lo so che Lei è intenditrice d'arte finissima e così Lei, signora, conosce Tristano, ma come lo conosce? sotto l'aspetto di un qualche grasso panciuto tenore. No: bisogna invece andare a cer­care nelle vecchie leggende, nelle vecchie carte: la sua storia d'amore è la più bella del mondo. Non è scritta per signorine: ma non è per signorine nemmeno quella di Paolo e Francesca. (Alla si­gnora Dòrtoli, un po' canzonatorio)  E nemmeno quella di Armando... con la signora dalle camelie. Il racconto del duello di Tristano con Amoroldo è pieno di poesia. Dovete sapere che Amoroldo, re d'Irlanda...

(Norina intanto, seguita da una came­riera, è entrata, e ha fatto deporre due grandi vassoi per il rinfresco.)

ROSALIA           (alla signora Dòrtoli)  Lei, signora, vuole aranciata?

LA DÒRTOLI     Volentieri, grazie. (E si alza per bere.)

RUGGERO         (si volge allora alla Rolier)  Amoroldo, re d'Irlanda, faceva pagare un tributo alla città di Tintoille...

ROSALIA           (alla Rolier)  E Lei, signora Rolier, vuole tè o aranciata?

RUGGERO         Ah, ah! ma così non è possibile andare avanti. Contessa mia, questa è una vera corruzio­ne: Lei mi toglie le scolare mediante il compenso di un'acqua fresca o di un'acqua calda. (Alla Ro­lier)  Tornate, tornate un altro giorno, madama. Vi racconterò la storia del re Amoroldo.

LA ROLIER        (sorridendo)  Tornerò, tornerò: intanto prendo il tè.

(Anche la signora Firmani si è avvicinata alla tavola per bere.)

ROSALIA           (che si è accostata a Ruggero)  Mi vuol levare una curiosità?

RUGGERO         Sempre ai Suoi ordini.

ROSALIA           Perché Lei dà del Lei a tutti e a tutte, e dà del voi a madama Rolier?

RUGGERO         (quasi offeso della domanda)  Perché? perché è francese.

ROSALIA           Non è francese.

RUGGERO         (tranquillissimo)  Ah, no?

ROSALIA           Il marito, è francese.

RUGGERO         E allora... per un riguardo al marito.

LA FIRMAMI      (con in mano il bicchiere dell'aran­ciata, alla contessa)  Mi ha fatto tanto piacere di ritrovarla, contessa! Dicevo - vero, signora Dòrtoli? - dicevo: forse la contessa sarà partita.

ROSALIA           Volevo; poi... c'è sempre qualche cosa da fare, c'è la figliola che protesta...

RUGGERO         Ci son io che non voglio... - Perché an­darsene? È ringiovanita, imbellita, più florida, da che è qui! Si è rifatta un viso luminoso e fresco...

ROSALIA           (lusingata)    Si cheti, si cheti.

RUGGERO         Davvero! Se si levasse quel nero di malaugurio parrebbe una sposina... Lei deve aver traversata la vita sempre vestita di nero, come una monaca di casa. E invece...

ROSALIA           (con un lieve sorriso)  Oh! Sarebbe pia­ciuto anche a me vestir di rosa o d'azzurro, ma... mi è morto il marito dopo due anni di matrimonio; e non è colpa mia; non l'ho ucciso io.

RUGGERO         Non ne ho mai dubitato. - Ma appunto perché Lei non ha rimorsi, non capisco il sacrifizio di tutta la vita a una memoria. - Piangere, ma poi consolarsi. Non doveva legarsi viva ad un morto.

ROSALIA           E non mi ci sono legata. Il mio povero Ariberto... morì che la bimba faceva i primi passi, balbettava le prime parole.

(Norina le è accanto. Rosalia le si appoggia, chiede quasi a lei la confer­ma di quanto dice) 

Per un pezzo ebbi altra voglia che andar tra la gente! E così, mi rinchiusi a Castelnuovo con te che eri sana, vivace, ma delicatina: me ne hai dati dei pensieri! E sospiri. - Ragione di più per rimanercene in campagna. - C'era anche una grossa proprietà da amministrare, da vigilare. Tutto sulle mie spalle. - Più tardi la bimba andò in collegio dalle suore: anche se avessi voluto rien­trar tra la gente, dove avrei potuto andare? ero sola! - Quando la bimba uscì di collegio, rimisi la te­sta fuori del guscio per farle vedere un po' di mondo, ma subito dopo, nella traversata da Napoli a Palermo, trovammo quel bel signore che se l'è sposata... Non c'era più bisogno di me; tra due sposini giovani e innamorati ero forse un impaccio, e me ne tornai a Castelnuovo un'altra volta, tra i filugelli e le vigne. - Come vedono, non c'è stato nessun sacrifizio, nessuna rinunzia eroica da parte mia. Il destino ha voluto così.

LA DÒRTOLI     Peccato! Avrebbe potuto far felice un altro uomo, ed esser più felice anche Lei.

ROSALIA           Io? Io sono stata tranquilla, raccolta nelle mie memorie tristi e dolci... - Contentarsi: buo­na salute... la mia ragazza... (carezza Norina)  e ora c'è anche un nipotino... un amore di nipotino. Lei, signora Dòrtoli, non l'ha visto ancora. Lo ve­drà la prima volta che sarà sveglio. Vien tanto bello!

RUGGERO         Si figuri che mi somiglia!

LA DÒRTOLI     Cresce? cresce?

ROSALIA           Tanto! A vista d'occhio!

RUGGERO         È straordinario: pensi, che a giugno non era ancora nato e adesso ha già tre mesi! Fra poco andrà a scuola.

LA DÒRTOLI     Perché non dice che tra poco andrà a nozze?

RUGGERO         (sempre serio)  Perché questo non è vero: né io né la contessa vedremo i figli di Ariberto.

LA ROLIER        Perché? la contessa e Lei... siete tutti e due così giovani!

RUGGERO         Giovanissimi. Ma Ariberto si sposerà a quarant'anni.

ROSALIA           Questo poi!...

LA ROLIER        Chi glielo ha detto? Il mago Merlino, o madame de Thèbes?

RUGGERO         Se avrà giudizio - e avrà giudizio: già lo si vede! - si sposerà a quarant'anni.

LA ROLIER        E allora Lei che si deve esser sposa­to... non so... a ventitré, a ventiquattro?

RUGGERO         Non ho avuto giudizio.

NORINA           E Domenico che si è sposato a ventuno?

RUGGERO         Ne ha avuto anche meno di me.

NORINA           (un po' piccata)    Ti ringrazio molto, babbo.

RUGGERO         Prego. - Ad ogni modo mio figlio ed io siamo due eccezioni, o quasi. - Mio nipote, invece, e quelli della generazione che viene su ora, si spo­seranno molto ma molto più tardi di noi. Sposarsi? avranno di meglio a pensare e a fare!

LA FIRMANI      Ah! tante grazie!

LA DÒRTOLI     Ma quanto è gentile!

RUGGERO         Sicuro! A venti, a venticinque, un uo­mo deve studiare, lavorare, lottare per farsi la strada, e non deve correre dietro una donna... o camminarle al fianco. - A vent'anni, a trent'anni forse, i nostri nipoti saranno ancora ragazzi. (Pro­teste delle signore.)

LA ROLIER        Mi pare che esageri.

RUGGERO         No, no. Perché a mano a mano che il mondo invecchia, sposta le barriere della gioventù e allontana i limiti delle nozze: le nostre antenate si sposavano a sedici anni, le mamme si sono mari­tate a venti, le sorelle a venticinque: figlie e nipoti si sposeranno a ventotto, a trenta. E gli uomini non si sentiranno uomini che più tardi ancora. - Ma, cara madama Rolier, care signore mie, non vi tur­bate per questo: troverete un fascino nei capelli grigi, nelle fronti pensose... E sarete amate... - mi correggo - le vostre figliole saranno amate con minor violenza, ma con un fervore più profondo.

ROSALIA           (che ora si trova presso Ruggero, guar­dando la signora Rolier)  Il signor Ruggero, se non sbaglio, presenta la sua candidatura.

RUGGERO         (guarda prima lei, poi madama Rolier)   Se ci fosse un collegio vacante, perché no?

LA DÒRTOLI     Intanto noi ce ne andiamo. Vero, signora Firmani?

NORINA           Così presto?

LA FIRMANI      (guarda l'orologio sul polso)  Non è presto. Il nostro trenino parte fra quaranta minuti. Prima d'arrivarci...

LA ROLIER        (con fredda cortesia)  Se volessero servirsi della mia automobile, le potrei accompa­gnare.

LA DÒRTOLI     Grazie. Facciamo volentieri due pas­si; è già l'ora che si cammina bene: sul vialone c'è l'ombra. E Lei, Norina?

ROSALIA           (a Norina)  Ma sì, muoviti un poco anche tu! Va' un po' con loro! (Con leggerissima ironia)  La signora Rolier per fortuna non si fa desiderar troppo e ci fa visite lunghe. Non è il caso di com-plimenti con lei. Non temere: la ritrovi.

LA ROLIER        (alla contessa)  Certamente. (A No­rina)  Ti aspetto con la contessa e con tuo suocero. (Alla contessa)  A meno che non voglia andare an­che Lei, signora? Non abbia riguardo per me...

RUGGERO         Ma sì, contessa! Vada, vada anche Lei. Non esce mai e le fa bene un po' di moto. Resto io con madama Rolier... se mi vuole. Vero che mi vuo­le? Le racconto la bella storia del re Meliadùs.

ROSALIA           (a Ruggero)  E presenta la candidatura.

RUGGERO         Chi lo sa!

(La Dòrtoli e la Firmani si sono alzate.)

LA DÒRTOLI     Venga, Norina.

LA FIRMANI      E anche Lei, contessa.

NORINA           (prima incerta, alla mamma)  Andiamo? Andiamo. Chissà che non si trovi Domenico. Tor-niamo a casa con lui. (Alla Rolier)  Ti ritrovo.

(Le signore Dòrtoli e Firmani si congedano dalla Ro­lier e da Ruggero.)

LA ROLIER        Se non fate troppo tardi.

NORINA           Comunque, a sabato. - Passiamo dal giar­dino: si fa più presto.

(Escono tutte dal giardino, meno Ruggero e la Rolier.)

LA ROLIER        (a Ruggero)  Una sigaretta, per pia­cere. Ne avevo una gran voglia.

RUGGERO         (le dà la sigaretta, l'accende)  Perché non l'avete detto prima?

LA ROLIER        Con tante signore! - E ora racconta­temi la vostra storia.

RUGGERO         « Madama Rolier! ». Non mi è mai riuscito capire dal vostro accento italiano di quale provincia della Francia voi siate.

LA ROLIER        Di quale provincia... della Francia? Di Firenze. Voi dimenticate che quando le donne si sposano, in Italia, e anche in Francia, pèrdono il loro nome di ragazze e prendono quello del marito.

RUGGERO         Perbacco! Avete ragione. Sono uno sciocco.

LA ROLIER        Non mi pare. Io starei per dire l'opposto.

RUGGERO         Dirò che sono stordito.

LA ROLIER        Quando vi fa comodo. Oramai credo di conoscervi.

RUGGERO         Ah, sì?

LA ROLIER        Credo di sì. Vi ho studiato un poco. -E dunque? Questo re Amoroldo?

RUGERO           Oh, oh, oh! ma quanto mi fa piacere! Es­sere oggetto di considerazione, di studio per parte di una signora graziosa (piccolo inchino alla Ro­lier), elegante (altro inchino), intelligente (terzo inchino)... No, no... non è il caso di ringraziare: io non vi dò che quello che vi spetta.

LA ROLIER        Sia pure. Ma accade così di rado di aver quanto ci spetta. Il meno che mi tocchi è ringraziare.

RUGGERO         Sta invece a me il ringraziarvi... Per­ché vi siete fermata con me, con me solo. (Serio)  Se io vi dicessi che mi son trattenuto qui a Palazzolo tre mesi per voi, per vedervi, per esservi vicino, per poter parlare con vai... scommetto che non mi credereste.

LA ROLIER        (subito)     Io no.

RUGGERO         (dopo un secondo di esitazione)  Ah! - E fareste benissimo. Perché io non vi direi la verità. Ma se vi dicessi che vi trovo bella, inquietante, che mi piacerebbe...

LA ROLIER        (continua sullo stesso tono)  ...tener­mi fra le braccia ogni qualvolta voleste farmi l'onore di prendermi... fino alla nuova stagione... o anche fino alla primavera ventura? Questo sì, lo crederei. - Avete fatto male a ricordare adesso ades­so Tristano e Isotta la bionda. Voi non avete be­vuto nessun filtro. Ma nemmeno io. Voi, forse, sare­ste disposto a prescegliermi fra le donnine che vi sgonnellano intorno: ma niente più. Ce n'è qual-cuna molto ben disposta a vostro favore. Rivol­getevi a lei.

RUGGERO         (sorridendo)    Credete?

LA ROLIER        Oh, sì... lo credo. Di quelle che lo dàn­no meno a divedere. Voi qui a Palazzolo siete il solo gallo del pollaio, e io per voi sarei la gallinella preferita alla quale fareste volar via qualche pen­na... No, prego. Vi ringrazio... ma niente di fatto, e niente da fare: passo la mano.

RUGGERO         (sorridendo)    Senza rammarico?

LA ROLIER        E senza rimpianto.

RUGGERO         Eppure!...

LA ROLIER        Dite.

RUGGERO         Mi pareva che non vi spiacesse trovar­mi accanto, trovarmi vicino, sentirvi alitare intor­no il soffio del mio desiderio...

LA ROLIER        Davvero?

RUGGERO         Davvero. Anch'io vi ho studiata. E mi sono anche informato.

(La Rolier ha un piccolo moto.) 

Naturalmente. Perché mi piacete. Noi dob­biamo sapere quello che vogliamo e quello che non vogliamo. Dunque chi siamo e dove vogliamo arrivare. - Ecco qui! Vostro marito è un grosso negoziante di gioie di Nizza. Quando vi siete spo­sati lui aveva cinquant'anni e voi ne avevate di­ciotto... Voi eravate la sorellina minore della sua segretaria. Voi andavate a prenderla qualche volta in ufficio... il vostro futuro marito vi ha vista, e si è innamorato di voi. Naturale! Ha fatto il suo do­vere. Sono bene informato?

LA ROLIER        (enigmatica)  Avanti.  Andate avanti.

RUGGERO         Sono bene informato. Se prima vi ho chiesto di quale provincia della Francia eravate l'ho fatto... così... per avviare un discorso, come avrei chiesto: « Oggi è lunedì? » oppure: « Quando fa la luna? ». Per domandarvi una cosa qualunque.

LA ROLIER        (tranquillissima)  Sì, per dire una prima bugia.

RUGGERO         (con la stessa calma)  O per sentire se ne dicevate una voi. Invece no. È vero, siete nata a Firenze: via dei Martelli, 19, ultimo piano.

LA ROLIER        Perché, scusate, perdete il tempo a dirmi tutte queste cose che so? Ditemi quelle che non so.

RUGGERO         Quelle che non sapete perché non ve le ho dette ancora, ma che pure avete immaginato? O meglio, che vi ho detto, ma che non volete credere, fingete di non voler credere. « Il gallo... la gal­linella... il pollaio... ». No, no. Voi avete voluto av­vilire, quasi distruggere ogni mio sentimento per voi, riducendolo ad un basso istinto di maschio... Sì, io vi desidero, ma questo non può offendervi: che altro è l'amore se non il desiderio? Né voi né io siamo due ragazzini ignari, o che si nascondono sotto parole tenere o ambigue: noi non cerchiamo soltanto il piacere... ma non neghiamo il piacere -  per questo io vi dico... (lento, suggestivo)  voi mi piacete tanto, tanto, tanto, come non potete cre­dere. (Le si accosta fino a sfiorarla.)  Io vi desidero tanto, tanto, tanto. (La tocca col viso come per ba­ciarla.)

LA ROLIER        (d'improvviso si ribella)  No. Ah no!

RUGGERO         (gentilissimo nel tono)  Avete ragione. E questo vi fa onore, madama Rolier. Vi chiedo scusa. - Dopo il figlio, il padre no. Abbiate tutte le mie scuse.

LA ROLIER        (fieramente)  Sì. E fate bene a chie­dermi scusa: fate appena il vostro dovere. La vo­stra condotta è indegna. - Ero stata avvisata che cercavate l'amante di vostro figlio; ma non cre­devo che sospettaste di me. Ero qui non per voi, per lui: per trovar lui che mi sfugge. - Sì, chie­detemi scusa. - Voi vi siete informato sul conto mio, così come si chiedon notizie di una donna pe­ricolosa: vi sarete rivolto a qualche sudicia agen­zia, avrete incaricato qualche amico compiacente di ricerche allo Stato Civile: non è bello questo, e non è nemmeno lecito. - Perché vi siete creduto in diritto di farlo? perché sono stata l'amante di vostro figlio? - Se mai, potevate cercare questo sol­tanto: se io l'ho amato veramente. Ma nessuna agenzia ve lo saprebbe dire. - Sì, io l'ho amato; lui non mi ha amata; ma io lui, sì. Perché? Perché era giovane. Perché quando a diciott'anni si è sposato un uomo di cinquanta, anche se il marito è un brav'uomo a una cert'ora ci si stanca di sen­tirci protette: vogliamo, se mai, protegger noi al­meno una volta. - Il vostro figliolo non era libero, è vero, ma era sulla mia strada: non l'ho cercato, mi passava dinanzi, l'ho preso. - Ma l'ho amato... Prima... dopo... non so: ma l'ho amato. - Né la vostra curiosità, né la vostra paternità vi davano il diritto di frugare nel mio passato, né di cercare di sug­gellarmi di sorpresa la bocca come... come a una donna di strada.

RUGGERO         Vi ho detto che vi chiedo scusa. E vi rinnovo le scuse. Mi sono portato male, ma non sapevo. - Si ha un bell'avere molta esperienza, molti anni sul groppone... le donne vi preparano sempre qualche sorpresa. Vi pensavo diversa! - Io sono un giudice indulgente delle colpe d'amore: vi assolverei dunque se, invece che mio figlio, aveste amato un altro qualunque, che non mi sia vicino. Avete scelto mio figlio... (Con la sfumatura di un sorriso)  Come padre me ne compiaccio... ma anche me ne turbo: nel caso speciale me ne turbo, perché avete portato tumulto nel suo cuore e disordine nella sua famiglia.

LA ROLIER        Oh! non abbiate paura... (Con un tri­ste sorriso)  È finita. È già finita. Domenico è vo­stro figlio: è più vostro figlio di quello che voi stesso non crediate. Non ha la vostra intraprendenza, il vostro ardire... ma ha la vostra stessa incostanza.

RUGGERO         Che ne sapete di me?

LA ROLIER        Non avete moglie...

RUGGERO         L'ho avuta.

LA ROLIER        ... e non avete una donna. Per lo meno una donna che vi trattenga dal cercarne un'altra. - Pochi minuti fa avete tentato con me.

RUGGERO         Non era che una prova. Volevo la con­ferma di un sospetto.

LA ROLIER        Ah! ora non siete gentile. Dovevate lasciarmi l'illusione che si trattasse almeno di un desiderio.

RUGGERO         Volevo sapere. La contessa - e vi sarà stato detto - ha scoperto lei per la prima che Domenico aveva un intrigo: Norina è inquieta, non sa, ma sospetta, perché Domenico è agitato, e le pare che la trascuri. Quanto a me... non ho la gra­vità apparente del padre, ma ne ho le preoccupa­zioni. Occorreva, per arrivare a sapere, un piccolo colpo audace. Bisognava far saltare una serratura. Ho fatto saltare la serratura.

LA ROLIER        (con quel suo triste sorriso)  Ma guar­da!... Vi ho dunque messi tutti in orgasmo. Ho tur­bato le acque tranquille di un lago... Però, tutti voi avete scambiato un acquazzone per una bufera. - on vi siete accorto che il vostro figliolo mi sfug­ge, che non c'è mai qui quando sa che io ci vengo?

RUGGERO         Me lo dite ora e vi credo. Ma io? osser­vavo il fatto e mi sfuggiva il motivo.

LA ROLIER        E il fatto è questo: che io sono stata per Domenico l'avventura, la parentesi, la gita di piacere, la scappatella: ma la sua casa è qui, la sua vita è qui. C'è qui sua moglie e c'è qui il suo bimbo. Io sono stata poco per lui: ora non sono più nulla. Ti o to: finito. Siete contento, adesso che sapete tutta la verità?

RUGGERO         No, non sono contento. Il mio egoismo di padre non può arrivare fin là.

LA ROLIER        Ma siete tranquillo: fin qui il vostro egoismo di padre arriva. - Ma ditemi, come, quan­do vi è venuto in mente che potessi essere io? per­ché, prima, avete dovuto pensare che vostro figlio fosse stato adescato, accalappiato da una qualche esperta civetta... e invece...

RUGGERO         Sbagliate. Io vi credevo diversa, ma fi­no dal primo giorno ho pensato che foste voi.

LA ROLIER        Perché? Non so immaginare perché. Mi si legge in faccia? No, eh? Non è possibile: non credo di avere l'aspetto della donna fatale.

RUGGERO         È vero: il vostro è un viso dolce e fino di buona damina; ma la prima volta che ci siamo incontrati mi avete guardato in un certo modo! Voi cercavate, sui miei lineamenti, i lineamenti dell'uomo che vi piaceva.

LA ROLIER        Ma non vi somigliate affatto!

RUGGERO         Appunto. C'era nei vostri occhi lo stu­pore della nostra dissomiglianza. Ed io vi ho letto quello stupore. - Ma forse nemmeno da quello ho capito. Forse... Chi sa! Così: l'ho intuito. - E poi, a che serve cercare?

LA ROLIER        Oh, a nulla. (Si allontana.)  Nulla serve più a nulla.

RUGGERO         Ve ne andate?

LA ROLIER        Vien tardi. Salutate voi le signore. (Dopo una breve esitazione)  E... ditegli - voi lo ve­dete, io non lo vedo - che mi restituisca le lettere; è un modo come un altro per fargli sapere che voi avete saputo da me, e che siete tranquillo, che io ho capito... e che mi rassegno. Ti o to: finito.

RUGGERO         A rivederci, madama Rolier. E tornate. Non fosse altro perché non sorgano complicazioni.

LA ROLIER        (col suo triste sorriso)  Ma sì. A rive­derci... nonno. (Esce).

(Imbrunisce.)

RUGGERO         (saluta lei che scompare, di lontano, ri­mane un momento alla porta silenzioso, poi mor­mora)  Quella donna non ha fortuna. (Poi deci­dendosi come a un tratto, traversa la sala, va allo stipo, lo tenta, lo scuote.)  No, è chiuso. - Non ha proprio fortuna.

(Si appoggia allo stipo, mettendo­si le mani in tasca, vi trova e ne trae un astuccio, pensa un minuto.) 

Che è? Ah!

(Si ricorda e lo ri­mette in tasca. Trae un portasigarette, accende, fa cadere la cenere della sigaretta. L'entrata di Ro­salia, dal giardino, lo riscuote.) 

Oh brava, è Lei!

ROSALIA           Sono io. Come! solo? di già?

RUGGERO         Solo. E Lei? Sola?

ROSALIA           Norina si trattiene ancora sul vialone per vedere se torna Domenico. Io ho preferito rientrare per il piccino.

RUGGERO         C'ero io; non bastavo?

ROSALIA           Ma Lei era tanto occupato!

RUGERO           Infatti.

ROSALIA           E madama Rolier?

RUGGERO         Faceva tardi; è andata. Ma tornerà.

ROSALIA           Ah, lo credo.

RUGGERO         Simpatica quella signora Rolier!

ROSALIA           E perché lo dice a me? Ha presentato la Sua... candidatura? Ha buone speranze?

RUGGERO         Oh oh! Sa che è indiscreta?

ROSALIA           Credevo che intrattenerla su questo ar­gomento le facesse piacere.

RUGGERO         Non mi dispiace affatto. Ma se avesse qualche altro soggetto di  conversazione, magari!

ROSALIA           Io? Lei lo sa bene: la mia conversazione è senza attrattive.

RUGGERO         Non è vero.

ROSALIA           (senza badare)  Non ho che una merce di poco prezzo e fuori moda: il buon senso.

RUGGERO         Mai fuori moda. . E poi ogni motivo è simpatico, secondo la persona, starei per dire se­condo la bocca... come ogni musica secondo la voce.

ROSALIA           Bene: non ci perdiamo in teorie e in chiacchiere di carattere generale; stiamo al con­creto. Io non le ho chiesto più nulla e non ho parlato più con Domenico... di quello che Lei sa. E mi ce n'è voluto. Ma Lei aveva promesso, s'era impegnato di trovare in ventiquattr'ore... Niente. O per lo me­no non mi ha detto niente. E sono passati più di tre mesi: Norina non sa, ma è inquieta.

RUGGERO         Lo so: tormenta anche me.

ROSALIA           E allora?

RUGGERO         Penso io.

ROSALIA           A che?

RUGGERO         Penso io.

ROSALIA           Non dà mai spiegazioni! E promette sem­pre!

RUGGERO         Ma è già una gran gioia promettere! Per chi promette e per chi riceve la promessa.

ROSALIA           Sì, purché la si possa mantenere...

RUGGERO         Anche se non si mantiene, non si to­glie quella prima gioia. Vuol dire soltanto che non si può dare anche la seconda.

ROSALIA           Vuol dire che si è mentito.

RUGGERO         Basta essere in buona fede quando si promette. - E non è nemmeno necessario. È così dolce mentire! - E a volte ci vuol tanto ingegno! Dire la verità, che sforzo! tutti son buoni a dire la verità: non occorre né inventiva, né spirito, né prontezza. Ma una bella bugia è un corroborante, è dell'alcool che circola nelle vene, del vino che bolle. - No, no, contessa: non si sgomenti, e non mi faccia quegli occhi. Norina non deve aver più ragione d'essere inquieta, non l'ha più da un pezzo. Vedrà: quando Domenico torna, io credo che potrà darle la prova che ogni ragione di dubbio, di preoccupazione è svanita, per sempre.

ROSALIA           Mi posso fidare?

RUGGERO         Si fidi di me. Si fidi sempre di me: se ne troverà bene. - Vada a raggiunger Norina: chis­sà che Domenico non le prepari qualche bella sor­presa. Mi è parso di capire in questi ultimi giorni... No, no, non le voglio dir nulla.

ROSALIA           Io vado. (E si avvia verso il giardino.)

RUGGERO         (le dice dietro)  Ma come è carina, stasera!

ROSALIA           (si volta)     A chi dice?

RUGGERO         Dico a Lei!

ROSALIA           (esageratamente sgomenta)  E la povera madama Rolier? (Con tragica comicità)  Traditore! (Esce dal giardino.)

RUGGERO         (si frega le mani, contento)  Penso io. Parlo io. Accomodo tutto io.                   (Canticchiando)  « Fi­garo qua, Figaro là... ».

DOMENICO      (entrando quasi subito dalla comune)  Ciao, papà!

RUGGERO         (senza interrompersi)  « Figaro su, Figa­ro giù! »... Da dove vieni?

DOMENICO      Di città.

RUGGERO         E che ci sei andato a fare?

DOMENICO      A passare un'ora. Mi son fermato al Caffè della Posta.

RUGGERO         Tornando non hai mica visto Norina?

DOMENICO      Io no; dove?

RUGGERO         Ah, già! eri dall'altra parte. Le signore sono andate via da un pezzo e lei sperava di tro­varti sul vialone. È con sua madre.

DOMENICO      Le dobbiamo andare incontro? (E si muove.)

RUGGERO         (fermandolo)  No, sta' qui, che prima ho da parlarti. E ti dò subito una notizia. Madama Ro­lier vuole indietro le sue lettere.

DOMENICO      (aggrottando le ciglia, freddo)  Che dici? Non ti capisco.

RUGGERO         Madama Rolier vuole indietro le sue lettere.

DOMENICO      Quali lettere?

RUGGERO         (ridendo)  Ma no, ragazzo mio! Non aver l'aria di cascar dalle nuvole e non aver pau­ra che ti giochi un tiro. È la verità. - Ah, perché dopo il primo giorno non ti ho più parlato del tuo romanzo, tu credevi che non me ne fossi più oc­cupato? No, caro: lavoravo, lavoravo. Poi avevo sospeso. Ho ripreso oggi, e il risultato è questo: che la Rolier chiede le sue lettere. Tu le lettere non le hai, ma io te le farò rendere. - Povera si­gnora Rolier! Almeno ha diritto a questo! - Oh, per la verità, avevi ragione di difenderla: l'ho tro­vata molto migliore di quello che non credevo! Potevi capitar peggio. E per questo lei si merita­va di capitar meglio. - Tu ti sei portato male con madama Rolier.

DOMENICO     Io? - Che ti ha detto di me?

RUGGERO         Che non ne vuoi più sapere. Se n'è ac­corta, e ci si rassegna. Ma tu non le hai risparmia­to nemmeno l'umiliazione di venir qui a cercarti e di non trovarti.

DOMENICO      Dal momento che volevo finire!

RUGGERO         Non è una ragione.

DOMENICO      Dovevo finire o no? Non era questo che volevi anche tu?

RUGGERO         Non è una ragione.

DOMENICO      Ah, scusa, papà, ma sei un bell'origi­nale! Ma come? Quando io la difendevo, tu mi co­privi di ingiurie perché la difendevo; adesso che la lascio, tu mi strapazzi perché la lascio.

RUGGERO         Naturale! Allora protestavo perché sta­vi per far piangere i begli occhi di tua moglie. Ades­so protesto, per tutta la malinconia che hai messo nei begli occhi della tua amica. Eh, caro mio, io sono sempre stato il paladino dei begli occhi!

DOMENICO      E allora, torna a occuparti dei begli occhi di Norina, e mettiti in pace, che ogni peri­colo è passato. Se anche la Rolier l'ha capito, tan­to meglio.

RUGGERO         Ma se glielo facevi capir tu, era meglio ancora.

DOMENICO      Perché? Tanto, la cosa non mutava. Soprattutto il mio sentimento non mutava.

RUGGERO         Come sei feroce! Ah, si vede che non t'interessa più. Eh già: quando ci si stanca... - Ma almeno la forma, che non costa nulla. Lei è passa­ta per tutti i rischi... Se il signor Rolier avesse sco­perto, non credo che sarebbe stata allegra.... Lei ti voleva bene e tu non gliene volevi già più... Acca­de. Ma bisognava farsi perdonare con delicatezza. - Come dice il Galateo di Monsignor della Casa?: « Con le persone usar modi cortesi ». E specialmen­te con le donne. E specialmente con certe donne.

DOMENICO      E sia: mi son comportato male: lo riconosco. Ma ho contro di lei una specie di rancore...

RUGGERO         Ah!

DOMENICO      Un rancore irragionevole, ingiusto, lo so, ma che ci posso fare? La mia per lei è stata - come dire? - una vampata, una tentazione... C'è lì a portata di mano una cosa che in quel momento ti piace o ti pare che ti piaccia, allunghi una mano, la prendi, ma poi...

RUGGERO         (tranquillissimo, lo interrompe)  Ma poi... la restituisci al padrone, al marito... al signor Rolier. E questa restituzione... un po' tardiva, di una cosa che non ti interessa più, si chiama: il penti­mento. Conosco. E poi non ti basta di averla resti­tuita: t'irriti con lei perché, non amandola più, ti senti in torto verso quella che hai ingannato. E poiché non trovi la scusante della passione, visto che non l'ami più, la colpa non è più tua: diventa di lei che s'è lasciata prendere, che si era messa a portata di mano, come dici tu. Che diavolo! Dove­va starsene lontana! L'uomo è debole, l'uomo è la­dro, se può ruba. - E questo si chiama: il rimorso. Conosco, conosco. Il caso è comune. - Ma, in fondo, visto che ci vuol sempre una vittima, meglio che sia lei, madama Rolier, e non tu o tua moglie. - Ma a tua moglie ci sei tornato?

DOMENICO      Ah, sì, con tutta l'anima!

RUGGERO         Non pare.

DOMENICO      Ti giuro che...

RUGGERO         Non devi giurare a me, devi giurarlo a lei; devi convincere lei, Norina. E invece Norina, che non mostrava di sospettare quando tu eri in pieno contrabbando, ora che sei nella legge, so­spetta... O per lo meno non si spiega il tuo conte­gno. - Perché tu sei freddo con lei. Perché?

DOMENICO      Perché ho paura che Norina capisca, che si accorga, che mi legga negli occhi...

RUGGERO         Ma non dire sciocchezze! Che vuoi che legga? Si vede quando si lascia vedere!

DOMENICO      Ma sua madre lo sa, ma tu lo sai. E io  mi trovo a disagio. Il pensiero che un giorno lei mi avesse a respingere perché è venuta a conoscere...

RUGGERO         (lo interrompe)  Ma non verrà a conoscere.

DOMENICO      Sì, tu non parli, lo so, ma se parla mia suocera? - E se anche non parla, io mi trovo come un ragazzo che a scuola ha commesso una birichi­nata: il maestro non lo sa, ma i compagni lo han­no visto, e così si sente a disagio. - Una volta, mi ricordo, al Liceo un mio compagno di banco aveva fatto scoppiare in classe un piccolo mortaretto. « Chi è stato? » chiese prima il professore e poi il preside. Congiura del silenzio: tutti sapevano, ma tutti tacquero. Eppure dopo due o tre settimane il  Ravelli - si chiamava Ravelli - così d'un tratto si denunziò al professore. I compagni dissero: « Che imbecille! », io invece, lo capii perfettamente. Sen­tii che nel suo caso avrei fatto lo stesso.

RUGGERO         E poi?

DOMENICO      Poi, che?

RUGGERO         La fine. Vorrei sentire la fine di questa storia commovente.

DOMENICO      È finita che il professore lo ha perdonato.

RUGGERO         E ha fatto malissimo! Io lo avrei pu­nito... Non per il mortaretto, ma per la confessione. - E in ogni modo la moglie non è né un professore, né un sacerdote. A confessare c'è sempre tempo. - Piuttosto quando si soffre e si smania per queste crisi di sincerità, si cerca di non cascare nel peccato.

DOMENICO      E quando ci si è cascati?

RUGGERO         Si cerca di non ricascarci.

DOMENICO      Ma io una volta non nascondevo nulla a Norina, come lei non ha nascosto mai nulla a me.

RUGGERO         Bella forza! Perché non avevi niente da nascondere. Ma oggi...

DOMENICO      E se non posso?

RUGGERO         Vuol dire che sei malato, che bisogna che io ti curi e che tu faccia presto a guarire. -Guarda: ho in tasca il rimedio. (Come di scatto)  Tu dove sei stato finora?

DOMENICO      (semplice)  Te l'ho detto: al Caffè della Posta.

RUGGERO         Nossignore.

DOMENICO      Come no?

RUGGERO         (deciso)  No. Tu sei stato dal Marchiori, il gioielliere all'angolo di Corso Vittorio Emanuele.

DOMENICO      Io?!

RUGGERO         Sì, tu. Eri andato in città proprio per lui. E difatti... (trae di tasca un astuccio)  hai comprato questo anello per tua moglie. (Ed apre l'astuccio.)

DOMENICO      (sbalordito)  Io, ho comprato?

RUGGERO         Tu! La pietra non ha gran valore... è un gioiello un po' semplice, ma ti è parso di buon gusto; e non hai mica sbagliato. Il Marchiori te ne avrà mostrati venti. Tu eri incerto fra tre o quat­tro. Anzi, mercoledì passato ne avevi già preso uno, ma non ti piaceva più e l'hai riportato e ti sei deciso per questo. - E ti lodo della scelta. Ora capi­sco le tue gite in città, le tue fughe dalla villa... (Mutando voce e tono)  Metti in tasca.

DOMENICO      (sempre sbalordito)     Ma io...

RUGGERO         E per tua suocera... (trae un altro astuccio)  - tu vuoi molto bene a tua suocera - hai comprato questa catenella sottile con una medaglina benedetta dal Papa. - Oh, una piccolezza! Ma non vuol dire: il pensiero è gentile. Apprezzo il pensiero. Bravo Domenico! - Metti in tasca! (E glielo mette in tasca.)  Per Ariberto ooh! per Ariberto, hai preso un sonagliolino. (Trae un terzo astuc­cio.)  Oh, caro il mio piccolo! Chissà come ci si di­verte!

NORINA           (di dentro)  È venuto il padrone?

RUGGERO         Metti in tasca. (E gli mette in tasca anche il sonagliolino.)  Prima che possano dire una parola, fuori i regali. E per me? A me non hai com­prato nulla? (Gli batte sulla spalla.)  Va' là, non im­porta: ti voglio bene ugualmente.

(Si apre la porta, appariscono Norina e Rosalia.) 

Olà! Ben tornate! Ero qui che sgridavo Domenico perché ci lascia con tante belle signore e se ne va per suo conto! « Ma chi ti aspetta in città? » - gli ho chiesto - « La morosa? » ... Mi ha chiuso la bocca con un « Vedrai » pieno di promesse e di mistero. Si­nora non ho visto nulla. Voleva che ci foste voi, per spiegarsi. (A Domenico)  Avanti: non manca nessuno: che si giustifichi, che dica.

DOMENICO      No, papà, scusa. È meglio che parli io da solo con mia moglie. - Norina, vieni con me.

NORINA           (lo guarda; poi, decisa)  Eccomi, Domenico. (I due salgono la scala, spariscono. Ruggero e la contessa li seguono con gli occhi.)

ROSALIA           (fissa Ruggero che tace e fa un atto di comico sbalordimento)    Che accade? Mi dica.

RUGGERO         Oh, niente: Domenico... che si prepara a fare un'altra sciocchezza.


ATTO TERZO

La stessa scena. La sera della stessa giornata. Luci accese

(Ruggero è solo davanti a un tavolino con un muc­chio di cartine da gioco innanzi a sé. Molte cartine sono già distese. Quando le persone entrano, parlano, al più s'interrompe nel suo solitario, ma non l'ab­bandona. Ora ha una sigaretta in bocca. Di tratto in tratto nel suo lavorio depone la sigaretta sul por­tacenere, la riprende. Giannina discende dal primo piano, si ferma davanti a lui, aspetta.)

RUGGERO         (dopo un momento)     Dite, dite pure.

GIANNINA        La signora le fa dire che non discende per la cena. Non si sente bene.

RUGGERO         Mi dispiace. (E continua il gioco. Gian­nina non si muove.)  C'è altro?

GIANNINA        Nossignore... Guardavo un momento... Permette?

RUGGERO         Guardate, guardate.

GIANNINA        (stupita)    Gioca da solo?!

RUGGERO         Sì, cara. È l'unico modo per non aver questioni col compagno. Questo è un bellissimo solitario... quando riesce. Soltanto... non riesce mai. E la contessa?

GIANNINA        È su con la signora.

RUGGERO         (riprende la sigaretta)  Vedete? I fanti sono già arrivati da un pezzo e sono uniti. Ma le regine, più mescoli e più s'allontanano. - Già, riunire quattro donne...

DOMENICO      (vien dal giardino, si ferma timidamen­te  sulla porta)    Papà.

RUGGERO         Di' su.

(Giannina risale la scala. Ruggero tranquillo continua il suo gioco.)

DOMENICO      (in piedi aspetta che sia uscita Giannina)  Papà. Ho preso una risoluzione.

RUGGERO         Bene.

DOMENICO      Me ne vado per qualche giorno.

RUGGERO         (sempre freddamente attendendo al suo gioco e deponendo una cartina)    Benissimo.

DOMENICO      Se non ti dispiace, vengo con te. Partiamo domani. Approvi?

RUGGERO         Approvo.

DOMENICO      Perché Norina si è messa dalla parte del torto. Ho confessato senza necessità, le ho detto che tutto è finito, che le voglio più bene di prima... dunque non è giusto che continui a parlarmi come se io avessi lasciato la casa, come se avessi abban­donato lei, come se avessi rinnegato il bambino. Ti pare? - Che cosa vuole? Che cosa pretende? -Vengo da te: la lontananza fa riflettere, e fa ve­dere le cose quali sono. Come dici, tu? « Bisogna avere il senso delle proporzioni ». Si metterà in calma; e se no, peggio per lei. - Approvi?

RUGGERO         Approvo.

DOMENICO      E se non vuol scrivere a me, scriva a te per darci notizie del bimbo. Quando sarà ac­quietata, noi torneremo qui e non ci saranno più rancori né malintesi. - Approvi?

RUGGERO         Io approvo tutto.

DOMENICO      No, tu non approvi.

RUGGERO         Perché?

DOMENICO      Lo dici in un certo modo che si capi­sce che dici il contrario di quello che pensi. Io voglio il tuo parere, il tuo consiglio: sii preciso.

RUGGERO         Va' a letto. Il mio consiglio è questo.

DOMENICO      Tu sei irritato con me...

RUGGERO         Io no. (Non fuma più.)

DOMENICO      (continua)  ... perché non ti ho dato ret­ta. Ma non potevo, avevo addosso un peso!

RUGGERO         Già! ti sei scaricato. Il peso l'hai rove­sciato su di lei.

DOMENICO      Perché lei esagera. È sua madre che le empie la testa, ci scommetto! esagera più di lei. - Hai ragione tu che non la puoi soffrire.

RUGGERO         (vivace)  Chi ti ha detto che non la pos-so soffrire?

DOMENICO      (attenua)  Sì, che la trovi eccessiva, bisbetica...

RUGGERO         Io non la trovo né eccessiva, né bisbetica.

DOMENICO      Scusa: non mi hai detto tante volte?...

RUGGERO         Io non ti ho detto niente. - Per ostenta­re il tuo rinnovato candore, ci hai messo in con­dizione di dovercene andare, tu e io: io che non c'entro per nulla nei tuoi pasticci e avevo, anzi, trovato il modo di rimediare. - Ecco quello che ti dico ora.

DOMENICO      E sia: avrò sbagliato anche in questo. - Prendi, papà. (Gli porge gli astucci che trae di tasca.)

RUGGERO         Che roba è? - Ah! Bene spesi. (E mette in tasca.)  Tutto bene speso con te, oggi! Ma si può sapere con un po' di precisione com'è andata?

DOMENICO      È andata che Norina, quando le ho detto... - il nome no, eh! si capisce - ha pianto, ha smaniato, ha gridato... e più mi scusavo e più pian­geva, e più la pregavo di non farsi sentire da sua madre, e più strillava come se lo facesse apposta. Poi ha voluto che la lasciassi perché voleva con­sultarsi con sua madre, e io...

RUGGERO         E tu sei andato a passeggiare in giardino.

(Rosalia scende.) 

Eccola, sua madre.

ROSALIA           (vede Domenico)  Ah sei qui? Ti credevo fuori.

DOMENICO      (ansioso)  E Norina?

ROSALIA           Ti dirò dopo.

DOMENICO      Dica Lei intanto: dovevo o non dovevo parlare?

ROSALIA           Tu, in questo, hai fatto il tuo dovere. E se un giorno o l'altro Norina fosse venuta a co­noscere da qualche altra parte, sarebbe stato peg­gio, perché in certi casi sapere è un conforto.

RUGGERO         (senza alzar la testa dal gioco)  E non sapere è la felicità.

ROSALIA           Come dice?

RUGGERO         Nulla. Parlavo con l'asso di cuori.

ROSALIA           (a Domenico)  Ora però vorrei discorrere  con tuo padre.

DOMENICO      (dopo un breve silenzio)  Dò fastidio?

(Rosalia tace.)

RUGGERO         (a Domenico)  Pare.

ROSALIA           Ma poi avremo bisogno di te.

RUGGERO         Allora non andare a letto; torna a pas­seggiare. Ti chiameremo.

(Domenico esce rassegnato.)

ROSALIA           Mi può dar retta un momento?

RUGGERO         Sono qui tutt'orecchi. (Sospende il gioco.)

ROSALIA           Lasci stare le carte. - Norina ha preso una decisione.

RUGGERO         Bene.

ROSALIA           Pare a lei, e pare anche a me, che sia molto meglio che si allontani. Viene da me a Castelnuovo, partiamo domani.

RUGGERO         (serissimo)  E Ariberto? ha preso nes­suna decisione?

ROSALIA           (offesa)  È tanto irragionevole quello che dico, che Lei adopera il sarcasmo per rispondermi?

RUGGERO         (tranquillo)  No, ma è inutile. - Sa che  cosa mi è venuto a dire Domenico? Che gli pareva bene partire... anche lui!... Domani... anche lui! Sicché ci poteva capitare questo casetto cu­rioso: che ci incontrassimo alla stazione, e forse anche nella stessa carrozza, Lei, io, Norina, Domenico, il piccolo... e la balia asciutta. - Se mai, dun­que, bisognerebbe decidere: chi parte? Norina o Domenico? Noi o voi? - Ho ragione?

ROSALIA           Ha ragione.

RUGGERO         Meno male che almeno una volta lo riconosce.

ROSALIA           Vuol dire che domanderò a Norina se preferisce che restiamo qui o che ce ne andiamo, e farò quello che Norina vorrà.

RUGGERO         Ma perché poi ha proprio da scegliere Norina? ma io, ma Lei, non contiamo nulla?

ROSALIA           Qui si tratta di fare per il meglio nell'in­teresse dei nostri ragazzi, anche con nostro sacrificio.

RUGGERO         Il loro interesse, sì; il nostro sacrificio, no.

ROSALIA           I genitori devono sacrificarsi per i loro figli.

RUGGERO         Nossignora.

ROSALIA           E io le dico di sì.

RUGGERO         E Lei si sacrifichi; ma io non intendo sacrificarmi. Il mio signor figlio fa una sciocchezza: sono io che devo pagare? La Sua signora figlia va sulle furie per niente...

ROSALIA           Per niente?!

RUGGERO         Per poco...

ROSALIA           Per poco?!

RUGGERO         Per molto, per quello che vuole Lei... Ma insomma, io qui sto bene, e di qui non mi muovo. E se Norina desse retta a me non si muo­verebbe nemmeno. Cosa ci va a fare a Castelnuovo? E anche Lei contessa, cosa ci va a fare? Non ne ha abbastanza? A soffrire il freddo fino dall'ot­tobre, e il caldo fino dal maggio; ad annoiarsi...

ROSALIA           Io non mi annoio. La mia casa è piena di ricordi per me: ci sono abituata e ci vivo.

RUGGERO         Dica piuttosto: « ci vegeto ».

ROSALIA           Perché? Scrivo, fantastico, a certe ore leggo...

RUGGERO         Sì: soffre per conto di gente che non è mai esistita.

ROSALIA           Se leggessi libri di invenzione! Ma leggo libri di storia.

RUGGERO         Cioè soffre per gente che non soffre più da un pezzo.

ROSALIA           Mi crede tanto sensibile? (Breve pausa.)  E prego, anche.

RUGGERO         Per chi? Anche per me?

ROSALIA           Per tutti... Dunque anche per Lei.

RUGGERO         (con un piccolo inchino)  La ringrazio. Ma prega per tutti ugualmente? - È troppo ed è poco. Questa distribuzione socialista di preghie­re... « tutti compagni », fa sì che ce n'è poco per tutti. - Se io pregassi, credo che tra i peccatori sceglierei i più peccatori, per turno. Oggi pregherei per Tizio, domani per Caio, dopodomani per Sempronio.

ROSALIA           Tanto perché venisse anche il Suo turno. Lei vorrebbe tutta una giornata per sé.

RUGGERO         Ecco. Mi spetterebbe. Sicuro. Perché Lei mi conosce, perché sono quasi un parente, perché sono un peccatore simpatico. - Dica la verità che sono simpatico?

ROSALIA           Lei ha una gran smania di parlare di sé, di pensare a sé. Qui invece si tratta dei ragazzi. -Lei vuol sapere se è simpatico, se non è simpatico, non pensa che a stare allegro, a star bene, a fare il comodo Suo...

RUGGERO         Che è poi anche il comodo degli altri. Sissignora: per tutti. Se non stessi bene io, procurerei dei fastidi a chi mi è d'intorno; se non fossi allegro io, vi annoiereste voi e invece io vi di­verto; se mi piace mangiar bene, mangiate bene anche voi... Per tutti. Quando Lei è di buon umore, non crede di diffondere intorno a sé il suo benes­sere, il Suo buon umore? Servite dominum in laetitia... È latino, ma latino di chiesa, quello che a Lei deve piacere. Se ho il viso sereno, lo faccio per vedermi fronti spianate tutto intorno. - Anche Lei. non lo sa, ma ai era trasformata in questi mesi: tutto merito mio.

ROSALIA           Merito del piccolo, anima cara.

RUGGERO         Anche, anche. Ma anche mio. E così Norina, se non era quello sciocco di Domenico a parlare, senza una necessità al mondo... - Domando e dico perché, Dio benedetto, perché?

ROSALIA           Perché... Quando fanno qualche guasto, le persone di servizio per esempio, io dico: « Pur­ché lo sappia da voi, non vi rimprovero nemmeno. Ma se non me lo dite, guai ». - Sapere è già qualcosa...  è molto. Noi donne siamo tutte cosi.

RUGGERO         E quando da me fanno i cocci, dico: « Buttate via, e non mi dite nulla, se no vado in collera »... Non so se gli uomini sian tutti così: ma io penso a questo modo. - Fossi un medico, a un malato non direi quale è il suo male. Non sapere è molto... è tutto. - Comunque, che vuole Lei? che Domenico abbia la sua punizione? Io direi che l'ha già avuta. Vuole che scelga Norina? se stare, se andarsene, se perdonare, se condannare? Io credo che si arrenderà. Se è una personcina di giudizio, cederà. Io la chiamo. E Lei senta.

(Va al campanello e suona: Giannina apparisce.) 

Dite alla signora se può scendere un momento, se no vengo su io. (Giannina sale la scala, esce.)  E scusi, sa: lasci che parli io, soltanto io. E Norina, s'intende. - Se le conclusioni non le piaceranno, interverrà... ma alla fine. Scusi.

 (Apparisce Norina.)

NORINA           Babbo, che volevi?

RUGGERO         Ho sentito da tua madre che intendere­sti partire domani. Poiché Domenico per conto suo ha la stessa intenzione, ti avviso che puoi rima­nere se preferisci. Che vada tu o lui, il risultato è il medesimo, ti pare?

NORINA           Vado io a Castelnuovo.

RUGGERO         Ecco: ti allontani dal luogo del delitto.

NORINA           Il delitto non l'ho commesso io. E voglio sapere chi devo ringraziare, chi è questa donna. Ho diritto di saperlo, no?

RUGGERO         Forse: ma lui non te lo può dire. E se anche potesse, io non vorrei che te lo dicesse. Que­sta donna oggi è un'ombra. Si era messa in mezzo fra lui e te: poteva pensare di essere lei oramai la prescelta: invece niente. Lui non la cerca più, non è per lui che un penoso ricordo. E tra qualche me­se non sarà più nemmeno un ricordo.

NORINA           Ma avrà pur riso di me: voglio sapere, non fosse che per ridere di lei.

RUGGERO         Non ha riso. E se anche fosse, non sarebbe degno di te che tu ridessi di lei. Per altre cose ben più alte hai diritto, hai ragione di ridere tu: per il tuo bimbo, e per il tuo uomo che ora è più tuo di prima. L'altra è morta, è come morta. Vuoi ridere di una morta?

NORINA           Io voglio sapere chi è.

RUGGERO         E poi? Quando lo saprai?

NORINA           Quando lo saprò... (E s'interrompe).

RUGGERO         Vedi: non puoi dir altro. Avresti un cruccio di più. - Perché vuoi dare un nome a un peccato? Che sia questa o quest'altra, bella o brut­ta, giovane o già sfiorita, tu non perdoneresti se non vuoi perdonare. - No, dammi retta: non voler identificare, cioè aver dinanzi agli occhi una immagine determinata, un oggetto preciso d'odio; il ri­sentimento sfuma più presto, il rancore si attenua più facilmente quando non si impersona.

NORINA           Ma io non potrò dimenticare mai... mai.

RUGGERO         Non dire... non dire. Tutto si attenua, sfuma, si dimentica. Altrimenti, guai! - La vita si fa ogni giorno più dolorosa... e tu vuoi tenere un rancore duraturo, profondo per tuo marito, per­ché ha avuto un giorno di minor desiderio per te... un giorno di desiderio per un'altra? Sono già tante le ragioni di tormento, di dissidio, di odio, nuove e antiche... e neppure questa, per una passeggera mancanza di rispetto, deve sminuire, deve scemare?

NORINA           Ah! sì? Troppo facile, troppo bello per voi! Di' che fossi stata io a tradire, parleresti ugual­mente? Lui avrà preso la prima donna che gli è capitata, che gli ha sorriso, le avrà gridato, sia pure mentendo, il suo amore, e poi... E poi, tornando a me, per ritrovare la sua tranquillità o per gustare insieme due sapori, quello dell'inganno e quello dell'amor coniugale, dovrà riprendermi, riavermi come se niente fosse? Tutto come prima? No, no: soffro io? deve soffrire anche lui. Noi schiave, voi liberi, no.

RUGGERO         Ma se è così! Se siamo fatti così! noi li­beri e voi schiave. Tu sei fedele perché sei fatta per essere fedele a un uomo solo, sei nata per un uomo solo. Non tu sola: tutte: domanda a tua ma­dre. Se non siete viziose o guaste, voi, tutte, non desiderate di meglio che rimanere per tutta la vita di un uomo solo. Noi no, noi uomini no. - Prendetevela col buon Dio che ci ha fatti così, noi e voi; ma è stato sempre così: Lucrezia che si rifiuta è un'eroina e una martire, Giuseppe che non si ap­profitta è un imbecille. - E tutte le tue lacrime e tutte le tue proteste non potranno mutare le cose. E se non vi rassegnate, chiudetevi in un convento o sposatevi a un vecchio. - Ma tu hai sposato un giovanotto di poco più che vent'anni e a vent'anni un uomo non è fedele.

NORINA           (secca e decisa)  Sarà, ma io non l'intendo a questo modo. A rivederci. (E si avvia verso il giardino.)

ROSALIA           Bada, c'è lui.

NORINA           E che me n'importa? (Ed esce.)

ROSALIA           (a Ruggero)  Ha visto? Invece di calmarla, l'ha irritata di più.

RUGGERO         La verità offende. Gelosia... ma piccola gelosia, amor proprio, puntiglio. - Del resto, peggio per loro. Che si scannino.

ROSALIA           Perché non ha trovato le parole che ci volevano.

RUGGERO         Ah! no? Si provi Lei.

ROSALIA           Lei finora non ha fatto che l'apologia del libertinaggio.

RUGGERO         Nossignora: ho cercato di dare un pun­to a una scucitura, di fare un rammendo, e non ci sono riuscito. Non mi si vuol dar retta? Me ne lavo le mani e pianto baracca e burattini. - Con­tessa, la saluto.

ROSALIA           Se ne va? Perché se ne va?

RUGGERO         Non pretenderà mica che mi rompa la testa contro il muro. Come ha detto Lei? « Egoista ». Egoistissimo. Qui stavo bene io, stava bene Lei, stavano bene i ragazzi... Un po' più d'indulgenza, un po' meno d'intolleranza, e non c'era nulla di guasto. Nossignore: si vuole il dramma, la voce grossa. Che si divertano. . E cominceremo subito le pratiche per la separazione legale. Il divorzio no; anche si potesse ottenerlo, si opporrebbero i Suoi scrupoli religiosi e quelli di Norina, rispetta­bilissima. Dunque separazione legale. Sono d'accor­do anch'io. Soltanto, far presto.

ROSALIA           (esitante)    Ma... Mi pare...

RUGGERO         Che cosa le pare? che io vada troppo per le spicce? No, no: le mezze misure sono odiose, i provvedimenti temporanei che poi diventano de­finitivi non li ammetto, io. O si dimentica e si per­dona, o si va in fondo, ma in fondo sul serio. Sepa­razione legale.

ROSALIA           (sgomenta)    E il piccolo? il mio piccolo?

RUGGERO         Ariberto? Non vuol dire... Sono tanti i babbi e le mamme divisi legalmente! coppia più, coppia meno...

ROSALIA           Fa presto a dire, Lei!

RUGGERO         C'è la legge che fissa, che decide. Fino ai sette anni con la madre, con Norina: poi viene con noi. Ci penserò io a dargli l'educazione. E lo tirerò su senza tante fisime, come è cresciuto Domenico.

ROSALIA           Lei?! Ma Lei lo crescerebbe per la strada.

RUGGERO         C'è dell'aria: si respira. Educazione igie­nica. - Lei lo crescerebbe per la chiesa.

ROSALIA           O mi faccia la grazia!

RUGGERO         O mi faccia il piacere! (Un momento di broncio.)  Intanto (più gentile)  mi faccia il pia­cere di darmi quelle tali lettere. Ora poi non ser­vono più a nulla.

ROSALIA           (va lentamente allo stipo; apre)  Ecco qui. A chi le vuol dare?

RUGGERO         Le restituisco... a quella persona.

ROSALIA           Ah! dunque Lei ha saputo chi è. Chi è?

RUGGERO         Sicuro che ho saputo. Mi dia anche la mia busta... Quella che le avevo dato a serbare con le lettere.

(Rosalia gli dà la busta.)

 Vede? è scritto qua. Il nome è scritto qua.

ROSALIA           Aveva  indovinato?!

RUGGERO         Fino dal primo giorno.

ROSALIA           Mi faccia vedere.

RUGGERO         (rifiutando)  Aah! Una buona cristiana come Lei!... Una brava donna come Lei!... Passi per Norina; ma Lei!... No. Ora metto in tasca; quando sarò solo, brucio. Senza nemmeno aprire per non rileggere  il nome.

ROSALIA           Sì. Forse anche in questo ha ragione.

RUGGERO         Sa che cosa le devo dire? - ora che ci dividiamo posso esser più schietto: che Lei è real­mente una brava signora, ma un pochino posatrice.

(A una protesta di Rosalia) 

Non si offenda per­ché sono un poco posatore anch'io... Lei posava ad austera, io posavo a rompicollo, e per coerenza abbiamo aggravato sempre più, tutti e due, il no­stro difetto: ce ne siamo compiaciuti, come se fosse un vezzo. Lei ha ostentato la Sua tendenza alla religiosità, la Sua fedeltà a una memoria... sa­cra, ma niente più che una memoria... Molto neb-bia. Io ho ostentato il mio dongiovannismo: mol­to fumo. E così pareva che fossimo lontani, tanto lontani; e invece proprio come per istrada - via la nebbia, via il fumo - ora che ce ne andiamo, una da una parte, l'altro dall'altra, ci si accorge che eravamo assai più vicini di quello che non credessimo. - Noi, vede...

ROSALIA           (sorridendo)  Ecco che torna a parlare di sé...

RUGGERO         (sorridendo anche lui)  Questa volta par­lavo anche di Lei. È proprio un peccato che ci si debba lasciare, ora che noi due ci si era più abi­tuati a compatire...

ROSALIA           Però non si andava d'accordo. Qualche volta.

RUGGERO         Si capisce: Lei ha le Sue idee, io ho le  mie. Ma ce n'era del progresso! Perché, prima, quando l'ho conosciuta per le nozze dei nostri fi­glioli, loro due erano innamorati a buono, ma noi non avevamo nessuna simpatia. Appena appena stima. Lei non mi piaceva molto.

ROSALIA           E Lei a me non mi piaceva punto. E quanto a stima, poco anche di quella.

RUGGERO         Lei mi pareva dura, d'un puritanesimo rigido, eccessivo...

ROSALIA           E Lei mi pareva arido, crapulone, dispregiatore... (Guardando verso il giardino)  Oh! ec­coli... i ragazzi... Guardi... Non si faccia scorgere... -Lui pare che la preghi, e lei, Norina, dice di no. Non crede che potrebbe dimenticare veramente, tornare ad esser felice?

RUGGERO         Come è mutata anche in questo! I pri­mi giorni, si ricorda, non pensava che si doveva dir tutto a Norina? Ora anche Lei pensa che se Domenico...

ROSALIA           No, è meglio che abbia confessato lui. Il silenzio su tutto, con la nostra tacita complicità, non mi piaceva. Ora Norina sa che la sua felicità ha corso un pericolo, che potrebbe correrne ancora e starà in guardia. Senza contare che la notizia dell'inganno poteva venirle da un'altra parte, un po' più presto o un po' più tardi, all'improvviso, da qualche sciocco o da qualche maligno. Come è stato per me.

(Ruggero ha un quasi impercettibile sussulto.) 

Ah, perché Lei non sa: anch'io sono stata ingannata da mio marito, e avevo venticinque an­ni! E non ero brutta, né sciocca. - Pare che voi non ci diate importanza: ma noi, noi !Se sapeste! Quanto ho sofferto allora! Non mi potevo rassegnare quando lo seppi: anche perché oramai non potevo dir nulla: mio marito era morto... - Fu un'a­mica, una cosiddetta amica a dirmelo! - E mi tenni tutto chiuso dentro perché non volli che Norina sapesse; far soffrire altri per me. Non volli che la memoria del suo babbo avesse una nube per lei. Tutta bella, tutta luminosa! - Ma se ci penso, a volte mi pare che la mia sofferenza e il mio ranco­re d'allora in gran parte derivassero appunto da questo: perché ho saputo troppo tardi, quando lui non poteva pentirsi, giustificarsi e così io non po­tevo perdonarlo, e dirglielo che lo perdonavo. Il rancore verso mio marito in fondo non è, forse, che un rancore verso di me.

RUGGERO         Sa che tutto questo è delicato? È fem­minile. È veramente fine. Gliel'ho detto: Lei ora mi piace. - Anche perché fra tante donnine che piega­no, Lei mi ha saputo tener testa fino all'ultimo. -Che fanno quei ragazzi? Guardi un po'.

ROSALIA           (che guarda)  Sembrano più calmi. Lei è seduta... E lui pare che le parli pacato. - O Dio! lei si alza indispettita. - No, si è rimessa a sedere.

RUGGERO         Io dico che fanno pace. - E se fanno pace, io non mi muovo più... E nemmeno Lei. Si resta qui tutti e quattro, tutti e cinque con Ariberto che non parla. - Perché io ho l'intenzione di trattenermi qui a vegliare il loro accordo, che potrebbe essere ancora un po' instabile; presso la loro felicità, finché non sia rinnovata e rinsaldata. -Già, io sono diventato casalingo, campagnolo: mi sono abituato ad alzarmi presto, ad andare a letto presto...

ROSALIA           A vedere la signora Rolier...

RUGGERO          Che dice?

ROSALIA           Quello che ho detto: Lei sta bene qui per­ché la può vedere. Ma attento al marito! (Subito)  Vede che io non poso ad austera... parlo soltanto di prudenza. - E nemmeno bigotta. Non le dico: « pensi all'inferno ». Le dico: « si guardi attorno ».

RUGGERO         Le dò parola... Ci crede alla mia parola? (Severo)  Parola di galantuomo: nulla.

ROSALIA           Davvero? davvero? (Le brillano gli oc­chi.)  Sono proprio contenta. Mi era parso... Anche oggi Lei faceva... come fa sempre con tutte... e dice­va... come dice a tutte... A darle retta pare che Lei sia sempre in tenero con tutte... Ma mi pareva che gli occhi fossero soprattutto su di lei, sulla Rolier. E non oggi soltanto... - Mi giura che non è vero?... tanto meglio.

RUGGERO         (sorridendo, senza importanza)  Per chi? Ha detto tanto meglio. Per chi, tanto meglio?

ROSALIA           Per tutti: per lei, per il marito, per... tut­ti. - Quel signor Rolier è una gran brava persona.

RUGGERO         Io non lo conosco.

ROSALIA           E nemmeno io. (Si riprende)  Ma che vuol dire? Lo so. I pochi mesi che passa qui a Palazzolo fa tanta carità!... Lo so da don Gaggini. Me lo ha detto anche padre Biserti. E anche lei, la signora, fa tanto bene qui attorno. È una brava ragazza, sa. - Lei forse credeva... perché è un po' leggera... ma non sarebbe arrivata al male: sol­tanto, avrebbe finito col compromettersi per nulla. - Smetta, sa, non sta bene. - E mi dispiaceva anche per Norina che l'avrebbe dovuta evitare, l'avrebbe tenuta lontana, mentre invece le è affezionata. E anche a me è tanto simpatica!

RUGGERO         (sorride)     Da quando? - No, con me non c'è nulla, non c'è stato nulla, non ci sarà mai nul­la... Ma questo non toglie, se è leggera, che il signor Rolier non possa aver dei dispiaceri da qual­che altra parte.

ROSALIA           Ah, senta: a questo ci pensi lui.

RUGGERO         Giusto: non ci riguarda. Purché non si attenti a quello che è nostro, che ci è vicino...

ROSALIA           (approva)  Certamente. (Si corregge)  Ma no... lo vede quel che mi fa dire? A star con un eretico come Lei! Che Dio mi conceda la grazia di veder quei due ragazzi un'altra volta d'accordo, e me ne vado.

RUGGERO         Ha paura di me?

ROSALIA           No, no. Ma mi son fatta troppo monda­na. (Sorridendo)  Senza pose, mi creda. I pochi che vediamo qui, a Palazzolo, per Lei sono pochi, e so­no troppi per me. Non mi pare di essere del loro tempo, non li intendo, non mi intendono. - E non sono vecchia!

RUGGERO         (indignato)   Vecchia, Lei!

ROSALIA           Ma sono stata troppo tempo fuori del mondo, per rientrarvi. Tornerò al mio romitorio.

RUGGERO         Ma no, ma no. Resterà qui, resterà an­che Lei a godersi questo spettacolo di un amore che rifiorisce. La quiete dopo la tempesta. E se la bre­ve bufera avrà portato maggior danno di quello che io non pensi, saremo qui con la nostra espe­rienza a mettere riparo. E lasceremo che la gente mormori.

ROSALIA           Mormori? Di che?

RUGGERO         Di noi due.

ROSALIA           Di noi due?!

RUGGERO         Sì, della nostra presenza continuata. Che diciamo « partiam, partiam, partiam » e non si parte mai.

ROSALIA           Oh bella! Non siamo padroni di restare quanto vogliamo in casa dei nostri ragazzi? (Dopo un secondo)  Ah! ah! teme di compromettermi? Pro­prio non può guarire! Fino per me! Nooh! io son vecchia.

RUGGERO         Se ha detto or ora di no!

ROSALIA           E anche Lei è vecchio.

RUGGERO         Appunto per questo, chi vede potrebbe immaginare che siamo qui per confondere le nostre vecchiezze ed i nostri capelli che non vogliono di­ventar bianchi. L'estate di San Martino per tutti e due. - Io, per esempio, mormorerei.

ROSALIA           Lei?

RUGGERO         Sicuro! Anzi, sarei dei primi. O per lo meno mi domanderei: « Ma perché quei due non si sposano? ».

ROSALIA           (sbalordita)     Noi due?!

RUGGERO         (continuando)  « Che aspettano? Di di­ventare maggiorenni? ». - Badi veh! che se ci si sposasse, noi potremmo sorvegliare assai meglio i nostri figlioli, e potremmo anche dar loro il buon esempio.

ROSALIA           Il buon esempio, Lei? Ma si rende ra­gione di quello che dice?

RUGGERO         Io, sì. - Ci pensi, se ci si sposasse, la no­stra vita! Io lo vedo: Lei leggerebbe ad alta voce, e io... mi addormenterei mentre Lei legge. Io direi di tanto in tanto qualche eresia, Lei per riparazio­ne reciterebbe qualche Pater; io le griderei: «Vec­chia beghina! »: Lei m'investirebbe: « Vecchio mi­scredente! ». Sarebbe delizioso.

ROSALIA           Quello che pensa è assurdo.

RUGGERO         Ma delizioso.

ROSALIA           (sempre un po' più timidamente)  Norina e Domenico che dovrebbero benedire le nostre nozze!

RUGGERO         Non farebbero che renderci la pariglia. Non abbiamo benedetto le loro?

ROSALIA           Lei che dovrebbe chiedere la mia mano a mia figlia!...

RUGGERO         Gliela prenderei senza chiederla... co­sì. - Si andrebbe in giardino o di sopra, e si direbbe: « Ragazzi, ci si sposa ». . Pensi la faccia di Norina... « Nooh! Ma che! Davvero? Non è possibile! ». « Oh, cara » (e la bacia), farebbe a Lei, Norina. -« Oh, caro », farebbe a me, Domenico... (E la bacia ancora)  Sarebbe graziosissima!

ROSALIA           (ritraendosi leggermente, dolce)  No, si­gnor Ruggero, no.

RUGGERO         Ecco un no che dice di sì.

ROSALIA           Poi Lei si stancherebbe, si pentirebbe, mi ingannerebbe...

RUGGERO         (dopo averci pensato un secondo)  Non posso giurare, ma mi pare di no. Sono giunto a quell'età che potrei garantire di restar fedele a chi mi amasse. Non sono, forse, un cavallo stan­co, ma sono, certo, un cavallo che ha corso. E mi piacerebbe andare al passo con Lei. - Lo vuol sapere? Io son rimasto qui tre mesi a cercare senza trovare chi fosse la... disgraziata che ha messo gli occhi sul nostro Domenico, perché non volevo tro­vare; sono rimasto per amore verso i nostri figli e verso Ariberto. ma anche per simpatia verso una donnina dolce che voleva apparire soltanto forte. Io  la sera dicevo a me stesso: « Domani tu puoi partire, perché non sei necessario o forse non sei nemmeno utile; e quei due ragazzi se la sbrighe­ranno benissimo senza di te ». E la mattina dopo dicevo: « Resta, perché sei indispensabile ». E oggi quando condannavo le nozze dei troppo giovani io preparavo le mie, io mi dicevo ad alta voce tutto quello che mi ero detto tante volte in quest'ultimo tempo. Soltanto, io non ero sicuro che Lei mi volesse bene. - Da quando me ne sono accorto? Da ieri mattina. Sicuro! Io le ho chiesto se le dava noia che io fumassi, e Lei invece mi ha offerto il fuoco. Allora ho detto:  « Quella donna muore dalla vo­glia di sposarmi ».

ROSALIA           Che sciocco!

RUGGERO         Ecco, vede? ha detto: « Che sciocco! ». Ho avuto il Suo consenso.

ROSALIA           Ma la gente? La gente ci riderà dietro le spalle!...

RUGGERO         E se la gente riderà dietro le spalle a noi, noi rideremo sul muso a loro. Saremmo ridico­li se io avessi trent'anni e Lei... quelli che ha. Non li voglio sapere. Se Lei avesse vent'anni, e io... quel­li che ho. Non glieli voglio dire. Ma così... Già, l'a­more è un ospite che si deve accogliere a qualun­que ora: non arriva mai tardi ed è sempre il ben­venuto. E il nostro amore non è un frutto fuori di stagione. È un fiore che ha tardato a sbocciare sotto i raggi del sole.

ROSALIA           Ma siamo nonni!

RUGGERO         E che vuol dire? Anzi; ci pensi: abbia­mo già messo insieme un nipote e non abbiamo an­cora collaborato a un figlio. - La cosa è molto inso­lita, ma non è buffa. Fa sorridere, non fa sghignaz­zare. - Sorrida anche Lei... E sorrida, dunque, Dio benedetto!

ROSALIA           Insomma: don Giovanni... che diventa Lindoro. (Sorridendo)  Io ci vorrei credere! Ma... non ci credo.

RUGGERO         Perché? Che devo dire, allora?

ROSALIA           Dire niente. Lei sa mentire così bene!

RUGGERO         (indignato)  Io?

ROSALIA           Se n'è gloriato anche un'ora fa!

RUGGERO         Ma che devo fare per persuaderla che è vero? Che devo fare? - Ah! ecco. Le occorre una prova? Che il mio non è il capriccio di un'ora, che ci pensavo da un pezzo, e che pensavo proprio a sposarti? Guarda: (trae un astuccio)  oggi, sono mai uscito di casa? No. Ebbene: ecco qui: io ti avevo già comprato l'anello. La pietra non ha gran valore, ma mi è parsa di buon gusto. Il Marchiori me ne aveva mostrati venti...

F I N E