Stelle de Roma

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STELLE DE ROMA

di Fiammetta Veneziano(Posizione SIAE 180135)

Note introduttive

La Breccia di porta Pia  non costituì solo un evento storico e  politico di grande importanza per tutta l’Italia e la città di Roma, ma rappresentò anche l’occasione per tentare la fortuna: ai bersaglieri si accodarono speculatori, truffatori, aspiranti politici, ma anche scrittori, artisti e “gazzettieri” (i cronisti al seguito delle truppe).

Fino al 1870, i romani avevano come fonti di informazione solo le "Notificazioni" dell’autoritàecclesiastica e i fogli attaccati alle statue di Marforio e Pasquino che, a mo’ di satira, commentavano il malgoverno pontificio. Altro non c’era. In città, d’altronde mancavano i tipografi, gli
edicolanti, gli strilloni e tanti erano analfabeti. Romapapalina era una città molto diversa dalle altre capitali europee. Era simile a un paese, con le vigne sul Campidoglio e labiancheria stesa al sole, pochi caffèe molte osterie dove si beveva vino e si giocava alla Passatella.

In poco meno di due anni dalla presa di Roma sorsero ben 18 quotidiani.

Tra i nuovi arrivati si imposero due futuri editori, Raffaele Sonzogno ed Edoardo Perino.

Sfruttando subito l’opportunità offerta dall’unificazione, Perino(con moglie, un figlio, tre sorelle al seguito e  pochi soldi) decise di raggiungere la capitale portandosi dietro anche un piccolo torchio a pedale. Aprì una piccola bottega a piazza Colonna e installò la sua “Agenzia Giornalistica”, nella quale vendeva tutti i giornali che era possibile acquistare, anche quelli stranieri (come “Le Figaro” e “The Times”). Quel negozietto, pubblicizzato anche sulla guida Monaci, divenne ben presto il punto di riferimento dell’informazione cittadina, di chi “voleva sapere”. Considerato il successo di questa prima apertura, Perino decise di estendere la vendita dei giornali per mezzo di bancarelle sparse per la città. Vendeva di tutto: biglietti della lotteria, dei balli e delle mascherate, cartoline, libri, balsami per capelli e rimedi medici; intanto, da abile tipografo, stampava biglietti da visita a prezzi stracciati (una lira ogni cento copie), opuscoli, fogli e volantini di ogni genere. Ebbe anche l’idea di vendere dei cartoncini che riportavano l’esito del processo Sonzogno non appena il tribunale emise la sentenza. (Sonzogno era stato ucciso con 13 coltellate nella sua redazione da un sicario incaricato e pagato dal socio Giuseppe Luciani, amante della moglie) Piano piano l’azienda crebbe. Fu necessario trasferirsi e, dopo vari cambi di sede, approdò in “via del Lavatore 88, palazzo proprio” (come orgogliosamente indicava nelle sue pubblicazioni).  La modernità delle attrezzature che utilizzava gli fece ottenere nel 1890, la medaglia d’argento e il diploma alla prima mostra industriale di Roma. Successivamente fu insignito dal ministero dell’industria e del commercio di una medaglia per l’incremento dato all’industria tipografica e al commercio librario. Onesto, infaticabile, sanguigno, spregiudicato, socievole, gioviale, parsimonioso, dotato di notevole senso pratico e, soprattutto, guidato da grande inventiva e intuito industriale, il “Sonzogno romano” (come venne definito da colleghi e letterati dell’epoca), riuscì in breve tempo a conquistare uno spazio dominante nel panorama editoriale della capitale. Pubblicò opuscoli, collane, riviste, testi dal contenuto clericale, anti-clericale, rivoluzionario, filosofico, umoristico e scientifico, romanzi d’amore e vite di santi, romanzi d’appendice, diari di viaggi, resoconti di esposizioni, biografie, poesie e prose romanesche e persino i testi delle canzoni della festa di S. Giovanni: fu sua l’idea di dare il via al primo festival della canzone romanesca, in continua concorrenza con gli altri editori che anticipava o sbaragliava con le sue ingegnose, anche se talvolta discutibili, trovate. Su suggerimento dell’amico Giggi Zanazzo diede vita al giornale, sospeso da tempo, “Rugantino” dove apparvero le prime poesie di un giovanissimo Trilussa sotto il nome di “Stelle De Roma”. Zanazzo in quell’epoca dirigeva la Compagnia Romanesca che recitava al Teatro Rossini,  in piazza Santa Chiara.

La commedia si svolge appunto nel periodo in cui il sodalizio Perino - Zanazzo fruttò all’editore e allo scrittore grande notorietà.

Tranne Salvatore Di Gennaro, i personaggi si riferiscono a persone realmente vissute e le citazioni degli accadimenti riguardano fatti avvenuti veramente.

personaggi

Edoardo Perino    tipografo/ editore                                                                                          

Elisa                       sua moglie                                                                        

Tonio                     suo figlio                                                                                           

Crescenza                                                                                                                                        

Anna                         sorelle di Edoardo Perino                             

Luisa                                                                                                                                                                 

Giggi Zanazzo     scrittore/ attore/direttore artistico del Teatro Rossini e della Compagnia Romanesca

Agnese Bianchini      moglie di Zanazzo, prima attrice della Compagnia Romanesca    

Pippo Tamburri        attore                                                                                          

Carlo                           Trilussa 

Adelaide Ristori         attrice e patriota. Famosa anche all’estero

Salvatore Di Gennaro portavoce di Salvatore Di Giacomo

L’ambiente è la strada antistante alla casa editrice Perino a Roma in via del Lavatore 88. C’è una porta che dà direttamente nello stabilimento, poi una finestra e una porta rialzata con delle scale da un lato che conducono alla casa privata di Perino.

Un’uscita  per  la strada  che arriva davanti allo stabilimento. Da qui entrano ed escono i personaggi.

SCENA 1

All’apertura del sipario stanno montando l’insegna del nuovo stabilimento di Edoardo Perino” PERINO EDITORE”.

Edoardo, Tonio, Crescenza, Luisa e Anna guardano.

EDOARDO:                         Un po’ più su…no troppo…ecco…adesso pende a destra.

                                               No, adesso a sinistra.  Bene. A posto.

CRESCENZA:                     (disgustata) Fa un certo effetto direi.

ANNA :                                 Non è troppo?

EDOARDO:                         Troppo che?

LUISA:                                 Troppo esagerata.

EDOARDO:                         Ma va! E’ giusta invece. (fanatico) Ce pensate? A Roma, oltre a me chi altro c’è? Nessuno. Non sono più un semplice tipografo, io sono un editore!

TONIO:                                 Che bella papà! Però la potevi fare più colorata ecco!

EDOARDO:                         E’ colorata, non lo vedi che è rossa?

TONIO:                                 Rosso sbiadito però.E’ più color ruggine, ecco.

EDOARDO:                         E’ elegante, decorosa. La nostra è una casa editrice seria. Solo autori famosi e libri istruttivi. Non come quella di Raffaele Sonzogno. Niente calunnie, falsità o politica da quattro soldi.

TONIO:                                Sonzogno? E chi è?

EDOARDO:                         Quell’editore che avevano ammazzato no?  Non te lo ricordi? Fu uno scandalo.

TONIO:                                Siiì, quello del processo!Tu avevi pure messo in giro i biglietti con le ultime notizie della sentenza. Hai fatto un mucchio di soldi!

EDOARDO:                         Quello. Faceva meglio a restarsene a Milano. Teneva pure le corna! Guarda com’è finito: accoppato dall’amante di quella sgualdrina della moglie!

CRESCENZA:                    Edoardo!

ANNA:                                  Mamma mia!

LUISA:                                 Ti sembrano cose da dire a un bambino?

EDOARDO:                         Bambino? Ma se già cià l’età  pe’ prende’ moglie!

TONIO:                                Papà, vabbè che Sonzogno  era milanese, ma pure tu non sei romano, ecco.

EDOARDO:                         Shh, zitto sa, io sono un romano verace, senti a me: “ la tera, er sole, a lallera, a ciumaca” o senti che ormai so’ romano de Roma?

TONIO:                                E io?

EDOARDO:                         E tu ancora meglio no? Sei venuto a Roma ch’ eri appena nato!

TONIO:                                Allora so’ gajardo!

CRESCENZA:                    Ti senti come parli?

ANNA:                                  Devi esprimerti in italiano.

EDOARDO                          Tonio non stiamo  a perde tempo, entramo che ciavemo da fa’. (spinge il figlio dentro lo stabilimento)

LUISA:                                 Mi meraviglio di te. Fai l’editore? Ti occupi di cultura? Allora esprimiti con proprietà.

EDOARDO:                         Ma io m’esprimo co’ proprietà, so’ er proprietario no? Ah, ah, ah!

ELISA:                                 (entrando) L’hanno messa su?

EDOARDO:                         Guarda che effetto! Una meraviglia! Adesso ciabbiamo uno stabilimento vero e proprio. A Eli’, too ricordi quando me so’ indebitato pe’ comprà quella pedalina che  stampava giusto qualche biglietto? Eccome qua, io Edoardo Perino, l’editore. Chi deve  pubblica’ qualcosa, deve venì da me! Farò conosce a tutti i grandi autori classici e icontemporanei. Una sistemazione come questa aveva bisogno di un’insegna de tutto rispetto.

CRESCENZA:                                    E’ volgare!

ANNA:                                  Sguaiata!

LUISA:                                 Esagerata!

EDOARDO:                         Aho, mai una soddisfazione, so’ circondato da cornacchie menagrame.(Entra nella TIPOGRAFIA)

ELISA:                                                 Ho visto in giro parecchie insegne anche più grandi e colorate di questa. E’ moderna.

ANNA:                                  Da che stiamo a Roma abbiamo perso il gusto per la riservatezza.

LUISA:                                 La signorilità.

CRESCENZA:                    L’eleganza.

ELISA:                                                 Peccato che non abbiamo perso il gusto de “magna’”!

CRESCENZA:                    Che significa?

ANNA:                                  Che vuol dire?

LUISA:                                 Cosa intendi?

ELISA:                                  A buon intenditor poche parole! (esce))

ANNA:                                  Anche lei s’è involgarita.

LUISA:                 Plebeizzata.

CRESCENZA:     E la lingua avvelenata.

Improvvisamente si sentono degli strilli.

EDOARDO:   (f.s.) Ch’ hai fatto! Ch’ hai fatto! Lo voi capì che in una casa editrice seria non si possono fa’ simili erori?

TONIO:                 (f.s.)Papà, scusami io non c’entro...

EDOARDO:   T’ho lasciato un momento solo e tu che me combini? (entrano,  Edoardo si asciuga la fronte)Tonio, nun sei bono! Tonio nun sei bono!

ANNA:                  E lascialo stare!

CRESCENZA:      E non lo sgridare!

LUISA:                 E fallo campare!

EDOARDO:         Ma che volete voi? Sempre a contraddirmi sempre a viziarlo.

ANNA:                  Tonio è un bravo ragazzo, deve ancora imparare il mestiere.

EDOARDO:         All’età sua io già lavoravo in tipografia 24 ore al giorno!

CRESCENZA:     E deve fare per forza la stessa gavetta?

LUISA:                 Dagli il tempo che ci vuole.

TONIO:                 Io mi sto impegnando...

EDOARDO:   E figurati se non te ‘mpegnavi! Per fortuna         che solo uno ce n’ho,  pensa se mi moje me ne  sfornava 6.

ANNA:                  Mbeh? A casa siamo già 6.

EDOARDO :Proprio pe’ questo no? Ma che ve parlo a fa’ tanto non me capite.

CRESCENZA:     Che errore hai fatto stavolta?

TONIO:                 Biglietti da visita.

EDOARDO:   Sbagliati! No dico: non è che t’ ho fatto stampa’ ‘na rivista, un quotidiano, un libro. Solo un misero biglietto da visita.

TONIO:                 Cento.

EDOARDO:   Fatto uno, rovinati 100. La carta costa che te credi. E 100 biglietti io li vendo solo a ‘na lira, ma se tu me li fai butta’, come faccio a dalli via a quer prezzo?

LUISA:                 Su vieni che ti prepariamo i biscottini.

CRESCENZA:     E ci mettiamo pure l’anice eh?

ANNA:                  Ti facciamo le ciambelline.

TONIO:                 Col cioccolato? Perché a me mi piace il cioccolato.(escono)

EDOARDO:         Dove andate? Io vi sto parlando, ascoltatemi! Mica è un pupo!(salgono a casa)

SCENA 2

ELISA:                  (rientrando) Ch’è successo?

EDOARDO:                         Che vuoi che è successo, il solito…

ELISA:                  Tonio?

EDOARDO:                         E solo Tonio ciavemo.

ELISA:                  Tu non hai pazienza.

EDOARDO:                         E co’ me chi ce l’ha avuta la pazienza eh? Che mi padre me faceva trottà.

ELISA:                                 Sì la sappiamo a memoria la storia, ma Tonio ha un altro carattere, è sensibile povero figlio.

EDOARDO:                         E sta sensibilità a caccia fori solo quando je pare! Mai un po’d’attenzione al lavoro, dico io.

ELISA:                                 E s’imparerà.  Adesso dove sta?

EDOARDO:                         Sta a fasse fa’ e “ciambelline”!

ELISA:                                                 Almeno quelle tre servono a qualche cosa, visto che ce l’abbiamo sul groppone.

EDOARDO:                         Non cominciamo eh? Dove vuoi che le metto? Mica le posso butta’ in mezzo a ‘na strada no?

ELISA:                                                 Lasciamo perde. Senti ‘npo’ non mi pare male questo romanzo di Grazia. L’hai letto? Stava nel  secchio della spazzatura.

EDOARDO:                         Adesso pure quella si mette a scrive romanzi. Qualche raccontino va bene, ma ciò ben altro da pubblica’. Poi co tu fijo che ne combina sempre una...

ELISA:                                                 Metto il romanzo sul bancone. Dagli un’occhiata. Non lo buttà.

EDOARDO:                         Mi so’ fatto l’aiuto editore, anzi er critico d’arte.        Già j’ho pubblicato quel raccontino...come se                 intitolava eh? Ah “sangue sardo” qui a Roma ce vojono cose forti, cose gajarde.

ELISA:                                                 Grazia è una “buona” te lo dico io! Non sta’ a pensà all’età o  alle cose “gajarde”. Leggi il romanzo dammi retta. “Memorie di Fernanda”.

EDOARDO:                         Te nomino capo assoluto de tutto lo stabilimento, va beh? Anzi ce metto il nome tuo sull’insegna.

ELISA:                                                 Stai a sentire quello che dico: Grazia Deledda farà    strada. Ti vanti d’ esse il più grande editore a Roma, allora fa’ vedere che ce capisci qualcosa no?(va a casa)

EDOARDO:                         ( gridandole dietro) Ma sentila, che te sei messa in testa, aho!

SCENA 3

GIGGI:                  (entra)Sor Edoardo bongiorno.

EDOARDO:                         Olà Giggi

GIGGI:                                  Che ciavete? Me sembrate ‘npo’ arabbiato.

EDOARDO:                         E mo me passa.

GIGGI:                                  Ah, ma avete messo l’insegna nova!

EDOARDO:                         E già, che ve sembra?

GIGGI:                                  Io l’averessi  fatta più colorata!

EDOARDO:                         Pure te?

GIGGI:                                  Chi l’ha detto, vostra moglie?

EDOARDO:                         Quel tonto de mi fijo.

GIGGI:                                                 Se la pensa come me non me pare così tonto. Comunque voi sete er padrone e me pare giusto che l’avete fatta come ve piaceva.

EDOARDO:                         Così se parla. Tu sì che sei ‘n’omo!

GIGGI:                                  Modestamente, vero!?

EDOARDO:                         Che stai a preparà al Rossini?

GIGGI:                                                 Se mia moje nun me rompe con le paturnie sua, come ar solito, ridamo “Pippetto ha fatto sega a scola”

EDOARDO:                         Sta commedia me pare che va, che piace proprio.

GIGGI:                                                 Er pubblico ce s’ammazza da ‘e risate. Ho penzato pure de scrivene artre co lo stesso personaggio  pe’ protagonista.  Per  esempio: Pippetto sposa.

EDOARDO:                         Voi  dovete scrive qualcosa pe’ vostra moglie. La signora Agnese sì che è una grande attrice.

GIGGI:                                                 Sapete come so’ e prime donne, sta sempre                a discute co Pippo Tamburri che vole mette in scena er                 Meo Patacca. E poi s’è ngelosita de ‘na nova corista,‘na regazzina…

EDOARDO:                                         Dovete avè pazienza, pensate a me che ciò quattro donne     dentro casa, quattro dico mica una!

GIGGI:                                  Er padreterno v’ha benedetto!

EDOARDO:                         De sta benedizione ne facevo a meno, ma venite dentro che ve faccio vedè un tipo de locandina che po’ andà bene per Rossini

GIGGI:                                                 Sor Edoa’ lo sapete che vojo da voi, dovete rimette in giro  er “Rugantino”. Questo e il momento giusto. A Roma, respiramo mejo senza er Papa.

EDOARDO:                         Mo’ vedemo. Ce vole n’occasione, ‘na notizia specialissima pe’ fallo uscì.

GIGGI:                                 E ‘na notizia c’è!(entrano in tipografia)                                      

SCENA 4

Entra Agnese, la moglie di Giggi Zanazzo, è affannata.

AGNESE:                             Giggi, a Giggi, ‘ndo stai che te possino.

ELISA:                                  (dalla casa entrando) Buongiorno Agnese.

AGNESE:                             Avete visto mi marito?

ELISA:                                  Sta dentro a parla’ co’ Edoardo, so’ tutto presi.

AGNESE                                              ‘Sto morammazzato, se comporta come un cretino, nun me sta a sentì, come se non esistessi. Fa er galletto  e io ciò i regazzini da guardà, e lui non se li fila mai.

ELISA:                                                 Un po’ ve ‘nvidio sapete? Io ciò solo Tonio,  altri figli                              non ne sono arrivati e ogni tanto Edoardo me lo ricorda. E’ sempre colpa della donna, se sa. Ma io che ci posso fa’? Poi quando s’arrabbia co’ Tonio dice “menomale che ciò solo a lui”

AGNESE                                              Me dispiace che ve crucciate. Certo i fiji so’ na benedizzione,  però so pure ‘na preoccupazione.

ELISA:                                                 Su questo ciavete raggione . Tonio, me dà tanto da pensa’. E’ stato viziato da quelle tre zitellone delle mie cognate. A casa nun posso parlà. So’ sempre l’ultima. E’ come se ciavessi tre socere dentro casa. Eppure devo trovare il modo di togliermele davanti.

AGNESE:                             E come ? So’ tre, mica una!

Entra Pippo Tamburri.  E’ sempre su di giri.

ELISA:                                  Uno dei tre problemi me lo potrebbe risolvere lui!

PIPPO:                                                  Ohe donne che state a fa’? Un ber cappottino che voo dico a fa?

ELISA:                                  Buongiorno Pippo.

AGNESE:                             Che volete, me state a seguì per caso?

PIPPO:                                  Ciò bisogno de parlà co’ Giggi, ndo’ sta?

AGNESE:                             Sta ‘ndo deve sta, che bene sta.

PIPPO:                                  Senti che spirito che cià a primadonna!

AGNESE:                             Vedete de sparì, che nun è aria.

ELISA:                                  Signor Pippo nun ve state a preparà pe’ stasera?

PIPPO:                                  Stasera nun recito, ce sta Pippetto e io so Meo Patacca.

ELISA:                                                 Ve vado a chiamà Giggi che sta a confabbulà co mi marito.(entra in tipografia)

PIPPO:                                                  Allora Agnesuccia, perché fate ‘a schizzignosa? Perché nun  soridete invece de fa’ a rognosa?

AGNESE:                                             Rognoso ce sarete voi, spirito de patata! Vedete de   giramme a largo e pure a mi marito, che quando confabbula co’ voi finisce che litigamo.

PIPPO:                                  Aho che temperamento!

Entrano le tre zitelle da casa che al cospetto di Pippo civettano.

ANNA:                                  Oh salve Pippo, che fate costì?

LUISA:                                 Tamburri , il grande attore qui!

CRESCENZA:                     Un po’ de ciambelline ve le potemo offrì?

AGNESE:                               (a se stessa) Mammamia che  gattemorte lì . Beh io ve  saluto arivederci. Co’ mi marito ce parlo a casa.

ANNA CRESCENZA E LUISA: Arivederci!

PIPPO:                                  Agnese a presto, e ricordateve : nun fate a…

AGNESE:                             Schizzignosa, ce lo so. (alza le spalle ed esce)

TONIO:                                                (entrando da casa) Ner forno, ziette belle, quanto cianno da sta e ciambelle?

Entrano Edoardo e Giggi

PIPPO:                  Ma che bravo, parli in versi mo? A sor Perino che je dite  a vostro fijo, che verseggia?

EDOARDO:                         (esce dalla tipografia) Ma che verseggia e verseggia, deve andare a lavorare. Vai cocco su, c’è da stampare quei famosi   bigliettini da visita!

TONIO:                                                Papà, io non capisco perché, visto che stampi giornali, libri, romanzi racconti e pure l’enciclopedia, continui a prendere i lavori da poco, ecco.

EDOARDO:                         Mo si nun te movi...Impara l’arte e mettila da parte, che te dice ‘sto detto?

TONIO:                 Che me devo ‘mparà a stampà.

EDOARDO:                         Appunto e se non sai fa’ manco un biglietto come fai a  stampà un giornale? Entra va.

TONIO:                                Volevo salutare Pippo.

PIPPO:                                  E io saluto a voi.

TONIO:                                Volevo salutare Giggi.

GIGGI:                                 Salve.

EDOARDO:                         Buongiorno a voi. Su bello su. (entrano in tipografia)

GIGGI:                  Ohe Pippo che me cercavi?

PIPPO:                  Visto che stasera nun recito,  tra er primo e er second’atto me piacerebbe pronuncià ‘sti pochi versi.

GIGGI:                  Sentimo:

PIPPO:                  Tanto ho girato che me so’ stufato

                                               Nun m’è piaciuta nessuna nazzione.

                                               In Inghirtera er cielo è affumicato

                                               A Pariggi c’è troppa confusione

                                               In Spagna er callo fa morì sfiatato.

                                               Ch’avria da fa? Tornamo ar cuppolone

                                               Roma Capitale! Corpo de Giove !

                                               Tu sei er più ber cielo , si nun piove!

CRESCENZA:     Bravo, bravo, bravissimo.

ANNA:                  Che versi, che poetare!

LUISA:                                 Che grandissima recitazione!

PIPPO:                                  Oh grazzie me confonnete!

GIGGI:                                                 Vabbè Pippo, se po’ fa’. Ma vedi de fa pace co’ Agnese, che si nun recita lei semo fregati.

PIPPO:                                  Penza  te a fa pace co’ tu moje, perché me sembra che saa pija co’ me a causa tua.

GIGGI:                                 Tu non te preoccupà, tra moje e marito nun mette er dito.

PIPPO:                                                  Prima combini li guai e poi! Cercherò, giusto perché so’ ‘ngalantomo e lei è ‘na donna.

GIGGI:                                  Perché è na signora! (alle tre) Salutateme Edoardo.

PIPPO:                                  Arivederci signorine!(escono)

CRESCENZA:                     Quant’è bello!

ANNA:                                  Quant’è bravo!

LUISA:                                 Quant’è bono!

SCENA 5

Entra Trilussa.

CARLO:                               Salve, c’è il signor Perino editore?

ANNA:                                  Ve lo chiamamo subbito.

CRESCENZA:                     (strillando)Edoa’, c’è uno che te vole.

LUISA:                                 Compermesso. (escono, in casa)

EDOARDO:                         (entrando) Bongiorno.

CARLO:                               Sete voi Il signor Perino Edoardo?

EDOARDO:                         Sì sono io.

CARLO:                               Avrei da chiederle una cortesia.

EDOARDO:                         Chi ti manda?

CARLO:                               Nessuno.

EDOARDO:                         Dì quello che devi dire che sono molto indaffarato.

CARLO:                               Vorrei che mi pubblicasse queste rime.

EDOARDO:                         Ah, scrivi?

CARLO:                               Eh sì, me piace.

EDOARDO:                         Ma se ancora puzzi di latte.

CARLO:                               Lo so che sono giovane, però vorrei ...

EDOARDO:                         Torna tra dieci anni, io ho da fare!

EDOARDO:                         Oh già sono passati dieci anni? Sei troppo giovane! Devi studiare i classici, leggere molto. Lo sai che libro è questo, fresco di stampa? I Tre Moschettieri di Alessandro Dumas, lo sai chi è?                E’ francese. Oppure devi leggere Dante. Guarda qui “Gli                        amori di Dante scritti da lui medesimo”

CARLO:                               Lo so chi è Dante Alighieri.

EDOARDO:                         Ecco appunto, mo’ capisci di che cosa si occupa l’editore Perino. Tu che scrivi?

CARLO:                               Versi in romanesco.

ELISA:                  (entrando dalla tipografia) Buongiorno.

All’ingresso di Elisa, Trilussa mette subito in mostra le sue capacità.

CARLO:                               Vorrebbe anna’ insinenta in paradiso,

                                               Vorrebe vedé ‘nangiolo grazzioso

                                               Che tale e quale ar tuo ciavesse er viso.

EDOARDO:                         Mbeh, che te pija?

ELISA:                                  Come te chiami?

CARLO:                               Carlo Alberto Camillo Mariano.

EDOARDO:                         E basta?

CARLO:                               Sì.

ELISA:                                  Scrivi solo versi o anche romanzi?

EDOARDO:                         Ma che voi che scrive, non lo vedi ch’è un   ragazzino. Tornate fra qualche anno.

CARLO:                               Non potete giudicarmi senza aver  letto i miei scritti.

ELISA:                                  Li dovresti trattare meglio i tuoi autori.

EDOARDO :                                        Innanzitutto non è un mio autore e poi devo pubblicare ben altro. Mia moglie m’ha preso per uno che fa            beneficenza.

CARLO:                                               Non credo de merita’ ‘sto trattamento. Siete un editore,  dovete pure comincia’ a conosce qualche scrittore novo.

Improvvisamente Tonio grida da dentro lo stabilimento.

TONIO:                                 Papà venite presto!

EDOARDO:                         Oddio c’artro ha combinato?

TONIO:                                                (entra, è tutto sporco di nero)Papà non so ch’è successo, ma la macchina s’è messa a sputare l’inchiostro!

EDOARDO:                                         No, non ce la posso fa’, non ce la posso fa’(esce via per la strada)

ELISA:                                  Vai a lavarti.

Dall’alto ( finestra, balcone, o semplicemente porta finestra su degli scalini)

CRESCENZA:                     Oh, Toniuccio che hai fatto?

ANNA:                                  Santo cielo ch’è stato!

LUISA:                                 Sei per caso ferito?

ELISA:                                  Eccotele le tre befane. Crescenza Luisa e Anna.

Luisa, me fa venì ‘na febbre improvvisa, Anna, l’eterna mia condanna, Crescenza, che me rovina l’esistenza.

TONIO:                                 Mamma, ziette!

CARLO:                               S’io fossi, savognuno, un ucelletto

                                               Davanti a la finestra ‘gni matina

                                               Ve vorebbe cantà  ‘na canzoncina

                                               P’e divve tutto quello che ciò in petto,

                                               Ve vorebbe cantà...benché nun ciabbia

                                               Er desiderio d’esse messo in gabbia!

ANNA:                                  Che versi questo ragazzo, che amore!

LUISA:                                 Che gentilezza, quale ardore!

CRESCENZA:                     Grazie grazie de core!

ELISA:                                  A giovanò che sei cieco, noo vedi che so’ tre zitelle appassite?

CRESCENZA:                     Sei giovane te.

ANNA:                                  E’ gelosa

LUISA:                                 Pensa a tuo fijo  che s’è ferito!

TONIO:                                 Mamma!

ELISA:                                  T’ho detto di andare a lavarti!

TONIO:                                 Ma come faccio?

CARLO:                               Me so’ fatto ‘nsogno sorprennente

                                               Me pareva che stavate sopra er trono

                                               E ch’eravate riverita da la gente.

ELISA:                                  E magari fossi ‘na regina. Saprei chi spedì fori de casa.

TONIO:                                 Mamma!

ELISA:                                  Vai a lavarti con il sapone!

CARLO:                               Sete sicuro la reggina de la casa. Che dite de li versi mia?

ELISA:                                  Abbiate pazienza, ma non è l’ora.

CARLO:                               Ve ne lascio quarcheduno, senza impegno.

ELISA:                                  E lasciateli ‘npo’ lì, non te prometto niente.

CRESCENZA:                     Tornate, tornate!

ANNA:                                  Mi raccomando!

LUISA:                                 Vi aspettiamo!

CARLO:                               Grazie, grazie. Arivederci.(esce)

TONIO:                                 Mamma, ma il sapone non mi basta!

ELISA:                                  Olio di gomito, figlio mio olio di gomito.

TONIO:                                 Ma come si fa l’olio col gomito?

ELISA:                                  E adesso te lo spiego!

(vanno in casa)

SCENA 6

Le zitelle intanto sono scese.

CRESCENZA:     Io non capisco nostro fratello.

ANNA:                  Proprio quella si doveva sposare

LUISA:                 Ormai sono vent’anni che sono sposati. Beata lei!

CRESCENZA:     Che ciavrà visto poi: è acida, isterica, altezzosa

ANNA:                  Maligna, bisbetica, scontrosa.

LUISA:                 Selvatica, prepotente, velenosa.

CRESCENZA LUISA ANNA: Che te lo dico a fa’?

CRESCENZA:     Che poi chi era il padre?

ANNA:                  Ah, non s’è mai capito.

LUISA:                 La madre era morta, non so di che.

CRESCENZA:     Ehhh, pare che...fatemi sta’ zitta va.

LUISA:                 E no adesso parli, che pare?

ANNA:                  E sì che dovevi dire?

CRESCENZA:     Insomma, pare che....

Le due si avvicinano e  Crescenza parla ma non si capisce ciò che dice, alza e abbassa la voce. Le altre le fanno da eco

CRESCENZA:     Allora quando ...giurò che...ma lui...vattene!

ANNA:                  Noooo, davvero?

LUISA:                 Come lo sai?

CRESCENZA:     Ehhhh!

ANNA:                  Perché non l’hai detto prima?

CRESCENZA:      Non se n’era mai parlato!

LUISA:                 Mi sembra impossibile!

ANNA:                  Il padre praticamente l’ha scacciata?

LUISA:                 Perché non era figlia sua?

CRESCENZA:     Shhh, eccola, eccola!

LUISA:                 Allora Tonio s’è fatto male?

ELISA:                  (entrando dalla casa) No, era solo sporco di inchiostro.

ANNA:                  Edoardo lo fa stancare troppo.

ELISA:                  Dovrà pure imparare il mestiere prima o poi.

LUISA:                 Ma è ancora così giovane!              

CRESCENZA:     Lo turbate povero caro.

ELISA:   Lo...turbiamo? Ma mo ve sturbo io. Il padre non lo può mantenere finché campa. Aprite a bocca e je date fiato, che ne sapete voi, che state a sentenzia’?

LUISA:                 Sei proprio un’ingrata.

ANNA:                  Col tuo passato…

CRESCENZA:     Zitta!

ELISA:                  Quale passato?

CRESCENZA:     Voleva dire dopo tutto quello che abbiamo fatto in passato!

LUISA:                 Tonio  l’abbiamo cresciuto noi!

ELISA:                                                 Cresciuto? Allora il lavoro v’è andato male visto che ancora si comporta da ragazzino!

CRESCENZA:     A volte sei proprio acida...

ANNA:                  Lasciala stare, non ti curar di lei...

ELISA:                                                 No, non vi curate di me. Andate dal vostro nipotino che è meglio.

ANNA:                  Sicuro (vanno a casa)

SCENA 7

Elisa, nervosamente, si siede e si mette a leggere il libro della Deledda, ha davanti a sé una brocca.  Arriva Salvatore Di Gennaro, si massaggia la testa, ha un po’ di terra e qualche foglia sulle spalle, cammina come un ubriaco.

SALVATORE:     Ahi, ahi. Buongiorno signora.

ELISA:                  Buongiorno.

SALVATORE:     Ahi, ahi. Mi gira tutto.

ELISA:                  Sapeste a me! Ch’è v’è successo?

SALVATORE:                        Un vaso pieno di fiori m’è caduto in testa. Ahi, ahi.

ELISA:                                     Mi dispiace. Vi sentite male? Sedetevi. Forse è il caso di  chiamare il medico?

SALVATORE:                    No grazie. Sto bene, quasi. Adesso mi riprendo. Se avete un poco d’acqua.

ELISA:                                 Prendete ecco.

SALVATORE:                    Che male!

ELISA :                                Come mai da queste parti?

SALVATORE:     Sono arrivato  qui per…sono arrivato qui per…(perplesso)

ELISA:                  Cercavate l’editore?

SALVATORE:     Cerco qualcuno, ma non so chi.

ELISA:                  Almeno il nome lo saprete.

SALVATORE:     Non me lo ricordo.

ELISA:                     L’indirizzo?

SALVATORE:     Non me lo ricordo.

ELISA:                  Per quale motivo lo dovete incontrare?

SALVATORE:     Non ci crederete, ma non me lo ricordo.

ELISA:                                                 Di solito chi arriva in questa strada è perché cerca Perino, l’editore.

SALVATORE:     Non lo so. Forse che si, forse che no.

ELISA:                  Sarà difficile aiutarvi allora.

SALVATORE:     Ma io non ho mica chiesto il vostro aiuto, per piacere!

ELISA:                  Ah scusatemi! Vi saluto allora che ho da fare.

SALVATORE:     E che dovete fare?

ELISA:                  E’ difficile da credere ma, non me lo ricordo! (va in casa)

SALVATORE:     Mannaggia, mannaggia. E ora che faccio. A chi lo                                                                                                                  chiedo? Ahi, che dolore!

Entra Adelaide Ristori, più altezzosa che mai.

ADELAIDE:                        Salve buon uomo.

SALVATORE:                     Buon uomo a me? State celiando!

ADELAIDE:                        O cielo, perché dovrei?

SALVATORE:                     Quella di prima non si ricordava quello che doveva fare e voi mi prendete in giro.

ADELAIDE:                        Io non ho mai preso in giro nessuno in tutta la mia    vita.

SALVATORE:                     Che è stata lunga assai...

ADELAIDE:                        Ma come vi permettete, voi non sapete chi sono io!

SALVATORE:                     Veramente non so nemmeno chi sono io!

ADELAIDE:                        Allora siete voi che state prendendo in giro me.

SALVATORE:                     Dev’essere questo posto, nessuno sa più niente di      nessuno e tutti prendono in giro. (legge l’insegna della strada) Vediamo un po’: via del Lavatore. Non mi dice un granché.

SCENA 8

Entra Giggi

GIGGI:                  Adelaide, siete proprio voi? Non posso crederci, quale onore.

ADELAIDE:                        Finalmente qualcuno che mi conosce.

GIGGI:                  Perché esiste quarcheduno  che non conosce Adelaide Ristori?

ADELAIDE:                        Questo signore qui.

SALVATORE:     Siete voi che devo incontrare per caso?

GIGGI:                  E che ne so, scusate. Come se chiama quello che cercate?

SALVATORE:     Non me lo ricordo.

GIGGI:                  Se siete arivato fino a qui, me sa che dovete               incontrà Perino.

SALVATORE:     Pure voi ? Ma chi è questo Perino?
GIGGI:                  L’editore più famoso de Roma.

SALVATORE:      E che ci devo fare?

GIGGI:                  Ah, se non lo sapete voi!

SALVATORE:     Come sto messo male, come sto messo.

GIGGI:                  Tornate indietro e ripercorete a strada ch’avete fatto e così magari ve ritorna la memoria.

SALVATORE:                    Ma io non mi ricordo nemmeno che strada ho fatto. M’è arrivato un vaso in testa e ora sono confuso…

ADELAIDE:                        Solo quella strada potete avere percorso, l’unica che arriva qui.

SALVATORE:     Vabbè provo a tornare indietro, però non mi                                                                                             ricordo! (esce)

ADELAIDE:                        Oh Zanazzo allora, per questa serata al teatro Rossini?

GIGGI:                  Se davero ce fate questo onore, signora mia, tutta Roma                                                                                                      sarà ai vostri piedi, contatece.

ADELAIDE:                        Fatemi capire, ma lei, lei (allusiva) sarà presente, lei?

GIGGI:                  L’ha promesso. Si nun se presenta manca alla parola data.

ADELAIDE:        Anche io mancherò alla promessa se non viene lei.

GIGGI:                  Sarà mia cura fa sì che presenzi a teatro. Fidateve de me.      

ADELAIDE:        Sapete com’è, io ormai non calco le scene da parecchio.

GIGGI:                  Ce lo so ce lo so, ma questo qua è un caso specialissimo, unico.

ADELAIDE:   Anche quando è stato inaugurato il teatro sono intervenuta.

GIGGI:                  Sì, vabbé, ma però stavorta lei viene proprio pe noi. Cioè pe’ voi!

ADELAIDE:        Vostra moglie ci sarà?

GIGGI:                  Beh, fa parte daa compagnia, deve recità ‘n bozzetto.

ADELAIDE:        Allora io  che vengo a fare? Sarei di troppo, capite.

GIGGI:                  Come de troppo, state a scherzà?

ADELAIDE:   Io non scherzo mai. Se c’è la Bianchini, come non detto. Non se ne fa niente.

GIGGI:                  No, no. Mia moglie non reciterà statene certa! La scena sarà tutta pe’ voi!

ADELAIDE:        Bene. Verrà comunque a teatro?

GIGGI:                  Certo, sì, sssì (Adelaide lo guarda male) No, no. Resterà a casa.

ADELAIDE:         Perfetto.  A che ora devo essere a teatro?

GIGGI:                  Ah, alle otto se ve compiace.

ADELAIDE:         Allora, arrivederci.(esce)

GIGGI:                  Servo vostro…

SCENA 9

Rientra Di Gennaro ritornato in sé

GIGGI:                     Chi me l’ha fatto fa’ de dì che mi moje non c’era! Mannaggia a me! Mannaggia a me, e mo’ quella chi la sente!

SALVATORE: Salve. Scusate, sapete dove posso trovare l’editore Edoardo Perino per una pubblicazione?

GIGGI:                  Ah  sete voi, e ve lo dicevo io!

SALVATORE:     Voi non mi avete detto un bel niente!

GIGGI:                  Sì, prima quando non vi ricordavate chi dovevate incontra’.

SALVATORE:     Davvero? Non me lo ricordo.

GIGGI:                  Ah, annamo bene. Mo voo chiamo subbito. Ohe Edoaà! Edoà!

TONIO:                 (entrando) Papà non c’è. Che volete?

GIGGI:                  C’è sto signore che lo cerca.

TONIO:                 Ah bongiorno.

SALVATORE:     Bongiorno a voi.

TONIO:                 Io sono Antonio Perino, figlio di Edoardo, potete dire a me.

SALVATORE:     Io devo parlare a lui medesimo. Non ad altri.

TONIO:                    Ma io sono il figlio, l’unico, e quando mio padre non c’è, io dirigo lo stabilimento, ecco.

GIGGI:                  Tonio, lassa perde che tu padre poi s’arabbia.

SALVATORE:     Io devo parlare a Edoardo Perino, lui medesimo.

TONIO:                 Dite, dite, che volete?

SALVATORE:     Io voglio parlare a Edoardo Perino, lui medesimo.

GIGGI:                  Tornate più tardi. Date retta a me.

TONIO:                 (a Giggi) Sete come mi padre, ecco!

CRESCENZA:     (entrando da casa) Tonio, vieni a fare merenda.

GIGGI:                  Buongiorno Crescenza.

SALVATORE:     (galante) I miei rispetti, signora.

CRESCENZA:     Signorina, prego:

TONIO:                    Zia questo signore non si fida di parlare con me. Vuole solo papà, ma io gli ho detto che sono il responsabile della casa editrice quando non c’è.

CRESCENZA:   Lo sai che tuo padre vuole sempre essere presente.

GIGGI:   Stamme a sentì, è mejo che sto signore parla co’ tu padre, che  quello s’infusca pe’’na bazecola.

TONIO:   Io sto a lavoro, e quindi devo lavorare, ecco. Mi dice che m’ho da  ‘mparà, papà si me va…oggi nun me va! (siede)

GIGGI:   Come te pare fa’. Arivederci.(esce)

TUTTI:   Arrivederci.

CRESCENZA:                   Con chi ho il piacere di parlare?

SALVATORE:                    Salvatore Di Gennaro, per servirvi.

CRESCENZA:                   Crescenza Perino, molto lieta.

SALVATORE:                 Lusingato.

CRESCENZA:                 Potrei sapere il motivo che la porta qui allo stabilimento di mio fratello?

SALVATORE:                 Anche se è una cosa riservata, perché negarvi questa informazione, visto che siete sorella del signor Perino.

TONIO:                             E io sono il figlio e lavoro con mio padre. Quindi ho diritto di  sapere di che se tratta, ecco. Giusto zia?

CRESCENZA:                 Sì caro, ma stai calmo. Se il signor Di Gennaro ci fa la gentilezza di comunicarci le sue motivazioni.

SALVATORE:                 Come posso non accontentare una dama di cotanta                                                  gentilezza e signorilità?

CRESCENZA:                 Allora accomodatevi.

SALVATORE:                 Marzo

TONIO:                 Pure io (si alza)

1)Marzo: Nu poco chiove
e n'ato ppoco stracqua
torna a chiòvere, schiove;
ride 'o sole cu ll'acqua.

2)Mo nu cielo celeste,
mo n'aria cupa e nera,
mo d' 'o vierno 'e 'tempeste,
mo n'aria 'e Primmavera.

3)N'auciello freddigliuso
aspetta ch'esce o sole,
ncopp' 'o tterreno nfuso
suspirano 'e viole...

4)Catarì, che vuò cchiù?
   Ntienneme, core mio,
  Marzo, tu 'o ssaje, si' tu,
 e st'auciello song' io

CRESCENZA:     Che bei versi!

TONIO:                 Io nun ciò capito gnente. Solo una parola era chiara: marzo!

SALVATORE:                    E’ un paragone: marzo è simile all’amata. Mutevole, capricciosa,

TONIO:                                Come la pizza!

SALVATORE: Come il tempo del mese dove ha inizio la primavera.

CRESCENZA: L’avevo intuito. Sono dei versi molto belli. Li avete scritti voi?

SALVATORE: Ehhh, ….

CRESCENZA:     Bravo, siete veramente un’anima sensibile.

SALVATORE:     Beh, ecco io…

TONIO:                 Ma io nun ciò capito gnente!

CRESCENZA:     Zitto caro, adesso magari il signore te la spiega, vero?

SALVATORE:     Se vi compiace.


Marzo: un po' piove e dopo un po' cessa di   piovere: torna a piovere, spiove,  ride il sole con l'acqua.  Ora un cielo celeste, ora un'aria cupa e nera: 

ora le tempeste dell'inverno, ora un'aria di primavera.  Un uccello freddoloso attende che esca il sole:  sopra il terreno bagnato sospirano le viole...

Caterina!...Che vuoi di più?  Cerca di capirmi, cuore mio!

                                               Marzo, lo sai, sei tu,  e quest'uccello sono io.


TONIO:                 Mia zia si chiama Crescenza, no Caterina.

CRESCENZA:                     (facendo la timida, civettando) Oh, ma il poeta non si riferiva a me. Chi è questa Caterina che vi ha rubato il cuore?

SALVATORE:     E chi la conosce?

CRESCENZA:     Ah, non è qualcuno che vi ha ispirato?

SALVATORE:                    E che ne so?(rendendosi conto dell’errore) Cioè volevo dire, è un nome fittizio, di fantasia.

TONIO:                 Allora potreste cambiarlo con Crescenza.

CRESCENZA:     Zitto caro, no che non può!

TONIO:                 Allora scrivete altri versi per mia zia.

SALVATORE:                    Oh ecco io, certo, lo farò, Voi avete un nome veramente particolare sapete. Non è semplice trovare dei versi, cara signorina Crescenza…abbiate pazienza! (sorride soddisfatto perché ha trovato una rima)

SCENA 10

EDOARDO:                         (entrando da fuori)Tonio perché non stai a lavoro?

TONIO:                 Io sto lavorando, vero zia?

CRESCENZA:                    Oh sì. Stavamo ascoltando dei versi che questo  signore sicuramente ti voleva far pubblicare. Questo è mio fratello, Edoardo Perino.

EDOARDO:                         Tutti i dilettanti si rivolgono a me.

CRESCENZA:     Ma il signore non è un dilettante, (a Salvatore) vero?

SALVATORE:     Ecco io, no, certo che no.

CRESCENZA:     Dovresti sentire che versi scrive!

SALVATORE:     Veramente io.

TONIO:                 Papà io penso che dovresti sentire i suoi versi.

SALVATORE:      Io, ecco non vorrei che...

CRESCENZA:     Eravate venuto per questo no?

SALVATORE:     (tentennante) Sì ...ma…devo dirvi che…

EDOARDO:                         Sentite non ciò tempo da perde. Tonio, entra dai che mi devi aiuta’ con la locandina del Rossini. Se tutto                va come deve andare sarà una serata che ne parleranno in molti. Ve saluto signor ...

SALVATORE:     Di Gennaro.

EDOARDO:                         \(canticchiando) Gennaro è freddo, febbraro nun te dico,                                                                                      marzo se rischiara...

CRESCENZA:     La poesia è su Marzo, Edoà  sentila...

EDOARDO:                         Non ciò tempo.(trascina Tonio e escono)

CRESCENZA:     Potete lasciarmi i vostri versi? Parlerò io con mio                                                                                                     fratello. Come avete veduto è molto indaffarato.

SALVATORE:     No grazie, ho combinato un guaio. Magari ritorno.

CRESCENZA:     Come volete. Allora un saluto.

SALVATORE:     M’inchino mia bella signora

CRESCENZA:     Sono sempre signorina.

SALVATORE:     Davvero? Com’è possibile?

CRESCENZA:     (sospirando)Vi assicuro che lo è, lo è.

SALVATORE:     Riverrò tosto al vostro cospetto.

CRESCENZA:                    Lo spero! (Salvatore esce , lei sospira). Non è giovine, però perché no.

SCENA  11

Entra Pippo

PIPPO:                  Signorina Crescenza.

CRESCENZA:     Pippo che piacere

ELISA:                  (entrando da casa)Crescenza, Anna ti sta cercando.

CRESCENZA:     E proprio ora?

ELISA:                  Cerca un merletto non so...

CRESCENZA:     Vabbè, allora vado. Arrivederci.

PIPPO:                  Arivederci signorina Crescentina.

Crescenza esce facendo dei sorrisetti e Pippo le risponde allo stesso modo. Uscita lei, Pippo cambia espressione.

PIPPO:   Elisa è successo n’inguacchio, Giggi è fori de sé. Non so come se mette  ar Rossini.

ELISA:  Ch’è successo?

PIPPO:O sapete che Agnese s’era infuscata perché è gelosa de ‘na corista. Nun voleva recità più. Allora Giggi ha fatton mille mosse, io pure j’ho dato ‘na mano e così, finarmente, ha detto che averebbe recitato. Sapete, dimani al Rossini presenzia lei.(abbassando il tono) Sua maestà a reggina.

ELISA:  Allora è vero!

PIPPO:   Shhhh, parlate zitta.

ELISA:  Mbeh, s’è risolto tutto se Agnese ha deciso de recità.

PIPPO:   Nooo, qui sta l’impiccio. La Ristori ha saputo che veniva la reggina, allora è uscita dar palazzo Capranica, da dove n’esce mai, e ha detto a Giggi che ce veniva lei a recità ar Rossini.

ELISA:  Ah, e allora?

PIPPO:Allora? Adelaide ha detto:-Si se presenta  la Bianchini,                 io non recito.

ELISA:  E allora?

PIPPO:   La reggina pare ch’ha saputo che la Ristori viene a teatro, e lei  ce tiene, je fa piacere:  se dice che se so conosciute quando c’è stata la presa de Roma, l’ha nominata pure dama d’onore. Capirai, quella n’ è ‘na migragnosa come noi. Ha conosciuto Garibaldi, Cavour, Mazzini. E’ diventata marchesa. Come se fa a contraddilla? Se viene e vede che Agnese cià tutta l’intenzione de salì sul palco, aprite cielo. Sai li botti?

ELISA:  E allora?

PIPPO:   Oh, ma che ve sete ‘ncantata? Come allora? Se Giggi je diceche nun deve da recità...

ELISA:  Alla Ristori?

PIPPO:   No, alla moglie, sai li botti?

ELISA:  (ridendo) E quali botti saranno mejo?

PIPPO:   Nun ve rendete conto. Voi state a ride. E’ un disastro.

ELISA:  Pe’ tanto poco. Fateme pensa’ che ve trovo io  a       soluzione.

PIPPO:      Davero, lo farete? Grazzie grazzie. Er mondo der teatro ve sarà grato, er mondo der teatro grato ve sarà! Coro da Giggi.

ELISA:  Però prima me dovete promette ‘na cosa.

PIPPO:   E che moo state a chiede? Tutto quello che volete.

ELISA:  Giurate!

PIPPO:   Giuro!

ELISA:  Stateme a sentì...(parla all’orecchio di Pippo che prima nega risoluto, poi davanti alle insistenze di lei, abbassa la testa annuendo)

ANNA:  (entrando e interrompendoli) Oh Pippo!

PIPPO:   Saaarve signorina Anna.

PIPPO:   Che avete da spartire con mia cognata?

ELISA:  Proprio niente se lo voi sapè.

PIPPO:   Se parlava così, tanto pe’ parlà.

ANNA:  Mi sembravate tutto aggitato.
PIPPO:   E’ la vostra presenza che m’ha ispirato.

ANNA:  Davvero, ci devo credere?

PIPPO:   Certo !

ELISA:  Ve lascio soli che voo meritate!(esce ammiccando a Pippo)

PIPPO:   Sapete, Giggi m’aspetta. Je devo dì ‘na cosa importante.

ANNA:  E questa cosa, non si può sapere?

PIPPO:   Se riuscimo a fa’ quello che dovemo da fa’, ve la dirò.

ANNA:  Ah, nun ve fidate? De mi cognata sì e de me...

PIPPO:   No, che annate a penzà...

LUISA:(entrando) Buongiorno Pippo, volete ‘na limonata? E’ fresca fresca.

PIPPO:   No grazzie, gentilissima. Qua e belle donne nun mancheno mai.

LUISA:  Per questo state sempre qui intorno .

PIPPO :  Vorei sta qua, ma devo annà là. Sapete o spettacolo, er                                                                                        teatro...

ANNA:  Andate, siete di fretta. Arrivederci.

PIPPO:   Belle dame (si inchina ed esce).

SCENA 12

Anna e Luisa prendono posto sulle sedie e dopo un po’ arriva Crescenza. Anche lei siede. Bevono limonata e rammendano.

Entra Tonio tutto amareggiato.

TONIO:                 (sospirando) Povero me, oh povero me!

CRESCENZA:     Che ciai, bello di zia?

TONIO:                 Papà m’ha detto di prendermi qualche giorno di riposo, ecco.

ANNA:                  E non sei contento?

LUISA:                  Ha capito che sei troppo giovane per lavorare così tanto.

TONIO:                 Dite?

CRESCENZA:     Sicuro.

ANNA:                  Noi gliel’avevamo detto che dovevi avere il tempo di imparare.

LUISA:                 Finalmente l’ha capito.

TONIO:                 Non pensavo che era per questo. Quando me l’ha detto era nervoso.

CRESCENZA:     Tuo padre è sempre nervoso!

ANNA:                  E’ fatto così, che ci vuoi fare? Sta’ contento e bevi una limonata.

LUISA:                 E’ ancora fresca e zuccherata.

TONIO:                 Se me dite così allora me consolo, ecco.

ANNA:                  Ma sì, ma sì. Datti pace. Riposati.

TONIO:                 Vabbè! (beve un sorso) Però non so’ convinto.

LUISA:                 E convinciti su, da’ retta a noi!

TONIO:                 Lui m’ha messo a riposo dopo ch’è diventato tutto rosso. Un peperone.

CRESCENZA:     Avrà avuto caldo!

TONIO:                 Forse perché gli faceva male il dito!

LUISA:                 Quale dito?

TONIO:                 Il numero 2.

ANNA:                  L’indice?

TONIO:                 Sì. (mentre beve) E’ rimasto schiacciato dalle rotative, ecco.

ANNA:                  Santo cielo, certo che era rosso. Chissà il dolore.

TONIO:                 Essì, io però le avevo mandate in funzione come mi                stava dicendo. Spiegava: fai su, giù, qua, là e io ho                   abbassato la leva, ecco.

EDOARDO:   (uscendo agitato con la mano fasciata)’Ndo, sta che je meno..

CRESCENZA:     Calmati Edoardo!

LUISA:                 Ti fa male agitarti così!

ANNA:                  Non l’ha fatto a posta!

TONIO:                 Perdono, perdono!

EDOARDO:   E ci mancava pure che lo faceva a posta! Ma di chi sei figlio tu eh? Da chi hai preso? Vie’ qui che te gonfio!

LUISA:                 Ti sei disinfettato?

CRESCENZA:     Forse hai bisogno di una fasciatura!

ANNA:                  Ti do il rimedio di zia Peppina.

EDOARDO:         Ve la do io zia Peppina!

TONIO:                 Papà, papà! Scusa

GIGGI:                  (entrando da fuori) Che cos’è sta buriana? A sor Edoà che v’è pijato?

TONIO:                 So pentito!

CRESCENZA:     S’è schiacciato il dito sotto le rotative!

GIGGI:                  Ahia!

EDOARDO:         Ahia voi? Ahia io!

GIGGI:                  Fateme guardà! Qua ce vole ‘a porvere da sparo!     E’ er rimedio pe’ guarì’ li bòzzi, le rotture, li gonfiori,   li sfoghi de la pelle e tanti antri malanni, mejo de quello  nun se trova.

EDOARDO:   La polvere da sparo? E ciavete ragione. Pe’ guarimme da sto malanno (indicando Tonio) giusto ‘a polvere da sparo! Con ber botto la famo finita!

GIGGI:                  Mbe’ mo nun esaggeramo!

TONIO:                 Papà ve lo giuro,  prometto, spero...

CRESCENZA:     Spero

ANNA:                  Promitto

LUISA:                 E iuro.

CRESCENZA ANNA LUISA:         Vogliono l’infinito futuro.

GIGGI:                  Sor Edoa’ carmateve!      

LUISA:                 Edoardo, Tonio. Smettetela!

GIGGI:                  Stateve fermo e fateme vedé sto dito.

EDOARDO:                         La pijate voi sta porvere?

TONIO:                                (tragico) Mi vuoi ammazzare? Ci vado io a prendere la polvere da sparo, così potrai farmi sparire dalla faccia della terra!

GIGGI:                  Oho, ma io parlavo de rimedi pe’ guarì, no pe ammazzà!

EDOARDO:                         Tu m’hai levato il sonno, la vita, la speranza, la felicità!

TUTTI:                 La felicità?

SCENA 13

Entra Trilussa. Ha un mucchio di fogli in mano.

CARLO:                               C'è un'ape che se posa 
                                               su un bottone de rosa:
                                               lo succhia e se ne va...
                                               Tutto sommato, la felicità 
                                               è una piccola cosa.

EDOARDO:                         Tu... tu...(esce rabbioso)

CARLO:                               Signor Perino, avete letto i miei versi?

TONIO:                 Papà, papà...(esce dietro al padre)

GIGGI:                  Aspettate Edoà, sentite...(esce dietro Tonio)

CARLO:               Non vi piace la mia poesia?

CRESCENZA:     Bellissima.

LUISA:                 Versi delicati

ANNA:                  Meravigliosi! Ma sapete, oggi nostro fratello è un po’ nervoso.

CRESCENZA:     S’è ferito a un dito, abbiate la compiacenza di perdonarlo.

LUISA:                 Ma voi tornate eh, tornate.

CARLO:               Quando pensate che posso?

ANNA:                  Provate fra qualche giorno!

LUISA:                 Scusateci.

CRESCENZA:     A presto.

Le sorelle escono. Trilussa siede sconsolato. Entra Salvatore.

SALVATORE:     Buongiorno

CARLO:               Salve.

SALVATORE:     Salvatore Di Gennaro.

CARLO:               Carlo de ottobre. Piacere.

SALVATORE:     Avete visto Perino l’editore?

CARLO:               Sì, ma nun è aria.

SALVATORE:     Scusate?

CARLO:               Je gira.

SALVATORE:     Gira che cosa?

CARLO:               Nun è  il momento.

SALVATORE:     Per che cosa?

CARLO:               Il signor Perino s’è fatto male, è nervoso e quindi non dà retta a nessuno.

SALVATORE:  Oddio, e io ho da consegnargli degli scritti. E ho    pure una certa fretta.

CARLO:               Anche io, è la seconda volta che vengo qui.

SALVATORE:     Anche io.

CARLO:               Siete uno scrittore? Un poeta?

SALVATORE: No, vengo da parte di un grande poeta napoletano. Salvatore di Giacomo.

CARLO:               Volete che Perino gli pubblichi qualcosa?

SALVATORE:     Veramente Perino già gli ha pubblicato dei versi, ma Di Giacomo era venuto qui da Napoli in persona. Invece ha mandato me. Solo che ho combinato un guaio...e non so darmi pace.

CARLO:               E che avrete mai fatto?

SALVATORE:     Non so se posso dire..

CARLO:               Ma prego, tanto nun ciò gnente da fa’.

SALVATORE:   Devo parlarne con qualcuno.

CARLO:   E certo sfogateve pure.

SALVATORE:(con fare circospetto) Avete visto quella  bella signorina?

CARLO:               (girandosi intorno) Dove, dove?

SALVATORE:     La sorella del signor Perino?

CARLO:   Chiamà belle quelle ch’ ho visto è ‘na  parola grossa…  a meno che ce ne sta n’artra che nun cognosco...

SALVATORE.     Io ecco...per fare il galante, le ho detto che i versi di Di Giacomo erano i miei.

CARLO:               E voi invece nun avete mai penzato de scrive quarcosa.

SALVATORE:      Mai, assolutissimamente, mai.

CARLO:               Mbeh, stavorta dite che quei versi erano i vostri, che lei ve l’ha ispirati!

SALVATORE:     E Di Giacomo?

CARLO:               Dovevate conzegnà solo quelli?

SALVATORE:     Oh no, ne ho una cartella piena!

CARLO:               E allora non credo sia un grande danno.

SALVATORE:     Sapete che avete ragione. Grazie, m’avete salvato! E se Di Giacomo non vede pubblicata proprio quella,                                dirò che l’ho perduta!

CARLO:               Magari la fate pubbricà n’artra vorta, e se l’amore pe' sta zitella continua, je direte a verità. Che’è sempre                               mejo.

                                                               Onestà pare ‘na parola vota

                                                                 sincerità quasi malamente

                                                                 ma si è vero che la vita è na rota

                                                               te pagheranno  dimani certamente.

SALVATORE:     Bel poeta siete.

CARLO:               Grazie.

SCENA 14

ELISA:                                 (entrando da casa) Buongiorno.

SALVATORE:                    Oh, signora…

ELISA:   Mbeh,  ve ricordate ora che dovete fare, dove state e chi siete?

SALVATORE:                    Tutto perfettamente, tutto sì.

ELISA:                                 E bravo.

CARLO:                                               Pe’ scrive le bellezze de sta donna

                                                               nun me bastano mica  fojo e  penna

                                                               è come ‘na viola immezz’ar prato

                                                               che s’anisconne e spanne odore grato

                                                               cia ‘r viso bello er core bono

                                                               dar paradiso è scesa come ‘ndono”

ELISA:                                 Aaaah, vabbé, ho capito. Datemi questi versi, parlerò con mio marito.

CARLO:                               Potrei parlacce personalmente?.

ELISA:                                 No. Non è il caso. Si è ferito e sta nervoso.

SALVATORE:                    Sì, lo sappiamo. Anche io però tengo dei versi da fargli pubblicare.

ELISA:                                 Ah, pure voi scrivete? Fatemi leggere.

SALVATORE:                    Per favore. Vi leggo io. 

<Pianefforte 'e notte>


Nu pianefforte 'e notte                

sona luntanamente,

e 'a museca se sente

pe ll'aria suspirà.

È ll'una: dorme 'o vico

ncopp'a nonna nonna

'e nu mutivo antico

'e tanto tiempo fa.

Dio, quanta stelle 'n cielo!

Che luna! E c'aria doce!

Quanto na della voce

vurria sentì cantà!

Ma sulitario e lento

more 'o mutivo antico;

se fa cchiù cupo 'o vico

dint'a ll'oscurità...


                           L'anema mia surtanto

                           rummane a sta fenesta.

                           Aspetta ancora. E resta,

                            ncantannese, a pensà.

ELISA:                                  Non c’è male. Ma siete sicuro che l’avete scritta        voi? Non  so perché, mi ricorda lo stile di Di Giacomo. Bah, forse perché siete entrambi napoletani.

SALVATORE:     Ecco io, sì, dicevo che insomma…

CARLO:                               Salvatore, su parlate. Ricordate, l’onestà.

SALVATORE:                    Sì, sono di Di Giacomo. Non è potuto venire a Roma e mi ha mandato come portavoce. E’un mioparente.

ELISA:                  E ieri non ve lo ricordavate?

SALVATORE:                     Quel vaso che m’era caduto in testa m’ha fatto per un po’perdere la memoria. Poi mi sono confuso ancora di più quando   ho conosciuto quella signorina, Crescenza mi pare si chiamasse.

ELISA :                                                E sì ve capisco, giusto a confondervi  so’ capaci. Datemi questi versi.

SALVATORE: Grazie. Salutatemi la signorina Crescenza eh?

ELISA:                  Figuratevi, non mancherò.

CARLO:                               E per me direte ‘na bona parola?

ELISA:                                  Prima darò un’occhiata ai vostri scritti. Adesso, però, andate. Se esce Edoardo e vi trova qui…

CARLO:                               Annamo Salvato’, fidamoce de sta rosa del matino:

‘na reggina già vo nominata,

 la grazzia che portate è risaputa,

solo a la rosa ve porto a paragone,

e guai a chi ce dà n’artr’opignone. (escono)

                                                               FINE PRIMO TEMPO


SECONDO TEMPO

SCENA 15

Elisa sta mettendo sul tavolo un vassoio con una limonata  e dei pasticcini. Arriva Adelaide Ristori, più altezzosa che mai.

ADELAIDE:                        Buongiorno. La signora Perino?

ELISA:                  Elisa Perino, piacere. Siete Adelaide Ristori?

ADELAIDE:                        Ora marchesa Capranica del Grillo.

ELISA:                                  Molto lieta. Accomodatevi. Scusatemi se non vi ricevo in casa, ma mio marito s’è ferito ad una mano e le mie cognate lo accudiscono. Sapete io ne ho tre e tutte zitelle.

ADELAIDE:                           Di figlie?

ELISA:                                  Di cognate.

ADELAIDE:                        Perché non le avete spedite in convento?

ELISA:                                  In convento? Magari, ma come faccio, e poi c’è mio marito di mezzo.

ADELAIDE:                        Peggio per voi. Dentro una casa due donne fanno la rivoluzione, ma quattro sono una calamità.

ELISA:                                  Avete ragione.

ADELAIDE:                     Spiegatemi perché sono qui. La vostra missiva mi ha sorpreso.

ELISA:                                  Vi ringrazio di essere venuta subito. Vengo al punto.

                                               Volete una limonata, una ciambellina al vino?

ADELAIDE:                        No grazie, ho premura.

ELISA:                                  Allora ecco...Domani, come sapete, ci sarà lo spettacolo al teatro Rossini. Zanazzo ha preparato dei bozzetti e una divertente commedia “Li Carbonari”.

ADELAIDE:                        Appropriata, direi.

ELISA:                                  Molti si aspettano di vedere sul palco Agnese Bianchini.

ADELAIDE:                        Ci sarò io. Ho già parlato con Zanazzo. Mi ha giurato che

                                               la moglie non sarà presente. La questione è chiusa.

ELISA:                                Certo …però, capitemi: voi avete calcato le scene dei grandi teatri europei. Teatri che sembrano delle regge a confronto del Rossini. Su quei palchi avete rappresentato l’Italia nel mondo come nessun altro.

ADELAIDE:                           Sì. Ho recitato a Parigi, Londra, San Pietroburgo, New York, l’Avana. Sono andata in Australia e in Nuova Zelanda.

ELISA:                                     Siete la stella più risplendente dell’universo teatrale, non solo come attrice, ma anche come patriota. Cavour vi stimava. Avete recitato con coraggio versi che inneggiavano all’indipendenza e alla libertà dell’Italia. Avete sofferto per l’espulsione da Venezia alla quale vi hanno costretto per aver suscitato sentimenti anti austriaci. I vostri amici hanno preso parte alla Repubblica Romana. Conosco le vostre idee liberali... Inoltre avete dato sprone e dignità alla condizione femminile, vi siamo grate per questo. Siete una grande donna.

ADELAIDE:                           Allora? La mia vita la conosco, non capisco dove vogliate arrivare. Non mi distoglierete dall’intenzione di presenziare al Rossini.

       ELISA:                            Domani sarà un giorno speciale per il nostro piccolo teatro. La presenza della Regina per noi sarà un evento, invece per voisarà un avvenimento come tanti altri, visto che avete la fortuna di conoscerla.

ADELAIDE:                           Certo che la conosco: mio figlio è stato nominato gentiluomo di Sua Maestà e io stessa sono dama d’onore. Per me frequentare Margherita non è una novità. Lei si aspetta di vedermi sul palco. Io devo essere lì.

ELISA:                                     Sì, sì, ma…

ADELAIDE:   Ma?

Elisa sembra non sapere che fare, poi lancia la sua idea.

ELISA:                  Avete mai pensato di scrivere i vostri ricordi?

ADELAIDE:        Come?

ELISA:                                     Di racchiudere tutta la vostra vita in uno scritto, in modo di far sapere al mondo le vicende che vi hanno visto protagonista? Fate parte della storia del nostro Paese,  è necessario che tutti sappiano di voi e vi amino, anche coloro che non hanno avuto la fortuna di conoscervi personalmente.

Elisa continua a parlare con la Ristori, mostrandosi sempre più infervorata. Adelaide, dall’atteggiamento superbo passa ad un’espressione maggiormente accomodante e infine si dimostra interessata. Ora è lei a parlare con fervore. Sembrano entrambe soddisfatte. Il tutto condito da un sottofondo musicale.

ADELAIDE:                           Bene. Torno a palazzo. Intesi dunque.

ELISA:                                     Grazie: il teatro, le donne e l’Italia tutta ve ne renderanno merito.

ADELAIDE:                           Siete una donna in gamba.

ELISA:                                     Detto da voi…

ADELAIDE:                           A presto.

ELISA:                                     Grazie ancora. (la Ristori fa per uscire)

SCENA 16

Mentre esce Adelaide entra Agnese. Le due si guardano dall’alto in basso. Si fermano si scrutano. Elisa trattiene il respiro. Poi Agnese inchina la testa, Adelaide soddisfatta esce.

AGNESE:                                Ma quella là chi se crede da esse?

ELISA:                                     Zitta, pe’ carità. Non ve fate sentì.

AGNESE:                                E capirai! Se sente ancora in giro la puzza che je faceva arzà er naso!

Scoppiano a ridere.

ELISA:                  Allora avete fatto pace co Giggi?

AGNESE:                                Guardate nun me ce fate penza’. Sto bellimbusto che fa er  cretino co le regazzine.

ELISA:   Quali ragazzine?

AGNESE:                                Cioo sapete che lo spettacolo presenta pure pezzi musicali. Se canta e se balla. Giggi ha preso certe sciancate!  ‘na fatica pe’ falle move. Mentre stava a sentì è coriste, ecco che te n’ariva una. ‘Na fraschetta tutta moine e sorisi, de quelle che nun je basta esse prese per quello che sanno fa’, che nu o sanno fa’,  ma ce vojono mettere der loro.(allusiva) Nun dico ch’era brutta, ma però, manco ‘na dea.

ELISA:                                     Mejo delle sciancate insomma. Come se chiama?

AGNESE:                                Nun credo che la conoscete, ma de lei sentirete certo parlà.

ELISA:                                     E’ così brava?

AGNESE:                                (mentendo) Macché cià na voce che sembra ‘na gallina, è stonata e senza espressione del viso.

ELISA:                                     Allora, de che ve preoccupate?

AGNESE:                                Mentre s’esibiva sur palco. era tutta mossette, occhiatine e sculettii.(la imita)

                                                  Alla fine del pezzo a mi’ marito, che  nunsapeva che stavo a guardà, lei je fa tutta ciovetta:”maestro stono?” e lui ”sete tanto bella che avreste quasi il diritto de fallo”. Mi marito!

                                                  Jela potevo mannà liscia?

ELISA:                                     Ma chi è questa?

AGNESE:                                ‘Na certa Lina Cavalieri.Ho montato ‘na buriana, jo detto che nun recitavo più. Lui me s’è messo a piagne in ginocchio. E’ arivato Pippo“Agnese tesoro, nun ce lasciate cor culo per tera!” Inzomma, tira e molla, alla fine jo detto che domani, perché domani è un giorno ‘mportante, sarei salita sur palco, dopo se vedrà.

ELISA:                                     Avete fatto bene. Der resto Giggi e Pippo so gente de spettacolo, ciavranno sempre a che fa’ co le donne, non ve la prendete più de tanto. Piuttosto, domani dovrete essere superba.

AGNESE:                                Vostro marito ha preparato la locandina?

ELISA:                                     Mi pare di sì, che sta in stampa. Stasera ce l’avrete.

AGNESE:                                Peccato l’avrei voluta vede’ adesso. Vabbè, allora vado a sistemarmi il costume di scena. E’ nuovo sapete?

ELISA:                                     Sarà una serata magnifica. E’ vero che ci sarà la luce elettrica?

AGNESE:                                Sì. E vedrete quando l’accenderanno. Il teatro è uno splendore!

ELISA:                                     Sarò in prima fila.

AGNESE:                                Ci conto!

TONIO:                                    (dalla tipografia e poi scappando su casa)

                                                  Mamma, mamma, presto!

ELISA:                                     C’hai combinato mo’?(va in casa)

SCENA 17

Entrano Giggi e Trilussa, parlano fittamente, Agnese li saluta severa.

AGNESE:                                T’aspetto a casa! Sarve!

CARLO:                                  Servo vostro.

GIGGI:                                     Mo’arivo! (Agnese esce) Uhhh, coccialona de ‘na coccialona! Stavate a dì?

CARLO:                                               Ho parlato già con la signora Elisa, ma so che il signor Perino se fida de voi.

GIGGI:                                     Se avete parlato co’la moje, certamente Edoardo la starà a sentì.Quanno le moji mettono bocca…

CARLO:                                  Non che non me fidi de la signora, ma fra omini, me capite..

GIGGI:                                     Perché tu saressi ‘n’omo?

CARLO:                                  Mbeh, sì!

GIGGI:                                     Quant’anni ciai?

CARLO:                                  Che importanza cià, se uno scrive bene.

GIGGI:                                     Ma sentilo‘sto cacazzibetto. A scola armeno ce sei annato?

CARLO:                                  Pure troppo pe’ li gusti mia.

GIGGI:                                     L’istruzzione è ‘na cosa importante. Serve.

CARLO:                                  Co’ l’italiano me la cavo, ma quanno devo fa’ due conti…me pija male.

GIGGI:                                     La matematica pure è importante, io  ho fatto raggioneria.

CARLO:                                  E avete raggionato bene. Io e i nummeri annamo poco d’accordo.Pijavo sempre zero, tutt’ al più, uno.

Numeri

- Conterò poco, è vero: 
- diceva l'Uno ar Zero - 
ma tu che vali? Gnente: propio gnente.
Sia ne l'azzione come ner pensiero
rimani un coso voto e inconcrudente.
lo, invece, se me metto a capofila
de cinque zeri tale e quale a te, 
lo sai quanto divento? Centomila. 

E’ questione de nummeri senti a me

E lo zero je rispose

- Ma senza l’inconcrudenza mia

vali quanto er centesimo

drento ardindarolo de mi zia!

GIGGI:                                     E bbravo, co le parole te diverti eh?

CARLO:                                  Allora, parlerete co’ Perino? (tragico) La lingua de Roma sta pe’ morì. Je dovressimo fa’ er funerale!

GIGGI:                                     Oh, carma nun t’aggità.Anche io scrivo commedie, bozzetti e satire in dialetto.

CARLO:                                  Sì lo so. Al Rossini la Compagnia romanesca fa furore. Grazzie ar vostro contribbuto er dialetto romano prende vita pure a teatro. Bravo, bravissimo. Si nun era pe’ voi…

GIGGI:                                     E ‘ndo lo metti er Belli? Grande poveta. Alcuni versi esprimono un tale sentimento…senti questo

Lafamijjapoverella

Quiete,craturemie,statevequiete:
sí,fiji,zitti, chémmommòvièTata.
OhVerginederpiantoaddolorata,
provedetemevoi che lo potete.

Nò,visceremiecare,nunpiagnete:
nunmefatemorícosíaccorata.
Luiquarchecosal’averàabbuscata,
epijeremoerpane, emagnerete.

Sicapíssivoerbenechevvevojo!...
Chedichi,Peppe?nunvòistàa loscuro?
Fijo, com’ho dafàsinunc’èojjo?

Etu,Lalla, che hai?PoveraLalla,
haifreddo?Ebbè,nunméttetelíarmuro:
vièinbraccioamammatua chet’ariscalla.

CARLO:                               Uhm. Se la recitava vostra moje era mejo!

GIGGI:                  A te te piace scherzà, e quest’artra:

La mi’regazza

Te l’acconcedo:me fa un po’ammattí:
è untantinoforastica, loso:
e ’gniquarvortaj’addimannounzì,
lei me s’inciuffaemedàinfacciaunno.

Co’tuttoquesto,lasseteserví:
fajepurorisponnequerchevo’
Ma apedibus,perdio,ciàdavení;
e a lalongapòannà,majelafo.

Aboncontojerzeragiàccefu
unpass’avanti; efidetedemé
chegiàbattelastradapel’ingiú.

Bbasta,pijamoun po’querchemedà:
contentamosemódequercheviè;
eperrestanteIddioprovederà.

CARLO:                                 Per carità, ma il Belli è morto da un pezzo, pace all’anima sua. ‘Mo a Roma ce stamo noi.Ce tocca tené alto il valore della nostra lingua, sennòverrà dimenticata.

GIGGI:                                     Speramo de no, io ciò fiducia.Ma tu m’hairecitato quello scherzo simpaticode li nummeri, ma la poesia, dove la mettemo?

CARLO: La poesia?

Appena se ne va l'urtima stella
e diventa più pallida la luna
c'è un Merlo che me becca una per una
tutte le rose de la finestrella:
s'agguatta fra li rami de la pianta,
sgrulla la guazza, s'arinfresca e canta.

L'antra matina scesi giù dar letto
cò l'idea de vedello da vicino,
e er Merlo furbo che capì el latino
spalancò l'ale e se n'annò sur tetto.
-- Scemo! -- je dissi -- Nun t'acchiappo mica... --
E je buttai dù pezzi de mollica.

-- Nun è -- rispose er Merlo -- che nun ciabbia
fiducia in te, ché invece me ne fido:
lo so che nu m'infili in uno spido,
lo so che nun me chiudi in una gabbia:
ma sei poeta, e la paura mia
è che me schiaffi in una poesia.

È un pezzo che ce scocci cò li trilli!
Per te, l'ucelli, fanno solo questo:
chiucchiù, ciccì, pipì... Te pare onesto
de facce fa la parte d'imbecilli
senza capì nemmanco una parola
de quello che ce sorte da la gola?

Nove vorte su dieci er cinguettio
che te consola e t'arillegra er core
nun è pè gnente er canto de l'amore
o l'inno ar sole, o la preghiera a Dio:
ma solamente la soddisfazzione
d'avè fatto una bona diggestione.

GIGGI:                                                 Ah, ah, ah, e ggiusto va’.(sbrigativo) Mo ciò da fa’ però.Te saluto.

CARLO:               Parlerete co’ Perino?

GIGGI:  Vedemo.

CARLO:               Allora vado eh?Vado?(esce)

GIGGI:  (stufo ) E va’, va’!(entra nello stabilimento)

SCENA 18

Tonio ed Elisa escono da casa. Tonio sta mangiando e si lagna.

TONIO:                       Io ce la sto mettendo tutta per imparare, ma il destino si accanisce contro di me. Che ne so io! Il colore era quello giusto, la cornice andava bene, i cartatteri pure. Il prezzo era stampato chiaro dietro, ecco.

ELISA:                        Ma la cosa più importante no. Per fortuna era solo una copertina e tuo padre non l’ha ancora vista. Adesso calmati, finisci di mangiare, bevi e cerca di rimediare al danno.

TONIO:                       Non è colpa mia se sono sfortunato, le cose mi vanno sempre male…sono nato con la jella addosso.

ELISA:                        Non dire sciocchezze. La colpa è della tua disattenzione e della tua fretta. Devi stare attento, soprattutto all’inizio. Col tempo vedrai che le cose ti verranno più facili.

TONIO:                       Papà mi sta sempre addosso. Con quegli occhi mi guarda e sembra che voglia incenerirmi, mi voleva pure dare fuoco con la polvere da sparo. Io non riesco a concentrarmi, ecco.

ELISA:                        Adesso non esagerare!

TONIO:                       Tu lo difendi sempre, ma lui mi tratta male, mi strilla, non mi vuole bene, io lo odio, lo odio ecco.

Elisa dà una sberla al figlio. Tonio scoppia a piangere.

TONIO:                       Mamma! Anche tu !Che cosa ho sbagliato poi, unalettera, una misera lettera…Che volete da me, il sangue?

LUISA:                        (entrando) Che è successo, perché piangi?

ANNA:                        Bello di zia, racconta, che t’hanno fatto?

CRESCENZA:Ti trattano sempre male, povero  Tonio.

TONIO:                       Ecco. Diteglielo a mia madre, per unalettera, ecco! (esce piangendo)

ANNA:                        Quale lettera?Ha scritto una lettera?

CRESCENZA:           Per  chi?

LUISA:                        Elisa, anche tu stai esagerando con il ragazzo! Che cosa avrà fatto poi? Era una  lettera così importante?

Elisa prende la copertina del libro, abbastanza grande, dove c’è scritto in modo visibile : Ventimila Leghe Sotto i Mari di GIULIO VERME.

ELISA:                        Unamisera enne!(chiamando) Tonio, stammi a sentire, adesso aggiustiamo tutto…(esce)

Crescenza, Anna e Luisa prendendo in mano la copertina.

CRESCENZA:   Dite che Edoardo se ne accorge?

ANNA:                                     Secondo me no.

LUISA:                                    Elisa è al solita esagerata. E che sarà mai!

ANNA:                                     Un verme no? (scoppiano a ridere)

SCENA 19                 

Edoardoe  Giggi escono dallo stabilimento, Giggi ha in mano il foglio del Rugantino. Le tre zitelle cercano di nascondere la copertina.

GIGGI:                                     Grazzie Edoa’, nun ve ne pentirete. (legge)”Trasteverini, Monticiani, Regolanti e Borghiciani, Salute e doppie!  Sonate er Campanone de Campidojo, e magara puro quello de S. Pietro (che intanto vanno bbene d'accordo), sparate l'artijerie de Castello, arzate le bandiere, mettete l'apparati e accennete li lanternoni, ché Rugantino vostro è arisuscitato!» Pe solo nsordo, er mejo fojo de Roma vostra!”

LUISA:                                    Che cos’è?

EDOARDO:                            Il nuovo giornale “Rugantino” edito da Perino. Farà scalpore.  Oh, v’ho nominato direttore, mi fido di voi.

GIGGI:                                     E fate bene. A Roma ce vole un  giornale vero.

                                                   Scriverò che la nostra compagnia è la più mejo. Scriverò che ciavemo l’ospite d’onore.

EDOARDO:                            Quanto dura lo spettacolo?

GIGGI:                                     Beh, tre ore bbone, poi dipende dai richiami der pubblico. Pippo è eccitatissimo.

CRESCENZA:                        Lo credo,  domani è la gran serata.

ANNA:                                     Non vedo l’ora d’essere a teatro.

LUISA:                                    Io mi sento così emozionata.

GIGGI:                                     E’ tutto prenotato. Ci saranno un sacco de nobbili.

EDOARDO:                            Ciai contato? Noi semo sei.

GIGGI:                                     V’aggiungo e ssedie. Poi vedemo.

TONIO:                                    (entrando da casa) Papà?

GIGGI:                                     C’hai fatto?

TONIO:                                    Ecco, non posso neanche chiamarvi?

EDOARDO:                            E’ che quando me chiami co’ quel tono…

ANNA:                                     Fallo parlare.

LUISA:                                    Ti sei calmato?

TONIO:                                    Sì, mamma m’ha dato un pezzo di cioccolata.

CRESCENZA:                        Ti ascoltiamo.( danno la copertina a Tonio che velocemente la piega e la mette in tasca)

EDOARDO:                            E’ con me che deve parla’. Nun ve impicciate.

TONIO:                                    Non litigate pe’ colpa mia, ecco.

CRESCENZA:                        Pe carità, mica te lo rubiamo

LUISA:                                    Parla, parla con tuo padre.

ANNA:                                     Su coraggio, il gatto t’ha morso la lingua?

TONIO:                                    Ma noi non abbiamo gatti!

EDOARDO:                            Quanno te svejerai eh? Quanno? Hai fatto la copertina del libro di Verne?

TONIO:                                    (sta quasi per piangere) Ecco, ce l’avete tutti con me!

GIGGI:                                     Tonio, dì quello che devi dire a tuo padre che ciabbiamo da fa’.

TONIO:                                    (soffiandosi il naso) Io vorrei dedicare una poesia…

CRESCENZA:                        A proposito, Giggi, potreste inserire subito quei versi, quelli che  ha portato Salvatore?

GIGGI:                                     Io non li ho letti.

EDOARDO:                            Manco io. Quando, come, dove?

TONIO:                                    Oh, io li ho sentiti: erano stagionali.

EDOARDO:                            Stagionali?

CRESCENZA:                        Era il paragone tra un’innamorata e marzo pazzerello. E’ andato via frettoloso, ma erano molto intensi.

GIGGI:                                     Vabbè, se riuscimo a ritrovallo…

ELISA:                                     (affacciandosi) Di chi parlate?

ANNA:                                     Di quel poeta napoletano che’è passato di qui ieri.

ELISA:                                     Ah, il portavoce di Di Giacomo. Sì ho io la cartella dei versi.

EDOARDO:                            Alla buonora, so’ giorni che aspetto!

CRESCENZA:                        (sorpresa) Non si chiamava Di Gennaro?

ELISA:                                     Sì lui sì, ma i versi erano di Di Giacomo.

TONIO:                                    Ha detto che erano i suoi e invece erano di un altro?

ANNA:                                     Un plagio!

CRESCENZA:                        (rattristata) Che importanza ha. Erano bei versi!

LUISA:                     Avrete capito male. Di Giacomo lo conosciamo tutti.

TONIO:                                    No, no. Io ho capito bene, vero zia Crescenza, gli ho detto pure che doveva cambiare il nome alla signorina, ecco.

LUISA:                                    Davvero gliel’hai chiesto? Non si chiede a un poeta di modificare i suoi versi.

ANNA:                                     Non è corretto.

GIGGI:                                     Elisa, me li fate legge’ per favore?

ELISA:                                     Sì li vado prendere.(rientra)

TONIO:                                    Papà…

LUISA:                                        Sbrigati a parlare figlio bello.

GIGGI:                                        Nun te magnamo mica!

CRESCENZA:                           Mi è venuto un po’ di mal di testa.

EDOARDO:                                Te credo, a sta sentì Tonio…daje viè dentro.(escono)

TONIO:                                       Ma papà…papà ascolta…(segue il padre)

ELISA:                                        Ecco i versi.

GIGGI:                                        Vabbe, me metto a lavoro!(esce)

LUISA:                                        Vado a vedere Crescenza come sta.(esce)

PIPPO:                                         (entrando) Buonasera a tutti.

ANNA:                                        (che stava per seguire le sorelle si blocca e rientra) Ohhh, Pippo!

PIPPO:                                         Signorina.

ELISA:                                        (con intenzione) Tutto a posto?

PIPPO:                                     Quasi…

ELISA:                                        Il quasi non va bene, sbrigatevi. (esce ma si mette a sbirciare dalla finestra)

SCENA 20

ANNA:                                     Vi  dovete preparare per lo spettacolo no?

PIPPO:                                     In realtà è tutto pronto, anche se c’è sempre quarcosa da fa’.

ANNA:                                     Vi applaudirò con fervore.

PIPPO:                                     Grazzie, nun merito tanto.

ANNA:                                     Sì invece.Siete un grande artista.

PIPPO:                                     Ecco io...

In tutto il dialogo Elisa sbircia dalla finestra, commentando mimicamente la scena.

PIPPO:                                     Sapete, io so’ npo’ babbalocco e so bbono solo a inciafrujà, però…

ANNA:                                     In italiano, prego.

PIPPO:                                     Eh? (fra sé) Mamma mia che fatica a levamme sta breccola daa scarpa. Volevo dì che nun so ‘nbergarofalo, ve pare forze che so’ ‘n po’ miffarolo, ma in verità son bambacione e sei proprio nun sete ‘na balucana ve ne sarete accorta.

ANNA:                                     Non è chiaro ciò che mi state dicendo, almeno nel vocabolario. Sento comunque un certo afflato tra di noi.

PIPPO:                                     De che? Lo so che in confronto a vvoi so’n buzzuro, ma me credete se ve vojo portà a l’altare?

ANNA:                                     Oh, che mi state dicendo? Sto sognando? Mi state prendendo in giro? Non credo di capire.

PIPPO:                                     Er fatto eh che nun ciò ‘n bajocco e che a recità nun se guadambia gnente, ma…

ANNA:                                     Ah, ma non vi preoccupate, mio fratello sarà ben felice di aiutarci. (Elisa fa gesti di rabbia)

PIPPO:                                     Giammai, io so omo d’onore. La donna mia io la devo da mantené.

ANNA:                                     Accetto il vostro punto d’onore. Avete ragione.

PIPPO:                                     Allora, me pijate?

ANNA:                                     Mi piacerebbe vedervi inginocchiato.

PIPPO:                                     Io… ecco io…sete bella…

ANNA:                                     Dite la verità, non avete gli occhi forse un po’ appannati? Veramente so’ bella?

Carlo arriva, si accorge dell’imbarazzo di Pippo e suggerisce cercando di non farsi vedere

CARLO:   “So’ bella so’; che me lo dite a fa’

PIPPO:“So’ bella so’; che me lo dite a fa’

Anna si allontana, Pippo la segue e non sente chiaramente i versi di Carlo. Dopo un po’ capisce che Pippo non riesce a ripetere i suggerimenti

CARLO:Che gnente nu’ l’avessi da sapè?

PIPPO:   C’è gente che i fessi vo’ vedè         

CARLO                 So’ bella, che ciavete da guarda’?

PIPPO:    A bella, che ciavete da magnà?    

CARLO:   Te guardo,

PIPPO:   Gerardo…

CARLO:   perché quanno vedo a te

PIPPO:   Che me bevo dopo er tè?

CARLO:Me sento er sangue che me fa fu-fu…

PIPPO:   lento  langue chi nun fuma più

CARLO:   Capischi ciumachella, si com’è?

PIPPO:   Tu fischi a Garbatella, ma perché?

CARLO:Pretenni che me spieghi un po’ de più?

PIPPO                   Pretenni che me spinghi un po’ più giù?

ANNA:   Manco a ripete sei bono!

CARLO:   (uscendo allo scoperto)Ce l’aveva tutto in mente lo ggiuro.

PIPPO:   Sì lo ggiuro.

ELISA:                                     (uscendo) Oh, salve!

CARLO:                                  I miei versi?

ANNA:                                     Sono splendidi, è un poeta.

PIPPO:                                     Confermo.

ELISA:                                     Giggi, Giggi!

GIGGI:                                     (entrando dalla tipografia)Che succede?

ELISA:                                     Il Rugantino, deve contenere i versi di questo giovane.

GIGGI:                                     E Di Giacomo?

ELISA:                                     Come ve pare. Ma lui è romano.

CARLO:                                  Certo che so’ romano, ce scrivo pure. Me possino cecamme che lo sono.E ce lo sapete quanto ce tengo!

PIPPO:                                     Elisa cià ragione: er Rugantino deve contené versi di un romano.

GIGGI:                                     Fateme sentì Edoardo. (esce per chiamarlo)

SCENA 21

EDOARDO:                            (Entra con Tonio) Com’è tutti qua fori, Pippo ancora state qui?

ANNA:                                     Pippo ti deve dire una cosa.

ELISA:                                     Anche io.

GIGGI:                                     Anche io se vi compiace.

EDOARDO:                            ( a Carlo) Pure tu?

CARLO:                                  Io sempre, lo sapete. Volete legge i versi mia? Se me li pubblicate ggiuro che nun vorrò ‘nbajocco!

EDOARDO:                            Non cado nel tranello. Io so Perino, l’editore de Roma e non pubblico se non lo ritengo giusto.

PIPPO:                                     Sor Edoa’ sto regazzo è ‘n poeta vero.

ANNA:                                     Sì, credici è così.

ELISA:                                     Questo appunto ti volevo di’. Carlo è bravo a scrivere versi che lodano le donne. Versi d’amore, di attaccamento. E poi è romano.

GIGGI:                                     Il Rugantino è il giornale de Roma. Se potrebbe fa ‘na rubrica co’ le poesie de Carlo.

TONIO:                                    Anche io ho bisogno di Carlo per la ragazza mia.

Tutti si girano allibiti.

TONIO:                                    (canticchiando)Sì, mi sono fatta la fidanzata, mi sono fatto la fidanzata ecco! E’ bella e bionda e ha gli occhi di cielo. Papà, se mi lasciavi parlare te lo spiegavo meglio.

ELISA:                                     Sul serio? Quando me la fai conoscere?

PIPPO:                                     E bbravo. A me me ce so voluti quarant’anni e lui…

ANNA:                                     Menomale che hai aspettato tanto.

GIGGI:                                     Ah, pure tu te sei incastrato. Eri ‘n drittaccio che nun te volevi legà a nisuna e mo…

ANNA:                                     Ha trovato l’amore!

TONIO:                                    Carlo allora me la scrivete una poesia?

CARLO:                                  Sor Perino, me la pubblicate?

GIGGI:                                     Che famo, ja pubblicamo?

EDOARDO:                            E va bene. Ma fammene sentì armeno una. Co’ tutta sta buriana…

ELISA:                                     E com’è questa ragazza?

TONIO:                                    Zitta mamma fammi sentire!

ELISA:                                     Fino a ieri ti dovevo ancora  lavare la faccia…

CARLO:                                  Pe’ la ciumaca de Tonio:

                                                               ‘ Sta cara ciumachella

Io qui ve l’aricopio:

è na bellezza proprio

co’ li fiocchi.

Pare ‘na Madonnella;

è semprice, è innocente;

si la guarda la gente

 abbassa l’occhi.

E’ come ‘na violetta

che, nata immezz’ar prato,

spanne un odore grato

               e s’anisconne.

Vedenno ‘st’angioletta

Cacciatev’e er cappello

E dite: ecch’ er modello

De le donne.

Tutti applaudono

TONIO:                                    E’ proprio così, come l’avete descritta bene. Sembra che la conoscete.

CARLO:                                  Avete detto che era bionda co’ l’occhi cilestrini. Mbeh, ‘na Madonnina.

ANNA:                                     Edoardo, penso che si possa fare.

EDOARDO:                            E va bene.

GIGGI:                                     Allora. Diciamo che ci portate pe’ comincia’ ‘na ventina de poesie.

ANNA:                                     Sì, magari anche di più.

PIPPO:                                     Me sembra ggiusto. Però, permetteteme. Abbisogna che siano dedicate a persone note. Alle regazze delle famije conosciute. Più saranno famose, più il giornale tirerà.

GIGGI:                                     E’ una bell’idea, che ne dici Edoardo?

EDOARDO:                            Allora er Rugantino offrirà alle belle de ‘sta città poesie, sonetti o madrigali romaneschi. Sapete come l’intitolamo? Stelle de Roma.

CARLO:                                  Me piace, sì.

TONIO:                                    La prima però sarà dedicata a l’amore mio.

ELISA:                                     E come si chiama?

TONIO:                                    Per ora, non ve lo dico, ecco.

ELISA:                                     Ma io la conosco? Dì, la conosco?

ANNA:                                     E’ qualche ragazza del quartiere?

GIGGI:                                     Shhh, nun parlà.

EDOARDO:                            Zitti un po’. Stamo a perde troppo tempo: Giggi fila dentro, Tonio e Carlo pure. A proposito ma come ve firmate? Carlo Alberto Mariano…?

CARLO:                                  No, il mio nome d’arte sarà… Trilussa.

EDOARDO:                            Stelle de Roma de Trilussa. Va bene! (esce)

PIPPO:                                     Sete contenta?

ANNA:                                     E me lo domandate?

PIPPO:                                     Ve va de venì a teatro?

ANNA:                                     Posso?

PIPPO:                                      Sicuro! (escono)

ELISA:                                     E una l’abbiamo sistemata!

SCENA 22

Il giorno dopo.

Si sentono i richiami degli strilloni.

“La regina al teatro  Rossini”. Sua Maestà si è complimentata co’ Giggi Zanazzo e tutta la compagnia romanesca. Zanazzo ha offerto un bouquet alla regina. Agnese Bianchini è stata sommersa di regali. Grave indisposizione impedisce alla Ristori di intervenire alla serata” Poi ricomincia “ La regina al teatro Rossini…Agnese, Elisa e le tre zitelle hanno il giornale in mano, leggono e commentano.

CRESCENZA:                    La nostra amabilissima regina che tanto ama  ed incoraggia le belle arti gentili…

ANNA:                                  Volle onorare il nostro simpatico Zanazzo, che in Roma ha saputo far risorgere ed apprezzare il “teatro romanesco”

LUISA:                                 Assistendo all’Accademia Romanesca, in onore della prima donna

CRESCENZA ANNA LUISA:         Agnese Bianchini

ELISA:                                 Siete stata bravissima!

AGNESE:                             E per fortuna che la Ristori stava indisposta, perché me sa che se c’era lei io nun me potevo mica move tanto.

ELISA:                                 (allusiva)Ah sì, quella è stata proprio ‘na fortuna!

AGNESE                                              Ah, è stato fantastico. Poi quando Giggi ha dedicato quel sonetto alla regina!

Fuori scena si sente la voce di Giggi registrata che termina il sonetto alla regina e l’applauso dopo.

GIGGI:                                 “E de saluti ve ne manno tanti

                                               Pe’ quante foje smoveno li venti,

                                               Pe’ quanti in Paradiso ce so’ santi.”

AGNESE                              M’è sembrata commossa. E quando hanno cominciato  il  saltarello, quasi quasi sembrava che volesse ballà insieme a noi.

CRESCENZA:                    Certo che però da lassù non si vedeva un granché.

LUISA:                                 C’era così tanta gente!

ANNA:                                  Pippo risaltava su tutti.

AGNESE:                             Ho saputo la bella novità. Congratulazioni!

ANNA:                                  Grazie!

ELISA:                                 (sottovoce) A me me le dovete fa’ le congratulazioni.

AGNESE:                             Sicuro. Chissà se Tamburri se carmerà un po’. Pare sempre un sartapicchio.

LUISA:                                 Difficile da credere. Il lupo perde il pelo ma no il vizio.

ANNA:                                  Siete gelose ecco perché parlate così.

CRESCENZA:                    Capirai, gelose de che?

ANNA:                                  Perché io mi sposo ecco!

LUISA:                                 Per carità, sposatelo pure quel…

ANNA:                                  Quel?

CRESCENZA:                    Mezza tacca!

ANNA:                                  Ma se quando si presentava facevate tutte le svenevoli.

CRESCENZA:                    Nient’affatto!

LUISA:                                 Te lo sei sognato!

ANNA:                                  No, non me lo sono sognato.

ELISA:                                 Tutte sorrisetti e moine.

ANNA:                                  E’ vero e’ vero. Siete invidiose perché io mi sposo un grande attore!

AGNESE:                             Su questo non c’è dubbio. E col matrimonio metterà la testa a posto.

ANNA:                                  Che significa?

AGNESE:                             Che smetterà de fa’ er ragazzino! A proposito de ragazzini, ho da corre a prende i miei che stanno da mi madre. Poveraccia, già glieli mollo tutte le sere che recito e ne ho approfittato pure mo’. Ve saluto. (esce)

TUTTE:                                Arrivederci.

ANNA:                                  Beh, devo dare un’occhiata al guardaroba. Non voglio pesare su Edoardo per farmi un vestito da sposa, m’arrangerò qualcosa.

ELISA:                                 Non ti preoccupare, per un avvenimento del genere, figurati se Edoardo non ti aiuta! T’avrei dato il mio, ma l’ho tinto.

ANNA:                                  Non potevi lasciarlo com’era? Pensavi che non servisse un abito da sposa in casa?

ELISA:                                 (con intenzione) Francamente no!

ANNA:                                  Allora vado a cercare una stoffa, non tanto di prezzo. Che m’accompagnate?(alle sorelle)

LUISA:                                 Sì. Vengo con te.

ELISA:                                 E tu? Non vai ad aiutarla?

CRESCENZA:                    (nervosa) Siamo in troppe, vado un momento in chiesa. Questi giorni ho trascurato le mie preghiere.

SCENA 23

EDOARDO:                         (entrando)Elisa allora che ne pensi del Rugantino.

ELISA:                                 Mi raccomando, adesso che sei preso dal giornale non ti dimenticare di Grazia Deledda eh?

EDOARDO:                         Con chi ti credi de sta’ a parlà. Già l’ho messo in stampa. Uscirà alla fine della settimana insieme al terzo volume  dell’enciclopedia.

ELISA:                                 Bravo, qualche volta sembri quasi un editore vero… Tonio, bello di mamma, Tonio! (esce)

EDOARDO:                         Oh è proprio vero “Nemo propheta in patria” Chi o diceva?

SALVATORE:                    (entra con un mazzo di fiori nascosti dietro la schiena) Buongiorno signor Perino.

EDOARDO:                         Buongiorno signor Di Giaco…no, mi sbaglio

SALVATORE:                    Di Gennaro. Ricordate?

EDOARDO:                         Sì, sì. Avete altre poesie di Di Giacomo?

SALVATORE:                    No, no. Io sto per partire, ma prima volevo salutare la signorina Crescenza.

EDOARDO:                         Non so dove sia. Se aspettate qui, la vado a cerca’.(esce)

SALVATORE:                    Grazie. Aspetto.

Salvatore girella un po’, poi siede. Elisa lo vede ed esce.

ELISA:                                 Buongiorno signor Di Gennaro:

SALVATORE:                    Oh, buongiorno signora.

ELISA:                                 Credevo foste partito.

SALVATORE:                    Sì, sto per tornare a Napoli. Però volevo salutare la signorina…cioè scusate, volevo salutare voi e tutta la vostra famiglia.

ELISA:                                 Oh grazie(Elisa adocchia i fiori) Che bei fiori!

SALVATORE:                    (colto in flagrante è imbarazzato) Questi sono …per voi.

ELISA:                                 Oh, non dovevate disturbarvi, sono bellissimi.

SALVATORE:                    No, che disturbo, siete così gentile…

ELISA:                                 Non sono abituata a ricevere fiori, sapete?

SALVATORE:                    Oh, mi dispiace. Una signora come voi!

ELISA:                                 Beh, quando una è sposata e madre di famiglia, si sa…perde fascino.

SALVATORE:                    La grazia e la gentilezza non si perdono mai!

ELISA:                                 Troppo gentile.

EDOARDO:                         (entrando) Crescenza non c’è…

ELISA:                                 Edoardo…

EDOARDO:                         Chi ti ha regalato quei fiori?

ELISA:                                 Il signor di Gennaro.

EDOARDO:                         E come vi siete permesso eh?  Che vi siete messo in mente?

SALVATORE:                    Ma niente, era solo una omaggio.

EDOARDO:                         Un omaggio per che cosa? A casa mia chi porta fiori ad una donna lo fa per un motivo!

ELISA:                                 Edoardo, smettila di fare il bambino! Perdonatelo per favore.

SALVATORE:                    Signor Perino scusate…

EDOARDO:                          Macché scusate e scusate. Volevate offendere mia moglie eh?

ELISA:                                 Che offendere, mi voleva fare una gentilezza! E tu, mi hai mai portato dei fiori?

EDOARDO:                         I fiori si regalano quando uno si vuole fidanzare. Noi siamo sposati.

SALVATORE:                    Vi prego, c’è un fraintendimento.

ELISA:                                 Neanche quando eravamo fidanzati mi hai mai portato dei fiori.

EDOARDO:                         Non è vero , una volta te li ho regalati.

ELISA:                                 Li hai strappati dal giardino dei miei genitori.

EDOARDO:                         E allora?

SALVATORE:                    Vi prego signor Perino…

EDOARDO:                         Entra dentro è una questione fra uomini!

ELISA:                                 Niente affatto.

SALVATORE:                    Che cosa volete fare?

EDOARDO:                         Difendere il mio onore!

ELISA:                                 Sei ridicolo!

SCENA 24

                                                              

Entra Crescenza.

CRESCENZA:                    Perché strillate?

SALVATORE:                    Signorina Crescenza!

CRESCENZA:                    Signor Di Gennaro!

Salvatore strappa dalle mani i fiori a Elisa e li porge a Crescenza.

SALVATORE: Sono venuto a salutarvi, parto per Napoli.

EDOARDO:                         Ma allora i fiori?

ELISA:                                 Erano per lei. Che figura!

SALVATORE:                    Perdonatemi signora, io …voi avevate visto i fiori e allora…

ELISA:                                 Sì, sì ho capito. Fate, fate pure.

EDOARDO:                         E voi mi avete fatto alterare in questo modo, che ancora ciò l’affanno…(siede e Elisa lo sventola mentre ascolta)

CRESCENZA:                    Partite dunque, mi dispiace.

In questo momento si intrecciano i discorsi di Perino con Elisa e Crescenza con Salvatore.

ELISA:                                 Davvero ti eriingelosito?

EDOARDO:                         E’ stato uno sfrontato.  Spero di non rivederlo tanto presto.

SALVATORE:                    Posso tornare presto. Dipende solo da voi.

CRESCENZA:                    Fate come volete, mi avete anche ingannato.

ELISA:                                 Ci ha ingannato entrambi.

EDOARDO:                         In che modo!

SALVATORE:                    Vi ho ingannato in che  modo ?

CRESCENZA:                    La poesia di Di Giacomo, mi avevate fatto intendere che era vostra.

SALVATORE:                     Sì è vero, ho sbagliato. Ma sono stato colto di sorpresa. Quando avete pensato che fosse mia, eravate così entusiasta…non ho avuto il coraggio.

EDOARDO:                         Che coraggio, che affronto!

CRESCENZA:                    Allora, addio.

SALVATORE:                    Un momento, se permettete… ho scritto qualche verso io stesso.

ELISA:                                 Lui stesso ha detto che era l’autore dei versi di Di Giacomo.

CRESCENZA:     Sentiamo:

EDOARDO:                         Io non voglio sentire niente!

SALVATORE:     Crescenza, me fate pensà a l’essenza

                                               De nu fiore profumato de lillà

                                               C’aggia dicere de cchiù, sete ‘na rosa

                                               La bocca vostra na cerasa intenza

                                               O amata mia Crescenza

                                               Nun me lassate cà

                                               Come un solitario ramo secco e vecchio

                                               Fate rinasce stommo a vita nova

                                               Crescenza nun me date sta penitenza

                                               De sta lontano dal vostro cuor.

CRESCENZA:                     Ohhh, davvero è vostra?

SALVATORE:                    Avete sentito quante volte pronuncio il vostro nome?

CRESCENZA:                    Edoardo hai sentito?

EDOARDO:                         Non pubblico niente!

CRESCENZA:                    Terrò questi versi nel mio cuore.

SALVATORE:                    Sentite io…tengo una piccola attività, commercio in generi alimentari. Non è un grande negozio, ma mi permette di campare dignitosamente.

CRESCENZA:                    Ah, che bel lavoro!

EDOARDO:                         Un bottegaro!

SALVATORE:                    Quando mio nipote mi ha chiesto di portare a vostro fratello i suoi versi, ho approfittato perché dovevo fare delle consegne di mozzarella di bufala campana qui a Roma.

ELISA:                                 Buono, buono!

CRESCENZA:                    Buona!

SALVATORE:                    Voi…voi …Verreste a Napoli con me?

ELISA:                                 E’ già partita!

EDOARDO:                         Deve rispondere lei!

ELISA:                                 Beh, io interpretavo…

CRESCENZA:                    Sono pronta.

ELISA:                                 Hai visto?

SALVATORE:                    Sarete la mia mozzarella più pregiata. Ed io vi assaporerò con gusto! Mi avete suggerito un’idea nuova nuova, perché non dare il vostro nome ad un formaggio fresco e cremoso?

CRESCENZA:                    (vergognandosi, lusingata) Che dite, ah ah ah!

EDOARDO:                         Puff! Al nord la crescenza la producono da secoli!

ELISA:                                 Ce l’ha per vizio di vantarsi delle cose non sue.

SALVATORE:                    Allora io parto, sistemo un po’ di cose e torno.

CRESCENZA:                    E quando tornerete?

SALVATORE:                    Al più presto. Prima andrò, prima tornerò.

ELISA:                                 (ad alta voce) Un momento.

SALVATORE:                    Sì?

ELISA:                                 Portereste con voi anche Luisa? E’ brava a tenere i conti, potrebbe esservi utile. Senza sorelle si sentirebbe sola e abbandonata.

CRESCENZA:                    E’ vero. Anna si sposa, io parto… Salvatore, potreste?

SALVATORE:                    Faremo questo sacrificio.

EDOARDO:                         Non sai quant’è vero!

CRESCENZA:                    Grazie, siete proprio un gentiluomo. Luisa non ci darà fastidio, vedrete…E poi magari incontrerà qualcuno a Napoli. Ma…Tonio? Il mio Tonio?

SALVATORE:                    Pure Tonio adesso?

ELISA:                  Tonio ha una madre e un padre!Penseremo noi a lui.

EDOARDO:                         Così forse comincerà a darmi retta!

SALVATORE:                    D’accordo allora. Arrivederci a tutti. Crescenza mia adorata! (esce dopo aver baciato la mano a Crescenza)

EDOARDO:                         Crescenza, sei sicura? Neanche lo conosci. Almeno Tamburri è una vita che bazzica da ‘ste parti.‘Sto Di Gennaro, ma chi è? Potevi aspettare un po’, conoscerlo meglio, indagare di più sul suo conto.

CRESCENZA:                    Sai che ti dico?A 16 anni lo cerchi bello, ricco e sapiente. A 25, ricco e sapiente, quando arriviall’età mia, chicchessia Edoà, chicchessia.(esce ballando)

SCENA 25

ELISA:                                 Tre in un colpo!

EDOARDO:                         Quasi quasi lo metto sur giornale. Doppio matrimonio a casa Perino.

ELISA:                                 Che bella giornata! Ciò anche un marito geloso!

EDOARDO:                         Tu non ci crederai, ma quando t’ho visto cor mazzo , me so’ infuscato subbito!

ELISA:                                 Ci pensi Edoà. Staremo noi tre da soli, Tu Tonio ed io, come una vera famiglia. Così vicini e insieme non ci siamo mai stati!

EDOARDO:                         Senza socere!

ELISA:                                 Finalmente Tonio ci starà a sentire. Farà riferimento solo a noi due. Maturerà.

TONIO:                                (uscendo) Papà, papà…

EDOARDO:                         (incredibilmente serafico) Sì caro, dimmi pure!

TONIO:                                (riprovando) Papà, papà…

ELISA:                                 Tonio racconta, esprimiti.

EDOARDO:                         Ciai qualche problema. Dì, dì, papà ci sta per questo.

TONIO:                                (incredulo) Che v’è successo?

ELISA:                                 Amore di mamma tua: doppio matrimonio in casa Perino.

TONIO:                 Perché doppio, chi altro si sposa oltre alla zia Anna?

ELISA:                                 Tua zia Crescenza e si porta via zia Luisa.

TONIO:                                Davvero? Mi fa piacere.

EDOARDO ELISA:            Dillo a noi!

EDOARDO:                         Finalmente noi tre soli soletti!

TONIO:                                Così ci sarà posto ecco!

EDOARDO:                         Posto per chi?

TONIO:                                Ma per Cecilia no? Abbiamo deciso di sposarci ecco!

ELISA:                                 (allarmata) Che stai dicendo? Sei troppo giovane, è troppo presto. Da quanto la conosci eh?

EDOARDO:                         Ancora non ti sei imparato il mestiere.

ELISA:                                 Non puoi assumerti la responsabilità di una moglie!

EDOARDO:                         Sposarsi è una cosa seria! Che te pensi ch’è ‘ngioco?

ELISA:                                 Fino a ieri ancora avevi bisogno di me.

EDOARDO:                         Figlio mio, aspetta non è il momento. Adesso pure col Rugantino c’è da lavorare…non sei autonomo!

ELISA:                                 Devi ancora crescere…

TONIO:                                Eh, ma per quando sarà nato il bambino….

Elisa ed Edoardo si guardano e cadono entrambi sulle sedie sconvolti. Entra Carlo.

CARLO:                                Era ‘na seratina tanta bella!

                                               La luna ariluceva in mezzo ar cielo.

Ma accanto a lei ce stava come un velo

Che stava quasi per annisconnella!

                                                               Io je facevo, dico:-ah nuvoletta!

Nun me coprì la luna, tira via!

Ché adesso ha da passà Cecilia mia…

Rischiarame ‘sta faccia benedetta!

Pe’ Stelle de Roma, ve piace?

FINE