Sotto un ponte, lungo un fiume…

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Luigi Lunari

Luigi Lunari

SOTTO UN PONTE, LUNGO UN FIUME....

 

Copyright 2003

Luigi Lunari  -  Via Volturno 80 Cedri - 20047 Brugherio (Milano)

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E-mail   luigi.lunari@libero.it

Web site    www.luigilunari.com


           Quale utilità ricava l'uomo  da tutto l'affanno per cui fatica sotto il sole?  ….  Molta sapienza, molto affanno. Chi accresce il sapere, aumenta il dolore.

                                                 L'Ecclesiaste.    250 a.C.

                                              

           Chi è custode della memoria se non la donna, il cui ancoraggio alla natura, che al pari della donna è madre, la rende così solidale alla vita, da spingerla a ricostruirla là dove passa la potenza distruttiva degli uomini, il cui ancoraggio alla natura è davvero flebile,  e immemore rispetto al fascino che su di loro esercita, quel campo di gioco che è per loro la storia?  (Non la storia antica, che avendo parentela con l'origine e la nascita delle civiltà è evento femminile, ma con la storia di oggi, che, sradicata dalle memoria delle origini, è pura volontà di potenza.)

           A questo punto varrebbe la pena di affidare alle donne la ricostruzione (…) di tutte quelle terre in cui c'è stata devastazione. Ma noi (…) questo compito alle donne non lo daremo mai, perché abbiamo "liberato" la donna solo per quel tanto che risponde al desiderio dei maschi, o, se questo è estinto, per quel tanto che risponde alla loro sicurezza.

                                                          Umberto Galimberti    Giugno 2003

                    "Vestali della memoria".  Da  "D" supplemento a La Repubblica: 7 giugno 2003

   

Personaggi

Il Barbone

Il Signore

La Donna

L’azione si svolge sotto un ponte, lungo un fiume...


Sotto un ponte, lungo un fiume, all’estrema periferia di una città.  Un argine ripido, con radi ciuffi d’erba, solcato dalla traccia di un incerto sentiero che porta in alto, verso la strada.

Ad un lato della scena, il cumulo di rifiuti di una discarica abusiva.

All’altro lato, riparato dal ponte, un gabbiotto d’assi e di cartone, quasi uno scatolone, che serve evidentemente d’asilo a un qualche disperato.  Appoggiata al gabbiotto, una sacca.

I.

Seduto per terra, al proscenio, a fissare l’acqua che scorre, vi è un “barbone”: quarant’anni d’età, forse meno, non particolarmente sporco, né incolto, nè infagottato. I vestiti - per quanto sporchi e consunti -  sembrano essere stati in origine dei buoni vestiti, per qualità della stoffa e taglio. Ha in mano un bastone, con il quale intercetta gli oggetti che la corrente gli porta a tiro, e che rimuove appena per lasciare poi - come ininteressanti - al loro destino.  Ad un tratto si volta verso il gabbiotto, e annuncia.

IL BARBONE - Un cuscino.  Ma tutto rovinato.

           (Pausa)

           Una scatola di latta…

           (Pausa)

           Una bambola….

           A proposito: qualche settimana fa, prima che venissi qui tu, è passato un cadavere..  Una donna, mezza nuda, con gli occhi spalancati....  Cioè... quello che restava, degli occhi.  L’ho lasciata andare e non ho detto niente a nessuno....  Per carità!  Mi son ricordato di quella volta - ero in macchina -  che ho tirato sù uno, ferito in un incidente, e l’ho portato in ospedale: ho avuto grane a non finire: con l’ospedale, con la polizia...  Non te lo ricordi? Avevo appena preso la patente  ... Eh?... 

(Nessuna risposta dal gabbiotto)

Senza contare il sedile di dietro, tutto macchiato di sangue.

(Pausa. Ad un tratto un rumore dall’alto. Il barbone alza gli occhi, in attesa. Dall’alto, si aggiunge al cumulo di rifiuti una carrettata di cartacce, di lattine, di stracci...)

Ecco la manna nel deserto...

(Il barbone si avvicina ai nuovi arrivi, vi fruga un po’: esamina un pacchetto di sigarette vuoto, un accendino, una posata contorta... raccoglie un pezzetto di carta, lo osserva. Legge:)

Santa Rita da Lima... ora pro nobis...

Ma sì!  Ci mancherebbero anche i santi, ad occuparsi di noi.  Orate, orate per chi ce n’ha bisogno!

(Lo straccia, lo ributta nel cumulo.)

Niente!

(Improvvisamente, lo squillo di un cellulare.)

UNA VOCE DI DONNA (dal gabbiotto, annunciando) - Telefono!

IL BARBONE - Non è il mio!..   

           (Pausa)

           Ho detto che non è il mio...

           (Dal gabbiotto esce una donna anziana - sui sessantacinque. Anche lei indossa abiti che potrebbero essere stati buoni: forse ha addosso anche una  pelliccia, ora sciupata. La donna si avvicina alla sacca appoggiata al gabbiotto, vi fruga brevemente dentro, tira fuori un telefonino, lo apre, parla e ascolta:)

LA DONNA - Pronto?....      Sì, siamo... siamo qui...  Non lo so: può darsi che l’abbia chiuso. Lui il cellulare lo tiene quasi sempre chiuso....   Sì.   Va bene.  ....   Oggi non so. No, non credo che andiamo via...    Va bene.  Ho capito.

           (Chiude il telefonino)

           ...Ha provato a chiamarti sul cellulare, ma tu non hai risposto. Dov’è?  L’hai spento?

IL BARBONE - L’ho buttato via.

LA DONNA - E perché?

IL BARBONE - Perché non mi serve. Non c’è il tuo?  Uno basta e avanza.

LA DONNA - Dove l’hai buttato?

IL BARBONE (un po’ infastidito) - Ma non lo so!  O lì in mezzo... o in acqua.   Non mi piace, questa storia che uno possa inseguirmi dappertutto, trovarmi quando vuole...  Mi dà l’impressione di essere spiato. Anzi: prigioniero.

LA DONNA - Se non  vuoi, lo tieni spento.

IL BARBONE - E allora è come se non ci fosse.

LA DONNA - E lo riaccendi quando vuoi.

Il BARBONE - E se non lo voglio mai, lo butto via.

           Beh, vado a prendere il giornale.

LA DONNA - Aspetta un momento.  Adesso viene qui lui.

IL BARBONE - E’ per questo che ti ha telefonato?

LA DONNA - Sì.

IL BARBONE - E perché non me l’hai detto subito?

LA DONNA - Te lo sto dicendo.

IL BARBONE - Vado a prendere il giornale.

LA DONNA - E se intanto arriva? 

IL BARBONE - Aspetterà un momento.

           (Si avvia lungo l’argine)

LA DONNA - Ti sei lavato?

IL BARBONE- Sì!

LA DONNA - Anche il collo?

IL BARBONE  - Anche il collo e anche dietro le orecchie.

LA DONNA - Mi sembri ancora sporco.

IL BARBONE - Perché l’acqua è sporca.   I soliti scarichi industriali. Bisognerebbe dirglielo: lo sai a chi!

LA DONNA – Lo so, lo so!

IL BARBONE – Al padrone della fabbrica!

           (E’ uscito.

           La donna lo segue per un attimo con lo sguardo, poi si inginocchia su una scatola di cartone o qualcosa di simile, che possa fungere da inginocchiatoio. Si fa il segno della croce, muove le labbra in una preghiera.

           Dopo qualche istante, il rumore di una macchina che si ferma.

La donna entra nella baracca, ne esce con una coperta o cosa del genere, che stende da qualche parte come a farle prendere aria.

Entra il Signore: un uomo di poco più giovane del Barbone. Veste con l’eleganza semplice e composta del manager: un vestito di grisaglia, forse con un cappotto di cammello...

Si affaccia dall’alto, scende lungo il sentierino. Un inciampo lo induce a una sommessa imprecazione...

Guarda con aria interrogativa la donna, con un cenno del capo o della mano - le dita riunite - come a chiedere: “... dov’è?”

LA DONNA - E’ andato a prendere il giornale.

IL SIGNORE - E quando torna?

LA DONNA - Non lo so: dipende.

IL SIGNORE - Uff!  Di solito: quanto ci mette?

LA DONNA - Cinque, dieci minuti. Ma non c’è una regola: una volta è stato via due giorni.

IL SIGNORE – Non te lo dice?

LA DONNA – Non lo sa neanche lui. Non è che lo faccia apposta. Gli succede, e va.

           (Il Signore sospira e scuote la testa con aria di disapprovazione.)

           Vuoi sederti?

IL SIGNORE – E dove?

LA DONNA – Abbiamo una sedia.

           (La Donna entra nella baracca, e ne esce subito con una sorta di poltroncina imbottita, sporca e quasi sfondata.  La porge al Signore, che vi si siede con aria contrariata, cercando di salvaguardare per quanto è possibile il proprio vestito o il cappotto. )

IL SIGNORE (dopo una pausa, un po’ a disagio, ma non senza impazienza) – … Deve firmarmi un po’ di carte…

LA DONNA – Ancora?

IL SIGNORE – Dovrebbero essere le ultime.  Sempre che non ci  ripensi!….

LA DONNA – Non credo che ci ripenserà…

           (Altro breve gesto di stizza e di rammarico del Signore.

           La donna ha ripreso la pulizia della coperta.

           Lunga pausa. Poi…)

IL SIGNORE (parla con una certo impaccio) - Sai… Gli affari vanno bene.  Anche troppo: c'è solo la paura che cambi. In fabbrica abbiamo dovuto fare un terzo turno…  Anche lo stabilimento in Romania….

           (Pausa. La donna rimane impassibile)

           Non ti interessa!… 

LA DONNA - Sono contento per te.

IL SIGNORE - Beh, non solo per me.  Do lavoro a tremila persone: sono quindicimila persone che mangiano perché io…. perché noi…   Eh?  Non mi pare poco!   Do da mangiare a quindicimila persone!

LA DONNA - Quante quelle che danno da mangiare a te. 

IL SIGNORE (sorride amaramente, scuote la testa) - Chi lo diceva, questo?

LA DONNA - Lo sai!..

           (Pausa. Il signore rinuncia con un piccolo gesto di sconforto. Scuote la testa, si stringe le mani, poi:)

IL SIGNORE – Oh, mamma!…

           (Potrebbe essere una semplice esclamazione “all’italiana”, tanto più che la Donna sembra non raccogliere. Ma dopo un’altra pausa – sufficientemente lunga – il Signore ripete, stavolta in un inequivocabile tono vocativo:)

           Mamma!

           (La Donna si ferma, si volta verso di lui.)

           Mamma, ma perché….?

LA DONNA – Perché cosa?

IL SIGNORE (giugendo le mani, con afflizione) – Perché… questo! Che cosa è successo?….

LA DONNA - Eccolo. Zitto!…

IL SIGNORE (con uno scatto) – Zitto!  Zitto!  Perché dovrei star zitto!  Se sente, meglio: potrebbe rispondere anche lui!  Anzi: lui soprattutto!

           (Rientra il Barbone. Forse ha sentito l’ultima battuta, ma non dimostra di volerla raccogliere. Ha in mano un giornale.)

           Hai capito?

IL BARBONE – E’ morto Walter Polis.

IL SIGNORE – Chi?

IL BARBONE – Walter Polis. E’ morto.

IL SIGNORE – E chi è?

IL BARBONE (corregge) – Chi era.

IL SIGNORE – Chi era!

IL BARBONE – Non lo so. Ma per esser morto è morto senz’altro, perché c’è il necrologio sul giornale.

           (Apre il giornale, legge)

           La moglie, il figlio, il nipote annunciano la morte di Walter Polis… impiegato dell’Azienda Elettrica Municipale.  

IL SIGNORE – Ma… e tu lo conoscevi?

IL BARBONE – No.

           (Sembra rileggere con viva curiosità l’annuncio sul giornale. Pausa.)

           Non è incredibile. Uno muore… e la moglie e il figlio non hanno niente da dire se non che era “impiegato dell’Azienda Elettrica Municipale”!

IL SIGNORE (con impazienza) ­–  Evidentemente… il suo mestiere.

IL BARBONE – Mi incuriosisce quel che c’è dietro.  Possibile che una moglie e un figlio non abbiano niente da dire? Un aggettivo per il defunto, un accenno al loro dolore… Niente!  “E’ morto” e basta.  Come te lo spieghi?

IL SIGNORE – Non sento nessun bisogno di spiegarmi niente.

IL BARBONE - Non dev’essere questione di soldi, perché se una famiglia è molto povera non fa l’inserzione sul giornale.  Anche se il fatto che tra il figlio e il nipote ci sia una virgola, e non una “e”, come sarebbe più corretto, fa pensare che siano stati attenti al numero delle parole. Ma non basta. E dunque: come si spiega?

           Forse era uno di quei tiranni che quando muoiono tutti tirano un sospiro di sollievo!  O forse era uno che un giorno, trent’anni fa,  se n’era andato, aveva piantato lì moglie e figlio, e dopo trent’anni crepa, e agli altri non resta che seppellirlo, e pensare “va bene, è morto, amen”: ma niente di più. 

IL SIGNORE – Senti, io…

IL BARBONE -  E quel nipote, poi?   “La moglie, il figlio, il nipote…”   Chi è: un figlio del figlio, un nipotino?   Oppure il figlio di un fratello o di una sorella.  E questo fratello o questa sorella dove sono?  Morti anche loro?  Oppure non gliel’hanno mai perdonata, di essersene andato, magari piantandogli moglie e figlio sulle spalle…?   E quel nipote è l’unico con un minimo di carità cristiana, magari l’unico che sia andato al funerale!…

           Sai che si potrebbero scrivere dei romanzi sulla vita di uno così?  Di uno che quando muore, dopo tutta una vita, la moglie e il figlio non hanno niente da dire, salvo che annunciarne la morte: con questo nipote misterioso, che improvvisamente spunta da dietro una colonna, o da dietro un cespuglio…. Un colpo di scena formidabile, a pensarci bene! Tu cosa ne dici? 

Oh, non occorre che tu mi risponda subito. Non è una risposta facile, lo so. Io vedo già che questa storia mi si è ficcata in testa, e che per chissà quanto tempo ci penserò su…  Potrebbe diventare un’ossessione, come quei motivi musicali che vai avanti a fischiettarli per ore e ore senza riuscire a liberartene…

La mia speranza è che sul giornale di domani ci sia una qualche notizia altrettanto interessante, che mi distragga da questa. Chiodo scaccia chiodo. … Come quella volta, che i sindacati avevano organizzato una marcia di protesta, contro la fabbrica… (ti ricordi come eravamo preoccupati?)…  poi, il giorno prima, c'è stato l'attentato alle torri gemelle di New York… e alla marcia non c'è andato più nessuno.  Chiodo scaccia chiodo, appunto.

(Improvvisamente, al signore.)

Avevi bisogno?

IL SIGNORE (un poco dominandosi) - … delle firme.. qui…

IL BARBONE - Adesso?

IL SIGNORE - Adesso?!… Sì, adesso…  Qual è il problema?

IL BARBONE - Che adesso non ne ho voglia.

           (Il Signore si volta a guardare la Donna.)

LA DONNA (al Barbone) - Ci metti un attimo…

IL BARBONE - Quante sono?

IL SIGNORE - Cinque o sei…

IL BARBONE  - Cinque o sei?

IL SIGNORE -  Sono… otto.

IL BARBONE (alla donna, scotendo la testa, come a dire - o magari dicendolo:) - Lo vedi, come cerca sempre di imbrogliare?

LA DONNA - Ci metti un attimo.

(Il Barbone cerca su di sé una penna, non la trova: il Signore gli porge la sua stilo. Il Barbone, prima di prenderla, si pulisce la mano contro il maglione o i calzoni che indossa. Poi firma. Sguardo di intesa tra il Signore e la Donna. Su un qualche piano improvvisato, il Barbone firma tre o quattro carte. Poi…)

IL BARBONE - Ehi, e questa cos'è?  Una procura: per cinque anni? C'era bisogno di dirlo… cinque anni?

IL SIGNORE (un poco spazientito, ma dominandosi) - E' di legge. Una procura deve avere un termine.

IL BARBONE - Vuol dire che tra cinque anni sei di nuovo qui, a farmi firmare un'altra procura?

           (Il Signore non risponde. Si limita a guardare la donna, come a dire “Lo vedi?” e con un’impazienza che comunque riesce a dominare. Tanto più che il barbone – sia pure con uno sbuffo di sopportazione - sta già firmando)

           … sette… otto… Fatto.

IL SIGNORE – Grazie.

IL BARBONE – E’ tutto?

IL SIGNORE – E’ tutto.  (Fa per andarsene. Esita) Da mangiare... ne avete?

IL BARBONE – Ci arrangiamo, non preoccuparti.

           (Il Signore si volge alla Donna)

LA DONNA – Non preoccuparti, ci arrangiamo.

IL SIGNORE -Avete... avete bisogno di niente?

           (Il Barbone allarga le braccia, come a rispondere di no. Il Signore di nuovo esita. Con impaccio:)

           Se avete bisogno di qualcosa... telefonate.

           (Si avvia. La Dionna lo segue con lo sguardo, poi scuote la testa.

Prima ancora che il Signore esca, la convenzione teatrale e rappresentativa  si interrompe bruscamente. I personaggi ridiventano attori, si muovono al di fuori di quella convenzione, assumono le posizioni per l’inizio della scena seguente. Una volta assunta la posizione, gli attori ridiventano personaggi. )


II.

(In scena, Il Barbone e la Donna. Il Barbone sta leggendo il giornale.  La Donna guarda il sole, poi il sentiero dal quale il Signore è uscito.  Ha una smorfia dubbiosa, poi:)

LA DONNA – Non aveva finito.

IL BARBONE – Come?

LA DONNA –  Ieri, quando è andato via. Non aveva finito: aveva ancora qualcosa da dire.

IL BARBONE (senza lasciare la lettura del giornale) – Allora tornerà.  Non è questa la sua ora?

LA DONNA – Ma... a me o a te?

IL BARBONE – Come, scusa?  Non ho sentito.

LA DONNA – Vorrà parlare con me o con te?

IL BARBONE (senza interesse) – O con tutti e due?     

LA DONNA – Con tutti e due no.

           (Pausa. Il Barbone lascia il giornale.)

IL BARBONE – Mamma...

           (Pausa. La donna sembra attendere il ritorno del Signore.)

Mamma...   E' un tipo strano, però. Seguita a chiedere se abbiamo bisogno di qualcosa... 

Mi ricorda…  Sai chi è Diogene?

LA DONNA – No, non lo so chi è Diogene.

IL BARBONE – Un filosofo della Grecia antica.  Viveva in una botte. Un barbone.  Hai sentito?

LA DONNA – Ho sentito.

IL BARBONE – Un giorno va a trovarlo Alessandro Magno. Lo sai chi era Alessandro Magno?

LA DONNA – L’ho sentito.

IL BARBONE – Un imperatore. A quei tempi gli imperatori andavano a trovare i filosofi... proprio come Dio nella Bibbia, quando ogni tanto veniva giù a parlare con gli uomini.  Diogene era lì, seduto per terra davanti alla sua botte...  Così.... come noi! Alessandro è arrivato, avranno discusso, chiacchierato, non so...  La storia non ce lo dice.  Poi, alla fine, al momento di andarsene. Alessandro gli ha chiesto se aveva bisogno di qualcosa, e che cosa poteva fare per lui.  Sai, Diogene cosa gli ha risposto?

LA DONNA – Togliti dal sole, che mi fai ombra.

IL BARBONE – Vedi che lo sai?  Dalla prima volta che me l’hanno raccontata ho sempre pensato che fosse una battuta. Invece poi... ripensandoci bene, ho pensato che... sì, certo!  Che cosa poteva fare Alessandro Magno per Diogene?   Dargli un posto, un incarico ufficiale?  Dargli un po’ di soldi?...  Di che cosa poteva aver bisogno, Diogene?  A pensarci bene, effettivamente... l’unica cosa che Alessandro poteva fare per lui era togliersi dal sole. Sembra una battuta... invece è la cosa più giusta e profonda che uno potesse dire, la scelta più saggia!... Ma non è facile capirlo!

           (I raggi del sole, ormai alto nel cielo, raggiungono ora lo spiazzo sotto il ponte.)

           Ah, il sole!   Che bello!

           (Sorride, chiude gli occhi, si abbandona ai raggi del sole. Poi si volge verso la donna, la abbraccia. Con dolcezza:)

           Mamma!...  Io non ho bisogno neanche di te!

LA DONNA – Lo so.

           (Il Barbone si tiene la donna vicino, sorridendo, felice. Poi:)

IL BARBONE – Ecco Alessandro Magno.  Avevi ragione.

           (Entra in scena il Signore, scendendo a fatica dall’argine.)

           La mamma aveva ragione.

IL SIGNORE – Come?

IL BARBONE – Hai dimenticato qualcosa?

IL SIGNORE – Non ho dimenticato niente. Ma... dobbiamo parlare.

IL BARBONE – Con me?... Con la mamma?...

IL SIGNORE – Con te.

IL BARBONE – Oggi? Proprio oggi?

IL SIGNORE – E quando, se no?

IL BARBONE – Quando vuoi. Io sono sempre qui...

IL SIGNORE – Adesso!

IL BARBONE – Quindi... oggi. Lo sapevo!

           (Il Signore sembra dover ricorrere a tutta la sua pazienza.)

IL SIGNORE – Vogliamo andare a casa?  O nel mio ufficio?

IL BARBONE – Perchè?

IL SIGNORE – Per parlare con un po’ di calma.

IL BARBONE – Qui c’è tutta la calma che si vuole. C’è anche il sole...

IL SIGNORE – Qui....

           (Si guarda in giro.)

LA DONNA – Se devo andarmene... posso andarmene.

IL SIGNORE (a disagio) – Ma no, ma no...

LA DONNA (mentendo, non senza ironia) – Ho da fare in casa...

           (Esce verso la baracca. Pausa. Il Barbone si gode il sole. Il Signore lo guarda, poi..)

IL SIGNORE - ... Sono tutte cose che sai benissimo.  Il mese prossimo...  c’è il cinquantesimo anniversario della fondazione della fabbrica... E... sarà anche il primo anniversario della morte di papà.  Io... cioè: tutti... abbiamo pensato di festegg... di celebrare le due date insieme. Con una grande manifestazione...

IL BARBONE – Tutti chi?

Il SIGNORE – Eh?  Tutti...   tutti!  Consiglio d’amministrazione, gli uffici competenti...  quelli interessati: ufficio stampa, pubbliche relazioni...

IL BARBONE –  Ho capito.  (Come suggerendo)   “Con una grande manifestazione...”

IL SIGNORE – Come?

IL BARBONE – Stavi dicendo: “con una grande manifestazione....”

IL SIGNORE (dominando l'impazienza) - Ma sì… le cose che si fanno in queste occasioni…   Di sicuro ci sarà il sottosegretario all'industria.. Forse il ministro! Io… sto facendo i miei passi perché oltre al ministro dell'industria ci sia anche quello del commercio estero. In fondo… siamo qualificati.  Per l'occasione ho anche deciso di inaugurare una nursery: dove i dipendenti possono lasciare i bambini: le donne, naturalmente. Un esperimento che hanno già fatto negli Stati Uniti, e in Inghilterra. Con ottimi risultati: produttività aumentata del sei per cento. Costo… trascurabile.

Comunque, un'inaugurazione: e i ministri… lo sai come sono!  Quando c'è un nastro da tagliare!… Presente - di sicuro - anche la televisione, anzi: "le" televisioni!   Il vescovo è garantito anche lui: dirà messa nel cortile davanti alla mensa, poi benedirà la nursery, e la statua di papà che abbiamo messo nell'atrio. Non ci assomiglia molto… ma pazienza: lo scultore ci è stato segnalato dalla Camera di Commercio, e non ho potuto dir di no.

           (Pausa)

IL BARBONE - Vedo che la cosa ti appassiona.

IL SIGNORE - Beh… mettiti al mio posto: è un risultato non da poco.

           (Pausa)

           Ah, dimenticavo! Ci sarà qualcosa anche per gli operai. Medaglie ai più anziani, un pacco dono per tutti.  Alla sera… un ballo, con musica dal vivo.  Due luoghi: davanti alla mensa, e dietro il magazzino. Un complesso rock per i giovani, un po' di liscio per gli anziani…

           (Pausa)

           Verrà anche una delegazione dallo stabilimento in Romania. Un viaggio premio… per qualcuno che se l'è meritato!

           (Tentando una battuta)

           Magari anche solo perché non ha rotto i coglioni: con sindacati, commissione interna… 

           (Riprende)

           Quelli non hanno mai messo fuori il naso da casa loro: pensa cosa dev'essere per loro un viaggio in Italia! Faranno anche tutto un pomeriggio anche a Venezia… tornando indietro, in pullman.

           Non ti pare una bella cosa?

IL BARBONE - Bella.

IL SIGNORE - Il comune intitolerà al babbo la piazza davanti alla direzione…

IL BARBONE - Bene.

IL SIGNORE - Quindi… ci saranno giornalisti… la televisione… 

           (Deciso, come risolvendosi)

           Cosa dico di te?

IL BARBONE - Di me?!

IL SIGNORE - Di te, e della mamma!

IL BARBONE - Lascia stare la mamma!

IL SIGNORE - Per l'amor di dio, Gianni: non fare finta di non capire!  Posso permettermi di avere un fratello che vive come un barbone, con sua madre…

IL BARBONE - Lascia stare la mamma.

IL SIGNORE - … sotto un ponte, a dieci chilometri dalla fabbrica, dalla villa di famiglia!? In paese lo sanno tutti, verranno i giornalisti, scopriranno il caso, lo spareranno sui giornali… Non pensi alla figura che ci facciamo?

IL BARBONE - E tu, è a questo che pensi?

IL SIGNORE - Come?

IL BARBONE -  E' "la figura che facciamo" che ti preoccupa?  E' una questione di immagine, insomma!

           (Pausa. Il Signore scuote la testa, spazientito, sempre dominandosi. Poi:)

 IL SIGNORE (con pazienza) - No, Gianni: non è "solo" una questione di immagine. E tu lo sai!  E' di questo che volevo parlare…  Ma mi pare che non sia giornata.

IL BARBONE - Infatti non lo è…

IL SIGNORE  - Non importa. Un'alta volta. Un giorno parleremo di tutto… quando vorrai. Io te l'ho chiesto: sei tu che ti sei sempre tirato indietro, che non hai mai voluto parlare!   Parleremo! Come… quando eravamo ragazzi… - eh, Gianni? –  se sarà ancora possibile!

Ma adesso è questo che è urgente!  In questo momento, sì: è una questione di immagine!  Io non posso permettermi, in un momento come questo, in cui l'azienda va a gonfie vele, si sta allargando, non solo alla Romania, ma in Ucraina, in Bielorussia, e anche in Asia. Dove… stiamo pensando a uno stabilimento a Ceylon…  abbiamo contatti con Hong-Kong…  Tutto pulito, eh?  Niente forzati, niente bambini schiavi che lavorano dieci ore al giorno…

           (L'euforia del successo gli ha preso un poco la mano. Ora recupera)

           …Uno dei titolari, di punto in bianco, pianta lì baracca e burattini, e va a vivere in una discarica: a vivere di rifiuti, nella merda, sotto un ponte, sull'argine di un torrente…

IL BARBONE - Inquinato.

IL SIGNORE - …e si porta dietro sua madre…

IL BARBONE - T'ho detto di lasciar stare la mamma! 

IL SIGNORE - Eccola! Ha sentito tutto!  Lo sapevo!

           (Entra la donna, uscendo dalla baracca. Li guarda per un attimo)

LA DONNA - E' pronto!

           (I due interrompono il dialogo, si muovono come di conseguenza, ma dopo un breve attimodi nuovo  si interrompe la convenzione rappresentativa. Come già alla fine della prima sequenza, I personaggi ridiventano attori, si muovono al di fuori di quella convenzione, assumono le posizioni per l’inizio della scena seguente. Il Signore esce; esce anche – per rientrare subito – la Donna, mentre il Barbone prende posizione sull’argine.) 

            


III.

           (E' sera. Il Barbone è seduto sull'argine.  Si ode il suono di un celulare: il Barbone sente, ma non si muove.  Qualche squillo, poi il telefonino tace.  Il Barbone ha appena un moto di soddisfazione. Dopo qualche istante, un rumore attira la sua attenzione. Si alza, si avvicina allo sbocco del sentiero: dal quale scende la Donna. Il Barbone le si fa premurosamente incontro, come per aiutarla.)

IL BARBONE - Mamma!…  Cominciavo quasi a stare in pensiero.

LA DONNA - La Messa è cominciata un po' in ritardo. E poi… mi sono fermata un po' a pregare per conto mio.  E tu?

IL BARBONE - Sono stato qui tranquillo, a pensare. Ho messo in ordine in casa… ho letto il giornale.  Niente, sai?  Di quel Walter Polis morto ieri… nessun altro necrologio. Evidentemente nessun altro aveva altro da dire.

           C'è del the caldo: lo vuoi?

LA DONNA - Sì, grazie

IL BARBONE (le versa il the) - Ti ricordi il necrologio che abbiamo fatto quando è morto papà?  "Lavoratore indefesso, sposo e padre esemplare, custode della tradizione operosa della nostra città”…  Ci eravano spremute le meningi perché niente fosse dimenticato… Alla fine occupava mezza colonna: e c’era tutto! Poprio tutto!

Come per il necrologio di questo Walter Polis. Probabilmente c'è tutto anche lì!

                   Mi dici per che cosa hai pregato?

LA DONNA - Non lo so neanch'io.  Ho pregato.

IL BARBONE - Per me?

LA DONNA - No, oggi no.

IL BARBONE - Per mio fratello?

LA DONNA - Sì, forse.

IL BARBONE - Pensi che lui ne abbia più bisogno di me?

LA DONNA - Non lo so, non penso niente.

IL BARBONE - Beh, avresti ragione.

           (Pausa)

           Mamma, perché non torni da lui? Perché non torni a casa?

           (La Donna tace.)

           Mamma, io non ho bisogno di niente. Neanche di te.  E, anzi: mi dispiace vederti soffrire… 

LA DONNA – Soffrire?!...

IL BARBONE -  ...O comunque vederti qui…  in questo… in questi disagi… vivere come una stracciona… Faticare… Tra poco verrà il freddo… poi il caldo…

LA DONNA - Ho fatto una vita anche più dura.

IL BARBONE - Lo so, mamma, lo so. Me lo ricordo.

LA DONNA - Come fai a ricordartelo? Non eri neanche nato.

IL BARBONE - Eppure me lo ricordo! Forse me lo avete trasmesso, tu e il papà...

           (Le si accoccola vicino.)

LA DONNA (a poco a poco è come una favola) - Non esisteva più né giorno né notte. Dormivamo tra i macchinari, in mezzo ai mucchi di merce, per paura dei ladri, e per essere pronti a lavorare appena svegli… O per poter dormire subito,  quando eravamo troppo stanchi per lavorare ancora!  Anche quando abbiamo avuto i primi due operai: dormivamo lì, per paura che fossero magari loro a portarsi via qualcosa; e in un angolo, vicino al portone dove loro entravano, avevamo una cucina. Un fornello.  Una casa, una casa vera l'abbiamo cercata solo il giorno che è arrivata una macchina nuova, e nel capannone non c'era più posto…

IL BARBONE - La casa me la ricordo. Mi ricordo i muri…

LA DONNA - Non c'era altro! Non c’eran altro che i muri...

IL BARBONE - E poi?…

LA DONNA (sempre come  una favola) - Poi gli affari sono andati bene. Il capannone è diventato uno stabilimento, i due operai sono diventati dieci, poi venti….

IL BARBONE - … poi cento…

LA DONNA - … poi cento, poi duecento… finchè non li conoscevamo neanche più di persona!  A tuo padre questo dispiaceva molto! E anche a me… anche se io… non ero così sentimentale! Le donne… sono più concrete!  Ma ormai erano troppi… E intanto erano cominciati anche gli impiegati...

IL BARBONE (come un bambino) – Raccontami di quello che è andato in pensione e voi avete assunto suo figlio...

LA DONNA – Certo! Il primo degli operai che è andato in pensione ci ha chiesto di assumere suo figlio... e tuo padre l’ha assunto, al suo posto...

IL BARBONE – ...e intanto erano cominciati anche gli impiegati.

LA DONNA – Sì. Prima una ragazza, si chiamava Antonia, doveva rispondere al telefono: prima rispondevo io… ma poi io avevo altro da fare, non era più conveniente, e abbiamo assunto l'Antonia. Me la ricordo perché è morta quasi subito. Ma quando è morta lei ormai già non era più sola: e anche gli impiegati sono diventati dieci, poi venti, poi cento…

IL BARBONE - … e poi i dirigenti…..

LA DONNA - … i dirigenti, i direttori…

IL BARBONE - Gli uffici, mamma: gli uffici!

LA DONNA - Certo! Al posto degli uomini gli uffici: l'ufficio del personale, l'ufficio acquisti, l'ufficio vendite…

IL BARBONE - … l'ufficio stampa, le pubbliche relazioni…

LA DONNA - No, no: questo dopo. Quando siete arrivati voi: tu e Carlo! Noi non c'entravamo con quelle cose!..  Troppo… non so!  Erano un'altra cosa.  Come fosse un altro mondo.

Tuo padre diceva ancora "vado in officina"… ma l'officina non c'era più: c'era "la fabbrica", ma lui non la vedeva neanche. Qualche volta, sì, qualche volta faceva un giro per le catene di montaggio, quando non poteva farne a meno… Ma gli faceva male al cuore. Passare tra tutti questi operai, in tuta, con le mani sporche, e non conoscerne nessuno… non sapere i nomi, non sapere se avevano figli, che problemi avevano… niente!  Così, soprattutto negli ultimi tempi, quando ormai poteva fidarsi di me…  lui prendeva l'aereo, partiva con le sue carte, i disegni, i campionari… e faceva il giro del mondo: Londra, l'America, il Giappone, e poi tornava: dall'altra parte: da Mosca, da Bucarest…

IL BARBONE - …stava via cinque giorni, dal lunedì al venerdì…

LA DONNA - …ma il sabato e la domenica era sempre a casa. E passava il sabato e la domenica a mettere a posto le carte. Sul tavolo della cucina, come una volta, quando abitavamo in due stanze…

IL BARBONE - Sai che me lo ricordo, quel periodo.  Anche perché tu… dal lunedì al venerdì… non ti si vedeva mai,

LA DONNA - Dovevo prendere il suo posto. "In officina".  Lui era in giro… dal lunedì al sabato in giro per il mondo…  Sabato e domenica in casa… Usciva solo per venire a Messa…

IL BARBONE - E' vero. E voleva sempre che ci venissimo anche noi.

           Un giorno gli ho detto: Papà, ma non sei comunista?  E lui: Anche Dio è comunista.

LA DONNA - E' vero, lo diceva sempre. "Dio è comunista!"

IL BARBONE - Poi, però… "Maledetta fabbrica!"

LA DONNA - "Maledetta fabbrica!" e “Maledetti soldi!”

           (Pausa.)

IL BARBONE - Secondo te, se non fosse morto, sarebbe contento?

LA DONNA - Di che cosa?

IL BARBONE - Di tutto: di noi, della fabbrica, dei soldi che aveva fatto…

           Perché non rispondi?

LA DONNA - Come?

IL BARBONE - Ti ho chiesto, se non fosse morto, se sarebbe contento?

LA DONNA - Sì, certo…. Credo di sì.

IL BARBONE (sorride, come se l'avesse colta in fallo) - Non è vero, mamma: tu me la stai contando!

LA DONNA - E invece è vero: era molto fiero di quel che aveva costruito: come tuo fratello. Che questo lo ha preso da lui. Ma non tutto gli piaceva… Aveva dei rimpianti….  Ma io… io non so parlare. Io sento le cose, ma poi non so dirle….

IL BARBONE - Il rimpianto di non essere rimasto com'era una volta?

LA DONNA - Mi ricordo una volta… forse l'unica volta che è uscito, di sabato sera, tanti anni fa.  Era andato all'osteria, voleva giocare a carte, come una volta, appunto.  All'osteria… molti erano suoi operai…  Ha giocato, ma - così mi ha detto - non è riuscito a divertirsi, come una volta!…  Diceva…  "Maledetti soldi!" 

IL BARBONE - E tu?…

LA DONNA - E io gli dicevo: "Maledetti soldi?! Ringrazia Dio!" 

IL BARBONE - E lui?

LA DONNA - Niente. Però… non è più andato all'osteria. 

IL BARBONE - Son queste cose che io ho preso da lui?

LA DONNA - Può darsi.   Diceva: “Sembra che a giocare con me abbiano paura! Tutti seri, tutti in silenzio. Nessuno che mi dia del pirla, neanche quando sbaglio!” Non si divertiva più.

           (Pausa.)

IL BARBONE - Mamma: se tu dovessi regalare mille lire - o un milione, non importa - a qualcuno, a chi le daresti?  A Diogene o a Alessandro Magno.

LA DONNA - Diogene è quello della botte?  Beh, a Diogene, credo.

IL BARBONE - Vedi? Sbagli. Non hai capito niente di quel che ti ho detto!

           Mille lire - o un milione - a Diogene non servono a niente, mamma! Alessandro Magno, invece, può armare un soldato, nutrire un cavallo, comprare la vela per una nave… Può farli fruttare!  E' una regola generale, mamma: hanno più bisogno di aiuto i soldati americani che i contadini del Vietnam… o i pastori dell'Afghanistan… Prova a pensarci. Di che cosa hanno bisogno i contadini del Vietnam?  Di tutto, dici tu! E invece no: di tutto o di  niente è lo stesso!  Non hanno mai avuto niente, non hanno bisogno di niente.  Non lo sanno neanche, di che cosa si può aver bisogno al mondo. Sono i soldati americani - che si trovano lì, nel deserto o nella giungla, senza docce, senza acqua calda, senz'aria condizionata, senza il frigo che fa i cubetti di ghiaccio… Loro sì soffrono, a loro sì manca qualcosa!  Cosa ne dici, eh?, mamma!

LA DONNA - Non ti seguo, Gianni. Fai discorsi troppo difficili per me.

IL BARBONE - … questo per dire, mamma, che tu dovresti stare con Carlo, non con me.

LA DONNA - Io sto con te.

IL BARBONE - Sbagli, mamma: sbagli!

LA DONNA - Io sto con te.

IL BARBONE - Ma perché?

LA DONNA - Non lo so, non lo voglio sapere: so solo che devo stare con te.

           (Pausa)

IL BARBONE - Mamma, ascoltami: io sto andando a fondo. E non c'è niente da fare. Bisogna lasciarmi andare. Non è una tragedia…  E' così!  Il mondo va avanti, ma ogni tanto qualcuno si stacca, resta indietro, non cammina più… Non gli interessa più niente…  Si stanca, si stufa…  E va a fondo. E' toccato a me!  Sono come un giocattolo che si è rotto! Come un uovo andato a male!  Che cosa ne fai di un uovo andato a male? Che cosa ne fai? Eh? Lo tieni lì, perché faccia marcire tutto il resto?

           (Scuote la testa, con dolore.)

           Lasciami andare a fondo, mamma! Non darmi il rimorso di tirare giù anche te! Ti assicuro che sto bene, mamma!  Sono sereno, non ho bisogno di niente, sono tranquillo!  Sono… sono in pace! Sai cosa vuol dire essere in pace?   Sono in pochi a poterlo dire, lo sai? Torna a casa, mamma! Torna da Carlo! Resta con lui… ti prego!

LA DONNA (lo abbraccia) - Io resto con te, bambino mio.

           (Pausa. Il Barbone sembra arrendersi, e si abbandona tra le braccia della Donna.)

           (In alto, sul sentiero, appare il Signore. Si ferma un attimo, poi scende.  Quando arriva quasi in fondo al sentiero, il Barbone e la Donna si riscuotono.  Lo fanno in modo brusco e deciso, quasi fossero degli attori che smettono di recitare una data scena, e cambiano atteggiamento e posizioni.

           La Donna entra nella baracca, oppure risale il sentiero e scompare.


IV.

           La nuova situazione è ora quella del confronto tra i due fratelli. I due  prendono posizione, quasi - appunto - due attori che si preparano per una nuova scena.

           Lunga pausa. A poco a poco, i due entrano nel personaggio. Il Signore appare impacciato. Il Barbone appare invece più disinvolto, o finge comunque maggior disinvoltura. Tira fuori tabacco e cartina, si fa una sigaretta, poi fa cenno al fratello che non ha da accendere. Il Signore gli si avvicina, trae di tasca un accendino, gli fa accendere.)

IL SIGNORE - Vattene, Gianni! Vattene!

           Il tuo odio non può arrivare al punto di rovinare me, la ditta, la mamma…

IL BARBONE - Il mio non è odio, Carlo.

IL SIGNORE - E allora che cos'è?  Rispondi: puntiglio? Pazzia?

           (Pausa.)

           Ti chiedo solo di sparire. Di sparire per qualche giorno, dalla città: così come sei sparito dalla ditta e da casa.  Sparire per qualche giorno, in modo che si possa dire… "Non c'è! E' a far la settimana bianca…  E' in clinica per degli esami…"

           (Con altro tono:)

           Gianni, siamo qui soli, io e te: non c'è nessuno!… Proviamo a parlare. Capisci quello che voglio dire? "Parlare".  Come quando eravamo bambini, e ci raccontavamo tutto. Sono tuo fratello. Col papà parlavi! Anche con me. E allora? 

IL BARBONE - E' difficile. E' una cosa lunga!

IL SIGNORE - Abbiamo tempo. Tutta la notte, Gianni. Tutta la notte… o anche di più. Quasi tutta la vita. Eh?

           Prova… prova a chiudere gli occhi. Parla… come se parlassi da solo.

IL BARBONE - Non lo so…

IL SIGNORE - Non è vero! Non è possibile! Non si fa un passo come quello che hai fatto tu senza che ti sia chiaro il perché!  E se questo è chiaro dentro di te, non è possibile che tu non sappia dirlo. Come dicevano i romani? Rem tene, verba seguentur"

IL BARBONE (meccanicamente) - Sequuntur.

IL SIGNORE – Lascia perdere: quello che è.   Se una cosa la sai, le parole ti vengono. E se non ti è chiaro, se ti è confuso… dillo come sai. Ti verrò incontro.

Sono tuo fratello, Gianni.

IL BARBONE –Non ho voglia di parlarne, Carlo. Tu pensa pure quello che vuoi. “E’ impazzito”?  A me va bene.

IL SIGNORE – Non va bene a me, Gianni. E poi.... tu non sei impazzito.

IL BARBONE – E poi... perchè dovrei dirti...?   Non so neanche se capiresti.

IL SIGNORE (quasi perdendo le staffe) – Ah no, per l’amor di dio, non prendere questo tono!  “Non so neanche se capiresti”!  Ma chi credi di essere? L’umanità non è all’altezza delle tue crisi morali?  Siamo troppo ignoranti, troppo stupidi, o cos’altro, per non poter neanche stare a sentire cosa t’è successo?  Bene: se è così, se non siamo ammessi a capire, permetterai almeno che ci si difenda. Mi basta una telefonata, Gianni: e tempo mezz’ora viene qui un’ambulanza, con un medico e due infermieri, e tu finisci in clinica... Così te la vedi là: con medici abituati a non capire.

           (Silenzio)

IL BARBONE – Non volevo dire niente di offensivo, Carlo.

IL SIGNORE (riacquistando, o comunque imponendosi, la calma) – Va bene, va bene.

IL BARBONE – Ma non capisco da che cosa dovresti difenderti.

           (Sospiro di sconforto da parte del Signore)

           Ho capito. La gente potrebbe pensare che ho ragione io.

           No, non preoccuparti. La gente è come te, Carlo: saranno tutti dalla tua parte!

IL SIGNORE – Tutti da che parte? Tutti cosa?

IL BARBONE – Tutti prigionieri della tua macchina, Carlo! Tutti persi nel tuo labirinto!  Non che sia colpa tua, per l’amor del cielo! Anche tu sei una vittima, è evidente: anche tu prigioniero, anche tu avvelenato...

IL SIGNORE (con sarcasmo) –  Eh, già! Tu invece...

IL BARBONE – Io niente, Carlo. Non voglio dare nessuna impressione di fare il “diverso”, o di giudicarmi migliore degli altri... solo perchè ad un certo punto della vita mi è sembrato di aprire gli occhi.  E ho capito che questo mondo....

IL SIGNORE - ...che questo mondo?  Dài: che cos’ha? E’ tutto sbagliato?  Sta correndo alla rovina?

IL BARBONE - Lasciatemi stare, lasciatemi in pace!  Che cosa vi importa? Se uno si alza dal tavolo e butta le carte perchè non ha più voglia di giocare, che cosa gli fate? Gli correte dietro?  Lo trattenete a forza? Lo fate ricoverare?...  Non gioco più, Carlo. Me ne vado. Ho cambiato idea.

IL SIGNORE – Comunque... tu saresti Colui Che Ha Aperto Gli Occhi. L’eletto, che è uscito dalle tenebre, in cui tutti noi, invece...

IL BARBONE – Non con questo tono, Carlo. Nessuna presunzione, te lo giuro. Non pretendo neppure di aver ragione. Forse avete ragione voi. Forse è giusto quel che fate...  Ma non è neppure colpa mia se a un certo punto...

IL SIGNORE – Se a un certo punto...?

IL BARBONE – Sai quando si sviluppa una fotografia, che tutto quel che nel negativo è bianco diventa nero... quel che è nero diventa bianco... e tutto si rovescia nel suo contrario. Ecco: è questo che mi è successo: ad un certo punto....

           (Un gesto con la mano, che ruota di scatto su se stessa, di centottanta gradi, come per un radicale rovesciamento di fronte: da così...a così! Poi, a poco a poco come perdendosi dietro i propri pensieri...)

           Come se rinascessi... Come se resuscitassi... Come se mi si aprissero gli occhi...   Tutto chiaro, tutto lucido, preciso, evidente... Dio del cielo, mi sono detto: ma è questo il mondo? Qui viviamo?  Per questo viviamo? E tutto quello che facciamo mira a questo? Il lavoro, l’amore, le guerre, le fatiche, il dolore... Tutto per che cosa?  I soldi, il potere, le prime pagine, i riflettori...  Una scintilla, una briciola... ma di che cosa? Noi, l’uomo, il “re del creato”... 

IL SIGNORE (pratico, concreto) – Tutto ad un tratto, hai detto. Dunque... c’è un quando! C’è un come!...

IL BARBONE – Ero in coda a un distributore di benzina. La benzina sarebbe aumentata a mezzanotte, e io volevo fare il pieno. Avrei risparmiato quattro-cinquemila lire. Non è grottesco? Eppure ero lì: mezz’ora di vita, mezz’ora del mio tempo, in coda con decine d’altre macchine...

IL SIGNORE – E lì, improvvisa, l’illuminazione...  Per carità: nessuna obbiezione! A molti è bastato anche meno: a Newton una mela, ad Archimede un anello...

IL BARBONE – La coda per la benzina non è stata la sola cosa. C’è anche il fatto che quel giorno… 

…era il giorno che è morto papà...  

IL SIGNORE - Ah, bello!  Il giorno che muore papà… e tu cominci dal distributore di benzia.

IL BARBOBE - Mi avevate telefonato e io stavo correndo a casa.

IL SIGNORE – Beh, “correndo”... non si direbbe.

IL BARBONE – Senza voglia di arrivare: può darsi. Probabilmente mi sono messo in coda anche per quello: per prendere tempo, per pensare.  A un certo punto....

IL SIGNORE – A un certo punto?...

IL BARBONE – A un certo punto ho sentito papà.  Mi chiamava. La sua voce – vera, precisa, in mezzo ai rumori: mi sono voltato: era lì, te lo giuro, l’ho visto! Un attimo, ma l’ho visto, come vedo te, adesso. Scoteva la testa, e l’ho sentito: “Maledetti soldi!”, ha detto. Come diceva sempre. Ma adesso lo diceva da morto, capisci? Non era più una battuta, un paradosso!  Era qualcosa di vero, di assoluto! “Maledetti soldi!”  Un messaggio, un ordine... E’ lì che mi si sono aperti gli occhi...

IL SIGNORE (dopo una pausa, scotendo la testa) - Io non capisco: posso anche immaginare, o sforzarmi di immaginare, ma con tutta la mia buona volontà se non ti spieghi non capisco. Come si possa, stare in coda per risparmiare cinquemila lire e ricevere l’illuminazione che i soldi sono maledetti....

IL BARBONE – Papà lo diceva sempre.

IL SIGNORE (pratico) – Sì, sì, ma intanto faceva i miliardi!

IL BARBONE – Tu non capisci.

IL SIGNORE (in fretta) – L’ho detto io per primo, l’ho ammesso subito.

IL BARBONE – Bene.

           (Una pausa. Il Signore sospira - o sbuffa – e scuote la testa con una smorfia. Poi, come se avesse finalmente trovato una soluzione ideale:)

IL SIGNORE – Gianni, sta a sentire! Gianni, sai cosa devi fare? Perchè non scrivi un libro? Torni a casa, non ti occupi più dell’azienda, come del resto stai facendo, te ne stai per i fatti tuoi, e scrivi: tutto quello che hai dentro, tutto quello che t’è successo, quello che pensi, quello che provi...  Magari ne vien fuori un best seller..

           Eh?

IL BARBONE – No.

IL SIGNORE – Magari guadagni una barca di soldi.

           (Prevenendo la reazione del fratello, che peraltro non si sogna neppure di reagire)

           Sì, hai ragione: non era la cosa giusta da dire. I soldi.... guai!  D’accordo!  Però... intanto potresti chiarire, anche a te stesso...

IL BARBONE – Io non ho niente da chiarire a me stesso.

IL SIGNORE – E gli altri?  Per te... (dimentica quello che sei adesso, pensa a com’eri un anno fa, a come tutti siamo!...) per te è naturale che uno pianti lì la sua vita normale, e vada a vivere qui... in una discarica...?  Portandosi dietro sua madre...

IL BARBONE – Lascia stare la mamma.

IL SIGNORE – Io, dovrei lasciarla stare?!

IL BARBONE – Sai bene che è stata lei. Io non c’entro!

IL SIGNORE – Per piacere, almeno non dire che non c’entri!

IL BARBONE – Io non faccio che dirle di andarsene!

IL SIGNORE – Balle!

IL BARBONE – E’ lei che neanche mi ascolta!

IL SIGNORE – Me lo immagino, come glielo dici!  Sei un ipocrita, Gianni.

IL BARBONE - Anzi: se la convinci a tornar via con te, non mi fai altro che un favore!

IL SIGNORE – Ipocrita, egoista, e bugiardo!

IL BARBONE – Io non ho bisogno di niente…

IL SIGNORE – Solo della mamma!

IL BARONE –  ... e di nessuno.

IL SIGNORE –  “E di nessuno”!   Puah! Qualche volta riesci a farmi schifo! Schifo, sì!  Perchè è troppo comodo: stasene lì, chiuso nel tuo tabernacolo, impassibile, perfettamente... compiuto, soddisfatto, come un eremita, come un santone indiano, e fingere di non accorgersi che gli altri si dannano per lui, rifiutarsi di vedere gli altri che soffrono...  Io non ti credo, Gianni! Io non credo ai tuoi problemi, ai tuoi tormenti, a niente!  Sei un verme!  Guàrdati! Io ti insulto, e tu cosa fai?  Serafico, seduto, guardi il cielo. Niente ti scalfisce. A che cosa pensi? Alla tua sovrumana saggezza? Alla missione che ti senti affidata, unico tra gli uomini ad aver aperto gli occhi e capito?  Per cui... tutto ti è dovuto, come a un dio, al punto che neppure hai bisogno di chiedere! Non hai bisogno di niente e di nessuno, dici! Ma intanto “assisti”: a tua madre che si distrugge, a me che ogni giorno sono qui a supplicarti, a cercare di capire, di stabilire un colloquio, di farti ragionare...  Assisti e accetti, munifico, come un idolo a cui si fanno sacrifici umani!  Sei un mostro!  Hai capito?  Un mostro!

           Che cosa rispondi, eh?  Vuoi rispondere?  Vuoi reagire, perdio! Vuoi smetterla di recitare?  Eh?

           (Gli mette le mani addosso, lo scuote.)

            E se ti sbattessi in acqua, eh?   E se ti spaccassi la testa?  Saresti contento, vero?  Certo: anche martire, allora, eh?  Rispondi, perdio!

IL BARBONE (con calma, scostando le mani che lo hanno preso per il bavero) – C’è la mamma...

           (Il Signore lascia la presa, e si ricompone.  Un ricomporsi che è simile all’uscire di parte, già visto alla fine edel quadro precedente.

           La Donna entra in scena, siede, li guarda.)

LA DONNA (al Signore) – Stavi andando via?

IL SIGNORE – Sì.

LA DONNA – Così presto?

IL SIGNORE (dopo una pausa, spazientito) – Sì, così presto.

           (Prima ancora che l’uomo si avii, l’ormai consueta rottura della convenzione teatrale, tutti e tre gli interpreti abbandonano vistosamente la gestualità dei loro personaggi.  L’attore che interpreta il Signore può addirittura avere un gesto di intesa con gli altri – forse un tacito commento alla scena ora conclusa – gli attori che interpretano il Barbone e la Donna prendono posizione per la scena che segue.)


V.

           (La nuova situazione è ora quella del figlio con la madre.)

IL BARBONE – Le giornate si stanno allungando.  Si sta bene, stasera, non trovi?

LA DONNA – E’ vero.

IL BARBONE – Non hai niente da fare?  Non hai... che so io... qualcosa da rammendare?

LA DONNA – Perchè?

IL BARBONE – Perchè se sei lì senza far niente... mi sembra quasi che tu mi sorvegli, che m’interroghi.... E allora mi blocco, non riesco a parlare...   E invece ho tante cose da chiederti.

           (La Donna si alza, e senza dire parola entra nella baracca e ne esce dopo un po’ con un qualche lavoro di cucito o di maglia. Intanto:)

Sai una cosa, mamma?  Carlo non crede che io ti dica sempre di tornare indietro. Secondo te, davvero io ti voglio qui con me?

LA DONNA – Non lo so.

IL BARBONE – Non te lo sei mai chiesto?

LA DONNA – No.

IL BARBONE – Però lo presupponi.

LA DONNA – Perchè?  Cosa vuoi dire?

IL BARBONE – Voglio dire che se sei qui... hai pensato che io ne avessi bisogno, o che a me facesse piacere.

LA DONNA – Non ho pensato niente. Ho fatto quel che mi sono  sentita di fare.

IL BARBONE – O di “dover” fare?

LA DONNA – Non... non capisco.

IL BARBONE (ride, scotendo la testa) –  Tu sei un fenomeno, mamma.  Tu ogni tanto, quando rispondere ti è difficile, o quando non vuoi rispondere... dici di non capire. 

LA DONNA –  Anche tuo fratello, quando parla con te, dice di non capire.

IL BARBONE – Per lui è vero, mamma! Ma per te, no: tu capisci tutto, mamma!  Tu sai tutto!

LA DONNA – Io so solo che il mio posto è qui.

IL BARBONE – Ma perchè? Perchè? 

LA DONNA – T’ho detto che non so altro.  Come chiedere a una cagna perchè difende i suoi piccoli...

IL BARBONE – O a una tigre perché li mangia!

E tu da che cosa mi difenderesti, eh?  Da che cosa?  Stai sbagliando tutto, mamma!  E’ Carlo che dovresti difendere, semmai.  Hai capito? Eh?

           (La Donna non risponde. Pausa. Il Barbone scuote la testa, in segno di rinuncia.)

C’è una cosa che voglio chiederti...  Una cosa che è venuta fuori l’ultima volta che ho parlato con Carlo.  Ma non devi rispondermi “non lo so”.  Devi cercare, devi sforzarti... se davvero vuoi far qualcosa che mi aiuti.

           (Pausa)

           Che cosa vuol dire... che cosa voleva dire papà quando diceva... “Maledetti soldi”?  Lo pensava davvero? 

LA DONNA – Che cosa ha detto Carlo?

IL BARBONE –  Carlo?  “Sì sì”, ha detto: “diceva maledetti soldi ma intanto faceva i miliardi.”

LA DONNA – E’ vero!

IL BARBONE – Mamma, non far finta di non capire!  Lo so anch’io che intanto faceva i miliardi. Ma perchè diceva “maledetti soldi”? E “maledetta fabbrica!”?  Eh?   Era un modo di dire?  Un’ipocrisia? Una di quelle cose che si dicono agli altri, tanto per fargli credere che anche i ricchi – poveretti – hanno le loro grane?

LA DONNA – Tuo padre era dispiaciuto....  Contento per come erano andate le cose, certo: ma anche dispiaciuto per certe cose che si era lasciato indietro!

IL BARBONE – Non conoscere più gli operai uno per uno....

LA DONNA – Come avrebbe potuto fare?  Erano più di tremila....

IL BARBONE – E il fatto che neanche all’osteria fosse più uno di loro...

LA DONNA – Questo era un po’ il suo rimpianto. Mi faceva vedere le mani: “Guarda: ho i calli anch’io!  E anche tu – mi diceva – hai i calli. Vedi?  Non è che sia cambiato tutto!”

IL BARBONE – Avrebbe voluto tornare indietro?

LA DONNA – No, questo no... Aveva lavorato tanto per diventare quello che era....  Forse... se l’era immaginato diverso. Ecco, sì: forse se l’era immaginato diverso...  Crescere, diventare ricco, sì... ma senza perdere gli altri per strada....  senza sentirsi trattare da estraneo, quasi da nemico...  “Non posso nemmeno più dire di essere comunista!” diceva: “perchè la gente ride, pensa ch’io sia un ipocrita.”  

IL BARBONE - E tu?

LA DONNA - Io cosa?

IL BARBONE - Che cosa gli dicevi?

LA DONNA - Io gli dicevo… "Non badarci, andiamo avanti!"

IL BARBONE - Tu non hai mai pensato di fermarlo?

LA DONNA – Fermarlo come? 

IL BARBONE – Fermarlo. A un certo punto. Quando ancora gli operai li conosceva per nome, quando l’officina è diventata una fabbrica, e voi... cominciavate a star bene. C’era bisogno del grande stabilimento? C’era bisogno di una fabbrica in Sicilia, e poi di un’altra in Tunisia...? 

LA DONNA – Che cosa vuol dire "c'era bisogno"?  Di che cos'è che c'è bisogno al mondo?  Bisognava andare avanti, e basta!

IL BARBONE – Avanti fino a dove, mamma?

LA DONNA – Che cosa vuol dire "fino a dove"?

IL BARBONE - Ecco, che stai tirando fuori le unghie!  E tu:  tu non pensavi di fermarti?

LA DONNA - Io non ho mai giocato a carte. Mai andata all'osteria, io!  Io ho sempre lavorato: e quando tuo padre si fermava, io lavoravo di più, mi facevo vedere, a lavorare: finchè riprendeva anche lui!

           (Pausa)

IL BARBONE –  Vòltati!

LA DONNA – Come?  

IL BARBONE – Vòltati, girati dall’altra parte!...  Non voglio che tu mi veda in faccia quando parlo.

LA DONNA – Non ti basta che lavori?

IL BARBONE – No.

           (La Donna obbedisce, girando  eventualmente la sedia. Ora volge le spalle al figlio, e probabilmente anche al pubblico.)

           Sempre avanti, sempre avanti, sempre avanti!  Come se davvero chi si ferma fosse perduto! 

           Ma avanti dove? Per raggiungere che cosa, se ad ogni passo in avanti nuovi traguardi ti attirano, come una calamita, ti stregano, come per un incantesimo?

           Mi ricordo una leggenda che ho sentito da piccolo. Un povero pescatore, che aveva liberato una genio buono da una bottiglia in cui un mago cattivo l’aveva rinchiuso...  e che come premio aveva chiesto una bella casa, invece della misera capanna in cui abitava con la moglie.  Ma poi si era pentito di avere chiesto così poco, e aveva chiesto un palazzo dove vivere da signore, e poi ancora una reggia dove essere re. Ma dopo un po’ neanche questo gli bastava più: si rivolse al genio e chiese di essere imperatore, e poi papa... E sempre il genio lo accontentava... finchè chiese di essere nientemeno che dio... E anche questa volta il genio lo ha accontentata. Regge e palazzi sono spariti, e il pescatore si è ritrovato sulla riva del suo fiume, povero e affamato come il primo giorno...

           Mi stai a sentire?

           Ti ho chiesto se mi stai a sentire!

LA DONNA – Sì.

IL BARBONE – Cosa ne dici?

LA DONNA – Niente.

IL BARBONE – Era questo che voleva dire papà?

LA DONNA – Non lo so.

IL BARBONE (sorride, scotendo la testa) – E invece lo sai!  Ma non sai dirlo, o non vuoi dirlo: perchè sai che in questo caso sarebbe vero quel che dico io: dovresti andare da Carlo, e aiutare lui, che sta ancora arrampicandosi per diventare onnipotente!

           Forse papà voleva dire proprio questo. E me l’ha detto. O forse sono io che l’ho preso da lui.  Solo che io... ho fatto in tempo ad uscire dal giro. Ho visto che questo andare avanti era come il cadere in un vortice, dal quale non si può uscire, nel quale non ci si può fermare. Ammesso che si voglia farlo: certo! E che non sia invece il caso della torre di Babele, dove gli uomini non vogliono fermarsi, ma vogliono invece salire sempre più in alto, fino al cielo.... e fino a che – si capisce – non impazziscono al punto da non comprendersi più.

           Mi stai a sentire?

LA DONNA – Sì, sì. Vai pure avanti.

IL BARBONE – Eh, va pure avanti dice lei. Tanto non mi ascolti.  Ma hai ragione: chissà quante volte te li ho fatti, questi discorsi.

Comunque ho finito. Non c’è altro da dire.

           Solo… una o due cose ancora.  O centomila.  Perché vedi, mamma!  Io “comincio” a pensare; … e poi vado avanti.  Parto da un niente… e non riesco più a fermarmi.   Un vortice anche questo: un’altra specie di vortice, ma tale e quale il primo!

Comincio, per esempio, da una sciocchezza qualsiasi.  Come – per esempio - …"L'ho già presa la pillola stamattina?"…  Oppure… "Ma Dio esiste?"…  E poi… via: un pensiero dietro l’altro. Fino a che mi viene male alla testa.

Abbiamo fatto bene ad uscire dal paradiso terrestre?… Eh, mamma?…  Gli scimpanzè, che un giorno ci hanno visto alzarci in piedi, sollevare la testa… e andarcene: che cosa avran pensato di noi?…  No: meglio: che cosa penserebbero se tornassimo?  Magari deformi per colpa di un virus, rimbecilliti per un buco nell'ozono, tremolanti come gelatine senza ossa…  Eh, mamma?

Dove sei?

(La donna era entrata nella baracca, ne riesce con una coperta che mette sulle spalle del figlio.)

LA DONNA - Tieni su questa. Comincia a far freddo.

IL BARBONE - Grazie, mamma.  Tu lo sai quello che è importante!  Io parto con i miei grandi discorsi…. e tu ti accorgi che comincia a fare freddo. Ti voglio bene.

           (La donna torna a sedersi come prima.)

           Le donne sono fatte così. Voi siete attaccate alle cose.

           Eppure, vedi, nella storia di prima - quella del pescatore - ho saltato un dettaglio. Non era lui l'ambizioso.  Era sua moglie. Era la donna, che gli diceva: "Che stupido che sei stato, a chiedere così poco! Richiamalo, sù!  Chiedi di essere re, di diventare imperatore, papa…!"   E' sempre stato così. Eva con la mela, lady Macbeth…

LA DONNA - Questo non c'entra.

IL BARBONE - Sono loro che danno il via: le donne! Ma poi è l'uomo che va avanti… avanti, avanti… fino alla catastrofe! Che cosa hai detto?

LA DONNA - Che non è questione di uomini o di donne!  Siamo tutti uguali: uomini, donne…

IL BARBONE - Sì, hai ragione. Chissà perché ho tirato fuori questa storia della donna. Non c'entra niente, è vero.  O forse sì, non lo so! Eh?

(La guarda, come in attesa di una reazione, ma la donna non reagisce.)

Forse anche il papà aveva te dietro le spalle. Eh?  Forse anche tu lo spingevi…   Di' qualcosa, mamma.

LA DONNA - Io lo aiutavo. Quando si scoraggiava gli dicevo… "Coraggio!"   Quando era stanco gli dicevo… "Forza!"  Gli dicevo… "Pensa a Carlo, pensa a Gianni!"

IL BARBONE - E lui?

LA DONNA - Ritrovava tutto: coraggio, forza….

IL BARBONE - E non pensava che pensare a noi poteva voler dire pensare altro?   Lui via… tu via…    Tu: non ci pensavi?  Dal lunedì al venerdì, eh? Non ci pensavi?

           Eh, lo so!  Pensare è difficile… e doloroso.  E non solo quando si deve scegliere che cosa fare. Ma anche così… quando si pensa e basta.  Come io con i miei discorsi: è come se girassi per un labirinto. E' un continuo di strade e stradine che ti si aprono davanti.  Tu giri a destra, e ti trovi in in vicolo cieco. Ritorni indietro, vai avanti, e ti ritrovi dov'eri prima. Esiste, anche nei discorsi, una direzione precisa: ma ci sono troppe distrazioni…e ti distrai: dietro questa, dietro quella…. E si perde il filo.

           Dov'ero rimasto? Prima di… prima di distrarmi?

LA DONNA (come citando) - Perché ha continuato a andare avanti?

IL BARBONE - Già!   Perché si continua ad andare avanti?  Ha senso? Avanti dove!  E perché! Per vivere meglio?  No!  Gli uomini sono sempre più affannati, occupati, nervosi; le mamme non stanno più con i bambini, finiranno col non farne neanche più! Tutto per i soldi, per riempire la casa di cose, per sfruttare le occasioni del progresso: viaggi, televisioni, automobili, vestiti!… Chi si ferma è perduto: andare avanti, accumulare, far carriera, dove ogni passo avanti ti apre la possibilità di farne altri due… E' un vortice, sempre più veloce, sempre più stretto, che ti trascina verso il fondo….

LA DONNA - Non agitarti. Lo sai che non ti fa bene.

           (Pausa. Il Barbone recupera, riprende con calma)

IL BARBONE - Lo sai, nel medioevo, qual era il regalo più bello che un cavaliere potesse fare alla sua dama? Quello… a cui nessuna donna poteva resistere! Che avrebbe fatto aprire le gambe anche a una suora di clausura!…  Lo sai? Eh? Un paio di forbici!  E è chiaro il perché.  Un prodotto d'avanguardia, tecnologia avanzata… Più di un gioiello!

           Bene: chi è che oggi non può regalare un paio di forbici alla sua donna?  E il nonno, ti ricordi, che una volta all'anno - quante volte me l'hai raccontato! - prendeva il calesse e andava in città, a vedere l'opera all'aperto!  E oggi, chi è che con un clic alla televisione, o infilando una cassetta,  non riesce a vedersi tutto quello che vuole?  Opere, film, partite di calcio…   E chi è che non ha gli armadi pieni di vestiti, e butta via le cose perché erano di moda quattro mesi fa, e oggi non lo sono più?  E chi è che non  va a sciare? O non si fa un bel viaggio?  E che se si ammala non lo curano?  E i libri non costano niente! E i figli vanno a scuola!.. 

Non tutti, è vero: ma… calma! La corsa è appena cominciata! le differenze ci sono ancora, tra l'alto e il basso.  Però… è vero: tanto è stato il progresso che ci sono cose per tutti! Altro che forbici! E se ne continuano a fare: tante che neppure basta il tempo a consumarle: neppure il tempo di usarle! E si buttano!

(Recitando entusiasmo)

Abbiamo tutto, mamma!  Abbiamo tutto e più di tutto! Che bisogno c’è di invidiare chi ha di più, quando l’ultimo di questo paese di bengodi ha cento volte più di quanto riesca a mangiare?  Che bisogno c’è più di rivoluzioni, di rivendicazioni, di lotte sociali...  Pensa ai comunisti, mamma!   Se  cento, duecento anni fa gli avessero mostrato come vive oggi l'ultimo degli operai e dei braccianti… cosa avrebbero detto?  "Come? Solo otto ore al giorno?! E c'è chi propone di farne ancora meno? E guadagnano tanto da comperarsi l'automobile? E votano, e decidono, e si vestono così, e mandano i figli all'università?  Ma allora… " avrebbero detto "…allora è fatta! Ma allora…. Abbiamo vinto!  Questo… è il paradiso in terra, è il comunismo!

Bisognerebbe spiegargli che no, questo non è esatto: ma a loro, con le loro sedici ore di lavoro al giorno, i figli condannati alla stessa vita, le malattie, non sarebbe parso vero. Avremo più di quello che mai avremmo osato sperare!  Altro che “Quello che avete in più datelo ai poveri!”  Tenetevelo pure, il di più. Abbiamo i nostri diritti, non abbiamo bisogno di elemosine nè di carità cristiana! Abbiamo vinto! “Carlo Marx gliel’ha messo nel culo a Gesù Cristo!”

E’ vero, mamma? Al papà sarebbe piaciuto questo discorso, eh mamma?  E a te? A te ti piace, adesso, questo discorso?

(Le si è avvicinato, le è girato attorno fino a vederla in viso.)

(Senza tono di sopresa:)

Piangi?...

(Affettuosamente)

Eh, hai ragione, anche tu: non c’è niente da ridere! Povera donna! Povere donne!

(Ritorna dov’era prima, voltando le spalle alla madre)

Perchè in questo meccanismo, che ci porta sempre più in alto, che ci rende sempre più ricchi di cose, da possedere, da fare, da poter fare... si è insinuato un virus, che distorce tutto, che corrompe, e tutto fa marcire. Avanti, avanti, sempre più avanti, sempre più in alto....  ma per andare dove, mio dio?   Se abbiamo cento volte più di quello che mai avremmo sognato di poter avere, perchè ci danniamo per avere di più?  Così, nell’illusione di andare avanti, andiamo indietro; e lavoriamo – assurdamente - dieci ore al giorno, dodici ore al giorno, il sabato, la domenica, uomini e donne, fino a toglierci il tempo di godere delle cose che abbiamo e che potremmo fare.

Competere, competere... invece di capire quel che i muli hanno capito: che è più logico collaborare, e tirare il carretto dalla stessa parte. E invece no: ciascuno è nemico di tutti, ciascuno deve vincere sugli altri, a costo di ammazzarsi! (Bella vittoria!) Siamo tornati alla selva, mamma!

E chi vincerà, lì dentro?  Chi sarà il più forte, in grado di sopravvivere?  Qual è il genere umano che ci si prepara? Esseri  venuti sù senza un’infanzia, inseriti precocemente nella vita come ingranaggi con il preciso indiscutibile compito del fare, costruire, guadagnare, andare avanti!  Che mostri saranno quelli che si dimostreranno i più adatti, e che riusciranno a sopravvivere?

Un giorno ho preso paura, mamma. Forse quel giorno dopo aver visto papà! Una paura profonda, che mi ha spento dentro ogni vita, ogni voglia di vita, di questa vita... Finchè ho deciso di scendere, di chiamarmi fuori! Basta, basta, basta!  Qui è la vita, se non è possibile altrove. La terra, il fiume, l’orribile manna che ogni giorno scende dal cielo, a tener vivo il ricordo...

E io qui frugo, per leggere quello che succede lassù...  Stanno rovinando il mondo, mamma, pur di fare uno dei loro passi avanti: questo mondo che è l’umico che abbiamo.  E quando riesco ad andare avanti a pensare, prima che mi venga mal di testa, ecco la scena finale: una molecola impazzita, e l’occhio che si spegne, le parole che cadono insensate come bava dalla bocca, le orecchie che fondono i suoni in un tormentoso ronzio...  e larve d’uomo che si aggirano tra le rovine, balbettando e tremando... forse accoppiandosi forse no, chissà!...  

Oh, ma non è una tragedia, sai, mamma!  Altre creature continuano la loro vita saggia ed equilibrata: le piante e le erbe coprono le rovine, le api continuano a fare i loro alveari, gli scimpanzè spulciano i loro piccoli, i delfini ballano tra le onde, i pesci s’accorgeranno che da un po’ di tempo nei mari si vive meglio...

L’uomo...  bah, è uscito dal paradiso terrestre, ha sfidato dio, ha vinto, non ha saputo gestire la vittoria...  ed è finito male.  Sarà per un’altra volta!  C’è più tempo che vita, vero, mamma?  Un giorno, magari, ci riproverà qualcun altro! Oppure no. Cosa ne dici?

(Si volta verso la madre, ma la donna già da qualche tempo se ne è andata, rientrando nella baracca, e lasciandolo solo.

Il Barbone scuote la testa, ma senza eccessiva delusione.)

Come al solito: ho parlato al vento!...

(Stacco.

Di nuovo, come sempre, la convenzione teatrale si scioglie. Il Barbone esce dal proprio ruolo, entra in scena anche il Signore, o – più esattamente – l’attore che interpreta il ruolo del Signore.)


VI.

           (Il Barbone è uscito, la Donna rientra. Si avvicina al corso del fiume, si inginocchia per lavare qualcosa nella corrente.

           Dal sentiero, scende il Signore. Ha in mano un giornale stropicciato, quasi accartocciato.)

IL SIGNORE – Dov’è?

LA DONNA (di soprassalto) – Adesso torna.

IL SIGNORE (le si avvcina, la prende per un braccio, come per strapparla a ciò che sta facendo) ­– Anche questo, devo vederti fare?  Lo fai apposta, vero?  Dillo, che lo fai apposta!

LA DONNA – Devo solo risciacquare...

IL SIGNORE – In quest’acqua?  Non lo vedi che è sporca?  Non lo dice sempre, tuo figlio, che è la fabbrica che la inquina?   E allora?  Eh, e allora?... Che cos’è che risciacqui?...

           (Senza una parola la donna interrompe il suo lavoro, si alza, a fatica.)

           E lei, zitta!  Se parlassi, almeno!  Ma lei no: sempre zitta! Sei un muro di gomma, mamma!  Vi siete messi d’accordo, eh? Per farmi diventar matto, per rovinare tutto, mandar tutto in malora!

           (Le agita il giornale davanti agli occhi)

           Lo hai visto il giornale?

           (In cima al sentiero appare Il Barbone. Il Signore lascia la madre, e si rivolge al fratello, con tono aggressivo.)

           Tu: l’hai visto il giornale?

IL BARBONE – L’avevano finito!

IL SIGNORE (con sarcasmo) – Certo! Stamattina alle sette, l’avevan finito!  E’ andato a ruba!

IL BARBONE – Potresti lasciarmelo?  O farmi una fotocopia?

           (Il Signore lo fissa, come incredulo. Poi si rivolge alla donna:)

IL SIGNORE – Lo hai sentito?

         (Ma la donna è già rientrata nel gabbiotto.)

         Eh, già, quando sente odor di tempesta, lei se ne va!

         (Chiama:)

         Mamma!

IL BARBONE – Lascia stare la mamma!

IL SIGNORE – Tu, lasciala stare!

           (Il Barbone scende dal sentiero. Il Signore gli si avvicina, agitando il giornale)

           Hai avuto quel che volevi: sei contento?  Cos’hai fatto: una conferenza stampa?  O un’esclusiva? Eh? E quanto t’han dato? E perchè no la televisione, già che c’eri?

           (Il Barbone gli ha preso il giornale, e lo guarda – in tutta calma – senza prestare orecchio allo sfogo dell’altro.)

           Mamma, vieni fuori! Devo dirvi una cosa, a tutti e due!

           (La Donna si affaccia sulla soglia del gabbiotto)

           Stamattina, non più tardi di un’ora fa, ho dato incarico all’avvocato di avviare la pratica per una richiesta di interdizione!

IL BARBONE – Per me? 

IL SIGNORE – Tu cosa pensi?

IL BARBONE – Mi pare inutile: non firmo sempre tutto quello che mi fai firmare?

IL SIGNORE – Sì, ma e questa roba?  Eh?

           (Gli strappa il giornale di mano)

           Almeno potrò dire: “E’ matto: cosa volete farci?  E’ matto: e purtroppo non ci sono più i manicomi!”

IL BARBONE – Puoi dirlo lo stesso. Ti assicuro che io non smentisco.

(Il Signore non lo ha ascoltato: sta cercando nel giornale qualcosa che ora ha  trovato)

IL SIGNORE (leggendo) – “Perchè in questo meccanismo, che ci porta sempre più in alto, che ci rende sempre più ricchi... si è insinuato un virus, che tutto corrompe, e tutto fa marcire. Avanti, avanti, sempre più avanti, sempre più in alto....  ma per andare dove?... Così, lavoriamo dodici ore al giorno, il sabato e la domenica....”

           Lo sai quanto ci costa interrompere la catena il venerdì sera, spegnere i forni, riavviare tutto il lunedì mattina?... Eh, lo sai?

           (Torna a leggere)

           “Così le donne non vedono i bambini, i padri li vedono alla sera quando sono a letto...”

IL BARBONE – E’ vero.

IL SIGNORE – Ah sì?   E “Carlo Marx l’ha messo nel culo a Gesù Cristo”?  Virgolettato.  Anche questo è vero? E il titolo l’hai visto. “Un industriale a Canossa:  pentimento o delirio?”

           (Linga pausa)

LA DONNA – Io posso andare.

           (Nessuno risponde. La Donna esce.)

           (Altra pausa.)

IL SIGNORE – Io non lo so!

           Non so soprattutto perchè ho con te questa infinita pazienza: che è così poco nel mio carattere!  Perchè sei mio fratello?  Non basta! Perchè spero sempre di arrivare a capirti... o perchè spero che tu capisca me?

           Qualche volta mi sforzo di cercare le cause!  Forse perchè tu hai studiato, e io no?  Certo: tu sei arrivato quando c’erano i soldi!  Hai fatto il liceo, l’università, filosofia... Io a tredici anni sono stato messo sotto: i soldi non c’erano ancora. Colpa di nessuno, lo so. Però... intanto è così. E io ho un bel dire “sia ringraziato dio che non ho potuto studiare, se questi sono i risultati”!  Spero solo che non sia invidia. Perchè più ci penso più m’accorgo che in fondo ti disprezzo! Io non ti credo, Gianni! Io non credo ai tuoi problemi!  Sei solo un vigliacco; sei uno che scappa! E che fa finta: di essere unico tra gli uomini ad aver aperto gli occhi e capito!...

IL BARBONE (interompendolo, anche con un gesto) – Questo l’abbiamo già detto.

IL SIGNORE – Sì, l’abbiamo già detto.   Lo so!

           Ma non è solo questo. C’è un’altra cosa, che non riguarda più solo me e te, ma le cose che diciamo e che rappresentiamo.  Noi due… okay…  ma guardiamo in faccia queste cose.

           Siamo sicuri che solo chi non fa non sbaglia?  Tu non fai niente, d’accordo: ma davvero non sbagli?  E comunque: a che cosa servi?  Io posso sbagliare, certo: ma alla mattina, quando apro le fabbriche, sono migliaia di uomini e donne che entrano dai cancelli,  e si rimboccano le maniche, per produrre tutto quello che rende più bella e più comoda la vita.  Dove saremmo senza tutto questo?   Dove saremmo, se fossimo ancora lì, a spulciare e spidocchiare i nostri figli, invece di aver imparato come si fa a non avere i pidocchi?  Saremmo ancora nelle caverne, ancora nudi o vestiti di pelli, e morire a vent’anni, di tisi o di veleni, dopo aver avuto appena il tempo di mettere al mondo dieci figli, otto destinati a morire subito, due – forse – destinati a raggiungere i vent’anni, alle stesse condizioni? A questo siamo stati fatti? O non piuttosto per seguire le voci che abbiamo dentro di noi?  Per imparare, per costruire, per andare avanti?  I rischi si devono correre!  I pericoli si possono evitare!  Gli errori si possono correggere!  Tu non credi negli uomini, Gianni!  Tu non credi nella ragione! Non è con la fuga che si vince! Non è arrampicandosi su una colonna, in mezzo al deserto, che si aiuta la gente! Prima di tutto: fare! Cercare! Studiare! Provare e riprovare! Case! Pane! Vestiti! Cose! Macchine! Che trasformino il lavoro! Che moltiplichino all'infinito le nostre mani e le nostre braccia!  Finchè tutti, al mondo, nessuno escluso, non abbiano tutto di tutto!  Fare, Gianni: fare!

           (Pausa.)

IL BARBONE (con calma, sommesso, senza polemica) – E se il “fare” ci scoppierà tra le mani?

IL SIGNORE (con impazienza) – Quando: domani?  Tra un mese? … O tra cento, tra mille anni? E allora.... che ti frega?

IL BARBONE - Già! Tanto più che nessuno sarà più lì a raccontarlo.

           (Pausa. Il Signore si asciuga il sudore.)

           (Dal gabbiotto esce la Donna)

LA DONNA - Avete finito?

IL SIGNORE - Abbiamo finito, sì. O appena cominciato, non so!

           (Al fratello)

           Cosa direbbe papà?   Eh?   Tu che ti vanti tanto di avere con lui un filo diretto? Lui che tutta la vita ha "fatto": senza avere studiato: come me!  Tu che distruggi tutto!

IL BARBONE - E tu? Che alla tua età - capitano d'industria, cavaliere del lavoro - ti domandi come un bambino: "che cosa direbbe papà?"  Eh, mamma? Te lo ricordi, quand'ero piccolo, quante volte mi hai detto "Cosa direbbe papà?", perché avevo fatto o disfatto qualcosa?

LA DONNA (con improvvisa energia) - Smettetela di parlare di vostro padre!

IL SIGNORE - Oh, finalmente una reazione! Finalmente qualcosa di diverso dai soliti mah, eh, non so, non ho sentito, non ho capito!… Brava, mamma! Parla, finalmente!

LA DONNA - Ho detto solo di smetterla con vostro padre. Lui non c'entra con le vostre discussioni: lui veniva "prima".  Quando fare era giusto, e non c'era nessun pericolo… e nessun bisogno di abbandonare tutto.  La gente aveva bisogno di cose, e noi gliele davamo. Adesso invece…

IL SIGNORE - Adesso invece?

LA DONNA - Adesso è diverso.

IL SIGNORE - Diverso come, perdio?

IL BARBONE - Ha ragione: adesso si inventano i bisogni pur di fare le cose. E' qui che comincia il vortice: sempre più cose, sempre più bisogni creati, guadagnare sempre di più, per altre cose, sempre meno tempo…. Ha ragione la mamma: papà si è fermato prima!

IL SIGNORE - Il papà è morto!  Altro che fermato!

IL BARBONE - Lui aveva capito.

IL SIGNORE - Capito cosa?  E che cosa avrebbe fatto, allora, secondo te? Quello che hai fatto tu? Mollare tutto, andarsene, rinnegarsi!

           (Il Barbone tace.)

           Mamma, diglielo tu!

LA DONNA - Basta!  Non avete nessun diritto, di parlare a nome suo.

           (Pausa.)

           Una cosa voglio dirvi, visto che a questo punto siete arrivati, come dopo un bivio, l'uno di qua l'altro di là, come se solo voi doveste esistere, e aver ragione, e giudicate degli altri, di vostro padre e di me, senza sapere!…

           Non tutti voi due - state attenti! - siete figli di vostro padre!

           (Pausa attonita)

IL SIGNORE - Cosa?!

IL BARBONE - Mamma!

LA DONNA - Non chiedete! Non giudicate!

IL SIGNORE - E chi….?

LA DONNA (tutto interrompendo con un gesto: lentamente) - Ho detto quel che ho detto, e sia quel che deve essere. 

IL SIGNORE (dopo una pausa, ridendo, sarcastico) ­- Non ti credo, mamma!  Questo è un trucco: una trappola!  L'hai detto apposta!

IL BARBONE - Mamma, l'hai detto apposta?  E' vero? Perché?

IL SIGNORE (come sopra) - Questo non lo sappiamo ancora. Ma lo sapremo presto.

           (Pausa. Poi, la rottura della convenzione rappresentativa. I due uomini escono. La Donna resta sola in scena, e vi si colloca al centro.)


VII.

          

           (La Donna è al centro della scena. Riconquistato il personaggio, urla. Un grido lungo, straziante, folle, interrotto da monosillabi di diniego. Poi la Donna cade in ginocchio, il volto tra le mani. Tace. Solleva lo sguardo, tende l'orecchio, spasmodicamente. Poi di nuovo urla. Poi di nuovo il silenzio.)

LA DONNA - Dio mio, no, no!….

           (Chiude gli occhi, li stringe con forza, come in attesa di qualcosa, giunge le mani in preghiera. Si fa il segno della croce. Mormora:)

           Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Sia benedetto il frutto del seno tuo….

           (Ad interromperla, finalmente, da fuori, uno sparo: un secondo: un terzo. La Donna si scuote come se i colpi avessero raggiunto lei.  Poi ha un profondo respiro, quasi di sollievo, o comunque di liberazione, di fine di un incubo.)

           (Dal sentiero, con passi di surreale rumore, scende il Signore. Ha in mano una rivoltella. E' agitato, ansante, ma non sconvolto.

           La Donna - inginocchiata - gli volta le spalle: non vede di chi si tratta: chiude gli occhi per "non vedere" ancora di più.)

LA DONNA - Chi sei?…

IL SIGNORE - Sono io.

LA DONNA (annuisce con un cenno del capo, lentamente) - Lo sapevo.

           (Pausa. Le battute che seguono sono piccole fratture del silenzio, in un'atmosfera astratta e surreale.)

IL SIGNORE - Gli ho sparato.

           E' morto.

           Mi dispiace.

LA DONNA - Tutto qui quello che sai dire?

IL SIGNORE - Stava per ammazzarmi lui.

LA DONNA -  … Non aveva armi.

IL SIGNORE - Quando hai chiesto "chi sei?"… avresti preferito…?

LA DONNA  - Non so che cosa avrei preferito, non so che cosa sia meglio… se così doveva essere.

IL SIGNORE - Così è stato. Qualcosa di troppo forte: più forte di me e di lui, di tutti.

           (La Donna esce, un po' affrettandosi, nella direzione dalla quale è entrato il Signore.  Per qualche lungo istante il Signore rimane solo in scena con i suoi pensieri.  Ad un tratto, getta la pistola per terra. La Donna rientra.)

LA DONNA - Gli ho chiuso gli occhi.  Adesso è tranquillo. Forse sta bene.  Speriamo che vengano presto.

IL SIGNORE - Mi dispiace per te, mamma.  Ma è colpa tua.

           (La Donna scuote la testa, come a chiamarsi fuori dalla cosa.)

           Sei tu, che ci hai messo l'uno contro l'altro.  E lui c'è rimasto! Mi dispiace.

LA DONNA - Non ha più bisogno di me.  Del resto, lo diceva sempre: eri tu quello che aveva più bisogno di aiuto.

LA DONNA - E adesso?

IL SIGNORE - Non ho perso la testa, mamma. Neppure per un momento. E non la perdo adesso.

           Andrò a costituirmi. Non c'è altro da fare. E' ridicolo pensare altrimenti.

LA DONNA - E la fabbrica?

IL SIGNORE - Eh già! C'è anche la fabbrica. Me lo stavo dimenticando. Alla fabbrica penserai tu, mamma: come una volta!  La più forte sei tu: hai perso due figli, e hai pensato alla fabbrica!

LA DONNA - Troppo vecchia, e stanca, e troppe colpe alle spalle. 

IL SIGNORE - Ma che colpe vuoi avere, tu, mamma!

LA DONNA - Non  l'hai detto tu, che vi ho messo l'uno contro l'altro?

IL SIGNORE - Non è di questo che parlavo, lo sai!

LA DONNA - Dio mio, oh, dio mio, vergine santa, Gesù!…  Fino a quando i figli sopporteranno di vedersi cadere addosso gli errori dei padri? quando si ribelleranno, per uccidere finalmente i padri?...

IL SIGNORE - … e le madri!

LA DONNA (si risuote, ora parla decisa.)

           Ascolta!  Obbedisci! Obbedisci a me, tua madre, che adesso ha capito!…

           Diremo che sono stata io.

IL SIGNORE - Cosa?!

LA DONNA - Ho detto: diremo che sono stata io.

IL SIGNORE - Tu sei matta, mamma!  Oltre tutto è impossibile. Sono io che ho sparato.  Oggi le cose si provano: anche volessi negare, c'è il guanto di paraffina.

           (Senza rispondere, la donna raccoglie la pistola da terra e spara tre colpi.)

LA DONNA - Adesso ho sparato anch'io.

IL SIGNORE - Mamma, ci faranno un sacco di domande! Ci faranno cadere in contraddizione!  La verità verrà fuori!

LA DONNA - Prenditi un buon avvocato: non badare a spese. 

IL SIGNORE - Mamma!….

LA DONNA (con forza) - Basta! Basta con questi piagnistei!  Sai che è giusto così!  E' meglio così! Per tutto…e per tutti!

           Basta! Sono stanca di seguire tuo padre, te, tuo fratello, per finire sempre dove mai avrei voluto finire!

IL SIGNORE - Mamma, non ti capisco. Ma che cosa dici?  Che cosa vuoi dire?

LA DONNA - …e stanca di stare zitta, come sempre le donne!  Basta! Si fa come dico io!  Trovami un buon avvocato, e cerchiamo di limitare i danni! E chiama la polizia.  Telefona subito. Anzi, no: vacci! 

           (Ora un tremito nella voce)

           Voglio….   voglio restare sola…

           (Il Signore la guarda con un misto di stupefazione e di paura, quasi di orrore. Esita, scuote la testa.)

IL SIGNORE - Dio, mamma, ma di che materia sei fatta?!  Caino ha ucciso Abele, ed Eva, la madre…

LA DONNA (di nuovo con forza)­ - Vattene! Non dire altro! Vattene!

           (Il Signore indietreggia, prima lentamente, poi si volta e corre via, goffamente incespicando sul sentiero.

           Ma prima che egli sia uscito, si interrompe ancora una volta la convenzione rappresentativa. L'uomo si drizza ed esce normalmente, ricomponendosi, la Donna si scioglie dalle tensione del personaggio.)


VIII.

           (La Donna è sola al centro della scena. Dopo una pausa, alquanto lunga…)

LA DONNA - Quanti anni sono passati da quel giorno?  Tanti!  Al momento, è andato tutto bene… O comunque… è andata come doveva andare!  Dei buoni avvocati…. e nessuno -  carabinieri, giudici - ha fatto troppe domande. L'assassina ero io, rea confessa.  Un caso subito chiuso. Di prigione…  neanche un giorno: un paio di settimane in clinica… piantonata, come se ce ne fosse bisogno.…  due, tre, quattro perizie… e poi una pena ridicola, tanto per ricordare che non si può ammazzare nessuno, neanche un figlio…  Attenuanti, condizionale… e subito fuori. Un sacco di soldi in avvocati… e basta. 

           (Entra, o è già entrato, o entrerà, il Barbone: ha la camicia macchiata di sangue all'altezza del cuore)

           Ma ero svuotata, non avevo voglia di vivere. Andavo ogni giorno al cimitero, anche più di una volta al giorno, e parlavo con lui…. Quando era vivo era sempre lui a parlare: ma adesso era morto, e io riuscivo a parlare anch'io, a poco a poco, un po' alla volta.

           Poi….

           (Entra, o è già entrato, o entrerà, il Signore: ha un cappio al collo, portato quasi con indifferenza, come una sciarpa o un foulard.         )

           …è stato l'altro a non farcela più.  L'hanno trovato nel bagno del suo ufficio: aveva lasciato un biglietto con sù scritto: "Basta!"… e basta.

IL SIGNORE - Bastava.

LA DONNA - Neanche una parola per sua madre: "scusami", o qualcosa del genere.   …e così m'han lasciato sola!  La fabbrica… è rimasta  a me.

           (Ride brevemente, con amarezza)

           Subito sono arrivati gli avvoltoi! Da dentro, da fuori… Finchè ho detto… tenétevela!  Ma neanche gli operai l'hanno voluta!  Finchè è intervenuto lo Stato, e così…    è andato tutto in malora.

           (Gesto vago della mano, ma non troppo rammarico.

           Pausa.)

IL SIGNORE - "Scusami", eh?  Ma scusa di che cosa?  Scusa perché?  

           E poi: se fossi stata tu, a dovermi chiedere scusa?

           (Pausa. La donna, silenziosamente, piange.)

IL BARBONE - Lasciala in pace!  Neanche adesso puoi lasciarla in pace?

           (Si avvicina alla donna)

           Su, mamma, su! Tutto è passato. Non più c'è niente che serve a niente, ormai!

IL SIGNORE - Tutto è passato?!  E se cominciasse adesso, invece?

           (Con altro tono: alla donna)

           Mamma… Te l'avrò domandato mille volte, ma non mi hai mai risposto.  Perché - quella volta - te ne sei andata con lui?

           (La donna tace)

IL BARBONE - Diglielo pure, mamma. Così lo saprò anch'io.

LA DONNA - …. Un giorno… tanti anni fa, quand'era un bambino… Io ero al lavoro, fuori di casa tutto il giorno.  Alla sera, sono tornata: era tardi, e stava andando a letto.  Mi ha trattata male, non ha voluto che gli dessi un bacio. E mi ha detto… "Io ti volevo… e tu non c'eri." "Adesso ci sono, bambino mio!"  "Adesso ho sonno."

IL SIGNORE (stupito, forse senza capire, dopo una pausa) ­- E allora?

LA DONNA - E allora niente.

           (Il Signore ha un gesto d'impazienza.)

IL SIGNORE - E questo è un perché?  Andiamo, mamma: questa è una battuta.

           (Pausa. La donna cade in ginocchio, piange piano)

           Hai capito?

IL BARBONE - E lasciala stare. Cosa te ne importa?

IL SIGNORE (di nuovo un gesto d'impazienza) - Quando non sa cosa rispondere, si mette a pregare!

IL BARBONE - E lasciala pregare!

           (La donna non bada ai due.)

LA DONNA - Vergine Santa, Madonna! Tu che l'hai visto, tuo figlio in croce. Dimmi….  ti senti in colpa?  Potevi fermarlo? Tenertelo, bambino, accanto a te?  Non ti sei mai rimproverata niente?  Non hai mai pensato a dargli quel che cercava, senza che corresse ad uccidersi?… Anche tu, sei stata una cattiva madre? 

           (Dei due uomini, il Signore ha una muta reazione di stupore attonito: un'espressione del viso tra l'incredulo e lo sprzzante, e il banale gesto delle dita unite e della mano mossa in alto e in basso, come a dire: "Ma che cosa dice, questa?"

           Il Barbone, con un gesto lo invita al silenzio, come per impedirgli di disturbarla.  Poi con un gesto che sembra non ammettere replica o obbiezione, lo invita a farsi da parte, e a lasciare la donna con i suoi pensieri. I due uomini si astraggono, forse le voltano le spalle.)

           (La Donna esita, comincia a parlare quasi a fatica, poi a poco a poco il discorso si fa diretto, preciso. A poco a poco, causa ed effetto delle parole, la donna esce dal proprio personaggio, per farsi voce di un sentimento, di una ragione che finiscono in un monito… Parla con sincero calore: né il personaggio né l'interprete devono aver paura che il tutto suoni come una predica o come un comizio…)

LA DONNA - Nel tempo libero - e ne ho di tempo libero! - ho pensato a voi, figli miei, e a vostro padre, e soprattutto a me….  Oh, non per me: ma per voi! Per capire che cosa dovevo rimproverarmi; se anch'io avrei potuto, diversamente, in altro modo, non so come, pensandoci di più, impedire, cercare di impedire, per tempo, bambini ancora, o dopo, anche all'ultimo momento, che voi finiste come siete finiti…   Ed ecco che mio figlio mi chiede  se per caso non devo essere io a chiedergli scusa….   

           No, non dire niente!…  Forse anche tu, alla fine, da grande, come tuo fratello, all'inizio, da piccolo… anche tu mi volevi… e io non c'ero. 

           Ma se così è andata… (e questo sono arrivata a pensare!) non è - credetemi! -  perché così doveva andare. E un poco alla volta… strappandomi la verità di dosso come fossero pezzi di carne e vene… gli occhi a poco a poco mi si sono aperti, la nebbia se ne è andata… tutto mi è parso semplice e chiaro…  E mi strazia sentire che non serve più a niente, mentre sarebbe stato così facile, allora!

           Che cosa mi resta se non sperare - ma anche qui non so come! - che possa servire agli altri?

           Eccola, la mia vita: vorrei sedermi sul bordo di una strada, dove passa la gente, sempre più in automobile, sempre meno a piedi….Vedere gli uomini che si affannano, e le donne che gli vanno dietro….

           Ecco: proprio loro, le donne!  Vorrei fermarle, una alla volta: dirle, siediti qui, vicino a me… Parliamo!  Non andargli dietro, agli uomini! 

           Lasciali andare, lascia che corrano verso i loro calvari, i loro infarti, che si dànnino con i loro soldi, le loro carriere, le loro guerre meschine e suicide…

           E lascia andare anche quelli che dicono di avere capito, e che si chiudono in una grotta, o fuggono in cima a una colonna, o lungo un fiume a guardare l'acqua che passa…

           Tu no: tu sta qui con me. Ti racconto la mia storia…  e insieme capiremo. Vedrai quante cose verranno fuori! Vedrai! 

           A tutte le donne, vorrei dirlo: aprite gli occhi!  Non vi accorgete che ci hanno imbrogliato? Quando vi hanno detto, gli uomini: "Sì!  Anche voi siete come noi! Dovete avere i nostri stessi diritti! Essere sullo stesso piano! Perché chiuse in casa, legate al focolare, alle culle, senza neppur bisogno di saper leggere o scrivere?  Non avete anche voi un'anima, un cervello, una personalità, delle ambizioni?… E' giusto: anche voi dovete "re-a-liz-zar-vi"!  E dunque, venite con noi: anche voi in lizza, anche voi in corsa per la carriera, per il potere, per il danaro…"   Quando ci hanno detto così, perché non abbiamo capito l'enorme truffa che stavano compiendo ai nostri danni?  E invece di capire, perché siamo cadute nella trappola, ci abbiamo creduto e abbiamo lottato perché l'imbroglio riuscisse?

            "Come loro", "Come gli uomini!"   Noi!, che gli uomini li facciamo, costruendoli nel nostro ventre fibra a fibra, come l'ostrica crea la perla, e poi crescendoli col latte dei nostri seni, da sempre, come gli animali: come le mucche, le pecore, le scimmie!  Da sempre, perché è giusto così; allo stesso modo, perché non ne esiste un altro; ancorate alla natura, che è il fondamento di tutto.  Mentre loro - gli uomini - impastano città, regni, civiltà che poi distruggono, a colpi di guerre, di rivoluzioni, chiamando progresso il fatto di abitare case sempre diverse, di correre e volare un po' più in fretta, di spostare un poco più in là il confine con la morte, di scrivere musica e libri che dicono immortali ma che il tempo ingoia e rende presto incomprensibili. Presi in un vortice dove ogni nuova soperta, ogni minimo passo in avanti genera nuove schiavitù! Un soldo di più oggi, ed ecco la necessità che domani i soldi in più diventino due! Uno strumento di lavoro più efficiente, ad ecco che questri malati ne colgono la possibilità non di alleviare la fatica, ma di lavorare di più!  Una strada più grande e veloce, ed ecco questi pazzi invaderla in una smania sempre maggiore, di andare, di correre, di fare, di tramare, di esserci, qua e là, dovunque, semza più notte, senza più riposo…. come la goccia d'acqua catturata dalla corrente precipita verso la cascata!…  Un agitarsi impazzito per un una briciola di ricchezza, per un attimo di potere, per una parvenza di gloria, fino a che una puntura di spillo non sgonfia la grande menzogna e tira il sipario su quella ridicola commedia!

           (Il Barbone si volta un attimo verso di lei, quasi volesse intervenire. Ma dopo poche parole della donna, riprende il suo posto.)

           E così anche tu, figlio mio, al quale per un istante ho potuto credere! Anche tu hai visto la pagliuzza nell'occhio di tuo fratello, ma sterile sei rimasto come lui; con le tue parole che non fanno, i tuoi pensieri che radono a zero, il tuo camminare senza andare avanti!  Così, a dolore si è aggiunto dolore, rimpianto a rimpianto… ed anche tu che hai sognato la favola della verità non fai che allungare la teoria degli inutili eroi, piccolo e stupido santo, poeta che latra alle stelle la sua elegia contro l'inno strompettante degli altri!

           E tutto questo sarebbe la Storia del genere umano. Di questo si parla, nei giornali, nei libri! Cambiano i nomi, le date, le facce; la grande menzogna si traveste come il camaleonte, aggiorna il belletto, volta la gabbana, ma sotto le parvenze non vi è che il solito sciame di fuchi che sfarfallano sempre più in alto, o che sprofondano nel buio, attratti da una luce che li acceca o illusi dallo strofinare di un fiammifero che subito si spegne.  Così si realizzano, loro, gli uomini!

           Ma sotto tutto questo, al di là di tutto questo…. noi! Intatte, non scalfibili, vestali della memoria, sicure del nostro compito!   E che cos'è  allora - a paragone di quello stupido gioco degli uomini - quello che noi sappiamo fare, per puro dono del caso, per scelta della natura? E questo da sempre e per sempre, a garanzia che la vita continua, che l'umanità resiste, che potrebbe addirittura farsi migliore, se non fosse che poi quei figli che noi doniamo al grande fiume dell'esistenza crescono, diventano uomini, e cadono nel vortice, nuovi fuchi per salire verso lo specchietto di quella luce che ha già trafitto i loro padri, a farsi trafiggere come loro!

           Apriamo gli occhi, donne di tutto il mondo!  Voi che vi chiamate libere!  Attente!, chè gli uomini ci hanno liberate per quel tanto che rispondeva al loro desiderio e che corrispondeva ai loro interessi, per quel tanto che valesse a liberarli dalla paura di noi! 

           E pensare che noi - che libere ci diciamo - abbiamo lottato perché loro ci liberassero, perché la storia ci affrancasse dal ruolo cui fino a quel momento - ma non da sempre! - ci avevano legate!  Siamo cascate nella trappola: e siamo scese nella strade, abbiamo lottato, abbiamo avuto eroine e martiri… tutto per conquistare il diritto di essere pazze come loro, per farci abdicare al nostro ruolo, per strapparci dal nostro trono, noi, che abbiamo in pugno la vita, noi regine, noi onnipotenti!

           Salviamoci, vorrei dire a ogni donna che mi passa vicino, che mi vede, che mi sente!  Salviamoli, perché salvando noi salviamo anche loro!  Facciamo uomini migliori!  Stiamogli vicino, ai figli che ci escono dal ventre! Non lasciamo che i padri siano loro d'esempio!  Fermiamoli, quando li vediamo costruire anche loro la loro piccola torre di Babele! Quando ci chiamano… siamoci! Insegnamogli la saggezza del vivere attaccati alle cose vere, che sono le nostre, non quelle del mondo come gli uomini lo hanno costruito! Ricostruiamo noi, la vita, là dove è passata e continua a passare  la stupida, inutile potenza distruttiva degli uomini. Torniamo alla natura, che mai avremmo dovuto abbandonare! Non cediamo il nostro infinito, necessario potere di madri per il piatto di lenticchie di un'eguaglianza che ci umilia e che ci svuota!

           Ridiamogli in faccia, agli uomini, quando ci allettano: o scuotiamo la testa, con compatimento, come si fa con i deboli di mente, con quelli che credono di aver capito, e credono di salvarsi scappando. Non è quella la strada! La strada passa per dove siamo noi! Nostra è la verità, nostra è la saggezza! Il nostro ventre è il padrone del mondo!  A noi la natura affida il futuro!

           E attente anche voi - che siete chiamate (e siete!) schiave e serve -  ombre senza volto, corpi velati senz'anima!  Anche se l'altissimo e spesso muro dell'ignoranza e delle tenebre ferma queste parole prima che giungano a voi. Attente, quando giungerà la vostra ora, a prendere altra strada che la nostra: che la vostra libertà non vi porti ad abdicare al vostro ruolo, come noi abbiamo abdicato al nostro!

           Ho detto tutto quel che volevo dire, alla donna che passando per la strada si è fermata, si è seduta accanto a me, ha sentito la mia storia.

           Chiudo gli occhi, e vorrei tornare indietro…

           (Chiude gli occhi. I due uomini voltano appena il capo, lentamente verso di lei.)

IL BARBONE - Mamma!…

IL SIGNORE - Mamma!…

LA DONNA (lontana, con semplicità) - Sì, bambini miei. Sono qui…

                                                                   

Lentamente, buio.

Fine.