SOLTANTO CON I FIORI
Monologo
di ALDO NICOLAJ
PERSONAGGI
ROSALBA
Commedia formattata da
Ho sempre avuto la passione per i fiori. Da quando sono venuta al mondo… si può dire, visto che mi hanno trovata al cimitero in una corona. di gladioli e di rose. Chi sia stato a lasciarmi lì, non lo si è mai scoperto, per cui non ho mai saputo chi sia stata mia madre. E nemmeno mio padre, naturalmente… È come se fossi piovuta dal cielo, direttamente in un cimitero, partorita dentro una corona mortuaria, sulla tomba di un capostazione in pensione. Mentre lo stavano sotterrando, mi hanno assicurato che non c’ero ancora, ma appena la sua cassa è stata sotto terra si è sentito un vagito tra i gladioli e le rose. Ero io che mi annunciavo per avvertire della mia presenza e far capire che ero vivissima in mezzo a tutti quei morti. Di chi sono figlia? Mistero. Non poteva certo essere mio padre quel pover’uomo, che avevano appena sotterrato, perché aveva più di novant’anni ed è impossibile scoprire un qualsiasi rapporto tra lui appena morto e me appena nata. Segni particolari non ne avevo, né possibilità di riconoscimento come catenelle, braccialetti o medagliette con date ed iniziali… Niente di niente. Un pannolino. E basta. Per fortuna era estate, altrimenti sarei morta di freddo… La prima ad accorgersi di me fu la fioraia, che era lì per controllare come stavano sistemando i fiori… Ero stata posata sulla corona più bella, tutta rosa e lilla, con un nastro viola su cui c’era la scritta in lettere dorate ”La famiglia”. La famiglia del morto, naturalmente, non certo la mia, naturalmente. Mi hanno sempre ripetuto che dovevo essere appena nata, che non potevo avere più di un paio d’ore ed ero rossa e congestionata e strillavo, forse per lo spavento di vedermi lì in mezzo a tante croci. Come diavolo avrà potuto fare mia madre a partorirmi tra le tombe e sparire senza lasciare traccia? Pare incredibile, ma così è stato. Mi ha messa al mondo ed è scappata a gambe levate. Scomparsa chissà dove. La fioraia, che non aveva figli e non ne poteva avere, mi prese tra le braccia, scoppiando a piangere e dichiarò subito che intendeva adottarmi. Per la sua generosità ed il suo buon cuore, i giornali si occuparono di lei, pubblicando persino la sua fotografia e facendola diventare una fioraia alla moda… Se mi avesse vista per primo il becchino, forse mi avrebbe adottato anche lui, ma non avrebbe certo avuto la popolarità della fioraia perché nessuno lo avrebbe cercato per farsi seppellire… Quello che conta nella vita è il destino. Sarà perché sono stati la mia prima culla, i fiori hanno costituito la grande passione della mia esistenza, li amo come fossero la mia mamma… Per le rose, poi, ho un affetto particolare, dovrei avere un’ uguale predilezione per i gladioli, invece li amo soltanto come amo gli altri fiori. I miei primi anni di vita li ho passati nel retrobottega della fioraia, dove ce n’erano a mazzi, di giardino e di serra. Sono stati i miei primi giocattoli perché le corolle dei fiori che si spezzavano e che non potevano più essere venduti lei li dava a me, che felice come una pasqua li preferivo ai pupazzi ed alle bambole. Una volta mi hanno dato anche un anturium spezzato che mi è durato molti giorni, non so perché ero rimasta affascinata da quel suo colore scarlatto mentre quel suo solitario pistillo mi aveva dato le vertigini… Allora non capivo il perché , ma, crescendo mi sono resa conto che i profumi dei fiori mi stordivano, mi davano come un’ebbrezza e certe loro forme strane scatenavano la mia sensualità. Insomma, mi eccitavano. Che bella infanzia ho avuto in quell’umido retrobottega del negozio, tra quell’odore di muschio, di essenze vegetali, di fiori che lentamente si sfacevano, andando decomponendosi. Quando la mia mamma fioraia mi mandò a scuola dalle suore, non ci andai volentieri. Mi faceva male staccarmi dai miei fiori. E non mi rassegnavo a vederli soltanto nelle illustrazioni dei libri e nei cartelloni, quando suor Margherita cercava di farci imparare i loro nomi… Ero la prima della classe in scienze naturali perché conoscevo tutte le piante e suggerivo il loro nome alle mia compagne, quando erano interrogate e non lo sapevano… Avevo appena finito le elementari quando mia madre si ammalò a causa dell’eccessiva umidità che c’era nel negozio, Suo marito era morto ed il lavoro per lei era eccessivo, per cui decise di cedere il negozio di fiori freschi per aprirne uno di fiori finti. Per me fu una grande delusione. Lei, poverina, aveva un bel dirmi che sempre di fiori si trattava, ma io non mi rassegnavo perché una cosa erano i fiori veri ed un’altra quelli artificiali… Com’era possibile metterli sullo stesso piano? I fiori finti non avevano profumo, non avevano odore, non difendevano la loro bellezza con le spine, non sbocciavano, ma nascevano già spampanati, freddi, senza vita, né profumo. C’era la stessa differenza che può esserci tra un bambino vero ed un bambolotto. Ed io, delusa, non mi ritrovavo più in quel nuovo negozio. Appena potevo scappavo in quello vecchio, dove i nuovi proprietari non è che mi trattassero male, ma non mi davano certo corolle di fiori per farmi giocare. Trovai consolazione nella chiesetta delle suore, perché lì di fiori ce n’erano sempre in quantità e loro li curavano, li disponevano nei vasi. li sistemavano con amore sull’altare, davanti al tabernacolo. E così, vedendomi scappare in chiesa appena ne avevo l’occasione, le suore pensarono sentissi una vocazione religiosa e ne furono molto contente… E sempre perché pensavano volessi farmi monaca mi permisero tutte le mattine di passare un po’ di tempo in chiesa per disporre, come sapevo fare, i fiori sull’altare. Avrei anche accettato di farmi monaca visto che le suore, per ampliare la scuola ed il convento, comprarono un terreno adiacente destinandone una parte a giardino. Era un giardino bellissimo, dove passavo quasi tutto il mio tempo libero. Anche quando, diventata ragazza, non andavo più a scuola dalle suore, avevo mantenuto un ottimo rapporto con loro, che mi permettevano di aiutarle ad occuparsi del giardino. E proprio lì, successe che in una aiuola, incontrai Lucio, un bel ragazzo sui diciotto anni, che lavorava a cottimo in convento, provando subito per lui qualcosa di più di una simpatia. Un giorno di maggio, rimasi senza fiato trovandomelo davanti, all’improvviso, a torso nudo, mentre faceva arrampicare su di un muro i rami di un grande gelsomino. Nell’aria c’era non so cosa, forse pollini strani che mi facevano girare la testa. Il ragazzo senza dirmi una parola, mi sorrise e mi prese alla vita con improvviso ardore e posando la sua bocca sulle mie labbra, mi spinse sull’erba. Vidi su di me una nuvola di piccoli fiori bianchi mentre lui dolcemente si stendeva sopra di me. Non mi resi nemmeno bene conto di quanto succedesse, ma fu così che feci per la prima volta l’amore. Lasciandomi, mi baciò su una guancia e mi infilò dietro l’orecchio, un rametto di gelsomino. A lungo credetti che fosse stato l’odore del suo corpo a lasciarmi nelle narici quell’intensa fragranza. Solo dopo, mi resi conto che quello era il profumo del gelsomino, non di Lucio. Ma troppo tardi, oramai: mi bastava respirarlo per sentirmi eccitata… E dal momento che il muro del convento era tappezzato di gelsomini, non facevo che desiderare Lucio e cercarlo continuamente. Capii, allora, che per diventare monaca non avevo la vocazione. Ma le suore lo scoprirono anche loro e per i miei furtivi incontri d’amore non furono affatto comprensive e, furiose, mi cacciarono dal convento. Particolarmente insolente fu la più giovane, suor Margherita, insegnate di scienze e responsabile del giardino. Con Lucio fu meno intransigente e continuò a farlo lavorare in convento. Perduto quel piccolo paradiso non mi restarono che i giardini pubblici. Lì di fiori ce n’erano tanti, ma potevo soltanto guardarli mentre io avevo bisogno di contatto fisico con loro. Un contatto che non avevo certo mai trovato coi fiori di carta, di plastica o di seta del negozio della mamma, che avevo subito venduto, quando lei mi aveva lasciata sola, con tanto bisogno d’amore. Non che mi mancassero gli ammiratori ma avevo scoperto che per vivere un incontro d’amore, oltre all’uomo avevo bisogno anche dei fiori. Non provavo nessuna sensazione a stare con un maschio dentro un letto, mentre ne provavo di dolcissime facendo l’amore in un’aiuola, in un giardino o comunque in un luogo pieno di fiori. Provai anche a comprarmene ed a metterli tutti attorno al letto, ma provocai solo il malcontento del mio occasionale amante, che protestò dicendo che solo i letti dei morti si adornano di fiori. E poi capii che qualche mazzolino non mi bastava, avevo bisogno di tanti, di tantissimi per sentire la gioia dell’amore. Mi condizionava irrimediabilmente il ricordo del primo amplesso con Lucio, sotto un cielo fiorito di gelsomini. E più fiori avevo attorno e più il mio piacere aumentava. Ricordo la mia grande felicità quando feci l’amore per terra in una stradina dove avevano fatto l‘infiorata in onore della Madonna… Per poco non mi arrestarono per oltraggio al pudore, ma mi sarebbe stata dolce anche la galera, dopo tanto piacere, Ma non sempre ho a disposizione un’infiorata. Cerco di dare appuntamento agli uomini che mi piacciono nei giardini pubblici, ma mi fanno difficoltà perché le aiuole più fiorite sono proprio quelle più illuminate. Ed i miei spasimanti non capiscono perché voglia concedermi solo in certi posti. E rifiutano anche di farsi rinchiudere con me, la notte, nel mercato dei fiori, dove io sono veramente felice. Un bel brunetto avrebbe anche voluto sposarmi, ma ai fiori era allergico… E così ci siamo lasciati. Gli anni passano ed io sono ancora zitella. Ma perché non sono sposata, dovrei rinunciare all’amore? Mi è così difficile convincere un uomo a raggiungermi nell’unico posto dove nessuno viene a disturbarci ed i fiori non mancano mai. Gli uomini hanno anche loro curiose stranezze, infatti quasi nessuno accetta di fare l’amore con me in un cimitero, dove per stare tranquilli ed in pace è il posto ideale. Mi hanno, però, dato la bella notizia che è stato assunto un nuovo becchino, che oltre a essere giovane, è anche un bel ragazzo. Chissà che con lui non possa risolvere il mio problema, mmmm.…
FINE