Streghe da marciapiede

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Siamo nell’aula di un tribunale, ma di tale spazio vediamo soltanto il banco dei testimoni, a proscenio, che, all’occorrenza, e

STREGHE DA MARCIAPIEDE

           

                                      di francesco silvestri

PERSONAGGI:

GINA

MORENA

ALBA

TUNA

LUI

Copyright - Tutti i diritti riservati all'Autore - Pos. S.I.A.E. 53220

Siamo nell’aula di un tribunale, ma di tale spazio vediamo soltanto il banco dei testimoni, a proscenio, che, all’occorrenza, e grazie ad una semplice rotazione, si dovrà trasformare in ringhiera del balconcino di un appartamento. La scena, infatti, rappresenta il disimpegno di una casa, la “saletta”, come si dice in napoletano.

Qui vi sono collocati un divano a tre posti, un appendiabiti, uno specchio, un mobiletto, un giradischi, qualche poltroncina, un tappeto, etc., tutto in una caotica confusione di stili.

Sul fondo, al centro esatto, una porta dà in un lungo corridoio dove si presume si trovino le camere singole delle protagoniste; due comuni a destra, una per la porta d’ingresso all’appartamento, un’altra per la cucina, e una a sinistra che conduce in bagno.

La disposizione delle comuni può essere variata purché la scenografia conservi il suo impianto geometrico, a raggiera. Nelle intenzioni dell’autore, infatti, e grazie a qualche piccolo accorgimento estetico, essa dovrebbe rimandare all’antro di una caverna sotterranea da cui si diramano cinque cunicoli bui; dovrebbe anche ricordare, forse, il ventre materno o, se si vuole, un vortice, l’epicentro di un gorgo melmoso.

I puntini sospensivi nelle battute, e quindi le pause, indicano, il più delle volte, le domande che il Pubblico Ministero o l’Avvocato rivolgono all’imputata di turno.

Per le didascalie inerenti ai toni consigliati alle attrici, non inserite nel testo, si rimanda al prospetto sulla descrizione dei personaggi.

 

Un ringraziamento particolare al Sig. Renato Pereira per aver tradotto in brasiliano ‘popolare‘ le battute di “Morena”.

A T T O   P R I M O

 

Ad apertura di sipario, il banco dei testimoni è occupato da Gina, in piedi, nell’atto di giurare.

Nella penombra circostante si intravede Morena che strimpella una chitarra e canta a mezza voce la canzone ‘Morena Flôr’.

GINA - (lunga pausa) Lo giuro! (Siede) Girolomina Asteri detta Gina... No. Non Mina... Gina! È facile confonderli, lo so. Ma io sono di Gerolomini, vicino Pozzuoli, e così i miei hanno avuto la brillante idea... Quinta elementare, poi la strada. Vivi, ringraziando non so chi, ma stanno al paese... Certamente che lo sanno. E, secondo voi, perché non mi vogliono vedere più?! La solita storia, è inutile che ve la racconto, s’è già vista abbastanza dentro ai film... Da quattro anni, sì... Di sfuggita ci sapevamo da parecchio tempo. Ognuna di noi stava arrangiata da qualche parte; poi, così, per caso, in una serata strana, una di quelle serate che capitano girando intorno ad un fuocherello improvvisato, ci incontrammo e decidemmo di prendere un’unica casa grande con quattro stanze... C’eravamo simpatiche...

    No, frequentiamo apposta quartieri diversi proprio per non litigare... No... Mai. Mai... E non vi dovete meravigliare se quattro puttane, si può dire puttane?, se quattro puttane che vivono insieme non hanno mai litigato. Pare brutto. Per noi e per la categoria... E allora ho frainteso io, perdonatemi...

   Sì, da buone commari. Ci siamo divise i compiti: chi cucina e lava i piatti, chi fa la spesa e paga le bollette, chi si occupa delle pulizie della casa, e chi si riposa un mese. Poi il turno cambia e... Alba! La più grande... Nessuno... Libere... No... Nessun protettore, nessun magnaccia, nisciuno ricuttaro d’arricchì. E neppure nessun uomo in casa! Patti chiari, questo è il segreto: il lavoro si fa sul posto. Niente compiti da finire a casa per l’interrogazione di domani. Tanto, per chi viene sempre bocciato, gli esami finiscono presto... Sì, purtroppo, fu colpa mia. Fui io a trovarlo e a… a rompere la prassi... No, questa volta credo che avete frainteso voi. Io non l’ho incontrato. L’ho trovato! E isso, comme a ‘nu cacciuttiello senza padrone, s’è mmiso areto e...

    Solo noi due... Tornate da poco, sì... Un quarto d’ora, venti minuti... Ve l’ho già detto: stavamo solo noi in casa. Io e Morena. (Pausa. In altro tono) E chi se lo immaginava che tutto stava cominciando proprio in quel momento...

Morena canta con più foga e sicurezza. Si fa luce. E’ mattina. Il “banco” diventa ringhiera. Gina si scioglie i capelli e li asciuga al sole.

MORENA - “Morena flôr, me dê um cheirinho

                      un cheirinho de amor.

                      Depoi também, dê me todo esse denguinho

                      ceve su’ voçê tem… “  (Continua)..

GINA - Hai chiuso la porta dello stanzino? (Morena annuisce. Gina lancia uno sguardo in strada. Agitata) Uh…, sta salendo Alba. Non le dire niente, ci penso io. (Morena sorride e annuisce. Gina chiude la porta che dà nel corridoio)Addò stanno ‘e pantofole? (Le trova) Evviccanno…Tengo ancora ‘e capille bagnati, mannaggia…

ALBA - (entra e si getta esausta sul divano) Mamma d’’o Carmine… Mamma d’’o Carmine,‘sti scarpe… (Si sfila le scarpe. Gina le porge le pantofole).

GINA - Com’è andata?

ALBA - Chillu disgraziato! M’ha fatto fa’ dieci chilometri a ppere, m’ha fatto fa’. Eppure è per legge civile che dove ti prendono llà ti devono riportare. Niente! Nun c’è stato verso. Doveva tornare a casa, il signorino. M’ha lassata int’a ‘na campagna sperduta ‘e Marano a me sola, a rischio ‘e me fa venì ‘n’appietto ‘e core. E si fosse fermato quaccheduno pe’ me da’ ‘nu passaggio, sa’!

 MORENA - Que gente braba, voçê freqüenta.

 ALBA - (risentita) Quello era un cliente affezionato. Me l’aggio       crisciuto, se pò dicere. Ah, ma mò nun ‘o voglio vede’ cchiù manco pe’ prossimo. Se ne jesse adda tailandese ca chella tene ‘e cosce bbone.

GINA - (con eccessiva apprensione) Vuoi che ti preparo qualcosa?

ALBA - No, lascia sta’, dopo faccio io.

GINA - (c.s.) Ti piglio un cuscino?

ALBA - (notando la strana agitazione della ragazza) No... Grazie. Sto bene.

GINA - Io... Io ti devo... Devo... (Risolve) Devo asciugarmi i capelli. (E resta immobile).

ALBA - (dopo un tempo) E va’! (Gina si scuote e corre in bagno. A Morena) Ma che tiene? (Morena fa spallucce e sorride. Alba si massaggia piedi) Ci stanno novità?

MORENA - (conclude epicamente la canzone con un ultimo accordo di chitarra. Ride) Sì!

Una chiave gira nella toppa. Entra Tuna riponendo le chiavi nella borsetta.

MORENA - (ironica) Buonasera...

TUNA - (dopo aver lanciato uno sguardo intorno, indica il raggio di sole mattutino che penetra vistosamente nella stanza. Dura) Buongiorno! (Fa per aprire la porta del corridoio).

MORENA - Si deu mau esta noite, ne’? Andata male.

TUNA - No, perché?

MORENA - Ci sta ‘o specchio, là. Garda la faccia.

TUNA - È quella che mi porto dietro da sempre.

MORENA - E os micheteiros non si spaventano? (Tuna chiede ‘‘Chi?” con un cenno del capo) I clienti!

TUNA - Ma pensa ai tuoi, che a quanto si dice in giro hanno tutti qualche problema di ordine psicologico.

MORENA -  Mmhh... Falando dificil, hoje...

TUNA - No. Sei tu che sei ignorante.

MORENA - (abbandona la chitarra con stizza. Si avvicina a Tuna e gesticola molto) Non capisco, scusa... Io povera mulata... Solo due mesi aqui in Italia... Sou brasileira... Não scrivere, não leggere... Não capisco... (Veloce, ad Alba che le sta facendo segno di non esagerare) Puta merda, esses cara estão enchendo o saco! Pôrra! 

TUNA - (silenzio) Hai finito?

MORENA - Porquê, hai sentito ‘a sigla?

ALBA - Per piacere, non cominciate un’altra volta ché non ce la faccio.

GINA - (fa capolino dal bagno impugnando un asciugacapelli elettrico in funzione) Ah, Alba, perché la... Ciao Tuna. Perché la prossima settimana non ce ne andiamo a...

TUNA - (a Gina) Dove lo hai preso?

GINA - Morena!?!

MORENA - Não falei!

GINA - T’avevo pregato di non dire niente.

MORENA - No ho parlato!

T UNA - Rimettilo subito a posto!

GINA - Ma che cosa?

TUA - Il phon!

GINA - (sorride) Ahh... L’asciugacapelli...

TUNA - Chi ti ha dato il permesso?

GINA - Stava sulla mensoletta.

TUNA - Sì, quella di camera mia!

GINA - No, no! In bagno!

TUNA - Ma quante volte vi devo dire che non voglio che entriate nella mia stanza?! (Morena sottolinea questa battuta con un accordo di chitarra) Lo avevamo stabilito, all’inizio, no? (Morena c.s.).

ALBA - Gina, bella d’a sora, dance ‘o fono a Tuna.

GINA - Ma tengo ancora i capelli bagnati... (Morena c.s.).

ALBA - E usa il tuo!

GINA - (ingenuamente) S’è rotto...

MORENA - (c.s.) Ale’!

TUNA - (ad Alba) Lo vedi? Lo vedi che è in malafede? E tu che la difendi sempre...

ALBA - Ma quando mai...

TUNA - Prima dice che l’ha trovato in bagno e poi si contraddice.

ALBA -  (credendo di risolvere la questione) Gina, vatte a piglià ‘o mio.

TUNA - (al colmo dell’ira) Non puoi fare sempre così!

ALBA - Ma tu che bbuò ‘a me?

MORENA - Madruga braba, esta noite! (Gina ride di nascosto).

TUNA - (a Morena, di scatto) Sì, è stata una cattiva notte, va bene?! (Silenzio. Si calma a fatica) Proprio una cattiva notte. (Svuota la borsetta su un ripiano: tranne che per le chiavi, è vuota) Si sono presi tutto. Anche i documenti.

MORENA - (sincera) Uh, Jesus... (E va ad accarezzarle i capelli).

ALBA - E a te?

TUNA - Per fortuna avevo molti soldi. Era andata bene, stanotte. E loro si sono accontentati di quelli senza farmi niente. Meglio così, no?

GINA - (sincera) E certo, lo dici pure?

ALBA - Tesoro mio, tu devi cambiare zona!

TUNA - Già fatto. grazie! Ieri sera mi sono spostata dalle parti di Poggioreale proprio perché al Rione Luzzatti ormai...

GINA - Anch’io stavo a Poggioreale, stanotte...

TUNA - Prima mi hanno fatto il “servizio” in tre, e poi sono andati a farlo a un povero ragazzo che, chi sa come, si trovava lì. Ma non doveva avere molti soli perché gliene hanno date tante... Ma tante...

GINA - (imbarazzata) E com’era questo ragazzo?

TUNA - Non sono rimasta a godermi lo spettacolo.

GINA - E quindi non l’hai visto proprio?

TUNA - Ma che t’importa?

GINA - Così..., per curiosità. Per fare quattro chiacchiere...

TUNA - Alle otto del mattino? Non mi sembra l’argomento adatto per fare quattro chiacchiere! (Fa per avviarsi nella sua camera poi ricorda qualcosa) Però qualcosa di particolare doveva averlo... Era alto... Molto alto... Quai... Due metri, sicuro! Degli occhi strani… (Lentamente, e senza far rumore, si apre la porta del corridoio e appare LUI) La pelle... Un negro!... No, non era un negro...

ALBA - E questo chi è?!

TUNA -  (voltandosi di scatto) Lui... ! È lui quello di Poggioreale!

GINA – Ecco, io volevo...

TUNA - Eri da quelle parti stanotte?

GINA – Sì, e…

TUNA - E hai pensato di portartelo a casa!

GINA - No...

TUNA - Per consolarlo, poverino.

ALBA - Quant’è bello...

GINA - Mi ha seguita. Avevo voglia di dire “Via! Via! Go away!”. Niente. Non capisce. E non parla neppure.

MORENA – E’ overo. Appena trasuto è andato direto nello stanzino, como se ja’ sabesse a direção. Ha chiuso ‘a porta poco-poco e dormiu. A terra.

TUNA - Ah, c’eri anche tu?!

ALBA - (a Gina) Ma ‘e do’ è?

MORENA - (a Tuna) Aqui! No a Poggioreale.

GINA - (a Alba) Boh?! Te l’ho detto: non parla!

Nel frattempo, il giovane ha compiuto alcuni gesti molto strani senza mai avanzare di un passo. Lo osservano.

ALBA - Ma è scemo?

MORENA - (sfacciata e sensuale, accarezza una coscia del giovane) E anche se fosse? Com esse fisico...

TUNA – Ah, no! S’era stabilito: niente uomini in casa!

ALBA – Eh, sì, ja’ piccere’... Tuna tene raggione. E poi, per i gusti miei, ne vedo già troppi durante la giornata. (Gina scruta attentamente il volto del giovane e gli si avvicina).

MORENA - Anch’io ho pruvato a scasciarlo via, ma è ‘na muntagna. Con la forza no ‘o muovi, cu ‘a gentilezza nun capisce... Tenta voçê!

GINA - (impaurita, sottovoce) Morena...

ALBA - Certo che un uomo in casa pure ci farebbe comodo.

TUNA - Ma manco per niente! S’era deciso, all’inizio...

ALBA - Putesse lavà ‘nterra, Fa’ dduje servizi...

GINA - (c.s., allontanandosi dal giovane) Morena...

MORENA - (a Tuna) Tudo bem , s’era deciso, ma che sarà mai?! Pra’ oggi resta qui e domani... Amanhã agente vê.

TUNA -  (ad Alba) E tu non dici niente?

ALBA - E... che devo dire?! Se non dà fastidio... È comme ave’ ‘nu criaturo dint’’a casa. Con in più la fortuna ca nun parla, nun capisce, nun chiagne e... un piscia dint’’o lietto.

MORENA - (avvicinandosi a Lui) Si’ cuntento? A maiorança è con tigo.

GINA - (c.s.) More’…

MORENA - (al giovane) E vamos; fa’ un sorrizinho. Accussì... (Gli tira gli angoli della bocca. A Lui, quell’innaturale sorriso, resa stampato in faccia) Guardate! (Gli va dietro e lo manovra a mo’ di marionetta) Vi sta dicendo: ‘‘Muito obrigado amabili signore. Molte grazie pra’’a vostra buntà. Io vi prometto che resterò aqui boazinha senza dar fastidio…”.

TUNA - (sorride suo malgrao) Che stupida!

MORENA – (continua) “È ovvio, però, che se qualcuna di voi vorrà approfittare da minha immensa cassetta...”. (Gli pone una mano tra le gambe. Il volto di Morena è attraversato da un pensiero inquietante. Ma dura un attimo; subito dopo, infatti, la brasiliana si scuote e ripristina il suo coinvolgente Sorriso).

TUNA - (ride) E lascialo stare...

ALBA - (ride) Maronna, ‘o fa ‘e martirii.

GINA - (come in trance) Quando si è alzato da terra... a Poggioreale... era pieno di sangue. L’ho visto bene, stava sotto a un lampione. Sangue vivo… di un colore strano… E pure prima, quando s’è addormentato, teneva una brutta ferita sull’occhio.

TUNA – Mbe’?! Che c’è di strano?

ALBA - L’ hanno vattuto.

GINA - Guardatelo mò... Tiene la pelle liscia liscia... Senza segni... Senza ‘nturzature ‘e cazzotti... (Gli toglie lo stupido sorriso. A Morena) L’hê visto pure tu, no?

MORENA - Un attimo... di sfuggita. Pra’ mim são todos iguais.

ALBA – Ginu’, e ti sarai sbagliata, figlia mia. Sarà stata un poco di terra sulle sopracciglie. Polvere rossa. (Sorride) O si no l’avessema chiammà Santu Lazzaro! S’è alzato e ha camminato.

MORENA - (allarga le braccia del giovane) Não, parece mais un Cristo in croce.

GINA - (sorridendo, bugiarda) Avete ragione... Forse mi sarò impressionata...

ALBA - Ha fatto ‘o miracolo d’’a resurrezione... (Ridono).

TUNA - Comunque sappiate che non sono d’accordo sul...

MORENA - Uh... Que lenga lenga! Dai, facciamogli vedere o nosso showsinho.

GINA - Sì, sì, il nostro numero, sì!

ALBA - No, pe’ pietà, tengo ‘e piedi ca nun m’’e sento cchiù.

MORENA - (la solleva) E su, vamos là!

GINA - (batte le mani a ritmo) Alba! Alba! Alba!

ALBA - (aiutata da Morena, pone il divanetto al centro della scena) E va bene! Va bene! Calma! Però soltanto la prima parte ché devo ancora cucinare.

GINA - (a Lui, spostandolo) Tu mettiti qua che vedi meglio. E togliti queste mani dagli orecchi sennò non senti niente. Vieni, Tuna!

TUNA - Non ho voglia di pagliacciate.

MORENA – E lassala perdere! Pronte! In posição!

Mette un disco e si dispone in riga con le altre due. Eseguono un numero cantato e ballato. Tuna va al balcone che, lentamente, si trasforma in banco degli imputati. La musica e il canto delle altre fa da sottofondo alle sue parole.

TUNA - (siede) Nessuna di noi aveva davvero intenzione di prenderlo in giro. Solo che... Tanto per scherzare un po’... A volte avevamo dei battibecchi, sì, ma nulla di serio... Poco importanti... Mi trovo bene con loro, non... Lo facciamo spesso quando siamo di buonumore. Mettiamo il disco e... Cosa? Ah, sì. Alba era davvero molto stanca. Disse che le facevano male i piedi e andò in cucina a preparare qualcosa da m... Gina era eccitata... Morena? Se fosse stato per lei avebbe continuato a ridere e a cantare per tutto il giorno... Giocavamo! Nessuno voleva fargli del male e nessuno gliene fece. Poi, qualcuno... Non ricordo... Morena! Sì, fu proprio Morena che tentò di fargli mangiare qualcosa... Un biscotto..., non so... Ma lui..., lui si capiva che aveva fame ma non volle prendere nulla... Soltanto in cucina ci spiegammo il perché... In cucina! Andarono a pranzo... Cioè, lo trascinarono, poiché... Non avevo fame. Restai sul balcone a prendere un po’ d’aria... Le dieci... Dieci e mezza... (In scena è avvenuto esattamente quanto descritto da Tuna) Mi raccontarono che… Ve l’ho detto: non c’ero. Io… Mi raccontarono che per farlo mangiare dovettero poggiargli il piatto a terra… Quello grande, per l’insalata… Fece un rito… Almeno così sembrava…  Si voltò di spalle, chiuse gli occhi e si tappò le orecchie come aveva già… Le mie? Le mie sensazioni? Come se dalle sue parti le donne fossero più importanti degli uomini e perciò lui non… Questo sì! Si vergognava, sì. Ma non era chiaro…  Almeno non chiarissimo…  Il…? Il divanetto?  Quale? Che io ricordi era ancora al centro della stanza quando uscirono dalla cucina Ma questo che c’entra, scusi? È importante? Cosa…? Chi… mise a posto… il divanetto?

Le donne vengono dalla cucina. Il banco si trasforma in balcone. Tuna si sporge dalla ringhiera.

ALBA – Sentite a me, non è normale! Gli deve mancare qualche cosa nel cervello. (Prende un pacco di biscotti e siede sul divano).

GINA - Forse stava chiuso in un istituto.

MORENA - O in un canil.

   Tuna va in cucina.

ALBA -  Pazzo, no. È troppo tranquillo per uno che è uscito fuori di testa.

GINA - (sbadiglia) Che sonno...

TUNA - (esce inviperita dalla cucina) E voi permettete tutto questo?

ALBA - Che è successo?

TUNA - Ma avete visto che cosa sta combinando?

MORENA - Mangia.

TUNA - Per quello, ha già finito. Adesso si sta pulendo le labbra. Sul pavimento!

GINA – E lascialo fare. Tanto sta tutto sporco, non ho ancora lavato a terra.  (Morena ride).

TUNA - Ma vi siete rincoglionite? Io non sopporto...

ALBA - Tuna, figlia mia, nun allucca’ ca me sta saglienno ‘o male ‘e capa.

TUNA - (dopo un tempo, sforzandosi di ripristinare la calma) E va bene. Vi do ancora domani di tempo, poi, o lui o io!  E se è “lui”, ricordatevi che con me viene dietro mezza casa: i mobili, la cucina, il frigo e... i vostri letti. Chiaro?

ALBA - Sì, sì, chiaro. Però mò iatevenne a durmì ca dimane Dio ce penza. (Pausa. Materna) Tuna, iamme...

TUNA - No, no! Sarò io a pensarci, altro che Dio. (Si allontana lungo il corridoio).

GINA - Esagerata...

MORENA - Ma là che ha ragione... (Sbircia in cucina e imita una strana danza che, probabilmente, il giovane sta eseguendo).

ALBA - E sì, ja’ Gina...! Pure tu, però... Ce putive penza’ primma d’o purtà int’a casa.

GINA – Oddio, ma allora non ci capiamo. Mi-è-venuto-appresso-Mi-è-venuto-appresso... Ch’aveva fa’?

MORENA - (sbadiglia) Io vado, che alle otto tegno un rende vu.

ALBA – Brava, e portati pure a questa, va’.

MORENA - Tu non vieni?

ALBA - Resto altri due minuti po’ me vaco a cuccà pur’je. (Si lamenta) Ah... ‘Sti piedi...

GINA - (seguendo Morena nel corridoio) Ma mica è colpa mia?! S’e’ miso areto areto e io...

MORENA - Ti credo... Sim... Tudo bem...

   Le voci si allontanano. Silenzio. Alba si mette comoda.

ALBA - Ah... Che pace... (Dopo un tempo) E che vita ‘e mmerda. (Lui appare e si ferma sulla soglia. Alba, dopo un po’, lo nota) Ah, tu qua stai? ‘E visto che burdellino francese “fin de siecle”  hê cumbinato? (L’uomo volge lo sguardo) Eh... Fai bbuono a te mettere scuorno. Alla tua età... Ma nisciuno t’ha ‘mparato qualche buona maniera, no? Eh già...! Tu avrai pensato: la buona maniera? Dint’a na casa ‘e puttane? E a che serve? No! (Pausa. Calma) No... Secondo me, tu nun hê penzato proprio a niente... Guarda llà, gua’... Tanto luongo e tanto fesso! Si’ comme a nu criaturo crisciuto troppo ampressa. Quanti anni tieni, eh? Quanti-anni-hai? Niente. Interrogato, il morto non risponde. Vieni accà, vieni! Ue’, nun me fa sosere che è peggio pe’ te! Te piglio p’’e rrecchie. Mi hai capito, vieni qua?!

(Lui le si avvicina timidamente) Oj, ca quanno vuo’ tu... Con le buone maniere si ottiene sempre tutto. Siediti qua vicino a me. No... ?! Vuo’ sta ‘nterra? E fa’ a capa toja. T’arrifrische ‘o mazzettino.

(Gli scruta i lineamenti)  Diciotto... Massimo venti, non di più. Bello si’ bello, chesto s’adda dicere. Troppo p’’e gusti mieje. Mi ricordi a uno che ho conosciuto tanto tempo fa. Ma tanto... Tanto che forse non è nemmeno vero che l’ho conosciuto... Tenevo più o meno l’età tua. Diciotto, eh? Massimo, venti. E che regalo che mi fece! Un regalo importantissimo. Uno ‘e chilli riali ca sulo ‘na torza comm’ero io all’epoca puteva accetta’. E come me lo portavo sbronzoliando questo regalo... ‘Na panza ca nun ferneva cchiù. “È maschio, mi dicevano tutti, se vede d’’a panza a punta. Complimenti, signora”. Seh, ‘a signora do’... (si tappa la bocca). Avesseno ‘a sape’, facevo ‘ncapa a mme, che “signora” si trovano di fronte. ‘Na signora che già fa ‘a vita ‘a cinche anni, e che da nove mesi ha interrotto le attività causa innamoramento et impregnamento. Oggi, chillu criaturo tenesse più o meno l’età tua. E…, come te…, somiglierebbe al padre. Tieni ‘a stessa vocca soja, ‘o ssaje?! Lui il bambino non l’ha mai visto. Nun sape manco comme si’ fatto. Se ne jette molto, ma molto prima che tu nascessi. Chi ‘o ssape si’ ha mai saputo che ero incinta. E che lui era padre. Mah. Tu m’hê dato subito ‘e turmiente. Nun te vulive fa’ allatta’... Nun te vulive fa cagna’... Le notti insonni appresso a te...

(Lui si alza e siede al fianco di Alba) Bravo... Vie’... Cucchete ccà. (Gli indica il proprio grembo. Il giovane, dapprima titubante, si accoccola in modo che le sue labbra sfiorino il seno di Ala) N’ave’ paura... Nun te faccio niente... (Pausa) Ora te lo posso dire. Con coscienza. A me m’avesse fatto piacere ‘e te crescere. E no p’’o solito fatto d’o bastone p’’a vicchiaja... Va truove addo’ steva ‘a vicchiaja, tanno... No. Così... Per il piacere di... di allevare qualcuno. ‘E tene’ nu penziero... (In altro tono) Nu penziero fisso. Uno ‘e chilli penzieri ca traseno p’’e rrecchie e pe’ ll’uocchje e te spurtosano ‘e cerevelle. Ca nun te fanno durmì cchiù. Comme facive tu cu mme... Tutt’’e notti... Tutt’’e notti…

(Culla il giovane) “Eh no... Devi combattere... Lo hai fatto e te lo tieni... ‘E sorde prima o poi arrivano, nun te ne incaricà... ‘O peggio ‘o peggio, te miette a fatica’ n’ata vota...”.

Ma io tengo diciotto anni... Voglio campà.

“Eh, no, Albarella mia, nun può campà cchiù. Almeno non come un tempo. O come tu desideri e vorresti”.

E che pozzo fa’? Pozzo mai jre annanze accussì? Io sono giovane. Pe’ nu fetente ‘e mmerda che m’ha ‘nguaiata posso mai rovinarmi la vita? E io, si va annanze accussì ‘n’appoco, me piglia ‘a pazzaria e m’accido.

“Eh...! Comme ‘a faje pesante. Perché ti vuoi uccidere? Ci stanno altri rimedi. Facili facili...”.

Ci stavano! Primma! Ma mò è nato. Nun se pò fa cchiù niente.

“Noo... Ci stanno ancora... Ci stanno!”.

Sì! È overo, piccerillo mio, ce stanno ancora! Mangia. Mangia ‘o latte ‘e mamma toja. Stringi forte... Zuca... Zuca che fa bbene... Mangia... Mangia... Mangia... (Stringe forte l’uomo al petto. Lui fa fatica a respirare e si dimena piano combattendo contro il desiderio di toccare la donna per allontanarla da sé. Ma non vi riesce e, così, sviene).

Non piangevi più. Ti alzai piano piano e ti misi nella culletta. Ma non col pancino sotto comme se metteno ‘e criature aroppo ch’hanno mangiato pe’’e fa fa’ ‘o ruttillo, no. Con la faccia in alto. Te chiudette ll’uocchie e... Mò pareva proprio ca stive durmenno. Cu ‘a vucchella aperta. Quella non la chiusi, anzi, l’arapette cchiù assaje e ‘a rignett’’e latte. Di latte mio. Lo chiamano... “soffocamento per rigurgito”, ... m’’o ricordo ancora. Quann’uno è piccerillo pò pure murì accussì, ‘o ssaje?! Ero inesperta, sola... Poco più di una bambina. Che potevo tene’?! Diciotto... Massimo...

Nisciuno tenette ‘o curaggio ‘e me dicere niente. (Senza enfasi) È stata una disgrazia... ‘O figlio mio... ‘O figlio mio bello... È muorto... È muorto... (Guarda finalmente il giovane. Si riprende. Terrorizzata, lancia un urlo soffocato) Ah... Aiuto... (Ritrova la voce) Aiuto!

MORENA - (accorrendo) Que que foi? Che è successo? (Vede il giovane a terra) Meus Deus do céu! (Gli monta sullo stomaco e preme con forza entrambe le mani sul petto del giovane).

ALBA - (tremando; sembra sincera) Ero riuscita a farlo avvicinare... S’è preso due biscotti dalle mie mani...

MORENA - Levanta... Su, bello, su! No metterci nei guai, filha da puttana. Se muori, que diser pra’ polícia?

ALBA - Non è normale… S’è sdraiato a terra e s’è messo a mangiare.

MORENA - Piraña Eva! E dai! Dai! Respira, Cristo! (Esegue una frenetica respirazione bocca a bocca).

ALBA - Je ce l’aggio ditto... Non si mangia così... T’annuzze ‘nganna... Statte accorto...

MORENA - (il giovane ha un sussulto e tossisce forte) Ti se decidiu, saco. Levanta, bimbo, levanta! Respira... (Corre al balcone) Portiamolo fuori. All’aria. Rapido, ajudame!

Morena si ritrova al banco degli imputati. Le luci cambiano velocemente. Lui continua a tossire ma senza emettere suoni. È un flash-back.

MORENA – No! Forse Alba non ricorda bene… Non fui io a ajudarlo… Io ero a letto… Sentii gritar, questo sì… Ma fu ‘a Gina a correre p’’a prima. (Gina viene dal corridoio e soccorre il giovane. Le due donne, nell’appartamento, dialogano senza emettere suoni) Sentivo voci… ‘A sua tosse… Cosa? Perdonatemi, não  capisco molto bene l’italiano… Alba diceva che lui preso un biscoito…

ALBA - Non si mangia così... T’annuzze ‘nganna...

MORENA - Sentivo ‘a Gina que...

GINA - Non morire, ti prego!

MORENA – “Non morire!”…  Não sei nada, io… L’acqua!… A água…

GINA - Tiene bisogno di aria. Sta aperto il balcone?

MORENA - Ora ricordo… ‘A Gina gritava: “Acqua! Acqua!’’… (Gina corre in cucina e ritorna, subito dopo, con un grande recipiente colmo d’acqua) Ma no uscii dalla mia stanza. Ero troppo stanca… Queria dormir… Sì, escutei un rumore de água…

GINA - (ha posto il recipiente affianco al giovane) Tieni, bevi! Bevi!

MORENA - (alzando la voce) “Ma che fai? Così ti affoghi un’altra volta!’’... Poi... Poi non lo so... Perché qualcuno... qualcuno chiuse ‘a porta... (Morena va al buio).

GINA - (esausta) Oh, mamma mia. (Il giovane, parzialmente ripresosi, assume una posizione vagamente orientale).

ALBA - Ero riuscita a farlo avvicinare... S’è preso due biscotti da...

GINA - Alba per piacere, va’ a dormire. Ci penso io, vai!

ALBA - Sì... Sì... (Si avvia nel corridoio).

GINA - (in altro tono) E chiudi la porta. (Alba esegue. Gina bagna le mani nel catino e si deterge il volto; poi, lentamente, gira verso di sé il volto dell’uomo e gli dà un sonoro schiaffo) Ma chi me l’ha mandato?! Il santarellino... Ah, ma a me nun me fai fessa. Voi uomini siete tutti uguali. Prima scegliete il tipo e fate i forti, e poi, nell’intimità, volete che le forti diventiamo noi. Tu, invece, sei partito dal contrario. Primma tutto cicere ‘n ammuollo e po’, al momento buono... No! Con me hai sbagliato. Hai scelto male il “tipo”. Perché una volta tanto nella mia vita sono stata io a decidere. A scegliere! Io mi sono messa a gridare quando chilli te steveno ‘ntummanno ‘e mazziate. E chi ti è venuto vicino? Chi si è messo a cercarti quanno te ne si’ fujuto p’’a paura? “John! Joe Dick! Come out! Come to me!”. Un lampo... ‘Nu penziero improvviso... Spillo spillo, mi sono fatta tutta Poggioreale. M’aggio misa a correre p’’e vicoli e vicarielli d’’a Siberia, ‘e via Gorizia, d’’o Corso Malta... Songo arrivata ‘nfino al Cimitero Israelitico... (Sorride sarcasticamente) ‘A cunosco bbona chella zona… Ma senza più chiamarti! Era inutile. Lasciavi tracce dovunque passavi.

   (Gli afferra i capelli) P’’e capille t’aggio tirato a dint’’o portabagagli ‘e chella machina scassata. E non so nemmeno io il perché. Sono sempre stata una preda; che m’ha pigliato stanotte?  

   (Gli lascia i capelli) La ferita la tenevi veramente. Te l’ho fatta io, ti ricordi? Che c’hê miso ‘ncoppa? Quale pastrocchia delle tue parti hai usato per guarire così presto? Eppure avevo colpito forte. Mi girava la testa… I denti stretti stretti stretti... T’avesse acciso comme… (Si calma a fatica) Ma non l’ho fatto! Ti ho restituito la vita. Perché sono stata io a decidere di lasciarti vivere, e adesso non ti permetto di morire! Me facisse troppo chiagnere. Sai piangere tu? No... Non credo... Almeno non come noi. Miettatello bbuono ‘ncapa na vota e pe’ sempe: io ti ho scelto per me! E non ne parliamo più!

(Sorride ironica) Te le ricordi queste mani? Facevano male, eh? Sapisse quante n’aggio sentuto ‘nfaccia pur’io. E fa’ in modo che non gli viene il solletico un’altra volta.

(Perdendosi in un lontano ricordo) ‘A cchiù piccerella... Ginetta... (Finge di… chiamarsi) “Gine’…?!”. Mi pareva di essere Cenerentola, mi pareva. E forse lo sono. E tu sei il mio Principe Azzurro; quello che ho conosciuto al castello dietro Poggioreale. Prima ti ho scelto perdendo la scarpina, poi, allo scoccare della mezzanotte sono fuggita. Tu mi hai cercata casa-casa… A ogni puntone ‘e vico… Mi hai trovata, mi hai voluto, e m’hê spusata! Mò è destino ca pure tu ja passà tutto chello che ‘a mtrigna e le sorellastre cattive hanno fatto passa’ primma a me. È destino!

Muovete, fa’ ampressa, miette a posto sta stanza. Guarda in che condizioni l’hai ridotta. (Gli afferra un orecchio e lo trascina al recipiente pieno d’acqua) Piglia ‘sta bacinella miettela ‘o posto suoio, spicciati! (L’uomo esegue. Gina lo ferma sulla soglia della cucina) Posala ‘ncopp’’o mobile! (L’uomo obbedisce, poi si inginocchia) Ma da dove vieni? Di che paese sei? (Con un moto di stizza, gli getta dell’acqua sul volto) Susete che non hai ancora finito! Metti a posto il divanetto! (L’uomo intuisce, grazie soprattutto alla gestualità della donna, e fa per eseguire ma un calcio ben assestato di Gina lo spinge nuovamente a terra) E stai ancora a questo? Il divanetto! Devi mettere a posto il divanetto! (L’uomo esegue) Bravo... Così si fa... Tu devi capire una cosa: fra me e te, chi comanda indovina chi è? (Il giovane va in ginocchio al centro della stanza e si toglie la camicia) Hê capito! E si te permiette ‘e me mettere ‘na mano ‘ncuollo te taglio ‘a capa. Tu non devi dare confidenza a nessuno. Meno che mai a chelli troie che stanno durmenno ‘a parte ‘e dinto. (Lo spinge. Il giovane finisce prono sul pavimento. Gina cammina sulla sua schiena) Tu m’ja fa’ da servo..., da schiavo, da pezza pe’ lavà ‘nterra.

(Morena, sempre al banco, piange sommessamente; poi, sempre più forte, in crescendo con il concludersi della scena) Perché tu quello sei: una mappina! E l’aggio truvata io ‘sta mappina... Per questo mi devi riconoscenza.

(Risolutiva ma meno esagitata) Oggi, per punizione, niente stanzino. Resterai qui. A terra. In ginocchio. Fino a quanno nun esco pe’ ghì a faticà. E guai a te se ti muovi. (Apre la porta del corridoio) Ah..., se torno e non ti trovo llà..., t’accido! Ma veramente, t’accido! (Si allontana. L’uomo si solleva e resta in ginocchio).

MORENA - (piangendo forte) Não sei nada... Ve lo giuro sul Volto Santo, non lo so... Non ho sentito niente... Ci stava la porta chiusa... Lasciatemi andare... Non ci azzecco con questa storia... Nun songo stata io... Nun aggio fatto niente... Voglio andare a casa... Voglio andare...

Si prende il volto tra le mani e piange.

Si fa luce nell’appartamento. È sera. Alba viene dal corridoio vestita di tutto punto. La scena che segue, cioè dall’ingresso di Alba fino a quando Tuna non rimarrà sola con il giovane, è vista attraverso gli occhi di quest’ultimo.

In alcuni momenti, le quattro donne gli appariranno deformate e mostruose, in altri ( forse quando chiude gli occhi) sono esattamente come le abbiamo conosciute finora.

ALBA - (notando lui in ginocchio) E che ce fa ‘stu catafalco ‘mmiez’’a casa?

MORENA - (ravvia i capelli, si stira le membra e sbadiglia) Boh?! L’ho trovato lì. (Si volta e ritira i panni stesi fuori al balcone).

GINA - (entrando) Lascia sta’ che mò lo sposto io.

ALBA – Ci sta un po’ di caffè già fatto?

GINA - (solleva amorevolmente il giovane) Buonasera... Vieni con me. Qua, sul divano. Ma come? Sei rimasto tutto il pomeriggio a terra? Che pazzaria.

MORENA - (mostra un paio di mutande) Di chi sono queste calsinha?

GINA - Di Alba. Taglia extra-large. (Verso la cucina) Me ne porti un poco pure a me?

ALBA – (fuori scena) Sì, sta uscendo. (Entra Tuna. È l’unica ancora assonnata ed in camicia da notte).

MORENA - (a Tuna) Bom dia. (Non riceve risposta).

ALBA - (c.s.) More’, tu lo vuoi?

MORENA - (a Tuna) Ho detto: buongiorno!

ALBA - (c.s.) Morena?!

MORENA - (ad Alba) No! (Si avvicina a Tuna e le batte una mano su una spalla) Ohh...

TUNA - Ahi, mi fai male! Che vuoi?

MORENA - Como che...?

TUNA - Aspetta, non ti sento. (Si toglie dei tappi dalle orecchie) Allora?

MORENA - (scoppia a ridere) Que que è essa novidade?

TUNA - I tappi?!

MORENA - (c.s.) Sim...

TUNA - Oggi pomeriggio, ragazze mie, vi siete sfrenate. Urla, porte che sbattevano... Ma che è successo?

GINA - (molto sincera) Niente. Ti sarai impressionata.

ALBA - (viene dalla cucina con due tazze di caffè fumante) Ecco qua. (Offre una tazza a Gina) Tie’!

TUNA - Uhmm... Vi siete date alla pazza gioia.

GINA - (ad Alba) Grazie.

ALBA - (a Tuna) Ma tu ancora così stai? Ma non tieni proprio genio di lavorare?

TUNA - Perché, qualche sera ho avuto ‘‘genio”?

GINA - (in uno strano tono) Allora resti qua?

TUNA - No, non posso. Mi piacerebbe ma ho un appuntamento...

ALBA e MORENA - (insieme) E-sclu-si-vo!

TUNA - Già! Però sul tardi. (Sbadigliando) Me la prendo comoda.

ALBA - E uno solo basta a riempire tutta la serata?

TUNA - (riferita a Lui) Quello?

MORENA - Boh?! “Misterio”!

TUNA - Ha una faccia... Ah, Morena, hai visto il mio reggiseno?

MORENA - O vermelho?

TUNA - No, non quello rosso. L’altro, quello a...

MORENA – ‘O sospensorio?

TUNA - (paziente) Sì... A “sospensorio”.

ALBA - Sta sull’attaccapanni. Ragazze, io vi saluto. Buon lavoro a tutte e ci vediamo domani mattina. More’, lo scialle sta nella stanza mia sopra al letto.

MORENA - Ah, grazie.

ALBA - E speriamo che queste scarpe non mi fanno dannare stanotte. Cià cià! (Esce).

MORENA - (mostra una maglietta) Serve a qualcuno?

GINA - (ravvivandosi il trucco allo specchio) Per me te la puoi mettere.

TUNA - Anche per me. È oscena!

MORENA - (imbocca il corridoio) Bueno. 

GINA - C’è il caffè già fatto, se lo vuoi.

TUNA - Avrò bisogno di una caffettiera intera per svegliarmi. (Va in cucina).

MORENA - (entra facendo roteare un ampio scialle rosso) Come sto?

GINA - Que meravilha. Você esta parecendo un rainha.

MORENA - Você gostou?

GINA - Mucho!

MORENA - (canta) “Morena flôr, me dê un cheirinho...”.

GINA - (in direzione della cucina) Tuna, noi ce ne andiamo.

TUNA - (dall’ interno) Va bene.

MORENA - Ciao.

GINA - Ciao.

TUNA - (c.s.) Ciao. Ciao. (Rientra massaggiandosi le tempie. Osserva il giovane che sembra assorto. Accende una sigaretta e va al balcone da cui provengono voci e musiche disparate. L’uomo sembra notare Tuna per la prima volta. Le si avvicina lentamente senza far rumore e le pone una mano sulla spalla. Tuna non si volta e non alza la voce) Toglimi le mani di dosso!

(Lui rimane immobile. Tuna, allora, si libera di quel contatto con molta calma e si volta a guardarlo con cattiveria. Il giovane, aiutandosi con le mani, allunga le labbra in modo che sul suo volto si dipinga un grottesco sorriso. Tuna scuote il capo fra il divertito e il seccato)

Non sforzarti. Non hai bisogno di dimostrarti gentile.

(L’uomo accenna alcuni movimenti mimici con le braccia. Al termine si pone in attesa) E ora dovrei anche risponderti?! Non posso... Non capisco.

(Il giovane si mette una mano sulla spalla) Ah... Ma sì. Scusami per prima. (Tuna gli prende una mano e la poggia su una propria spalla) Ecco. Sei contento?

(Lui sembra felice. Tuna gli toglie il sorriso dalle labbra e si allontana) Non sopporto essere toccata. (Ride) E proprio quel mestiere lì dovevo fare. Come un chirurgo a cui fa schifo la vista del sangue. Perché a me fa schifo essere toccata, abbracciata… La parola ‘‘bacio” è una fantasia da lasciare ai romanzi.

Sai come mi chiamano sul lavoro? Donna Rachele. La moglie del Duce. Perché chi viene con me sa che, senza toccarmi, deve sbrigarsi a fare quello che c’è da fare. E sempre nella stessa posizione, s’intende. Come la chiamano? Quella “alla mamma e papà”. Nessun salamelecco di rito o paroline dolci di convenienza. Questo non significa essere veloci. “Andare a finale”. No! Faccio soltanto in modo che l’attenzione si rivolga esclusivamente al luogo deputato al piacere. Circoscritta. Canalizzata, diciamo. Svolgo un’azione sociale, io. Non mi sostituisco alla moglie a cui devi sempre far finta di volere ancora bene altrimenti domani la pasta sarà scotta e l’arrosto sciapo; né all’amante, categoria differente dalla nostra e che meriterebbe una trattazione a parte. A molti piace. Più di quanti si possa immaginare. Anche tu non devi toccarmi. Mai. Altrimenti… 

(Lunga pausa) Se fossi donna, no. Potresti farlo perché… perché anch’io lo vorrei.   E con lei lo volevo sempre. Lei sì che poteva toccarmi, abbracciarmi… E al solo pensiero che potesse baciarmi mi veniva da piangere dalla gioia. Perso la testa! Non era più amore. Era delirio. Melma in cui affogare.

Glielo dissi: se te ne vai mi metto a battere. Hai capito bene. Faccio marchette sul marciapiede. Non mi ha creduto. Bene! Lo vedrai!

(Ride forte) Si è mai vista una puttana lesbica? Al tuo paese ce ne sono? Sei fortunato a non capire, altrimenti non ti avrei raccontato nulla. Per giunta sei pure maschio. Anche se su questo non ci giurerei. Troppo bello per essere un uomo. Forse sei frocio, perché no? (Divertita) Forse dalle tue parti sono proprio così… I froci, dico. Meglio se fossi un travestito. Almeno potremmo essere… (un’idea si fa strada nella sua mente) amiche. Senza complicazioni… O implicazioni... Saremmo uguali. Uguali e diverse. Come fa quella poesia? “Vengono. Uguali e diverse”. Ti porterei con me. Per strada. Una donna stupenda saresti. Vuoi? ‘‘Con ciascuna la mancanza d’amore è uguale”.

(Si avvicina al giovane e lo induce a togliere i pantaloni e ad indossare alcuni abiti femminili lasciati in giro dalle sue compagne) Una donna stupenda… Lo stesso sangue… Il tuo…  Il mio… Con te riuscirei… Uguali e diverse…

(Il giovane sembra soffrire molto di quella trasformazione ai suoi danni, eppure, ancora una volta, lascia fare) “Con ciascuna la mancanza d’amore è diversa!’’. L’immagine di lei nel mio ricordo… Le somiglierai… (In un frenetico crescendo, Tuna lo veste da donna, gli trucca il viso con il make-up lasciato su una consolle da Gina, gli spazzola i lunghi capelli, etc.) Come me…  Proprio come me, devi essere… La mia complice. La complice da amare. Un’amica vera. Andremo fuori, di notte, e io ti cederò i clienti se li vorrai. Oh, loro sì… Ti vorranno, loro… Gli basterà uno sguardo… Poi torneremo qui… Metterai le mani sulle mie spalle…   (Il giovane piange senza singhiozzi) E giù…  Sempre più giù… Fin dove vorrai… Sarai uguale a me, lo capisci? Almeno questo lo capisci? (Lo allontana per osservare il risultato finale) Sei bellissima… Non sanno ancora che tu non sei un uomo… Anche loro non capiscono... Che stupide! (Lo abbraccia forte) Che stupide! (Gli afferra un braccio e lo tira in direzione della porta d’uscita) Andiamo!

(Il giovane, finalmente, urla e piange senza, però, liberarsi della stretta di Tuna) Cosa c’è? Non sei contento? Io ti offro una vita diversa... Uguale e diver... (Lui piange sempre più forte. Il suono della sua voce, dapprima umano, si trasforma gradatamente in qualcosa di indefinibile. C’è un che di metallico nei suoi singhiozzi, di elettronico, quasi. Il suo lamento di dolore arriva ad inondare la casa. Tuna è spaventata) Zitto... Non ti faccio niente... Sta’ zitto, per favore... Che ti prende? Zitto...! Basta...! Basta! Sta’ zitto!! Ma chi sei?

Gli si avventa contro e gli lacera il vestito. Presa da un terrore crescente, fugge via. Ormai solo, il giovane si calma a fatica. Piange, poi mugola; infine, la sua voce si trasforma in un mormorio sommesso e costante che conserva, però, il timbro metallico.

Seminudo, va al balcone. Il trucco sfatto gli scorre copioso sul viso. Le sue mani iniziano a danzare, ma, come fosse l’inizio di un moto perpetuo, la danza si propaga al resto del corpo fino a spingere il giovane al centro della stanza dove il mormorio si trasforma in melodia. Canta. Danza. Così come era iniziata, la danza sfuma. E con essa il canto. Silenzio.

Una chiave gira nella toppa.

Entra Morena. Si guarda attorno con fare circospetto.

MORENA - Se ne sono andate?

LUI - (dopo una lunghissima pausa, senza voltarsi) Tsì...

MORENA - Bueno. (Versa da bere per due. Porge un bicchiere al giovane).

LUI - (si volta) Gra-zie…

MORENA - (scoppia a ridere) Ma cosa ti sei combinato? Dove hai preso esto trucco? (Ride) Vieni che te lo tolgo. (Lo porta a sedere e lo strucca aiutandosi con dei fazzolettini di carta.) Guarda ccà, guarda... Non si fa. Oh... Ma fossi é bicha? Un frocio? Una checca?

LUI - Gra-zie…

MORENA - Mhh... Ho dimenticato di impararti a dire ‘‘No”. Perché tu non sei una checca, no? Certo sei bravo. In mezz’ora, oggi pomeriggio, voçê aprendeu ja’ due palauras.

LUI - Tsì…

MORENA - E ‘‘Grazie”!

LUI - Gra-zie…

MORENA - Ma come hai fatto a maquiarsi assim? Volevi imitar? Far como noi, ein? Ma non puoi. Voçê e homen! Tu sei uomo. Ripete: uo-mo. Diz!

LUI - U…-mmo...

MORENA - Uomo!

LUI - Uo-mmo...

MORENA - S i m...

LUI - Uo-mmo…

MORENA - E io: do-nna!

LUI - Uo...- nna...

MORENA - Do-nna! (Lo guarda negli occhi. I loro volti sono vicinissimi).

LUI - Uo-nna...

MORENA - Ma sì. Dillo come vuoi, ma dillo! Tanto anche io sbaglio le parole.

LUI - Uo-nna…

MORENA - Hai gli occhi della mia gente... E a pele... A mesma colore... (Gli accarezza un braccio) Porque te sei fatto nudo?

LUI – Gra-zie...

MORENA - Meu Deus do céu, como você è bonito. Voçê è o homen mais bonito que en vi na minha vida.

LUI – Uo-mmo...

MORENA - Sim... E io una donna...

LUI - Uo-nna...

MORENA - L’hai mai provata una donna, tu? Una donna que tè abraçe, tè beije e che te fa sentire l’homen mais importante do mundo?

LUI - Gra-zie...

MORENA – No…?

LUI - N... no...

MORENA - No! E io per questo sono tornata. Che vanno dalle altre, i micheteiros, stasera. Esta noite, Morena la brasileira ne vuole uno soltanto. E não pensa de fargli pagare il giro sulla giostra. (Lo bacia sulle labbra. L’uomo è piacevolmente colpito) Che sapore strano… Mai provato… (Gli lecca una spalla) Anche aqui… Però mi piace… Increspado… Como sabbia…

LUI - Uo-nna...

MORENA - Non essere impaziente. Ti ho detto che sono aqui pra’ isso. Ma non c’è fretta. Le altre tornano domani mattina.

LUI - Gra-zie...

MORENA - (sorride e lo induce ad alzarsi) Devi essere proprio da minha terra. Lo stesso odore… A mesma carne… O mesmo calor… (Mette un disco di musica brasiliana e canta) La conosci questa canzone? Parla d’amore… Una musica d’amor e de sangue… (Esegue una danza circolare. Sembra un rito di corteggiamento animale).

LUI - (segue Morena con lo sguardo) Uo-nna...

Morena canta con trasporto crescente e conduce il giovane al divano. Si sdraia e lo tira a sé. Lo bacia e lo accarezza con foga, fino a quando le sue mani non penetrano nell’indumento intimo indossato dal ragazzo raggiungendo, così, il sesso.

MORENA - Ma... Ma che...? Via... Vai embora nojento! (Riesce, non senza fatica, a liberarsi del corpo del giovane) Vattene via! (Corre a togliere il disco; poi si guarda le mani inorridita) Che cosa era?

LUI - Uo-mmo...

MORENA - No... Io li conosco bene gli òmini... Li conosco da quando che ci avevo sette anni. Gli homen non sono fatti così! Gli uomini sono belli, forti... Mas não voçê! Voçê não! O que que voçê ten entre as pernas? (Urla) Cos’hai tra le gambe? (Stravolta) O que era aquela coisa sebosa... nojenta... increspada. Un lùmbrico enrrolado com a pele com espinhos... A quele... (Ride) A quele rabo de porco! Sì! Come una coda di porco!

LUI - T-sì...

MORENA - (lo deride) Sì... Quella coda di maiale... Encaracolado... Schifosa...

LUI - (fa un passo verso Morena) No... No...

MORENA - Não jem que não tem! Chega pra’ là! Não me toccar! Un mostro, ecco che sei!

LUI - (è scosso da fremiti d’ira) Uo-mmo... Uo-mmo...

MORENA - (in preda ad un riso isterico) No! Mo-stro!. Repete: Mo-stro!

LUI - Tsì... Uo-mmo...

MORENA – Forse che dalle tue parti siete fatti assim! Povere donne. Ma ci sono donne da voi? E come’ que pode?

LUI - No… No…

MORENA - Che cos’hanno in mezzo alle gambe, loro?

LUI - N-no…

MORENA - (ridendo forte) Sì! Sì!  Sai che facciamo? Adesso andiamo in ospedale e te lo faccio tagliare. Tanto a che ti serve? Una schifosissima coda di porco tra le gambe a che ti serve?

(Si tocca inavvertitamente il volto) Oddio… Nossa Senhora! E se è infetto? Se ha una ziquisira? La faccia… La mia faccia…  (Si pulisce il volto con le braccia. Lui inveisce contro Morena in una lingua sconosciuta. È arrabbiato. La minaccia) È inutile ca grida! Non ti capisco! E non ti avvicinare! Che schifo Que nojo, que noio… (Il giovane corre in cucina) Non è possibile… Precisa botar ele pra’ fora! Não pode ficar aqui em casa com agente! Le mie mani… (Urla in direzione della cucina) Non toccare niente! Torna aqui!

Lui appare sulla soglia: in una mano impugna un coltello, nell’altra regge un lembo di pelle a forma di triangolo, la stessa forma della ferita che mostra sul petto, all’altezza del cuore, e dal cui vertice, rivolto verso il basso, fuoriesce del liquido rosa fosforescente.

MORENA - Che hai fatto? No...   Non è possibile... Isso è o teu sangue...?! O teu sangue... Madre mia...

Ha un conato di vomito. Di nuovo si tocca il viso e di nuovo tenta di pulirlo con le braccia.

Nell’appartamento cala la penombra contemporaneamente all’illuminazione del proscenio. Dal lato opposto al balcone, entra Alba e si dirige al banco degli imputati.

ALBA - (ad un invisibile usciere) Lì...? (Indica il banco e annuisce) Grazie.

(Alza la mano destra) Lo giuro. (Siede) Esatto... No... Non capitò dopo che si stava affogando con i biscotti, no... Fu da. questo momento qua che lui si fece a poco a poco trasparente... Eh! Trasparente!... E poi cominciò a rompersi... (Sorride) Uh, Gesù, che vuol dire? Come... Come un bicchiere di cristallo quando ti cade da mano e si fa in mille pezzi. Avete presente? Si rompe!

 

   Buio lento. 

ATTO   SECONDO

La scena è vuota. Si sente un esile lamento lontano. Tuna esce dal bagno contemporaneamente a Morena che viene dalla cucina reggendo un recipiente colmo di patate da sbucciare. La brasiliana siede al divanetto e si dispone al lavoro.

Tuna va al balcone contemporaneamente ad Alba che sta uscendo dal bagno. Gina attraversa il corridoio e si ferma sullo stipite mentre Alba, senza parlare, siede su una poltroncina e infila un pio di calze nuove. 

Lungo silenzio.

GINA - Si vedono tutte le vene... E il sangue che... che cammina...

MORENA - (ad Alba) Mangi con noi?

ALBA - E no, come faccio? Lo sposalizio è a mezzogiorno.

GINA - Pensate che gli passerà?

ALBA - Finalmente Titina ha truvato ‘o strunzo che s’’a sposa.

TUNA - Lui lo sa?

ALBA - Si sposano insieme, lo deve sapere per forza.

TUNA - Di lei!

ALBA - Mmhh... Dice di sì, ma io ci credo poco.

MORENA - Speriamo che non fa la stessa fine di Dora.

TUNA - O di Cabiria, in una delle sue notti.

ALBA - Che c’entra. Quella Dora l’ha voluto lei.

TUNA - Fra un po’ si metterà a piovere.

ALBA - (a Tuna) Siente, nun fa’ ‘a seccia ca tengo ‘o vestito bbuono.

GINA - La pelle s’è fatta binca bianca bianca... Ma bianca veramente.

ALBA – A proposito, ma Nunzia s’è fatta senti’ cchiù?

MORENA – Chi? Chella janca-janca? ‘A giaponesa?

TUNA – C’è nebbia...

ALBA - Era di Brescia, qua’ giapponese. (Si libera del vestito e resta in sottana. Si vestirà per andare al matrimonio).

TUNA - Un’afa strana...

MORENA - Però li occhi a mandorla li teneva.

GINA - Ieri sera si vedevano tutti i muscoli... Ma stanno diventando trasparenti pure quelli... Come la pelle... La faccia, no.

ALBA - E proprio oggi si doveva sposare? (Va nella sua camera).

GINA - Quella no... E pure il suo sangue, no... Rosa... (Morena va in cucina). Rosa...

ALBA - (rientrando mentre indossa un vistoso vestito da cerimonia) Ah, Tuna, ma la tieni sempre quella rosa di seta?

TUNA - No. L’ho persa...

ALBA – Uh, che peccato… Forse ci stava bene su questo… (Silenzio imbarazzato).

GINA – (stizzita) Io vado a vedere come sta. (Esce).

TUNA – (dopo un silenzio) E speriamo che non perda la testa.

ALBA - Hê sentuto, no? Dice che quella la tiene a posto.

TUNA - Lui! Ma lei?

ALBA - Ah... Secondo me, l’ha già perduta.

TUNA - Non dovevamo tenerlo in casa.

ALBA - Già. Siente che lamienti... Ma potevamo mai sapere?

TUNA - No.

ALBA - Sta morendo, piccere’.

TUNA - Amen.

ALBA - E non possiamo fare niente.

TUNA - Potremmo!

ALBA - Ma non dobbiamo!

TUNA - (annuisce mesta) Siamo d’accordo?

ALBA – (una musica ad alto volume invade la scena. Urla in direzione della cucina) Morena...?! More’, bella d’’a zia, acala ‘a voce ca nun è ‘o mumento. Morena!!

MORENA - (appare sull’uscio, inviperita) Vamos para com isso, de diser o que en posso fazer. E Morena! Morena! Morena! Chega! Não fode. Tô cansada. Não aquento mais! Puta qu’iu pariu...

 

Alba, con infinita dolcezza, le accarezza il viso.

Lunga pausa. Morena trattiene una lacrima e torna in cucina. Tuna siede al banco degli imputati. Il volume della radio viene abbassato notevolmente.

TUNA - Stavano saltando i nervi.

ALBA - E non soltanto quelli.

TUNA - Ognuna reagiva secondo il proprio carattere. O di quello che ne era rimasto. (Morena rientra) Alba si preparava ad uscire... Non ricordo... Una festa... E’ importante?... Morena si guardava allo specchio in attesa di veder comparire delle macchie sul volto, o sulle mani, o su tutti e due... Era terrorizzata... Aveva paura che la sua pelle potesse diventare prima bianca e poi... Come quella, sì..., trasparente… No, non avvenne. Poi ritornò Gina. (Flash-back) Disse che ormai anche i muscoli erano trasparenti e che si vedeva soltanto il sistema sanguigno.

GINA - Sembra uno di quei morti che stanno giù nella Cappella San Severo. Solo che la carne ci sta... ma è di vetro.

TUNA - Era giunto il momento di parlarne. Anche perché... (A Gina) Il cuore batte ancora?

GINA – Sì.

ALBA - E si vede pure? (Gina annuisce).

TUNA - Era vivo. Non potevamo più far finta di niente. Da un momento all’altro ci aspettavamo che qualcuno dicesse quello che poi una di noi effettivamente disse.

MORENA - Precisa chamar un medico!

TUNA - (a Morena) E per dirgli cosa?

MORENA - La verità. Ma vi rendete conto che pode impestiar? Io l’aggio pure tuccato.

ALBA - E con le stesse mani ci hai preparato da mangiare ieri e hai sbucciato le patate oggi. Brava!

TUNA - Stranamente, Gina sembrava tranquilla. Ed era proprio quello che mi preoccupava di più.

GINA - Semba sereno... Tranquillo... Si lamenta, è vero, ma...

MORENA - (in un crescendo isterico, tenta di scuotere le altre) Ooh! Ooh...! Oohh...!! Ma che cazzo dite? È tranchiglio... Si vedono le vene... Cappella San... San… San che? Ma vi siete stronzite? Dobbiamo portarlo in ospedal! Una malattia assim non s’è vista mai! Pode morrer aqui em casa. Ma non vi abbastano le malattie che incontriamo cada die?

TUNA - (a Morena) E con questo? Muore tanta gente in casa. E poi, per quel che ne sappiamo, potrebbe anche trattarsi di una psoriasi. (Silenzio) Una malattia della pelle.   Una cosa temporanea, insomma. Se chiamiamo un medico, lui, a sua volta, tempo cinque minuti, chiama la polizia e… Da quanto è scaduto il tuo permesso di soggiorno, Morena?

(Ancora silenzio. Ognuna prende una sedia e va a sedere di fronte a Tuna. È come se si trovassero, per la prima volta insieme, nell’aula del tribunale) Chi più chi meno, abbiamo tutte qualcosa da nascondere. Per il momento, la sola cosa da fare, la più importante, è conservare la calma, come si fa quando la nave sta per affondare.

(Improvvisamente impaurita) Io...? Niente, ho... Ho tutto in regola... Non c’ero quando tentarono di gettarlo a mare... Avevo paura... Era la mia, sì, era la mia, ma anche Alba sa guidare... Era già morto ... Gli si era fermato il cuore... Solo il tronco. Non aveva braccia... No, nemmeno le gambe... Solo il tronco, ve l’ho detto... (Urlando) Io non c’entro niente! Sono state loro! Lui era buono e loro lo hanno ucciso! Assassine! Assassine!

Silenzio. Tuna si morde le labbra e osserva spaesata le sue compagne. Sa di avere esagerato. Lentamente, raggiunge le altre. Alba viene chiamata alla sbarra.

ALBA - (a Tuna che si trova al suo fianco) Mantieneme ‘a bursetta, tie’! (Consegna la propria borsa e si avvia) Sono sempre sotto giuramento, lo so. (Siede) È vero, la macchina la guidavo io, vuole vedere la patente? Ma non per andare a gettare il corpo a mare manco si stessemo giranno nu film giallo. La volevamo sfottere. Quella piglia sempre tutto sul serio. Ci eravamo decise a portarlo in ospedale... Muorto e bbuono, sì! Come dimostra pure il verbale del Pronto Soccorso... Verbale, referto..., che ne so io?...

Pronte a farlo! Se c’era da passare qualche guaio eravamo già preparate... No, lei no. Veramente si metteva paura... E pecché nun ce l’avite spiato a essa? Non abbiamo mai saputo com’è che ha cominciato a fare la vita. Una ragazza così ben educata. Piena di cultura. Chi ci ha mai capito niente...

Cosa?... E che vuol dire?... Ah, un passo indietro significa ritornare a quei giorni?! E va bene. Prima si ruppero le due gambe, ‘mparanza, e pò il braccio sinistro... Eh no, forse non ci capiamo. Non rompersi come può succedere per disgrazia e fatalità a uno di noi, anche perché in quel caso si dice “spezzare”. No, no, proprio rompersi rompersi. Farsi piezzo piezzo. Solo il... il tronco, comme ha ditto chella llà primma. Cosa che bastava ‘na cascetta d’’a frutta pe’ tauto po’ jre ‘a atterrà... Il braccio destro no; quello avvenne in un secondo momento. Sempre di vetro era, ma ancora intero. Truvajemo ‘o lietto chino ‘e vriccilli trasparenti... Niente!... No, no, niente!... (Ha uno scatto) E ve l’ho già detto!... (Ironica) No che non mi scoccio di rispondere alle vostre domandelle. Ci mancherebbe altro, sarebbe reato, e nnuje già stammo male cumbinate. Un reato tipo ‘‘vilipendio alla religione” o che so io. È che a volte sono solo delle inutili...

Sentite: se vi aspettate da me le stesse sceneggiate che hanno fatto quelle due prima... Sì ‘a brasiliana e ‘a professoressa, è inutile ch’abbiate a lavà ‘o ciuccio, pecché cu mme perdisseve ‘a pezza e ‘o ssapone...

E va bene: nessuna traccia di sangue o rinvenimento di organi riconoscibili dopo la sfravecatura! Come se le gambe e il braccio non fossero mai esistiti. E poi, sbaglio o il corpo, quello che ne è rimasto almeno, lo avete visto pure voi?... E allora? Potevamo mai segare gli arti senza che un minimo si vedesse lo sfregio compiuto? Ma manco ‘o meglio maniaco omicida ce ‘a facesse. E poi a che pro? A noi gli uomini piacciono interi. Senza mancamenti... Prego?... Di notte, sì... Ah, io no di sicuro! Questo lo dovete chiedere a Girolomina Asteri detta Gina...

GINA - (sottovoce) A me...?

ALBA - Dormiva sempre con lui...

GINA - (c.s.) Non è vero, diglielo Morena!

ALBA - ‘A matina appriesso, ‘nu pare d’uocchie abbuffati...

GINA - (c.s.) Ma che sta dicendo?

MORENA - (sottovoce) Zitta, Gina...

ALBA - E io che ne so quello che capitava in quella stanza?... Ah no, questo non l’ho detto... Se è stata lei a spezzargli le cosce non lo so...

GINA - (facendosi sentire) Alba!

MORENA - Gina, teje calma...

TUNA - (in un sussurro) Oh Dio... Dio... (Continua).

ALBA - Certo è che la notte si sentivano rumori strani là dentro...  Non lo escludo ma non l’ho detto...

GINA - Sei pazza? Statte zitta!

TUNA - (c.s.) Dio... Dio... Dio...

MORENA - Por favor, Gina, por favor...

ALBA - Vero è anche che s’era fatta isterica. Ce steveno jurnate ca pareva proprio ‘na puttana.

GINA - Ma ‘a vuo’ fernì?!

ALBA - ‘Na puttana ‘nfracetata d’’o marciapiede.

GINA - Stronza!

ALBA - Che vi dicevo? È fatta così... N’ata attrice ‘e sceneggiate! Tu si’ ‘na vecchia pazza. Aspetta ca te metto ‘e mmane ‘ncuollo e te scippo ‘a lengua...

MORENA - Gina... Gina...

ALBA - Minaccia!

GINA - Perfida matrigna che ci hai sempre comandate a bacchetta. Bugiarda!

TUNA - Dio mio, che sta succedendo?

ALBA - Ma che bbuò? Che vai truvanno?

GINA - Bugiarda... Perfida... Vecchia... (E’ come se qualcuno la spingesse verso l’uscita) E lasciatemi ca me ne vaco io sola!

ALBA - Ecco, bravi! Allontanatela dalla sala! Va’, va’, vattenne! (Gina esce. Lungo silenzio. Morena e Tuna sono sconvolte) Tutti si possono sbagliare ma nel mio caso è difficile... Quando? E non me lo ricordo. Ormai facevamo una vita quasi monacale. Manco più al lavoro andavamo per via di quel ragazzo... E vi ho detto che non me lo r... Aspe’! Ma quando successe il fatto del braccio?... Eh, due giorni prima che morì!... Chillo uno ormai, ne teneva, quello destro, ve l’ho detto... Sì, sì... Me sta venenno a mmente. Fu la volta che andai a preparare il tè. (Pausa) O era la camomilla? (Si fa luce nell’appartamento).

GINA - (viene correndo dal corridoio) Morena! Morena! (Raggiunge la brasiliana e la abbraccia. Piange) Oddio Morena...

MORENA - Che c’è, piccola?

TUNA - Oh Dio mio! Ha inizio un’altra scena madre! In questa casa si è perso il concetto di dignità.

GINA - S’è rotto... S’è rotto...

TUNA - Proprio non vi reggo più. E senti quello come si lamenta... (Va via).

GINA - Stavo in camera sua..., nello stanzino... Ormai ci sto sempre, giorno e notte... Per un attimo ha smesso di lamentarsi... Ha allungato il braccio verso di me e ha detto...’’Uo... nna”... Poi un rumore piccolo piccolo... come un fiammifero che si spezza... Una crepa sul braccio... ‘Na senghetella piccerella... Poi sempre più grande…, sempre più grande e... (Piange a singhiozzi).

ALBA - Preparo un po’ di te.

MORENA - Forse è meglio una camomilla.

ALBA - Se ci sta... (Va in cucina).

GINA - È tremendo... Le altre volte lo abbiamo trovato che già... Ma pensarlo è una cosa e vederlo... Tiene gli occhi chiusi... Mò more, mò more... Hai capito? Muore! E a me me pare d’ascì pazza...

MORENA - Deve soffrire molto, coitadinho.

GINA - Che vuol dire: “Uonna”?

MORENA - (sincera) E quem sabe? È una delle tante cose che non ci ha fatto capire. Speriamo sulamente ca muore davvero. E ampresso ampresso!

GINA - (silenzio. Guarda Morena, inorridita) Comes ‘‘speriamo”?

MORENA - Pra non vederlo soffrire...

GINA - Tu sei la peggio...

MORENA - Gina

GINA - La peggio di tutte noi!

MORENA - Por favor, Gina...

GINA - Ma non l’hai capito ancora quanto conta per me quello che sta dentro allo stanzino a morire?

MORENA - (dura) L’ho capito benissimo! E per questo è meglio se muore. A me non mi piace di dare giudizi sugli altri, Gina. E meno che mai su di te. Oh, ‘o seu, ‘o seu che a modo tuo gli vuoi bene. Ma non fosse meglio, per lui, dico, che la smette di soffrire?

GINA - No...

MORENA - Non puoi fare la Cenerentola della situazione por la vida.

GINA - (si avventa su Morena) Nun me chiammà cchiù accussì!!

MORENA - (riesce ad afferrarle le braccia) ‘O egoismo è una gran bella coisa, Gina, ma solo fino a quando non viene scuperto. Da quando chi dormi con lui, la porta d’’o stanzino esta siempre sempre chiusa. E si sentono cose strane là dentro.

GINA - (si libera dolcemente della stretta di Morena e smette i panni della bambina) Che possiamo fare?

MORENA - Trovare un modo per non vedere soffrirlo più.

ALBA - (sulla soglia della cucina, sorseggiando una tazza di tè) E come?

Gina si ricompone e va al banco degli imputati. Alba porge la tazza a Morena che, però, rifiuta e va in camera sua. Alba, poco dopo, la segue.

GINA - Ma nessuno sapeva come. Dopo una settimana dei suoi lamenti continui eravamo..., uh!... Pure io, sì... Lei apparentemente conservava la calma... Cantava più spesso, ma almeno alle sue canzoni brasiliane c’eravamo abituate... Ma a quel lamento continuo, proprio no!... Non più di quella che facevamo prima. La nostra è sempre stata una vita d’inferno, e i vostri schedari ne sanno qualcosa... Ininterrottamente: mattina, mezzogiorno e sera... Anche la notte. Tuna aveva i tappi ma noi no... (Dal balcone aperto salgono gradatamente le voci di alcuni inquilini che protestano) E sentire quello strazio nelle orecchie ventiquattr’ore su ventiquattro non è piacevole, ve l’assicuro... Certo che ci abbiamo provato a dargli da mangiare! Niente! Occhi e bocca chiusi! ‘Nzerrati peggio ‘e ‘na porta blindata! Mettergli la ciotola a terra? E non era più possibile. Come ci arrivava senza gambe, scusate? L’inferno, ve l’ho detto... Oramai lo sapevano tutti... No... No... No... (In un crescendo) No! No! No! No! No! (Si affaccia al balcone. Parla alternatamente con gli inquilini dei piani superiori e con gente in strada) No, non teniamo nessuna gatta in calore da far castrare. Pensate a far castrare a vostro marito che già vi ha messa incinta otto volte... Io scostumata? E voi, allora? Me state mannanno ‘o manicomio cu tutte sti... E chiamatela la polizia, tanto noi non teniamo niente da nascondere... È mio cugino di terzo grado venuto la settimana scorsa dal paese... So’ cazzi d’e vuoste comme se chiamma ‘o paese mio? È vicino Pozzuoli e tanto vi basta... Sì, cugino! E non altro... Lo abbiamo già chiamato il dottore, grazie. È venuto ieri sera e... Ah, non lo avete visto? E allora…  Aspettate... Aspettate che mò scendo, così parliamo più meglio da vicino. (Rientra in casa) ‘Sti quatto zuzzose... 

TUNA - (viene dal corridoio vestita di tutto punto e reggendo una grande valigia) Non ce la faccio più. Me ne vado! Il mese di affitto che ho versato anticipatamente ve lo regalo. Io…

GINA - Tu te la fai sotto dalla paura. I vigliacchi come te quanno vedeno ‘a mala parata avotano ‘a capa a ‘o cavallo e se fujeno.

TUNA - Con questa storia non ho mai avuto nulla da spartire. Non chiudo occhio da due giorni e il mio esaurimento nervoso è arrivato alle stelle.

GINA - Anche il nostro con te davanti tutti i santi giorni. (Tuna sta per tirarle la valigia in faccia che, però, viene prontamente intercettata da Morena. Intanto, le voci dabbasso continuano. A Morena) Pensaci tu a questa. Io torno subito. (Esce).

Morena mette il disco con la musica del loro “numero”. Balla.

TUNA - Non metterti in mezzo. Ho deciso di andarmene e me ne andrò. Non devo dar conto a nessuno, io.

MORENA - (si sforza di parlare italiano) Sì che devi! A noi! Torna in camera tua, o si no, quando muore, dico che sei stata tu, e che poi, presa da ‘a paura, sei scappata. Prima di scoprire che non è vero ci metteranno un po’ di tempo, e intanto ti sarai fatta un paio di mesi di “segregazione cautelativa”. E dois mesi so’ tanti pe’ chi nun c’è mai stato. Se poi, una volta dentro, le tue colleghe scoprono che sei pure lesbica ti fanno la festa. Ma não come piacerebbe a te.

TUNA - (dopo un lungo silenzio, toglie il disco dal piatto) Sei triste, Morena. Parli di galera... Di celle... Ma nel frattempo sei andata a rinnovare il permesso di soggiorno per paura del peggio che deve ancora venire. Sei una femmina, niente di più.

MORENA – Uhmm…? E tu cosa sei?

TUNA - Donna! E io amo le donne. Le femmine mi fanno schifo.

MORENA – (ci pensa, poi soprassiede) È solo filosofia la tua. Ti volessi vedere in un’aula do’ tribunale. Saresti ‘a prima a tradirci.

TUNA - (ironica) No...

MORENA- Te veco davanti agli occhi: “Io non c’entro con esta storia. Sono state loro”.

TUNA - (c.s.) Ti sbagli, Morena. Non mi conosci affatto. Stai semplicemente proiettando su di me quella che potrebbe essere una tua reazione: “Não capire... Io straniera... Perdonare... Io d’’o Brasil... Sono soltanto una sporca negra”!

MORENA - (lunga pausa. Le due si guardano) Mulatta, prego! C’è una bella differenza.

TUNA - No! Per te, non c’è differenza! (Ritorna in camera).

MORENA - (urlandole dietro) E poi, se te ne vai, manca ‘a quarta per fare ‘o show.

ALBA - (entrando) Ma dove va quella?

MORENA - Ha fatto spese.

ALBA - Con la valigia in mano?

MORENA – ‘O supermercato ‘e buste di plastica costano assai.   

ALBA - A proposito di soldi, More’. Le amiche mie, quelle del Corso Umberto, mi hanno detto che in giro ci sta una brasiliana che si piglia dalle venti alle quarantamila lire in meno delle altre. Tu ne sai niente?

MORENA - (imbarazzata) Perché?

ALBA - Così... Hanno deciso che se l’acchiappano la fanno nuova nuova, e poi la rispediscono in Sud America. Abbassare così i prezzi non sta bene. La merce si svaluta e i commercianti putessero pure fa’ ‘a rivoluzione.

Un urlo prolungato, in strada, spinge Alba e Morena ad affacciarsi precipitosamente al balcone. Sopraggiunge Tuna.

TUNA – Beh? Adesso che...? (Va al balcone. Entra a tempo Gina reggendo tra le dita serrate a pugno una ciocca di capelli biondi).

GINA - Ossigenata manco la chiavica! Se ne sono venuti subito. Al primo tiro!

ALBA - Ecco! Mò è fatta la frittata. (Morena ride. Le voci, in strada sfumano. Ma non il lamento del giovane).

TUNA - Sentite, ora che mi avete costretta a rimanere...

ALBA - Che abbiamo fatto noi?

MORENA - Deika pra’ là. ‘O sacc’io.

TUNA - Esigo che si trovi una soluzione. E chiudete quella stramaledettissima porta altrimenti vado di là e lo ammazzo.

Gina chiude lentamente la porta del corridoio. Silenzio.

MORENA -  Una soluzione…

ALBA -  Definitiva!

TUNA -  Non possiamo resistere così ancora per molto.

GINA - (apprensiva) Che ‘o vulite fa’? Oh...?! Che gli volete fare?

ALBA - (sbotta) Gina, per piacere, e mò basta! Aferniscila ‘e fa’ Santa Bernardette dint’’a grotta ‘e Lourdes in attesa del miracolo celeste, ca nisciuno te crede cchiù! Tu fai ‘na figura ‘e mmerda, e noi passiamo per maniache omicide, disamorate, assatanate e senza cuore. (Pausa) Tanto l’ammo capito ca pure tu t’’e sfasteriata d’o suppurtà. Jamme, ‘a Albarella toja, e ferniscila. T’’e fatte prestà pure ‘e tappe pe’ dint’’e recchie ‘a Tuna…

GINA - (e anche con Alba, si sveste dei panni della bambina) E va bene! È vero, non lo sopporto più neanche io. Ma c’è sempre un pezzo di uomo, perché tanto ne è rimasto -un pezzo!- da qua a qua, sdraiato a terra sopra una coperta dentro allo stanzino. Questo, in casa nostra! Che facciamo?

ALBA - Ah... Finalmente t’è ‘sciuto ‘nu ragionamento. (Pausa) Se ne deve andare!

TUNA - Sentite... lo so che é pericoloso ma... ma perché durante la notte non... (Fa un gesto) Eh?! (Le altre non capiscono) Perché non… non lo gettiamo a mare? Nessuno lo ha visto qui. Non possono risalire a noi, non… Usciamo pulite da questa storia.

MORENA - Vivo o morto?

TUNA - Cosa?

MORENA - A mare. Vivo o morto?

TUNA - (poco convinta) M… morto…

ALBA - E chi ci dice quann’è che schiatta e jetta ‘o sanghe?

GINA - La malattia sembra che si sia fermata. Certo anche il busto è diventato di vetro e prima o poi si romperà pure quello, ma...

ALBA - La faccia è rimasta tale e quale.

GINA - E anche dopo che si è rotto, il cuore potrebbe continuare a battere. Come fa mò, forte: tum-tm, tum-tum, tum-tum...

ALBA - Fa cchiù rummore ‘o core ca ‘e lamiente d’’a vocca.

MORENA - Per come stanno le cose può campare altri dieci anni.

TUNA - Dieci anni? Eh no, così ci ricoveriamo noi. Ma in manicomio.

MORENA - O ci gettano a noi, no mar.

TUNA - Allora abbandoniamolo. Vivo! Lo portiamo dove lo ha trovato Gina. Oppure, che so?, lo lasciamo al bordo di una strada... O in Villa comunale. Un altro cretino che se lo porti a casa lo trova.

ALBA - No... Io continuo ad insistere: lo imbrachiamo tanto bello e lo portiamo in ospedale. Tanto, scusate, ma che ci possono fare?

TUNA - Io non vengo!

ALBA - Siamo in tre. Ce ‘a facimmo o stesso benissimo.

MORENA - Lo portiamo in ospedale!

ALBA - Ah, finalmente, è risolto.

MORENA - Io songo ‘o duttore…

ALBA - Che...?

MORENA - Io sono ‘o duttore. Vedo a questo... questo coso e dico: ‘‘Ma da quanto tempo sta così?”.

ALBA - E noi rispondiamo: “Non lo sappiamo. Lo abbiamo trovato per strada... pochi minuti fa”.

MORENA - “E come è finito pa ‘a strada visto ca nun tiene le gambe?”.

ALBA - Ma chistu duttore quanti fatti vo’ sape’?!

MORENA - “E poi, pa ‘a strada dove?”.

ALBA - A... A Gianturco!

MORENA - ‘‘Dove ci stanno le puttane?”.

ALBA - Eh! Prorio llà!

MORENA - “Ah ma allora voi cunuscete a chelli quattro ca teneno in casa un cugino ca si lamenta da dieci giorni?! E como sta adesso?”.

ALBA - Benissimo. È tornato al paese suo guaritissimo. Sano come un pesciolino rosso dint’’o buccaccio.’. Punto basta!

MORENA - E l’indirizzo do ‘o cugino di terzo grado e do ‘o paese vicino Pozzuoli…, chi glielo dà a ‘o medico?

ALBA - (spazientita) Uh, piccere’, comme ‘a fai longa! Io all’ospedale l’ho portato mica annanze a nu giudice.

GINA - No, non si può... Facciamo così: teniamocelo. Mettiamo dei bei fogli di polistirolo alle pareti, come si fa nelle discoteche quando non vuoi far sentire la musica fuori. Mangiare, niente! Non glielo portiamo più!

TUNA - Quando mai ha mangiato?!

GINA - Noi riprendiamo tranquillamente a fare la nostra vita e ce lo scordiamo. Quando vuole morire, muore. Senza pressa. Quando è destinato che si deve rompere, si rompe. Tanto, non bisogna nemmeno seppellirlo... Basta ‘na scopa, ‘na paletta e ‘nu sacchetto d’’a munnezza come avimmo fatto cu ‘e cosce e cu ‘e braccia.

TUNA - E nessuno riuscirà più a dormire.

MORENA - ‘O pensiero starà siempre là.

ALBA - E mò more, e mò more, e mò more, ponno passà pure...

GINA - (esasperata) Dieci anni, lo so! E noi campiamo dieci anni così!

TUNA - Tu? Proprio tu? La più insofferente? Ma fammi il piacere…

MORENA – (molto misteriosa) Forse… un’altra soluzione ci sta. Venite aqui. (Raggiungono il proscenio mentre Morena siede al banco degli imputati).

Le avevamo pensate tutte. Eravamo, como se dice?... Preoccupate... Donne come noi è difficile trovare pace... Paura? Sì... Io dicevo di... di andargli a parlare... Anche per vedere a che stava con... Sono sempre convinta che lui ci capiva... E che capiva anche quello che dicevamo... Dissero sì e... Ci facemmo coraggio e andammo di là. Foi terrivel. O coração espludiu... Li era scoppiato il cuore e... tutto il corpo, quello che rimaneva..., era diventato rosa. Ma dentro. ‘O seu corpo dentro. ‘O sanghe aveva riempito todo. Todo de rosa...

Sì, scusate... Avevamo parlato per tanto tempo su cosa fare che quando lo vedemmo così un po’ ci dispiacque. Ma fu anche una liberação, Dio mio perdoname. Pe’ nnuie e pe’ isso. Pareva una bottiglia che… che si muovono. Quelle piene di liquido che brilla…, como se dice?... Fluo... “fluorfluoresente”, sì. Ma non si era rotto. Não potevamo recolher i pezzi. Non potevamo gettarlo a mare, abbandonarlo o seppellirlo o... Ma è la verità, sì... Non si poteva fare cchiù niente, eppure decidiu lo stesso di portarlo in ospedal. Quasi per... per sgravarci la coscienza. Cosa avrebbero potuto farci? Non siamo delle assassine, lo giuro sul sangue rosso del Cuore di Jesus. Lo giuro sul suo cuore. Gli volevamo bene... Lo alzammo piano piano e lo portammo su ‘o divanetto... Anche in ospedale ci dissero che era morto per... per... Come...? Ecco, sì, quello: cause naturali! Gli era scoppiato il cuore. Non abbiamo fatto niente... È tutto... Grazie... Posso andare?

Morena raggiunge le altre e si stringe a loro. Tre colpi di martelletto pongono fine al processo. Lentamente si fa buio a proscenio mentre si illumina l’appartamento. Sono tornate a casa. Ognuna sembra indolentemente affaccendata in qualche cosa. Regna un grande silenzio.

ALBA – E… che volete mangiare? (Tutte, ciascuna a suo modo, rispondono: “Niente”).

GINA – Tuna, ce l’hai una sigaretta?

TUNA – Sì, certo.

ALBA - (senza tentare di essere spiritosa) Niente. Digiuno eucaristico.

GINA -  Ma è l’ultima.

TUNA - Prendi, prendi. Ne ho un altro pacchetto.

ALBA - (in risposta ad un colpo di tosse di Morena) Ti faccio un bicchiere di latte caldo?

MORENA - No, grazie, tesoro.

ALBA - Hai preso freddo.

MORENA - Non ne ho voglia. (Prende la chitarra e strimpella qualche accordo).

TUNA - È finita. (Tutte la guardano. Ancora silenzio).

ALBA - Je tengo famme. (Va in cucina).

GINA - (a Tuna, riferendosi alla sigaretta che sta fumando) Le hai cambiate?!

TUNA - Ti piacciono?

GINA - Sono buone.

TUNA - Un po’ più dolci delle altre.

MORENA - (a mezza voce) “Se você, o que ia ser de mim

                                              en ia ficar tão triste...” (Continua).

GINA -  More’, esci stasera? (Morena annuisce).

ALBA - (entra con un vassoio stracolmo di patatine, pop-corn, salatini e altro) Lo metto qua sopra. Chi lo vuole... Mannaggia a sti scarpe! Me stanno facenno danna’. (Ritorna in cucina).

TUNA - È andato tutto bene.

GINA - (a Morena) Me ne scendo con te.

ALBA – (torna con una bottiglia di vino rosato e dei bicchieri) Guardate cosa ho trovato? Ce l’eravamo scordata dentro al frigorifero.

Stappa la bottiglia e mangia qualcosa. Da questo momento in poi, il ritmo della scena aumenterà parallelamente alla frequenza, dapprima lenta, con cui le donne attingeranno al vassoio e alla bottiglia di vino.

TUNA - Siamo tornate ad essere pulite.

MORENA - Sem pecados, como depois da premeira comunhão. (Tuna le sorride. Morena risponde a quel sorriso).

GINA - Che ci potevano fare?

ALBA - Niente. Perché noi niente abbiamo fatto.

MORENA – “Cause naturali” .

TUNA - Vergini. Come...

ALBA - Comme chi s’’o ricorda cchiù!

GINA - (a Morena che si sta versando del vino) Anche a me.

TUNA - Vi manca?

ALBA - Per la verità, n... no.

MORENA - Troppo poco pra’ affezionarsi.

GINA - A me un pochino. (Riferendosi, poi, al bicchiere colmo) Ma quanto me ne hai messo? Sto pure a digiuno.

ALBA – E mangia qualcosa.

MORENA - (mette sul piatto un disco) Facciamo il nostro numero?

ALBA – More’, ma tieni sempe ‘a stessa capa?

TUNA – “Capa brasileira”.

MORENA - (coinvolge Tuna in un improvvisato ballo) Cabeça quente, cabeça di luz, cabeça di mar...

TUNA - Lasciami che mi fai girare la “cabeça”. (Ridono).

GINA - Sì, sì, facciamolo!

ALBA - E no, jà piccere’. Mi fanno male i piedi.

MORENA - Preparate ‘o divanetto.

TUNA - (ad Alba) Dai mammina, che stasera si esce.

GINA - Si ritorna a campare.

ALBA - (fingendosi seccata, posiziona il divanetto aiutata da Tuna) Quanto non ti sopporto quando mi chiami ‘‘mammina”...

TUNA - Perdonami, mamma, non lo farò più.

ALBA - Mò te chiavo ‘na scarpa appriesso.

MORENA - Pronte?

 

C’è un momento di silenzio durante il quale le quattro donne guardano il divanetto come se vi fosse sdraiato ”Lui”. 

GINA - Ve lo ricordate?

MORENA – (autocitandosi) “Forse… un’altra soluzione ci sta. Venite aqui!”.

GINA - Steso a terra...

ALBA - Chi è entrata per prima nello stanzino?

TUNA - Siamo andate a parlargli...

MORENA - Io. Ho acceso la luz...

GINA - Quel lamento terribile...

TUNA - Non avevo neppure i tappi...

ALBA - S’era fatto ancora cchiù bello…

GINA - Se possibile...

TUNA - Solo che...

MORENA - Non ci ha sentite...

ALBA - Abbiamo fatto rumore apposta...

TUNA - Chi ha sbattuto la porta?

GINA - Tiene ancora gli occhi chiusi...

MORENA - Io!

TUNA - Guardami!

ALBA - Guardame ‘nfaccia!

MORENA - Chi gli ha dato uno schiaffo?

GINA - Sono verdi...

ALBA - Cchiù chiari ‘e primma...

TUNA - Ma non erano neri?

ALBA - E chi se lo ricorda più...

GINA - Ciao. Mi riconosci?

MORENA - Sono io. Morena la brasileira.

ALBA - Comme te siente, figliu mio?

TUNA - Ti ricordi di me?

ALBA - Pare ancora cchiù piccerillo...

MORENA - No...

TUNA - Con un’ombra di rossetto sulle labbra starebbe benissimo.

Lungo silenzio.

GINA - Mettiglielo! Tum-tum... Tum-tum… (Continua).

ALBA - Un bambino... Tum-tum… Tum-tum... (Continua).

MORENA - Sembra più grande... Tum-tum... (Continua).

TUNA - Vediamo se è vero. Tum-tum... (Continua).

ALBA - Ce sta guardanno... Tum-tum... (Continua).

TUNA - Ti piace? Tum-tum... (Continua).

MORENA - No! Lui è un uomo... Tum-tum... (Continua).

ALBA - Adda sta ancora attaccato a ‘o zizeniello... Tum-tum… (Continua).

MORENA - Repete: Uomo! Tum-tum... (Continua).

GINA - Come? Tum-tum… (Continua).

TUNA - Donna! Tum-tum… (Continua).

GINA - Ti sei fatto toccare? Tum-tum... (Continua).

ALBA - Chi gli ha dato lo schiaffo? Tum-tum... (Continua).

MORENA - Uomo! Con una coda di porco tra le gambe! Tum-tum... (Continua).

TUNA - Guardate: ha paura! Tum-tum... (Continua).

GINA - Toccare in mezzo alle gambe! Tum-tum... (Continua).

TUNA - Continuiamo! Continuiamo! Tum-tum... (Continua).

ALBA - Piccerillo, piccerillo... Tum-tum... (Continua).

GINA - Allora la lezione non t’è bastata? Ne vuoi ancora! Tum-tum... (Continua).

TUNA - Solo da te mi farò toccare! Tum-tum… (Continua).

MORENA - Me da um beijo?! Tum-tum... (Continua).

Il ritmo del battito cardiaco di “Lui” accelera.

ALBA - Ninna nonna, nonna ninna... Tum-tum... (Continua).

TUNA - Toccami! Hai il rossetto! Tum-tum... (Continua).

GINA - Vuo’ ati mazzate? Tum-tum... (Continua).

MORENA - Gli uomini non sono fatti così. Tum-tum... (Continua).

TUNA - Se gridi un’altra volta ti ammazzo! Tum-tum... (Continua).

MORENA - Gli uomini veri non si rompono. Tum-tum... (Continua).

GINA - Continuate così! Tum-tum... (Continua).

ALBA - Vuo’ veni’ ‘mbraccio a me? Tum-tum... (Continua).

MORENA - Forza! Forza! Ancora un po’! Tum-tum... (Continua).

GINA - Nun me guardà accussì o si’ no... Tum-tum... (Continua).

ALBA - ‘A vuo’ sentì na bella favola? Tum-tum... (Continua).

GINA - Tu sei mio! Soltanto mio! Tum-tum… (Continua).

TUNA - Sei il mio complice! Tum-tum… (Continua).

ALBA - Si’ ’o figlio mio! Tum-tum… (Continua).

MORENA - Sei il mio amante! Tum-tum… (Continua).

GINA - Sei il mio servo! Tum-tum… (Continua).

TUNA - Mio!

ALBA - Mio!

MORENA - Mio!

GINA - Mio!

INSIEME - Buum!!

Siedono contemporaneamente sul divano.

MORENA - Pronte?

ALBA - Sì!

GINA - Pronte!

TUNA - Quando vuoi!

MORENA - E allora... Simbora, piraña Eva! Via! Prima che scoppia ‘o core pure a noi!

Musica. Eseguono il loro numero cantato e danzato.

Lentissimamente si fa buio.