Sono un mago

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Sono un mago

di Vincenzo Rosario Perrella Esposito

 (detto Ezio)

04/03/2010

                                                                                                       

Personaggi:   10

Roberto Nudo è il mago Roby Nud

Serena Nervosa moglie Roberto

Benito Sulpresepe assistente Roberto

Eraldo Moribondi cliente

Ortensia Moribondi moglie Eraldo

Carmela Fetusa cliente

Modesto Perfinta fiorista 

Flora Botanica moglie Modesto

Salvatore Siciliano

Pacifico Appicciafuoco padrone di casa

Il mondo della magia e dei suoi misteri. Questo è il tema di questa storia. Roberto Nudo, in arte Robby Nud, è un potente chiaroveggente, capace di indovinare tutto di tutti. Ma come ci riesce? E’ facile: grazie al suo assistente Benito. Quest’ultimo viene inviato in missioni che servano a realizzare tutto quanto viene previsto da Roberto. Se quest’ultimo legge nel futuro di una persona che avverrà un incidente stradale, Benito già sa che il giorno dopo dovrà andare con la sua auto a mettere sotto la persona, per figurare che la previsione si è avverata. Anche Serena Nervosa, moglie di Roberto, ne è consapevole. Eppure un giorno capita che Roberto si imbatte realmente in una storia di sensitività e medianicità. Naturalmente prenderà la palla al balzo per spillare soldi a chi è malcapitato, ma non saprà gestire bene una situazione che per lui, fin qui, era stata solo ed esclusivamente di pura teoria.

Numero posizione SIAE 233047

Per contatti Ezio Perrella 3485514070 ezioperrella@libero.it

            Napoli, Vomero, salone di una casa in affitto al sensitivo Roberto Nudo, detto Roby Nud. In casa s’accede da un ingresso comune centrale. Una porta a destra conduce alla cucina e al bagno, la porta a sinistra dà alla camera da letto. A centro salone c’è un tavolo con una tovaglia tempestata di stelle, con una sedia dietro ed una di lato. Sul tavolo c’è una palla di vetro, carte tarocchi ed un telefono cordless. C’è un armadietto decentrato a sinistra e un divanetto a destra. In stanza vi sono addobbi che richiamano magia e occulto.

ATTO PRIMO

1. [Roberto Nudo, Serena Nervosa, Benito Sulpresepe, poi Pacifico Appicciafuoco]

                In piedi su una sedia Benito appende uno striscione con su scritto Roby Nud,

                mentre al centro Roberto stesso fornisce disposizioni a sua moglie Serena.   

Roberto: Serena, ricorda, tu hai sposato il grande Roberto Nudo, in arte Roby Nud:

                sensitivo, mago, chiaroveggente, medium.

Serena:   E quanto te piglie, comme sorde?

Roberto: Sono vent’anni che mi prendo 100 Euro. Arricuordatello ‘na vota e pe’ sempe.  

Serena:   E’ logico, li riscuoto io! (Indica Benito, dietro loro) E chillo, invece, che parte fa?

Roberto: Il mio assistente. (Chiama Benito, ma sbaglia nome) Ehi, Bettino! (Ma non riceve 

                risposta. Così insiste) Bettino! (Ma ancora niente) Bettì, ma me vuo’ risponnere?!       

Benito:   (Sempre in piedi sulla sedia, si volta verso di loro) Ma state parlanno cu’ me?

Roberto: Sì, sto’ parlanno cu’ te, Bettino! Viene ‘nu mumento ccà. Hai capito, Bettino?

                Benito allora scende dalla sedia e va dai due.

Benito:    Ma io nun me chiammo Bettino!

Serena:   E comme te chiamme?

Benito:    Benito Sulpresepe!

Roberto: Ah, Seré, he’ capito? Picciò nun rispunneva maje. Io sbagliavo sempe ‘o nomme!

Serena:   Ma addo’ l’he’ juto piscanno, a chisto?  

Roberto: ‘Ncoppa ‘o presepio! Vabbé, comunque, Benito, ascoltami bene, ti raccomando.

Benito:    Dite. Io vi sente!

Roberto: Io vi “sente”?

Benito:    E sì, verbo sentire: io sente, tu sente, egli sente, noi sente, voi sente, essi sente!

Roberto: Ma che sso’, tutte quante eguale?

Serena:   Ma tu addo’ si’ gghiuto ‘a scola? ‘Ncoppa ‘o presepio overamente?!

Benito:    Scusate, signora, ma voi chi è?

Serena:   Voi chi “è”?

Benito:    Verbo essere: io è, tu è, egli è, noi è, voi è…

Roberto: …Essi è!

Benito:    Bravo, ma allora site istruito!

Roberto: No, mò aggio capito comme parle tu! Che stéveme dicenno?

Benito:    Simme rimaste ch’’o stipendio mio è 3.000 Euro ‘o mese.

Roberto: Tremila Euro? A chi?

Benito:    Ma io li vuoi!

Serena:   Io li “vuoi”?

Benito:    Esatto, verbo volere: io vuoi, tu vuoi, egli vuoi…

Roberto: Sì, sì, vabbuò: noi vuoi, voi vuoi, essi vuoi! Senti, ora parliamo di altro. Io direi…

                E’ interrotto dal suono del campanello della porta. Roberto va nel panico.

                Oddio, ‘nu cliente. M’aggia ì a mettere subito ‘o custume e ‘o cappiello.

Serena:   Vabbuò, Roberto, vatte a priparà.

                Roberto corre a sinistra. Serena e Benito si guardano. Lei così lo richiama.

                E tu te vuo’ mòvere a gghi’ a arapì ‘a porta? (Seccata) Vabbuò, vaco io. Duorme,

                Benito. Va’ a durmì ‘ncoppa ‘o presepio!

                Esce via al centro. Benito, rimasto da solo, pare perplesso. Al che si avvicina al 

                tavolo, si siede e guarda nella palla di vetro. Quindi per gioco fa il mago!

Benito:    Io vede… che tu staje passanno ‘nu guajo niro, acciso sotto a ‘na machina…!

                Dalla comune entra Serena, seguita da Pacifico, il padrone di casa.

Serena:   Venite, signor Pacifico. E…

                Benito non si è accorto di loro e continua a fare il mago. I due gli si avvicinano.

Benito:    Si nun vuo’ schiattà ‘nfaccia a ‘nu treno, viene addù me e puòrte ‘e sorde! Io

                songo ‘o mago! Songo ‘o mago! (Nota i due che lo osservano) Songo ‘o mag…!

Pacifico: Ma che sta facenno?

Serena:   ‘O cretino!

Benito:    Ehm… (Scatta in piedi e prova a mettere una pezza) Prego, voi siedo, voi siedo!

Pacifico: Voi “siedo”?

Benito:    E già, verbo sedere: io siedo, tu siedo, egli siedo, noi siedo, voi siedo, essi siedo!

Serena:   Benito, ma questo non è un cliente! Corri ad avvisare a Roberto. Muoviti!

Benito:    Subito! Io andiamo, io andiamo!

                Ma torna Roberto con un costume ed un turbante, tutti e due tempestati di stelle.

Roberto: Ecco il mago!

Benito:    (Si spaventa) Maronna ‘e Pumpei!

Pacifico: (Sorpreso) Ma… ma… e che cosa state facendo, signor Roberto Nudo?

Roberto: Oh, mamma! ‘O frato d’’o padrone ‘e casa!

Serena:   Ehm… niente, signor Pacifico. Stiamo preparando uno spettacolo teatrale!

Roberto: (Avvicinandosi a loro) E sì, e già. Ha detto bene mia moglie.

Pacifico: Ho capito. (Indica Benito) E lui che parte deve fare?

Benito:    (Mentre gli si avvicina) Aggia fa’ l’assistente! Io sei Benito Sulpresepe. E vuje?

Pacifico: Pacifico Appicciafuoco!

Benito:    Appicciafuoco? Bene. (Indica Serena) Presentatevi alla cassa: sono 100 Euro!

Pacifico: Cient’Euro? E pe’ che cosa?

Roberto: Ehm… no, niente. (Poi a Benito) Stattu zitto, idiota?

Benito:    (A Pacifico) Stattu zitto, idiota?

Pacifico: Idiota a me?

Serena:   (Imbarazzata) Ehm… Benito, viene cu’ me, amma parlà ‘nu poco. Con permesso.

Benito:    E v’’e vvulìte piglià ‘e ciento Euro ‘a mana a chisto? (Indica Pacifico)

Serena:   (Gli afferra il braccio) E cammina, cammina!

                Escono a sinistra. 

Pacifico: Signor Nudo, mi dovete spiegare subito che cos’è questa pagliacciata.

Roberto: Quale pagliacciata?

Pacifico: Mio fratello vi ha affittato questa casa perché sapeva che era per uso abitativo. E

                invece la usate per fare il mago. E io gli dico tutto. Accussì, l’affitto nun è cchiù

                setteciento … ma mille Euro ‘o mese!

Roberto: Azz, e allora nun ‘o voglio fa’ cchiù ‘o mago! Torno a ffa’ ‘o fravecatore!

Pacifico:  (Trama qualcosa) Ma poi non capisco, voi leggete il futuro?

Roberto:  Niente di meno? Signor Pacifico Appicciafuoco, io ve guardo sulamente, e già

                 saccio chello che ffacite dimane. ‘O vvulite sapé?

Pacifico:  (Interessato) Sì, sì, ‘o vvoglio sapé. Che faccio, dimane?

Roberto:  Voi lavorate!

Pacifico:  (Sorpreso) Ua’… non ho parole! Allora ce ll’aggia dicere pure a mio fratello.

Roberto:  E mannatammillo!

Pacifico:  Però, vi raccomando: un piccolo sconticino.

Roberto:  E me l’ata fa’ pure vuje a me.

Pacifico:  E sia. Allora, affitto bloccato: 700 Euro al mese!

Roberto:  Affare fatto!

Pacifico:  Bravo, bravo. V’arraccummanno, nun ve ne jate maje cchiù ‘a chesta casa!

Roberto:  Ma addo’ me n’aggia ì? Questa è la mia base.

Pacifico:  Me facìte venì ‘o friddo ‘ncuollo! Allora a presto. Io vi saluto. Con permesso.                 

                 Pacifico corre via. Roberto allora tira un sospiro di sollievo.         

Roberto:  Mamma bella, m’aggio squagliato. Aggio bisogno ‘e ‘nu poco ‘e café!

                 Roberto esce via a destra.

2. [Serena e Benito. Poi Modesto Perfinta. Infine Roberto]

                   Da sinistra tornano Serena e Benito. La prima richiama il secondo.

Serena:     Benito, famme sentì ‘na cosa: ma tu che scola tiene?

Benito:      Io so’ laureato.

Serena:     Tu? E cu’ quanto te si’ laureato?

Benito:      Cu’ treciento e lode!

Serena:     Ma nun esiste treciento e lode.

Benito:      Ehm… no, nel senso che tengo tre lauree: in giurisprudenza, in legge e in diritto. Serena:     Ma è sempe ‘a stessa!

Benito:      E m’aggio pigliato tre vvote ‘a stessa laurea. Vabbuò? Aggia da’ cunto a essa!

                  Suonano il campanello della porta.

                  ‘A porta. Ando ad aprire io?

Serena:     “Ando”?

Benito:      Ando, verbo andare: io ando, tu ando, egli ando, noi ando, voi ando, essi ando!

Serena:     Va’ a arapì ‘a porta, ch’è meglio!

                  Benito va ad aprire alla comune. Dopodiché Serena lo critica.  

                  E tu tenìsse ‘a laurea? Embé, si tu si’ laureato, io songo ‘a sora ‘e Einstein!

                  Benito torna seguito da Modesto Perfinta, fioraio, con grembiule da lavoro.

Benito:     Prego, prego. E’ qua, è qua!

Modesto: (Ha un fazzoletto in mano. Fa uno starnuto verso di lui) Etciù!... 

Benito:     All’anema…!

Modesto: Uh, scusate, v’aggio cugliuto?

Benito:     ‘Int’a ‘n’uocchio!

Serena:    Ehm… buongiorno.

Modesto: Buongiorno! Etciù!

Serena:    All’anema…! Ma inzomma, chi site vuje?

Modesto: Scusate tanto. Io mi chiamo Modesto Perfinta e faccio il fioraio. Etciù!

Benito:    ‘Ncasa ‘a mana!

Serena:    Ma prego, accomodatevi al tavolo.

Modesto: Sì, grazie. Etciù! (Ma invece di sedersi al tavolo, si siede sul tavolo)

Serena:    Ma che ffacite? V’assettate ‘ncoppa ‘o tavolo? V’ata assettà ‘ncoppa ‘a seggia.

Modesto: Uh, scusate! (Si siede sulla sedia) Sentite, ma il dottore non ci sta?

Benito:     ‘O duttore? E che stamme, ‘o spitale?

Serena:    Benito, il dottore sarebbe il mago Roby. Su, chiamalo.

Benito:     Va bene.

                 Si avvicina alla porta di destra, la apre e chiama Roberto.

                 Mago Roby, un cliente al tavolo!

Serena:    Ma che staje, ‘o ristorante?

Benito:     (Le si avvicina) No, chella è pe’ ffa’ ‘a cosa cchiù importante.

                 E da destra entra Roberto con le braccia larghe e gli occhi chiusi.

Roberto:  (Solenne) Sono stato invocato, ed eccomi or dunque giunto qui.

Serena:    Ehm… Benito, perché non vai ad aiutare il dottore a sedersi?

Benito:     Subito!

                 Va a tenergli la sedia, nel frattempo Roberto parla con solennità.

Roberto:  Ora mi siedo! Ora mi sied…!                     

                 Ma Benito non ha sistemato bene la sedia e Roberto cade a terra. Poi si rialza.

                 T’hanna accidere! Liévete ‘nu poco ‘a nanzo ‘e piede!

                 Benito torna silenzioso accanto a Serena. Roberto si siede e chiude gli occhi. 

                 Eccomi qua. Sono pronto.

Modesto: (Si volta verso Benito) Scusate, ma perché tiene gli occhi chiusi?

Serena:    (Suggerisce a Benito) Sta in trance.

Benito:     (Capisce male e riferisce peggio) Sta in tram!

Modesto: In tram?

Serena:    (Suggerisce a Benito) No, è entrato in trance.

Benito:     (Capisce male e riferisce peggio) Ah, è addiventato ‘nu trans!

Modesto: ‘Nu trans? 

Serena:    Ma che dici? Scusatelo, vuole dire che il mago è in trance! Cioè, si è concentrato.

Modesto: Ah, ecco.

Roberto:  (Riapre gli occhi e si rivolge a Modesto) Io sono il grande Roby, colui che tutto

                 vede, colui che tutto sa, colui che tutto può. E tu chi sei?

Modesto: Io sono il piccolo Modesto, chillo che niente vede, niente sape e niente po’ ffa’!

                 Ma sul tavolo squilla il telefono cordless.

Roberto:  Scusatemi, rispondo al telefono. Mò metto ‘o viva voce. (Così fa) Pronto!

Voce:       (Maschile) Signora Esposito! ‘O bambino vuosto ha menato ‘o Big Jim ‘int’’o

                 barcone mio!

Roberto:  No, signore, guardate, io nun songo ‘a signora Esposito.

Voce:       Site ‘o marito d’’a signora Esposito? E allora chiammatammella ‘nu mumento!

Roberto:  (Seccato) Ma io nun songo ‘o marito d’’a signora Esposito!

Voce:       Allora site ‘o marito d’’a signora Paudice?

Roberto:  No, nisciuna signora Paudice!

Voce:       (Spazientito) Néh, ma se po’ ssapé chi è ‘a mugliera vosta?

Roberto:  Insomma, basta! Avete sbagliato numero. Questa è la casa del mago Roby Nud.

Voce:       (Gli fa una pernacchia) Pzzzz! (Riaggancia)

Roberto:  (Chiude il telefono perplesso) Mah! Torniamo a noi. Puoi ripetermi tu chi sei?

Modesto: Io sono Modesto Perfinta. Etciù!

Roberto:  E che mestiere fai?

Modesto: ‘O fioraio!

Roberto:  Fammi consultare le mie carte. (Distribuisce le carte sul tavolo e le commenta) 

                 Ecco, ora capisco subito qual è il tuo problema: tu ti droghi e te ne sei pentito.

Modesto: No, ma io faccio ‘o fioraio!

Roberto:  Ah, allora voglio dire che tu hai problemi con tua moglie.

Modesto: Aggio ditto che faccio ‘o fioraio! 

Roberto:  Néh, aggio capito che ffaje ‘o fioraio. E allora?

Modesto: E allora… e-e-etciù!

Roberto:  E basta cu’ ‘sti sternute!

Modesto: E chisto è ‘o problema mio. Io faccio ‘o fioraio. Però sono allegro ai fiori!

Roberto:  Sei “allegro” ai fiori? In che senso? ‘E ciure te fanne rirere?!

Modesto: No, me fanne starnutì!

Roberto:  Ma allora non sei allegro, sei allergico ai fiori. E quindi non dovevi venire da me,

                 dovevi andare dall’allergologo.

Modesto: E vabbuò, ma vuje facite ‘o mago. Site cchiù bravo!

Roberto:  (Si alza, avvelenato) Guagliò, ma famme ‘o piacere. Aìzete e vattenne!

Modesto: (Si alza pure lui) Sentite, vuje nun me ne putite caccià.

Roberto:  ‘O vero? E pecché?

Modesto: E pecché io pavo ‘e ttasse! Nun pozzo essere abbandunato accussì!

Roberto:  ‘E ttasse? Aggie pacienza, Benito, acchiappa a chisto e gghiettele fora.

Benito:     (Si avvicina a Modesto) Sentite, abbandonate questa casa!

Modesto: (Gli starnuta addosso) Etciù!

Benito:     (Allontanandosi) All’anema ‘e chi t’è vvivo!

Serena:    (Va da Modesto) Sentite, se non ve ne andate, mi dovete pagare 300 Euro!

Modesto: (Le starnuta addosso) Etciù!

Serena:    (Allontanandosi) All’anema ‘e chi t’è vvivo ddoje vote!

Roberto:  (Ha un’idea) (Treciento Euro? Azz, muglierema ha avuto ‘na bella idea!)… (Poi,   

                 conciliante) Senti, caro Modesto, ora che ci penso, io ho un rimedio per te.

Modesto: Ah, sì? E ‘e che se tratta?

Roberto:  Un filtro anti-allergia ai fiori. (Tira fuori una boccetta dalla tasca) Eccolo qua.

Modesto: Uh, bello! (Glielo tira di mano)

Roberto:  E sai quanto ti costa? Appena 300 Euro! Sei contento?

Modesto: Assaje! (Apre la boccetta e beve tutto d’un sorso) Buono, sape ‘e Aspirina.

Roberto:  E i 300 Euro?

Modesto: E ‘nu mumento. (Dalla tasca estrae un portafogli e prende i soldi) Tenete!

Roberto:  (Li prende) Grazie. Molto presto sentirete gli effetti positivi del filtro. Benito,

                 accompagna il signore alla porta.

Benito:     Vabbuò. Venite appriesso a me.

                  I due escono dalla comune. Serena allora si avvicina a Roberto, dubbiosa.

Serena:    Néh, ma che staje cumbinanno? Che d’è ‘stu filtro che ce he’ dato a chillo?

Roberto:  Ma qualu filtro? Sono antistaminici!  

Serena:    Ah, ottima idea! Treciento Euro, a gghiuorno a gghiuorno!

Roberto:  E mò vaco ‘int’’a cucina a me priparà ‘nu bellu panino cu’ ‘o prusutto!

Serena:    Va’, va’.

                 Roberto esce a destra. Serena si frega le mani. Torna Benito, pulendosi il viso.

Benito:    Ma che miseria, m’ha fatto ‘nu starnuto pesante ‘nfaccia!

Serena:    Se n’è gghiuto?

Benito:     Sì. Finalmente. A proposito, ma ‘o signor Roberto?

Serena:    Sta ‘int’’a cucina. Se sta facenno ‘nu panino cu’ ‘o prusutto.

Benito:     Uh, pure io! Mago Roby, aspettatemi. Finalmente io mangia!

Serena:    Io “mangia”?

Benito:     Verbo mangiare: io mangia, tu mangia, egli mangia, noi mangia, voi mangia…     

Serena:    Va’ a magnà, va’!

                 Benito esce via senza aggiungere altro, a destra.

3. [Serena, Eraldo Moribondi e Ortensia Moribondi. Poi Benito e Roberto]

                 Serena, rimasta sola, va al tavolo, prende il cordless. Compone un numero, poi…

Serena:    Pronto, mammà! Comme staje? A me è tutto a posto. ‘O ssaje? ‘E cliente stanne

                 venenno. E chillo Roberto è bravo. Beh, io avésse preferito si mio marito faceva

                 ‘nu mestiere cchiù tranquillo! Però…

                 Suonano il campanello della porta.

                 Uh, ‘a porta. Sarrà ‘nu cliente. Mammà, t’aggia lassà. Ce sentimme cchiù tarde.

                 Cià, cià. (Posa il cordless sul tavolo) Però ‘stu mestiere funziona overamente. Mò

                 me metto a ffa’ pur’io ‘a sensitiva: la maga Serena! Me piace!

                 Esce alla comune, poi torna seguita dai coniugi Eraldo e Ortensia, due tipi

                 trasandati, che stanno litigando animosamente. Serena li osserva, impotente.

Eraldo:    Ma mò te dongo ‘na capata ‘nmocca! 

Ortensia: E io te ceco ‘n’uocchio!     

Serena:    (Timidamente) Signori, scusatemi…!

Eraldo:    Stateve zitta! (Poi a Ortensia) E a te, mò che gghiamme ‘a casa, t’aggia struppià!

Ortensia: E io t’aggia menà ‘nu zuoccolo ‘nfaccia!

Serena:    Signori, scusatemi…!

Ortensia: Stateve zitta! (Poi a Eraldo) E io t’aggia appiccià ‘e capille cu’ l’accendigas!

Eraldo:    E io t’aggia spaccà ‘na seggia ‘int’’a tempia! 

Serena:    (Seccata, li richiama) Oh, e basta! Mò ve sbatto fora a tutt’e dduje! Avite capito?

Eraldo:    Signò, ma vuje che cacchio vulìte?

Ortensia: Noi dobbiamo parlare col grande mago.

Serena:    Ah, vulite parlà cu’ mio marito? Un momento solo. (Chiama) Benito, vieni qua!  

                 Da destra entra Benito con un panino in mano.

Benito:     Eccomi!

                 Ma mentre cerca di addentare il panino, i due lo circondano.

Ortensia: Grande mago, voi mi dovete ascoltare!

Eraldo:    No, dovete ascoltare a me! 

Ortensia: No, a me!    

Eraldo:    No, a me!

Benito:     (Si stufa) Oh, e m’’o facite magnà ‘stu panino ‘ngrazia ‘e Dio!

Ortensia: Ma voi ci dovete stare a sentire. Se no che mago siete?

Benito:     A parte ‘o fatto ca io nun songo ‘o mago. Io siete il suo assistente.

Ortensia: Io “siete”?

Benito:     Verbo essere: io siete, tu siete, egli siete, noi siete, voi siete, essi siete!  

Eraldo:    Sentite, ma ‘o maestro nun ce sta?

Benito:    ‘O maestro? E che stamme, ‘a scola?

Serena:    (Gli si avvicina) Benito, il maestro sarebbe il mago Roby.

Benito:     Ma chillo nun è maestro, è dottore!

Serena:    E’ anche dottore. Ma soprattutto, è maestro di magia. Vai, chiamalo!

Benito:     E vabbuò. (Incarta il panino e lo mette in tasca) Aspettate ‘nu sicondo. (Si  

                  avvicina alla porta di destra) Maestro! Néh, maestro! Putìte ascì ‘nu mumento?

                 Da destra torna Roberto con un panino in mano. 

Roberto:  Sì?

                 Ma mentre cerca di addentare il panino, i due lo circondano.

Ortensia: Maestro, voi mi dovete ascoltare

Eraldo:    No, dovete ascoltare a me! 

Ortensia: No, a me!    

Eraldo:    No, a me!

Roberto:  (Stufo) Aaalt! Aspettate ‘nu mumento. (Posa il panino sul tavolo accanto al

                 telefono, poi torna dai due) Néh, ma chi site vuje?

Ortensia: Permettete? Siamo i Moribondi!

Roberto:  E che m’avite pigliato, p’’o schiattamuorto? Io faccio ‘o mago!

Ortensia: Ma no, noi siamo Moribondi di cognome!

Roberto:  Ah, di cognome? E fatemi sentire i vostri nomi.

Eraldo:    Io Eraldo

Roberto:  Ah, ecco: una volta eravate Aldo, ma ora non più. E oggi come vi chiamate?

Eraldo:    Sempe ‘o stesso!

Roberto:  Aldo?

Eraldo:    Ma chi è ‘stu Aldo? Io me chiammo Eraldo!

Roberto:  Eraldo? Ma è ‘nu nomme?

Eraldo:    E allora che d’è?

Roberto:  Mah! E ‘a signora, invece?

Ortensia: Ortensia Fiore. Ma ‘a quanno me so’ spusato cu’ chisto, me chiammo Moribondi

                  pur’io! ‘E chi schifo ‘e matrimonio aggio fatto!

Eraldo:    Ma mò te vatto proprio!

Roberto:  Calma, calma! Calma e gesso!

Benito:     Esatto, ve puòzzene ‘ngessà a tutt’e dduje!

Roberto:  Tu stattu zitto! Piglia chella seggia vicino ‘o muro. E a voi due, accomodatevi.

                 Benito prende la sedia e l’accosta al tavolo. I due si siedono al tavolo.

Serena:    Bene, allora io vi aspetto di là per il pagamento dopo la seduta. Con permesso!

                 Serena si congeda a sinistra. Roberto si siede pure lui al tavolo. 

Benito:     Maestro, me n’aggia ì pur’io?

Roberto:  No, no, tu rimani!

Benito:     Mannaggia! ‘Stu panino, ‘int’’a sacca mia, se sta facenno ‘na chiavica!

Roberto:  Mangio pure io dopo. Vedi il mio panino? Sta sul tavolo. Ed ora vado in trance.

                 Ma sul tavolo squilla il telefono.

                 ‘Stu cacchio ‘e telefono! Scusate, rispondo un secondo. (Ma invece di prendere

                 la cornetta, porta il panino all’orecchio) Pronto! Ma che d’è, nisciuno risponne?

Benito:     Ehm… maestro, chillo nun è ‘o telefono. E’ ‘o panino vuosto!

Roberto:  Uff! (Posa il panino sul tavolo, prende il cordless, mette il viva voce) Pronto!

Voce:       (Maschile con accento siciliano) Pronto, grandissimo cornuto!

Roberto:  Scusate, non ho capito bene. Potete ripetere?

Voce:       Hai capito benissimo, grandissimo cornuto. Tu nascondi Cammela in casa tua!

Roberto:  “Cammela”? E chi è ‘sta “Cammela”?

Voce:       E’ una grandissima bottàna!

Roberto:  Sentite, ma io nun ‘a saccio a ‘sta tizia! Ma chi siete, voi?

Voce:       Mi chiamo Salvatore Siciliano. Di Palemmo sugno!

Roberto:  E allora accìdete! (Riaggancia) Scusate. Allora, volete parlarmi di voi due?

Eraldo:    Sì, parl’io! Dunque, maestro, di mestiere io faccio il parcheggiatore abusivo!

Roberto:  E allora?

Eraldo:    Maestro, a mia moglie nun le piace ‘o mestiere che faccio io!

Ortensia: Ma pecché, è ‘nu bellu mestiere ‘o parcheggiatore abusivo?

Eraldo:    E ch’è colpa mia? Io volevo fare il ricotterista!

Benito:     E chi è?

Roberto:  Chillo che fa ‘a ricotta!

Eraldo:    No, è chillo che porta l’apparecchio cu’ ll’elica ‘ncapa!

Roberto:  Ah, ma allora volevate fare l’elicotterista. Ho capito qual è il vostro problema:

                 voi due non vi amate più. Qua ci vuole un bel filtro d’amore. Ne tengo giusto

                 uno pronto. L’ho preparato stamattina. Benito, sta nella credenza, in cucina.

Benito:     Ma io nun ‘o cunosco.

Roberto:  Ci sta scritto sulla boccetta.

Benito:     E vabbuò.

                 Esce via a destra.

Roberto:  Ed ora, amici miei, venite accanto a me.

                 I due si alzano, perplessi. I tre si mettono a centro stanza (Roberto tra i due).

                 E ricordatevi di bere il mio filtro dopo aver fatto il rito. Sapete come si fa il rito?  

                 Dovete ballare un romantico tango per tre minuti, dopodiché berrete il filtro.

Eraldo:    Scusate, ‘na precisazione: ma… amma abballà ‘o tango overamente?

Roberto:  E certo.

                 I due si guardano con sdegno. Intanto torna Benito con la boccetta di filtro.

Benito:     Ccà ce sta ‘o filtro! 

Roberto:  (Lo prende) Dammi! Signora, lo consegno a voi che siete l’angelo del focolare!

Ortensia: (Lo riceve da Roberto, poi guarda perplessa Eraldo) Chi songh’io?

Eraldo:    L’angelo d’’o fucarazzo!

Roberto:  Bene, ora raggiungete mia moglie, là a sinistra. Così le pagate il mio onorario.

Ortensia: Ch’amma pavà?

Eraldo:    Quanta domande inutile che ffaje! Votta ‘e ccosce ‘a chella parte e stattu zitta!

Ortensia: Quanto si’ brutto!

                  I due escono a sinistra. Roberto e Benito si guardano perplessi.

Benito:     Ma che ce sta ‘int’a chillu filtro? Ll’acqua santa?

Roberto:  Pecché?

Benito:     Pecché si chilli duje fanne pace, pe’ me è ‘nu miracolo!

Roberto:  Miette a posto ccà ddinto, ch’è meglio.

                 Roberto si siede al tavolo.

4. [Roberto e Benito e Salvatore Siciliano]

                  Benito è intento a sistemare le sedie. Roberto, seduto al tavolo, prende il

                  proprio panino, lo scarta, lo osserva, sta per addentarlo ma squilla il telefono.

Roberto:  (Stufo) ‘Stu telefono sona sempe! (Posa il panino e prende il cordless) Pronto!

                    Signò, site vuje? Vi ho detto che non c’è niente da fare. Le carte non mentono

                    mai: dimàne jate sotto a ‘na machina! Mi dispiace. Condoglianze! (Riaggancia)

                    Ecco! (A Benito) Uhé, a te, he’ ‘ntiso ‘a telefonata?

Benito:       Ho capito: domani devo buttare sotto con la macchina a una signora. Ma chi è?

Roberto:    Mia suocera!

Benito:       Io nun tengo manco ‘a patente! E ppo’ ch’aggia fa’ cchiù, dimane e matina?

Roberto:    He’ mettere ‘nu serpente velenoso ‘int’’a buca postale d’’o padrone ‘e casa e  

                    infine appiccià ‘e capille d’’a sora ‘e mia moglie. Caro mio, il destino è in

                    mano a noi. Io e te dobbiamo aiutare le mie previsioni di mago a realizzarsi.

Benito:       Sì, ma mò m’’o pozzo magnà ‘o panino mio?  

Roberto:    Ma sì, mò me metto a magnà pur’io.

                    I due prendono i rispettivi panini, ma suonano alla porta.

Benito:       Niente, nun è destino. (Ripone il panino in tasca) Io vaco a arapì ‘a porta.

                    Esce via per il centro.

Roberto:    Allora m’aggia movere a magnà ‘o panin…!

                    Squilla il telefono. Roberto impreca.

                    E te pareva! ‘O telefono. (Mette il viva voce) Pronto!

Voce:          (Maschile) Pronto, don Attilio! Songo ‘o signor Cifariello. Pe’ piacere,

                    purtateme ‘n’etto ‘e murtadella e duje ette ‘e ricotta!

Roberto:    No, ma…

Voce:          Don Attì, e forza, che me moro ‘e famme! Purtateme pure ‘n’etto ‘e salame.

Roberto:    Sentite, ma io nun so’ don Attilio ‘o salumiere. Io sono il mago Roby. 

Voce:          Il mago Roby? Uh, me putite dicere ‘nu mumento dimane che succede?

Roberto:    (Si sfoga) Dimane? V’affugate cu’ ‘a murtadella ‘e don Attilio. Vabbuò?

                   (Riaggancia) Ecco qua! E mò speramme che se po’ magnà ‘nsanta pace!

                   Esce a destra col panino. Dalla comune torna Benito con Salvatore Siciliano.

Salvatore: (Accento siciliano) Mizzica!

Benito:       Comme?

Salvatore: Ho detto mizzica!

Benito:       No, nun ce sta.

Salvatore: Chi?

Benito:       Mizzica!

Salvatore: Ma “mizzica” in dialetto siciliano vuol dire… vuol dire… vuol dire mizzica!

Benito:       Sentite, ma vuje chi site?  

Salvatore: Ci siamo sentiti telefonicamente io e un signore che diceva di essere un mago.

Benito:       Ah, il mago Roby. E vi serve qualcosa da lui?

Salvatore: (Estrae un coltellino) Ci debbo tagliare la faccia!

Benito:       (Sorpreso) Uh, e pecché?

Salvatore: Perché mi nasconde Cammela! Unn’è Cammela? Tu ‘u sapisti?

Benito:       Ma io nun ve capisco! Aspettate, mò vaco a chiammà ‘o mago!

                   Va verso destra, chiama Roberto.

                   Mago Roby, trasite ‘nu mumento ‘a parte ‘e ccà.

Roberto:    Che vvuo’?

Benito:       Vi devo presentare questo signore.

Roberto:    Dite, dite.

Salvatore:  Mizzica!

Roberto:    Vi chiamate Mizzica?

Salvatore: No. Salvatore Siciliano, sugno. Quello della telefonata di prima.

Roberto:    Ma vuje nun state ‘e casa a Palermo?

Salvatore: No, abito al Vomero. E t’aja accidere, perché tu m’hai nascosto Cammela.

                   Da destra entra anche Serena, dubbiosa.

Serena:      Comme? Robé, e chi è ‘sta Carmela?

Roberto:    Ma chi cacchio ‘a cunosce?! 

Salvatore: Tira fuori Cammela, se no ti ammazzo!

Serena:      E te voglio accidere pur’io!

Roberto:    (Indietreggia verso sinistra) No, no, aspettate!

                   Roberto fugge a sinistra, inseguito da Serena e Salvatore. Benito li osserva.

Benito:       E io mò che faccio?

                   Squilla il telefono. Benito risponde.

                   Pronto! (Si arrabbia) No, signò, è inutile che ffacite. Dimane ata ì sotto a ‘na

                   machina. L’ha deciso ‘o mago! Picciò, bona morte! (Riaggancia) Aspettatemi!

                   E corre pure lui a sinistra. Si sentono botte e grida. 

Roberto:    Ahia ahia ahia!

                   Alla fine, i quattro tornano in stanza (Roberto è dolorante al sedere).

Salvatore: E questo è solo un avvertimento! (Poi a Serena) Bacio le mani!

                   Esce via di casa. Pure Serena avvisa Roberto.

Serena:      E questo è solo un avvertimento.

                   Esce via a destra. Poi Roberto nota che Benito lo osserva.

Benito:       E questo è solo un avvertimento!

Roberto:    Ma va’ fa’…!

                   Ed esce via a destra. Benito si siede sul divanetto.

5. [Benito e Flora Botanica. Poi Roberto e Serena]

                   Benito è seduto al divanetto. Si stende per addormentarsi. Suonano alla porta.

Benito:      (Salta in piedi dallo spavento)Aaah! Mannaggia ‘a porta e chi l’ha ‘nventata!  

                  Va ad aprire, poi torna con la fioraia Flora Botanica.

Flora:        Sentite, ma tanto ce vo’ p’arapì ‘a porta?

Benito:      Scusate, ma che ve serve?

Flora:        Voglio parlare con il divino.

Benito:      Chi?

Flora:        Il divino.

Benito:      (Interdetto) Aspettate ‘nu mumento. (Va alla porta di destra) Signora Serena!

                   Da destra torna Serena con un bicchiere di camomilla in mano.

Serena:     Che vvuo’?

Benito:      Ce sta ‘na signora.

Serena:     Embé, e che vvuo’ ‘a me?

Benito:      Ha ditto che va truvanno ‘o vino!

Serena:     ‘O vino?

Flora:        No, qualu vino? Io ho detto che voglio il divino.

Serena:     Benito, il divino sarebbe il mago. Va’, vall’a chiammà.

Benito:      Subito.

                  Esce a destra, perplesso.   

Serena:     Signora, accomodatevi al tavolo.

Flora:      E vabbuò. (Si siede al tavolo)

Serena:   E dopo passate da me per pagarmi l’onorario del divino Roby. Sono 100 Euro.

Flora:      Signò, secondo me, a ‘n’appoco, sarrà ‘o divino Roby che m’ha da pavà a me!

Serena:   Eh?   

                Da destra tornano Roberto (senza costume, beve una camomilla) e Benito.

Benito:    Divino, dottore, maestro, mago… nun saccio cchiù comme v’aggia chiammà…

                 Ccà ce sta ‘na signora che ve sta cercanno.

Roberto: E mò m’’o ddice? Io nun m’aggio miso manco ‘o custume. (Posa il bicchiere

                 sul tavolo, poi parla a Flora in modo aulico) Va bene, figlia del mondo pieno

                 di dolori e di angosce, rivolgiti pure al divino Roby che ti ascolta.

Flora:      Ah, sì? (Si alza) Tu si’ ‘o cchiù grande ‘mbruglione ‘ncoppa ‘a faccia d’’a terra!

Roberto:(Sorpreso) Uhé, embé?

Flora:      E tu fusse ‘nu mago sulo pecché tiene ‘a palla ‘e vetro? Embé, si ‘o vvuo’ sapé,

                 chella palla ‘e vetro me l’aggio accattata pur’io all’Auchan!

Serena:   (Seccata) Signò, ma comme ve permettite ‘e venì a ffa’ ‘a vasciajola ccà ddinto?  

Flora:      Vasciajola a me?

Serena:    Sì. E si nun te ne vaje, te ciacco!

Roberto: Uhé, Benito, mantenìmme a ‘sti ddoje pazze!

                 Roberto va a sedare Serena e Benito va a trattenere Flora.

Flora:      Liéveme ‘e mmane ‘a cuollo, tu! Nun te prioccupà, nun ‘a faccio niente, a chella!

Roberto: Serena, nun reaggì, pe’ favore. Nun me pare ‘o caso.

Serena:   E allora pàrlece tu, cu’ chesta. Siente che vvo’. (S’allontana un po’ verso sinistra)

Roberto: Signora, voglio che voi mi diciate subito chi siete e che volete.

Flora:      Poco fa, ccà addù vuje, è venuto ‘nu fioraio che faceva sempe ‘e sternute.

Benito:    Ah, m’’o ricordo, m’’o ricordo!

Flora:      Io songo ‘a mugliera.

Roberto: Ah, bene. Io gli ho dato un filtro contro la sua allergia ai fiori. E’ guarito?

Flora:      Sì, ‘e sternute nun ‘e ffa’ cchiù. Però è addiventato impotente!

Roberto: Che?

Flora:      Io l’aggio aspettato ‘a casa e m’aggio accunciata tantu bellella, pecché io e isso

                 ‘erema fa’ chella cosa llà. Ma isso niente, me l’ha fatta rimané ‘ncanna. (Isterica)

                 E intanto, mò, che me ne faccio cchiù ‘e mio marito? Che me ne faccio cchiù?

Serena:   Signò, scusate, ma site sicura che se tratta ‘e impotenza?

Flora:      Sì, pecché mio marito è gghiuto add’’o miereco.

Roberto: Signò, ma io che ce azzecco cu’ ll’impotenza d’’o marito vuosto?

Flora:      L’è venuta quanno s’è bevuto ‘o filtro magico vuosto. Ma io ve denuncio!

Serena:   Ma jatevenne.

Flora:      Embé, puozze addiventà impotente pure ‘o marito vuosto!

Roberto: Io? Ma jate a gghittà ‘o sango!

Flora:      (Gli fa le corna) Tié!

Serena:   Embé, si chesta nun se ne va, io ‘a jetto ‘a cammumilla appriesso!

Flora:      E famme vedé.

Serena:   Ah, sì? E allora l’he’ vuluto tu!

                Prende la rincorsa, le tira la camomilla contro, ma Flora si scansa e allora

                colpisce addosso Benito che grida perché si è scottato.

Benito:    Aaaah! (Inizia a saltellare in stanza, smuovendosi gli abiti zuppi di camomilla)

Flora:     (Irride Serena) Signò, avite sbagliato ‘a mira!

Serena:      Sì, però io so’ cchiù precisa quanno dongo ‘e mmazzate!

                   Posa il bicchiere sul tavolo e cerca di assalire Flora, impedita da Roberto.

Roberto:    No, no, no, Seré, nun fa’ accussì!

Serena:      Liévete ‘a nanzo, fammella vattere!

Roberto:    La accompagno io fuori casa. (Prende il braccio a Flora) Signò, ascite!

                   I due vanno verso la comune, nel mentre Flora dice ancora qualcosa a Roberto.

Flora:        Vuje ata addiventà impotente comm’’o marito mio!

Roberto:   Ma jate a murì ‘e subito!

                   Ed escono via per la comune. Dopodiché Serena richiama Benito, sofferente.

Serena:      E a te, l’he’ fernuta? Sì o no?

Benito:      (Sofferente) Signò, stongo addiventanno impotente pur’io!

Serena:      Vatt’a cagnà ‘sti vestite ‘nfuse.

Benito:       E addo’ ‘e ppiglio chilli llà asciutte?

Serena:      Va’ a vedé si mio marito tene coccosa ‘e pulito.

Benito:       Subito. (Va verso sinistra) Ma chi m’ha cecato a me ‘e venì a faticà ccà ddinto?

                   Esce via.   

Serena:      M’aggia fa’ pur’io ‘na cammumilla.

                   Prende il bicchiere dal tavolo ed esce a destra. Torna dal centro Roberto.

Roberto:    Sulo gente pazza trase ccà ddinto! Ma io faccio ‘o mago, no ‘o psicologo!

                   Poi esce via a destra.

6. [Serena, Salvatore e Roberto. Poi Benito e Carmela Fetusa]

                   Suonano alla porta.  Da destra esce Serena.

Serena:      Vaco a arapì io. Robé, tu miette a ffa’ ‘a cammumilla.

                   Serena va ad aprire, poi torna seguita da Salvatore Siciliano.

Salvatore: Mizzica!

Serena:      Vuje state ‘n’ata vota ccà? Nun v’è bastata tutta ‘a mmuina ch’ate fatto primma?

Salvatore: Signora, io non ho fatto nessuna muina. Io sto cercando solamente a Cammela.

Serena:      E siete ancora convinto che vostra moglie stia qua?

Salvatore: No, infatti ora sto qui per scusarmi con vostro marito. E devo chiedergli aiuto

                   come mago. Una consulenza. Guardate che sono disposto pure a pagare.

Serena:      E se capisce. Mica mio marito fa ‘o mago gratis! Aspettate, lo vado a chiamare.

                   (Si avvicina a destra) Maestro, puoi uscire un momento?

Roberto:    (Dalla cucina) Sto’ ffacenno ‘a cammumilla!     

Serena:      Ehm… qui c’è una persona che ti deve parlare.  

Roberto:    Vengo subito.

                   Da destra entra Roberto che non nota subito Salvatore.

                   Seré, che vaje truvanno?

Serena:      Guarda chi c’è.

Salvatore: Mizzica!

Roberto:    (Si spaventa) Mamma bella! E che vvo’ chisto ccà ddinto?

Salvatore: No, non vi preoccupate. (Gli si avvicina) Non voglio farvi niente.

Serena:      Robé, ma pecché staje tremmanno? ‘O signore qua presente t’ha da sulo parlà.

Roberto:    Senza ‘o curtiello?

Serena:      Senza ‘o curtiello.

Salvatore: Lo giuro. Però mi dovete fare una tazza di caffè.

Serena:      Affare fatto! Allora vado a preparare la camomilla e il caffè. Con permesso.

                   Serena esce a destra, mentre Roberto guarda con circospezione Salvatore.   

Salvatore: (Gironzolando intorno a Roberto) Voi non la conoscete, Cammela. E’ così?

Roberto:    Mai vista.

Salvatore: (Tira fuori il coltellino e lo apre) E allora io sono qua per scusarmi con voi.

Roberto:    Azz, e menu male! Io ‘o ssapevo che bell’e buono accumpareva ‘o curtellino!

Salvatore: E di che vi preoccupate? Non è per voi.

Roberto:    Allora è per Carmela?

Salvatore: Anche. Ma è soprattutto per me. Prendetelo.

Roberto:    Ch’aggia piglià?

Salvatore: Il coltellino. (Glielo consegna) Ecco!

Roberto:    E che me n’aggia fa’?

Salvatore: (Si apre la giacca) Il cuore è a vostra disposizione.

Roberto:    (Seccato, gli restituisce il coltellino) Ma vuje nun ve firate?

Salvatore: Ma io devo morire.

Roberto:    E addo’ sta scritto che v’aggia accidere io?

Salvatore: Ma io vi ho offeso.

Roberto:    E io vi perdono.

Salvatore: Grazie, ma ora voglio che mi leggete il futuro.

Roberto:    Questo si può fare. Prego, accomodiamoci al tavolo.

                    I due si siedono al tavolo.  

                   Bene. (Si concentra) Adesso vado in trance.

Salvatore: Dove andate?

Roberto:    In trance.

Salvatore: Allora io vi aspetto qua?

Roberto:    Ma perché, io dove devo andare?

Salvatore: L’avete detto voi: in trance.

Roberto:    Ma no. ‘Stu fatto ‘e ì in “trance” nun ‘o capisce maje nisciuno. Sentite, io mi sto

                   concentrando. Adesso guardo che cosa dicono di voi le carte. (Le mischia) Vi                

                   raccomando, non incrociate le gambe, le braccia, le dita e nient’altro.

Salvatore: E va bene. Pronto sugno.

Roberto:    (Distribuisce le carte e nel mentre le commenta) Ah, ottimo. Belle carte.

Salvatore: Veramente? E che dicono, che dicono?

Roberto:    (Entusiasta) Ecco, dicono… (Si incupisce) “Morte”! (Si blocca e resta muto)

Salvatore: Morte? Nel senso che io muoio?

Roberto:    (Mette una toppa) Ehm… no, muore… muore… l’amante di Carmela.

Salvatore: Ah, ma allora avevo ragione. C’è questo amante di Cammela. E unn’è? Unn’è?

Roberto:    Scusate, che cos’è “unn’è”?

Salvatore: Dove sta?

Roberto:    E chi ‘o ssape? Sapete com’è, le carte non lo dicono per motivi di privacy!

Salvatore: E allora muore quel bastardo che mi vuol rubare Cammela, quella fetusa.

Roberto:    Esattamente. Ma adesso non ci pensiamo più. (Guarda verso destra, la cucina)

                   Ma quanno se move mia moglie a purtà ‘o ccafé?

                   Dalla cucina si sente un rumore di qualcosa che cade e Serena gridare.

Serena:      Aaaaah! Un topo!

Roberto:    Oddio! (Si alza in piedi) Serena! Scusatemi vado a vedere che è successo.

Salvatore: (Si alza pure lui) Vengo pure io?

Roberto:    Se volete.

                   I due corrono a destra. Suonano alla porta. Da sinistra torna Benito che ha

                   indossato il costume da mago di Roberto.

Benito:      Vengo, vengo! (Si guarda il costume) Ua’, comme me sta bello ‘stu custume! Fa

                   cchiù bella figura ‘ncuollo a me che ‘ncuollo ‘o mago Roby!

                   Va ad aprire la porta. Torna seguito da Carmela Fetusa, donna vestita a lutto.

Carmela:   (Timida) Buongiorno.

Benito:      Buongiorno. Ve serve coccosa?

Carmela:  (Gli osserva il costume) Voi siete il mago?

Benito:      Io? (Si guarda il costume, poi…) Sì, io sono il mago. He’ visto? Aggio schiato

                   pure ‘o verbo essere: “io sono”!

Carmela:  Ma siete il mago Roby?

Benito:      No, sono il mago Benny. So’ cchiù potente d’’o mago Roby!

Carmela:  Ho bisogno di parlarvi. Io sono una donna morta.

Benito:      (Impressionato) Morta? Si fa per dire.

Carmela:  No, non faccio per dire. Sono morta veramente. Vedete, mago Benny, io sono

                  sposata con un uomo terribile, violento e malvagio.

Benito:      Ma mica isso ‘o ssape che mò vuje state ccà?

Carmela:  Per carità!

Benito:      (Risollevato) Ah, ecco!

Carmela:  Sarebbe un male per me… ma soprattutto per voi!

Benito:      Ma pecché, è geluso assaje?

Carmela:  Geloso? Un vero e proprio siciliano!

Benito:      Siciliano? Signò, menu male che vuje nun ve chiammate Carmela!

Carmela:  E invece sì. Io sono Carmela… Fetusa!

Benito:      (Sconvolto) Oddio mio! Carmela ‘a fetosa? Mamma mia, e mò comme se fa? 

Carmela:  Perché?

Benito:      Signò, si chillo se trova a passà accà, succede a “schifio”, comme dice isso!

Carmela:  Ma… perché, lui è già stato qua?

Benito:      Azz! E quant’è gruosso! Chillo è alto duje metre… senza tacchi!

Carmela:  E allora cosa volete fare?

Benito:      Mi sa che devo avvisare il mago Roby. Scusatemi. (Va alla porta di destra, la

                  apre, vi guarda dentro, si spaventa e la richiude) Maronna ‘e ll’Arco!

Carmela:  Che è successo?

Benito:      Signò, nun me dicite niente. Mò doje so’ ‘e ccose: o ve ne jate o v’annascunnìte!

Carmela:  (Si alza inconsapevole) Ma perché?

Benito:      Dint’’a cucina ce stanne ‘o mago Roby, ‘a mugliera e pure ‘o siciliano!  

Carmela:  Ma io non voglio andarmene.

Benito:      E allora v’’ita annasconnere.

Carmela:  Ma io…

Benito:      Basta! Silenzio! ‘O mago songh’io e se fa comme dich’io!

                  Le afferra il braccio e se la porta via sinistra (lei non ci capisce niente).

7. [Salvatore, Roberto e Serena. Poi Benito e Carmela, Modesto e Flora]

                  Da destra tornano Salvatore, Roberto e Serena. Lei si calma dallo spavento.

Serena:     Mamma mia, aggio fatto ‘e vierme! Ma ‘a do’ è asciuto chillu piezzo ‘e suricio?

Roberto:    Vabbuò, nun esaggerà, mò.

Serena:      (Si siede sul divanetto) No, no, chillo era proprio ‘na pantegana!

Salvatore: (Ripone il coltellino in tasca) Signora, il topo non vi spaventerà più. Fuggito è.

Serena:      Vi ringrazio, signor Siciliano. Se era per mio marito, quel topo stava ancora qui!

Salvatore: Bene, signor mago, ma prima che me ne vado, vorrei una parola buona da voi.

Roberto:    Ma certamente, eccola qua: i cento Euro dateli a mia moglie qui presente!

Salvatore: E questa sarebbe la parola buona?

Roberto:    No, questa è una comunicazione di servizio per mia moglie!

Salvatore: E va bene. (Prende il portafogli e vi estrae 100 Euro) Ecco i 100 Euro, signora.

Serena:      (Glieli tira di mano) Grazie! Tanti auguri per 100 anni!

Salvatore: Ora mi sento più sicuro perché so che Cammela non è mai stata qua!

Roberto:    Vi faccio accompagnare alla porta dal mio assistente. (Lo chiama) Benitooo!

                   Da sinistra torna Benito, timidamente.  

Benito:       Sì?

Roberto:    Benito, accompagna il sign… (Nota il costume) E tu che ce faje cu’ ‘o custume

                    mio ‘ncuollo? Mò aggio capito pecché nun ‘o truvavo cchiù! Lievatillo subito!

Benito:       Ma io aggio miso a asciuttà ‘e panne mie. Sotto ‘o custume, songo annùdo!

Serena:      Vabbuò, Robbé, lass’’o stà. A proposito, Benito, devi buttare un poco di veleno

                    per topi in tutta la casa.

                   Da sinistra esce Carmela.

Carmela:   Mago Benny!

Benito:       Oh, no! (Le si mette davanti) Che ssite asciuta a ffa’ ccà ffora?

Serena:      Benito, ma mi ascolti quando parlo?

Benito:       Ehm… ch’è succieso, ch’è succieso?

Serena:      Aggio visto a ‘na zoccola!

Roberto:    E pure io.

Salvatore: E pure io.

Benito:       Oh, no, signò v’hanne vista!

Roberto:    Néh, Benì, ma se po’ ssapé cu’ chi staje parlanno? Chi ce sta areto a te?

Benito:       Me credite si ve dico ch’areto a me nun ce sta ‘a signora Carmela ‘a fetosa?!

Serena:      E lo sappiamo benissimo.

Salvatore: Ma certamente. La mia Cammela è bellissima. E’ tale e quale a Sophia Loren!

Carmela:   (Spinge via Benito) E basta!

Benito:       Signò, ma site scema?

Serena:      (Sorpresa) Ma… Benito, con chi stai parlando?

Benito:       E vabbuò, visto che s’ha vuluta fa’ scuprì, ve presento ‘a signora.

Roberto:    Quala signora? Nuje nun vedimme a nisciuno.

Benito:       Ma che me vulite sfottere? Cioè, vuje vulite dicere che nun ‘a vedite?

Carmela:   E inutile che continuate? Loro non mi possono vedere.

Benito:       Ve schifano?

Carmela:   No, potete vedermi solo voi. Io sono uno spirito. Ve l’ho detto pure prima.

Benito:       (Sconvolto) Giesù e Maria! Io sto’ parlanno cu’ ‘o spirito ‘e Carmela ‘a fetosa!

Roberto:    E chi è ‘sta Carmela ‘a fetosa?

Benito:       ‘A mugliera d’’o siciliano!

Carmela:   Oh, no! Ma perché gliel’avete detto? Uffà!

                   Va via a destra, ma gli altri non possono vederla. Salvatore la invoca a vuoto.

Salvatore: Cammela! Unne si’? Svergognata! Fatti vedere!

Roberto:    Aspetatte ‘nu mumento, ma pecché Benito ‘a po’ vedé e nuje no?

Salvatore: Perché mia moglie… morta è!

Serena:      Allora vo’ dicere che Benito… è overamente… ‘nu sensitivo.

Benito:      (Esulta felice) Evviva! Io sono un modem! Sì, sono un modem!

Roberto:    Medium, si dice medium! Avete visto, signor Salvatore? Benito è un medium!

Salvatore: Ma chi se ne fotte? Disgraziato, voi mi avete mentito. (Tira fuori il coltellino)

                   Cammela era veramente in questa casa. E voi l’avete invocata!

Roberto:    Io? M’hanna accidere si io aggio invocato a ‘sta Carmela!

Salvatore: E allora vi accido io!

Serena:      No, Oddio!                

                   Roberto corre a sinistra inseguito da Salvatore e Serena. Benito invece esulta.

Benito:       Sono un modem, sono un modem! Vedo i fantasmi che si infizzano nelle case!

                   Suonano alla porta d’ingresso.

                   ‘A porta. Si è ‘nu cliente, è tutto mio, m’’o piglio io, ‘a faccia ‘e mago Roby!

                   Va subito ad aprire la porta. Torna con Modesto e Flora, tutti e due nervosi.

Flora:         Addo’ sta ‘o mago Roby? Amma parlà assolutamente cu’ isso.

Modesto:   Vall’a chiammà immediatamente.

Benito:       Calmàteve, calmàteve. Da questo momento, ‘o mago songh’io: mago Benny!

I due:         (Lo scansano) Ma liévete ‘a nanzo!

Flora:         (Chiama) Mago Roby, venite fuori!

                    Da sinistra torna Roberto di corsa.

Roberto:    Aiuto!

Flora:        (Lo blocca) Fermo!

Roberto:    (Si spaventa) Aaaah!

Flora:         (Tira per mano Modesto) Mago Roby, ccà ce sta ‘o marito mio.

Roberto:    Buongiorno!

Modesto:   Ma che buongiorno? Vuje m’’ita restituì ‘n’ata vota ‘e sorde!

Roberto:    Ehm… parlate cu’ muglierema!

                   Da sinistra torna Serena, lei da sola. Si ferma appena uscita.

Serena:      Aggio dato ‘na botta ‘ncapa ‘o siciliano e l’aggio addurmuto! Sono salva!

                   Si avvia verso destra, ma viene bloccata da Modesto e Flora.

Modesto:   Finalmente v’amme acchiappata. Vulimme ‘n’ata vota ‘e sorde aréto.

Serena:      Oddio mio! No, non è possibile.

Flora:         E allora fin’a quanno nun ce restituite ‘e sorde, amma fa’ ‘nu baratto.

Modesto:   Comme sarebbe a dicere?

Flora:         Tu te ne vaje cu’ ‘a signora Serena e ‘o mago se ne vene cu’ me.

Serena:      Signò, ma ‘o marito vuosto è impotente!

Flora:        Appunto! Mica m’’o pozzo tené io?

Serena:      E m’’o vulite da’ proprio a me?

Flora:        Ma io voglio ‘o mago Roby!

Roberto:    A chi?

                   Roberto fugge via di casa, inseguito da Modesto e Flora e pure da Serena.   

FINE ATTO PRIMO

Salone di una casa in affitto al sensitivo Roberto Nudo: è il giorno dopo.

ATTO SECONDO

1. [Benito, Eraldo Moribondi e Ortensia Moribondi. Poi Roberto]

                 Benito è seduto sul divanetto. Legge un libro di matematica ad alta voce.

Benito:     Io sono… io sono… io sono…

                 Suonano alla porta.  Benito pare seccato.

                 Ma justo mò ha da sunà ‘sta porta? Uffa!

                 Va ad aprire, torna seguito da Eraldo ed Ortensia. Benito però seguita a leggere.     

                 Io sono… io sono… io sono… 

Eraldo:    Néh, ma nun he’ visto che simme trasute nuje?

Benito:     Sì, v’aggio visto.

Ortensia: E allora va’ a chiammà ‘o titolare tuojo. Noi vogliamo parlare con l’immenso.

Benito:     L’immenso?

Ortensia: ‘O mago Roby.

Benito:     Ma io nun aggio ancora capito chisto che d’è. E’ duttore, è mago, è maestro, è

                  immenso…! Aspettate ‘nu mumento, mò ‘o chiammo. (Si avvicina alla porta di

                  destra, apre e chiama Roberto) Néh, immenso, putite ascì ‘a parte ‘e fora?

                  Da destra entra Roberto.

Roberto:  E allora, che succede qua?

Benito:     Ce stanne ‘sti duje.

Roberto:  Ah, i nostri coniugi litigiosi!

Benito:     Immenso, me ne pozz’ì? Aggia studià.  

Roberto:  E che staje studianno?

Benito:     ‘O verbo essere. Fin’e mò m’aggio ‘mparato sulo “io sono”!

Roberto:  (Nota il suo libro) Ma chisto nun è ‘nu libro ‘e grammatica.

Benito:     No, è ‘nu libro ‘e matematica.

Roberto:  E tu te vuo’ ‘mparà ‘o verbo essere ‘ncoppa a ‘nu libro ‘e matematica?

Benito:     E certamente. Ccà ce sta scritto “io sono”. Vulite vedé? Liggìte. (Glielo mostra)

Roberto:  Ma chillo è ‘nu problema ‘e aritmetica.

Benito:     No, assolutamente. Mò ve faccio sentì. (Legge stentando) “Io sono un contadino

                  e possiedo un dattero di terreno…”!

Roberto:  Un dattero? Si legge ettaro.

Benito:     (Controlla) Sì, ma ce sta ‘nu sbaglio. Nun se dice “dattero”?

Roberto:  Ma chella è ‘n’ata cosa. Va bene, lasciami parlare coi nostri clienti. Vai dentro.

Eraldo:    No, ‘nu mumento. Primma che se ne va, ce aggia dicere ‘na cosa a Benito.

Roberto:  E’ tutto vostro.

Eraldo:    ‘O verbo essere nun è “io sono”, ma “io sei”!

Benito:     E invece no. Aggio scuperto ch’’o verbo essere accummencia cu’ “io sono”!          

Ortensia: Nient’affatto. Me dispiace ‘e l’ammettere, ma ave raggione mio marito: ‘o verbo

                  essere accummencia cu’ “io sei”

Roberto:  Scusate, pozzo dicere pur’io ‘na cosa? ‘O verbo essere accummencia cu’ “io

                  sono”. Nun serve nisciunu libro. Accussì è.

Ortensia: Si ‘o ddicite vuje…! Del resto, vuje site ‘nu mago, allora andivinate!

Roberto:  Vabbuò, lassamme sta’. Benito, vattenne. Vedi se riesci a trovarmi il costume.

Benito:     Ata ì a mare?

Roberto:  Ma no, il costume di mago. Non sono più capace di trovarlo.

Benito:     M’’o vveco io. (Si avvia a sinistra, ma legge ad alta voce) Io sono… io sono…!

                  Esce a sinistra. Cosicché Roberto può interrogare i due.

Roberto:  Bene, ci vogliamo accomodare?

                  I tre si siedono al tavolo.

                 Allora, gentili signori, come vanno le cose tra di voi? Litigate ancora? 

Eraldo:    Uff! Assaje!

Roberto:  Ma ieri avete fatto tutto quello che vi ho chiesto? Dovevate ballare un romantico

                  tango e poi bere il filtro che ho preparato per voi. Fatemi sentire com’è andata.

Ortensia: Maestro, nuje aiére e sera amme abballato ‘o tango.

Eraldo:    Però paréveme duje scieme!

Ortensia: Amme miso ‘a musica a alta voce e l’amministratore ce ha pure richiamato.

Eraldo:    E ppo’, alla fine, amme assaggiato ‘o filtro vuosto, ma ce simme appiccicate

                 cchiù assaje. Inzomma, nun è servuto a niente.

Roberto:  E allora vuol dire che dovete ripetere lo stesso esperimento per due mesi di fila.

Eraldo:    Pe’ duje mise amma abballà annanzo ‘o tango pe’ tutta ‘a casa?

Ortensia: E ce amma vevere chella specie ‘e brodaglia che vuje chiammate “filtro”? Ma

                  nun ce sta ‘nu filtro p’’o lavoro ‘e mio marito? Chillo è brutto assaje.

Roberto:  (Furbescamente) Come mago io posso pure questo.

I due:       (Stupiti) Overamente?

Roberto:  Ma certo. Adesso, voi due, tornatevene a casa e lasciate fare a me. La cosa più

                 importante è che non litighiate più.

Eraldo:    No, chesto nun v’’o pputimme prumettere.

Roberto:  Certo, basta che ve ne jate a ffa’… no, cioè, lasciatemi lavorare in pace. Chiaro?

Ortensia: Chiarissimo!

                 I tre si alzano in piedi. Ortensia ha ancora qualcosa da dire a suo marito.                    

                 He’ visto, Eraldo, amme fatto buono a venì a parlà cu’ ‘o mago.

Eraldo:    Infatte. Allora, signor mago, nuje ve salutamme e ce ne jamm…

Roberto:  No, ‘nu mumento, addo’ jate? Voi mi dovete pagare. Sono 100 Euro.

Eraldo:    E allora v’’e ddongo quanno aggio ‘o primmo stipendio.

Roberto:  Ma…

Eraldo:    Nuje ve ringraziamme. Arrivederci e stateve buono!

                 I due gli stringono la mano e vanno via celermente. Roberto pare preoccupato.

Roberto:  E mò comme se fa? ‘Stu tizio ha da truvà assolutamente ‘nu lavoro. (Prende il

                 telefono e digita un numero) Pronto, Giggì! Songo ‘o mago Roby. Giggì, tu

                 m’he’fa’‘nu piacere. Mi serve un lavoro come scaricatore al porto di Napoli. Io

                 poi domani ti regalo 100 Euro. Come? Ne vuoi 1000? E vabbé, vada per 1000

                 Euro. Giggì, t’hanna accidere! (Riaggancia con forza) Nun ce ‘a faccio cchiù!

                 Ed esce a destra.

2. [Benito e Pacifico]

                 Da sinistra entra Benito che osserva se in stanza c’è qualcuno, poi viene avanti.

Benito:    Ccà ddinto me tràttene sempe ‘na schifezza,. Ma che m’hanne pigliato pe’ ‘nu

                schiavo? Si me ne vaco io, vanne tutte quante in fallimento!

                Squilla il telefono. Benito vi si avvicina, stufo.

                ‘Nu mumento, sto’ arrivanno! Mò metto ‘o viva voce. (Così fa) Pronto, chi è?

Voce:      (Maschile) Pronto, questo è uno scherzo! Per caso tenete l’acqua in casa?

Benito:   Aspettate, mò vaco a vedé.

Voce:      Ma si’ scemo? T’aggio ditto ch’è ‘nu scherzo! (Riaggancia)

Benito:   (Si arrabbia) Ma chiste so’ scieme? Me fanne ‘nu scherzo telefonico! A me!

                Suonano alla porta. Ma Benito, ancora infervorato, alza la cornetta e risponde.

                Pronto! Pronto! Ma chi è? Ha da essere ‘n’atu scherzo. Ce sta uno accà ddinto

                che ddice: “Tu-tu… tu-tu… tu-tu…”*!                                *(Imita il telefono quando è staccato)

                Suonano ancora alla porta. Stavolta però Benito se ne rende conto.

                Uh, ma chisto nun è ‘o telefono. E’ ‘a porta.

                Ripone la cornetta, si alza e va ad aprire. Poi torna da solo.

Benito:   Strano, nun è nisciuno. E allora me pozz rilassà ‘nu poco.

                Si siede sul divanetto, ma nota che dalal cxomune entra Pacifico, con fare  

                misterioso, che si guarda intorno nella stanza.

                ‘O padrone ‘e casa? E pe’ do’ è trasuto?  (Si alza e va da lui) Scusate!

Pacifico: Ssssst, silenzio! Devo capire una cosa.

Benito:    E che dovete capire?

Pacifico: Guarda questo.

Benito:    (Legge) Maresciallo di polizia Pacifico Appicciafuoco. Ma site vuje?

Pacifico: Già.

Benito:    (Comincia a preoccuparsi) Oddio! Ma… è succieso coccosa?

Pacifico:Uff! Si tu sapisse! Il tuo titolare è un truffatore, un imbroglione.

Benito:    (Stupito) Ah! (Poi subito mette in chiaro) Uhé, precisiamo, io songo innocente.

Pacifico: E allora che ce faje ccà?

Benito:    Mariscià, io nun ‘o vulevo fa’ l’assistente d’’o mago. Però so’ disoccupato.

Pacifico: Sì, sì, va bene, la solita storia.

Benito:    No, è ‘o vero. Io songo disoccupato purosangue! Però, doppo migliaia ‘e colloqui

                 ‘e lavoro, me so’ sfastriato. ‘Ncoppa ‘o curriculum mio aggio scritto ‘na marea ‘e

                 palle: per esempio, io avesse faticato ‘int’’a Banca d’Italia. E ppò so’ stato pure

                 professore d’italiano. Ma si io sbaglio tutt’’e verbe!

Pacifico: E allora perché non te ne vai al nord?

Benito:    E comme ce vaco? E’ troppo luntano!

Pacifico: In macchina.

Benito:    Ma io nun tengo ‘a patente. Nun saccio guidà.

Pacifico: E allora ci vai in treno.

Benito:    V’aggio ditto che nun saccio guidà!

Pacifico: E mica l’he’ purtà tu, ‘o treno?! Ma piuttosto, dimmi, come ci sei finito qua?

Benito:    Aggio liggiuto ‘n’annuncio ‘ncoppa ‘o giurnale: “Cercasi assistente per mago”! E

                io aggio penzato: “E addo’ ‘o trovo ‘nu lavoro cchiù facile ‘e chisto? Se fatica

                poco, tanto, aggia sulo assistere ‘o mago che fa tutto cose isso!”… Ed eccomi qua. 

Pacifico: Beh, io posso evitarti una denuncia per favoreggiamento. Ma tu devi aiutarmi.  

Benito:    Diciteme almeno ch’aggia fa’.

Pacifico: Devi tradire il tuo titolare.

Benito:    L’aggia fa’ ‘e ccorne?

Pacifico: No, devi fare in modo che noi della polizia lo prendiamo in flagranza di reato. 

Benito:    (Confuso) Aspettate, comm’è ‘sta parola? “Fa…anza di reato”?

Pacifico: Flagranza di reato: l’amma cogliere cu’ ‘e mmane ‘int’’o sacco!

Benito:    E nun pare brutto?

Pacifico: No, pare bello! Io tengo d’occhio la situazione. Più tardi mi fingerò cliente e verrò

                 qui. Tu continua a lavorare come fosse niente. Capito?

Benito:    E pe’ forza.

Pacifico: Bene, allora a dopo. 

                 Pacifico va alla comune. Poi si ferma, si volta verso Benito e gli dice qualcosa.

                 Ascolta, ultimamente avete ricevuto telefonate strane?

Benito:    Sì. pure cocche scherzo telefonico. Ma si acchiappo a chillo che se diverte, ‘o

                faccio ‘na faccia tanta, ‘o dongo ‘na capata ‘nmocca e ‘o sputo pure ‘nfaccia!

Pacifico: Sono io l’autore di questi scherzi!

Benito:    (Cambia idea) Ate fatto benissimo! Me so’ divertito troppo assaje. Complimenti!

Pacifico: Grazie!

                 Pacifico esce via. Benito pare sconvolto. Si siede al divanetto. Parla da solo.

Benito:    ‘O mago Roby Nud è ‘nu truffatore! ‘Nu ‘mbruglione! Mò addivento ‘n’ata vota

                 disoccupato! (Prende un fazzoletto e si asciuga la fronte) Mannaggia ‘a morte!

                 Poi si alza ed esce a sinistra.

3. [Roberto e Serena. Poi Benito. Infine Indo Buccaccio]

                 Da destra entra Roby facendo calcoli con una calcolatrice. Poi sentenzia.

Roberto: Mannaggia ‘o babà! Comm’aggia fa’ a quadrà ‘stu cerchio? Nun capisco pecché

                 so’ sempe cchiù assaje ‘e sorde che se ne spénnene che chille che se guaragnene!

                 Si siede sul divanetto. Da sinistra entra Serena. Nota Roberto. Gli siede accanto.

Serena:   (E’ in cerca di coccole e cerca di stuzzicarlo e gli parla in modo sexy) Ciao!

Roberto: (Pensa ai suoi conti, mimandoli) Se io levo 70, mi restano 30, ma non li posso

                 levare, perché mi servono dall’altra parte.

Serena:    Iuhuuu, ho detto ciao!

Roberto: (Pensa ai suoi conti, mimandoli) Ma se io ne levo 60, me ne rimangono 30 per

                 quel fatto là e 10 per quell’altro fatto. Però poi 60 non mi bastano.

Serena:    Insomma, ma mi vuoi salutare?

Roberto: Per cui, 60 e 40… cià, Seré…! E se io facessi 50 e 50?

Serena:   Ecco, noi non abbiamo mai un momento di intimità. Tu pensi solo al tuo lavoro.

Roberto: Ma pecché, che vvulìsse fa’?

Serena:   ‘A signora Flora se lamenta pecché tene ‘o marito impotente.

Roberto: E tu invece tiene ‘nu marito potente. E con ciò?!

Serena:   Ma io non conto più niente per te? Tu non mi dici mai che ti manco.

Roberto: E tu nun me manche maje, staje sempe annanzo ‘e piede!

Serena:   Ecco, io vengo da te in cerca di coccole e di tenerezza, e tu invece mi tratti così.

Roberto: Ma chi te l’ha detto. Aspetta, adesso ti dico una frase romantica. Amore mio, tu…

                 In quel momento da destra entra Benito che litiga con la cinta dei suoi pantaloni.

Benito:    Faje proprio schifo!

Roberto: (Ripete) Faje proprio schif…! (Si alza e va da lui) Néh, ma che vvuo’?

Benito:    Io? Niente, me stongo appiccecanno cu’ ‘a cinta d’’o cazone mio! Io sono pronto.

Roberto: (Stupito) “Io sono pronto”? Finalmente te si’ ‘mparato ‘o verbo essere!

Benito:    E m’aggio ‘mparato a ffa’ pure l’analisi grammaticale!

Roberto: ‘O vero? Voglio vedé. Fammi sentire l’analisi grammaticale di “Io sono pronto”.

Benito:    Dunque: io= articolo determinativo! “Sono”=verbo essere.

Roberto: E “pronto” che cos’è?

Benito:    E’ aggettivo telefonico!

Roberto: Aggettivo telefonico?

Benito:    E certamente. Quanno rispunnite ‘o telefono, comme dicite?

Roberto: Pronto!

Benito:    Avite visto?

Serena:   (Si alza in peidi, indispettita) Io me ne vaco ‘int’’o bagno.

Roberto: ‘Int’’o bagno?

Serena:    T’aggia fa’ l’analisi logica? Io= soggetto; me ne vaco= predicato verbale; ‘int’’o

                 bagno= complemento di “sfastriamiento”! E sì, pecché m’aggio sfastriata ‘e te

                 vedé. Vabbuò?

                 E se ne esce a destra, imbronciata.

Roberto: Ma tu l’he’ ‘ntisa?

Benito:    E sì, me voglio ‘mparà pur’io l’analisi logica. Comme se fa?

Roberto: Ma nun penzà a ‘sti scimmità. Ora torniamo a noi: ti raccomando, la madre di

                Serena tra poco esce di casa. Già sai cosa fare.

Benito:    Ma io nun ‘a saccio purtà, ‘a machina. Nun ‘a pozzo ittà sotto cu’ ‘a bicicletta?

Roberto: Scinne, va’, va’, e muòvete!

Benito:    E vabbuò.

                 Benito esce via per la comune. Roberto allora guarda verso destra.                 

Roberto: E mò famme vedé chesta che cacchio ha passato!

                 Esce a destra. Dalla comune torna Benito, seguito da un uomo in abito.             

Benito:    Scusate, ma vuje chi site? Pecché stìveve areto ‘a porta?

Pacifico: Prova a indovinare.

Benito:    Mariscià, ma site vuje?

Pacifico: Zitto! Io sono il commendator Manetta. Ma ora vai a chiamare mago Roby.

Benito:    Mariscià, ma vuje l’avita arrestà pe’ forza, ‘o mago?

Pacifico: E come. Ma tu sai perché ha scelto il nome d’arte Roby Nud? Ha usato una

                 assonanza col nome del leggendario ladro di Sherwood. Ma al contrario di

                 Robin Hood, il tuo titolare ruba ai ricchi e ai poveri per donare a sé stesso.  

Benito:    Scusate, ma a me che me ne ‘mporta? Io aggia scennere.

Pacifico: Che devi andare a fare?

Benito:    Cocche lavoretto esterno. Ma nun è niente ‘e che: se tratta ‘e ‘n’investimento!

Pacifico: ‘E sorde?

Benito:    No, ‘e machina!

Pacifico: Non ti capisco. Va bene, forza, chiama l’eminente Roby!

Benito:    L’eminente? Ma pecché nisciuno ‘o chiamma “mago”? (Si avvicina a destra) Ehi,

                eminente, state ‘int’’a cucina? Ccà ce sta ‘nu marisciallo…

Pacifico: No, imbecille, ti ho detto commendatore.

Benito:   ‘Nu marisciallo commendatore!

                Da destra torna Roberto.

Roberto: Chi ce sta?

Benito:    Isso.

Roberto: Non ho il piacere di conoscerlo. Come si chiama?

Pacifico: Sono il commendator Manetta. Ho la fortuna di parlare col grande mago Roby?

Roberto: Sì, sono proprio io. Scusate se non indosso il mio costume di mago.

Benito:    Sentite, me ne pozzo fujì? No, cioè, me ne pozz’ì? Aggia ì a ffa’ l’invenstimento!

Roberto: Vai, vai, caro. E ti raccomando, non sbagliare mira anche questa volta!

                Benito si fa il Segno della Croce, poi esce via. 

Pacifico: Bene, ci vogliasmo accomodare al tavolo?

Roberto: Fate come se foste a casa vostra.

                 I due si accomodano.

                Allora, commendator Manetta, come posso esservi utile.

Pacifico:  Beh, io voglio sapere un po’ di cose sulla mia vita. (Guarda verso la porta di

                 destra) Scusate, ma di là c’è la cucina?

Roberto: Sì, ci sta. Ma che c’entra?

Pacifico: No, niente. Domandavo per domandare. E c’è pure il bagno?

Roberto: Si ata ì, senza complimenti!

Pacifico: No, no, era solo mera curiosità.

Roberto: Sì, ma ditemi che cosa volete sapere su di voi. E parlatemi della vostra persona.

Pacifico: Io sono commendatore da 5 anni. E voglio sapere il mio passato e il mio futuro.

Roberto: Allora mischio le carte. (M ischia i tarocchi, nel mentre parla) Non incrociate né

                 gambe, né braccia, né nient’altro. (Posa le carte sul tavolo) Ora vado in tance.

                 E mentre Roberto chiude gli occhi, Pacifico furtivamente si alza, va alla porta di

                 sinistra, la apre e vi guarda dentro. Roberto intanto riapre gli occhi.

                 Eccomi, io sono pronto. Io sono pront…! (Lo nota dall’altra parte) Scusate, ma

                 ch’avite fatto? Ve ne site juto? 

Pacifico: (Chiude la porta e torna da lui) No, niente, mi domandavo se di là c’è la camera

                 da letto. Ebbene, ci sta! E che cosa dicono le carte di me?

Roberto: Ah, già. (Le distribuisce sul tavolo) Le carte dicono che voi avete avuto una vita

                 molto, molto, avventurosa. Che vi siete sposato e avete divorziato due volte.

Pacifico: (Finge sorpresa) No…! Sono sconvolto. E poi che cosa dicono più?

Roberto: Adesso vi leggo il futuro. (Rimane perplesso) Ma voi andate a finire in carcere?

Pacifico: Ah, io?!

Roberto: Non lo so. Non riesco ad interpretarle. Volete che provo con le carte napoletane?

Pacifico: No, no, va bene così. Sentite, mi portate a vedere il balcone che affaccia dalla

                camera da letto?

Roberto: ‘O balcone? E a che ve serve?

Pacifico: (Si alza in piedi) Voglio prendere un poco di aria. Mi accompagnate?

Roberto: OK! (Si alza in piedi) Chi ve capisce è bravo! (Si avvia a sinistra) Venite cu’ me.

Pacifico: (Lo segue) Poi dopo mi portate a vedere le altre stanze.

                 I due escono a sinistra. Roberto è perplesso.

4. [Serena, Modesto e Flora. Poi Roberto. Infine Benito]

                Da destra torna Serena, delusa. Si siede al tavolo. Prende il cordless e telefona.

Serena:   Pronto, papà! Mammà è uscita? Va bene. Più tardi poi vengo a casa a trovarvi.

                Ciao. (Riaggancia) E intanto, Roberto è sparito ‘n’ata vota. Comm’aggia fa’ cu’

                chillo? Sparisce sempe.

                Suonano alla porta.

                ‘A porta. Sicuramente sarrà cocche cliente. Uffa!

                Va di corsa ad aprire, poi torna spingendo in stanza Modesto e Flora.

                 Venite, trasite, diciteme subito chello che m’’ita dicere e gghiatevenne!

Flora:      Ce putimme assettà?

Serena:    Sì, accomodatevi. Io intanto vi chiamo il mago Roby.

                 Mentre i due si accomodano al divanetto, Serena si avvicina a sinistra.

                 Mago Roby, ce staje?

                 Da sinistra accorre Roberto.

Roberto:  Seré, ma justo mò m’he’ chiammà? Io sono con un cliente. Sta fuori al balcone.

Serena:    Ma comme, ‘nu cliente se riceve fora ‘o barcone?

Roberto:  E tu che vvuo’ ‘a me? Chillo ha vuluto essere ricevuto llà.

Serena:    Mò vaco a vedé io. Tu intanto guarda chi ci sta seduto sul divanetto.

Roberto:  Ah, il signor Modesto e la sua dolce metà.

Serena:    Ma qua’ dolce e dolce?! Uhé, fa’ ambresso a apparà a ‘sti duje e ppo’ viene addù 

                 me. He’ capito? Più tardi devo andare a trovare a mia mamma.

Roberto:  Addo’? ‘O cimitero?

                 Serena gli volta la faccia ed esce a sinistra. Roberto resta interdetto.

                 Ma aggio ditto coccosa ‘e male? Mah! (Va dai due, sbrigativo) Cari signori, mi

                 ha fatto piacere la vostra visita. Allora, arrivederci!

Modesto: Ma si nuje mò simme trasute d’’a porta!

Roberto:  Ah, già.Allora, ditemi subito di cosa mi dovete parlare.

Flora:      Mio marito sta peggioranno sempe cchiù. Chillo già nun è maje stato ‘na putenza!

Modesto: Però mò songo addiventato proprio ‘nu piezzo ‘e lignammo!

Flora:      E vuje, signor mago, avita fa’ assolutamente coccosa.

Roberto:  E cioè?

Modesto: Priparate ‘n’atu filtro che me fa turnà l’allergia e me fa passà l’impotenza!

Roberto:  Io?

Modesto: E chi, allora? Si vulite, nun ve damme cchiù cient’Euro, ma 3000!

Flora:       E 3000 Euro so’ cchiù assaje ‘e ciento. ‘O ssapite?

Roberto:  Ma me state sfuttenno?

Flora:       Si ve vulevo sfottere, ve devo cinquant’Euro!

Roberto:  Signori, io ho poteri paranormali, ma non fino a questo punto. 

Modesto: Però site stato capace ‘e me levà ‘a potenza sessuale a me. Era meglio l’allergia!

Roberto:  E voi pensate che un po’ di medicine mischiate insieme abbiano queste capacità?

Modesto: E certo, ‘a colpa è d’’o filtro vuosto. Tengo ‘a carta d’’o miereco. ‘A vulite vedé?

Roberto:  Ma voi da quale medico siete stato?

Modesto: Dottor Rossi!

Roberto:  Nun voglio sapé ‘o nomme. Voglio sapere in che cosa è specializzato.

Modesto: E’ ‘o miereco sessuale: l’idraulico!

Roberto:  Si dice andrologo! E va bene, vi preparo un filtro per le malattie sessuali. Però se

                  non tornerete come prima, io non mi assumo responsabilità.

Flora:       E quanno l’amma venì a piglià?

Roberto:  Signò, almeno dàteme ‘o tiempo d’’o priparà! In 10 minuti ce la dovrei fare.

Modesto: E allora tra diece minute stamme ‘n’ata vota ccà!

Flora:       Mamma mia, nun veco ll’ora!

Modesto: A chi ‘o ddice?!

Roberto:  Bene, però adesso per favore andate via che ho un po’ di cose da fare.

                 I due si alzano in piedi. Dalla comune torna Benito.

Benito:     Mago Roby, ‘a machina nun parte. Nun pozzo ì a investì ‘a gnora vosta!

Roberto:  Zitto! (Mette una toppa coi due) Ehm… sì, dobbiamo fare un investimento in

                 denaro per mia suocera. Le ho previsto che diventerà ricchissima. Caro Benito, 

                 ora vengo insieme a te e facciamo partire l’auto. Signori, con permesso.

                 Roberto allora si congeda da loro frettolosamente, tirando per il braccio Benito

                 (escono di casa). Intanto Flora si felicita con Modesto.

Flora:      He’ ‘ntiso, Modesto? Stasera tuorne a essere ‘o torno scatenato ch’ire primma!

Modesto: Stasera allora puo’ ‘ngignà ‘a biancheria intima che t’aggio regalato sett’anne fa.

Flora:      Finalmente! Jammuncenne, Modé, jammuncenne!

                 I due escono di casa sotto braccio.

5. [Serena e Pacifico. Poi Roberto e Benito. Poi Carmela, Modesto e Flora]

                Da sinistra tornano Serena e Pacifico.

Serena:   Sentite, ma vuje site venuto a ffa’ ‘nu consulto add’’o mago Roby, oppure a vedé

                ‘a casa nosta?! In qualunque caso, vuje avita pavà l’onorario.

Pacifico: Veramente? E quanto sarebbe questo onorario?

Serena:   Cento Euro.

Pacifico: Facciamo così: ve ne dò 200 se mi fate vedere pure il resto della casa.

Serena:   (Sorpresa) Prego?

Pacifico: Ho detto che vi dò 200 Euro se mi fate vedere tutta la casa. Devo ripeterlo ancora?

Serena:   No, ma… non per sfiducia… però voglio vedere prima i 200 Euro.

Pacifico: (Prende il portafgli, estrae due pezzi da 100 Euro e li esibisce) Vi piacciono?

Serena:   (Tenta di prenderli) Sì, andiamo!

                Lo prende per mano, i due si avviano a destra, poi Pacifico si ferma al tavolino e

                lo guarda sopra e sotto.

Serena:   Ma che state facendo?

Pacifico: Niente, niente. Questo tavolo è bellissimo! Su, forza, andiamo, andiamo.

                I due escono a destra. Dalla comune tornano Roberto e Benito.

Roberto: Niente. ‘A machina nun parte proprio. E mò comme se fa?

Benito:    Si vuje me stìsseve a séntere, a me, ‘o problema già fosse risolto!

Roberto: Ma pecché, tu che m’he’ proposto?

Benito:    ‘O dirottamento d’’a Vesuviana! Io, dirottando il treno per Sorrento, mi dirigo

                 verso la vostra gnora, e…

Roberto: Leva mana! (Si siede affranto al divanetto) Devo rinviare la morte di mia suocera.

Benito:    E che ve ne ‘mporta? Io dicesse: rinviamo l’investimento. Vuje state pure stanco.

Roberto: Dici bene. Sai che faccio? M’addormo ‘nu poco. Fa’ ‘na cosa: stacca ‘o telefono.

Benito:    E si sònene ‘a porta? 

Roberto: Stacca pure ‘a porta! Me voglio fa’ ‘n’ora ‘e suonno.

Benito:    Volete schiacciare un pesciolino!

Roberto: Ma qualu pesciolino? Si chiama pisolino. Io amo la pace.

                Squilla il telefono.

                Già, ‘a pace! A me me piace, ma ce sta sempe coccheduno che nun m’’a fa truvà!

Benito:    Vaco a risponnere io.

Roberto: Ti raccomando, dici che non ci sono.

Benito:    Va bene. (Risponde) Pronto! Sì, questa è la casa del mago Roby. Io sono il mago

                 Benny! No, adesso il mago Roby non ci sta. E’ gghiuto a ‘na cresima! Non ci

                 credete? E che m’avite pigliato pe’ ‘nu pagliaccio, a me? M’ha ditto ‘e ve dicere

                che nun ce sta! Ancora nun me crerrìte? E allora domandate a isso!

Roberto: No, ma…

Benito:    (Gli porta il telefono) Tenìte, parlatece vuje, cu’ chesta!

                E se ne va a sinistra. Roberto, rimasto solo, perplesso, risponde.

Roberto: Ehm… pronto! Aspetatte, metto il viva voce. (Così fa) Bene, vi ascolto. Chi siete?

Voce:      (Femminile) Ieri sono stata da voi, ma non sono riuscita a parlarvi.

Roberto: Vi serve una consulenza?

Voce:      Veramente, mi serviva ieri. Ma ho parlato solo col mago Benny.

Roberto: Ma qualu mago Benny? Signora, quello è solo il mio assistente.

Voce:      E invece no. Voi non portavate il costume da mago, mentre lui sì.

Roberto: E che c’entra il costume da mago? L’abito non fa il monaco!

Voce:      Allora adesso vi faccio una domanda: dove avete comprato quel costume?

Roberto: Me l’ha cucito un sarto vecchissimo. Era amico di mio nonno. E allora?

Voce:      Quel costume è stato cucito 100 anni fa con un’antica stoffa, oggi introvabile,.

Roberto: Allora ‘o sarto m’ha ditto ‘na palla!

Voce:      Già. E sapete chi lo ha indossato per primo? Un autentico sensitivo. Per cui, quel

                costume concede a chi lo porta le facoltà di chiaroveggenza e di sensitività. 

Roberto: Effettivamente, quando lo indossavo, riuscivo a vedere delle cose che… (Poi

                dubbioso) Invece ieri lo ha indossato Benito e…

Voce:      Mi ha vista. Era l’unico che poteva farlo. Io sono Carmela. 

Roberto: La moglie di Salvatore Siciliano?

Voce:      Esattamente! 

Roberto: (Sconvolto) Oddio mio!

Voce:      Se rivolete le capacità da sensitivo, riprendetevi il costume. Se no, non sarete mai

                un vero mago. (Riaggancia)

Roberto: Pronto! Pronto! (Si alza in piedi) Ma io aggio capito buono? Benitoooo!

                Getta il cordless sul divanetto e si avvia a sinistra, ma

6. [Serena e Pacifico. Poi Roberto, Benito. Poi Pacifico]

                Da destra entrano Serena e Pacifico.

Serena:   Ecco qua, adesso avete visto tutta la nostra casa.

Pacifico: Vi faccio i miei più vivi complimenti.

Serena:   Grazie. Però devo parlare col padrone di casa. Le finestre non mi piacciono. Ci

                vorrei far metere delle sbarre.

Pacifico: (Ironico) E quelle ci vogliono. Già vi immagino dietro le finestre con le sbarre!

Serena:   Sapete com’è, per i ladri!

Pacifico: Ma… quelli di fuori… o quelli di dentro?

Serena:   No, i ladri stanno fuori!

Pacifico: Ah, già! E ora, scusate per la curiosità, voglio domandarvi una cosa: chi siete voi?

Serena:   La moglie del mago Roby.

Pacifico: Ah, siete la complice? Cioè, voglio dire che voi collaborate con lui?

Serena:   Sì. Sentite, adesso una curiosità me la dovete levare voi a me: ma perché mi state

                facendo tante domande? Vuje me parite ‘nu poliziotto.

Pacifico: Che esagerazione! Per qualche domanda. 

Serena:   Qualche domanda? A me me pare ch’aggio risposto a ‘nu questionario!

Pacifico: Ma no, signora, ve l’ho detto: io sono molto curioso. E’ una mia malattia.

Serena:   Bene, allora se avete finito la seduta col mago, mi avete pure pagata, arrivederci.

Pacifico: Penso che ci rivedremo molto presto. Salutatemi mago Roby. E riguardatevelo.

Serena:   State tranquillo, è ‘a vita mia. Non me lo farò mai scappare!

Pacifico: E neanche io!

                Fa un inchino, poi va via, lasciando Serena dubbiosa.

Serena:   E che vvò dicere “neanche io”?

                Da sinistra riecco Roberto e Benito (in costume da mago). Litigano verbalmente.

Roberto: Liévete ‘stu custume ‘a cuollo. E’ ‘o mio. Io songo ‘o mago, tu invece no.

Benito:    Io sò cchiù mago ‘e vuje, pecché riesco a vedé ‘e fantasme!

Roberto: Ma quali fantasme? Tu chi sa a chi he’ visto?!

Benito:    ‘A signora Carmela ‘a fetosa!

Roberto: Nun esiste nisciuna Carmela ‘a fetosa. E comunque, rivoglio ‘o custume mio.

Benito:    No!

Roberto: E io te faccio capa e muro!

Benito:    Nun me ne ‘mporta niente.

Roberto: Allora ti licenzio.

Benito:    No, songh’io che me licenzio. Però me ne vaco cu’ ‘stu custume ‘ncuollo!

                Roberto afferra il costume e lo tira a sé, incontrando la resistenza di Benito.

Roberto: Damme ‘o custume!

Benito:    Lasciate!

Roberto: T’aggio ditto damme ‘o custume!

Benito:    Se straccia!

                Serena accorre subito a dividere i due.

Serena:   Basta! Robé, ma che te si’ impazzito?

Roberto: Io? Ma chisto s’ha pigliato ‘o custume mio.

Serena:   E che ffa? Te n’accàtte ‘n’ato. Tanto, ‘stu custume è sulo ‘na pellecchia fetente!

Roberto: Tu nun saje che staje dicenno. Nun parlà malamente ‘e chillu custume!

Serena:   Ma famme ‘o piacere. Benito, vattenne. Ma tu nun tiene niente ‘a fa’?

Benito:    Sì. Aggia ì a scrivere ‘a lettera ‘e dimissione!

Roberto: Ecco, bravo, faje buono!

Benito:    Sì? E mò voglio vedé a chi mannate a gghittà ‘e ggente sotto ‘a machina!

Serena:   Che?

Roberto: Ma nun ‘o da’ retta, a ‘stu deficiente, imbecille, parassita, disgraziato e fetente!

Benito:    E’ meglio che nun me facite parlà, pecché si parlo io…!

Roberto: E manco te ne vaje?

Benito:    E me ne vaco. Ve vengo a truvà quanno jate a Poggioreale o a Secondigliano!

                 Si volta a sinistra indispettito e se ne va (sempre a sinistra).

Serena:    A Secondigliano? A Poggioreale?

Roberto: Ma nun ‘o da’ retta.

Serena:    E intanto, io nun te capisco. Te si’ accanito ‘ncuollo a Benito pe’ chillu custume.

Roberto: Serena, chillu custume tene ‘nu potere particolare. E’ stato fatto da un sarto molto

                 vecchio e rende chi lo indossa un vero chiaroveggente.

Serena:   E chi te l’ha ditto?

Roberto: Me l’ha ditto telefonicamente ‘a signora Carmela, ‘a mugliera d’’o siciliano.

Serena:   Ancora cu’ ‘sta signora Carmela? Ma ‘o vvuo’ capì ch’è morta duje anne fa?  

Roberto: E allora a me chi m’ha telefonato?

Serena:   Ma nisciuno. Tu te staje fissanno. Perché non ti prepari un filtro contro le visioni?

Roberto: Marò, Seré, che m’he’ arricurdato. Devo preparare il filtro. E’ per i Moribondi!

Serena:   I moribondi? E a che serve? Mica puoi risuscitare la gente?

Roberto: Seré, i Moribondi sono quei due coniugi: il signor Eraldo e la signora Ortensia.

Serena:   Ecco, bravo. Pensa a preparare il filtro, così te ne stai un poco tranquillo.

Roberto: Embé, t’aggia priparà ‘nu filtro pure a te.

Serena:   Per che cosa?

Roberto: Pe’ te fa perdere ‘a lengua ‘nu mese intero!  

                Se ne va a destra. Serena sbuffa.

Serena:   Nun ce ‘a faccio cchiù, cu’ chisto. Che stress!

                Esce via a destra.    

7. [Benito e Carmela. Poi Pacifico. Infine Salvatore]

                 Da sinistra torna Benito con il costume sotto il braccio e una busta per lettere.

Benito:    ‘A vi’ ccanno, ‘a lettera ‘e dimissione è pronta. E pe’ nun me sbaglià cu’ ‘e verbe,

                 l’aggio scritta tutta in napulitano! (La apre e legge) Dunque: “Uhé, capo! A parte

                 ‘o fatto ch’avessa avé 3.000 Euro ‘o mese, ‘e mmarchette, ‘e fferie pavate, ‘e

                 mmedicine e ‘o rimborso spese… io so’ cchiù mago ‘e te! Quanno si’ capace ‘e

                 vedé pure tu a Carmela ‘a fetosa, po’ ne parlamme! Firmato: ‘o mago Benny”!

                 (Chiude la lettera e la posa sul tavolo) Ecco qua. Me sto’ ffacenno rispettà!

                 Dalla comune entra Carmela, applaudendo Benito, e gli si avvicina. Lui la nota.

                 ‘A signora Carmela?

Carmela: Complimenti per la lettera di dimissioni.

Benito:     M’’ite fatto l’applauso pecché ve piace ‘a lettera?

Carmela: No, perché mi ha fatto morire dalle risate! L’ho ascoltata di nascosto.

Benito:     Signò, io aggio deciso. (Posa il costume sullo schienale di una sedia e vi tiene la

                 mano poggiata sopra) Me ne vaco e ccà nun ce torno maje cchiù!

Carmela: E state commettendo un grave errore.

Benito:     Sto’ sbaglianno a me ne ì? 

Carmela: No, a lasciare il costume di mago su questa sedia.

Benito:     E che me n’aggia fa’? Chillo nun è manco ‘o mio. E ppo’ nun me piace cchiù.

Carmela: E dove andrete?  

Benito:     Me voglio arapì pur’io ‘nu studio. Faccio il mago. Io so’ potente, tengo ‘e poteri!

Carmela: Ma davvero? E senza questo costume?

Benito:     Esattamente. Ma pecché, che tene ‘stu custume?

Carmela: Provate a lasciarlo un secondo.

Benito:     E che ce vo’? (Esegue, poi si guarda intorno) Signò, addo’ state? Ve ne site juta?

                 (Comincia a girare per la stanza) Signò, a me nun me facite fesso! Jamme bello,

                 ascite fora! (Dubbioso, osserva il costume, vi si avvicina e vi posa la mano sopra) Carmela: Ora mi vedete?

Benito:     (Stupito) Sì, signò… io ve veco.

Carmela: E ciò dipende da quel costume. Chi lo ha fatto, aveva davvero poteri di veggenza.

Benito:     Allora picciò ‘o mago Roby ‘o va truvanno afforza. Ma io m’’o porto cu’ me, e   

                 accussì songo ancora cchiù potente. Signò, io ve saluto. Addio! Ah… e grazie!

                 Benito esce di casa, tenendo sotto braccio il costume. Carmela siede al divanetto.

Carmela: Tu credi che io ti lasci andar via così? Ho bisogno di un tipo disinteressato come  

                 te per rimanere in contatto con mio marito! Per cui… torna indietro or ora!

                 Dalla comune torna Benito, tirato da Pacifico (travestito da cliente).

Pacifico:  Ma dove credi di andare?

Benito:     (Mette una toppa) No, veramente, mariscià… io m’aggia accattà ‘e ssigarette!

Pacifico:  Tu non fumi. Se vede d’’a faccia che tiene.

Benito:     E mò aggio deciso ‘e accummincià a ffumà! Mariscià, ‘a vita è troppo difficile.

                 Ce vo’ ‘na sigaretta, ogni tanto!

Pacifico:  No, ora te lo dico io: tu stai scappando. E stai rubando pure il cotume del mago.

Benito:     Io? V’’o giuro ‘ncoppa a vuje, ata murì mommò si io me ne sto’ fujenno!

Pacifico:  (Gli afferra il braccio) Stammi a sentire bene. Tu sei costretto a collaborare con

                  me, se non vuoi che ti sbatto dentro pe favoreggiamento.

Benito:     (Si volta verso Carmela) Signò, avite visto ‘int’a qualu guajo me so’ cacciato?

Carmela: Vedo!

Pacifico:  Néh, Benito, ma cu’ chi staje parlanno?

Benito:     Cu’ Carmela ‘a fetosa!

Pacifico:  Ma mò tenìsse ‘e vvisione?!

Benito:     No, io riesco a vvedé ‘e fantasme. Songo ‘nu modem!

Pacifico:  Siente, nun dicere palle, che cu’ me nun attacca. Fino a quando non avrò arrestato

                 il mago e la sua aiutante, tu non ti muoverai di qua. Chiaro?

Benito:     Mariscià, ma a vuje che ve ne ‘mporta ‘e arrestà a ‘stu mago?

Pacifico:  Io sono un tutore della legge. E devo arrestare chi infrange le leggi.

Benito:     In Francia?

Pacifico:  No, in Italia.

Benito:     E allora che ce azzecca ‘a Francia?

Pacifico:  Ma chi l’ha ‘nnummenata ‘sta Francia?

Benito:     Vuje ate ditto ch’ata arrestà a chilli llà d’’a Francia che vanne contro ‘a legge!

Pacifico:  Ma no, io parlo di chi contro le leggi serba rancore.          

Benito:     In Serbia?

Pacifico:  No, sempe in Italia! 

Benito:     E vuje ate ditto ch’in Serbia ce sta chi tene ‘o rancore contro ‘e llegge!

Pacifico:  Ma quala Serbia? Io combatto chi contro le leggi già pone sé stesso.

Benito:     E mò che ce azzecca ‘o Giappone?

Pacifico:  Ma qualu Giappone? Ho detto “già pone” sé stesso, cioè la persona che è corréa.

Benito:     Mò accumminciate cu’ ‘a Corea?

Pacifico:  (Spazientito) Oh, e mò basta! Nun me fa’ perdere ‘o tiempo. Io me n’aggia ì.

Benito:    (Rassegnato) E vabbuò. Io invece me stongo ccà.

Pacifico:  Molto bene. Al più presto, qua dentro succederà il 48!

Benito:     Aspettate, mariscià, e nun ‘a salutate ‘a signora Carmela? Sta sopra al divanetto.

Pacifico:  Ancora cu’ ‘sta signora?... (Getta un occhio) Benito mio, tu staje ascenno pazzo!

                 Pacifico va via. Benito si siede al tavolo, col costume in mano. Carmela ride.

Benito:     E mò pozzo sapé che tenìte ‘a ridere?

Carmela: (Smette) Sai, ho deciso di darti del tu. Sarai il mio tramite con gli altri esseri di   

                  questo mondo, compreso mio marito.

Benito:     Signò, nun ve voglio sentì cchiù ‘e parlà.

Carmela: E invece devi sentirmi.

Benito:     Ah, sì? (Getta il costume sul tavolo) Ecco qua, mò nun ve pozzo sentì cchiù!  

                  Anze, sapite che c’è di nuovo? (Si alza in piedi) Io me ne vaco overamente.

                  Lui esce per la comune. Carmela se la ride.

Carmela:   Tra cinque secondi, torni un’altra volta!

                   Va a sinistra. Dalla comune Benito torna, tirato per un braccio da Salvatore.  

Salvatore: Mizzica!

Benito:       Vuje state ‘n’ata vota ccà, cu’ ‘stu “mizzica”?

Salvatore: Dove stavi andando?

Benito:       Me songo licenziato. Aggia da’ cunto a vuje?

Salvatore: Sì. Tu non te ne puoi andare. Devi fare una cosa per me.

Benito:       E cioè?

Salvatore: Visto che sei l’unico che può vedere Cammela, devi cercarla. Le devo parlare.

Benito:       No, nun v’’a voglio cercà. Io nun ve supporto proprio. Vuje site… vuje site…

Salvatore: Che sono, io?

Benito:       V’’o ddico napulitanamente: vuje site ‘a scumma d’’e fasule a uocchietiello!

Salvatore: Come?

Benito:       Site ‘a scumma d’’e fasule a uocchietiello!

Salvatore: Cioè?

Benito:       Siete la schiuma dei fagioli a occhio di bue!

Salvatore: Ah, ho capito. (Tira fuori il coltellino e lo apre) Ho capito benissimo.

Benito:       (Si ammorbidisce) Ch’aggia fa’? Aggia chiammà ‘a signora Carmela? (Prende

                   il costume dal tavolo, poi chiama Carmela) Signora!

                   Benito si avvia a sinistra, seguito da Salvatore che accarezza il suo coltellino.

Scena Ultima.[Serena, Pacifico, Roberto, Modesto, Flora, Benito, Salvatore, Carmela, Indo]

                   Suonano alla porta. Da destra entra Serena.

Serena:      Vaco a arapì io. Tanto, ormai aggia arapì sulo ‘a porta.

                   Va ad aprire e torna con Pacifico. Stavolta è sé stesso.

                   Signor Pacifico, buongiorno. Come mai da queste part…? (Lo osserva bene)

Pacifico:    Che c’è? Perché mi guardate così?

Serena:      Ma voi per caso tenete un parente commendatore?

Pacifico:    No! Perché?

Serena:      Niente, niente. Ma adesso state qua per parlare con mio marito?

Pacifico:    Sì. Il fatto è che non sono riuscito a vedere la finestra del bagno dove spunta.

Serena:      Eh?

Pacifico:    Nulla, nulla. Allora, c’è vostro marito?

Serena:      Solo un minuto, ve lo mando subito. Con permesso.

Pacifico:    Prego.

                   Serena esce via a destra. Pacifico pare molto felice.

                   Bene, ormai tengo la situazione in pugno. Adesso il mago è nelle mie mani.

                   Da destra torna Roberto, con una boccetta in mano.

Roberto:    Finalmente il filtro per il fioraio impotente è pronto!

Pacifico:    Oh, carissimo signor Roberto Nudo! Anzi, mago Roby Nud.

Roberto:    Ah, buongiorno, signor Appicciafuoco. (Comm’è gentile, chisto, oggie! Gatta ci

                   cova!). (Va da lui) Mia moglie ha detto che mi volete. Vi serve qualcosa?

Pacifico:    E ve site scurdato ‘n’ata vota? L’affitto.

Roberto:    Ah, già. Le due mensilità. Abbiamo detto che si tratta di 700 Euro al mese.

Pacifico:    Sì, ma dal terzo mese scatta l’aumento. Ma per adesso pensiamo ai primi due

                   mesi. Dunque, fatemi fare un calcolo rapido: 2X700 fa 1800 Euro!

Roberto:   Ma 2X700 non fa 1800, fa 1400. Nun accumminciamme a ‘mbruglià, una cosa!

Pacifico:   (Spazientito) Signor Nudo… oppure mago Roby… mò nun me facite arraggià.

Roberto:   (Spazientito) No, site vuje che nun m’avita fa’ arraggià.

Pacifico:   (Si calma) Io con voi non ci voglio litigare. Già capisco il guaio che avete

                  passato con vostra moglie.

Roberto:   Avete visto? (Pacca sulla spalla) Su, fatevi coraggio.

Pacifico:   M’aggia fa’ curaggio io? Ma v’ata fa’ curaggio vuje!

Roberto:   Appunto!

Pacifico:   Scusate, vi dispiace se vi chiedo una cosa?

Roberto:   Dipende.

Pacifico:   Ho bisogno della finestra del bagno. Cioè… del bagno e basta.

Roberto:   Andate, andate. Bisogna andare a destra, poi sempre in fondo a destra.

Pacifico:   Perfetto, col vostro permesso, allora.

Roberto:   Fate pure.

                  Pacifico esce a destra, guardandosi intorno e tastando le mura della stanza.  

Roberto:   Ma chisto che sta facenno? Mah!

                  Suonano alla porta.

                  E chi è, mò? Qualche cliente sicuramente.    

                  Va ad aprire e torna seguito da Modesto e Flora. Roberto li accoglie, benevolo.

                  Oh, carissimi signor Modesto e signora Flora!

Flora:        Sentite, mago Roby, nun ce facite perdere tiempo. E’ pronto ‘o filtro?

Modesto:  Vabbuò, Flora, ma nun è ‘o caso ‘e ì accussì ‘e pressa.

Flora:        E invece sì, nun me ne fido cchiù ‘e te vedé accussì, comme staje mò!

Modesto:  Ma che tengo? Mò ‘o mago mette tutto cose a posto. E’ ‘o vero, mago Roby?

Roberto:   La magia interviene laddove c’è bisogno di aiuto.

Flora:        E allora cacciate ‘o filtro.

Roberto:   Eccolo qua! E voi tenete pronti i soldi?

Flora:        Pavàmme aroppo. Prima vogliamo i risultati.

Roberto:   (Con ironia amara) Mamma mia, ‘e che fiducia! Lo volete provare? (Osserva la  

                  boccetta) Strano, io l’avevo riempita fin sopra. Questa invece è piena solo per

                  metà. Ho capito, forse evapora. E allora bisogna fare presto.

Modesto:  E chillo fosse ‘o filtro? E comme funziona?

Roberto:   Una parte dovete bere e la parte rimanente la dovete cospargere sul vostro corpo.

Flora:       (Gliela tira di mano) Benissimo, allora Modesto, vide ‘e te movere. Forza!

Modesto:  E ‘nu mumento. Almeno pozz’ì ‘int’’o bagno?

Flora:        E gghiamme ‘int’’o bagno. Aggiate pacienza, mago Roby, chisto è scurnuso!

Roberto:   Non vi preoccupate. Il bagno sta di là a destra.

Flora:        E allora jamme a ce movere. Jamme, jamme!

                   Cede l’ampolla a Modesto e lo spintona via a destra. Roberto commenta.  

Roberto:   Mamma mia, e comme sta, chesta! (Poi fa mente locale) A proposito, ‘int’’o

                   bagno ce sta ‘o signor Pacifico! Aggia fermà a chisti duje!

                   Si dirige a destra, ma poi si blocca quasi sulla soglia, perché sente da sinistra               

                   tornare Salvatore e Benito (col costume sotto braccio): discutono. I due sono

                   seguiti da Carmela che li osserva rassegnata e si siede al divanetto.

Benito:      Néh, ma vuje che gghiate truvanno? Aggio parlato cu’ ‘a mugliera vosta. Ha

                   ditto che nun ve vo’ parlà cchiù.

Salvatore: Ma io perché non riesco a vederla nemmeno indossando il costume?

Benito:       Perché quella si nascondeva. E poi, scusate, ma voi siete un modem?

Salvatore: Si dice medium. No, non lo sono.

Benito:       E allora?

Roberto:    (Interviene) Néh, ma che sta succedenno ccà?

Salvatore: Ah, voi state qua? Mago Roby, io vi debbo chiedere una cosa. Posso?

Roberto:    Va bene, ditemi tutto, signor Siciliano.

Salvatore: Mago Roby, voi dovete eseguire la più grande magia della vostra carriera:

                   dovete far risuscitare mia moglie!

Roberto:    Che? E pe’ chi m’avite pigliato, pe’ Giesù Cristo?

Salvatore: E già, si capisce che a voi non ve ne frega niente. Mica è vostra moglie?!

Roberto:    Mia moglie? Sentite, lasciatela stare. Mia moglie già tiene i guai suoi.

                   Da destra torna Serena. Ha una tazza di camomilla in mano. La beve a sorsi.

Serena:      Roberto!

Roberto:    Uhé, Seré. Te si’ priparata ‘n’ata cammumilla?

Serena:      Sì, io stongo tutta nervosa.

Roberto:    E t’ha calmata ‘nu poco?

Serena:      Non tanto. Anze, t’aggia dicere ‘a verità? Me sento… me sento… tutta eccitata!

I due:         (Sorpresi) Che?

Roberto:    Serena, famme sentì ‘nu poco: ma si’ sicura che cehlla è cammumilla?  

Serena:      Sì, però ci ho messo un po’ di miele dentro. Stava in una ampolla sul lavello!

Roberto:    Ma chillo nun era miele! Era ‘o filtro p’’o signor Modesto, chillu llà impotente!

Serena:      (Impaurita, siede al tavolo e vi posa il bicchiere) Oddio, e mò che me succede?

Roberto:    E che ne saccio? Nun l’aggio ancora sperimentata. Seré, nun te fa’ venì niente, o

                   si no ce n’amma sulamente fujì ‘a ccà ‘ncoppa!

                   Da destra entra Pacifico e va dagli altri (seguito da un rassegnato Benito).

Pacifico:    Fermi tutti, qua non fugge via nessuno. (Mostra il distintivo) Maresciallo di

                   polizia Pacifico Appicciafuoco! Siete tutti in arresto. La casa è circondata.

Roberto:    Néh, ma che vvo’ chisto? Pecché l’he’ fatto trasì, Benito?

Benito:       Ma si chillo è asciuto ‘a ‘int’’o bagno!

Pacifico:    Benito sapeva già tutto. Vi abbiamo teso un agguato.

Salvatore: Mizzica! Ma io non c’entro niente con loro. Sto qua per mia moglie Cammela!

Pacifico:    Carmela? ‘A fetosa? Tenite pure vuje ‘e vvisione?

Roberto:    Sentite, maresciallo, ma  di che cosa ci accusate?

Pacifico:    Reato di abuso di credulità popolare, attività abusiva volto a guadagno illecito

                   ed altre accuse che adesso non mi vengono in mente.

Roberto:    E vostro fratello?

Pacifico:    Gli ho detto tutto, gli ho detto tutto.

Serena:      (Si soffia sul viso con le mani) Mamma mia, Robé, t’aggia parlà!

Roberto:    Seré, nun è ‘o mumento! Maresciallo, dicevo: ma voi avete prove contro di me?

Pacifico:    Prove non molte, ma ci penserà Benito a testimoniare contro di voi.

Roberto:    (Deluso) E tu me faje chesto a me? A me che t’aggio levato ‘a miezo ‘a ‘na via?

                   A me che te devo ‘nu stipendio ‘e 3.000 Euro ‘o mese?

Benito:       No, ‘e 3.000 Euro ‘o mese nun me l’avite maje dato. ‘E che faccia d’’e ccorne!

Roberto:    Lo sapevo che tu lavoravi con me solo per il vil denaro. E ora vuoi andartene?

Benito:       Sì, basta, m’aggio sfastriato ‘e ittà sotto ‘a gnora vosta cu’ ‘o Mercedes vuosto!

Serena:      (Si alza in piedi sorpresa e arrabbiata) Che? Ma allora sei stato tu?

Benito:       Ebbene, sì! Me l’ha ordinato ‘o mago Roby!

Roberto:   Ma nun ‘o stà a sentì a ‘stu deficiente!

Serena:     (Arrabbiata) Roberto, sei uno schifoso! Voglio divorziare da te. E… (Respira a  

                   fatica e si soffia con le mani) Robé, aiuto! Nun ce ‘a faccio cchiù!

Roberto:   Che vaje truvanno?

Serena:     ‘O filtro sta facenno effetto. Io sto in calore! Nun me riesco cchiù a controllà!

Pacifico:   Signor Roberto Nudo, ma che si sente la signora?

Roberto:   No, niente, ha bevuto un filtro. Ma è una cosa innocente, quasi da bambini!

                  Da destra torna tutta spaventata Flora.

Flora:       Oddio, mago Roby!

Roberto:   Ch’è succieso?

Flora:        ‘O marito mio sta ascenno pazzo! E’ addiventato ‘na belva sessuale! L’aggia

                   avuta chiudere ‘int’’o bagno a chiave!

Roberto:   Che?

Flora:        Ma che ce steva ‘int’a chillu filtro che ce avite dato?

Pacifico:    Ah, e così quello sarebbe un filtro innocente.

Salvatore: Mago Roby, siete un imbroglione. Rivoglio i miei soldi indietro.

Roberto:   No, io non sono un imbroglione. Sono solo un uomo che, spinto dal bisogno, si

                   è lanciato in una professione discreditata odiata da molti, ma anche amata da

                   altri. Il mio solo scopo è quello di tirare su di morale la gente triste. Questo è.

Pacifico:    E quell’uomo nel bagno? Chi lo aiuta? Non è che ci muore, là dentro?

Roberto:   Ma mò vaco a vedé io. Signora Flora, venite cu’ me.

                   I due si avvicinano alla porta di destra, da dove esce Modesto tutto trasandato,

                   spettinato, con gli occhi di fuori! Gli altri sono stupiti. Carmela li osserva.

Modesto:  (Fa un urlo alla Tarzan) Aaaaah!

Roberto:   (Si spaventa) Maronna mia!

Modesto:  Me sento comme all’incredibile Hulk quanno vede a ‘na femmena annùda!

Roberto:   Mamma bella! Scappiamo via di qua!

                  Scappano tutti fuori casa (Benito si lascia cadere il costume di mago a terra),

                  resta solo Carmela. Modesto allora li avvisa tutti.

Modesto:  E’ inutile che ve ne fujìte, tanto v’acchiappo: uòmmene, femmene, animale…!

                  Va per correre fuori casa, passa a centro stanza, inciampa e cade.

                  E comm’aggio fatto a cadé? (Si rialza e nota il costume da mago a terra) Forse

                  so’ inciampato ‘ncoppa a ‘stu custume! (Va per raccoglierlo)

Carmela:  (Spaventata) Oh, no… non lo raccogliere! Non sia mai mi vedi!

Modesto:  (Tiene in mano il costume e nota Carmela) Uh, ‘na femmena!

Carmela:  (Indietreggia) E no, io non sono una donna… sono uno spirito…!

Modesto:  E che me ne ‘mporta? Sempe femmena si’! Bella mia, viene ccà!

                  Modesto insegue fuori casa Carmela, urlante, spaventata.

FINE DELLA COMMEDIA