Sorelle di sangue

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S O R E L L E D I S A N G U E

SORELLE DI SANGUE

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DUE TEMPI PER DUE ATTRICI

di EMANUELE VACCHETTO

evacchetto@libero.it

© E. Vacchetto – dep. SIAE

 

PERSONAGGI:

 GIACINTA - pianista - sempre un po' tesa, peperina.

 ARABELLA - sua sorella siamese, più dolce, santerellina.

***

LA SCENA

Giacinta e Arabella sono gemelle siamesi. Girano il mondo come concertiste di brani pianistici a quattro mani. Il periodo storico è volutamente ambiguo. Nei loro dialoghi ci sono allusione a fatti dei primi del Novecento, ma anche espressioni del tutto contemporanee. È un’ambiguità voluta. La storia è una (ennesima?) metafora sul ‘doppio’ (forse Arabella e Giacinta sono davvero un’unica persona, ma l’autore sinceramente non lo sa). Per cui si prega il lettore (e lo spettatore) di non cercare il pelo nell’uovo.

Il costumista troverà il modo di creare un’appendice snodabile, e facilmente indossabile, che unisca le due donne all’altezza dell’osso sacro, e che sarà poi rimossa nel Secondo Tempo.

 PRIMO TEMPO:

Giacinta e Arabella rimangono sempre in centro scena per tutto il primo tempo.

La scena del primo tempo, che finge tre ambienti, si forma e si modifica con pochi elementi di scena intorno alla centralità delle due attrici:

·Ambiente PALCO CONCERTI con due pianoforti (anche volutamente finti) su cui si esibiscono le due concertiste.

·Ambiente CAMERINO ARTISTI con due specchi contornati di lampadine, che potrebbero essere gli stessi leggii dei pianoforti.

·Ambiente CAMERA DA LETTO con due lettini uniti che potrebbero essere creati modificando l’inclinazione dei due sedili su cui le due donne siedono per suonare.     

SECONDO TEMPO:

·SALOTTO DELLA CASA DI ARABELLA. L’ambiente è semplice. C’è un giradischi con dischi 33 giri. In centro scena una culla ornata di trine e pizzi.  

·AMBIENTE PALCOSCENICO (solo per il finale).

P R I M O T E M P O

SCENA 1 - PALCOSCENICO

(BUIO DI SALA.

MUSICA : Un brano pianistico a quattro mani, di grande effetto. Chopin o Brahms, eseguito su due pianoforti.

APERTURA DI SIPARIO :

IN SCENA, AL CENTRO, LE DUE ESECUTRICI. SONO UNA DI SCHIENA ALL'ALTRA, SPALLA CONTRO SPALLA. DI FRONTE A OGNUNA UN PIANOFORTE.

Una tempesta di note di grande fragore segna la fine del concerto.

APPLAUSI  SCROSCIANTI (registrati).

Sul FONDO  SCENA scorre un sipario, che si chiude e si riapre seguendo l'andamento dei finti applausi.

E' il sipario per l'invisibile pubblico dei finti applausi, seduto "al di là" del fondo scena.

Il pubblico vero, invece, "al di qua" e per ora,  presumibilmente,  non applaude.

Il FINTO SIPARIO in fondo si chiude. Le due pianiste, GIACINTA e ARABELLA, sono sedute sui loro sgabelli schiena contro schiena .

Ringraziano gentilmente con il capo, sorridendo all'invisibile pubblico.

A SIPARIO DI FONDO SCENA chiuso, APPLAUSI OFF...)

ARABELLA - (furiosa) Bemolle, Si bemolle minore, cretina!

(GIACINTA china il capo contrita, mentre sugli APPLAUSI OFF CHE CONTINUANO si riapre il sipario di fondo. Le due sorelle sorridono e ringraziano l'invisibile platea, sempre sedute schiena contro schiena.

Poi GIACINTA, quasi trascinata dal subisso degli applausi, si alza in piedi con gesto impetuoso. ARABELLA, che se ne stava ancora seduta a ringraziare col capo, viene trascinata in piedi come un burattino tirato da un filo. Si ritrova ritta accanto alla sorella a ringraziare il pubblico.

IL PUBBLICO SCOPRE COSI' CHE SONO DUE SORELLE SIAMESI.

Sono unite l'una all'altra per un punto dell'anca.

ARABELLA e GIACINTA si inchinano graziosamente.

Il SIPARIO DI FONDO si chiude.)

ARABELLA – (arrabbiata, mima con le mani e con la voce gli accordi che la sorella ha sbagliato) Naa, gnaa, gnaaa, naaa! Minore! Si bemolle minore, deficiente!

GIACINTA - (scusandosi, contrita) Scusa. Mi scivolato il dito...

ARABELLA – (scimmiottandola) ‘Scusa, mi è scivolato il dito’!... Bene, la prossima volta digli così al critico del Giornale di Sicilia! Non solo non sai stare stare sui piedi, ma ti scivolano anche le dita!

GIACINTA – Ma ti ho chiesto scusa, cosa vuoi che faccia?

ARABELLA – Studia, imbecille!

GIACINTA – Quando voglio studiare tu vuoi leggere, quando voglio leggere tu vuoi dormire, quando voglio dormire tu ti metti a suonare il piano! Ma è vita, questa?  

(Le battute sono state dette col sottofondo degli applausi, che continuano a scrosciare mentre

LE LUCI  SI ABBASSANO LENTAMENTE.

BUIO

SCENA 2 - CAMERINO ARTISTI

LUCE

Le due attrici sono sempre in centro scena, ma si capisce che ora sono nell’ambiente CAMERINO ARTISTI. Basterà un cambio di luci e di sonoro, e i leggii che si illuminano come gli specchi dei camerini per indicare che la scena ora avviene dopo che le due concertiste hanno lasciato il palcoscenico e si sono ritirate nel camerino già da qualche minuto.  

Le due sorelle si stranno struccando, ognuna davanti al proprio specchio illuminato dalle lampadine nella cornice.

GIACINTA - (piange struccandosi) Perché mi tratti sempre male?... Sono l'unica parente che ti è rimasta al mondo, potresti anche volermi un po’ di bene, no?

ARABELLA - (struccandosi, con insofferenza) Uffa!...

GIACINTA – Ricordati che mamma quand’è morta ci ha raccomandato di stare sempre unite. Mamma sì che mi voleva bene…

ARABELLA -(più insofferente) Uffaaaa! Non ti reggo più. A volte ho un tale desiderio di ucciderti che mi fa male la pancia. Mi trattengo solo se penso agli articoli dei giornali: “Siamese uccide la sorella”. Sarebbe ridicolo. Senza contare che con un cadavere appeso al culo magari muoio di cancrena.  

GIACINTA – Oh, se è per questo… (sta per finire la frase, poi ci ripensa e tace. Continua con trucco e strucco. Altro discorso...) Ti piacerebbe andare al cinema stasera...

ARABELLA – A vedere cosa?

GIACINTA - Ci sarebbe quel film della Bergman...

ARABELLA - E tu pensi che IO sia a New York per andare al cinema, la sera?

GIACINTA - (dolce) Non siamo a New York . Siamo a Washington. A New York c'eravamo ieri l'altro.

ARABELLA - (un po' piccata) E' uguale. New York, Washington, Filadelfia. Cosa vuoi che ne sappia, gli americani sono tutti uguali... Abbiamo avuto successo, secondo te?

GIACINTA - Certo. Siamo brave, no? Però tu devi smetterla con quelle pasticche. Sono tre volte che non sai più dove sei.

ARABELLA - Gli americani non capiscono un accidente di musica... Cosa c'entrano le pasticche? E' che non posso mica ricordarmi di tutto! Un giorno qui, un giorno là, che razza di lavoro! E poi io non prendo pasticche!... Giusto qualcosina, per il mal di testa... (improvvisamente arrabbiata) Ma ti vuoi fare gli affaracci tuoi!

GIACINTA - (dopo un pausa, mite) Hai ragione. Sono un po' troppo apprensiva. E’ che mi sento responsabile di te... Me lo disse mamma: stalle sempre vicino, è così sventata!

ARABELLA - (dura) Mamma morta.

GIACINTA – È vero... (si fa velocemente il segno della croce)

ARABELLA - Hai fatto il segno della croce. Ti ho vista nello specchio. Tu e le tue superstizioni.

GIACINTA - Ma no, non ho fatto niente...

ARABELLA - L'hai fatto! E se non lo fai lo pensi, che  lo stesso.

GIACINTA - Insomma, lascia che pensi quel che mi pare. Ehi, sarai mica comunista per davvero?!

ARABELLA – No, ieri col Presidente scherzavo. Però potrei diventarlo, comunista. Per quel che mi ha riservato la vita… Potremmo sempre suonare Rachmaninoff sulla Piazza Rossa!

GIACINTA - (guardandosi  intorno spaventata) Ssst, ma  sei matta? Siamo in America. Hai presente Charlie Chaplin? E Sacco e Vanzetti? Capaci che ti mettono sulla sedia elettrica.

ARABELLA – Non credo che possano. Dovrebbero metterci anche te. Mi piacerebbe sapere cosa fai tu se mettono me sulla sedia elettrica! Ehi, metti che ieri avessi tirato fuori un pugnale dalla borsetta e avessi ammazzato il Presidente! Che fine facevi tu, furbetta?!

GIACINTA – Lo sanno tutti che io ho altre idee politiche.

ARABELLA – Figurati! Qui ormai basta che scorreggi un po’ più forte che ti arrestano come terrorista…

GIACINTA – Dio, quanto sei volgare!

ARABELLA – È il palcoscenico, mia cara. Non lo sai che le artiste sono tutte puttane? 

GIACINTA - Smettila per favore. Lo sai che poi sto male. Mamma non voleva che tu mi trattassi male, lo sai!

ARABELLA - (sbottando) Ah, e mamma qui, e mamma là, e mamma voleva questo, e mamma non voleva quello! E io allora? Credi che a me facciano bene i tuoi rosari alle cinque del mattino? E la comunione tutte le domeniche? E il tuo digiuno il venerdì? Ci hai mai pensato che mentre tu digiuni, quel tuo corpaccio continua a ciucciare proteine, vitamine e sali minerali anche di venerdì? E dove credi che li prenda? Da me, li prende! Tu fai i digiuni e io mi scasso il fegato!  

GIACINTA - (avvilita) Sei una bestia. Mai un po’ di spiritualità, neanche una volta nella vita!

ARABELLA – Ah, così io non sono spirituale! E quella volta a Roma? Io c’ero venuta su e giù in ginocchio per la Scala Santa. Che secondo te ci saremmo staccate così, per miracolo. E tutti quei pellegrini venuti da tutto il mondo che si scompisciavano dal ridere. E la polizia che ci ha portate via con l’ambulanza. Tu non sei spirituale, sei una fanatica pericolosa!

GIACINTA - (dopo una pausa, timidamente) Beh, se vuoi saperlo, domani è San Biagio...

ARABELLA – San Biagio quale… Ah, la benedizione della gola? E no, eh! La benedizione della gola no! Me la ricordo dall'anno scorso, la benedizione della gola! E' quella con noi due in chiesa, inginocchiate di schiena con due candele incrociate qua (indica la gola) e tutta quella gente che ci guarda come due cretine!

GIACINTA – Il mal di gola è il nostro punto debole, lo sai…

ARABELLA – (sarcastica) Ma ti vedi? Ma ci vedi? L'ultimo dei nostri problemi, così a occhio e croce, è proprio il mal di gola.

GIACINTA - Però il mal di gola ti era passato.

ARABELLA – Il mal di gola ce l’avevi tu. Io avevo la gastrite. E ce l’ho ancora. Ce l’hai un santo specializzato in gastrite?

GIACINTA - (dopo una pausa) Sai, Arabella? Tu mi rendi infelice.

ARABELLA - La vita non facile per nessuno.

GIACINTA - Ce l'hai con Dio perché ci ha fatto nascere disgraziate.

ARABELLA - Mi sembra un ottimo motivo.

GIACINTA - (dopo una pausa) A volte sei così banale, quotidiana! Nella tua vita non c'è mai un momento dove lo spirito superi la materia.

ARABELLA - (inviperita) Ah, io sarei quotidiana e banale! Lo spirito! Ha parlato Santa Teresa d'Avila! Dimmi un po', sii sincera... No, prima gira un poco la testa e guardami!... Dài!

(Giacinta riluttante esegue.)

ARABELLA - Dimmi cosa c'è in me di quotidiano! Dimmi cosa c’è di banale! Dimmi dove sono stata banale oggi! (ride) Quotidiana e banale, dice lei! Dimmi come faccio a sembrare quotidiana! Ma mi hai vista? Se proprio lo vuoi sapere, è il mio sogno quello di essere quotidiana e banale!

GIACINTA - (sulle sue) Se non urli è già qualcosa.

ARABELLA - (senza urlare) Urlo quanto mi pare.

GIACINTA - Brava, così ci licenziano, come a Istanbul.

ARABELLA - A Istanbul fu per via di Rachmaninov. Cosa vuoi che ci capiscano i Turchi di Rachmaninov!

GIACINTA – Tutto il primo movimento eri fuori tempo.

ARABELLA – Non è vero, eri tu che anticipavi.

GIACINTA – Io Rachmaninov non lo volevo fare, ma tu a insistere: Rachmaninov, Rachmaninov! come una scema… (pausa) Ricordati che ci servono i soldi per l'operazione.

ARABELLA - Hai dato l'anticipo al dottor Muller?

GIACINTA - Venti sterline d'oro. C'eri anche tu no?

ARABELLA - Non mi ricordo. Mica posso ricordarmi tutto quello che fai!

GIACINTA - Avevi la cervicale. Il dottor Muller ti ha fatto un'iniezione di morfina. Quando gli ho dato i soldi dormivi come una talpa.

ARABELLA – (con aria ingenua) Morfina? per questo ho dormito così bene.

GIACINTA - Il guaio è che dopo ho dormito anch'io. Il mattino dopo ci ha chiamato Zigfield dall’America, non abbiamo sentito il telefono e abbiamo perso il contratto. In Corea. Sollevare il morale delle truppe in Corea. Noi due !... Meglio che lo abbiamo perso.

ARABELLA - Adesso vuoi dire che colpa mia se ho la cervicale? E la tua cistite? Credi che mi diverta a correre con te al cesso tutti i momenti?

GIACINTA - Va bene, va bene. Non gridare.

ARABELLA - Andiamo...

(Si alzano in piedi, ormai pronte come per uscire dal teatro e rientrare in albergo. Mentre le luci si abbassano...)

ARABELLA - Dove si va a cena? Io eviterei la cucina locale. In America si mangia malissimo. Il tacchino con le castagne, che razza di idea!

GIACINTA - Sono a dieta, come te lo devo dire!...

BUIO.

MUSICA…

SCENA 3 - PALCOSCENICO

(CONCERTO DI PIANOFORTE A QUATTRO MANI, DI ESTREMO VIRTUOSISMO. La MUSICA prosegue...)

LUCE.

(Arabella e Giacinta, ai rispettivi pianoforti, stanno terminando il concerto. Si arriva al Gran Finale molto virtuosistico.

Ora non si suppone pi il pubblico finto oltre il fondo scena.

Le due siamesi sono rivolte al pubblico vero, quello che assiste alla rappresentazione.

Il concerto finito.)

 APPLAUSI REGISTRATI.

ARABELLA - (ha l'aria prostrata dopo l'esibizione. Si regge alla sorella. Sembra intontita) Dio mio, dove siamo?

GIACINTA - A Brema. Raccogli le rose del loggione!

ARABELLA – Brema? Le rose?...

Giacinta si china, portando con sè la sorella nel movimento. Prende due rosa da terra, si suppone gettate dal pubblico plaudente. Ne getta una al pubblico e porge l'altra ad Arabella.

GIACINTA - (sussurrando) Tieni, rimandala al pubblico con un bacio.

ARABELLA - (prende la rosa e si guarda intorno con occhio vacuo)

A Brema?

GIACINTA - Gettala al pubblico. Su, ti tengo io...

ARABELLA - (si appoggia alla sorella e getta la rosa con gesto stanco. Il fiore le cade praticamente sui piedi)  Che rosa?... Cosa dici?... Portami in camerino... Non ci vedo più... Sicura che non siamo a Napoli?

Gli APPLAUSI continuano in sottofondo.

GIACINTA - Siamo a Brema. E cerca di stare in piedi, accidenti...

BUIO.

Gli applausi aumentano di volume, poi dinimuiscono poco a poco.

SCENA 4 – CAMERA DA LETTO

LUCE.

(Le due sorelle sono sedute, come sempre in centro scena. Stanno prendendo il té.)

ARABELLA - A proposito, nel terzo movimento il Si era bemolle, cretina.

GIACINTA - Mi scivolato il dito.

(Si gira verso la sorella, che d'improvviso piombata in un sonno profondo,  con la tazza del té in mano.

 Arabella  russa sonoramente.)

ARABELLA - (russando) Rrrrr, Rrrrr...

GIACINTA - Svegliati! Sta arrivando il dottor Muller...

ARABELLA - Mmmm...

GIACINTA - Ho detto che sta arrivando il dottor Muller!

ARABELLA - (assonnata quasi instupidita) Chi è il dottor Muller?

GIACINTA - Quel bel giovane che ti cura.

ARABELLA - Cura?... Nessuno si cura di me... Io non sto bene... e nessuno se ne accorge.

GIACINTA - Se per questo, anche io sto malissimo. Anch'io sono io, cosa credi? ... Quanto abbiamo in cassa?

ARABELLA - Ottocento sterline d'oro, più o meno.

GIACINTA - Dobbiamo arrivare a mille. Almeno venti concerti. Ci vorrebbe un altro invito del Vaticano.

ARABELLA - Non voglio tornare a Roma. E neppure a Teheran.

GIACINTA - Magari, sciocca. Lì ci pagavano in diamanti...

ARABELLA – Sarà difficile. Lo Scià è morto.

GIACINTA – Ma va’?

ARABELLA - Comunque il pubblico era orribile. Una puzza!...

E poi non distinguevano Chopin da... Schopenhauer da... Chocolat (si perde un po') da... Show-Girl da... Schostakovic da... Show-Room da... (addormentandosi di nuovo) Show Boat... da Sccc...

Arabella si addormentata quasi sulla spalla di Giacinta.

Giacinta le dà una gomitata.

GIACINTA - Su, apri gli occhi!

ARABELLA - (svegliandosi di soprassalto)  Via col  quarto movimento. Sibemolle... (si guarda intorno con occhio vacuo) Ma il pubblico dov'è?

GIACINTA - (dura) Sono mesi, ma non ero sicura... Ho una sorella drogata! Ecco perch IO mi addormento in continuazione!

ARABELLA - (minimizzando) Mesi! Non esagerare!

GIACINTA - Ecco perch IO ho i foruncoli sulla fronte! Perchè tu prendi delle porcherie! Sei un'irresponsabile, e anche una criminale!

ARABELLA - (sbuffando) Insomma, avrò la mia vita o no?

GIACINTA - (più dura) Sei una sporca drogata!

ARABELLA - Avrò la mia vita o no?

GIACINTA - Tu! Tu aspetti che io mi addormenti...

ARABELLA - Avrò la mia vita o no?

Botta e risposta diventano un gioco fonetico.

GIACINTA - Poi apri il mio beauty-case...

ARABELLA - Avrò la mia vita o no?

GIACINTA - Prendi la chiave del bàule...

ARABELLA - Avrò la mia vita o no. Bàule? Guarda che si dice baùle...

GIACINTA - Sotto la fodera rossa.

ARABELLA - Avrò la mia vita… L'ultima volta stava nella tasca interna sotto il coperchio.

GIACINTA - Comunque prendi la chiave!

ARABELLA - Io ho la mia vita.

GIACINTA - Poi apri il bàule.

ARABELLA - Ho la mia vita… Baùle.

GIACINTA - Prendi la morfina che mi ha dato il dottor Muller per la mia povera schiena.

ARABELLA – C’è la guerra, fuori sparano.

GIACINTA - Prendi la morfina e te la fai!

ARABELLA - Giacinta, sorella mia, c’è la guerra, fuori sparano, siamo due mostri, forse siamo anche ebree. Cosa te ne frega di un po' di morfina?

GIACINTA - Te la fai mentre dormo!

ARABELLA - Una delicatezza nei tuoi confronti…

(sospensione)

GIACINTA - Ma lo vuoi capire che siamo unite? Unite! Il male che fai a te stessa lo fai anche a me!

ARABELLA - Non essere letteraria.

GIACINTA - Ho paura per te.

ARABELLA - Balle. Hai solo paura di morire. Hai paura che io ti trascini nell'abisso. Hai paura che ti stacchino morta da quello stupido pianoforte.

GIACINTA - Il mio piano non è affatto stupido. E' l'arte. E' la mia vita.

(Scoppia in lacrime)

ARABELLA - (quasi confidenziale) Perchè credi che ci prendano a suonare?

GIACINTA – Perché siamo brave…

ARABELLA - Non siamo brave.

GIACINTA - Certo che siamo brave... Tutt'al più ogni tanto si sbaglia qualche bemolle.

ARABELLA - Balle. Sbagliamo anche i diesis. E ci prendono lo stesso! E sai perchè?

GIACINTA - Non lo voglio sapere.

ARABELLA - E te lo dico lo stesso. Ci prendono perchè siamo MOSTRI, ecco perchè!

GIACINTA - (dopo una pausa, cupa) Se vero preferisco essere morta.

ARABELLA - (stesso tono, dopo una pausa) Anch'io.

Un istante di silenzio.

GIACINTA - (con tenerezza) La vita non è così triste, no?.

ARABELLA - No, non è così triste.

GIACINTA - Che noi la suoniamo bene o male, la musica esiste.

ARABELLA - Sì, la musica esiste...

Pausa.

GIACINTA - Quanto abbiamo in cassa?

ARABELLA - Ottocento, più o meno.

GIACINTA  -  Dobbiamo arrivare a mille.  Poi ci faranno l'operazione. Saremo divise, finalmente!...

ARABELLA - Sì, saremo normali. Saremo libere. Avremo  due mariti...

GIACINTA – (allegra) E due case, una per una. Tu, metti, starai a Londra...

ARABELLA – (allegra) E io a Rio de Janeiro...

GIACINTA - D'estate. Poi d'inverno ci vado io, a Rio de Janeiro, che fa caldo.

ARABELLA - Io d'inverno voglio andare a Saint Moritz. Voglio imparare a sciare.

GIACINTA - Io a giocare a tennis. E anche ad andare a cavallo.

ARABELLA - Io a nuotare, e anche a fare i tuffi dal trampolino.

Ridono con complicità.

GIACINTA - Pensa, mentre tu bevi un Manhattan a Manhattan, io posso bere un Bronx nel Bronx…

ARABELLA – (ride) E mentre tu mangi una napoletana a Napoli, io mangio una viennese a Vienna…

GIACINTA – (ride) Io lumache alla parigina a Parigi, tu fegato alla veneziana a Venezia…

ARABELLA – Io la fondue bourguignonne in Borgogna, tu anatra alla pechinese a Pechino…

GIACINTA – Io paella alla valenciana a Valencia, tu berlinerwurstel a Berlino…

  

ARABELLA - (si irrigidisce) Wurstel coi crauti? A me i wurstel non piacciono. E neppure i crauti.

GIACINTA – (taglia corto) Vuol dire che mangerai qualcos'altro.

ARABELLA – (improvvisamente irritata, senza apparente motivo) Non capisco perché vuoi mandarmi per forza a Berlino, quando sai benissimo che preferisco la cucina francese!

GIACINTA - Sono sicura che trovi un ottimo ristorante francese, a Berlino.

ARABELLA - Non voglio andare a Berlino! Lei in a Parigi, a Valenza, che sono piena di gente divertente, e io a Berlino, che è tristissima!

GIACINTA – Una volta era tristissima, adesso Berlino è piena di vita. Uno sballo. Alla mamma sarebbe piaciuta!

ARABELLA - La mamma è morta.

GIACINTA - Comunque la mamma adorava Berlino.

ARABELLA - Odiava Berlino, lo sai benissimo. Alla mamma piaceva il mare.

GIACINTA - Ma se non sapeva neppure nuotare!

ARABELLA – Oh, se è per questo nuotava come un pesce.

GIACINTA – A me disse che non sapeva nuotare.

ARABELLA – A me che nuotava benissimo. Me lo ha detto sul letto di morte.

GIACINTA – (dura) La mamma non ti ha detto niente!

ARABELLA – (dura) Mi ha detto mille volte che non devo fidarmi di te!

(Pausa)

GIACINTA - Hai l'aria strana. Per favore non cominciare a stravedere. E poi mamma non ha mai avuto un letto di morte. Mamma è morta sul colpo quando caduta dal tetto.

ARABELLA - Io me la ricordo sul letto.

GIACINTA - Tetto.

ARABELLA - Letto.

GIACINTA - Tetto. Era sul tetto. Cercava di riprendere la gatta.

ARABELLA - Tu sei matta.

GIACINTA - Ha preso la gatta. Poi è scivolata e sono venute giù insieme. Un unico destino. E' morta anche la gatta. Tutte e due con la schiena spezzata. Le hanno messe in una cassa di mogano.

ARABELLA - Ti confondi col nanetto di gesso.

GIACINTA – Quale nanetto di gesso?

GIACINTA - Quello caduto dalla mensola del caminetto. La gatta dormiva  davanti al fuoco. Il nanetto le ha spiaccicato la testa sul tappeto.

ARABELLA - Non c'era nessun tappeto a casa nostra. E nessun nanetto. Niente nanetto, niente tappeto, niente caminetto!

GIACINTA - Nanetto, tappeto, caminetto! E mamma  caduta dal tetto.

ARABELLA – È morta nel suo letto! Letto, letto, letto!

GIACINTA – Tetto, tetto, tetto! (scoppia in lacrime)

Pausa.

ARABELLA - (calma) Non hai nessun rispetto per i miei morti. A me i morti mi servono. A me serve mamma morta nel suo letto. Almeno i miei ricordi... quelli

lasciameli! Voglio che siano solo miei. I ricordi sono importanti e ognuno deve avere i suoi, diversi da quelli di tutti gli altri. La gente è quello che ricorda...

(come un a parte:) E adesso dirà: "sciocchezze!"...

GIACINTA - Sciocchezze!

ARABELLA - Sei sorprendente. Come aprire un uovo sodo.

BUIO.

(Nel buio un attacco musicale di concerto per due pianoforti.

Il brano di epoca romantica, vibrante di effetti.)

SCENA 5 - PALCOSCENICO

(La luce sale lentamente. La musica di pianoforte continua in sottofondo, alzandosi o abbassandosi di volume secondo le pause e la recitazione.

Arabella e Giacinta suonano sedute ciascuna davanti al proprio pianoforte. Mentre suonano si lanciano le battute.)

ARABELLA - Sei un mostro.

GIACINTA - (con tono avvilito) E' vero, scusami...

PAUSA.

(La musica aumenta di volume per qualche istante poi si riabbassa).

ARABELLA - Mah, forse hai ragione...

GIACINTA - No no, sono un mostro. Non avevo nessun diritto... I morti giusto che ci siano, dentro di noi...

ARABELLA - Sciocchezze... Stupidaggini... Fantasie. (La musica romantica che sta suonando sembra fare da sottofondo alle sue parole un po’ sognanti)

In realtà i morti non esistono... I morti sono solo un ricordo. Neppure. Sono brandelli di ricordi filtrati, decantati, erosi dal tempo, poco per volta. Il tempo passa anche per i morti... Sbiadisce le loro forme, le modifica, le riduce. Toglie la forma e

aggiunge la fantasia... Ecco, solo ricordo e fantasia... Sempre meno ricordo, e sempre più fantasia... Sempre meno ricordo, e sempre più fantasia ...

Sempre meno ricordo e sempre più fantasia... Era distesa sul letto. Sembrava che dormisse. L'avevano vestita con l'abito bianco delle sue nozze...

GIACINTA - Mamma non stata mai sposata.

ARABELLA - Zitta!... La gatta le si era distesa sui piedi, come se volesse riscaldarglieli... Nessuno osò scacciarla, perché sembrò a tutti un gesto pieno di amore... La stanza era piena di candele che ardevano. Le donne recitavano il rosario a mezza voce.  Qualcuno dall'altra parte della strada  suonava  il pianoforte. Era la sua canzone preferita: Parlami  d'Amore Mariù... Mamma si chiamava Mariù...

GIACINTA - (continuando a suonare) Mamma si chiamava Rosanna.

ARABELLA - (continuando a suonare) Ti ho detto di non entrare nei miei ricordi!

GIACINTA - I tuoi ricordi! I tuoi!

ARABELLA - Certo, io sono io! Basterà un colpo di bisturi, e anche la mia memoria sarà solo mia.

PAUSA. CONTINUANO A SUONARE...

GIACINTA - Sempre meno ricordo, e sempre più fantasia... (anche lei parla accompagnandosi con la musica come sottofondo). Pensa, ti basterebbe un attacco di amnesia, un colpo in testa al punto giusto. E un grande amore, un grande dolore, una grande morte, la morte della persona più amata sparisce per sempre dal ricordo. Scompare la persona. Scompare l'amore. Basta un colpetto in testa, pensa. E il cervello fonde in un piccolo, invisibile punto. Svieni. Ti svegli. E l'amore è sparito, dimenticato, mai esistito... e anche il dolore che ne segue.

(Il pezzo avviato al finale ricco di effetti e virtuosismi che le due sorelle eseguono con grande partecipazione, quasi con rabbia.

GRANDE ACCORDO FINALE. APPLAUSI (registrati). Arabella e Giacinta si alzano in piedi a ringraziare il pubblico.

Lentamente scende il

BUIO, MENTRE CONTINUANO GLI APPLAUSI SU...

SCENA 6 - CAMERINO

LUCE sugli echi degli applausi.

GIACINTA sorregge ARABELLA visibilmente sofferente.

ARABELLA - Quanto ci manca?

GIACINTA - Poco. Appena tre o quattro concerti.

ARABELLA - Io non ne posso pi di fare l'artista. Credo di non esserci tagliata.

GIACINTA - (ridacchia) Ma  per essere tagliata che  fai l'artista! (si riprende) Brutta battuta, eh?

(Sono sedute davanti agli specchi e si stanno struccando.)

GIACINTA - Comunque Istanbul è sempre bella. Grande pubblico.

ARABELLA - Sicura che non siamo a Brighton?

GIACINTA - Siamo a Istanbul.

Arabella ha come un mancamento. Si appoggia pesantemente alla sorella.

GIACINTA - Cerca di stare su, accidenti!

ARABELLA - Scusa... (blandamente) Al terzo movimento il primo Si era bemolle, cretina...

GIACINTA - Mi scivolato il dito... (ha un improvviso scatto d'ira) Il concerto faceva schifo!... Oh dio, vorrei morire!

ARABELLA - Scusami. E' colpa mia. E' che a volte sto così male. Non so che cosa mi succede...

GIACINTA - Lo so io che cosa ti succede. Ti succede che sei una drogata, ecco cosa!

ARABELLA - Non farmi la morale! Credi di essere tanto normale, tu?

GIACINTA - Sarebbe sufficiente che tu non inciampassi nei tappeti!

ARABELLA - Sono inciampata nei tappeti?!

GIACINTA - Nel salotto della contessa Maffei a Torino. Le hai rotto il servizio del té.

ARABELLA - Cosa vuoi che sia, ricca com’è... E poi, se qualcuno ci invita a un té, vuol dire che non tanto normale.

PAUSA.

GIACINTA - Manca una settimana.

ARABELLA - (ancora assonnata) Mamma sarà contenta di vederci separate, finalmente.

GIACINTA - Mamma morta. Sei strafatta. E io che sto ancora a parlare con te…

ARABELLA - E io? Io sono l'unica che parla con te. Con te non ci parla nessuno.

GIACINTA – Non è vero. Ti ricordi quel dittatore sudamericano? Lui non pensava che ero brutta!

ARABELLA - (come assonnata, allunga una mano e le carezza il viso con dolcezza) Lui era un criminale e un maniaco sessuale. Ma no, no che non sei brutta. Oddìo, non ti ho mai vista tutta intera, ma quello che vedo da qui non è male. Bei capelli... belle spalle... bella gamba.

GIACINTA - Perché sei così cattiva?

ARABELLA - Cattiva io? Amore, stanca piuttosto. Sempre gli stessi discorsi, da anni...

GIACINTA - Dopo l'operazione non dovremo più parlare l’una con l’altra. Ognuna per la sua strada.

ARABELLA - Come pensi che vivremo?

GIACINTA - Come tutti i concertisti, suonando il pianoforte. Come soliste! Ognuna per conto suo! In fondo abbiamo studiato tanti anni. E abbiamo successo.

ARABELLA – (pensosa) Ognuna per conto suo...

GIACINTA - Già, ognuna per conto suo. Forse ti sfugge, ma la gente normale è abituata a stare ognuno per conto suo.

ARABELLA - (come stanchissima, quasi un sospiro) Suoniamo male...

GIACINTA - Non suoniamo per niente male! Abbiamo un grande successo di pubblico.

ARABELLA - Suoniamo male, credimi. Mozart non lo abbiamo mai capito, e con Chopin facciamo solo un gran fracasso...

GIACINTA - Se pagano per ascoltarci sarà pure per qualche motivo! Il mondo è pieno di gente che suona il piano. E il violino. E il trombone. Eppure vengono a sentire noi...

ARABELLA - E' che la guerra non gli basta. Hanno sempre più bisogno di emozioni forti.

GIACINTA - (guarda l'orologio da polso) Cerca di dormire un po'. Stasera sei strana...

ARABELLA - Ho la testa come un pallone. Ma non riesco a dormire... Giacinta, avrei bisogno di una cortesia...

GIACINTA - Lo so cosa vuoi, Arabella.

ARABELLA - (irritata) Se lo sai perché non ti dai da fare?

GIACINTA - Il dottor Muller ha detto non più di una fiala al giorno.

ARABELLA - Il dottor Muller non deve suona il piano tutte le sere in giro per il mondo con sua sorella attaccata alla schiena!

GIACINTA - Il dottor Muller dice che le tue sono tutte scuse.

ARABELLA - Il dottor Muller non ha un filo di sensibilità. Il dottor Muller è un cretino, diciamolo.

GIACINTA - Se tu fossi più gentile, forse ti concederebbe due fiale al giorno. Mamma diceva che  medici bisogna trattarli gentilmente, è gente pericolosa.

ARABELLA - Mamma era una leccaculo. E non le neanche servito a niente. E' morta.

LE LUCI COMINCIANO A CALARE...

GIACINTA - Sai che anche la mamma del dottor Muller è morta?

ARABELLA - Le madri sono tutte uguali. Poi muoiono.

GIACINTA - Sono stanca.

ARABELLA - Sì. Andiamo a dormire...

BUIO.

SCENA 7 - CAMERA DA LETTO

(Le due sorelle sono distese a letto.)

ARABELLA - Ho fame. Mi andrebbero degli spaghetti.

GIACINTA - Non sai mai quello che vuoi. Prima la morfina, poi vuoi mangiare. Deciditi!

ARABELLA - (assonnata) Credi che ci sarà un'altra guerra?

GIACINTA - Deciditi. O la morfina o gli spaghetti. Due cose insieme non si può.

ARABELLA - La vita non facile per nessuno...

GIACINTA - Morfina o spaghetti?

ARABELLA - Morfina va'... (ride come una scema) No, ho cambiato idea, spaghetti.

(Nel frattempo Giacinta ha estratto un astuccio che teneva in tasca. C' una siringa e il necessario per un'iniezione.)

GIACINTA - Niente spaghetti. Stiamo ingrassando.

ARABELLA - Va bene allora, morfina.

(Giacinta mette la siringa fra le labbra, con mossa esperta da infermiera decisa, mentre con le mani libere si scioglie il lungo nastro che ha fra i capelli. Lo dipana per bene. Quindi, come se fosse un laccio emostatico, lo passa nel punto di congiunzione all'anca fra lei e la sorella. Quindi stringe con forza, come a isolare il passaggio del flusso sanguigno fra le due.)

ARABELLA - Quante cerimonie!

(Giacinta le fa l'iniezione, poi mette via la siringa.)

ARABELLA - E col dottor Muller?

GIACINTA - Gli dirò che avevi mal di denti. Adesso cerca di dormire.

ARABELLA - Sto già dormendo. Se arriva mamma dille che non mi svegli.

(Giacinta le sistema delicatamente un cuscino sotto il capo.

FUORI SCENA si sentono, lenti e profondi, i tocchi di un campanile tipo Big Ben londinese, con la notissima musichetta.)

GIACINTA - Le nove. Sono pronta per te, dottor Muller!

(Prima la musichetta, poi dodici lenti rintocchi echeggiano sonoramente nell'aria.

Col  battere  dei tocchi, quindi col passare  del  tempo, l'espressione di Giacinta passa dall'attesa, alla sorpresa, al nervosismo, alla tristezza, alla disperazione.

E' un "a solo" muto, che dura il tempo in cui i rintocchi dell'orologio battono fino a dodici e fanno da colonna sonora.

Alla fine del dodicesimo rintocco..).

GIACINTA - Muller maledetto!

(E' furiosa e delusa insieme. Ovviamente aspettava il dottor Muller che non è venuto. Con un gesto di rabbia SCIOGLIE IL NASTRO che occlude il passaggio fra lei e la sorella. Si suppone che il flusso sanguigno sia ora nuovamente comune a tutte e due, e che la morfina abbia ora effetto anche su Giacinta.)

GIACINTA  -  Maledetto. Prima ti seducono poi ti abbandonano. Maledetto  Muller, ero l’unica donna della tua vita, eh? Bugiardo e disgraziato... Muller...Muller?...Muller!... Muller?!...Fri-e-de-rich Muller... Friederich, ah ah!... Muller... MUUUUUller...  Friederick... Rick..Rik's bar... Ricksciò... L'uomo del riksciò... Toshiro Mifune... Toshiro Mifune era un bel manzo... (torna in sé un istante) Mi sento strana... Friederich Muller... Come se fossi drogata... La cretina mi sta passando la sua morfina... Cretina, morfina...Morfina cretina... Cretina morfina Mifune... Il dottor Muller il mio amante, ma in realt io amo quel manzo di Toshiro Mifune... Mifune Toshiro ce l'ha sempre duro... ro... rorò... Roma... Rrrrroma...

ARABELLA - (parla nel sonno) Non siamo a Roma, siamo a Londra...

(Giacinta guarda la sorella. Sembra tornare in sè. Si guarda intorno. Poi scoppia a piangere nascondendo il volto fra le mani.

Accanto a lei uno SQUILLO DI TELEFONO. Giacinta allunga una mano e solleva la cornetta).

GIACINTA - Pronto... (si illumina) Friederick, sei tu! Ma è un’ora che ti aspetto... Cosa, l'ora legale?...

(Ascolta ancora per qualche istante, sempre più sorridente...)

GIACINTA - (guarda Arabella che dorme) Sì, come un ghiro.

(Posa il ricevitore. Prende un astuccio del trucco, lo apre e guardandosi allo specchio, comincia a rimettersi in ordine. Ha l'aria felice.)

BUIO.

                                    FINE PRIMO TEMPO

                                          S E C O N D O  T E M P O

                                          _________________________

(IN REALTA’ POTREBBE TRATTARSI DI UN SOLO ATTO.

LA REGIA POTREBBE INVENTARE UNA SOLUZIONE SCENICA CHE INDICHI L’AVVENUTA OPERAZIONE CHIRURGICA FRA LE DUE SIAMESI. LE DUE ATTRICI DOVREBBERO POTERSI IN BREVE TEMPO LIBERARE DELLA PROTESI CHE LE COLLEGA, E PRESENTARSI AD APERTURA DI SIPARIO CON DUE ABITI DIVERSI E OGNUNA A UN LATO DELLA SCENA, ORMAI SEPARATE.

LA SCELTA È COMUNQUE LASCIATA ALLA REGIA).

                                                                               

 SCENA 1: IL SALOTTO DELLA CASA DI ARABELLA.

 Fra le due, in centro scena, una culla ornata di trine e pizzi.

 C’è un giradischi, e dischi 33 giri.

L'operazione è avvenuta, ed è passato un bel po’ di tempo.

GIACINTA e ARABELLA sono ora sedute su due poltroncine ai due lati scena, separate. Ognuna rimescola la tazza di té che ha in mano, con un ostentato stile "inglese" e i cucchiaini che tintinnano contro le tazze.

Giacinta ha un cappellino e un ombrello appeso a un braccio, come se fosse in visita)

GIACINTA - Eh, la vita non è facile per nessuno...

ARABELLA – Eh già…

GIACINTA – Mamma diceva che basterebbe un po’ di amore per gli altri… Oddìo, amore è una parola grossa. Diciamo che basterebbe un po’ di comprensione, un po’ di sensibilità…

ARABELLA - (ironica) Mi chiedo come il dottor Muller abbia potuto abbandonare un'anima sensibile come te.

GIACINTA – Maledetto. Mi ha presa in giro. Diceva che dopo l'operazione ci saremmo sposati. E poi giocava. Montecarlo, San Remo, Las Vegas, Nairobi.

ARABELLA – C’è un casinò anche a Nairobi?

GIACINTA – Come no!

ARABELLA  - Carino… zebre… elefanti…

GIACINTA – Macché, pieno di italiani scappati via. Per paura dei comunisti, dicono. È stato proprio a Nairobi che un paio di questi sfuggiti ai comunisti gli hanno spezzato le dita della mano destra. Così non ha più potuto fare il chirurgo.

ARABELLA – (sorpresa) Ma a chi, al dottor Muller?

GIACINTA – E a chi se no? E se non gli restituiva tutti i soldi nel giro di una settimana la mano gliela tagliavano tutta. Una cosa esagerata! Lui aveva una paura nera. Così se l’è filata. Un bel mattino mi sono svegliata e lui non c’era più. E neanche i gioielli.

ARABELLA – Anche la parure di mamma?... Oddìo! E quanto ti è rimasto?

GIACINTA – Poco o niente. Per pagare il conto dell’albergo ho suonato praticamente gratis per sei mesi in un locale tipico di Malindi, pieno di mafiosi che fumavano il toscano. Sei mesi di “Volare” e di “Vitti ‘na crozza”. Un incubo.

ARABELLA – (dopo una breve pausa) Gli uomini sono dei gran bugiardi. E vigliacchi... (improvvisamente dura) Anche tu, però! Per scopare mi avete drogata come un turco!

GIACINTA - (dopo una breve pausa) Non si dice "fumare" come un turco?

ARABELLA - Le metafore uno se le fa come gli pare… (Pausa) Avete scopato mentre dormivo.

GIACINTA - (riluttante ) Beh, sì...

ARABELLA - Credi che a mamma sarebbe piaciuto?

GIACINTA – (sbotta) Mamma, mamma! E che palle! Mamma era una gran troia.

ARABELLA - (provocatoria) Mamma morta nel suo letto!

GIACINTA – (accondiscendente) Come no!

ARABELLA - (dopo una pausa) Non hai pensato che potevamo restare incinte tutte e due?

GIACINTA - Ho lasciato fare alla volontà del Signore.

ARABELLA - Comodo! Mi spieghi perché io dovevo essere coinvolta nei tuoi rapporti col Signore?... Anzi, visto che sei in confidenza, chiedigli perché ci ha fatto nascere due mostri!

GIACINTA - (dopo una pausa, con dolcezza) Mah, forse perché suonassimo meglio il pianoforte a quattro mani... (ispirata) Forse Dio è la Musica... Forse Dio è il Grande Musicista...

ARABELLA - (irritata) E i sordomuti, eh? Quelli che la musica neppure la sentono? Chi è Dio per i sordomuti?

GIACINTA - Non so... Forse qualcosa che colpisce gli occhi, che li ferisce magari. Come il sole... Forse per i ciechi Dio è la Grande Luce...

ARABELLA – (stizzita) E per chi sordo, muto e cieco?

(Giacinta medita un po'...)

GIACINTA - Forse per lui Dio è il Grande Profumiere...

PAUSA.

ARABELLA - E pensare che i bambini neppure mi piacciono! Per un momento ho avuto la tentazione di gettarlo in un cassonetto della spazzatura.

GIACINTA - Non dire queste cose! L'hai partorito tu!

ARABELLA - E lo so bene! Ancora un po' e ci resto! Prima il cesareo, poi trentacinque punti. Per mettere al mondo tuo figlio! Capito?! Tu scopi e io resto incinta!

GIACINTA - (avvilita) Non potevo immaginare.

ARABELLA – Se è per questo neppure io.

( PAUSA. Continuano a rimescolare il té, facendo tintinnare le tazze.)

ARABELLA - Poi stai via per un anno e te ne torni tutta tranquilla come se non fosse successo niente!

GIACINTA - Ho avuto dei problemi, te l’ho detto!

ARABELLA - (acida) Commovente. E naturalmente del nostro bel dottor Muller e dei tuoi soldi nessuna notizia!

GIACINTA – Mah, sono arrivate delle cartoline strane, non so bene. Tutta una roba di deserto, cammelli e forti militari. Un po’ come quel film con Gary Cooper sulla Legione Straniera.

ARABELLA – Cretina, certo che era la LegioneStraniera! Se lo cercava la mafia di Nairobi!

GIACINTA – Dici, eh? E beh sì, sempre meglio che farsi tagliare le mani! Un così bravo chirurgo!

ARABELLA - E lo difende ancora, la scema! L’ha piantata nel buco del culo del mondo a suonare “Vitti ‘na crozza” per dei criminali psicopatici e lei lo difende ancora!

GIACINTA - (sommessa) Mi voleva sposare... Almeno diceva. Non me lo aveva mai detto nessuno.

ARABELLA – (Pausa, poi si stringe nelle spalle condiscendente) Beh, insomma: avrai avuto le tue buone ragioni. In fondo, se qualcuno sopporta di coprirsi di ridicolo per te, è facile che sia un buon marito.

(Giacinta china il capo avvilita. Poi lo rialza. Lo sguardo scivola sulla culla in centro scena.)

GIACINTA - Lo posso vedere?

ARABELLA - (dura) Dopo… Hai aspettato che io dormissi.

GIACINTA - Eri drogata tutto il giorno!

ARABELLA – E chi è che mi drogava?! (dopo una pausa) Come vanno i tuoi concerti da solista?

GIACINTA – (un breve silenzio) Un disastro. Avevi ragione tu. Venivano a sentirci solo perché eravamo dei mostri. E tu, i tuoi concerti da solista?

ARABELLA – Bene, insomma… per un po’ abbastanza bene… Poi ho smesso (sospira)…

GIACINTA – Perché hai smesso?

ARABELLA - L'arte non si inventa da un giorno all'altro…

GIACINTA – Ma tu sei brava, sei molti più brava di me.

ARABELLA – Non basta. Se fai il solista, o sei il più bravo o non sei nessuno.

GIACINTA – Ma tu eri la più brava!

ARABELLA – Ma no… sono balle che ci raccontiamo noi artisti per sopravvivere. Se vuoi fare l’artista devi credere che sei il più bravo, se no non ce la fai. Tutt’al più, ecco, puoi dire a te stessa che sei stata sfortunata, che non hai avuto l’occasione giusta, che questo ce l’aveva con te, che a quello non gliel’hai data, eccetera. Ma devi credere che sei il solista più bravo. Devi crederci, se no muori… Oppure metti su un duo pianistico di mostri, come noi due. Lì non ci chiedevano di essere delle brave soliste.

GIACINTA – Ma tu sei sempre la pianista più brava!

ARABELLA – Oh, lo credevo anch’io. Davvero. E per un bel po’ di tempo…

GIACINTA – Sai, la verità è che… ho sempre pensato che se non era per me, per questo fatto che dovevi sempre trascinarmi di qua e di là attaccata alla schiena, saresti diventata la più grande pianista del secolo.

ARABELLA – (pausa) Ti ho odiata per anni.

GIACINTA – Mi dispiace. È colpa mia se non sei diventata la più grande pianista del secolo.

ARABELLA – Lascia perdere, non è colpa tua. Tu non hai nessuna colpa. Anzi, ti chiedo scusa per averti odiata… Non sarei mai diventata la più grande pianista del secolo, in ogni caso.

GIACINTA – Chi può dirlo?

ARABELLA – (Dopo un lungo, penosissimo sospiro, si alza. Va al giradischi e lo aziona) Ti ricordi le “Variazioni Goldberg”?

GIACINTA -  Oh, sì! Le suonavi in modo straordinario. Non potevamo mai metterle in cartellone perché io con Bach ero un disastro. Ma tu no, tu eri bravisima!

ARABELLA – (dura) Un giorno mi è arrivato questo disco. Me lo mandò qualcuno, non ricordo chi. Le “Variazioni Goldberg”, suonato da un americano, un certo Glenn Gould.

GIACINTA – Ma cosa vuoi che capisca un americano di Bach!

ARABELLA – Beh, senti questo…

            (Il brano delle “Variazioni Goldberg” di Bach eseguite da Glenn Gould nella celebre ultima registrazione si diffondono nell’ambiente. Un’interpretazione innovativa, geniale, unica.).

GIACINTA – (dopo un poco, estasiata) È meraviglioso!

ARABELLA – Eh sì, è meraviglioso. È più di meraviglioso, è geniale, è unico… Vedi, non hai nessuna colpa se non sono diventata la più grande pianista del secolo. Non lo sarei diventata comunque. C’era già lui… Da quendo ho ascoltatato questo non ho più toccato il pianoforte.

            (SILENZIO PROLUNGATO)

GIACINTA - (guardando la culla in centro scena) Lo posso vedere? Via, non essere crudele…

UNA PAUSA.

Le battute che seguono le portano, poco a poco A SPOSTARSI CON LE POLTRONCINE SU CUI SONO SEDUTE AVVICINANDOSI UNA ALL'ALTRA, prima impercetibilmente, poi via via più decisamente.

ARABELLA - Ah, io sarei crudele! Sai una cosa?

GIACINTA - Dimmi.

ARABELLA - Anche io amavo Friederich Muller.

GIACINTA - Mi dispiace.

ARABELLA - Non sai dire altro?

GIACINTA - La vita non facile per nessuno...

ARABELLA - Notizie di mamma?

GIACINTA – Mamma è morta.

ARABELLA - (avvicinandosi) Ah già!... Un bambino dà tanti pensieri. Ci si dimentica di un sacco di cose.

GIACINTA  - (avvicinandosi) Credo  anch'io. E' una responsabilità... Mangia?

ARABELLA - (sorride, avvicinandosi) Come un piccolo lupo.

GIACINTA - (C.S.) Posso vederlo?

ARABELLA - (C.S.) Hai aspettato che io dormissi...

GIACINTA - Sei ancora innamorata di lui?

ARABELLA - Non dire sciocchezze.

GIACINTA - Non è più importante per te?

ARABELLA - Importante lo è… No, lo è stato… E poi è lui che ci ha separate.

(A forza di avvicinarsi l'una all'altra, ora Arabella e Giacinta sono di nuovo spalla contro spalla, come quando erano siamesi.

Arabella si china sulla culla, solleva il bambino, lo pone in grembo a metà fra le proprie ginocchia e quelle di Giacinta.

Tutte e due si chinano amorevolmente su di lui.

L'immagine  quella di una Maternità piena di calore e di dolcezza. Solo che invece di una Madonna ce ne sono due.

GIACINTA – Dovremmo comprargli dei giocattoli…

ARABELLA – Oh, sì! Ho visto un carillon molto carino. Si appende sulla culla e ci sono delle api che girano e suona la ninnananna di Brahms!

GIACINTA – Costerà un sacco di soldi.

ARABELLA – Tutto ormai costa un sacco di soldi.

GIACINTA – Le patate anche. Sono carissime.

ARABELLA – Anche le saponette. Almeno avessimo tenuto tutte le saponette degli hotel dove siamo state! Sarebbe stato un bel risparmio. Invece noi sprecone usavamo le nostre…

GIACINTA – E i tuoi risparmi che fine hanno fatto?

ARABELLA – Beh, c’è stato il parto in clinica. I medici sono dei ladri. Poi la casa… (indicando la culla) poi lui. I bambini costano, sai?

GIACINTA – Quindi non hai più soldi neppure tu!

ARABELLA – Neanche una lira. Anzi, sono piena di debiti.

GIACINTA – E io che speravo… Cosa possiamo fare?

ARABELLA – (con le mani sul viso, disperata) Non lo so… non lo so…

PAUSA

GIACINTA – Io un’idea ce l’avrei…

                (Si china, prende l’ampia borsa che ha appoggiato a terra, ne estrae un involto tutto ben ripiegato. Lo apre. È un doppio corsetto, con i due busti collegati all’anca. Come quando erano siamesi).

GIACINTA – L’ho fatto fare dalla Jole. Te la ricordi la Jole?

ARABELLA – La nostra vecchia sarta?

GIACINTA – È morta il mese scorso, questo è il suo ultimo lavoro per noi. 

ARABELLA – (pausa, poi capisce l’idea della sorella) Ah, no! Mi rifiuto!

GIACINTA – Guarda, ci ho pensato bene…Non abbiamo molta scelta…

ARABELLA – Non voglio essere di nuovo un mostro. Anche se un mostro finto.

GIACINTA –  Finto o vero che importa… Guardati intorno: ci sono solo mostri. Almeno fallo per lui (indica la culla). E poi ho capito una cosa: se non sei un mostro, oggi come oggi non sei nessuno.      

LE LUCI CALANO LENTAMENTE

SCENA 2 – PALCOSCENICO

    (Le LUCI si alzano a illuminare la stessa scena iniziale: Arabella e Giacinta, unite per la schiena, che sedute ai rispettivi  pianoforti interpretano un brano classico. In proscenio, difronte a loro, la culla di trine e pizzi con dentro il bambino)

Il brano finisce. Dall’invisibile platea scoppiano applausi (REGISTRATI).

Le due pianiste si alzano in piedi a ringraziare. Quindi sollevano il bambino dalla culla e lo stringono fra le braccia di fronte al pubblico. GLI APPLAUSI RADDOPPIANO DI INTENSITA’)

ARABELLA – Io penso una cosa: nessuno può tenere separate due persone che si appartengono... Ma tu lo ami ancora?

GIACINTA - (carezzando il bambino e inchinandosi agli applausi) Mah, sai che ti dico? Gli amori vanno e vengono.

                                               

                                                        SORELLE DI SANGUE - FINE