Stazione ferroviaria di provincia

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Scena: una banchina ferroviaria

STAZIONE FERROVIARIA DI PROVINCIA

Atto unico di Giorgio Solieri

testo teatrale depositato - per ogni utilizzo rivolgersi alla SIAE o all'Autore

personaggi:

l’Uomo

la Donna

Scena: una banchina ferroviaria. Sera.

La Donna è da sola in scena. È sciatta, ordinaria nel vestire, con i capelli ed il viso poco curati. È ferma, seduta su di una panchina, e pare immersa in una qualche riflessione tutta sua. Pare prendere una risoluzione, si alza e fa per allontanarsi quando, da lontano, si ode avvicinarsi il rumore di un treno in corsa. Al suono la Donna si blocca e pare voler tornare sui suoi passi. Il rumore del treno si fa sempre più prossimo e l’espressione della Donna sempre più intensa. Pausa carica di tensione che viene interrotta dall’arrivo rumoroso dell’Uomo, che entra correndo. La Donna si volge all’improvviso, come spaventata -o solo distratta- dall’Uomo proprio mentre il fragore raggiunge l’acme. Il treno passa velocemente senza fermarsi e si allontana. L’Uomo si siede sulla panchina senza accorgersi della Donna, rimasta in penombra.

UOMO:  (tra sé) Maledizione, un altro rapido! È il terzo, in un’ora… Niente vocine dall’altoparlante - sarà troppo tardi, forse… chi lo sa?- Solo il rumore del treno ad avvisarti -e certo senza dire se si ferma oppure no- e quando si fa sentire? (a voce sempre crescente di tono) Ovviamente quando sei al gabinetto, con la tua roba che non sai dove mettere in quel dannato stanzino di un metro per uno e tutto quanto finisce dentro un lurido cesso alla turca pieno di merd… (si accorge della presenza della Donna che lo guarda incuriosita e blocca il suo sfogo. Si alza e le si avvicina) Oh… mi scusi, signora, non l’avevo vista… il mio linguaggio… credevo di essere solo e… sa, anche la tensione… sono tre ore che aspetto che si fermi un treno… non ho visto nessuno, in tre ore… appunto credevo di esser solo… il mio linguaggio… scusi. (tra sé, allontanandosi) Che figura!

DONNA:  Strana?

UOMO:  (volgendosi) Prego?

DONNA:  Strana.

UOMO:  Ha detto qualcosa?

DONNA:  Strana!

UOMO:  Signora?

DONNA:  Strana davvero!

UOMO:  Ma… dice a me?

DONNA:  Strana… strana… strana… (continua sulla battuta dell’Uomo)

UOMO:  (sovrapponendosi alla Donna) Signora: sta parlando con me?

DONNA:  Strana… strana… strana… (idem c.s)

UOMO:  (idem c.s.) Guardi che non la capisco… Signora? Signora?

DONNA:  (interrompendo l’Uomo) Strana! (recitando i versi con molta vivacità, gira attorno all’Uomo, quasi a fargli realmente vedere quanto descritto)


Strana atmosfera,

direi senza tempo,

di una stazione,

un lunedì di provincia

in tarda serata.

Un silenzio ovattato,

appena interrotto

dal vago brusío

di poche persone,

attende il passaggio

del prossimo treno.

Sarà certo un rapido

che, senza fermarsi,

riempirà d'un fragore

poco più che istantaneo

quel silenzio ovattato,

appena interrotto

dal brontolío

del ferroviere di turno,

che discute di sindacato

e pensa alla cena

e a sua moglie nel letto.

Sarà certo un rapido

e col suo rumore

potrà ricordare

a due o tre passeggeri,

dimenticati

e lasciati a se stessi,

che prima o poi

anche per loro

un treno si fermerà.

E se quel poliziotto,

che pure è in servizio,

chiacchiera ancora

col piccolo ometto

dall'aria dimessa

di vecchio piazzista,

sarà certo il rapido

a dargli dei guai

svegliando di colpo

il suo maresciallo

che dorme, beato,

in questo silenzio,

l'ho già detto, ovattato.

Un silenzio lasciato

alla sola mercè

di sei ragazzotti,

soldati in uscita,

che cercano vita

cercando di fare baccano,

senza riuscirci, nel bar.

Un silenzio che aspetta

soltanto quel treno

che ne spezzi il torpore

nella strana atmosfera

di questa stazione.

Sarà certo un rapido:

lo stiamo aspettando,

aspettando, aspettando...


Pausa. L’Uomo guarda preoccupato la Donna e piano piano, quasi con timore, se ne allontana tornando a sedersi sulla panchina. Restano fermi qualche attimo, poi la Donna lentamente si avvicina alla panchina sino a fermarsi proprio dietro L’Uomo, che palesa un crescente nervosismo.

DONNA:  Pensa, forse, che io sia… pazza?

UOMO:  (comico, alzandosi precipitosamente) Chi? Io? Nooo… per carità!

DONNA:  Lei pensa che io sia pazza.

UOMO:  (nervoso) Ma che, è matta? No! …Voglio dire… Cosa va a pensare…

DONNA:  (un po’ tra sé e un po’ al pubblico) Lui pensa che io sia pazza… Pazza… (comincia lentamente a ridere. La risata cresce di tono fino a diventare fragorosa per poi scemare) Pazza… magari lo fossi: sarebbe tutto così semplice… Pazza… (all’Uomo) No, non sono pazza… non ancora, perlomeno… non fino a quest’oggi… (l’Uomo ha un moto di palese timore) No, sul serio: si tranquillizzi… Prima scherzavo… È che l’ho vista qui, da solo… L’ho sentita che aspettava un treno… un treno qualsiasi… e quest’aria, qui, stasera… così strana… questa stazioncina di provincia che a quest’ora sembra abbandonata… Mi sono tornati in mente quei versi e così, senza pensarci -d’istinto, quasi… come se lei conoscesse la storia che c’è, dietro quei versi, la storia… che poi è un po’ un pezzettino della mia di storia… La mia storia… sciocca che sono: come fa lei, poi, a sapere… della mia storia- mi è venuto, dicevo, così, spontaneo di recitarli, quei versi… di recitarli a lei, qui, stasera… a quest’ora morta… in questa stazione di provincia…

UOMO:  Una stazione come tante altre…

DONNA:  Sì, dopotutto forse lei ha ragione: come tante altre… (vivace) E quante mai saranno le stazioni come questa? Cento? Mille? Di più? Tutte uguali, tutte silenziose nella sera, tutte apparentemente abbandonate come questa? Forse in tutte c’è qualcuno come lei che aspetta un treno e qualcuno come me che gli secca l’anima con tutte queste stupide chiacchiere senza senso! (ride allegra e molto naturale, “normale”: l’Uomo pare tranquillizzarsi) Povero signore mio! Bloccato, qui, senza poter fuggire -perché se no si perde anche l’ultimo treno!- senza poter scappar via da questa qui, che con ragione le pare una povera pazza, che nel mezzo della notte prende su e le recita una lunga poesia tanto, tanto banale.

UOMO:  Beh… banale poi… io questo non l’ho detto.

DONNA:  (depressa) Come no!? Proprio lei - e giustamente- mi ha fatto notare che questa stazione è uguale a tante altre… Una stazione qualsiasi di una provincia qualsiasi e dunque una poesia che ne parla è una poesia qualsiasi: banale… (ironica) Lei è un critico letterario molto acuto!

UOMO:  (ridendo) Chi, io? Uh, per carità! Non ci capisco niente, io, di poesia, di libri… di queste cose qui. Anche a scuola: un disastro, sapesse… (si sente in avvicinamento un treno) Oh ecco, il treno… Meno male, era ora… Vediamo di non perdere anche questo… (il treno si ferma. Raccogliendo il suo bagaglio ed avviandosi [tono di circostanza]) Sul serio, signora: non penso che sia banale, anzi… in fondo a me è piaciuta, la sua poesia.

DONNA:  (illuminandosi) Davvero? Dice sul serio?

UOMO:  Certo! Eh, come no? …Io la saluto, ora… è stato… Sì, è stato un piacere…

DONNA:  La poesia non era banale… Allora forse neanche la mia vita… Me lo dica anche lei!

UOMO:  Dire cosa? Guardi… ho il treno…

DONNA:  La poesia… la mia vita… me lo dica ancora che non è stata inutile… me lo dica…

UOMO:  Devo proprio salutarla… (si avvia al treno)

DONNA:  (urlando disperata) La prego, non mi lasci qui da sola… (in un singhiozzo) Me lo dica!

L’Uomo si blocca. Pausa di immobilità. Il treno riparte. L’Uomo si volta. Si guardano, poi l’Uomo si siede sconsolato sulla panchina.

DONNA:  Strana atmosfera,

direi senza tempo,

di una stazione,

un lunedì di provincia

in tarda serata…

Curioso, oggi è proprio lunedì, come nella poesia… Alle volte è proprio da questi piccoli particolari che riusciamo ricordare quello che tante cose hanno rappresentato nella nostra vita… Banali questi versi… banali e quindi inutili… Lo sa, lei, che male mi ha fatto anche solo credere che la pensasse così? Un male sordo, profondo, doloroso…

UOMO:  (quasi tra sé) Esagerata! Solo perché i suoi versi…

DONNA:  Miei? No, lei non capisce… Lei crede che li abbia scritti io? Lei crede che io cerchi solo una compiacente lode,  che cerchi di sentirmi dire che sono… brava? (ride sottovoce) Lei ha creduto di capire che io mi aggiro, di notte, per le stazioni delle ferrovie declamando miei versi in caccia di pubblico e applausi… davvero dovrebbe pensare, allora, che sono pazza! No, no, niente di tutto ciò: la poesia non l’ho scritta io, non è mia… O forse sì, forse posso dire che è mia, anche se non l’ho scritta… forse è proprio per questo -perché non l’ho scritta io- che questa poesia è ancora più mia, più intimamente e completamente mia. (pausa. l’uomo la guarda interrogativamente) Lei non capisce, vero? E come potrebbe, dopotutto? Lei non sa… non sa. (pausa) Vede, quella poesia -le cui parole, le ripeto, non sono mie- mi appartiene -no, di più- fa parte di me, della mia vita, perché quelle parole sono nate per me… chi le scrisse, chissà in quale stazioncina… -curioso: non l’ho mai saputo!- …le scrisse pensando a me. La malinconia vissuta in quella stazione nasceva da me, dal fatto che io non volevo… non potevo… (pausa) Ero giovane, eravamo giovani, io e lui, e tanto amici. Ci si conosceva da ragazzi, si era giocato insieme, studiato, pianto, riso … Siamo stati l’uno per l’altra il primo amore, quello fatto più di imbarazzi che di vere emozioni, quello vissuto più amando l’amore in sé che veramente l’altra persona… Poi io sono cresciuta…

In lontananza si sente il fischio di un treno. L’Uomo si rianima e guarda in lontananza.

UOMO:  (distratto) Ah-ha… e lui no? Il suo amico era un ritardato…

DONNA:  No, che dice… ritardato? Lui? Ma per carità… Volevo dire… Crescendo i sentimenti cambiano, maturano… I miei presero altre vie, i suoi crebbero con me. Si trasformavano, maturavano man mano che io crescevo e maturavo, ma erano sempre per me… per me… ogni giorno, ogni ora lo sentivo… vicino a me…

UOMO:  (sempre più attento al treno che si avvicina che realmente interessato alla donna) Ah-ha… persecutorio, maniaco… un bel rompiscatole, eh?

DONNA:  Lei non capisce… Forse nemmeno mi ascolta… Non sono mai stata “perseguitata”… Nemmeno mai me lo ha voluto dire, che continuava ad amarmi… Lo sapevo, lui sapeva che io lo sapevo e tanto bastava, per lui… Solo nei versi, nelle poesie che scriveva per me -come questa- dava voce ed anche corpo ai suoi pensieri…

UOMO:  (idem c.s. ed un po’ strafottente) Dio, che romantico!

DONNA:  Lei continua a non capire! Lei crede, se pure mi sta ascoltando veramente, che fosse uno stupido idiota sentimentale, un immaturo ancora innamorato soltanto dell’idea dell’amore che il ricordo della nostra fanciullezza gli dava in me! No, lui mi amava, e come! A tutto tondo! Mi desiderava, intensamente… Voleva che io fossi la sua donna, una donna vera, in carne, ossa, sesso! Voleva che io diventassi la madre dei suoi figli! …Oggi avrebbero vent’anni e sarebbe il loro turno a soffrire di queste cose… (ride, amara) Un idiota sentimentale… Lei dovrebbe leggere certi versi che mi scrisse… Quelli che scrisse proprio su di me, sul mio corpo… Sul fuoco che sentiva nelle membra al pensiero della mia passione, dei miei abbracci… della mia bellezza!

UOMO:  (squadrandola, tra sé ma a voce tale da farsi udire [il treno è sempre più vicino]) Questa poi no, andiamo! …Bellezza… Passione…

DONNA:  (asciutta) Ah, grazie. Carino da parte sua! È un bel superficiale, lei, dopotutto! Guardi che ai miei tempi… Anche lei, oggi tanto spiritoso, ai miei bei tempi avrebbe fatto le sue brave bave!

Il treno si ferma.

UOMO:  Signora, la prego! Ora si esagera… Finiamola qui! Il treno è arrivato e questo qui proprio non posso perderlo! Buonanotte.

DONNA:  Ah, no! Troppo facile! Bella scusa, il treno! Lei adesso mi fa il piacere… (si fruga nelle tasche) …Lei adesso avrà la bontà di dirmi… ma dove l’ho messa? (trova una fotografia) …Ecco! (raggiunge l’Uomo) Lei adesso mi dice se ho diritto o no alle sue scuse!

La Donna ficca a forza nelle mani dell’Uomo la fotografia. L’Uomo getta uno sguardo distratto poi sgrana gli occhi, lascia cadere il resto del bagaglio e fissa attonito la foto.

UOMO:  (scandalizzato) Ma… Signora!!!

Pausa. Il treno riparte e si allontana.

DONNA:  (trionfante) Allora? Che mi dice dei miei bei tempi?

UOMO:  (imbarazzatissimo) Signora… questa foto… è… è indecente… questa qui è lei e sta… sta… è con quest’uomo e sta… (osserva meglio la foto e, con morbosità, tra sè) …alla faccia del poeta romantico!

DONNA:  No, non è lui… Le ho detto che io non volevo… però… forse in fondo avrei voluto… No, non l’ho mai amato… però, come dire… come dire… avrei voluto poterlo amare, ecco. Ragionandoci, anche allora, non c’era un motivo al mondo perché io non l’amassi: era gentile, appassionato, mi rispettava come essere umano, mi amava… come credo nessuno abbia mai potuto… gli volevo bene, era il mio più grande amico… c’erano cose, pensi, di me che solo lui conosceva perché solo in lui avevo tanta fiducia da raccontargliele, eppure noi… mai… no, no, mai… (pausa, poi con solennità) No, non c’era un motivo al mondo perché io non l’amassi ad eccezione del fatto che non lo amavo. (ridacchia) Guardi, era così assurdo che giunsi persino a credere che non amavo lui perché non ero capace di amare e invece no… invece no… Giunse nella mia vita un altro ed io seppi che potevo e sapevo amare… (con sofferenza) E come, sapevo amare!

UOMO:  (ormai preso da interesse) Un altro?

DONNA:  Mio marito… è lui, nella foto… Lo divertiva molto fare degli “autoscatto” quando stavamo insieme… (riprende la foto) questa l’abbiamo fatta da fidanzati… bei tempi anche quelli… più tardi, da sposati, cose così (ridacchia ammiccando) spinte non l’abbiamo più fatte… forse, sa, (molto ironica) la sacralità del matrimonio, l’eco delle parole del prete, il ricordo della musica, là, nella navata della chiesa… chissà… però cose così non l’abbiamo più fatte… È una cosa buffa… sapesse quanto ci ridevamo, col mio amico… Ci scrisse persino sopra… “Ode al mandrillo perduto”

UOMO:  Col suo amico?!? Il… sì, insomma… il… poeta?

DONNA:  Le ho detto che eravamo amici, amici grandi, no? Pensi, fu lui il mio testimonio… Anzi, fu lui ad aiutarmi a scegliere l’abito! E quanto ci avrebbe tenuto a far da padrino ai figli che poi non ebbi… Sa cosa mi diceva sempre? “Tuo marito è tuo marito e va bene, ma se mai ti trovassi un amante…” e faceva la faccia di Otello geloso. Era uno scherzo, certo, ma fino a un certo punto: era un modo per dirmi che aveva capito quanto era importante mio marito, per me… (con voce sempre più triste) …quanto lo amavo, quanto sempre lo avrei amato, quanto lo amo ancora adesso che… ancora adesso che… (piange)

UOMO:  Adesso… che… cosa?

DONNA:  Non lo so. Ci crede? Non lo so. Non lo so cosa è successo… Indifferenza, ecco: questa è la parola… Indifferenza. È qualcosa che è nato piano, giorno per giorno, come un piccolo tarlo che abbia cominciato a rosicchiare un vecchio mobile. Dapprima la passione, poi la confidenza e giù, giù, giù lungo una china inarrestabile. Ogni giorno un poco di più fuori della nostra casa. Mio marito oggi mi guarda e non mi vede… Se ci incontriamo mi evita e se l’incontro non è casuale, se sono io a cercarlo, mi evita con palese fastidio. Ha un’altra? Non lo so, forse… ma non mi interessa… potrebbe essere qualunque cosa… potrebbe essere malato, magari in fin di vita e non voler più nessuno attorno o potrei essere io, senza saperlo, a star per morire e lui, sapendolo, evitarmi dal dolore… Potrebbe avermi preso in odio oppure per troppo amore… non lo so… non lo so… non lo so e non mi interessa. Il perché non mi riguarda: ciò che conta, per me, è solo il non sentirmi più amata…  sono una bimba viziata, un’egoista: non ho più il mio giocattolo e questo solo mi fa sentire così… L’indifferenza e la solitudine… Io sono sola… non ho nessuno… non ho nemmeno me stessa perché -ora lo so- io non ho nulla, dentro… Io non sono niente, niente, NIENTE! (pausa) Tre giorni fa il mio amico… sì, il poeta… è morto. Un incidente… cose che capitano. Oggi… no, ormai… ieri sono andata a vederlo, prima del funerale, ed ho pianto. Lei dirà: “Beh, è naturale!” …E invece no. Ero lì, di fronte a lui e piangevo, sì, ma di quel corpo vuoto, in fondo, non mi importava nulla! Piangevo perché, ora, non sentivo più nemmeno il suo, di amore, intorno a me… Era come se pensassi “Ma guarda che sfortuna: prima mio marito, ed ora ho perso anche lui: il mio povero poeta… il mio buffone di corte!”. (pausa prolungata. in lontananza un treno si avvicina) In realtà, alla fine, ha proprio ragione lei: ogni stazione è come le altre, banale, ed anche quella poesia è banale… inutile: come la donna per cui è stata scritta.

La Donna rimane in silenzio, abbattuta. L’Uomo le si avvicina palesemente in imbarazzo. Il treno si avvicina.

UOMO:  Signora… se posso fare qualcosa (il treno è vicinissimo)

DONNA:  (improvvisamente eccitata) Sì, la prego… faccia qualcosa… faccia qualcosa che mi faccia sentire viva, VIVA!

Restano un attimo immobili, poi la Donna, di slancio, abbraccia l’Uomo e lo bacia appassionatamente. L’Uomo è totalmente passivo all’abbraccio. Il treno si ferma e poi riparte. L’Uomo si scuote ed allontana violentemente la Donna.

UOMO:  Signora, la prego! Questo è veramente troppo! Io… io capisco tutto, però…

DONNA:  Si calmi, si calmi… non accadrà più… anche perché… ormai… è fatta.

UOMO:  Cosa?

DONNA:  Sì. dico… ormai è fatta. Quello era l’ultimo treno, e lei lo ha perduto. Il prossimo non passerà che domani mattina.

UOMO:  (progressivamente infuriandosi) Come, come, come? L’ultimo…? Ma che razza di scherzo è, questo? Oh, santo cielo, ma tutte a me capitano, stasera? Che cos’è questa storia, eh? Una specie di scherzo idiota, un gioco di società oppure… che cosa? No, eh… adesso lei mi spiega se no, quant’è vero Dio… Adesso lei mi spiega…

DONNA:  No, la prego, cerchi di non arrabbiarsi troppo… anche se, certo, ne avrebbe… No, non è uno scherzo, e nemmeno un gioco… È… non lo so, non saprei nemmeno dirglielo… Certo, sì, io le ho voluto far perdere il treno ma… non per lei… È che… È che se lei avesse preso un treno io sarei rimasta sola e avrei preso io il treno successivo… o meglio, lui avrebbe preso me.

UOMO:  Pretenderebbe di farmi credere…?

DONNA:  Per carità! Lei è padrone di credere quello che vuole. Io le dico solo che lei mi ha aiutato a perdere il coraggio di fare… di fare…

UOMO:  Una pazza! lo dicevo, io! …E adesso? Cosa pretenderà, ancora? Che le faccia la guardia tutta la vita?

DONNA:  Oh, no, si figuri! Lei è libero, ora… Quello era l’ultimo treno della notte, gliel’ho detto, il prossimo non arriva prima di domani mattina e domattina, qui, ci sarà il capostazione, i facchini, i pendolari… Non deve preoccuparsi… Il sole sarà già alto e gli egoisti vigliacchi come me non ce la fanno più a pensare a certe cose, se il sole scalda loro la pelle, perché la pelle, sentendola di nuovo così, calda, viva, la tengono troppo cara! E se per avventura trovano qualcuno -un complice, come lei!- che li aiuti a sconfiggere pochi istanti di coraggio, finiscono sempre con il dire “Domani è un altro giorno” …È una battuta, vero? Chi la diceva…? Ah, sì: Rossella alla fine del film… “Domani è un altro giorno” …Ma che giorno sarà? È bene dormirci sopra, sa? È bene dormirci sopra…

La Donna esce.

SIPARIO