Squilla il telefono

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SQUILLA IL TELEFONO

SQUILLA IL TELEFONO

di Antonella Bertoli

Atto unico

Personaggi:

Donna

Uomo

Ragazzo

Secondo Uomo

Seconda Donna

Terza Donna

Quarta Donna

Squilla il telefono. La scena è divisa a metà. Su una metà c’è un divano su cui è sdraiata una donna trasandata, vestita con una tuta larga e stinta, di diversi colori, con i capelli sporchi che sembrano spinaci; ha un tavolino davanti su cui c’è il telefono. Sul divano ci sono varie pupattole di pezza e bambole sparse di qua e di là.

L’altra metà del palcoscenico è occupata da una cucina e un tavolo con due sedie. Il telefono è a parete. Un uomo è seduto al tavolo e sta sbucciando una mela. Ha i piedi appoggiati sulla sedia di fronte.

Il telefono che squilla è proprio questo.

Le scene si svolgono in parallelo.

L’Uomo si alza borbottando imprecazioni e raggiunge il telefono.

«Pronto?» (la voce è normale e poi si altera sempre di più)

«Pronto? Pronto? Prontooooo???? Mavaffan…»

E torna a sedersi, recuperando la posizione di prima.

Appena si è risistemato riprende a squillare il telefono.

Si taglia un dito e sobbalza. Si porta il dito alla bocca imprecando. Sbatte le posate sul tavolo e si rialza di malavoglia riavvicinandosi al telefono.

Stessa scena. Alla quinta volta che dice «Pronto!», l’uomo sbatte la cornetta ed esce di scena succhiandosi il dito ferito, buttando la mela sul tavolo.

La Donna sdraiata sul divano forma il numero sul display. Quando l’altro risponde balza a sedere sul divano e mette giù la cornetta del telefono.

Prende una rivista e la sfoglia nervosamente.

Poi riprende il telefono e rifà il numero. Attende che l’altro dica: Pronto?…

E poi rimette giù il telefono.

Riprende la rivista (Cosmopolitan o Amica o Gioia etc.) Legge:

«Lui vi ha appena lasciato? Non lasciategli il tempo di prendere fiato. Rincorretelo. Fategli sentire che lui è tutta la vostra vita. Telefonategli. Le prime volte non rispondete così lui si incuriosirà. Alla terza (meglio quarta telefonata) rivelatevi con un sospiro. Questo sospiro gli ricorderà tutto quello che di bello c’era tra voi e sarà di nuovo vostro.»

La Donna riflette tra sé e sé mentre ha in mano la rivista e la sbatte su è giù contro le ginocchia:

«Eh certo! Facile a dirsi. Ma se è scappato di qui a gambe levate. Proprio perché diceva che ero così, così!.. vabbè, se lo dice Crepet, ci sarà da crederci! Questi qua hanno fior di psicologi, chi sono io per non provarci… certo che era così bello!…oddio, aveva quei capelli un po’ radi sulla testa che facevano così tanto fraticello, però per me era bello. D’altronde non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace, no? dio come lo amo!»

La donna rifà il numero di telefono…

Risquilla il telefono a parete dall’altra parte. L’uomo rientra di corsa e sbatte un piede sul muro, ha un vistoso cerotto sul dito, si prende il piede in mano imprecando di nuovo e saltellando fa:

«Ahi! Ahi! Ahiiii!!!!»

Riprende in mano il telefono e con voce un po’ sofferente e un po’ incazzata dice:

«Pronto, chi parla? Se sei quello di prima sappi che se scopro chi sei ti faccio un culo così… ti taglio un dito e ti spezzo un piede!… Prontoooooooooo!!!!!!»

Tace e resta lo stesso al telefono con la cornetta attaccata all’orecchio, facendo segno di far silenzio rivolto al pubblico. Si siede per terra massaggiandosi il piede sempre con la cornetta in mano.

La Donna sente il silenzio, ha anche lei la cornetta all’orecchio. Si rannicchia sul divano, poi si stira voluttuosa e gattina e dice:

«Ciao. Scusa. Disturbo? Sono io…»

L’ Uomo alzandosi da terra:

«Ma ti venisse un accidente! Mica potevi dirlo prima?»

Donna: «Prima? Prima quando, mica ero io a telefonare prima. Perché hai ricevuto altre telefonate? Chi ti ha chiamato eh? Chi è stato? Non che io voglia farmi gli affari tuoi, poi sai, però insomma… Ma senti, ti disturbo?…allora, beh! Allora ti saluto…»

Silenzio, tutti e due al telefono.

Donna con voce alterata: «Ho detto ti saluto…»

Uomo un po’ arrabbiato: «Eh no cara! Adesso che mi hai fatto alzare in piedi mi dici che cazzo vuoi alle dieci di sera che sai che per me è un rito alle dieci mangiare la mia mela, che tra l’altro è una mela di nuova produzione, senza conservanti e biologicamente prodotta in un frutteto sull’appennino emiliano-modenese. Domenica ci torno e faccio incetta, anzi se ne vuoi te ne porto un po’. Fanno bene alla pelle se schiacciate e mescolate col miele d’acacia.Ma dev’essere proprio d’acacia perché altrimenti diventa dilatante e invece tu vuoi una crema astringente, vero? Si, si con tutti quei problemi di pori dilatati che hai e la pelle così unta e grassa! E poi vendono anche fragole, di quelle sei ghiotta, mi ricordo!»

Donna incrociando le gambe: «Io? Io avrei la pelle unta e grassa? Ma va là che mi dicevi sempre che bella pelle che hai, che liscia, l’avessi io! E poi,… insomma cosa vuoi che voglia! Solo… solo salutarti, vedere come stavi, ma… sei solo? Le mele dicevi, ah si, grazie. Ma sai che a me le mele proprio non piacciono. E alle fragole sono anche allergica.»

Uomo: «Beh, veramente io proprio… proprio solo solo… non sono. Ma sei allergica alle fragole? Boh! Come cambiano le cose, mi ricordo che ne mangiavi così tante! O forse no, forse era al tuo amico a cui piacevano. Mah!»

Donna: «Ecco, lo sapevo, ti conosco così bene ormai. E io che mi ricordo tutto di te, ma proprio tutto! Magari è perché ti sei buttato subito a capofitto in un’altra storia vero? E adesso è lì con te? E dimmi chi è. No, non dirmelo. È meglio di no. Anzi si. Ne ho tutti i diritti. Chi è? Com’è? No, No. Non dirmelo. Non che me ne freghi qualcosa sai. Era così, tanto per chiacchierare, ma se sei in compagnia, allora non parlo più. Com’è bionda? Mora? O rossa? Si, si, a te piacciono le rosse… Riattacco, ecco. Si, si riattacco. Vuoi che riattacchi? E avanti, dillo che vuoi che riattacchi, che non vuoi parlarmi, che non mi vuoi sentire.»

Donna piagnucolando: «Ti sei perfino dimenticato che non mi piacciono le mele e sono allergica alle fragole e che se ne mangiavo anche una sola mi venivano tutte le bolle rosse in faccia!…»

L’uomo cerca di intromettersi nel discorso della donna ogni tanto dicendo: «Ma no… volevo dire che… ecco io…»

Alla fine si rialza in piedi e dice: «Non volevo dire questo. A si! Mi ricordo quella volta a casa di tua sorella che aveva fatto la torta con le fragole e tu dopo un po’ sei diventata come un pallone paonazzo! Mi ricordo che ridevamo tutti a crepapelle, perfino quel tuo amico che mi hai presentato proprio in quell’occasione. Ma non hai nessun diritto di dirmi con chi sto. Hai fatto tutto tu, come al solito. È sempre la stessa storia con te. Te le fai e te le dici e concludi quello che vuoi. Se vuoi riattaccare, riattacca.»

La donna riattacca la cornetta del telefono e si mette a lamentarsi arrabbiata:

«Quel brutto stronzo. Ecco lo sapevo che non dovevo telefonargli. Ma se lo sogna che io mi metta a piangere per lui. Ecco, brutto stronzo. Se la fa già con un’altra. E ma gliela faccio vedere io, eccome. Altro che star male, io manco per sogno…»

E si mette a piangere buttandosi a testa in giù sul divano. Poi si rialza di scatto e riprende la cornetta del telefono, rifà il numero.

Nella cucina dell’uomo che si sta mangiando la mela risquilla il telefono. Lui lo lascia suonare tre, quattro volte.

«Stavolta non rispondo. E no! Tanto lo so che è lei di nuovo.»

La donna rimette giù la cornetta. Poi la riprende e rifà il numero.

L’uomo nel frattempo prende il telefono e fa il numero.

Tutti e due sentono che il telefono dell’altro è occupato.

Uomo: «Ecco! Sta già telefonando ad un altro. E poi a farmi scenate di gelosia e qua e là. Non le rispondo una volta e zac! Tutto chiuso, finito, stop! Pronti! la rubrica del maschio infinitamente disponibile e via a starnazzare e a fare la civetta. Ma questa volta mi sente, e la miseria se mi sente!»

E riattacca. Torna a sedersi. Guarda la mela e se la rigira in mano.

«Oramai mi fa schifo anche questa mela!»

Dopo le parole:

Ormai mi fa schifo anche questa mela…-

Le luci si abbassano e si riaccendono inquadrando altri due personaggi, un uomo e una donna che entrano rispettivamente dalla parte della donna seduta sul divano e dalla parte dell’uomo seduto al tavolo di cucina.

Secondo uomo: (avanza sulla scena spuntando da dietro il divano dove è coricata la donna che tiene gli occhi chiusi, si guarda intorno di qua e di là)

Io sono la personificazione vivente dei desideri della donna lasciata e abbandonata. Sono bravo e gentile, perfetto sotto tutti i punti di vista. Rido quando mi si dice di ridere, piango quando mi si dice di piangere, amo quando mi si chiede di amare. Nulla di spontaneo faccio, se non richiesto. Io sono ciò che ogni donna vuole. L’uomo perfetto. Il burattino di pezza sognato ed agognato. E mi spengo quando non servo. Peccato che non sia vero. Sono solo una proiezione dell’inconscio. (con voce robotica e cantilenante): Donna volere me, io apparire. Io dire. Io tacere. Io Tarzan, tu Jane.

Seconda donna: (anch’ella avanza sulla scena spuntando da sotto il tavolo della cucina, con fare deciso, spavalda e con la testa alta guardando di qua e di là. E’ agghindata come una signora):

Io sono la personificazione vivente dei desideri dell’uomo che non sa decidere. Che non sa chi e cosa amare. Che non ha ancora identificato l’oggetto del suo amore. Sono la donna che lui vorrebbe per sé, ma anche quella che lui vorrebbe essere. Diventare donna. Pensare da donna. Crescere da donna. Una donna che parla quando le si chiede di parlare, una donna che tace quando le si chiede di tacere. (Abbassando la voce, rivolta al pubblico:) Cioè quasi sempre.

Con fare suadente si avvicina al Primo uomo che sta con la testa tra le braccia abbandonato sul tavolo di cucina:

Guardatelo, povero illuso, crede che gli esseri umani, uomini e donne possano volere e potere qualcosa. Ma nelle vicende dell’amore tutto è vanità e nulla ci è dato per sempre. Come mai non si chiede perché ha lasciato quell’altra? Perchè nemmeno lo sfiora il pensiero di lei? Se sta diventando pazza? Se sta soffrendo? Perché non telefona? Insomma, non è difficile telefonare…

Secondo uomo, avvicinandosi alla Seconda donna in punta dei piedi:

Beh! Dipende. Quando occorre mentire, gli esseri puliti, nuovi, sinceri, innamorati, odiano il telefono. Anzi, anche quelli bugiardi, infidi, disillusi e disinnamorati, odiano il telefono. Comunque, delle due l’una. O non osa ritornare da lei, né telefonarle, oppure sta così bene adesso, altrove, lontano, da solo, che non pensa proprio a lei. Comunque sia, qualcosa nasconde. Comunque, ripeto! Io conosco bene Lei. E’ una vita che ci convivo insieme. Soffre. Eccome se soffre! Gli si era offerta tutta, aveva costruito tutto il suo avvenire su di lui e sul rapporto con lui. Ed ora, poverina si ritrova sola e abbandonata. Sola con le sue bambole di pezza.

Seconda donna:

E io conosco altrettanto bene Lui. Non vorrai insegnarmi a conoscerlo. Dimenticarsi di lei, nemmeno per sogno, e se non osa prendere in mano il telefono, forse corre un rischio mortale. Forse non può telefonare.

Secondo uomo:

E perché non può telefonare? Sei strana. Tu sai qualcosa. Parla.

Seconda donna:

Non può perché lui non sa. Non sa. E’ in una fase della vita in cui deve decidere cosa farne di sé stesso. Non può vivere in una casa che sembra un museo di bambole. Non può vivere con una donna che non capisce il valore della salvaguardia ambientale. Non può vivere con una donna, donna che non gli ricorda nulla dei suoi desideri e delle sue fobie. Donna?

Secondo uomo:

Forse non può vivere con una donna e basta. Hai fatto un esame di coscienza?

Guardati: non sembri una donna, tu. Sembri una mamma. Una mamma maniaca. Maniaca d’ordine.

Seconda donna:

Maniaca d’ordine come Lei è maniaca di disordine. Non formulo nessuna accusa, sia ben chiaro. Ma non dividere i rifiuti, andiamo! Alla sua età è ridicolo! La osservo da un po’: è della razza degli eterni bambini…

Secondo uomo:

Non sai proprio ascoltare. Parlavo di ordine come incoscienza: non esistono anime semplici. Al mondo bisogna fare delle scelte. Le scelte, anche sbagliate, sono preferibili a questa penombra di cui vi compiacete e che ci mette paura.

Seconda donna:

Forse ha bevuto un po’…Lei? Non ci è abituata. Forse dorme, forse si vergogna della sua vita e della sua incoscienza. E’ imperdonabile questa sua incoscienza. Questo suo modo di fare, questo suo abbandonarlo…

Secondo uomo (la piglia per il mento sollevandole il viso):

No. m’ingannavo. Tu sei cieca.

Seconda donna scrollandosi:

Spiegati.

Secondo uomo platealmente:

Lei ha passato giorni di disperazione.

Seconda donna scrollando la testa:

Disperazione? Ha seminato in giro per la casa biancheria sudicia, ceneri, sigarette. Lui soffocava in quel carrozzone e ha dovuto cercare un po’ d’aria. E poi, insomma: a chi tocca lavare, stirare e fare le pulizie in una casa? Alla donna tocca. Da che mondo è mondo!

Secondo uomo:

Ecco che salta fuori l’educazione ancestrale! Ecco che i diritti delle donne vengono calpestati. Decenni di battaglie condotti dalle donne vengono calpestati da un uomo che non sa se è un uomo o cosa! Ma dai! E basta con queste storie. La vicenda è chiara: un bamboccio non cresciuto, egoista e poco acculturato. Che ha in mente sé stesso e basta! Basta. Sei la sua proiezione in tutto e per tutto.

Seconda donna:

E tu cosa ritieni di essere? Hai forse una vita tua? Esisti solo come desiderio non tanto represso di ciò che vorrebbe avere per le mani quella che tu chiami donna! E Lui dovrebbe diventare il suo burattino! E sarei io la maniaca dell’ordine? l’unico a non drappeggiarsi nelle vestigia della borghesia è proprio lui! Te lo dico io cos’è quella donna: una che viene da una famiglia ricca, con tanto di puzza sotto il naso. Lui viene da una famiglia di artisti. E adesso? Cosa mi dici adesso?

Entrano in scena altre due donne che si sostengono a vicenda. Una, vestita di veli fluttuanti dice:

            -Io sono la terza donna. Altro desiderio dello stesso uomo che di donne ne vorrebbe tante, una diversa a seconda del compito da svolgere. Eccomi sono qui. L’etera e danzante, pronta a fare spogliarelli e a scomparire nello stesso tempo appena costui fa un diverso sogno. Eccomi caro, pronta per danzare davanti a te.

L’altra donna (la quarta), vestita da clown la tira per un braccio e la apostrofa così:

-Ma quale e quale danzatrice calva! Ha bisogno di ridere il mio caro ragazzino mai cresciuto. Ha bisogno di vedere il mondo con gli occhi dell’infanzia. Ha bisogno di credere che tutto sia possibile, anche fare il pagliaccio. Ha bisogno di una donna che lo faccia divertire e lo coccoli e lo culli. Ha bisogno della ninna nanna. Ha bisogno di me.

Secondo uomo si avvicina lentamente alla donna distesa sul divano e si stende accanto a lei facendo cenni di disgusto alla Seconda donna e accarezzando piano la donna distesa:

-Svegliati, dolcemente, svegliati. E’ ora di tirare fuori le unghie. Svegliati! Guarda che razza di scimunito avevi per le mani! Uno che immagina di avere quattro donne e tutte per sé. Non sa nemmeno lui cosa e chi vuole. La mamma, la pagliaccia, la sexy o quella vera. Che sei tu. Non sai cosa fartene. Pussa via!

La Seconda donna piano si va a sedere accanto al Primo uomo. Gli prende la mano e la bacia:

-Svegliati caro, dolcemente, svegliati. Risolleva il tuo spirito. Svegliati.

Le altre due donne vanno (la Terza e la Quarta) vanno anche loro e sussurrano all’uomo:

Basta dormire. El mondo el te speta. Basta, svejate caro mio. Ghè bisogno ca te verzi i oci. Su dai. E rimedia a chel erore cussì grande ca te sì drio fare.

Da adesso fino alla fine il Secondo uomo e la Seconda donna insieme alle altre due donne resteranno dietro o accanto al Primo uomo e alla Prima donna facendo cenni di diniego rispetto a tutto quello che faranno e diranno i Primi.

Ritorna al telefono e rifà il numero ma sente di nuovo occupato. Sbatte la cornetta sull’apparecchio esclamando: «Brutta p….! e mi fa le scenate di gelosia. Ma cosa vorrà mai da me che eravamo proprio incompatibili di carattere. Ma si, forse mi piaceva perché sapeva ascoltare all’inizio, ma poi. Sempre a berciare sull’ordine. E sistema questo e metti là quello. E piega quest’altro e i calzini mettili nel cesto del bagno. E poi svuota la lavatrice. E quella mania di fare all’amore. Sempre lì, a lamentarsi. Avesse avuto un bel fisico anche! liscio e asciutto! ma era così formosa, con due tette così, che a me piacciono quei bei toraci piatti, che danno una sensazione di liscio e pulito…E poi tutti quei cibi carnosi e sugosi, che a me se mi va mangio solo prodotti biologici e non animali. E ma perché caro non ti piace il pasticcio e lo sformato alla bolognese che ti ho preparato? Ma come si fa? Una capisce o non capisce. Ma dopo un anno che ti schifo a mangiar carne, sei proprio tonta! E quei capelli poi! Sempre laccati duri, imbacchettati e giù a spruzzarsi la lacca che il protocollo di Kioto l’hanno fatto solo per lei! E trovati un lavoro. Ma dico io: se il tuo stipendio basta e avanza, che bisogno c’è che vada a lavorare anch’io? io bado all’igiene e alla salvaguardia del focolare domestico no? Procuro i cibi macrobiotici e vado al mercato a prendere la verdura. Ma non al mercato rionale, no quello biologico a metà prezzo che ci metto tre quarti d’ora di macchina ad arrivarci. E che, non è mica un lavoro quello? E farle i massaggi alla sera quando tornava, non era mica lavoro? E prendere il bidone dell’immondizia e farsi in quattro per coinvolgerla nel chiederle cosa toccava quel giorno? Non era stabilire un rapporto? E certo se uno si aspetta sempre le solite banalità da un rapporto di coppia, beh! Non siamo in molti a comprendere che il sentimento passa attraverso anche le banalità quotidiane e che la condivisione è trasversale anche alla spazzatura!»

Donna tra se e sè: «Ma se stava con un’altra, a chi sta telefonando? A un’altra ancora? O forse no, sta chiamando il suo amico, il mio ex amico! per raccontargli che lo chiamo sempre e che… Oddio che figura! Basta! Basta! Basta! Non ne voglio più sapere. Me ne frego. Tanto mi passa. Si che mi passa. Presto o tardi. Però vorrei che fosse presto, presto. Prestissimo…»

Riprende la cornetta e rifà il numero. Di nuovo sente occupato.

Piangendo: «Ma perché? Perché, perché devono capitare tutti gli stronzi a me! Io che sono così gentile e dolce. Ma sono proprio io che me li vado a cercare? In amore vince chi fugge, dice il proverbio. E d’ora in poi fuggirò. Dovrà essere lui a cercarmi. Eh si! E pensare che eravamo così carini. Come quando gli dicevo: Caro, i pantaloni piegali invece di buttarli lì sul divano. E lui li prendeva e li piegava, (cambiando tono di voce e facendo un po’ la cantilena seccata) perché poi si stropicciano tutti e a chi tocca stirarli? A me tocca, facesse qualcosa almeno anche lui in questa casa. Come si fa ad andare avanti? E no, dico io, la parità dove la metti? Stessi diritti e stessi doveri. Se io stiro, tu lavi, o fai da mangiare, o i pavimenti. E poi la spazzatura! Sempre a discutere sull’umido o il secco non riciclabile! E leggi quel maledetto foglio del Comune, una buona volta! Devo dirtelo io che oggi c’è la frazione secca e domani la carta e posdomani l’umido. Quattro raccoglitori: una discarica in ogni appartamento! Bella roba la raccolta differenziata, però che due palle! Sempre lì a dividere e poi il bidone giallo e quello verde, e lui no! Tutto insieme buttava. Che poi mi faceva schifo perché toccava a me con i guanti di gomma ad andare a dividere tutta quella spazzatura. Monnezza eh si! E diceva di essere un ambientalista? Ma quale ambientalista! Solo per i grandi discorsi come il buco dell’ozono! Dio se era fissato! Non voleva neanche che mi spruzzassi la lacca. La lacca, pensa! Che con i tubi di scarico e i gas facevo il buco nell’ozono. Con un spruzzatina di lacca. E poi non era neanche capace di dividere la spazzatura! E il dentifricio e lo spazzolino? Mai una volta che tappasse il tubetto del Colgate. Se è per questo neanche la Pasta del Capitano eh? E lo spazzolino? Usava indifferentemente il mio e il suo. Eh no caro mio! E poi a riprendermi sempre perché fumo. E ti bruci i polmoni e ti accorci la vita e ti si imbruttisce la pelle! Ma che: hai studiato da Sirchia?! Porca miseria. Però quanto lo amo.. anzi no! L’ho amato e adesso non lo amo più! Anche se a dire la verità, quante me ha fatte passare! Un maniaco! Macchè sessuale! Magari! Quello una volta la settimana se andava bene, quando non doveva andare a vedere la partita o a fare il calcetto… mamma mia santissima che me lo diceva sempre… fattelo un uomo, cara dai retta a me, ma fattelo subito e sposati e poi fregatene… Un maniaco del non calpestare le aiuole, di portare fuori il cane con la paletta attaccata al culo, che poi le cacche, dico, le cacche le dovevo raccogliere sempre io. E via, in giro col sacchetto pieno di merda del suo cagnaccio bastard…ino. Neanche fosse stato un pechinois (leggi pechinuà) con tanto di pedigree. E poi la foresta amazzonica, e la carta riciclata, e guai a farti piacere Julio Iglesias perché qua si doveva ascoltare solo Sting e vedere i suoi video con gli indios amerindi e gli African United perché non bisognava finanziare il sistema… E non comprarti le creme in profumeria che costano un occhio e fattele tu con le erbe. E giù io fessa a impiastricciarmi di pomodoro col limone e il miele e il cetriolo che alla fine quando uscivo sembravo un’insalata ambulante. Ma vuoi vedere le rughe! Tiè! Eccole qui le rughe che a trent’anni sembro mia madre quando ne aveva sessanta! E le cure con l’olio d’oliva! Che fissato! Mi faceva i massaggi con l’olio d’oliva . Era bravo, dio se era bravo. Era così bravo che ti faceva sdilinquire tutta! Ti passava quelle sue mani forti e dolci sul corpo, sulle gambe, sulle coscie … ahhhh ma poi quando erano arrivate lì lì…beh! Ecco che si fermava e mi diceva:Girati dall’altra parte! E ancora io di nuovo a sperare e ad ansimare e a contorcermi che sembravo una biscia lustra lustra ma quando arrivava al punto fatidico… Si alzava e diceva (con voce stentorea) Voilà la signora è servita!. E tu lì a muso duro!.. e poi una dice, sesso! (cantilenando). A dire la verità non che gli sia mai piaciuto tanto, adesso che ci penso. Qualche volta appena conosciuti.. quasi sempre dall’altra parte, si beh! Insomma avete capito… E adesso? Io gli telefono… dio quanto lo amo… E quando si metteva di là col mio amico, che poi è diventato suo, amico? Aveva bisogno di massaggi, diceva, perché aveva male, mah! Si chiudeva a chiave e io, manco se morivo veniva a vedere di cosa avevo bisogno! Ore e ore chiuso in camera col mio-suo amico. E io qui a guardare la televisione. Che poi dovevo spegnere perché per lui erano tutte cazzate…»

Uomo seduto con i piedi sul tavolo stravaccato sta leggendo la Gazzetta dello sport.

Il telefono squilla. Lui lo guarda e poi guarda verso il pubblico con la faccia schifata. Sulla faccia ha delle fette di cetriolo che si leva piano piano, ad una ad una. Si alza e riprende il telefono dicendo:

«Scommettiamo che è di nuovo lei.

Pronto? Si? So che sei tu, per cui non fare tanto la preziosa e parla. Non sto con nessuna. Con nessuna, capito? E poi a chi stavi telefonando prima che era sempre occupato?»

Donna fregandosi le mani con la cornetta appoggiata tra la spalla e l’orecchio:

«Ah! Ma allora stavi chiamando me?! Che cariiiinoooo! E dimmi, dimmi, caro, cosa volevi dirmi… che ti manco vero? Che anche tu non puoi più stare senza di me e che vuoi tornare a mettere il tuo bel culetto e le tue valigione qui nel mio letto e nel mio armadio. No, non il culetto nell’armadio, si dai che hai capito. Oddio, cerca di portare un po’ meno roba dell’altra volta, perché sai, ho dovuto rifarmi il guardaroba e poi ho risistemato un po’ casa, ho spostato il divano. E sai, a proposito quella specie di pianola con quella cassetta di attrezzi che avevi lasciato qui, beh, non ci stavano più e io ho pensato che…»

Uomo alterato:

«Cosa hai fatto!? Hai buttato il mio piano che era di mio zio pianista di fama internazionale? E la mia cassa che conteneva tutti i miei giochi del piccolo chimico? Ma cosa ne hai fatto? L’ho detto che sei una donna senza scrupoli, senza rispetto per le persone, per la mia persona!? E adesso come faccio a ritrovarli? Dimmi, dimmi un po’. E invece le bambole, quegli schifosi simulacri di ceralacca con pizzi e volants polverosi, quelle le hai tenute vero? Dappertutto, sul letto e sul comò e sul divano… che me li sognavo di notte perfino…»

Donna:

«Ma calmati un attimo. Le mie bambole dici? La mia collezione fa-vo-lo-sa di bambole storiche? E certo che ci sono ancora, non vorrai tarpare la mia fantasia di bambina,vero? Il piano di tuo zio dici? Ma quale fama internazionale che al massimo ha suonato in un piano-bar a Ferrara! E il piccolo chimico te lo ricompro se vuoi. Certo che ne hai di pretese. Quella robaccia con cui facevi quei pestilenziali odoracci e quelle pozioni che poi volevi che bevessi io? Ma non ti ricordi quella volta che mi hai rifilato quella roba verde che poi sono stata in bagno tutta la notte! Il mio piccolo scienziato che a momenti mi faceva ricoverare in ospedale, perché avevi sciolto nella gazzosa le pastiglie contro la stitichezza dicendo che gas e zucchero avrebbero bilanciato l’effetto dissenteria e avrebbero purificato il mio intestino pigro! Vabbè, insomma, hai chiamato tu. O ho chiamato io? Cosa vuoi?»

Uomo:

«Non so chi ha chiamato, non me ne importa un fico secco. Certo che volevo chiederti una cosa già che siamo al telefono. Ce l’hai sottomano il foglio del comune? Beh, dimmi allora cosa tocca domani? L’umido o il secco?…»

Clic. La donna riattacca e fa una faccia allibita sgranando gli occhi. Sulla scena dalla parte dell’Uomo che rimane con la cornetta in mano e la guarda allibito, entra un ragazzo con un asciugamano intorno ai lombi col viso pieno di una crema bianca che gli dice:

«Ma tesoro, sei sicuro che questa patacca che mi hai spalmato in viso faccia bene alla pelle?»

Buio.

FINE