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SUD

Commedia in tre atti

di JULIEN GREEN

Versione italiana di Raffaele la Capria

PERSONAGGI

IAN WICZEWSKI, 25 anni, ufficiale

EDOARDO BRODERICK, 40 anni vedovo

JIMMY, 14 anni figlio di E. Broderick

SIGNOR WHITE,60 anni, precettore di Jimmy

ERIK MAC CLURE, 20 anni

ZIO JOHN,70 anni e più, schiavo negro affrancato

JEREMY, un negro

UN NEGRETTO.

REGINA, 22 anni, nipote di E. Broderick

ANGELINA, 16 anni, figlia di E. Broderick

SIGNORA STRONG, sorella di E. Broderick, vedova

ELISA,

SIGNORA RIOLLEAU,

SIGNORINA RIOLLEAU, sua figlia

UNA NEGRETTA.

(Wiczewski si pronuncia Visceschi)

Commedia formattata da

NOTA:

 II fatto ha luogo alcune ore prima dello scoppio della Guerra di Secessione. Il colpo di cannone alla fine della commedia annuncia l'apertura delle ostilità fra il Nord e il Sud, all'alba del 12 aprile 1861.

L'azione si svolge in una grande piantagione nei dintorni di Charleston, nella Caro­lina del Sud.

Per comprendere bene la messinscena, bisogna immaginare il salone di una grande casa costruita sul modello del tempio greco di Paestum, con un frontone e grosse colonne che poggiano direttamente sul suolo, senza basi. Due di queste colonne si vedono dall'interno del salone, a destra e a sinistra di una grande porta a vetrate sul fondo. Tra le due colonne lo sguardo spazia su un lungo viale di quercie dai tronchi striati di muschio grigioverde, che si agitano al minimo soffio di vento.

Il salone è mobiliato nello stile un po' greve del 1850.

 All'inizio del primo atto si sentiranno le prime due strofe del canto « Abide with me «.

 ATTO PRIMO

SCENA I

All'alzarsi del sipario, il tenente lan Wiczewski sta in piedi, sulla destra del palcoscenico, con le spalle ri­volte agli spettatori, in una assoluta immobilità. Ha in mano un frustino. Di lontano, dalla chiesa, giunge un canto religioso ma non se ne distinguono le parole. Dopo qualche secondo Regina entra correndo dalla si­nistra e va verso la finestra, senza vedere il tenente Wiczewski. Guarda nel viale come per cercare qual­cuno, poi resta immobile ad ascoltare il canto che si

 spegne alla fine di una strofa. Dopo qualche istante, mentre il canto riattacca sulla strofa seguente, Regina intuisce la presenza di qualcuno, e si volta, trasalendo.

Regina                           - Oh! Mi avete spaventata, tenente Wiczew­ ski. Non so come fate ad apparire così, d'improvviso, dove meno ci si aspetta di vedervi. x

Ian                                 - Vi aspettavate di vedermi nel viale?

Regina                           - No. Perché ?

Ian                                 - Perché , in effetti, avrei potuto essere nel viale.

Regina                           - Nel viale o altrove, la cosa mi è indiffe­rente, se permettete, (silenzio) Guardavo se Angelina per caso non tornasse dalla chiesa.

Ian                                 - Dovete conoscerla male se la credete capace di venir via prima che sia terminata la funzione. È una vera figlia del Sud: teme Dio ed è sottomessa al padre, (silenzio) Tranne noi due, questo pomeriggio tutti si sono rinchiusi in quella baracca di legno che chiamano chiesa. Siamo proprio soli in questa casa.

Regina                           - Vi dispiace di non poter andare in chiesa la domenica?

Ian                                 - I miei sentimenti al riguardo non hanno im­portanza. Resta il fatto che non c'è una chiesa cattolica da queste parti.

Regina                           - Che effetto vi fanno questi canti? ,

Ian                                 - Nessuno.

Regina                           - C'è poco da fare, non sarete mai dei nostri voi. Io sono del Nord e non credo più alle chiese, ep­pure non sono insensibile a questi vecchi inni. Voi, in­vece venite da lontano.

Ian                                 - L'America è piena di gente che viene da lon­tano.

Regina                           - Eppure... si finisce per avere un'aria di famiglia. Voi no. Voi restate uno straniero, malgrado questa uniforme, (mentre pronuncia questa frase Re­gina volge lo sguardo altrove) Angelina mi ha detto che siete venuto qui a dodici anni, con vostro nonno. È vero?

Ian                                 - Sì. Lasciammo la Polonia dopo l'insurrezione del '48.

Regina                           - L'insurrezione contro i Russi?

Ian                                 - Contro i Prussiani. Impiccarono mio padre in una piazza di Posen con altri sei cospiratori. Quella notte mio nonno mi svegliò e fuggimmo.

Regina                           - E i Prussiani a voi non fecero niente?

Ian                                 - No. Niente. Mi frustarono dopo l'esecuzione, per dare l'esempio, dissero. Fu tutto.

Regina                           - Vi hanno frustato e dite che non è niente?

Ian                                 - (ridendo appena) Sono passati dodici anni da quel giorno. Il dolore si è molto attenuato.

Regina                           - Perché , un momento fa, avete detto che eravamo soli in casa?

Ian                                 - Non è vero forse?

Regina                           - No. Ci sono i negri.

Ian                                 - I negri non contano. I negri sono come dei mobili.

Regina                           - (seccamente) Non sono della vostra opi­nione, (silenzio) Volete rispondere alla mia domanda?

Ian                                 - • Perché ho detto che eravamo soli?

Regina                           - Sì.

Ian                                 - (girandosi verso di lei) Per darvi l'occasione di parlarmi.

Regina                           - (con irritazione improvvisa) E di che mai dovrei parlarvi?

Ian                                 - Lo sapete bene, quanto me. (il canto cessa).

Regina                           - Ed è per dirmi questo che mi aspettavate qui?

Ian                                 - Io non aspettavo. Ero qui.

Regina                           - Non mi va quello che dite. In fondo non mi va nulla di quello che dite e vi sto a sentire mio malgrado. Ma vi sbagliate se credete che io abbia del­le confidenze da farvi.

Ian                                 - Aspetterò.

Regina                           - Siete un impertinente, ve lo assicuro.

Ian                                 - Sì, signorina.

Regina                           - Comincio a pensare con grande soddisfa­zione, sapete, a quello che mi avete raccontato. Sì, mi fa piacere di sapere che vi hanno frustato.

Ian                                 - - Ecco un pensiero gentile. Sviluppatelo.

Regina                           - Sì, quella punizione mi sembra una specie di anticipo. La meritavate sin da allora per le vostre future insolenze, per i vostri sorrisi, per i vostri silenzi, per la vostra ironia... tutta europea. Erano tre giorni che aspettavo l'occasione di dirvi queste cose in faccia. Non mi piacete, tenente Wiczewski.

Ian                                 - Vedete bene che qualcosa da dirmi l'avevate.

Regina                           - C'è in voi qualcosa che non mi piace e che del resto non comprendo bene. Oh, so che vi parlo in modo troppo scoperto e che mi espongo una volta di più al vostro scherno, lo leggo già nei vostri occhi...

Ian                                 - Perché distogliete i vostri mentre lo dite?

Regina                           - (guardandolo dritto in faccia) Io non li distolgo. Vi parlo come si parla da noi. Non conosco i sotterfugi delle donne del Sud alle quali voi fate i vostri complimenti ipocriti, (si avvicina insensibilmen­te a lui) Sono stata educata semplicemente, da gente che non mentiva e ciò che detesto in voi è la men­zogna.

Ian                                 - La menzogna? Perché dovrei darmi la pena di mentire a voi?

Regina                           - A me, certo. Io sono la parente povera, la brava ragazza del Nord alla quale non si bada troppo e che non è neppure molto graziosa. Voi vi credete perspicace, tenente Wiczewski, ma io lo sono quanto voi, e vi sono dei giorni in cui vi vedo mentire dalla testa ai piedi.

Ian                                 - Posso ricordarvi che siete della famiglia del signor Broderick e che di conseguenza io sono sotto il vostro tetto?

Regina                           - Siete pazzo? Io non sono a casa mia qui. Casa mia è lassù, nel Nord. Mi hanno fatto venire qui perché mio zio, che si occupava di me, si era rovinato. Suo cugino, il signor Broderick, si è offerto di ospitar­mi alla piantagione; ma non sarei mai venuta qui se avessi avuto i miei genitori. Odio le piantagioni. Vi ho passato un inverno, un inverno senza neve, ed io ho bisogno di vedere la neve. (Ian fa un movimento) Sapete perché sono sola con voi, in questa casa? Perché hanno pensato che non ha importanza se io vado in chiesa oppur no. Devono sempre fare uno sforzo per ricordarsi che siamo dello stesso sangue, loro ed io.

Ian                                 - Anche voi appartenete a un'altra razza.

Regina                           - Non è la stessa cosa. Io sono americana malgrado tutto.

Ian                                 - Avete parlato della neve, un momento fa.

Regina                           - Sì. Vi sarà sembrato puerile, suppongo.

Ian                                 - Ma no. No. (con voce cambiata) Anch'io ho bisogno di vedere la neve, come voi. Ci sono momenti folli in cui mi sembra che spalancando le imposte deb­ba vedere la prateria tutta bianca sotto il sole, e rab­brividire, e ridere di felicità come un ragazzo che ha voglia di gridare, di correre perché sente il meravi­glioso odore del freddo.

Regina                           - (ritorna alla sedia a dondolo) No. Non parlate così! Siamo già all'inizio dell'estate. La fornace ci soffia in viso il respiro, (un silenzio) Quanto reste­rete ancora qui, tenente Wiczewski?

Ian                                 - Il mio permesso scade fra 5 giorni.

Regina                           - Venerdì partirete allora.

Ian                                 - Venerdì all'alba. Ci sono 3 ore di cavallo da qui alla costa.

Regina                           - Restano 4 giorni dunque. Oggi non conta più.

Ian                                 - Sì, 4 giorni, come dite. A meno che la guerra non scoppi prima.

Regina                           - La guerra! Anche voi ci credete, alla guerra?

Ian                                 - Poiché tutti dicono che ci sarà, la guerra fi­nirà per scoppiare davvero. Quando non si parla di una cosa questa non succede.

Regina                           - Che farete se ci sarà la guerra?

Ian                                 - Raggiungerò il mio posto, signorina.

Regina                           - Ciò vuol dire che resterete fedele al go­verno, suppongo. Non passerete nel campo dei ribelli.

Ian                                 - È una questione che risolverò da solo, quan­do sarà il momento.

Regina                           - Sono molto ingenua a farvi certe doman­de. A chi dovreste essere fedele, voi? Non avete radici nel paese, Nord o Sud, per voi è lo stesso.

Ian                                 - (alzando le spalle) E voi, com'è che restate qui con le opinioni che vi si conoscono? Non siete già in seno al nemico?

Regina                           - Vi ho già detto che sono qui contro la mia volontà. Non posso partire.

Ian                                 - E allora in caso di guerra dovrete piegarvi alla legge del Sud, parlare la lingua del Sud.

Regina                           - Mai.

Ian                                 - Vi persuaderanno. L'inferno non ha furie pa­ragonabili ai civili in tempo di guerra. In meno di sei settimane faranno di voi una brava piccola schia­vista.

Regina                           - (battendo il piede) Se fossi un uomo, non osereste insultarmi.

Ian                                 - Lungi da me tale intenzione. Osservo soltanto che pur essendo del Nord, voi restate nel Sud, men­tre la guerra sembra imminente.

Regina                           - Per la terza volta vi dico che non posso partire.

Ian                                 - Lo potreste, volendo. Il signor Broderick vi aiuterebbe.

Regina                           - Che ne sapete?

Ian                                 - Mi ha assicurato che vi farebbe raggiungere Boston in tre giorni, se voi ne esprimeste il desiderio.

Regina                           - Gli avete dunque parlato di me?

Ian                                 - Sì.

Regina                           - Ma di che cosa vi immischiate? Che vi importa se io resto o me ne vado?

Ian                                 - Niente. Voglio semplicemente dimostrarvi che se restate qui, è perché lo volete.

Regina                           - Ed era per dirmi questo che mi aspetta­vate qui?

Ian                                 - Vi ho già detto che non vi aspettavo. Ma voi state perdendo tempo prezioso, rifiutando di dirmi quello che vi sta a cuore.

Regina                           - C'è questo che mi sta a cuore, poiché volete saperlo in tutti i modi, ed è che io resto, resto, e resto. Avete capito? (si avvicina ancora di più a lui).

Ian                                 - (senza muoversi) E perché restate?

Regina                           - Ho le mie ragioni, tenente Wiczewski.

Ian                                 - Di tutte queste ragioni, ce n'è soltanto una buona, ma quella non la confessate. L'orgoglio vi sof­foca, Regina.

Regina                           - Come osate? (rumore di passi).

Ian                                 - Viene qualcuno, e voi mi state così vicina che potrebbero credere... più o meno tutto quello che vorrebbero. Siete imprudente, signorina. (Regina si al­lontana bruscamente. La signora Strong entra dalla sinistra, seguita da una negretta).

SCENA II

Sica Strong                   - Chi è imprudente? Mia nipote?

Ian                                 - È cosa che non mi riguarda, senza dubbio, ma dicevo alla signorina Regina che rimanere qui, mentre la minaccia della guerra si fa ogni giorno più sicura...

Sica Strong                   - Non ci sarà guerra. Non voglio che se ne parli. Piccola, prendi il cappello, lo scialle, i guanti, il libro, l'ombrello, (tende questi oggetti alla negretta mano a mano che li enumera) Dammi il ven­taglio e accosta un po' le persiane         - (la bimba obbedisce. La signora Strong si siede in una poltrona a dóndolo). Così va bene. Puoi andare (la bimba esce) Regina, perché ci guardi con quegli occhi di Gorgona? Si di­rebbe che vogliano uscir via dalla testa e rotolare sul tappeto. Ritirati, bambina.

Regina                           - Zia, se...

SiG.a Strong                 - (raddrizzandosi sulla poltrona) Ho detto. (Regina esce dalla sinistra) Perché la spaventa­te, tenente? È la prima volta che sento un soldato consigliare la fuga.

Ian                                 - Nel suo caso, non si tratterebbe di fuggire. È del Nord... Mi stupisco che sia rimasta qui. Lei non ama il Sud.

Sica Strong                   - Lo odia, volete dire. Ma rimane ugualmente, per amor proprio, a tenerci testa. Per lei, il Sud è la Capanna dello zio Tom com'è dipinta sui piatti da dessert di casa sua. Le sue opinioni sono in­teressanti quanto quelle di una zanzara. Perché volete che se ne vada?

Ian                                 - lo non ci tengo particolarmente. Ma credo che per persuaderla a restare, bisogna consigliarle di partire.

Sica Strong                   - Ah! Ah! La conoscete. Una vera mula. Ma perché volete che resti, allora?

Ian                                 - Che resti o che parta è cosa che non mi ri­guarda; ma il signor Broderick è del parere di riman­darla nel Nord.

Sica Strong                   - Rimandarla nel Nord, è presto detto. Ci sta sulle braccia da quando è orfana. Di parenti nel Nord non ha che un vecchio zio bigotto che non è neppure capace di guadagnare 20 dollari alla setti­mana. Come la trovate?

Ian                                 - Come la trovo?

 Sica Strong                  - Sì. Come trovate mia nipote? Vi pa­re graziosa?

Ian                                 - Ha begli occhi. I suoi capelli...

Sica Strong                   - Ah, vi aspettavo ai capelli, la glo­ria della donna.

Ian                                 - Anche i capelli sono molto belli.

Sica Strong                   - Che pittore sareste. Con gli occhi e i capelli ci siamo, ma forse non basta. Che dite del resto, eh! tenente?

Ian                                 - Il resto... (esita).

Sica Strong                   - Il resto è silenzio, a quel che vedo. Notate che sono un po' del vostro parere, ma siete ingiusto per il profilo, che è piuttosto bello. Lo so, non si sposa un profilo. E d'altra parte, mi domando, cos'è che sposano e cosa fa delirare gli uomini quando parlano del cosiddetto bel sesso. Per me, il bel sesso è l'altro, naturalmente. Ma il mio venerato marito mi avrebbe fatto tacere. Quanto a mia nipote, l'ho guar­data tanto spesso che proprio non so che effetto fac­cia. Per la ragione che vi dirò, mi sforzo di vederla con gli occhi di uomo. È così strano, un uomo... Vo­lete avere la bontà di dare una spinta alla mia sedia a dondolo? Dunque, voi che conoscete le donne... Ehi, là!... Come spingete! Volete farmi toccare il soffitto? Più piano, per piacere.

Ian                                 - Scusatemi.,

Sica Strong                   - Così va bene. Sì, avrei voluto siste­mare la piccola, che resterà qui, non dubitatene. Avrà 23 anni a Natale. La credete capace di suscitare l'a­more?

Ian                                 - (pausa) Ogni donna ha il diritto di sperare...

Sica Strong                   - Non dite altro. Ho capito. Malgrado questo giudizio pessimista, conservo la speranza che si presenti un partito conveniente. Oggi, aspettiamo la visita del giovane Mac Clure che venne già a trovarci con suo padre, l'inverno scorso. Voi c'eravate?

Ian                                 - No, signora.

Sica Strong                   - Era per la loro piantagione. Vole­vano venderla. Disgraziatamente quella proprietà è mal situata e l'aria non è sana. Mio fratello rifiutò. Poi, il vecchio Mac Clure si è ammalato e ho paura che oggi il figlio ritorni alla carica, perché hanno molto biso­gno di denaro.

Ian                                 - Il signor Broderick me ne ha parlato.

Sica Strong                   - Quello che non sapete, poiché dopo­tutto voi non siete di qui... Oh, non lo dico per offen­dervi, tenente Wiczewski. (ride dolcemente) Fa parte del vostro charme con le donne, questa cert'aria di straniero. Voi le trasportate nella Polonia del signor Chopin, e loro si credono molto infelici, molto interes­santi; questo le diverte un mondo.

Ian                                 - Signora...

Sica Strong                   - Che vi stavo dicendo?

Ian                                 - Il giovane Mac Clure...

Sica Strong                   - Esatto. Il giovane Mac Clure e suo padre. Sappiate che i Mac Clure sono di buonissima famiglia. Abitano qui da più di due secoli, e i loro antenati scozzesi erano ladri di bestiame. Questo è un segno di distinzione in quei paesi. Voi certo non l'igno­rate, oh! mi è caduto il ventaglio! (Ian la raccoglie e glielo porge). Abbiamo dunque invitato il giovane Mac Clure a passare due giorni con noi. È stata una mia idea. Ha 20 anni e non ha mai visto Regina che si tro­vava in Florida quando lui venne qui con suo padre. Credete ai miracoli, tenente Wiczewski? Io ci credo. Noi doteremo convenientemente la piccola alla quale da­remo la piantagione di Tomotly e 100 schiavi. A dire il vero, Tomotly è in capo al mondo e io avrei paura di passarci una sola notte, ma il cotone lì cresce a meraviglia. Mostratevi gentile col giovane Mac Clure.

Ian                                 - Non mancherò di farlo.

Sica Strong                   - È un po' goffo, ridicolo direi nella sua redingote nera, con idee d'altri tempi su quello che si deve e non si deve fare. Un vero presbiteriano di Scozia, della scuola di Calvino. Vi annoio?

Ian                                 - Neanche per sogno, (pausa) È buon cavaliere?

SiG.a Strong                 - Non lo so. Fate delle strane doman­de. Ah, sì però! Quel giorno quando andò via con suo padre, mi ricordo che li guardai dalla veranda, mentre si allontanavano nel viale. Il giovane Mac Clure si teneva mirabilmente a cavallo. Per ritornare alle sue idee, e meglio non dire che Regina non va in chiesa la domenica. Pensarà lui a convertirla, dopo. Questo occuperà le loro mortali serate a Tomotly.

Ian                                 - (colpito) Voi già li vedete sposati.

Sica Strong                   - Sì, ci tengo. (Angelina entra dalla destra).

Angelina                       - Zia, dov'è Regina? Buongiorno tenente Wiczewski. (il tenente s'inchina).

Sica Strong                   - Non so dove sia Regina. Dì a tuo fratello di venire da me.

Angelina                       - Bene, zia. (esce da sinistra).

Sica Strong                   - Dovreste dare qualche buon consi­glio a mio nipote tenente Wiczewski. Jimmy vi adora, vi ascolterà. Insegnategli a tenersi dritto, a parlare come si deve, a non rubare i pasticcini. Un'altra cosa: non voglio che vada a passeggiare da solo dalla parte dei negri. Suo padre gli ha sempre detto di non an­dare oltre il Corso, ma non ha autorità su quel ra­gazzo; non più del suo precettore, il vecchio signor White.

Ian                                 - Potrebbero dirmi che l'educazione di Jimmy Broderick non è affar mio.

Sica Strong                   - Se alludete a mio fratello, lui sarà ben lieto. Ma forse cercate dei complimenti, tenente. Sapete molto bene quel che mio fratello pensa di voi. (sbadiglia) Non se perché oggi mi sento così stanca. Forse è questa prima giornata di caldo. E poi la pre­dica era insopportabile, questo pomeriggio. Il Reveren­do Locke ci ha trascinati per l'inferno su e giù, in lungo e in largo, attraverso lo zolfo e il fumo della sua retorica. Sono quasi certa di assenni assopita una o due volte. (Edoardo Broderick entra dalla porta del giardino) Perché hai l'aria così preoccupata Edoardo? Vuoi bere qualcosa?

Broderick                      - No grazie. Buongiorno, tenente. So­no preoccupato per le notizie.

Sica Srong                     - Non sono peggiori di ieri.

Broderick                      - Sono peggiori in quanto non si sa più bene di cosa si trattava sin dall'inizio. Finché una situazione è chiara c'è sempre il mezzo di uscirne. È quando le cose si confondono che il pericolo diventa acuto.

SiG.a Strong                 - Ho parlato proprio ora con il Re­verendo Locke. Lui è ottimista.

Broderick                      - Il Reverendo Locke è un sant'uomo che non capisce nulla di cose di questo mondo. Dov'è Regina? Voglio parlarle. (Entra Jimmy).

Jimmy                           - Buongiorno, tenente Wiczewski. Posso ac­compagnarvi a cavallo fino a Tomotly, domani pome­riggio?

Ian                                 - Domandatelo a vostro padre.

Broderick                      - Vedremo poi, Jimmy. Ora va a dire a Regina che desidero parlarle subito. (Jimmy esce da sinistra, dalle scale).

Sica Strong                   - Non vorrai spaventarla, spero.

Broderick                      - Le dirò di andarsene finché c'è tempo.

Sica Strong                   - Sei pazzo? A sentirti parlare, si cre­derebbe che il Sud è già invaso. Nessuno vuole la guer­ra: né il Presidente Lincoln, né gli Stati del Sud. Al­lora? (Edoardo Broderick tira fuori un giornale dalla tasca e glielo porge) E che vuol dire? Il governo del Nord rifiuta di ritirare le sue truppe dalla Carolina del Sud e vuole, al contrario, approvvigionarlo. Sono le solite buffonate di quelli di Washington. Quella gente sarebbe costernata se venisse sparato un solo colpo di fucile. Tuttavia ci sarà qualcuno qui da noi che darà loro una lezione.

Broderick                      - Perché Regina non viene?

Sica Strong                   - Ti supplico di riflettere a quello che le dirai. Anche se ci fosse la guerra, il posto di quella bambina è qui. Se resta con noi non sarà mai in peri­colo! È stata educata nel Nord, è vero, ma non c'è nul­la da fare, per sangue appartiene al Sud e adotterà il nostro modo di vivere. Me ne occuperò io.

Broderick                      - Non la cambierai. È troppo tardi. Ha 22 anni e vuole andarsene, (entrano Jimmy e Re­gina da sinistra).

Jimmy                           - (a bassa voce alla Sig.ra Strong) Zia Eve­lina domanda a papà se domani posso uscire con il tenente Wiczewski.

 Broderick                     - Ora lasciaci Jimmy. (Jimmy esce da destra).

Ian                                 - Preferite restar soli?

Broderick                      - Perché ? Voi siete per me come un figlio, Ian. Non ho mai avuto niente da nascondervi. Siedi Regina. Ho qualcosa da dirti, ma prima voglio farti una domanda. Rispondi senza esitazione e senza paura di dispiacerci. Ormai è un anno che tu vivi a Bonaventura. Sei felice qui?

Regina                           - Felice? No.

Broderick                      - Perché ?

Regina                           - Non amo il Sud.

Broderick                      - Se scoppiasse una guerra fra il Nord ed il Sud, parteggeresti per i Nordisti?

Regina                           - Sì, per Nordisti.

Sica Srong                     - Edoardo, io trovo questo interrogato­rio penoso per tutti.

Regina                           - Non è affatto penoso per me, zia.

Broderick                      - Ciò significa Regina che tu desideri la vittoria delle armate Nordiste su quelle del Sud?

Regina                           - Dio non voglia che si giunga a questo, ma se ci fosse la guerra, sì, desidererei naturalmente la vittoria del Nord.

Broderick                      - In tal caso, pensi sia ragionevole che io ti aiuti a ritornare nel Nord?

Regina                           - (leggera esitazione) Sì, trovo che sarebbe ragionevole.

Sica Strong                   - Regina, sei ingrata.

Regina                           - No, zia. Non dimentico ciò che vi devo. Però voglio partire.

Ian                                 - (stizzoso) Resterete molto male se non ci sarà la guerra.

Regina                           - (senza guardarlo) Non è a causa della guerra che voglio partire, tenente Wiczewski.

Ian                                 - Pensataci bene, signorina. (Regina lo guarda con aria stupita).

Broderick                      - Regina può pensarci fino a domani, se vuole. Sa che tutti le vogliamo bene. Può ritornare quindi sulla sua decisione, ma non voglio ch'ella resti a Bonaventura, se qui non è felice.

Ian                                 - Avevate detto, nemmeno un'ora fa, che sa­reste restata, signorina.

Regina                           - Ho cambiato idea. Del resto mi sembra che nemmeno un'ora fa, mi consigliavate di partire, tenente Wiczewski.

Ian                                 - Volevo mettere a prova la decisione da voi presa allora di restare, di restare, e ancora di restare.

Broderick                      - Cosa devo credere, Regina?

Regina                           - Credete a quello che vi dico ora, zio. Vo­glio partire, lasciare per sempre questa casa, questo paese.

Broderick                      - (dolcemente) Malgrado tutto penso sia meglio che tu aspetti fino a domani prima di ri­spondermi. Se deciderai di partire, t'accompagnerò io stesso fino a Charleston, in calesse. Avremo anche il tempo di dare uno sguardo alla città, che è molto bel­la. Dopo ti condurrò alla stazione ferroviaria. Non avrai paura di viaggiare in treno, spero.

Regina                           - (ridendo) Oh no, zio. Ho preso il treno per venire qui. Passati i primi dieci minuti non ho più avuto paura. Alla fine ci si abitua molto bene.

Broderick                      - C'è un'altra cosa che vorrei dirti. Sentirai parlar male di noi nel Nord. L'idea che han­no lassù di un piantatore del Sud è molto fantasiosa. Hai visto mai battere uno schiavo a Bonaventura?

Regina                           - A Bonaventura, no.

Broderick                      - Non parlo della frusta la cui sola idea fa orrore. Ho vietato che in qualsiasi modo si al­zi la mano su un negro. Lo sai?

Regina                           - Sì.

Broderick                      - Si è mai separato qui uno schiavo da sua moglie, una madre dai suoi figli?

Regina                           - Che io sappia, no, zio.

Broderick                      - Non è vero che a Natale ho resti­tuito la libertà a 28 schiavi e che 25 sono ritornati perché non sapevano dove andare?

Regina                           - Questo prova che voi siete umano nei li­miti che vi impongono i costumi del Sud, ma i tre schia­vi che non sono ritornati testimoniano contro di voi, e io sono con loro: io non vi riconosco il diritto di pos­sedere un solo schiavo.

Sica Strong                   - Impertinente! Leggi la Bibbia tutti i giorni e non sai che tutti i patriarchi avevano degli schiavi? Ah, se si potessero prendere questi negri tutti insieme, e rispedirli in Africa di dove non avrebbero mai dovuto uscire! Oppure farne un regalo, in blocco, ai virtuosi Europei che piangono sulla loro sorte, a Napoleone Terzo e a Vittoria! Da 30 anni continuano a dirci che si rivolteranno e ci massacreranno tutti. Io li credo incapaci. Sono dei fanciulli.

Broderick                      - Dei fanciulli, sì. Dei fanciulli smar­riti che la Provvidenza ha messo sulle nostre braccia.

Sica Strong                   - Oh, Edoardo, mi dai ai nervi quan­do parli della Provvidenza. Non si può rendere Dio responsabile di tutto. Sarebbe troppo comodo. Tanto più che Egli non dice mai niente.

Regina                           - Zio, se permettete, mi ritiro.

Broderick                      - Come vuoi, bambina mia. (Regina esce da sinistra. Alla Sig. Strong) L'hai scandalizzata quella piccola.

Sica Strong                   - L'ho scandalizzata, io?

Broderick                      - Sì. La conosco. È per quello che hai detto sul silenzio di Dio. Lei crede, e io credo come lei, che Dio parli a ciascuno di noi. Ha le sue idee religiose che noi dobbiamo rispettare.

Sig.a Strong                  - Mi pare un po' troppo. La signo­rina non si degna di venire in chiesa con noi ma ha delle idee religiose e se la si urta lei si « ritira » co­me una regina offesa. Piccola smorfiosa. Ai miei tem­pi, in questi casi, si usava la frusta. (Edoardo Brode­rick si allontana verso destra).

Ian                                 - (a mezza voce) Il sistema non era sbagliato.

Sig.a Strong                  - Non vi pare? Sono sicura che an­che da voi, in Polonia...

Ian                                 - Già.

Sica Strong                   - Quand'ero giovane in camera di mia madre c'era sempre a portata di mano un frustino. Vi assicuro che i servi non si facevano pregare per ob­bedire. Quelli erano tempi!

Ian                                 - Vedete ancora la signorina Regina istallata a Tomotly con i suoi 100 schiavi e il marito abolizio­nista?

Sica Strong                   - Giovanotto, vedrete che lo sposerà e che si terranno i loro schiavi. Quando si è assag­giata la povertà...

Ian                                 - Ma se parte?

Sig.a Strong                  - Non partirà quando avrà visto il giovane Mac Clure.

Ian                                 - Avete detto che credete ai miracoli. Sono curioso di vedere questo. (Edoardo Broderick ritorna verso il centro della scena).

Sica Strong                   - Ma che hai Edoardo? Ti senti po­co bene?

Broderick                      - No, ma la conversazione con Regina mi ha addolorato, lo confesso. Era così convinta... e voi, tenente, che ne pensate di questi problemi bru­cianti che separano il Nord e il Sud?

Ian                                 - Signore, non ho parere da esprimere su una questione che conosco tanto poco. A dire il vero, la politica attrae noi militari meno dei civili. Noi aspet­tiamo che dai discorsi venga fuori la guerra, come di solito accade. E allora il nostro compito è di battere il nemico.

Sica Strong                   - Non mi va che parliate di queste cose con una voce così fredda e tranquilla. Si direbbe che i primi scontri siano già avvenuti.

Ian                                 - Se così fosse, signora, non sarei qui.

Sig.a Strong                  - Dio mio, vorrei che già fossero pas­sati tre mesi. Fra tre mesi sapremo, e la questione sa­rà definita, in un modo o nell'altro, anche se ci sarà la guerra. Anch'io adesso ne parlo, ma non ci sarà, (si agita sulla sedia a dondolo) Ho caldo. Sento che la fine di questa giornata sarà diffìcile. Tenente Wiczewski, aiutatemi ad alzarmi. Non c'è aria qui. Aspetterò gli invitati sulla veranda... (Wiczewski l'aiuta ad alzarsi ed ella esce da destra).

SCENA III

Broderick                      - Tenente, non vi nascondo che sono preoccupato.

Ian                                 - Bisogna conservare la propria calma in momenti come questi.

Broderick                      - Io mi domando come fate voi ad es­sere così tranquillo.

Ian                                 - Fa parte del nostro mestiere.

Broderick                      - Lo so. Sul campo di battaglia, il sol­dato deve sparare solo quando vede il bianco degli occhi del nemico. Ma io non sono un soldato e mi è difficile dominarmi, aspettare. Aspettare è terribile. (pausa) Sono contento che voi siate qui. Sì, la vostra presenza ci comunica, a tutti, qualcosa, malgrado... de­vo dirlo? (Wiczewski fa un gesto) Malgrado questa uniforme. Oh, comprendetemi; è naturale che voi la portiate ancora. Non siamo in guerra. Voi siete un ufficiale dell'esercito degli Stati Uniti. Basta che do­mani una testa calda apra il fuoco perché questa u-niform*3 diventi quella...

Ian                                 - Del nemico?

Broderick                      - Scusatemi. La mia lingua è sbalordita dalle parole che pronuncia. Sono quindici giorni che niente più sembra vero. Sono sicuro che voi siete per noi, con noi.

Ian                                 - Ne avete mai dubitato?

Broderick                      - Come non dubiterei dì mio figlio... Ma l'angoscia... Voi sapete che cos'è l'angoscia?

Ian                                 - No.

Broderick                      - Ci sono dei momenti in cui vedo più chiaramente. Vorrei avere le fede di Regina. Sì, può ben dire cose che mi turbano e che talvolta m'indi­gnano, ma io sento che lei ha la fede. Lei s'appoggia a qualcuno o qualcosa che non si vede. Io, invece, è come se fingessi di farlo... anche, perché ... lo capite, è necessario. Ma io non sono sicuro. Lei sì. (silenzio) Sono contento che siate qui. Dovete sentire che que­sta è la nostra casa.

Ian                                 - Devo dare degli ordini al mio attendente. Mi permettete di ritirarmi?

Broderick                      - (tristemente) Andate, fate quello che volete. (Ian esce) (Broderick si dirige verso il fondo). Si soffoca in questa stanza, si finisce per odiare i muri che ci vedono soffrire, (oltrepassa Za soglia della gran porta a vetri sul fondo e si ferma tra le colonne) Dio mio, se tu potessi esistere soltanto per un minuto... Come verrei verso di te! (in questo istante appare sul­la sinistra Jimmy e si volta verso qualcuno che non si vede. Broderick s'allontana di poco fra le colonne).

SCENA IV

Jimmy                           - Entrate! (batte il piede) Entrate, se ve lo dico. E tu vuoi venire? (allunga un braccio e prende per la mano un negretto che guida un vecchio negro cieco vestito con una redingote nera).

Negretto                        - (esita un po') Ho paura. È proibito.

Jimmy                           - Non è proibito, se te lo permetto io. E poi lo zio John ha sempre il diritto di entrare qui. Lo ha detto papà.

Zio John                        - (al negretto) Dove siamo, piccolo?

Jimmy                           - Nel grande salone.

Zio John                        - C'è gente? Se c'è gente, me ne vado.

Jimmy                           - Non c'è nessuno. Vado a cercare papà, zio John, ma voi mi permettete di domandargli quello che vi ho detto?

Zio John                        - Vi permetto di parlargliene, signorino Jimmy. (Jimmy esce dalla destra. Il vecchio e il fan­ciullo restano in piedi al centro del salone, senza muo­versi, tenendosi per mano) Piccolo, guarda bene questo salone perché forse non vedrai più un salone in vita tua.

Negretto                        - Che cos'è un salone nonno?

Zio John                        - Una stanza dove i bianchi si riuniscono per parlare.

Negretto                        - E non possono parlare fuori?

Zio John                        - Fuori fa troppo caldo per i bianchi, c'è troppo sole, oppure fa troppo freddo, e allora si ripa­rano qui. Bisogna che i bianchi stiano bene dapper­tutto.

Negretto                        - Perché ?

Zio John                        - Perché è così. Perché il Signore ha dato loro una pelle bianca.

Negretto                        - Perché il Signore non ha dato una pel­le bianca anche a me, nonno?

Zio John                        - Il Signore ti darà ,ben altro in Paradiso, agnellino mio.

Negretto                        - Anche ai bianchi?

Zio John                        - (dopo un'esitazione) Penso di sì.

Negretto                        - Nonno, posso toccare con un dito la sedia a dondolo?

Zio John                        - No, non devi toccare niente di quello che appartiene ai bianchi. (Broderick entra dalla de­stra).

Broderick                      - Buongiorno, zio John. Spero che nien­te di grave vi conduca qui.

Zio John                        - Siamo soli in questa stanza, signor Edoardo?

Broderick                      - Sì. Non c'è che vostro nipote.

Zio John                        - (al negretto) Piccolo aspettami nel viale, e sii buono, (il negretto esce dalla sinistra).

Broderick                      - Accomodatevi, zio John, (lo prende per mano e lo fa sedere sul divano. Broderick resta in piedi).

Zio John                        - Temo di disturbarvi signor Edoardo. Il pomeriggio della domenica... Il giorno degli invitati...

Broderick                      - Ci vorrà un quarto d'ora prima che arrivino. E poi voi non sareste venuto se non avevate qualcosa di importante da dirmi.

Zio John                        - E se invece non avessi niente di impor­tante da dirvi, signor Edoardo?

Broderick                      - Non capisco.

Zio John                        - Poco fa, mentre ascoltavo i miei piccoli che cantavano i salmi, ho avuto l'ispirazione di venire a trovarvi. Il momento non era adatto. Di domenica, con tutti gli invitati che stanno per arrivare... Ma non sono io che ho scelto il momento. Non sapevo quello che avrei dovuto dirvi. Eppure ho obbedito.

Broderick                      - Obbedito?

Zio John                        - Non ha detto forse il Signore: « Lo spi­rito soffia dove vuole? » Io mi sono alzato, ho messo la redingote e sono venuto.

Broderick                      - Sentite qualche volta la voce del Si­gnore, Zio John?

Zio John                        - Qualche volta sì.

Broderick                      - Ma forse è il vostro pensiero che pren­dete per la sua voce.

Zio John                        - No, la sua voce non ha lo stesso suono. Il rumore che fanno i pensieri nella testa non si con­fonde mai con la voce del Signore, la voce del Signore non si confonde con niente altro al mondo, e si rico­nosce sempre, (pausa).

Broderick                      - Perché mi dite questo, Zio John?

Zio John                        - Ho paura per questa casa, (pausa). È forse questo che dovevo dirvi.

Broderick                      - (si siede) È per le voci di guerra che parlate così? Mi volete chiedere la liberazione di uno schiavo?

Zio John                        - La liberazione di uno schiavo non ba­sterebbe, bisognerebbe liberarli tutti.

Broderick                      - A voi è facile dirlo... Volete la mia rovina.

Zìo Jdhn                        - Se mi permettete di dirlo, signor Edoar­do, preferirei che foste rovinato piuttosto che perduto.

Broderick                      - (s'alza) Ho già ascoltato un sermone poco fa, zio John, credo che basti, anche per una do­menica. Io libero i miei schiavi a poco a poco.

Zio John                        - Dio qualche volta procede più svelto di noi. Perdonatemi se vi parlo così. Siete stato molto buono con me. Mi vete affrancato più di 20 anni fa. Mi avete dato una casa e un campo lungo la strada. Siamo rimasti nella piantagione perché vi amiamo, ed è perché vi amiamo che oggi, ascoltando i piccoli, ho pensato di venire da voi. (con una voce piana e senza enfasi alcuna) Ma Dio sta per passare in mezzo a noi, e voi sapete cosa vuol dire? Qui, in questa casa, Dio passerà.

Broderick                      - Che dite? Dio passerà...

Zio John                        - Cosa c'è dietro di mg, signor Edoardo?

Broderick                      - Dietro di voi? La vetrata che dà sulla piantagione.

Zio John                        - Alla mia destra e alla mia sinistra?

Broderick                      - Alla vostra sinistra, la porta che con­duce alla veranda. Alla vostra destra la porta dalla quale siete entrato.

 Zio John                       - Tra questa finestra e queste due porte la collera di Dio vedrà il suo componimento.

Broderick                      - Perché dovrebbe colpire me? Che cosa ho fatto?

Zio John                        - Non vi colpirà se non avete fatto niente. Dio è amore, signor Edoardo.

Broderick                      - Se è amore, perché si vendica dei mal­vagi?

Zio John                        - (dolcemente) Perché i malvagi forse provocano la collera dell'amore.

Broderick                      - Ma come?

Zio John                        - (con lo stesso tono) Per mancanza d'a­more. Dove non c'è amore non c'è religione. Potete cantar salmi e gridare: « Alleluia! », ma se non amate il vostro prossimo come voi stesso e più di voi stesso, siete perduto, (si alza) Datemi la mano, vi prego e con­ducetemi verso la porta, (tutti e due si dirigono vorso sinistra) Ho ancora qualcosa da dirvi a proposito di vostro figlio.Vorrebbe uscire domani col tenente stra­niero.

Broderick                      - Lo so. Il tenente Wiczewski. Ma non è uno straniero.

Zio John                        - Non è uno di qui, signor Edoardo.

Broderick                      - Sì, viene dall'Europa, ma ormai è Ame­ricano.

Zio John                        - (fermandosi) Gli volete molto bene?

Broderick                      - Sì, molto.

Zio John                        - Se fossi in voi non lascerei uscire il pic­colo Jimmy col tenente straniero.

Broderick                      - Perché ?

Zio John                        - Quando il piccolo Jimmy mi ha parlato poco fa, mi ha colpito l'idea che non si doveva farlo uscire col tenente straniero.

Broderick                      - Vi hanno parlato male del tenente Wiczewski?

Zio John                        - Mai.

Broderick                      - Lui vi ha mai parlato?

Zio John                        - No. Ma un giorno, ero nella strada e l'ho sentito parlare con una donna. Non so che diceva, ma ho ascoltato la sua voce. Per noi ciechi la voce è tutto o quasi, quello che a voi è rivelato dagli occhi, noi lo intuiamo dalla voce. Io ho sentito la voce del tenente straniero.

Broderick                      - E allora?

Zio John                        - Non mi piace la sua voce, signor Edoar­do. È una voce crudele.

Broderick                      - Parlava a una donna, avete detto?

Zio John                        - Sì.

Broderick                      - (dopo una leggera esitazione) Sapete chi era quella donna, zio John? (si sente un rumore. Lo zio John si protende come chi sta in ascolto. Regi­na appare dalla finestra).

Zio John                        - Eccola.

Broderick                      - Cerchi qualcosa, Regina?

Regina                           - Cercavo Angelina,

Broderick                      - Se volete, zio John, vi accompagno. (escono. Regina, rimasta sola, si guarda attorno).

SCENA V

                                      - (Regina vede su un mobile il frustino che il tenente Wiczewski ha dimenticato, lo prende, lo guarda un momento e lo getta sul tappeto. Angelina entra da si­nistra).

Regina                           - Ti cercavo, Angelina. Ho da dirti qual­cosa.

Angelina                       - Anch'io. Ma ho paura che gl'invitati stiano per arrivare.

Regina                           - Oh! Ci sarà da aspettare ancora per una mezz'ora, vieni, sediamoci in quest'angolo, (vanno a sedersi a sinistra, con le spalle volte alla porta di de­stra) Angelina, tu sei la sola persona qui, che m'ispiri una assoluta confidenza. Poco fa ho fatto un colpo di testa. Tuo padre mi ha proposto di lasciare Bonaven­tura e tornare nel Nord, ed io ho accettato.

Angelina                       - Hai accettato! E perché ?

Regina                           - Non lo so bene. Ho detto di sì. Tuo pa­dre mi ha invitata a riflettere. Ma avevo detto di sì e non potevo tornare sulla mia decisione. Mi riusciva difficile, soprattutto davanti a due uomini.

Angelina                       - Due uomini?

Regina                           - Sì, c'era il tenente Wiczewski. È sempre qui. Ho capito del resto che avevo ragione a dire di sì. Nella mia camera, poco fa, ho pianto, (gesto d'An­gelina) No, non mi fare domande, ti prego.

Angelina                       - Regina, non è possibile. Tu non par­tirai?

Regina                           - Sì. È meglio così. Non mi sentirò mai a casa mia qui. Su, niente lacrime. Ho pensato a te, An­gelina. Noi ci rivedremo.

Angelina                       - Ma se ci sarà la guerra?

Regina                           - Ci ritroveremo dopo la guerra.

Angelina                       - Tu mi odierai.

Regina                           - Sei pazza? (le carezza la testa) Tu sei la mia sola amica quaggiù. Per tutti gli altri io sono l'estranea. Domani, se io restassi e ci fosse la guerra, io sarei la spia. Tranne te, nessuno mi vuol bene qui.

Angelina                       - Ti sbagli. Mio padre...

Regina                           - Oh! Mi ama per dovere, per carità cri­stiana... questa cosa gelida. E poi, posso dirtelo poi­ché me ne vado, c'è qualcuno qui che mi detesta.

Angelina                       - Ma chi?

Regina                           - Il tenente Wiczewski.

Angelina                       - Che idea assurda! Lui! così a posto, co­sì gentile...

Regina                           - Non lo conosci. Il suo sorriso mi agghiac­cia. Non posso guardarlo quando s'inchina davanti a me senza pensare che in cuor suo mi disprezza. Da noi, nel Nord, gli uomini sono più bruschi, ma ci si può fidare di loro. Del tenente Wiczewski non riuscirei mai ad aver fiducia. Mi è stato sempre impossibile ca­pire l'ascendente che ha su tuo padre.

Angelina                       - Ascendente... ora esageri un po'.

Regina                           - Insomma, l'amicizia che tuo padre ha per lui.

Angelina                       - È molto semplice. Il nonno del tenente Wiczewski era riuscito a portarsi dietro dalla Polonia una grossa fortuna. Nel 1853 o 54 papà è stato sul pun­to di rovinarsi con delle speculazioni sbagliate. Si ri­volse allora al conte Wiczewski e questi, che conosce­va appena mio padre, gli dette il denaro che servì a salvarci. Il vecchio è morto 5 anni fa, e suo nipote ora è qui come a casa sua.

Regina                           - Questo non spiega perché tutti abbiano perso la testa per lui. Tuo padre non è il solo a tro­varlo perfetto. Zia Evelina è pazza di lui

Angelina                       - È vero. Tutti lo adorano.

Regina                           - Io no.

Angelina                       - Cosa t'ha fatto?

Regina                           - Finora niente. Ma non posso guardarlo senza sentirmi a disagio. Angelina dimmi: sei inna­morata del tenente Wiczewski?

Angelina                       - Io? No, certo.

Regina                           - Perché hai detto che tutti lo adorano? L'adori anche tu?

Angelina                       - Che sciocca! È un modo di dire. E' tal­mente gentile. Sì, è troppo gentile. A me piacciono gli uomini che sono più... aiutami. Come dire? Insomma lui non è come gli altri uomini.

Regina                           - Ti sei mai trovata sola con lui?

Angelina                       - Sì, una volta o due.

Regina                           - T'ha fatto dei complimenti?

Angelina                       - Lui? Mai. È molto gentile con me, ma assente, e mi parla come se fossi una bambina. Tutti qui mi trattano come una bambina, tranne te.

Regina                           - Potresti affermare che il tenente Wiczew­ski non t'ha mai fatto la corte?

Angelina                       - Come sei strana! Potrei giurarlo sulla Bibbia.

Regina                           - È inutile giurare su un libro che vieta il giuramento. Mi basta che tu mi dica semplicemente la verità, (pausa) Angelina, io non ti parlo come ad una bambina, ma come ad una donna. Lascio Bonaventura a causa del tenente Wiczewski.

Angelina                       - Come! Poco fa mi hai dato un'altra spiegazione.

Regina                           - La ragione principale è che non voglio più vedere quell'uomo.

Angelina                       - Ma se va via tra qualche giorno...

Regina                           - Ritornerà. Non riesco a liberarmi della sua presenza.

Angelina                       - Lo detesti a tal punto?

 Regina                          - (dopo un attimo di esitazione) Sì. Detesto il male che può fare.

Angelina                       - È incredibile. Il tenente Wiczewski non farebbe male a nessuno.

Regina                           - Che ne sai tu?

Angelina                       - E tu?

Regina                           - Io ne sono sicura. Quello è un uomo falso.

Angelina                       - Papà diceva ieri che nessuno ha uno sguardo così nobile.

Regina                           - E che vuol dire? Un uomo falso sa guar­darti dritto negli occhi e nessuno può avere l'aria più colpevole di un innocente. Non credo allo sguardo no­bile.

Angelina                       - Qualche volta Regina, ho l'impressione che tu non creda a niente.

Regina                           - Ho poca fiducia negli uomini. Lo ha det­to Cristo: « Diffidate dagli uomini ». E nessuno ci fa caso.

Angelina                       - Perché non vai mai in chiesa?

Regina                           - Perché la mia fede non è la vostra.

Angelina                       - Non capisco. Sei cristiana.

Regina                           - Sì, ma non nel senso che intendete voi. (pausa) Angelina non avevi qualcosa da dirmi?

Angelina                       - Sì, ma ora non potrei più.

Regina                           - Perché ?

Angelina                       - Perché ora tutto è cambiato. Mi sembra che non siamo più la stessa persona.

Regina                           - È un'idea che ti fai tu. (le prende la ma­no) Angelina parto tra 48 ore. L'occasione di confidarti con me non si ripresenterà più.

Angelina                       - Non ti prenderai gioco di me se ti dico il mio segreto?

Regina                           - Quando mai l'ho fatto?

Angelina                       - (con sforzo) Allora senti- un po' prima di Natale, quando tu eri in Florida con la zia Lucia, il signor Mac Clure e suo figlio sono venuti a trovare pa­pà per parlare della piantagione che volevano vendere.

Regina                           - Lo so.

Angelina                       - Sono rimasti a pranzo e sono andati via molto tardi, tutti e due a cavallo. Mi trovavo in un angolo del salone, e tutti parlavano di politica, ma non stavo a sentire perché la politica m'annoia. A un certo punto ho visto che il giovane Mac Clure lasciava il suo posto e traversava il salone per venire verso di me. Era vestito di nero. È rimasto per un istante fer­mo davanti a me e ha detto qualcosa che non ho capi­to. Vedevo le sue labbra muoversi, ma mi sembrava di essere diventata sorda. Ne ho avuto paura e son rimasta interdetta. Era così vicino a me che la sua mano ha toccato la mia, appena sopra il polso. Forse aspettava che gli dicessi qualcosa anch'io ma non po­tevo proprio.

Regina                           - Perché ?

Angelina                       - Non lo so. È rimasto immobile qualche secondo, mi ha sorriso ed è ritornato al suo posto.

Regina                           - Il suo modo di fare è strano quanto il tuo. (In questo momento il tenente Wiczewski entra da destra senza far rumore, ascolta un istante, poi veden­do il suo frustino sul tappeto lo raccoglie e rimane immobile nel vano della porta un po' lontano dalle ragazze) Che tipo è, il giovane Mac Clure?

Angelina                       - Lo vedrai stasera. Lo trovano molto bello.

Regina                           - E poi che avvenne?

Angelina                       - Ascolta. Il giorno dopo, mentre passeg­giavo nella piantagione, un ragazzo negro corse verso di me e mi consegnò una lettera. Se non dicessi questo a qualcuno non potrei più vivere. Per leggere la let­tera aspettai d'esser sola in camera. I miei occhi sal­tavano da una riga all'altra senza che io capissi nien­te. Mi accorsi che stavo tremando; era una lettera d'a­more. Non dici niente?

Regina                           - Aspetto il seguito.

Angelina                       - Ho preso la lettera e me lo sono strofi­nata sulla gola, sulle braccia, non puoi immaginare con quale piacere.

Regina                           - Angelina, perché mi hai nascosto che eri innamorata?

Angelina                       - Innamorata, io? Innamorata del giova­ne Mac Clure? Ma, mia povera Regina, non hai capito niente. Avevo chiesto soltanto un segno. Il segno m'è stato dato. Voglio essere amata, capisci? No, non dirmi che c'è Dio che mi ama, come se avessi sei anni. Que­sto mi irrita. Io voglio essere amata dagli uomini.

Regina                           - Sei cattiva, Angelina,

Angelina                       - Cosa ti fa credere ch'io sia cattiva? Non ho agito male. Non sono stata io a-chiedere ad Erik Mac Clure di scrivere quella lettera. Perché fai quel viso? Sei la sola persona a cui possa confidarmi, qui. Nessuno mi prende sul serio perché ho l'aria di una bambina.

Regina                           - Potresti confidarti con la zia Evelina.

Angelina                       - Sei pazza? E perché non con papà, già che ci sei. Ne morrei ri vergogna ed anche loro. Le persone della loro età non sanno più cos'è l'amore.

Regina                           - E che ne hai fatto della sua lettera?

Angelina                       - Ah! (ridendo) L'ho mangiata.

Regina                           - Mangiata!

Angelina                       - Sì, che c'è di straordinario? Non si rac­conta che S. Giovanni Evangelista mangiò un libro? Mangiare una lettera è molto più facile. Inghiottì un boccone dopo l'altro, tranquillamente. Prima, me l'ero strofinata sul corpo...

Regina                           - Me l'hai già detto. Non mi piace questa storia, Angelina.

Angelina                       - Perché sei fatta male, come tutte le persone della tua età.

Regina                           - Una persona della mia età? Ho 22 anni!

Angelina                       - E va bene, hai cinque anni più di me.

Regina                           - Angelina, sii più seria. Ho paura che per leggerezza tu commetta uno sbaglio, uno sbaglio che può metterti in pericolo.

Angelina                       - Ti prego, non dirmi cose imbarazzanti. Sento che ora mi parlerai della mia anima, e quando mi parlano della mia anima ho l'impressione di essere tutta nuda.

Regina                           - Eppure è necessario che qualcuno ti parli...

Angelina                       - Tu sei come Nounou. Mi dice: « Se nes­suno ti parla della tua anima, tu andrai all'inferno, si­gnorina Angelina, (l'imita) Ed è molto facile andare all'inferno, ma una volta che stai là resti ». Mi dà ai nervi, L'altro giorno le ho detto: « Parli dell'Inferno come se ci fossi stata ». « Non ci sono stata     - mi ha risposto ma so com'è fatto perché me l'ha detto il pastore ». « E il diavolo         - le ho chiesto com'è fat­to? » Sai come mi ha risposto? « Il diavolo, lo vedo tutto bianco. Non è quello che di solito ci raccontano! »

Regina                           - Angelina questa è forse l'ultima ora che passiamo insieme... (il tenente Wiczewski fa un passo avanti e dice a bassa voce) :

Ian                                 - Signorina Regina... (Angelina emette un gri-r do).

Regina                           - Che c'è tenente Wiczewski?

Ian                                 - La signora Strong vi prega di venire sulla veranda con la signorina Angelina.

Angelina                       - (con la mano sul cuore) Regina, ha sentito tutto! Andrà a dire a papà che sono andata dalla parte dei negri.

Regina                           - No, perché significherebbe ammettere che ascolta alle porte. Andiamo, su. (stanno per uscire quando incrociano Jimmy e il suo precettore, il Signor White, che entrano da destra).

Regina                           - Che c'è signor White? Sembrate sconvolto.

Sig. White                     - Non ho niente, signorina. Cerco il signor Broderick.

Angelina                       - Spero che non vi siano cattive notizie.

Sig. White                     - No, signorina Angelina, ma desidero parlare a vostro padre.

Angelina                       - L'ho visto adesso nel viale con zio John.

Sig. White                     - Grazie, signorina. Gli andrò incontro. (Angelina e Regina escono da destra. A Jimmy): Voi resterete qui Jimmy, finché non avrò trovato vostro padre. Allora vi lascerò solo con lui. Gli dovrete dire voi stesso che cosa è accaduto. (Jimmy affonda le mani nelle tasche e guarda dalla finestra).

Jimmy                           - Sì.

Sig. White                     - Non «movetevi di qui finché non viene vostro padre.

Jimmy                           - E che sto a fare mentre aspetto?

Sig. White                     - Penserete ai vostri peccati, ragazzo mio. (Jimmy alza le spalle. Il signor White esce da destra. Jimmy si mette a cavalcioni sulla spalliera del divano, e guarda fuori dalla porta a vetri dal fondo. Si sente lontano il canto di una negra « Way down upon the Swenee ribber ». Dopo un istante Jimmy sal­ta giù dal divano e avanza alle colonne del portico e fa segno a qualcuno. Passa qualche secondo, poi il te­nente Wiczewski entra dalla porta di fondo).

Ian                                 - Che vuoi Jimmy?

Jimmy                           - Ho fatto una sciocchezza. Poco fa, ho det­to a Sam dì lustrare la sella del mio cavallo. Lui mi ha risposto che aveva altro da fare. Allora l'ho preso a schiaffi, con tutte le mie forze. Per poco non è ca­duto a terra.

Ian                                 - Bene. E poi?

Jimmy                           - Approvate?

Ian                                 - Non ho opinioni da esprimere sull'argomento. Perché me ne parli?

Jimmy                           - Perché , sfortunatamente, il signor White ha visto la scena dalla finestra della sua camera ed ora vuole che io dica tutto a papà, che accusi me stes­so, insomma.

Ian                                 - E allora?

Jimmy                           - Una vostra parola a papà, potrebbe acco-niodare tutto.

Ian                                 - Non voglio entrarci in questa storia... Senti, Jimmy. Ti hanno mai parlato di me, qui?

Jimmy                           - Di voi? Non so. Papà vi vuole molto bene.

Ian                                 - Sì, e gli altri?

Jimmy                           - Gli altri?

Ian                                 - Sì. Tua cugina Regina, per esempio.

Jimmy                           - Regina non parla mai con me ed io non parlo mai con lei.

Ian                                 - Perché ?

Jimmy                           - Perché è del Nord.

Ian                                 - Mi piacerebbe sapere quello che pensa di me. Voglio che stasera tu glielo domandi, ma non dovrà sospettare...

Jimmy                           - Mi rifiuto di parlare con Regina...

Ian                                 - In questo caso... (In questo istante appare Edoardo Broderick. Entra da sinistra con gli occhi bassi, avanza verso il centro della scena e guarda il punto dove si era seduto lo zio John).

Jimmy                           - (dopo un attimo di silenzio) Che hai papà?

Broderick                      - Niente. Pensavo proprio a voi due. Jim­my, mi hai chiesto il permesso di uscire con il tenente Wiczewski. (al tenente Wiczewski) Tenente, vi sarei grato se accettaste la compagnia di mio figlio. (Wi­czewski s'inchina)

Jimmy                           - Grazie papà.

Broderick                      - Tenente, sono contento che siate qui. Ho qualcosa da dirvi che mia sorella è meglio non senta.

Jimmy                           - (vivacemente) Vuoi che me ne vada papà?

Broderick                      - No, no. Puoi restare. È bene che senta. (al tenente Wiczewski) Proprio ora ho accompagnato il vecchio zio John fino al granaio. Era venuto a tro­varmi per parlarmi di non so quali sue visioni, presen­timenti. Ritornando, ho incontrato un cavaliere che aveva un plico per voi. Gli ho detto di consegnarme­lo, ed è quello che ha fatto quando ha saputo che ero il padrone della piantagione. Eccolo, (tira fuori dalla tasca un plico e lo tende a Wiczewski) Temo che il vo­stro permesso non sia abbreviato; sarebbe il segno che si preparano grandi eventi.

Ian                                 - (dopo aver dato uno sguardo al plico) Il mio permesso è abbreviato, infatti. Devo lasciare Bona­ventura domani mattina, ma non c'è niente di straor­dinario in questo. Bisogna aggiungere che il mio per­messo era un po'... irregolare. Il nostro comandante chiudeva un occhio su queste cose, ma Washington ha mandato un generale in giro d'ispezione, uno di quei generali che consumano gli speroni sul pavimen­to degli uffici.

Broderick                      - Allora partirete?

Ian                                 - Un ordine è un ordine, per un soldato.

Broderick                      - Ho bisogno di ricordarvi la situazio­ne eccezionale nella quale ci troviamo? Qui siamo a 37 miglia da Charleston. Proprio di fronte al porto della città, c'è un'isola e un forte. Il forte Sumter, che do­mina la città di Charleston è occupato attualmente da truppe degli Stati Uniti che Washington ha deciso di vettovagliare, invece di ritirarle come era stato ri­chiesto dal generale Beauregard. Noi siamo tutti un po' parenti qui nel Sud, ed io conosco il generale Beau­regard. È una testa calda come ce ne sono tante da noi. S'egli vede un sfida nell'atteggiamento di Washington, non esiterà a lungo prima di sparare sulle truppe de­gli Stati Uniti.

Ian                                 - E se non vede una sfida?

Broderick                      - Allora, le discussioni col Presidente Lincoln seguiranno il loro corso, e ci sarà ancora una speranza di pace.

Ian                                 - Aspetteremo.

Broderick                      - Tenente, temo che non vi sarà più consentito di aspettare.. Capitemi 'bene. Se qualcosa deve accadere, accadrà domani, stanotte. Può darsi che fra qualche ora il rombo del cannone rompa que­sto silenzio. In quel momento, voi sarete in un cam­po o nell'altro, (con sforzo) Vi chiedo di restare con noi.

Ian                                 - La mia decisione è presa. (Regina entra da destra e resta immobile. Edoardo Broderick non la ve­de, ma Wiczewski le pianta gli occhi addosso).

Broderick                      - Ebbene?

Ian                                 - Ve la farò conoscere in tempo.

Broderick                      - (vedendo Regina) Cosa vuoi, Regina?

Regina                           - Zia Evelina si è ritirata nella sua camera e vorrebbe parlarvi.

Broderick                      - (a Regina) Vengo subito, (a Wiczew­ski) Ho fiducia. Siete per me come un figlio, come mio figlio. Mio iftglio non si sbaglierebbe, (il signor White entra da sinistra e va verso Edoardo Broderick).

Sic White                      - Signor Broderick, vi ha parlato vostro figlio?

Broderick                      - Mio figlio? Non capisco, signor White.

Sig. White                     - Vedo che non vi ha detto niente.

Broderick                      - Se è per lamentarvi di lui. Signor White, preferirei rimettere la cosa a più tardi. Ho già troppi pensieri.

Sig. Whitet                    - Chiedo scusa, signore, ma si tratta di una colpa grave ed è urgente che voi ne siate in­formato.

Broderick                      - Cos'hai da dire Jimmy?

Jimmy                           - Rifiuto di parlare.

Sig. White                     - Allora parlerò io.

Jimmy                           - Vorrei che lo dicesse il tenente Wiczewski al quale ho raccontato tutto.

Ian                                 - Jimmy ha schiaffeggiato un negro che gli aveva disobbedito.

Broderick                      - Tu hai alzato la mano su un negro?

Jimmy                           - Sì. Gli avevo detto di lustrare la sella del mio cavallo. Non ha voluto farlo.

Sig. White                     - Disse che l'avrebbe fatto più tardi.

Broderick                      - Non sapevi che avevo proibito che si toccasse un negro, che nemmeno lo si rimproverasse, senza il mio permesso? (con ira improvvisa) Siamo sull'orlo di una guerra della quale i nostri schiavi so­ no il pretesto, e tu scegli proprio questo momento per picchiarne uno! Se dessi retta a me stesso, ti batterei, io, fino a farti uscire il sangue. È l'orgoglio, è l'orgo­ glio di tua madre che parla in te, ma lo spezzerò, ti farò chiedere perdono, (al tenente) Tenente Wiczew­ ski, conducetelo con voi dietro il granaio e punitelo co­ me si merita. . . ... -

Ian                                 - Non spetta a me punirlo. C'è il suo precet­tore.

Sig. White                     - Non ho mai alzato la mano su que­sto ragazzo. E non comincerò oggi.

Broderick                      - (fuori di sé) Nessuno ha mai alzato la mano su di lui. È questo che gli manea. I vecchi sistemi funzionavano meglio. Per la seconda volta, tenente Wiczewski vi domando di portarlo via e di punirlo in modo che lo possano sentire fin nelle ca­panne dei negri. Voglio ch'essi sappiano...

Regina                           - - Zip... , ...

Broderick                      - Lasciami. (Wiczewski conduce via Jim­my dalla destra; il Sig. White esce dalla sinistra):

Regina                           - Zio, ascoltatemi. (Broderick si getta sul divano).

 Broderick                     - Non voglio ascoltare nessuno. Soffro. Nessuno sa quanto soffro.

Regina                           - (grida di colpo) Il tenente Wiczewski non deve toccare vostro figlio!

Broderick                      - (si alza) Regina tu non sai quello che diei.

Regina                           - Se sapeste chi è quell'uomo, lo caccereste da Bonaventura. (Broderick esce da destra. Regina si getta in ginocchio davanti al divano e si nasconde la testa tra le mani. Dopo qualche secondo Angelina en-tra da sinistra e corre verso Regina).

Angelina                       - Regina! Che succede? Ho sentito papà alzare la voce; e anche tu.

Regina                           - (alzandosi bruscamente) Che succede? In questo momento il tenente straniero che tuo padre ha la debolezza di accogliere nella sua casa sta battendo Jimmy, suo figlio, come un piantatore batte uno schia­vo           -

Angelina                       - E tu che hai?

Regina                           - Jimmy ha commesso uno sbaglio, e tuo padre ne commette un altro. Fa frustare un ragazzo da quel bruto che voi tutti adorate, (la prende per il polso) Inginocchiati, Angelina! Chiedi a Dio che vi ri­sparmi………..

Angelina                       - Tu sei pazza, Regina!

Regina                           - Voi non sapete quello che fate. Quell'uo­mo è un mostro e voi siete tutti ciechi, ciechi!

Angelina                       - Ma che dici, Regina! Un momento fa mi parlavi in modo tanto ragionevole e ora deliri co­sì? Ridurti in questo stato per qualche cólpo di scu­discio somministrato ad un monello disobbediente...

Regina                           - Ti supplico di correre al granaio e d'im­pedire che tocchi tuo fratello.

Angelina                       - Perché non ci vai tu?

Regina                           - Non mi darebbe retta. Ti ho già detto che mi detesta, (battendo il piede) Obbedisci dunque, te­starda! Ti ordino di andare lì.

Angelina                       - Non ci andrò, certamente. Sei ridicola, Regina.

Regina                           - Angelina tu non mi conosci. Ci sono cose che non ti posso dire, (sì getta sul divano) Mi sembra che sia la mia carne a ricevere i colpi che danno a Jimmy. La brutalità di quell'uomo è orribile! (grida) Non vedi che è un carnefice? (Angelina indietreggia di un passo).

Angelina                       - Regina, mi spaventi. Corro al granaio...

Regina                           - (si rialza e prende Angelina per mano) Senti, Angelina: io amo il tenente Wiczewski, dispera­tamente. È per questo che volevo fuggire da Bonaven­tura. Amo quell'uomo e nello stesso tempo qualcosa dentro di me lo respinge. Mi ha tolto la pace, la gioia di vivere. Lui aspetta che dalla mia bqcca esca la con­fessione che farebbe di me una schiava... Ma non par­lerò, andrò via dalla piantagione... Egli non ha per me che disprezzo. Basterebbe lui solo a farmi odiare tut­to il Sud...

Angelina                       - Ma non è del Sud.

Regina                           - Ne ha tutta l'arroganza. Ho tentato di te­nergli testa, gli ho detto che era di laggiù, dell'Euro­pa, ma di che cosa è composto il Sud se non di aristo­cratici in esilio? Questo orgoglio che sarà la vostra rovina, lo sento in ogni minimo gesto di quell'uomo che io adoro perché sono abbietta. (Angelina indietreg­gia davanti a Regina) Mi capisci ora?

Angelina                       - Non parlare così! (un rumore di passi viene da sinistra) Viene qualcuno, corriamo via... (escono da una delle due porte di sinistra. Dopo un istante appare sulla soglia, a sinistra, un giovane ve­ stito di nero. Resta immobile. Quasi nello stesso istan­ te il tenente Wiczewski entra da destra e si ferma di colpo vedendo lo sconosciuto. I due uomini si guarda­ no. Nessuno dei due fa un movimento. Il giorno de­ clina).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

La. stessa scena del primo atto. Tra il primo e il secondo atto non c'è interruzione nel tempo. Il giovane in nero si toglie il cappello e fa un passo avanti. Wiczewski non si muove e pare colpito dallo stupore.

Giovane in nero            - Permettete che mi presenti: Erik Mac Clure.

Ian                                 - (avanza e tende la mano a Mac Clure) Scu­satemi, non mi aspettavo... Tenente Ian Wiczewski.

Mac Clure                     - Il signor Broderick mi ha parlato di voi, tenente Wiczewski. Forse vi sembrerà strano che io non sia entrato dalla porta della veranda, ma a dire il vero, credevo che mi venisse incontro un do­mestico iper annunciarmi al signor Broderick. (pausa) Posso chiedervi perché mi guardate così?

Ian                                 - (rimettendosi dallo stupore) Eravate solo quando siete entrato?

iMac Clure                    - Ma... sì. Ho lasciato il cavallo nel via­le e non vedendo nessuno mi sono diretto verso la ca­sa. Perché one lo domandate?

Ian                                 - Mi è sembrato di vedere qualcuno dietro di voi.

Mac Clure                     - No. Nessuno mi accompagnava. Senza dubbio non mi aspettavano così presto.

Ian                                 - Infatti.

Mac Clure                     - Posso chiedervi un favore? Vorrei parlare al signor Broderick in privato, se permettete.

Ian                                 - Certamente, (va verso destra e tira il cordo­ne d'un campanello) Scusatemi, mi sembra di avervi visto l'anno scorso al ballo dato dal 50° Artiglieria leggera a Beaufort. Erano invitati anche dei civili.

Mac Clure                     - Dovete confondermi con qualcun al­tro. Non sono mai andato ad un ballo finora. Io non ballo.

Ian                                 - La rassomiglianza è straordinaria.

Mac Clure                     - (freddamente ) Per conto mio, sono sicuro di non avervi mai visto, (un domestico appare sulla porta di destra).

Ian                                 - (senza mai distogliere gli occhi da Mac Clure) Dì al signor Broderick che il signor Erik Mac Giu­re lo attende nel salone per parlargli, (il domestico esce) Ho l'impressione di conoscervi un po' nonostan­te tutto. Mi hanno spesso parlato di voi, qui a Bona­ventura, e nel modo più lusinghiero. (Mac Clure s'in­china leggermente senza rispondere) Proprio poco fa la signora Strong, la sorella del signor Broderick...

Mac Clure                     - Abbiamo scambiato poche parole, la signora Strong ed io. Ha parlato quasi sempre con mio padre quando venimmo qui.

Ian                                 - Se ho ben capito passerete due giorni alla piantagione.

Mac Clure                     - Sì, il signor Broderick mi ha invitato per due giorni ma...

Ian                                 - Purtroppo io debbo lasciare Bonaventura al­l'alba.

Mac Clure                     - Anch'io non potrei restare qui più di qualche ora, al più tardi fino a domattina. (Brode­rick entra da destra).

Broderik                        - Signore, siate il benvenuto a Bonaven­tura.

Mac Clure                     - Grazie. Vi sarei grato se poteste con­cedermi un colloquio di qualche minuto; (guarda ver­so Wiczewski) solo con voi.

Broderick                      - Solo? È proprio necessario che il te­nente Wiczewski...

Mac Clure                     - È il più grande favore che vorrei chie­dergli in questo momento, (s'inchina. Il tenente Wi­czewski s'inchina a sua volta ed esce dalla destra) Scu­satemi di essere stato così esplicito. Il tenente Wiczew­ski è di origine polacca, mi hanno detto.

Broderick                      - Sì.

iMac Clure                    - Si rende conto del significato che prende la sua uniforme in un momento come questo?

Broderick                      - (gli fa cenno di sedersi) Guardiamoci dal trarre conclusioni dal colore di un'uniforme pri­ma che la guerra sia scoppiata... se è detto che deve scoppiare.

Mac Clure                     - Non traggo nessuna conclusione. Il tenente Wiczewski è libero d'agire come meglio gli pare. Quanto alla guerra che ci minaccia, non è certo che ci sarà. Il Nord non ha alcuna voglia di battersi.

Broderick                      - A dir la verità, non è il Nord che io temo, ma il Sud, e particolarmente il generale Beau-regard.

Mac Clure                     - Avete torto. Il generale Beauregard vede giusto. Sparerà il primo colpo soltanto se l'ono­re del Sud sarà offeso, non prima. Vi ricordate di ciò che dice Shakespeare: « Esser grande, non è muover­si senza una forte ragione... ».

Broderick                      - ... « Ma trovare gran ragione di di­sputa in un filo di paglia quando l'onore è in gioco ». Il filo di paglia, in questo caso può essere quel male­detto forte Sumter. Perché Dio- ha messo quella pic­cola isola là dove si trova?

Mac Clure                     - Non è Dio che ha costruito il forte. Tuttavia, non accadrà nulla senza il suo permesso.

Broderick                      - (alzandosi) Ma è il suo permesso che io trovo spaventoso! Ci manda il suo Vangelo sopra un fiume di sangue. (Mac Clure fa un gesto) Ma la­sciamo stare, ve ne prego. Le mie idee su questo argo­mento non potrebbero che scandalizzarvi. Avevate qualcosa da dirmi?

Mac Clure                     - Sì.

Broderick                      - Anche io avrò un favore da chieder­vi fra un momento, (si risiede).

Mac Clure                     - (dolcemente) Non sono venuto qui per chiedervi un favore.

Broderick                      - Scusatemi. Da qualche giorno sono mol­to nervoso. Ho parlato troppo presto. Pensavo vole­ste parlarmi della vostra piantagione.

Mac Clure                     - Infatti di questo volevo parlarvi. Ab­biamo venduto la nostra piantagione la scorsa setti­mana. È impossibile tenere una piantagione senza schiavi, e Dio non voleva che ne avessimo.

Broderick                      - E voi? Che progetti avete?

Mac Clure                     - Mi proponevo di parlarvene alla fi­ne della serata, se mi permettete di aspettare fino ad allora, (la luce ora è divenuta cosi debole che si dir stingue appena la sagoma dei due uomini).

Broderick                      - Credo di indovinare ciò che mi direte. Ma lungi da me il desiderio di farvi ora delle doman­de, (pausa) Giacché siamo soli vorrei parlarvi del te­nente Wiczewski. L'avete visto poco fa. Che impres­sione vi ha fatto?

Mac Clure                     - (dopo un attimo di esitazione) Mi è difficile rispondervi. Non l'ho visto che pochi minuti. In genere, sono ben disposto verso tutti gli esseri umani.

Broderick                      - C'è in voi qualche riserva nei riguardi di quel giovane?

Mac Clure                     - Qualche riserva? No, si è mostrato cortese... anche troppo, mi è sembrato. Nello stesso tempo, mi è parso turbato, Senza dubbio è più sensi-bile di me a tutte queste voci di guerra che da quin­dici giorni ci frastornano.

Broderick                      - È tutto?

Mac Clure                     - Ma sì. Sono pronto a credere tutto il bene che mi si dirà di lui.

Broderick                      - Davvero? (pausa) Se vi parlo del te­nente Wiczewski che voi appena conoscete, è perché una ragione importante mi spinge a farlo. A dire la verità, d'un tratto, come per un'ispirazione, mi è ve­nuta l'idea che voi potevate aiutarmi.

Mac Clure                     - Di che si tratta?

Broderick                      - Per dirla in una parola, sono persuaso che il tenente Wiczewski è per il Sud, ma un ultimo scrupolo di lealtà verso il Governo Federale gli fa con­servare quell'uniforme. Domani mattina, dovrà rag­giungere il suo posto al forte Sumter.

Mac Clure                     - Mi ha detto, infatti, che partirà al­l'alba.

Broderick                      - Ma se parte, e la guerra scoppia, non ritornerà più. Allora io vorrei... (si alza e si allontana un po' da Mac Clure).

Mac Clure                     - Che vorreste?: Broderick - Vorrei che voi gli impediste di partire.

Mac Clure                     - (si alza a sua volta) Volete conoscere la mia opinione?

Broderick                      - Vi sarò grato se me la direte schietta­mente.

Mac Clure                     - Quell'uomo è un disertore.

Broderick                      - Chi vi permette?... Non capisco.

Mac Clure                     - Esaminate la questione con calma. Il comandante Anderson è chiuso con le sue truppe nel forte Sumter. Ha ricevuto, tre giorni fa, un ulti­matum del generale Beauregard che minaccia di bom­bardarlo se non evacua il forte. In queste circostanze, vi sembra normale ch'egli abbia concesso un permesso al tenente Wiczewski?

Broderick                      - C'è molto lasciar correre da una par­te e dall'altra. Non siamo ancora in guerra, dopotutto. E poi perché il tenente Wiczewski avrebbe dovuto na­scondermi la verità? Del resto egli deve ritornare al suo posto domani mattina.

Mac Clure                     - Non ci ritornerà.

Broderick                      - Ma che ne sapete? E da dove vi viene questa sicurezza?

Mac Clure                     - Sono pronto a farvi delle scuse se il tenente Wiczewski domattina ritornerà al forte Sum­ter. Da quanto tempo è qui?

Broderick                      - Dalla sera dell'ultimatum.

Mac Clure                     - Ha mai lasciato la piantagione da quando è arrivato?

Broderick                      - No. È andato or ora al granaio con mio figlio, ma ch'io sappia, non ha lasciato mai Bona­ventura. Comincio a chiedermi...

Mac Clure                     - Non abbiate alcun timore. Il tenente Wiczewski non si batterà per il Nord.

Broderick                      - Allora, cosa fa qui, con quell'uni­forme?

Mac Clure                     - (ridendo) Fa quello che fanno in que­sto momento molti giovani Americani: s'interroga. Ab­bandonare il proprio reggimento non è così semplice. E poi occorre un abito borghese. Chiederlo non è pia­cevole...

Broderick                      - Ditemi: pensate che si arruolerà nelle truppe del Sud?

Mac Clure                     - Non ipenso niente, (un domestico en­tra e poggia sul tavolo una lampada accesa. Edoardo Broderick si lascia cadere in una poltrona. Mac Clure resta in piedi. Il domestico esce).

Broderick                      - (a mezza voce) In fondo, non vedo perché dovrebbe sentirsi obbligato a battersi per il Sud. Le nostre questioni gli sono estranee. Comprendo la sua incertezza, la sua indecisione...

Mac Clure                     - Se la guerra scoppia domani, il te­nente Wiczewski può benissimo indossare un abito borghese e restare tranquillamente a Bonaventura o altrove.

Broderick                      - Non vi nascondo che il tono delle vo­stre parole mi dispiace.

Mac Clure                     - Desiderate che me ne vada?

Broderick                      - No. Restate, vi prego. Ho avuto torto a farvi tante domande, ma c'è un dubbio nel mio animo e ne soffro. Sono preoccupato da tutto quello che sento, da tutto quello che vedo. Ciò che si prepara è spaven­toso, ne sono certo. Quanto al tenente Wiczewski... Ma no, non posso parlare di lui... io... (una pausa) Non giudicatelo.

Mac Clure                     - Io non lo giudico. Ho pietà per lui. (va a guardare alla finestra e rimane immobile. Si sente un rumore di ruote davanti la casa, poi delle voci. Quasi subito un domestico entra, s'inchina da­vanti ad Edoardo Broderick e poi esce).

Broderick                      - (sembra sul punto di dire qualche cosa ma si trattiene). Andiamo sulla veranda. I nostri invitati stanno arrivando, (escono).

                                      - (Regina entra da sinistra e si lascia cadere in una poltrona. Per un momento, resta come inebetita, asso­lutamente immobile. Si sente rumore di risa e di pa­role provenienti da destra. Angelina entra correndo da destra).

Angelina                       - Che fai qui, Regina? Hai appena il tempo di vestirti per il pranzo. Zia Evelina vuol sa­pere dove sei. Hai visto il giovane Mac Clure? È an­cora meglio di come me lo figuravo, ma perché si ve­ste sempre di nero, quando il tempo è così bello? Sbri­gati, su. Ma che cos'hai?

Regina                           - Dopo quanto ti ho detto, devi capire... Lasciami sola.

Angelina                       - Devi fare uno sforzo, Regina. Vuoi che ti aiuti?

Regina                           - Nò. Lasciami. Andrò a vestirmi fra un momento. (Angelina esce. Regina resta immobile. Dietro di lei, da sinistra, entra Wiczewski).

Ian                                 - (rapidamente) Signorina, sapete dov'è Ange­lina? Vorrei parlarle.

Regina                           - Andrò a cercarla se mi ascoltate un istante.

Ian                                 - (con gli occhi volti a destra) Che avete da dirmi?

Regina                           - Poco fa, quando eravamo soli in questa stanza, mi avete chiesto di parlarvi.

Ian                                 - Poco fa non è adesso.

Regina                           - Avevate capito che avevo qualcosa da dirvi. Sapevate di che si trattava?

Ian                                 - Naturalmente.

Regina                           - Perché naturalmente?

Ian                                 - Bastava guardarvi. Anche adesso, del resto.

Regina                           - (si nasconde il viso fra le mani) Vergo­gna! Vergogna! Muoio di vergogna davanti a voi.

Ian                                 - Andate a cercarmi Angelina.

Regina                           - Con che diritto mi date un ordine?

Ian                                 - (alzando le spalle) Non fate la commedia. So come regolarmi con voi. Voi tremate, Regina. Ho tutti i diritti. Non ho più bisogno di ascoltare quello che volete dirmi.

Regina                           - Poco fa ci tenevate molto.

Ian                                 - Non sono più lo stesso di poco fa. È accaduto qualcosa, (prendendola bruscamente per il polso) Eb­bene, dillo, quello che hai ha dirmi. Umiliati, piccola orgogliosa! Perché è questo che vuoi...

Regina                           - (liberandosi) Lasciatemi! Vi odio!

Ian                                 - Credete che non sappia anche questo? An­date a cercarmi Angelina.

Regina                           - No. (Ian esce da sinistra. Regina fa per seguirlo e si ferma d'improvviso in mezzo alla stanza). Ian! (quasi nello stesso momento entra Edoardo Bro­derick).

Broderick                      - Regina! Mi domandavo dov'eri. Vieni. Il pranzo sarà pronto tra qualche minuto.

Regina                           - Scusatemi, zio, non verrò. Non mi sento bene.

Broderick                      - Che hai, bambina? Stai male?

Regina                           - Non lo so. Ho bisogno di stendermi sul letto, (bruscamente) Zio, vorrei morire!

Broderick                      - (le prende le mani) Che dici? Non devi parlare così Regina. È per la guerra? Ma la guerra non ci sarà, forse...

Regina                           - No, no! Non è per la guerra.

Broderick                      - ...Perché lasci Bonaventura, allora? Puoi restare, se vuoi. Te l'ho detto.

Regina                           - Posso restare...

Broderick                      - Deciderai tu stessa. Se è questo che ti preoccupa, potremo riparlarne domattina. Sei sicura che non si tratti d'altro?

Regina                           - Apprezzo la vostra bontà, zio, ma voi non potete fare niente per me.

Broderick                      - (lasciandole le mani) Regina, non desi­dero interrogarti, ma mi addolora vederti così. Ti cre­devo, e ti credo ancora così forte.

Regina                           - Sarò forte quando sarà necessario. Mi permettete di stendermi su questo divano? (indica un grande divano a sinistra) Vi raggiungerò tra un mo­mento.

Broderick                      - D'accordo, cara. È il divano sul quale mia madre qualche volta si rannicchiava per dormire. Le mettevo uno scialle sui piedi, (stringe la mano di Regina ed esce da destra. Regina si rannicchia nel di­vano. Angelina, ves tita di bianco, entra da sinistra. Va a guardarsi in un grande specchio e vede Regina).

Angelina                       -        - (scuotendola) Non sei ancora vestita! che fai! Annunceranno il pranzo fra un quarto d'ora.

Regina                           - Non posso andare così.

Angelina                       - Oh, non importa. La figlia della si­gnora Riolleau è in abito da viaggio. L'ho vista dalla finestra della mia camera. Non è un pranzo importante.

Regina                           - Non voglio vedere il tenente Wiczewski.

Angelina                       - Non sarai certamente seduta accanto a lui. Al tuo posto non gli rivolgerei nemmeno la pa­rola. Avrei per lui il disprezzo sovrano che una donna deve avere per qualsiasi uomo. Allora vedresti!... Il tuo piccolo tenente polacco verrebbe come un cane...

Regina                           - Stai zitta, Angelina. Non sai quello che dici.

Angelina                       - Io non voglio restare neanche un mi­nuto sola, con Erik Mac Clure. Sarebbe capacissimo di farmi un'altra dichiarazione. Se vedi che si dirige ver­so di me, vieni in mio aiuto. Capito? Oh, questo pranzo mi diverte! Peccato che zia E velina non mi permetta di pettinarmi come voglio!

Regina                           - (si alza di colpo e va verso destra) An­diamo, vieni, bambina.

Angelina                       - Non voglio che mi chiami bambina! (escono da destra).

                                      - (Dalla sinistra entra Elisa, la cameriera della Si­gnora Strong. È una donna che ha oltrepassato la trentina: alta, magra, più gialla che caffellatte, con capelli crespi. Indossa un grembiule di mussolina bianca e una cuffia di merletti con lunghi nastri. Per un lungo momento rimane ferma davanti allo specchio e si rimira in silenzio, poi dice: )

Elisa                              - Elisa Fermor, sei una .bella donna, (si guar­da di faccia, poi in tré quarti) Pallida, pallida, ma bel­la, (stende una mano) Come è bianca... È straordina­rio! Datemi la mano, Elisa e aridiamo tutti e due in barca... sullo stagno, al chiaro di luna, (si gira un po' in un senso e nell'altro e monologando a mezza voce:) La barca avanza fra gli alberi, fra i grandi cipressi che si allungano nell'acqua nera. Ah! mi sento roman­tica! (si pizzica violentemente le orecchie poi agita le mani all'altezza del viso). Le orecchie rosse, e le mani bianchissime... come una dama di qualità... (dalla si­nistra entra Jeremy, un negro un po' brizzolato, in li­vrea blu con grandi bottoni di cuoio).

Jeremy                           - Che fate lì, signorina Lisa? Se la pa­drona vi vede, vi tira i capelli.

Elisa                              - Sappiate, negro, che nessuno mi ha mai tirato i capelli. E se la padrona mi vede qui, le dirò la verità, cioè che metto ordine nel salone, (sbatte un cuscino) Visto che stasera si ricevono ospiti di qualità.

Jeremy                           - La signora Riolleau e sua figlia, questa è di qualità. Anche il colonnello Chatard, e il giovane signore Mac Clure. Tutto questo è di qualità. Ma il tenente straniero proprio non so.

Elisa                              - Anche il tenete straniero. D'altronde, non sarebbe stato invitato se non fosse come gli altri. Qui, non riceviamo che gente di qualità. Voi non capite niente.

Jeremy                           - Forse il tenente sarà di qualità straniera.

Elisa                              - Non c'è qualità straniera. C'è la qualità pura e semplice. Mettete a posto quella sedia a don­dolo, negro.

Jeremy                           - Sì, signorina Lisa, (obbedisce) Nei campi di cotone si dice che ci sarà la guerra.

Elisa                              - La padrona è sicura di no. Immagino che ella sia meglio informata di voi.

Jeremy                           - Lo zio John dice che il Signore vuol da­re un esempio. Cos'è un esempio? Forse è un mira­colo per i negri?

Elisa                              - Zio John è un vecchio rimbambito. Non ci sarà la guerra. Tutto resterà come è. Capito?

Jeremy                           - Sì, signorina Lisa, ma ho paura. Da tre giorni non chiudo occhio. Ci sono troppi negri che parlano di scappare. Il padrone non lo sa. Hanno pau­ra, anche loro, sono come montoni prima della tem­pesta. Io credo che se sentissi un colpo di cannone, cadrei morto.

Elisa                              - Voi volete scappare?

Jeremy                           - No. Non ho detto questo. E poi è troppo diffìcile; sono vecchio, ma non potrei vivere nella pau­ra. Io non sono coraggioso.

Elisa                              - Cominciavo a dubitarne. Ma che temete, negro? Se ci sarà una guerra non sarete voi a bat­tervi.

Jeremy                           - Sì, ma alla fine, sono sempre i negri che pagano.

Elisa                              - Storie. Ritornate al vostro lavoro, Jeremy. (Elisa va verso di lui; Jeremy scappa verso una porta di destra).

Jeremy                           - (prima di uscire) Potete parlare quanto volete come i bianchi, signorina Lisa, ma siete della nostra razza. Quando morirete, vi seppelliranno con noi.

Elisa                              - Vuoi andartene?! (Jeremy scompare. Elisa ritorna versò lo specchio e si carezza i capelli) Seppellirmi con i negri io che ho un'ondulazione che ap­pena appena si vede. Quel vecchio pazzo di Jeremy... (Angelina entra bruscamente da destra).

Angelina                       - Vattene, Elisa. Voglio restare sola.

Elisa                              - Sì, signorina. (Elisa esce da sinistra, Wic-zewski entra da destra).

Ian                                 - Angelina! Che c'è?

Angelina                       - Niente, assolutamente niente.

Ian                                 - Perché ve ne siete andata via così?

Angelina                       - Non voglio più sentire quello che di­cono tutti qui.

Ian                                 - Avete paura?

Angelina                       - Non siate ridicolo. Non ho paura di niente io. Soltanto mi annoio con loro, ecco.

Ian                                 - La signora Riolleau esagera molto. Si direbbe che ci provi gusto ad esagerare le brutte notizie, per rendere inquieti...

Angelina                       - M'importa assai della signora Riolleau. E poi sono certa che non accadrà niente. Da quando ero bambina sento sempre parlare di catastrofi immi­nenti. Oggi è la guerra. Ieri era la ribellione dei ne­gri che ci minacciano già da mezzo secolo. Tutto ciò mi opprime. E non succede mai niente, avete notato? Da quando sono su questa terra, non succede niente. Potete soltanto immaginare che accada qualcosa qui? Noi viviamo in capo al mondo.

Ian                                 - Non è una ragione.

Angelina                       - ; Per me è una ragione. C'è un'ora di calesse per arrivare alla città più vicina. Mi piace che ci sia questa distanza...

Ian                                 - Vi credete minacciata?

Angelina                       - Si è sempre minacciati da qualche co­sa. Oh! Non penso alla guerra né a quelle voci as­surde sulla rivolta degli schiavi. Basta che una casa sia bella e che non siamo... quello che siamo perché nasca qualcosa che voglia distruggerci. La nostra stes­sa esistenza è una sfida, qui nel Sud. Voi non potete capire. Voi venite da altri luoghi.

Ian                                 - Io vengo da un paese che la storia ha sop­presso perché la sua esistenza era forsa una sfida. .

Angelina                       - Oh, voi non conoscete il Sud. Non si potrebbe sopprimere il Sud. Se ci fosse una guerra e noi fossimo battuti, la vittoria del Nord sarebbe una specie di suicidio per tutta l'America, perché la parte migliore dell'America, siamo noi.

Ian                                 - Mi sembra strano che senza credere alla guerra, voi sentiate ugualmente il peso d'una mi­naccia.

Angelina                       - È forse la minaccia della morte.

Ian                                 - Alla vostra età... parlare di morte.

Angelina                       - Mi prendete per una bambina che la idea della morte nemmeno la sfiora.

Ian                                 - Allora ci pensate qualche volta, alla morte?

Angelina                       - Sì e no. Così. Ci sono dei giorni in cui mentre la negra mi pettina io mi dico: « Tu pettini una morta ». È un'idea pazza che mi attraversa la mente e non so perché . In fondo questo non mi tor­menta gran che. La morte è per gli altri. .

Ian                                 - Ma se ci fosse una catastrofe, una vera cata­strofe?

Angelina                       - Non so cosa sia.

Ian                                 - Possiate sempre ignorarlo! Vorrei chiedervi una cosa, Angelina. Poco fa, avete detto una frase che mi ha colpito, sulla sensazione di una minaccia.

Angelina                       - Oh, sapete, non l'ho sempre. General­mente, quando cade la notte.

Ian                                 - Così, per esempio, stasera...

Angelina                       - Ah! Lasciatemi, tenente Wiczewski. Fa­reste meglio a ritornare sulla veranda. Non mi piace questo genere di conversazione.

Ian                                 - Angelina, io non vi ho mai presa per una bambina. Se ho cercato di parlarvi da solo, è perché ho qualche cosa d'importante da dirvi.

Angelina                       - (lusingata) A me?

Ian                                 - Sì, certo, a voi. Ma prima, vorrei che mi per­metteste di farvi una domanda. È molto delicata, ed io esito.

Angelina                       - Mi domando di che cosa si può trattare.

Ian                                 - Bisognerà prima che vi confessi qualche cosa che, sicuramente, non vi farà piacere.

Angelina                       - Poiché sono già avvertita...

Ian                                 - Ho la promessa che mi scuserete?

Angelina                       - Sì.

Ian                                 - Sicuro?

Angelina                       - Tenente Wiczewski, siete insopporta­bile.

Ian                                 - Poco fa, mentre voi parlavate qui con la signorina

Regina                           - ve ne ricordate? io sono en­trato per dirvi che la signora Strong vi aspettava sul­la veranda.

Angelina                       - Sì. Ebbene?

Ian                                 - Mio malgrado, ho ascoltato una parte della vostra conversazione.

Angelina                       - Ne ero certa! Tenente Wiczewski, vi detesto.

Ian                                 - Mi avete promesso che m'avreste scusato.

Angelina                       - Vi scuso, ma vi detesto. È come se ascoltaste alle porte, come uno schiavo.

Jan                                 - Non ascoltavo. Ho sentito mio malgrado. Voi parlavate di Erik Mac Giure.

Angelina                       - Ciò non vi riguarda.

Ian                                 - Se vi parlo di lui, è perché ho afferrato una frase che avete detto a Regina, a proposito di una let­tera che Mac Clure vi avrebbe scritto.

Angelina                       - Ebbene, avendo sentito una frase che non vi riguarda avreste dovuto uscire immediata­mente dalla stanza o informarci subito della vostra presenza.

Ian                                 - E invece sono rimasto sino alla fine della con­versazione.

Angelina                       - È indegno.

Ian                                 - Sarebbe indegno se mi avesse trattenuto la semplice curiosità, ma avevo delle altre ragioni.

Angelina                       - Quali, per piacere?

Ian                                 - Una sola dovrà bastarvi. Non permetterò che quell'uomo vi scriva delle lettere d'amore, (improvvi­samente furioso) Avete capito?

Angelina                       - Ma siete pazzo? (si alza) Con che di­ritto mi parlate con questo tono?

Ian                                 - (si alza a sua volta) Perdonatemi, Angelina. Ho ceduto a un moto d'impazienza. È vero che Erik Mac Clure vi ha scritto una lettera d'amore? Non era forse uno di quei sogni che tutti noi facciamo, come la signorina Regina sembrava credere? Vedete, è dif­ficile immaginare un giovane così serio, così severo direi, che fa una dichiarazione a un giovanetta di di­ciassette anni.

Angelina                       - Non ho nessuna spiegazione da darvi. Vi trovo impertinente e ridicolo.

Ian                                 - Mi giudichereste meno duramente sapendo come soffro, (pausa) Angelina siete innamorata di E-rik Mac Clure?

Angelina                       - Se fosse vero, in che cosa potrebbe toc­carvi?

Ian                                 - Mi tocca in pieno il cuore... (egli si volta, fa qualche passo a sinistra e ritorna Verso Angelina. Dopo un attimo di esitazione)... perché io vi amo (Angelina indietreggia di un passo e lo guarda a lungo).

Angelina                       - Perché mentite tenente Wiczewski? Sa­ pete benissimo che non mi amate, (si dirige rapida­ mente verso destra ed esce. Wiczewski rimane immo­ bile. Dopo qualche secondo, Edoardo Broderick entra da destra). .

Broderick                      - Che c'è? Ho visto ora Angelina. Pa­reva turbata.

Ian                                 - Non so che cos'ha.

Broderick                      - (sedendosi) Forse l'ha turbata la no­stra conversazione sulla veranda, Ah, vorrei che que­sta notte finisse, l'incertezza nella quale ci troviamo ha qualcosa che non sopporto. Sarebbe quasi un sol­lievo sentire il cannone.

Ian                                 - Forse non lo sentiremo mai.

Broderick                      - Siete sempre stato più ottimista di me.

Ian                                 - Non sono ottimista. Temo al contrario che sopra di noi ci sia un'ombra.

Broderick                      - Ho questa sensazione da settimane.

Ian                                 - Io da un'ora. .

Broderick                      - Da un'ora? Avete saputo qualcosa di nuovo?

Ian                                 - No, niente. Si tratta di tutt'altro che la guer­ra. Non so come spiegare quello che voglio dire... Vorrei parlarne a qualcuno, cercare di liberarmi come ci si libera da un sogno, raccontandolo; ma non posso sperare d'esser compreso. Da un momento tutto è cam­biato in .me.

Broderick                      - Credete che non l'abbia capito? Sem­bravate così sconvolto poco fa.

Ian                                 - Poco fa?

Broderick                      - Sì. Quando il giovane Mae Clure è entrato qui.

Ian                                 - Può essere in parte per questo. Voglio dire che c'è stata, effettivamente, una specie di coincidenza fra il momento in cui egli è entrato qui e quello in cui ho avuto questa impressione improvvisa       - (pausa).

Broderick                      - Ebbene, Ian?

Ian                                 - Quando Mac Clure è apparso d'improvvisò su quella porta ho visto, alla sua sinistra, un po' die­tro di lui, qualcuno.

Broderick                      - Un domestico, probabilmente.

Ian                                 - No. Un uomo vestito come un soldato, ve­stito come me ma con il viso coperto da un panno nero o da qualcosa che somigliava ad un drappo che gli fosse stato gettato sulla testa.

Broderick                      - Quello che avete creduto di vedere nel­la luce del crepuscolo non mi stupisce affatto. A que­st'ora della sera, dalle nostre parti tali illusioni sono possibili.

Ian                                 - No, io ho sentito, con la parte più profonda di me stesso, che tutto questo era reale. L'uomo non si muoveva. Dopo qualche secondo, non era più, lì.

Broderick -                    - Non avevo ragione di dirvi che si trattava di un'illusione?

Ian                                 - (come se non avesse sentito) Scomparve sol­tanto dopo che ebbi il tempo di vederlo. Ha trasmesso il suo messaggio ed è andato via.

Broderick                      - Il suo messaggio? Ian, ciò che rac­contate non ha senso.

Ian                                 - Da noi, nella nostra patria, queste cose han­no un senso. L'uomo era della mia statura e vestito come me. (pausa).

Broderick                      - Voi siete rimasto, per un momento, solo con Mac Clure.

Ian                                 - Solo con Mac Clure...

Broderick                      - Insomma entrando vi ho trovati soli. Di che parlavate? (Ian lo guarda) Scusatemi. Certa­mente vi ha detto ciò che pensava degli avvenimenti, della sua posizione nei confronti del Nord e del Sud.

Ian                                 - A dire il vero, non so più di che cosa ab­biamo parlato. Non ha importanza.

Broderick                      - Avete un'espressione molto strana,

Ian                                 - È possibile. Vi ho detto il perché un mi­nuto fa. (pausa).

Broderick                      - Siete sempre deciso a partire domani all'alba?

Ian                                 - Ho ricevuto un ordine, signore.

Broderick                      - Siate certo, che stanotte molti ordini di questo genere saranno strappati e gettati al vento (pausa). Non sarebbe un disonore non obbedire, (pau­sa) Se avete qualche dubbio su questo punto, volete che domandi ad Erik Mac Clure il suo parere? Egli potrebbe discorrerne con voi...

Ian                                 - - No. Scusate la franchezza con la quale vi parlo, ma non voglio vedere quell'uomo.

Broderick                      - Amico mio, non vi capisco. Sarete co­stretto a vederlo in ogni modo tra un momento.

Ian                                 - Certamente mi sono espresso male. Volevo dire che non voglio vederlo da solo.

Broderick                      - Ma perché ? Sedetevi, Ian. Parlate. Che c'è dunque?

Ian                                 - No, permettete che taccia su sentimenti che riguardano soltanto me. Partirò domani, all'alba, co­me ho deciso. Voglia il cielo che il cammino di quel­l'uomo e il mio non s'incrocino più su questa terra.

Broderick                      - Non voglio farvi domande, Ian. Ma io ho il doppio della vostra età. Ho vissuto e ho sofferto. Non è proprio impossibile che io vi comprenda. (Ian si volta e fa qualche passo verso sinistra).

Ian                                 - Sapete perché non voglio più trovarmi di fronte a quell'uomo? Me lo avete chiesto e ve lo dico: egli ha preso il posto che io. volevo avere nel cuore di una persona che vive qui-

 Broderick                     - Erik Mac Clure? Ma è stato soltanto poche ore in questa casa.

Ian                                 - E credete che non basti?

Broderick                      - Mi è difficile capirvi. Regina non c'era quando egli venne qui, prima di Natale. E poi l'idea che possiate essere innamorato di Regina ha qualche cosa... .

Ian                                 - Non si tratta di Regina.

Broderick                      - Non posso supporre che si tratti...

Ian                                 - Sì.

Broderick                      - Mia figlia, Ian? Volete dire che Ange­lina è innamorata di Erik Mac Clure?

Ian                                 - Voglio dire che io sono innamorato di vostra figlia e che vi chiedo l'onore di accordarmi la sua mano.

Broderick                      - Ian... non è possibile...

Ian                                 - (dolcemente) Perché non è possibile? Mi ame­rebbe come l'amo io. (si volta in modo che Edoardo Broderick non possa guardarlo in faccia).

Broderick                      - Ian, se voi foste innamorato di An­gelina...

Ian                                 - (guardandolo in faccia) Sì...?

Broderick                      - ... io l'avrei indovinato, l'avrei senti­to. Se qualcuno avesse potuto sentirlo, questi ero io. Ian... perché dissimulare? Non di Regina, non di An­gelina voi siete innamorato e non è sposando mia fi­glia che vi salverete. Volete che vi dica di chi siete innamorato?

Ian                                 - No.

Broderick                      - Dopo tutto quello che avete detto, co­me potrei non aver intuito? È impossibile che non abbia indovinato. Non si sfugge al proprio destino Ian...

Ian                                 - Mi rifiutate la mano d'Angelina?

Broderick                      - Per la vostra felicità e per la sua...

Ian                                 - Non mi rivedrete più, Edoardo Broderick...

Broderick                      - Lo so. (dopo una pausa) Ve ne an­drete domani all'alba. Vi sentirò andar via ma non vi dirò addio, (sembra indeciso, poi esce da sinistra. Wic-zewski non lo guarda e rimane immobile. Dopo un momento Jimmy entra correndo da sinistra).

Jimmy                           - Tenente Wiczewski, non venite sulla ve­randa? Stanno dicendo cose molto interessanti sulla guerra.

Ian                                 - (senza guardarlo) Verrò tra un momento, Jimmy.

Jimmy                           - Va bene. Perché non mi guardate?

Ian                                 - Sei in collera con me?

Jimmy                           - Volete scherzare. Certo che no! Ma mi avete fatto male, sapete?

Ian                                 - Sei un bravo ragazzo. Non hai pianto. Nean­che io piangevo, alla tua età. Era per me un punto d'onore non gridare. Ho qualcosa da dirti. Vogliamo sederci qui?

Jimmy                           - Sedermi? Non ci penso neppure. Sedetevi voi se volete. Io non posso, (ridono).

Ian                                 - Va bene, restiamo in piedi, (rimangono silen­ziosi un momento).

Jimmy                           - Perché non dite niente, tenente Wic­zewski?

Ian                                 - Riflettevo. Jimmy, domani non usciremo in­sieme. Devo lasciare la piantagione di buon'ora.

Jimmy                           - Quando tornerete?

Ian                                 - Non lo so. Ascolta, Jimmy. È possibile che ci sia la guerra e non sappiamo cosa può capitarci. Io non temo per te, ma per me è differente: io sono un soldato. Diciamoci dunque arrivederci, qui, come due uomini; prima però devo domandarti qualcosa.

Jimmy                           - Qualcosa da domandarmi?

Ian                                 - Sì... voglio farti una domanda. Ascolta bene. Se qualcuno ti dicesse     - è una supposizione che fac­cio     - se qualcuno ti dicesse che sono innamorato di tua sorella, che cosa penseresti?

Jimmy                           - Voi innamorato di Angelina?

Ian                                 - Sì. Se ti dicessero questo...

Jimmy                           - Oh, lo troverei buffo! Sono così stupidi gli innamorati! E poi, non riesco ad immaginarvi in­namorato d'Angelina. Non so perché ...

Ian ;                               - Vuoi rifletterci un momento? Ti aiuterò io. È per Angelina forse? Non la trovi graziosa?

Jimmy                           - Oh, non è male.

 

Ian                                 - Allora è a causa mia che ti sembrerebbe ridicolo?

Jimmy                           - Non lo so. Non riesco a immaginarmi... Sapete, per me l'amore è una cosa idiota, (pausa. Jim­my fa un passo verso Wiczewski e gli prende una mano) Tenente Wiczewski, non ve ne andrete per sempre vero? (Wiczewski si libera bruscamente e in­dietreggia d'un passo).

Ian                                 - Tu non puoi ancora capire bene ed è perché non puoi capire che ti confiderò... un segreto. Il mio segreto. Mi prometti di custodirlo per tutta la vita?

Jimmy                           - Sì, Ve lo prometto.

Ian                                 - (dopo un momento di silenzio) Questa non è una notte come le altre. Forse non ho mai parlato a nessuno come parlo a te ora, e tu devi ricordare quello che ti dico... in certi momenti la libertà umana è un peso opprimente Jimmy, e non è possibile scegliere. Ci sono giorni in cui preferirei essere uno di quei ne­gri infelici che cantano così tristemente nei campi di cotone, o un garzone di fattoria in uno stato del Nord...

Jimmy                           - Siete indeciso fra il Nord ed il Sud?

Ian                                 - No, non si tratta di questo, Jimmy.

Jimmy                           - Zia Evelina ha detto che se ci sarà la guerra vi leverebbero l'uniforme che portate e ve ne darebbero un'altra, una delle nostre.

Ian                                 - No, non si tratta di questo. Sono innamorato, Jimmy, innamorato come mai essere umano lo è stato prima di me. Tutti dicono così, lo so, eppure tutti hanno ragione. Non posso più vivere.

Jimmy                           - Non potete più vivere! Ma perché ?

Ian                                 - Perché la persona che amo non può amarmi.

Jimmy                           - Come fate a saperlo?

Ian                                 - Come lo so? La tua è una domanda molto in­telligente. Lo so, perché lo so. Un solo sguardo mi è bastato per intravedere lunghi anni di sofferenza inutili.

Jimmy                           - Basterà non pensarci. Basterà non ve­derla, questa persona.

Ian                                 - Non è così semplice. Jimmy. Per lei e per me sarebbe meglio non esser mai nati. Io credo che non indietreggerei mai davanti al fuoco del nemico, se ci fosse la guerra, ma stanotte ho paura di indie­treggiare davanti alla sofferenza.

Jimmy                           - Che farete?

Ian                                 - La cosa più strana di tutta la mia vita... (s'al­lontana di qualche passo e va verso la vetrata. Si ha l'impressione che parli a se stesso)... mi getterò contro il mio destino come ci si getta contro un muro.

Jimmy                           - Che dite, tenente Wiczewski?

Ian                                 - Niente, pensavo ad alta voce. È meglio non sapere che cosa pensano gli uomini, Jimmy. È quasi sempre triste, o vergognoso. Io non ho vergogna, ma sono solo. Mi sento spaventosamente solo.

Jimmy                           - Ma ci sono io qui... Ne dite di cose stra­ne, stasera!

Ian                                 - È vero. Non avrei dovuto parlare. Non si dovrebbe mai parlare. Tutto ci respinge verso noi stessi quando apriamo bocca.

Jimmy                           - Allora, siete innamorato di Angelina? Perché non ve la sposate?

Ian                                 - (alzando le spalle) Prima di tutto, lei do­vrebbe essere innamorata di me...

Jimmy                           - Ah, è questo!...

Ian                                 - Insomma tutto quello che hai capito, tutto quello che ti è rimasto della nostra conversazione, è che io sono innamorato di Angelina?

Jimmy                           - Ma... sì. Non volevate dire questo? (si­lenzio).

Ian                                 - (in un sussurro) Angelina... chissà, era for­se la salvezza, (pausa).

Jimmy                           - Perché non parlate tenente Wiczewski? Non siete come il solito, (s'avvicina un po' a lui) Perché non mi raccontate una storia, una storia del vo­stro paese?

Ian                                 - Una storia del mio paese? Sì. Te ne raccon­terò una. Verso il 1720 viveva in Polonia un ragaz­zo chiamato Ian.

Jimmy                           - Come voi?

Ian                                 - Sì, come me. Era fratello del mio bisnonno.

Jimmy                           - Allora "è una storia vera?

Ian                                 - Certo. Quando ti avrò raccontato la mia sto­ria, tu andrai a dormire. Promesso?

Jimmy                           - Papà ha detto che potevo restare fino alla campana del pranzo.

Ian                                 - E salirai nella tua camera? Non ti nasconde­rai sulle scale come fai sempre quando c'è gente?

Jimmy                           - Ve lo prometto. Continuate la vostra storia.

Ian                                 - Dunque, Ian si vestiva come un giovane si­gnore, con berretto di pelliccia, un abito di velluto ricamato d'argento e stivali di cuoio rosso. Aveva un palazzo in città e un gran castello in campagna.

Jimmy                           - Mi piacerebbe avere gli stivali di cuoio rosso.

Ian                                 - Ian aveva anche un gran numero di servi, degli schiavi bianchi.

Jimmy                           - Degli schiavi bianchi? Mi farebbe un ef­fetto strano comandare a degli schiavi bianchi. Uno schiavo deve essere nero.

Ian                                 - Era giovane e aveva tutto quello che un uo­mo può desiderare al mondo, e tuttavia era come se non avesse niente perché gli mancava la felicità. Era come me. Era innamorato.

Jimmy                           - Andiamo bene! Qui sono tutti innamo­rati...

Ian                                 - Lui lo era al punto di perdere la ragione. Quando si accorse che la persona che amava non lo guardava neppure, si gettò su di lei e la uccise.

Jimmy                           - Perché ?

Ian                                 - Forse credeva che avrebbe cessato di essere innamorato e di soffrire.

Jimmy                           - E non gli accadde niente?

Ian                                 - No. Niente.

Jimmy                           - Non avrebbe dovuto uccidere quella per­sona. Non gli aveva fatto niente.

Ian                                 - Fu più forte di lui, Jimmy. Ci sono dei mo­menti in cui gli uomini commettono azioni terribili senza poterselo impedire...

Jimmy                           - Qui l'avrebbero impiccato.

Ian                                 - In quei tempi nessuno osava toccare un si­gnore. Ma accadde qualche cosa che lui non aveva previsto; continuò ad amare la persona che aveva uc­ciso.

Jimmy                           - Ah!

Ian                                 - Sì, per anni ed anni, finché un giorno Dio prese Ian nella sua grande mano e molto dolcemente lo stritolò.

Jimmy                           - Che vuol, dire lo stritolò?

Ian                                 - Non ho tempo di spiegartelo, ma la vita ti farà vedere come Dio può stritolare un uomo, (pausa. La campana del pranzo suona due volte) Guardami, Jimmy. Tu sali e vai a dormire. Promesso?

Jimmy                           - Sì, tenente Wiozewski.

Ian                                 - (stringendogli la mano) Arrivederci Jimmy.

Jimmy                           - Arrivederci tenente Wiczewski. (Jimmy si avvia verso sinistra e si volta prima di uscire. Wi­czewski esce da destra).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

SCENA I

Stessa scena di prima, ma il salone è brillantemen­te illuminato da un lampadario. Dalla sinistra entra­no lentamente, la Signora Riolleau e sua figlia, la Signora Strong seguita da Regina e da Angelina, poi Mac Clure e il tenente Wiczewski, ed infine Edoardo Broderick e il vecchio Sig. White.

Sig.ra Riolleau              - Se volete la mia opinione, trovo che esageriamo. Sì, esageriamo. Non offendetevi, ma abbiamo delle facce funebri.

Broderik                        - Che vorreste cugina Laura? Vederci ballare quando la guerra sta per scoppiare da un mo­mento all'altro?

Sig.ra Riolleau              - Eppure tre giorni fa, ho pran­zato in una piantagione a due o tre ore di qui, dai Beauchamp, tanto per non fare nomi. Dopo il pranzo c'è stato un ballo che è durato fino all'alba. Non ave­vo visto niente di più brillante, da dieci anni. Il fiore della gioventù del Sud si era dato appuntamento in quei grandi saloni dorati. Hanno bevuto al generale Beauregard e a tutti gli Stati che si sono separati dall'Unione, uno dopo l'altro dal Texas fino alla Vir­ginia..

Sig.ra Strong                 - (piano ad Edoardo Broderick) Ti avevo detto di non offrirle un secondo bicchierino.

Mac Clure                     - Non mi perdonerò di contraddirvi signora, ma la Virginia non si è ancora pronunciata, e non è un segreto per nessuno che il presidente Lin­coln vorrebbe mettere il generale Lee alla testa delle armate del Nord...

Sig.ra Riolleau              - Giovanotto, questi sono sogni di abolizionisti. La Virginia è tutta per noi e le risa­tine di quella vecchia scimmia col cappello a tuba, non cambieranno niente. Non sarete contro la schiavi­tù, spero.

Mac Clure                     - Con tutte le mie forze, signora.

Broderick                      - Erik Mac Clure ha liberato tutti i suoi schiavi.

Sig.ra Riolleau              - Mostruoso! Io, ne ho trecento. Ci provi il diavolo a portarmeli via!

Mac Clure                     - Con tutto il rispetto che vi devo, si­gnora, permettetemi di dirvi che se il Sud si batte, non è certo per conservare i propri schiavi. Il gene­rale Lee ha dato la libertà a tutti i suoi.

Sig.ra Strong                 - Laura, perché restiamo tutti in piedi come se dovessimo cantare un salmo... Sediamo­ci e parliamo d'altro. Ti offrirò una tazza di caffè co­me si beve al Vieux Carré a Nuova Orléans, (la con­duce dolcemente verso destra e si siede con lei in un angolo vicino a un tavolo: un gruppo si forma attor­no alle due donne. Angelina trascina Regina verso si­nistra).

Angelina                       - Regina, debbo dirti una cosa: sono in­namorata di Erik Mac Clure. Mi sento infelice.

Regina                           - Se t'ha scritto una lettera d'amore...

Angelina                       - Oh! Le lettere d'amore... Prima di tutto non mi ha mai scritto.

Regina                           - Come? E quella storia che mi hai raccon­tato? Hai mentito?

Angelina                       - Non ho mentito. Ci credevo io stessa alla mia storia.

Regina                           - Ma quello che hai detto non era vero.

Angelina                       - Ah, tu non capisci. È curioso: sei in­telligente e non capisci. Proprio come gli uomini. Sono infelice Regina. Non so che fare. Già da tempo so­spettavo qualcosa, ed ora ho sentito d'improvviso che l'amavo. E lui neppure mi guarda.

Regina                           - Non lo guardare neanche tu.

Angelina                       - Ma parte domani mattina. È così bel­lo sotto questa luce. Se soltanto volesse uscire con me, nel viale, io lo bacerei. Sì, lo bacerei... Ah! figurati che prima di pranzo, il tenente Wiczewski mi ha fat­to una dichiarazione.

Regina                           - Il tenente...

Angelina                       - Che hai? Oh, avevo dimenticato. Per­donami. Io non gli ho creduto però, e glielo ho detto.

Regina                           - Angelina, io ho osservato bene il tenente Wiczewski durante questo pranzo interminabile. Quel­l'uomo non è innamorato né di me né di te.

Angelina                       - Non mi vorrai dire che è innamorato della signorina Riolleau     - (a mezza voce) Oh! Eccolo che arriva! Scappiamo! (ella si dirige verso la destra, ma Regina resta ferma).

Ian                                 - (si avvicina a Regina e si tiene a due passi die­tro di lei) Signorina Regina! (Regina non rispon­de) Siamo soli di nuovo, ma per l'ultima volta, e ades­so sono io che ho qualcosa da dirvi, (pausa. Regina non risponde) Sono venuto a chiedervi per­dono, (pausa. Restano entrambi immobili) Il tem­po passa, Regina. Da qualche ora io ho capito. Sof­fro come voi nella stessa maniera, forse. C'è questo legame tra noi. (pausa) Mi perdonerete mai? Dite soltanto di sì, sottovoce, ed io sarò in pace, me ne andrò in pace. (Regina non risponde) Mi basterebbe allungare un po' la mano per toccare la vostra. Me lo permettete, Regina? (Regina non dice una parola ed esce bruscamente da sinistra. Wiczewski resta im­mobile sul posto).

Sig.na Riolleau              - Spero che i nostri soldati avran­no delle belle uniformi. Quelle che portano oggi sono così severe... E chissà come sarà la nostra bandiera tutta nostra?

Mac Clure                     - Sono stati proposti diversi modelli. Ha raccolto più suffragi quella che ha la croce azzur­ra di S. Andrea in campo rosso. È costellata di stelle bianche. Una stella per ogni stato.

Sig.na Riolleau              - Mi sembra già di vederla sven­tolare sui campi di battaglia.

Mac Clure                     - Avete molta fretta, signorina. Sape­te che cos'è un campo di battaglia?

Sig.na Riolleau              - Ma certo! La biblioteca di pa­pà è piena di quadri che rappresentano i principali episodi della guerra contro l'Inghilterra. Ci sono tutti i particolari. Si vedono benissimo gli artiglieri ai loro posti e i cannoni che sputano fuoco.

Mac Clure                     - Anche morti e feriti, forse?

Sig.na Riolleau              - Qua e là, certamente. Ci vo­gliono.

Mac Clure                     - Ce ne vorranno molti se scoppierà la guerra. E voi che farete, signorina?

Sig.na Riolleau              - Delle bende, signore, delle ben­de per i nostri feriti.

Mac Clure                     - Non dovreste dire: per i nostri glo­riosi feriti? È così che si chiamano in ogni guerra.

Angelina                       - Io trovo che dovremmo parlare d'altro.

Sig.na Riolleau              - Cosa abbiamo detto che possa averti turbato? Non ho mai visto facce così lunghe. Si crederebbe davvero che il Signore ci abbia abbando­nati, che non sia con noi.

:. Mac Clure                  - Non so perché , questa frase me l'a­spettavo. ...

Sig.ra Riolleau              - Che volete dire?

Mac Clure                     - Niente di preciso, ma da qualche settimana, il clero ci dice che effettivamente Dio è con noi….

Sig.ra Riolleau              - Potete dubitarne?

                                      - (Mac Clure             - La questione non è facile. Bisogne­rebbe prima di tutto sapere se Dio è sempre dalla parte del vincitore, poiché voi ci vedete vincitori.

Sig.ra Riolleau              - Se Dio è con noi, non vedo pro­prio come il Nord potrebbe essere vincitore. Sarebbe come bestemmiare pensare una cosa simile, non è ve­ro signor White? . .

Signor White                 - Se volete conoscere il mio parere, signora, vi citerò un versetto della Scrittura, un ver­setto che nessuno ricorda mai. Si trova nel libro dei Re.

Sig.ra Riolleau              - Io adoro il libro dei Re. Che dice, il vostro versetto?

Signor White                 - « Questo: che «colui che indossa l'armatura non gioisce come chi se la toglie ».

Sig.ra Riolleau              - Non afferro il rapporto, signor White. (si alza) Evelina, tu ci scuserai se ce ne an­diamo così presto, ma la strada è un pantano e ne ab­biamo per un'ora. (la Signorina Riolleau si alza) Quan­do ci rivedremo la faccia del paese sarà cambiata. (l'abbraccia).

Signora Strong              - Io l'amavo com'era, il paese.

Sig.ra Riolleau              - Ne iparli già al passato. Vedi bene che così non poteva durare. Arrivederci Edoardo.

Broderick                      - Vi accompagno alla vettura, (la Si­gnora Riolleau e sua figlia salutano tutti i presenti. Tutti escono da destra, eccetto Wiczewski, Erif   - ( Mac Clure e il Signor White).

Signor White                 - Signori, vi prego di scusarmi. Non sono giovane come voi, e per un uomo della mia età è. tardi. Se ho ben capito, partirete domani. Dio pos­sa conservarvi sempre, (stringe la mano ai due gio­vani ed esce da sinistra).

Mac Clure                     - Volete che raggiungiamo i nostri ospiti, tenente?

Ian                                 - Devo parlarvi, Erik Mac Clure.

Mac Clure                     - Qui? come volete.

Ian                                 - Quanto ascolterete vi stupirà lo so, ma sen­to troppo bene che non potrò mai dirvi ciò che è in me. in altri tempi, in altri luoghi forse avrei potuto ma non stasera qui, tra queste mura. Tutto mi chiude la bocca. L'aria stessa che respiro, qui, è per me co­me un bavaglio. Questa stanza, questi grandi specchi, quegli alberi, che vedo nel viale, mi consigliano di tacere. E tuttavia temo che di frase in frase, senza accorgermene finirò col rivelarmi, ho paura di cadere nella trappola delle parole.

Mac Clure                     - Ma dicevate di non poter parlare.

Ian                                 - Non volevo, ma avendo detto quello che ho detto, ormai sono costretto ad andare avanti.

Mac Clure                     - Chi vi obbliga a proseguire?

Ian                                 - Voi. Voi solo. Questo sguardo che posate su di me.

Mac Clure                     - Non so quale idea vi siate formato di me, tenente Wiczewski. Io sono un uomo semplice, abituato a parlare semplicemente. Se non avessi sentito che eravate turbato, infelice forse, avrei lascia­to questa stanza, poiché quasi nulla di quello che state dicendo mi è comprensibile. Ho l'impressione che tutte le parole di cui vi servite nascondano ciò che non osate dire. Forse posso aiutarvi...

Ian                                 - Aiutarmi?

Mac Clure                     - Sì. Aiutarvi a dire quello che vi sta a cuore, quello che la lingua rifiuta di dire. Non vo­glio assolutamente forzare la vostra confidenza. Non sopporto confidenze per la familiarità che stabilisco­no le persone ma sar<n cieco se non comprendessi che l'uomo che mi è davanti è Un uomo... sì, un uo­mo che soffre...

Ian                                 - ... che soffre, sì.

Mac Clure                     - Non crediate che queste crisi di co­scienza mi siano sconosciute. Sono giovane come voi, ma conosco un po' il cuore umano, e poi queste ulti­me settimane sono state decisive per me.

Ian                                 - Queste ultime settimane? Ma ci conosciamo da qualche ora soltanto.

Mac Clure                     - Non vedo che rapporto ci può es­sere. Perché mi guardate così? Ho detto qualcosa che vi ha turbato? Non credete sia meglio, dopotutto, parlare francamente di quello che vi sta a cuore? Siamo soli. Vi do la mia parola che questo nostro col­loquio rimarrà per sempre segreto. Confesso che ave­vo poca simpatia per voi appena vi ho visto, ma ora non è più così: forse perché indovino tante cose.

Ian                                 - Indovinate quel che mi accade e restate an­cora lì? Ma non è possibile... Io so, ho sempre saputo, com'è austera la vostra anima... anche quando non parlate il vostro viso, tutta la vostra persona, mi gridano di tacere. Non potete fare un gesto senza ri­cordarmi che non apparteniamo alla stessa razza di uomini.

Mac Clure                     - Forse esitate tanto perché venite da un altro paese e vi sentite straniero qui? Mi credete davvero inumano allora. Sono fatto di una carne non diversa dalla vostra. Ho gli stessi slanci, le stesse incertezze, e il mio cuore è qualche volta simile a quel regno diviso contro se stesso di cui parla il Vangelo.

Ian                                 - Scusatemi per quel che dico, ma la vostra austerità mi paralizza. Siete uno di quei giusti dei quali si parla qualche volta, che non si ingannano mai. Io mi sono ingannato per tutta la vita. Vi sem­bra strano che vi parli così?

Mac Clure                     - Mi sembra molto strano. Vi ho detto un momento fa che le confidenze mi imbarazzano e gli errori che avete potuto commettere non mi riguar­dano. Ma... o io mi sbaglio di grosso, o la vostra co­scienza è turbata, perché avendo vissuto nel Sud, vi sentite forse segretamente legato alla causa del Nord.

Ian                                 - Non si tratta di questo.

Mac Clure                     - E di che stiamo parlando da cin­que minuti? Su, rispondete, tenente Wiczewski: che avete?

Ian                                 - Non posso dirvi niente. Siamo mille miglia lontani l'uno dall'altro. Questa contesa fra il Nord e il Sud non mi riguarda, questa guerra non è la mia guerra. Ben altro mi dilania, che voi non potete com­ prendere. Quello che leggo sul vostro viso, è l'invin­ cibile ignoranza dei puri davanti alla sofferenza del mondo. Voi non avete mai amato, Erik Mac Clure. Il vostro orgoglio non si è mai piegato, voi non sa­ pete come io so ora, che cos'è l'asservimento di una anima ad un'altra, né il potere di vita e di morte di cui dispone un viso umano, (lo guarda dritto ner gli occhi).

Mac Clure -                   - Che ne sapete voi? Se siete inna­morato, chi vi dice che non lo sia anch'io?

Ian                                 - Voi?

Mac Clure                     - Perché no? Rispondete!

Ian                                 - Che posso dire? (Erik Mac Clure va verso di lui e gli afferra il polso, con forza).

Mac Clure                     - Tenente Wìczewski, noi ci lasceremo tra poco. Io vado ad arruolarmi nell'esercito del Sud, Quanto a voi, andrete dove vorrete, ma sono sicuro che non ci rivedremo mai più. (lascia il polso di Ian). Per questa ragione e per quello che mi avete appena detto, voglio parlarvi a cuore aperto. So con certezza che sarò ucciso.

Ian                                 - Anch'io sarò ucciso. Lo voglio.

Mac Clure                     - Sarete ucciso se Dio lo permetterà, ma come me forse avete la certezza che la strada non va più lontano, che si tronca d'improvviso... Stasera, ho l'impressione che farò ancora qualche passo sulla strada, qualche passo soltanto, eppure non provo al­cun rimpianto. Volete sapere perché ? Voi mi avete giudicato freddo, duro, insensibile, un vero giusto, secondo il vostro modo di vedere. Ora, io non so se sono giusto ma sono certo di non aver mai sofferto così crudelmente come in questa casa.

Ian                                 - In questa casa?

Mac Clure                     - C'è qualcuno in questa casa che io amo, e che non sa niente, (pausa).

Ian                                 - Perché non glielo avete detto?

Mac Clure                     - È troppo tardi. È troppo tardi per l'amore. La guerra è imminente ed io debbo andare.

Ian                                 - Potessi morire con queste parole nelle orec­chie! Almeno porterei mei mio cuore il dubbio invece di una insopportabile verità.

Mac Clure                     - Temete che amiamo la stessa per­sona?

Ian                                 - Non ditelo, non è possibile.

Mac Clure                     - Non vedo perché .

Ian                                 - Mi basterebbe una parola per aprirvi gli oc­chi, ma questa parola che io non dirò, vi sembrereb­be più misteriosa e più abbominevole di tutto il resto.

Mac Clure                     - Più abbominevole? Vi fate una ben strana idea di me. Per chi mi prendete? Per un pu­ritano di una volta? Per fortuna i tempi sono cam­biati. Capisco benissimo che siete^ innamorato, dato che lo sono anch'io. L'amore non è un peccato.

Ian                                 - L'amore non è un peccato?

Mac Clure                     - Questa frase vi sorprende? Non sa­rete per caso voi il puritano?

Ian                                 - Vorrei farvi una domanda. Me lo permettete?

Mac Clure                     - Naturalmente. Vedrò se posso ri­spondere.

Ian                                 - Mi avete detto che la persona di cui siete in­namorato non sa niente di questo amore. Non siete stato tentato di rivelarglielo?

Mac Clure                     - Certo. Ma è troppo tardi. Credo di averlo già detto.

Ian                                 - Non è forse perché non avete osato, perché vi è mancato il coraggio, perché avete tremato, per la prima volta tremato, davanti a un essere umano?

Mac Clure                     - No. Vi sbagliate. Non ho voluto in­fliggere una prova inutile, ispirare forse un amore che avrebbe fatto soffrire.

Ian                                 - Concepite che un uomo manchi di coraggio al punto di non poter confessare il suo amore?

Mac Clure                     - Sì. Si può essere coraggiosi e non avere quel coraggio.

Ian                                 - Anche se si deve morirne?

Mac Clure                     - Anche se si deve morirne. Tenente Wiczewski, qualcosa mi attira verso di voi, qualcosa che io stesso non saprei spiegare, perché in fondo non vi conosco. Ricordo che cinque anni fa, quando ero ancora in collegio, mi sentii legato da un grande affetto ad un compagno. Forse non gli avevo rivolto neppure venti parole nello spazio di un trimestre. Di­ventammo inseparabili e poiché eravamo tutt'e due religiosi, ci scambiammo libri di preghiere. Oggi tutto questo sembra un po' ridicolo, ma avevamo solo quin­dici anni ed eravamo sinceri quanto lo si può esse­re. Poi, quel ragazzo si sposò. Sposò perfino una gio­vane di cui ero innamorato, ma non gliene ho mai voluto. Vedendo voi non so perché penso a lui. Credo che in circostanze più favorevoli, avremmo po­tuto essere amici, voi ed io, e rimanere amici per molti anni... Non lo credete? Perché non dite niente? Vi sem­bro indiscreto, forse?

Ian                                 - Ma no.

Mac Clure                     - Vi assicuro che non ho l'abitudine di offrire la mia amicizia al primo venuto.

Ian                                 - L'apprezzo... credetelo.

Mac Clure                     - Ma che avete? Siete pallido.

Ian                                 - Non ho niente.

Mac Clure                     - Oh, vedo bene che siete commosso. Anch'io. Questi ultimi momenti che passo con voi so­no forse i più strani che io abbia vissuto. Mi sembra che mi aiutiate a soffrire. Io sono come voi, forse; ho paura di ciò che amo. Lei a pochi passi di distan­za, lì nel viale... Voglio raccontarvi un sogno che ho fatto, quattro mesi fa. Ero venuto qui con mio padre, per la prima volta. Passammo la serata in questa sala. Era poco prima di Natale. Lei era se­duta là, un po' in disparte, vicino alla finestra. Quel­lo che dicevamo non l'interessava. Si parlava di po­litica. La guerra sembrava già inevitàbile agli uomi­ni capaci di riflettere, ma lei non ascoltava. Era sola, e poggiava la guancia sulla spalliera della poltrona. Così io la vedevo di profilo. Era molto bella, ma qual­cosa in me diceva di no. No, perché la guerra era là, no perché la morte aspettava. Rimasi lontano nell'al­tro angolo del salone. La guardavo, ma non mi muo­vevo. Quella notte, quando riuscii a prender sonno sognai. Sognai di essere qui, in questa stanza e che tutto ricominciava da capo. Lei era là ed io qui, ma questa volta attraversavo il salone per raggiungerla.

Ian                                 - Che cosa dite?

Mac Clure                     - Sì, lasciavo il mio posto e andavo verso di lei. E lei si alzò, dritta, e i suoi occhi fissa­vano i miei. Avvicinandomi, le sfiorai la mano, il pol­so, le dissi qualche cosa, ma io stesso non sentivo il suono delle mie parole. Le dissi che l'amavo, che non sarebbe stata che mia. Non mi rispose. Forse non aveva sentito. Ritornai al mio posto. Dopo un momen­to, lei lasciò la stanza.

Ian                                 - E dopo?

Mac Clure                     - Dopo, volli sccriverle; ma lettera dopo lettera le strappai tutte. Un giorno, saltai sopra un cavallo e mi spinsi fino ai limiti della piantagione; ma qualcosa mi trattenne dall'andarp più avanti, cose se intorno a questa casa ci fosse stata una barriera.

Ian                                 - Perché siete ritornato?

Mac Clure                     - Soffrivo troppo. Volevo rivederla. Ho ceduto.

Ian                                 - E avendola riveduta, la sfuggite di nuovo. Potreste essere accanto a lei, nel viale, e siete qui, con me.

Mac Clure                     - Credo infatti che il mio dovere sia di sfuggirla, come voi dite, poiché la guerra è alle por­te. Nell'insistenza che poco fa avete messo per trat­tenermi qui, mi è sembrato di scorgere un segno...

Ian                                 - È un amore molto docile il vostro, e ben im­brigliato, se si lascia condurre da una parte e impe­dire di andare dall'altra.

Mac Clure                     - Con quale diritto mettete in dubbio la mia sincerità?

Ian                                 - Con il diritto che mi danno i miei venticin­que anni e un'esperienza di cuore che voi non avete. Ingannate voi stesso con la sciocca gravità dei vostri anni. Se foste innamorato di quella ragazzina sare­ste là a sospirare saggiamente accanto a lei fino a che il caro angelo non vi interrogasse sulle cause della vo­stra tristezza.

Mac Clure                     - Siete pazzo!

Ian                                 - Che fate qui, solo con me in questa stan­za, a parlare d'amore? (Io prende per le braccia e lo spinge verso lo specchio) Guardati! È intorno a te la barriera, il cerchio d'orrore, intorno al tuo viso, alle tue spalle, alle tue mani...

Mac Clure                     - Lasciatemi! Se volete battervi, an­dremo fuori, ma siete pazzo a provocarmi. Io non vi voglio alcun male.

Ian                                 - Io non ti provoco, imbecille! Voglio la tua morte. (Edoardo Broderick entra da destra).

Broderick                      - Che c'è? Che fate?

 

Ian                                 - C'è che insulto quest'uomo davanti a voi e gli do del vigliacco. Non basta? (indietreggia d'un passo e dà uno schiaffo a Mac Clure. Edoardo Brode­rie^ si mette tra loro).

Broderick                      - Se volete battervi, aspettate domani.

Mac Clure                     - Non posso aspettare.

Ian                                 - Neanche io. Ci batteremo stanotte, sotto gli alberi.

Broderick                      - Che vi ha fatto, Ian?

Ian                                 - Questo è affar mio.

Broderick                      - (a Mac Clure) L'avete insultato?

Mac Clure                     - In nessun modo, (le donne appaiono a destra).

Sig.ra Strong                 - Che succede? Vi si sente fin sul viale. (Edoardo Broderie^ va verso di loro).

Broderick                      - Lasciateci, (le donne si ritirano).

Broderick                      - (ai due giovani) Non potete batter­vi senza padrini.

Ian                                 - Andate a cercare chi volete, ma ci batte­remo stanotte. Lascio ad Erik Mac Clure la scelta delle armi.

Broderick                      - Iam, vi scongiuro di riflettere. Voi commettete un delitto.

Mac Clure                     - Saprò difendermi, signore. Il tenente Wiczewski ha ragione: non possiamo più aspettare, (a Edoardo Broderick) Non mi rifiuterete l'onore di es­sere mio padrino.

Ian                                 - (a Mac Clure) Ne occorre un altro, (a Edoar­do Broderick) Andate a chiamare il signore White e fate portare delle lanterne nella radura vicino al granaio È il posto più adatto. Il viale è troppo vici­no alle capanne.

Broderick                      - Ian... (Wiczewski lo guarda negli oc­chi).

Ian                                 - (ad Edoardo Broderick) Fate ciò che vi dico. (esce da sinistra con Erik Mac Clure).

SCENA II

Stessa scena. Tutte le lampade sono spente salvo quella che si è già vista nel secondo atto. Elisa en­tra da sinistra. Sposta dei cuscini e sembra cercare qualche cosa.

Elisa                              - Il fazzoletto della padrona, il ventaglio della padrona. Perde tutto quella vecchia pazza. Sono le tre del mattino, e non è ancora a letto. Ah! (trova il ventaglio tra i piedi del divano; lo prende, lo apre e va verso lo specchio) Però... eh? Che significa la razza... (correndo entra da destra il negretto del pri­mo atto) Che fai qui? A quest'ora! Torna nella tua capanna o ti faccio frustare da tua madre.

Negretto                        - Signorina Elisa!

Elisa                              - Su, parla!

Negretto                        - Oh! Ho corso... il nonno... il nonno...

Elisa                              - (scuotendo) Parlerai o dovrò tirarti le orecchie?

Negretto                        - Il nonno mi ha svegliato; cerca il pa­drone, ha detto, bisogna avvertire il Padrone...

Elisa                              - Di che lo dovrei avvertire il Padrone, a quest'ora?

Negretto                        - Ha detto: « Elisa dirà al Padrone :

Negretto                        - Il nonno mi ha svegliato; cerca il Pa­drone della piantagione: se non preghi, sarai per­duto ».

Elisa                              - Ebbene, mio piccolo negro, tu ritornerai a casa e dirai a tuo nonno che ha delle visioni, e che se mi vede disturbare il Padrone per queste stupidag­gini, sarà una visione di più che avrà avuto.

Negretto                        - Ha detto che se non obbedite, il Si­gnore ve ne chiederà conto. Ha detto proprio cosi: « Il Signore gliene chiederà conto ».

Elisa                              - Ebbene, dirai a quel vecchio negro di tuo nonno che non sono ai suoi ordini. La signorina Eli­sa manda tanti saluti a zio John e gli fa sapere che non è ai suoi ordini. Hai capito? E adesso, fila! (il ne­gretto esce da destra. Quasi nello stesso momento entra Jeremy da sinistra).

Jeremy                           - Signorina Elisa, avete sentito? In cu­cina dicono che i due giovani signori bianchi si bat­teranno dietro il granaio. Il Padrone ha detto a Luca e a Barnaba di portare quattro lanterne, (dalla si­nistra entrano la Signora Strong e Angelina).

Sig.ra Strong                 - Vattene, Jeremy... Elisa, il venta­glio e il fazzoletto.

Elisa                              - Ecco il ventaglio padrona. Il fazzoletto non l'ho ancora trovato.

Sig.ra Strong                 - (prendendo il ventaglio) Va a pren­derne due nel mio comò. (Elisa esce) Angelina, quan­do capirai che non si piange davanti ai negri? È una vergogna.

Angelina                       - - Non posso trattenermi.

Sig.ra Strong                 - Una signora può sempre tratte­nersi. Quello che sta succedendo è normalissimo. Rien­tra nelle tradizioni del Sud. Un duello alla luce delle lanterne. Benìssimo. A me piace. Andrei anche a guar­dare un po'. Cercami Regina. Voglio che stia qui, con noi. È scomparsa alla chetichella dopo il pranzo... (Angelina esce da sinistra) Un duello, Quei bei ra­gazzi in maniche di camicia... Il nostro tenentino ha il fuoco nelle vene. (Elisa entra da destra, porge due fazzoletti alla Signora Strong, ed esce) Uno per An­gelina, e un altro per la piccola Nordista. Frigneran­no tutt'e due. Mi domando perché . Quei ragazzi si sgraffieranno con le loro sciabole, come due gatti ar­rabbiati, e poi ci sarà una grande riconciliazione con brindisi. Elisa prepara i bicchieri! (una breve pausa, poi chiama di nuovo) Elisa!

Elisa                              - (entra da destra) Padrona?

Sig.ra Strong                 - Niente. Meglio non preparare il lètto degli sposi prima dello sposalizio. Cercami An­gelina.

Elisa                              - Eccola, Padrona. (Angelina entra da si­nistra).

Sig.ra Strong                 - Sta bene. Puoi andare. (Elisa esce) Che c'è?

Angelina                       - Regina non è nella sua camera.

Sig.ra Strong                 - Sicuramente è andata a fantasti­care nel viale.

Angelina                       - Volete che vada a vedere, zia Evelina?

Sig.ra Strong                 - Voglio che resti qui, vicino a me. E comincia a sederti. Mi dà ai nervi vederti cammi­nare avanti e indietro. Anzi, va a dormire, è meglio.

Angelina                       - Zia Evelina, non potrei dormire. La­sciami restare qui, ancora un momento. Ho paura a star sola.

Sig.ra Strong                 - Paura di che, stupidina? Degli spi­riti? Dì le tue preghiere piuttosto. Su, siediti. No, dam­mi prima la scatola dei .biscotti. (Angelina le tende la scatola dei biscotti. La signora Strong l'apre e offre un biscotto ad Angelina) Mangia, Non c'è niente di ma­glio di un biscotto per rimettersi in sesto. Mi doman­do a che ora quei ragazzi ritorneranno (mangia un biscotto) Quante storie! E tutto per una guerra che forse non scoppierà mai.

Angelina                       - È per la guerra che hanno litigato?

Sig.ra Strong                 - E per quale altra ragione vuoi che litighino due uomini il 12 aprile 1861? Probabil­mente non sono d'accordo sulla politica del Sud. Non importa. Erano diciotto anni che non si faceva un duello a Bonaventura. Si mantiene la tradizione.

Angelina                       - Come mai vi piacciono i duelli, se non vi piace la guerra, zia Evelina?

Sig.ra Strong                 - Bella domanda! Una guerra, di­sturba tutti. Una guerra moderna, coi mezzi perfe­zionati che sono a disposizione, con questi cannoni che arrivano a sparare un colpo ogni cinque minuti... E poi, non sì sa mai dove può cadere, un proiettile. Durante la guerra d'Indipendenza, ce ne fu uno che cadde qui: fu un errore. Tuttavia, sfondò una porta... Mentre un duello, non riguarda che due simpatici im­becilli che si divertono a sferragliare nei boschi.

Angelina                       - Ma se si fanno del male?

Sig.ra Strong                 - Oh, adesso non si fanno più male. In altri tempi, sì. Quando ero ragazza... Riportarono mio nonno su una tavola, con un buco nel petto dove avresti potuto metterci il pugno. Fu per una donna. Una storia d'amore.

Angelina                       - Una storia d'amore?

Sig.ra Strong                 - Su, su, bambina. Mangia il tuo biscotto. Le storie d'amore non riguardano i bambini.

Angelina                       - Quando credete che ritorneranno?

 Sig.ra Strong                - Fra un quarto d'ora. Tutto sareb­be già finito se non ci avessero messo tanto a tirar fuori dal letto il signor White. Il brav'uomo non ne voleva sapere. Edoardo ha dovuto supplicarlo, scuo­terlo, aiutarlo ad infilarsi un paio di mutande inter­minabili... Via, Angelina, mi fai dire delle cose scon­venienti...

Angelina                       - Vorrei che tutti fossero già di ritorno, zia Evelina. Mi fa paura pensare che sono laggiù con le sciabole in pugno...

Sig.ra Strong                 - Paura, bambina! Non hai niente da temere per il tenente Wiczewski, né per l'altro, per quanto il piccolo Mac Clure non mi ha l'aria d'esse­re un maestro di scherma. È troppo delicato, troppo saggio, il giovanotto. Manca di... ferocia.

Angelina                       - Zia Evelina, non voglio che succeda qualcosa al signor Mac Clurp.

Sig.ra Strong                 - Che bella idea! Io preferisco che succeda qualcosa a lui piuttosto che al tenente Wi­czewski. Il piccolo Mac Clure lo conosciamo appena. Cosa vuole questo signore che viene in casa d'altri a provocare duelli? Perché è venuto ad attaccar bri­ga col tenente Wiczewski? Se si busca un brutto col­po, l'avrà voluto lui. Angelina, dimmi, non sarai am­mattita? Piangi? Dove sono i miei fazzoletti? Erano là...

Angelina                       - (singhiozzando) Ne ho uno.

Sig.ra Strong                 - Allora soffiati il naso e va a dor­mire. Mi dai ai nervi. Va! Hai capito? (Angelina esce dalla sinistra. La signora Strong rimane sola) Mi dà fastidio veder piangere la gente. Quanta emozione e quanti sospiri, per due ragazzi che si battono, (pausa) Elisa! (dopo qualche secondo, Elisa entra da sinistra).

Elisa                              - Padrona?

Sig.ra Strong                 - Va a vedere se la signorina Regi­na sta passeggiando nel viale.

Elisa                              - Padrona, sicuramente la signorina Regina è nella sua camera.

Sig.ra Strong                 - No. La signorina Angelina è an­data a vedere poco fa... Fa quello che ti dico.

Elisa                              - Si, Padrona, (esce da sinistra. Pausa).

Sig.ra Strong                 - Non ho mai amato la solitudine, ma stasera addirittura mi opprime. Quand'ero pic­cola, mi dicevano: « Di' le tue preghiere. Parla al Si­gnore che è dentro di te, e il Signore t'ascolterà ». Bi­sognerebbe avere qualcosa da dirgli, al Signore, ed essere certi che egli ascolta, ma io ho l'impressione di parlare da sola quando dico le mie preghiere. Forse è male quello che dico. Mi domando spesso cosa de­ve essere credere come quel vecchio pazzo di zio John. Per lui l'Eterno è un gran vegliardo che benevolmen­te ascolta. Gli parla come ad una persona: « Ascolta Signore, ti domando questo. Ascolta Signore, fai quel­lo... ». E il curioso è che qualche volta ottiene ciò che domanda. Io, posso ben fare quello che si deve, non succede mai niente. (Elisa entra senza far rumore da sinistra e si ferma a qualche passo dietro la signora Strong) Prego, ma sono quasi sicura che nessuno mi ascolta, poiché nessuno mi risponde. Per esempio, se chiedo che questi ragazzi ritornino presto, e natural­mente sani e salvi, è una preghiera ragionevolissima la mia, ma non so perché ho paura di farla. Senza dubbio è perché se tardassero troppo, avrei la prova di non essere stata ascoltata, che non c'era nessuno. Quand'ero piccola credevo che ci fosse qualcuno. Se soltanto ci fosse qualcuno! (pausa) Perché Elisa non ritorna? Elisa!... (Elisa si ferma davanti alla Signora Strong).

Sig.ra Strong                 - Da quanto tempo eri lì? Non ti ho sentito entrare.

Elisa                              - Sono appena entrata, Padrona.

Sig.ra Strong                 - Menti. Stavi ascoltando. Hai vi­sto la signorina Regina?

Elisa                              - La signorina Regina è nel viale sotto gli alberi. Ha detto che non poteva dormire e che voleva restare fuori.

Sig.ra Strong                 - Faccia ciò che vuole, dal momen­to che parte domani, (entra Barnaba, giovane servi­tore negro. Ha l'aria spaventata) Che c'è Barnaba?

Barnaba                         - Padrona... Elisa, il Padrone vuole che tu dica a Louis Thomas di correre dietro il granaio. (Elisa esce da sinistra).

Sig.ra Strong                 - Barnaba! (si alza dalla poltrona) Vattene!

Barnaba                         - Padrona, è successa una disgrazia...

Sig.ra Strong                 - Esci di qui! (batte il piede, Barna­ba esce correndo da sinistra) Signore, è ora che ti parli. Devi ascoltarmi. Non voglio che sia accaduta una disgrazia. Se tu sei Onnipotente, puoi fare sì che nulla sia successo, (va verso la finestra quindi ritor­na) Non voglio soffrire, (va nuovamente verso la fi­nestra, poi si dirige verso la tavola, prende la lampa­da. Pausa) Elisa! (Elisa entra da sinistra).

Elisa                              - Padrona?

Sig.ra Strong                 - Prendi questa lampada e accom­pagnami nella mia camera. Aiutami a spogliarmi. Vo­glio dormire. (Elisa prende la lampada. Le due donne escono da destra. La scena resta vuota per un mo­mento. In fondo al viale, le prime luci dell'alba. Dopo un po', il Signor White entra da sinistra, si dirige ver­so la finestra di fondo e la spalanca).

Signor White                 - Che Dio li perdoni. (Regina entra da sinistra e si ferma a qualche passo dal Signor Whi­te. È straordinariamente calma e parla senza mai al­zare il tono della voce).

Regina                           - Signor White...

Signor White                 - Che volete signorina Regina? Sa­lite nella vostra camera. Non dovete restare qui.

Regina                           - So quello che è successo, signor White. Ho sentito davanti alla casa Barnaba che parlava ad Elisa. Non ho paura...

Signor White                 - Lo porteranno qui a momenti. È la mano di Dio. Glielo avevo detto di non provocare la collera del Signore, ma non mi stavano nemmeno a sentire... Il tenente non si è difeso. Al principio, sì, un po', ma alla fine il suo viso mutò. Pareva una vit­tima offerta al furore ch'egli stesso aveva scatenato. L'altro era terribile, colpiva, colpiva... Era come l'an­gelo sterminatore. L'ultimo colpo ha raggiunto la te­sta, tutto il volto. L'uomo è caduto di peso.

Regina                           - Dov'è?

Signor White                 - Lo stanno portando qui. Io me ne vado. Signorina, ho fatto quel che ho potuto. Vi prego, ritiratevi.

Regina                           - No, resto, (il signor White esce da destra. Regina va a destra, esattamente nel punto dove stava il tenente Wiczewski all'inizio del lavoro. Non si muo­ve. Dopo qualche secondo entrano Edoardo Broderick e due negri che portano il corpo del tenente Wiczew­ski. La testa gli è stata coperta con il mantello. Do­po di loro entra Mac Clure. È ancora troppo buio perché si noti la presenza di Regina. I negri si fer­mano al centro della stanza).

Thomas                         - Dove, Padrone? (Edoardo indica il diva­no. Gli schiavi vi distendono il cadavere con precau­zione).

Broderick                      - Tromas, tu andrai a Wilmington ad avvertire il Pastore e il medico e li porterai qui in vettura.

Thomas                         - Devo aspettare che faccia giorno, Pa­drone?

Broderick                      - No, va subito. Sarà giorno avanzato quando arriverai a Wilmington. Andate, (gli schiavi si ritirano. Lungo silenzio).

Broderick                      - Non posso credere che sia morto.

Mac Clure                     - Lo sapete bene. L'avete visto.

Broderick                      - No, quel che ho visto non era vero. Quello che ho visto, quello che è vero, è il giovane che stava in piedi, in questa stanza, un'ora fa, che par­lava, che viveva.

Mac Clure                     - È stato lui a cercare la morte. La voleva con tutte le sue forze, l'ho capito troppo tardi. Non ha nemmeno tentato di parare l'ultimo colpo.

Broderick                      - Voi l'avete ucciso.

Mac Clure                     - Non è stato lui a mettere la spada nella mano che l'ha colpito? Ha fatto di me lo stru­mento di una volontà più forte della nostra. Non pos­siamo niente contro il destino.

Broderick                      - Ma siete voi che l'avete ucciso.

Mac Clure                     - Lui conosceva il Sud. Doveva sapere che da noi non si schiaffeggia un uomo se non si vuole morire. Dio ha permesso tutto questo.

Broderick                      - Non mescolate Dio in un assassinio, non fate di lui il vostro complice, o se Egli è come voi lo credete, è orribile questo vostro Dio a cui oc­corre il cadavere sfigurato di un giovane di venticin­que anni. Voi parlate come uno scolaro. Mi chiedo che cosa diventa il Vangelo nella vostra teologia del san­gue. Se Gesù fosse qui, lo faremmo piangere di ver­gogna, sì, davanti al perpetuo scacco della sua Parola.

Mac Clure                     - Capisco troppo il vostro dolore per poter discutere con voi.

Broderick                      - Voi non capite niente.

Mac Clure                     - Signore, la guerra sembra certa. Non aspetterò che faccia giorno per partire. Tra poche ore avrò raggiunto le truppe del generale Beauregard e firmato il mio arruolamento.

Broderick                      - Siete libero di agire come vi pare. Non vi trattengo più. (Erik Mac Clure s'inchina ed esce da sinistra. Edoardo Broderick si avvicina al cor­po disteso sul divano, poggia una mano sul petto del morto e lo chiama: « Ian! » Un lungo silenzio. La lu­ce si fa più forte. Dopo un momento Edoardo Brode­rick scorge Regina, si alza e le chiede dolcemente) Che fai qui, Regina? Sali nella tua camera.

 Regina                          - (avvicinandosi a lui) No. Voglio restare un momento con lui da sola. Me lo permettete?

Broderick                      - È morto, Regina.

Regina                           - La vita non si spezza di un colpo. L'ani­ma non si stacca subito dal corpo. Credo che lui è ancora qui e mi ascolterà.

Broderick                      - L'amavi dunque tanto?...

Regina                           - Sì, sapevo tutto. Ne ho troppo sofferto perché voi non mi concediate il diritto di restar sola con luì. (Edoardo Broderick si allontana dal divano e si dirige verso destra. Al momento di uscire si gira e guarda la giovane) Ritornerete subito?

Broderick                      - No, non ritornerò, Regina, (esce. Regi­na resta assolutamente immobile vicino al cadavere e si mette a parlare a mezza voce).

Regina                           - Sì, lo credo, tu sei ancora qui, ascoltami, Ian. (pausa) Non ti darò noia con le mie lacrime. Ve­di ti parlo piano, come la madre parla al bambino che dorme. Poco fa, quando mi sei venuto vicino e mi hai chiesto perdono io non ho detto niente, ma il mio cuo­re scoppiava, Ian, capisci? (pausa) iDio asciugherà tutte le lacrime. L'ha detto lui stesso. Asciugherà le tue la­crime e le mie. (getta un grido terribile) Ian, ritorna!

                                      - (Crolla ai piedi del divano. In questo momento si sente da lontano il rombo del cannone; il vento soffia e la finestra sbatte).

FINE