Sul fiume

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GIORGIO CASINI

GIORGIO CASINI

SUL FIUME

Atto Unico

Personaggi

GIOVANNA

GIULIO

MATTEO

La MOGLIE di Matteo

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ATTO UNICO

Ufficio di Matteo. Porta a sinistra che immette nella sala d'aspetto. Altra porta sul fondo che dà su un ingresso secondario. Finestra a destra. La scrivania di Matteo, in primo piano a destra, con poltrona e sedie. Armadio schedario sul fondo, a sinistra un mobile-bar con poltroncine e un attaccapanni. Altra scrivania, sul fondo con macchina da scrivere e telefono.

SCENA 1

GIOVANNA

GIOVANNA- (È la segretaria dell'ingegner Matteo. Ragazza appariscente, classico esempio di segretaria "molto particolare". Età: sui venticinque anni. Entra da sinistra, si toglie il soprabito che appende all'attaccapanni. Apre la finestra. Dalla borsetta estrae l'occorrente per il trucco ed una radio portatile. Mentre si passa il rossetto, preme il pulsante della segreteria telefonica).

VOCE DI MATTEO- (Messaggio registrato). Giovanna, sono Matteo. Stamani arriverò con un po' di ritardo. Intanto dovresti... dovrebbe cercare in archivio la pratica Venezuela: ci sono delle grane, quando arrivo dobbiamo controllare diversi punti... Ah, penso di trattenermi in ufficio per il pranzo, ordini qualcosa alla solita rosticceria... Ordina per due. A presto, ciao.

GIOVANNA- (Prende appunti sul notes, ripone il rossetto, si avvicina allo schedario, lo apre, cerca qualcosa).

SCENA 2

GIULIO - GIOVANNA

GIULIO- (Giovane sui trent'anni, aspetto un po' macilento di chi cova un male incurabile ed anche il desiderio di vendetta per un torto subito. Vestito anonimo. - Di dentro). Permesso?... C'è nessuno?

GIOVANNA- Sìì... Chi è?

GIULIO- (Si affaccia da sinistra). Scusi, non vorrei disturbare... di là, nell'altro ufficio non c'è nessuno...

GIOVANNA- Avevo da fare qui. Sono subito da lei. Se intanto vuole dirmi cosa desidera...

GIULIO- (Entra definitivamente). Ho bisogno di parlare con l'ingegner Matteo.

GIOVANNA- Mi dispiace, non c'è.

GIULIO- (Deciso). Vuol dire che lo aspetterò.

GIOVANNA- (Ha finito le sue ricerche: ha in mano la cartella "Venezuela" che poserà sulla scrivania). Non so quando arriverà. Stamani ha avuto dei contrattempi. Penso che tarderà un bel po'.

GIULIO- (La interrompe, con tono gentile ma che non ammette repliche). Non ho fretta. Sono un tipo molto paziente: posso aspettare... Ho tutto il tempo.

GIOVANNA- (Colpita dalla determinazione del giovane). Bene. Può accomodarsi nell'altra stanza, quella è la sala d'attesa... Intrattiene rapporti con l'ingegnere?

GIULIO- Diciamo di sì.

GIOVANNA- Se vuole dirmi il suo nome, posso cercare la pratica in archivio così, appena arriva il signor Matteo...

GIULIO- Mi chiamo Giulio ma non credo che il mio nome abbia un posto nel suo schedario, signorina Giovanna.

GIOVANNA- Com'è che conosce il mio nome?

GIULIO- Conosco molte cose di questo ufficio.

GIOVANNA- Ha già lavorato per noi?

GIULIO- Diciamo di sì. O, per meglio dire, ho lavorato per le imprese che l'ingegnere gestisce un po' in tutto il mondo: Asia, Africa... dove il lavoro costa poco, lavoro nero e non soltanto per il colore della pelle dei lavoratori. Dove le condizioni di vita sono terribili.

GIOVANNA- Se lo dice lei... Tutte queste cose a me non risultano.

GIULIO- Certo, signorina Giovanna: nei suoi archivi non risulta nessun Giulio... come non ci troverà mai nessun Juan, morto stritolato sotto una ruspa; o un Bert, finito in ospedale per malattie cosiddette tropicali, o un Antoine, impazzito per il caldo e la solitudine... Non ci troverà nessun Mohammed, nessun Peter, Achille, Salvatore, Andrea ma tutti... tutti sono passati di qua.

GIOVANNA- Può darsi. Sa com'è: non posso conoscere vita morte e miracoli di tutti i nostri dipendenti. Ma non vuole proprio accomodarsi nell'altro ufficio? Finisco di sistemare queste carte e la raggiungo.

GIULIO- (Galante). Verrà a tenermi compagnia? Ne sarei felicissimo. Intanto, posso esserle d'aiuto qui?

GIOVANNA- Grazie, è il mio lavoro e devo sbrigarmelo da sola.

GIULIO- Lungi da me l'idea di rubarle il mestiere! Era solo l'offerta, premurosa, di un sincero amico.

GIOVANNA- Lei va per le spicce: conosco appena il suo nome e già si parla di amicizia. Addirittura premurosa e sincera, amicizia.

GIULIO- La vita passa così in fretta che bisogna essere pronti a cogliere l'attimo fuggente; come dicevano i latini: carpe diem. Ma non potrei giurarlo perché il latino non l'ho studiato; la mia erudizione si limita a rubacchiare qua e là delle frasi a effetto per riciclarle al momento opportuno.

GIOVANNA- Un ladro di espressioni verbali.

GIULIO- Non solo. So rubare anche cose più importanti... alle donne...

GIOVANNA- (Sospettosa ma curiosa). Come sarebbe: alle donne?

GIULIO- Un bacio.

GIOVANNA- (Risatina compiacente). Già: l'attimo fuggente. E dopo?

GIULIO- Beh, l'attimo può anche non essere fuggente, può trasformarsi in momento, istante, minuti, ore, giorni... tutta una vita.

GIOVANNA- Ma la vita è un attimo fuggente, l'ha detto lei, e così il cerchio si chiude.

GIULIO- Ragionamento che non fa una grinza. Mi piacerebbe approfondire l'argomento: potrei aspettarti quando esci e accompagnarti da qualche parte.

GIOVANNA- Esco molto tardi.

GIULIO- All'ora di pranzo. Andiamo insieme a prendere qualcosa; ci sarà una pizzeria, un fast-food qui nelle vicinanze.

GIOVANNA- Ma, vedi: proprio oggi... ho molte cose da sbrigare e debbo trattenermi in ufficio nell'intervallo del pranzo.

GIULIO- Posso restare a farti compagnia.

GIOVANNA- (Scherzosa). Non puoi: i clienti sono ammessi solo nell'orario di lavoro.

GIULIO- Ma io sono qualcosa di più di un semplice cliente.

GIOVANNA- Ah si? Cosa te lo fa pensare?

GIULIO- Innanzitutto il fatto che hai cominciato a darmi del tu. Hai abbandonato l'aspetto formale della segretaria modello, tutta scartoffie e deferenza verso i clienti.

GIOVANNA- Non è vero. La gentilezza verso il pubblico è un dovere... ma è anche un piacere intrattenere una garbata conversazione...

GIULIO- Una garbata conversazione io me la figuro come una graziosa puledrina: bisogna saperla cavalcare, può portare molto lontano.

GIOVANNA- Altra frase rubata.

GIULIO- No: costruita, studiata per arrivare lontano... o vicino... un piccolo bacio. (Le è vicino)

GIOVANNA- (Lo sfugge). Ci risiamo con l'attimo fuggente, non vuoi proprio lasciartelo scappare. Ma ora è meglio se ti trasferisci di là; io devo fare qualche telefonata: appena pronta, ti raggiungo.

GIULIO- (Scherzosamente melodrammatico). Va bene: mi priverò per qualche minuto della tua deliziosa visione... Mentre tu sarai qui a parlare, parlare dentro quel fortunato telefono, io, chiuso in quella tetra stanza, abbrutito dalla solitudine, conterò i minuti, i secondi, gli istanti...

GIOVANNA- Cerca di sopravvivere. Un cadavere in ufficio sarebbe piuttosto compromettente.

GIULIO- (C.S.). Ci proverò. (Tono normale). Vado. Non farmi aspettare. (Esce a sinistra).

GIOVANNA- (Lo segue con lo sguardo. Sorride compiaciuta. Al telefono). Rosticceria "Lo Spiedino"? Signor Raffaele? Sono Giovanna... si, la segretaria dell'ingegnere; dovrebbe mandare qui in ufficio, il solito sacchetto... faccia lei, per due... si, gli hamburger vanno benissimo... acqua non gasata... No, non metta tanta roba, non abbiamo molto tempo per mangiare... Signor Raffaele! Lei è troppo malizioso! (Un po' oca). Lei insinua... Va bene, non si preoccupi. Si, verso l'una, l'una e un quarto. Grazie, arrivederla. (Posa il telefono, sorride, sistema qualche carta).

SCENA 3

MATTEO - GIOVANNA

MATTEO- (Uomo d'affari sui cinquantacinque anni, È il titolare della ditta e, in sovrappiù, amante un po' sdolcinato della segretaria. Vestito con eleganza che non disdegna qualche pacchianeria dovuta alla sua condizione di uomo d'affari, forse poco puliti, amante poco riamato della decorativa segretaria. - Entra silenziosamente dal fondo, si avvicina in punta di piedi alle spalle di Giovanna, le circonda il viso mettendole le mani sugli occhi. Fa la voce cantilenante di chi gioca con i bimbi). Sorpresa! Chi è?... Chi è?

GIOVANNA-(Si libera gli occhi, si gira, si lascia abbracciare).Ingegnere, via, la smetta, non son cose da farsi.

MATTEO- Eh, eh, eh! Mi hai chiamato ingegnere! Errore!!... Come mi chiamo io?

GIOVANNA- ...Matteo.

MATTEO- Altro errore gravissimo! Quando siamo soli... come mi chiamo?

GIOVANNA- (Riluttante, un po' infastidita). Ciccio Bello.

MATTEO- Lascia perdere il Bello... Ma il Ciccino tuo è molto arrabbiato con la sua Ciccina perché non lo ha salutato come si conviene... E sai qual è la penitenza per un simile reato?... Un bacino, qui. (Protende le labbra. Giovanna cerca di divincolarsi). Allora qui. (Offre una guancia. Giovanna, rassegnata lo bacia velocemente e si scioglie dall'abbraccio). Segretaria modello. Cosa farei senza di te! (Si toglie la giacca che appende all'attaccapanni. Resta in maniche di camicia e gilet, si siede).

GIOVANNA- Ho preparato la cartella "Venezuela".

MATTEO- Bravissima!... Ora ci diamo un'occhiata. Vieni... Siedi. (La invita a sedere sulle sue ginocchia).

GIOVANNA- (Si salva in extremis). C'è gente di là.

MATTEO- Chi c'è? Non viene mai nessuno.

GIOVANNA- Si tratta di un giovane.

MATTEO- Ti ha detto come si chiama?

GIOVANNA- Ha detto di chiamarsi Giulio.

MATTEO- Giulio?... E cosa vuole, quel rompiscatole?

GIOVANNA- Vuole parlare con lei... con te... insomma vuole parlare con l'ingegner Matteo.

MATTEO- E non potevi dirgli che non c'ero?

GIOVANNA- Gliel'ho detto ma non ci ha creduto. Si è piazzato di là: aspetta. Mi sembra un tipo piuttosto ostinato.

MATTEO- Va bene, fallo passare; me lo sbrigo in cinque minuti. (Nuovamente voglioso). Dopo esaminiamo bene tutto il Venezuela: giù dalle Ande fino al Rio delle Amazzoni! (Allusione alle forme anatomiche di Giovanna).

GIOVANNA- E magari ci mettiamo anche le cascate del Niagara!

MATTEO- Tutto quello che vuoi... perla di una segretaria. Fallo passare. (Giovanna esce a sinistra. Matteo indossa la giacca e si siede dietro la scrivania. Esamina alcuna carte).

SCENA 4

GIULIO - MATTEO

GIULIO- (Entra da sinistra, aspetta alcuni istanti poi tossisce per richiamare l'attenzione di Matteo). Buongiorno... disturbo?

MATTEO- (Lo degna di considerazione). Buongiorno, si sieda. Le premetto che non posso dedicarle molto tempo: ho degli affari urgenti da sbrigare.

GIULIO- Il Venezuela.

MATTEO- Come?... Che ne sa lei, del Venezuela?

GIULIO- Io? Nulla: ho tirato a indovinare. So che sta per partire la costruzione di una grande diga, proprio sulle Ande, che servirà a dare elettricità a tutto il Sud America. Un progetto faraonico; miliardi... di dollari naturalmente. Non vorrà farmi credere che l'ingegner Matteo non è della partita.

MATTEO- (Circospetto). Ma perché?.. Anche lei è interessato alla cosa? Come ha detto che si chiama?

GIULIO- Giulio, per servirla.

MATTEO- Giulio?... Giulio... No, questo nome non mi ricorda niente in particolare.

GIULIO- Non abbia timore: non sono un concorrente. La sua diga, lei può costruirsela in tutta tranquillità, anzi: può farla costruire da imprese con lei convenzionate alle quali cede i lavori in subappalto.

MATTEO- Chi le ha raccontato simili fandonie? Ma poi, a lei cosa interessa?

GIULIO- Niente, ingegnere, niente! Non si preoccupi. In fondo, il suo è un lavoro molto redditizio e poco oneroso.

MATTEO- Sto perfettamente in regola con tutto! La sfido a dimostrare che ho infranto una sola volta, una sola legge di un qualsiasi paese di questo mondo.

GIULIO- Non mi permetterei mai! Lei sta qui, seduto sulla sua comoda poltrona, aiutato dalla sua solerte e graziosa segretaria, fa qualche telefonata, detta qualche lettera, un fax... e i miliardi arrivano... (enfatico) come la limatura del ferro vola alla calamita o, se preferisce, come le rondini volano verso il sole.

MATTEO- Anche poeta! Abbiamo anche un poeta!

GIULIO- Peccati di gioventù. Da ragazzo riempivo pacchi di quaderni con versi, che nella beata incoscienza giovanile consideravo poesie. Scrivevo su tutto: la ragazzina del momento, il sole, il mare, la campagna, il mio cane. Amavo il rosso del tramonto, il tubare dei piccioni, l'ombra di un cipresso sul muro bianco di una chiesetta di campagna... il rumore dell'onda che si frange sulla riva... Ma un bel giorno ti svegli e ti accorgi che è stato un bel sogno: la vita devi affrontarla con gli occhi ben aperti e i muscoli ben saldi.

MATTEO- Anche un po' filosofo. In ogni caso, molto romantico. Ma le ricordo: (tono lirico) il mio orologio ha due lancette che girano, girano e ci fanno percepire lo scorrere ineluttabile del tempo... No: come poeta non raggiungo la sua altezza. (Giulio fa un gesto di commiserazione). Che vuole farci: non ho mai avuto del tempo da dedicare a simili intellettualismi.

GIULIO- Certo. Ha un bel daffare: lei cerca di accaparrarsi tutti gli appalti di tutte le opere pubbliche che i governi, soprattutto del terzo mondo, devono costruire.

MATTEO- Torno a chiederle: che male c'è?

GIULIO- Nessuno! Nessuno... Il fatto è che durante questo percorso: dal Venezuela, tanto per dire, o da una qualsiasi repubblica centro africana che deve costruire, mettiamo, una autostrada; quei fondi inizialmente stanziati dai vari governi, passando di mano in mano si assottigliano; ed è logico: ciascuno deve trovare un suo guadagno, onesto guadagno. E naturalmente al capolinea, alla ditta che dovrà eseguire materialmente il lavoro, arriveranno... pochi spiccioli.

MATTEO- Non li chiamerei proprio pochi spiccioli. Ma poi, gli intermediari sono sempre esistiti, hanno una loro figura giuridica. Io, caro signor... come si chiama...

GIULIO- Giulio.

MATTEO- Io, caro signor Giulio, io pago le tasse!

GIULIO- Lei è un cittadino integerrimo: i miei complimenti. Ma la realtà... finanziaria, impone a queste ditte, chiamiamole prestanome, una economia di gestione che le costringe a risparmiare su tutto: dai materiali, sempre scadenti ai salari, alle condizioni di sicurezza e igenico-ambientali per gli operai.

MATTEO- Esistono delle leggi che regolano i rapporti di lavoro.

GIULIO- Le leggi, si, le leggi esistono. Ma non esistono le autorità capaci di farle applicare.

MATTEO- I sindacati...

GIULIO- In Africa?! Sotto l'Equatore?... Dove non c'è ombra. Il sole ce l'hai proprio a perpendicolo sulla testa. Senza ombra un uomo è solo, non ha un riferimento, si appiattisce, scompare, diviene irreale in mezzo ad altre irrealtà: ectoplasmi che si muovono senza convinzione, manovrati da entità superiori, stroncati dal caldo, dalla sete, da quel sole implacabile che ti fa sudare e ti svuota di ogni tua personalità, tanto che arrivi a credere di essere solo un mucchio di carne e altre componenti biologiche, utile solo per eseguire un lavoro: avvilente, opprimente, costrittivo, mal pagato.

MATTEO- Mi permetta di contraddirla, giovanotto. Conosco molta gente che ha soggiornato in Africa e nessuno ha mai sofferto così.

GIULIO- Turisti, forse. Vivono in alberghi con aria condizionata, cibi e bevande adeguate. Sì sì, può essere divertente. Ma quando devi stare tutto il giorno, sì tutto il giorno perché gli orari sindacali non vengono mai rispettati; tutto il giorno, dicevo, in mezzo a un mare di sabbia infuocata che ti leva il respiro, con il frastuono delle scavatrici e dei camion che portano la ghiaia... sassi presi da chissà dove perché lì, a perdita d'occhio c'è soltanto sabbia... Oh, è bello, uno scenario incantevole: piccole ondulazioni tra il giallastro e il rosso vivo, ma quando il vento del deserto decide di alzarsi, quei granelli di sabbia sono milioni di aghi arroventati che ti si conficcano nella carne. L'inferno non deve essere molto dissimile.

MATTEO- Ma sa che mi fa venire la pelle d'oca... Ah già, dimenticavo: lei è un poeta. Il mestiere dei poeti consiste nel provocare sensazioni... forti.

GIULIO- Non c'è poesia, signor Matteo, non c'è poesia nell'autostrada dell'Equatore che ha già preteso le sue vittime prima ancora di essere aperta. Nessuno ne sa niente, che vuole: una tomba nella sabbia è facile a farsi; anche con le mani si può scavare una fossa. E quanti son tornati invalidi: il tanfo del catrame, mescolato alla polvere infuocata ti entra nei polmoni; il sole ti acceca, puoi mettere gli occhiali scuri ma dopo un po', il sudore impastato con la sabbia, ti fa venire le vesciche sul naso.

MATTEO- Tutte cose che si rimediano con una buona doccia!

GIULIO- Di acqua ce n'è solo un'autobotte e deve servire per dissetarsi e, soprattutto per impastare il cemento... Ma, finalmente, arriva la sera e si ritorna a casa.

MATTEO- Volevo ben dire: un poeta non dimentica mai la casa, gli affetti... Magari la mamma... Casa dolce casa. Casa mia casa mia, per piccina che tu sia...

GIULIO- Casa: parola dolce... ma laggiù, all'Equatore, la casa è rappresentata da una baracca; lontana da ogni centro abitato perché deve essere vicina al posto di lavoro; una baracca dove vivono un centinaio di uomini in condizioni ai limiti dell'umanità, con servizi e cibo che potrebbero ricordare un campo di concentramento. Questi uomini hanno pelli di diversi colori: nero o giallo, nelle varie sfumature. Con la pelle bianca, europei, siamo pochi: italiano ci sono solo io, ci sono poi due spagnoli e qualche polacco, iugoslavo...

MATTEO- Ma allora lei l'ha vissuta di persona, questa avventura! L'ho detto subito: questo è un poeta autobiografico!

GIULIO- Si, c'ero anch'io. Mi lasciai convincere, ero senza lavoro, senza programmi per il futuro, uscivo da una disgraziata esperienza affettiva... firmai e partii. Appena arrivato capii la situazione ma, senza soldi non potevo tornare indietro. E così ho vissuto due anni in quell'inferno, insieme a lavoratori del posto, indigeni che non hanno una organizzazione alle spalle, quindi pagati con pochi spiccioli, trattati come bestie.

MATTEO- Ma lei aveva un contratto, suppongo. Quindi avrà ricevuto quello che era stabilito.

GIULIO- Sì sì: fino all'ultimo centesimo.

MATTEO- E allora, scusi, di cosa si lamenta?!

GIULIO- Di niente. Potrei dirle che il salario mi veniva trattenuto quasi tutto per pagare il vitto e l'alloggio e quelle poche cose che si potevano comprare nello spaccio messo su dalla ditta. Anzi, ci davano anche qualche divertimento. Sì: la domenica arrivava un camion carico di donne. Donne, capisce! Follie! Doveva vedere che tipi: grasse con le carni flaccide, o magre allampanate; con la pelle di un colore indefinito tra il nero e il giallo, non si capiva bene se per diritto di nascita o per la sporcizia accumulata in tanti anni di professione nei più luridi bordelli africani o asiatici. Pelli sudaticce, untuose, corpi appena velati da pochi capi di biancheria stinti e strappati che, nelle loro intenzioni dovevano avere una funzione... ammaliatrice. Bocche sdentate, spaventosamente pitturate che con un sorriso orrendo ti promettevano, per pochi dollari qualche minuto di paradiso.

MATTEO- (Ironico). Aveva anche il divertimento!... (Concreto). Giovanotto: la sua vena poetica è affascinante e starei volentieri ad ascoltarla ma, come le ho già detto, ho molte cose da fare. Se vuole sintetizzare e dirmi cosa vuole da me. Ha dei reclami da fare?

GIULIO- No no, nessun reclamo. In fondo, il paradiso me lo sono goduto... e l'ho pagato caro: cinque minuti di paradiso in cambio di tutta una vita.

MATTEO- Non capisco. Io voglio aiutarla, signor Giulio: rintracceremo la ditta che ha costruito l'autostrada e se ci sono state delle irregolarità... Ma, se devo essere sincero, non ho ancora capito bene qual è il problema.

GIULIO- Il problema è soltanto mio... Ma non è un problema aritmetico: si impostano dei numeri, si fa una divisione, una moltiplicazione... e si va dal maestro con il risultato scritto in bella calligrafia sul quaderno a quadretti... Il mio problema, caro signor Matteo, non si risolve o, per meglio dire, si è già risolto. Nella maniera più sbagliata.

MATTEO- Continuo a non capire... e il mio orologio continua a girare... ineluttabile.

GIULIO- (Non raccoglie la facezia). Quelle gentili femmine, che la sua solerte ditta ci forniva, non erano certo delle vaghe pulzelle ma residuati della prostituzione più degradata, ormai avviate al meritato riposo dopo anni e anni durante i quali avevano soddisfatto le voglie di migliaia di maschi di ogni razza e ceto sociale; uomini sudati, sporchi per il lavoro o per l'incuria igienica Una mescolanza di fattori che porta inevitabilmente al contagio. Sa, quelle brutte malattie che un bel giorno, com'è come non è, te le ritrovi addosso e non puoi più liberartene: sei condannato!

MATTEO-on vorrà farmi credere

Non vorrà farmi credere che lei è contagiato... Ma non è possibile! È assurdo! Viviamo nel duemila! Ci sono tanti rimedi!... Andiamo, giovanotto: siamo seri, non mi va di scherzare.

GIULIO- Posso mostrarle i referti medici, ne ho una cartella piena. Mi sono sottoposto a esami, analisi, visite specialistiche: tutto è risultato positivo, nella forma più aggressiva e virulenta del male.

MATTEO- (Piccola pausa. Conciliante). Non deve prenderla su cotesto tono. Tutto si rimedia, la medicina al giorno d'oggi... Senta: ho un carissimo amico, medico, primario di clinica universitaria, andremo da lui. Domani. Anzi: telefono subito.

GIULIO- Non occorre. Me l'hanno detto... Sa una cosa? Ho scoperto che anche i medici sono un poco poeti: adoperano vocaboli che hanno una certa musicalità, forse per una naturale reazione alla loro professione così aridamente scientifica. Sa come mi hanno definito? (Pronuncia come se declamasse il verso di una poesia). Malato terminale... affetto da gravi turbe al sistema immunitario... Se chiudi gli occhi ti sembra di stare al centro di un bosco incantato con gli uccellini che cinguettano e gli scoiattoli che saltellano di ramo in ramo... In realtà significa che ho ancora pochi mesi di vita, forse settimane... e rappresento un serio pericolo per chi mi sta vicino.

MATTEO- Su, via... Troveremo un rimedio. Non si abbatta. Posso anticiparle dei soldi. Saranno cure costose...

GIULIO- Non ci sono cure. Devo solo aspettare. In fondo, che cosa è la vita... un'attesa... più o meno lunga.

MATTEO- Torno a ripeterle che sono sinceramente disposto ad aiutarla. Ma lei deve dirmi quali rimedi... cosa si deve fare... Altrimenti, scusi, perché sarebbe venuto qui da me?

GIULIO- Per vedere la sua faccia, per conoscere come è fatto chi può, così cinicamente giocare con gli esseri umani. Come al biliardo: la bilia del denaro e quella della vita umana. E se, per fare il punto, occorre mandare in buca la bilia della vita, non si hanno esitazioni: un bel colpo di stecca e via! Rimane sul tappeto verde il denaro, questo è l'importante.

MATTEO- Le ho già detto che non mi interesso di filosofia... Ci mancherebbe altro... Siamo concreti: posso aiutarla? Se si, mi dica in quale modo perché, francamente, comincio ad averne abbastanza!

GIULIO- Mi dispiace. Creda mi dispiace, signor Matteo, di averla infastidita con le mie peripezie. Ma ho quasi finito, anzi d'ora in avanti le racconterò qualcosa che la metterà di buon umore.

MATTEO- Ah, beh, faccia lei. Certo che ne avrei bisogno.

GIULIO- Vede... mi sono chiesto: perché non posso anch'io divertirmi e godere tutte le cose buone del mondo, le bellezze della natura, le albe, i tramonti, i colori dei fiori, il canto degli uccelli o il sibilo del vento, lo scorrere lento del fiume... le donne...

MATTEO- Bravo! Bravo, giovanotto! Sempre poeta ma bravo! La vita è fatta per essere goduta. Oggi! Domani non si sa. Bravo! Bravo.

GIULIO- E così, mi sono fatto la ragazza...

MATTEO- (Lo interrompe). Così ci si deve comportare! Bisogna godere ogni attimo, ogni istante... Ed è bella?... Mi dica, mi dica... Giovane, suppongo... Di queste parti? (Offre una sigaretta che Giulio rifiuta).

GIULIO- Si, è molto giovane, bella... ha il sorriso verginale delle Madonne quattrocentesche: Filippino Lippi o Raffaello... Capelli biondi, lunghi: un campo di grano maturo sul quale è bello distendersi e riposare...

MATTEO- Ma anche pronto per essere falciato! (Risatina maliziosa). Questi poeti!!...

GIULIO- Gli occhi celesti, profondi; a guardarli ti sembra di stare disteso nel mare, sull'onda appena increspata, con la faccia all'insù, vedi soltanto il sole e il cielo azzurro; l'acqua ti ricopre il petto, le spalle, le orecchie e così non avverti nessun rumore: sei solo con te stesso e con gli occhi della tua ragazza.

MATTEO- Beh, si... i poeti, si sa, gli occhi, i capelli ... (Con curiosità morbosa). Ma, dico, questa ragazza avrà anche un corpo...

GIULIO- Bellissimo. Forme perfette, una statua classica. No: più bella, se possibile... Fidia e Prassitele scolpirono figure bellissime, perfette nell'armonia delle forme, marmo quasi vellutato nella levigatezza delle curve. Belle ma fredde, senza vita. Ecco: ad una di queste figure meravigliose io ho alitato in faccia e questa statua dalle incantevoli sembianze, ha cominciato a vivere. Ingenua e maliziosa, seducente e riservata, allegra, tenera, rassicurante, calda, morbida, materna... amica... amante... la mia donna...

MATTEO- Bene! Bene, perbacco! Vedo che finalmente hai cominciato a capire la vita! Diamoci del tu: siamo fra uomini che hanno gli stessi desideri. Anch'io, sai, ho sempre amato le belle donne, non da poeta forse... ed anche ora che sono vecchio, che ho una moglie alla quale peraltro sono molto legato, ora che ho una figlia già grande, carina... Beh, insomma: anche ora, se mi trovo davanti una bella donna, sento ancora la molla che scatta, la scintilla che incendia... Vedi, hai fatto diventare poeta anche me! Caro Giulio, permettimi di chiamarti così, noi dobbiamo essere amici, noi siamo simili... Vuoi bere qualcosa? Un liquore, una bibita? (Apre il mobile bar, ne estrae un paio di bicchieri che dispone sulla scrivania, confidenzialmente senza vassoio. Porta un paio di bottiglie che offre alla scelta di Giulio). Ne berrò un goccetto anch'io. (Mesce. Brinda). Alla neonata amicizia!... (Beve). Si si, caro Giulio: noi ci assomigliamo.

GIULIO- (Ha accettato solo un goccio di liquore. Ora si associa al brindisi). Si, caro Matteo, siamo simili. (Beve)... Improvvisamente ho smesso di essere poeta e ho messo i piedi sulla terra: ben saldi. Ho deciso di non rispettare più niente e nessuno. Ho cominciato proprio da stamani: avevo uno scopo da raggiungere.

MATTEO- E l'hai raggiunto? (Giulio fa un vago cenno di assenso). Dai dai... Racconta racconta. Non fare il misterioso.

GIULIO- Stanotte ero molto agitato, forse a causa del male che sta invadendo a poco a poco il mio corpo. Non ce la facevo più e così sono uscito. Ho girovagato per le strade deserte, non ho incontrato anima viva, qualche lampione rotto mi ha suggerito la visione di monelli che tirano sassi e distruggono per puro divertimento.

MATTEO- Sai quanto spendono i Comuni per questi vandali... Ma prosegui, continua.

GIULIO- La città era tutta mia, mi apparteneva. Per la prima volta ho avuto la sensazione del potere; qualcosa che dà alla testa, che ti esalta. Allora ho deciso di essere duro e fermo nei miei propositi. La notte stava per finire, sono andato sull'argine del fiume, vicino al ponte del vecchio mulino, a vedere sorgere il nuovo giorno. La rugiada mi bagnava i capelli, le spalle; un freddo pungente cominciava a trapassare la camicia e ad aggredire la mia pelle: era bello... (Rallenta la recitazione: è la notte che finisce, qualcosa che muore). La luce dell'alba è irreale: non è più buio e non è ancora giorno, le immagini si appiattiscono, non hanno rilievo: è come uno scenario di teatro malamente dipinto e peggio illuminato, i rumori cessano, l'acqua del fiume non gorgoglia più, tutto è come sospeso, immobile: è la notte che finisce... così deve essere la morte. (Accelera a testimoniare la nuova vita del giorno che rinasce). Ma dopo un secondo, tutto ricomincia a vivere: la luce prende il sopravvento, l'acqua torna a scorrere con il suo frusciare un po' monotono; sull'argine i fili d'erba, ancora bagnati di rugiada cominciano a tendersi, su verso il calore della luce. Le cose prendono forma, rilievo, finché il primo raggio del sole nasce laggiù, dietro l'ansa del fiume... nasceva soltanto per me; me lo sono goduto tutto, ho sentito il suo calore che asciugava la rugiada che ancora mi bagnava i capelli... Dopo poco, era giorno fatto.

MATTEO- Beh, si: immagini meravigliose. Per quanto, io non ricordo di avere mai avuto occasione di assistere ad un simile spettacolo. Che vuoi farci, con il mio lavoro...

GIULIO- Ti capisco, povero Matteo. Ma non è mai troppo tardi: una mattina di queste, alzati e vai sul fiume quando è ancora notte. Siediti sull'argine e aspetta... aspetta che venga la luce, che si faccia giorno.

MATTEO- Proverò ma non te lo prometto... E... la tua ragazza?

GIULIO- Anna, si chiama.

MATTEO- Anna. Bel nome... Come è andata a finire?

GIULIO- È arrivata. Proprio lì, a quell'ora, le avevo dato appuntamento.

MATTEO- All'aperto. Tra i cespugli. Romantico! Ricordo che anch'io, da ragazzo... ma son passati ormai tanti anni...

GIULIO- Era meravigliosa, Anna. Un vestito leggero a fiori dai colori tenui, le modellava il corpo. Le braccia nude uscivano dal corpetto che prometteva, sotto uno scollo abbastanza castigato le mollezze rotonde e dolcissime su cui è bello poggiare il capo, come su un guanciale di velluto, prima di scendere il percorso ondeggiante e avvolgente fino alle ginocchia che apparivano nude sotto il bordo del vestito.

MATTEO- Non puoi dimenticare di essere un poeta... Continua.

GIULIO- Davanti alla natura che si ridestava, con il sole che cominciava a scaldare i nostri corpi, il vestitino a fiori dai colori tenui è scivolato giù e solo i lunghi capelli biondi, portati pudicamente sul petto erano un vago impedimento alla visione di quel corpo bianchissimo che si offriva alle mie carezze. Le braccia distese, le mani con le dita intrecciate costituivano l'ultima, ingenua difesa all'estremo baluardo che ogni uomo vuole conquistare.

MATTEO- E tu... tu... l'hai conquistato!

GIULIO- Si, l'erba ancora umida di rugiada è stato il nostro giaciglio, i vestiti buttati là alla rinfusa il nostro materasso. I capelli biondi, con il movimento del capo che si dimenava nell'attesa, si erano scomposti e impigliati nell'erba, gli occhi azzurri socchiusi, dicevano una promessa, tutto quel corpo mi si offriva... per la prima volta si offriva ad un uomo, in maniera completa, dalla morbidezza calda del seno alla prepotenza del ventre piatto.

MATTEO- Un corpo che si offre... Meraviglioso...

GIULIO- È durato... non saprei quanto... ore... o forse minuti... eterni... bellissimi, indimenticabili... (Smette di sognare). Poi, quel corpo ancora bianchissimo ha cessato di avere ogni interesse per me. Capisci, Matteo: era fatto... Abbiamo rimesso i vestiti ormai sgualciti. Le ho parlato, le ho detto che non ci saremmo più visti. Tanti ringraziamenti, una bellissima esperienza. Le ho detto di me, del poco tempo che ancora mi rimane; le ho detto della mia malattia, forse l'avevo contagiata.

MATTEO- Ma così, hai distrutto tutto!

GIULIO- Avevo raggiunto il mio scopo... Povera Anna, brava ragazza in fondo. Ma, così è la vita: tutti dobbiamo soffrire.

MATTEO- E questa ragazza, questa Anna, come se l'è presa?

GIULIO- Piuttosto male. Dapprima è rimasta immobile, incredula, con il sorriso indefinito di chi non capisce. Poi, di colpo, ha realizzato la verità: le mani nei capelli quasi a strapparli, gli occhi divenuti enormi globi al limite delle palpebre; la bocca, quella bocca meravigliosa, deformata in una smorfia terribile, spalancata per lasciare uscire un grido ma la voce non arrivava, tutti i muscoli tesi per liberare la sua angoscia. Alla fine è uscito un urlo altissimo, inumano, da bestia ferita... lo stesso che risuonava in Africa, sulla famosa autostrada, quando qualche povero negro finiva stritolato sotto un trattore.

MATTEO- Non divaghiamo, finisci il racconto. Cosa c'entra l'Africa?

GIULIO- C'entra, c'entra. A suo tempo, lo capirai.

MATTEO- Io non ho proprio nulla da capire... Ma quella ragazza... l'hai abbandonata, l'hai accompagnata a casa?

GIULIO- È corsa via urlando tutta la sua disperazione, parole sconnesse, senza senso; i capelli intricati ancora con qualche filo d'erba, il vestito scomposto, lo scollo strappato era ormai un invito indecente, quasi lussurioso per quanto faceva intravedere. La gonna lasciava abbondantemente scoperta una gamba ben sopra il ginocchio e dall'altra parte le arrivava fino quasi alla caviglia... Correva lungo l'argine, scalza; urlando è arrivata al ponte del mulino, è montata sul parapetto, stava per buttarsi in acqua. Due pescatori, appostati lì vicino sono riusciti a trattenerla e a farla scendere... Poi si è divincolata, ha ripreso a correre lungo l'argine... Sono tornato a casa, ho cambiato i vestiti e son venuto qui, a parlare con te, caro ingegnere.

MATTEO- E io ti ho ascoltato, con molto interesse... anche se, devo dire, non ho ancora capito tanto bene... Ma posso dirti, in tutta confidenza che hai fatto bene: le donne vanno dominate... A me, ti confesso, non è mai riuscito di fare impazzire una bella ragazza. (Sospiro di rimpianto).

SCENA 5

GIOVANNA - MOGLIE - MATTEO - GIULIO

(Durante tutta questa scena, Giulio rimane seduto, immobile, lo sguardo fisso nel vuoto, sulle labbra il sorriso soddisfatto di chi ha visto trionfare la giustizia).

GIOVANNA- (Entra da sinistra). MI scusi, ingegnere, c'è sua moglie. Dice che è una cosa urgente.

MATTEO- Mia moglie? (Si affaccia a sinistra). Vieni, vieni cara, entra. Che c'è?

MOGLIE- (Donna ormai matura, elegante. - Entra molto agitata). Matteo... Matteo... Oddìo Matteo, è successa una cosa terribile!

MATTEO- Cosa? Calmati e spiegati. Vuoi bere qualcosa?

MOGLIE- Oh no, Matteo: non è proprio il caso di mettersi a bere...

MATTEO- Vuoi sederti? Per l'amor di Dio spiegati: Cosa è successo?!

MOGLIE- Anna, nostra figlia! È impazzita!

MATTEO- Anna!? (Comincia a capire. Guarda la moglie poi Giulio). Cosa ha fatto?!

MOGLIE- L'hanno vista correre e urlare lungo l'argine, al ponte del vecchio mulino... Voleva gettarsi in acqua! Meno male sono riusciti a trattenerla.

MATTEO- Chi!?

MOGLIE- Due pescatori! Stefano il nostro vicino, si trovava anche lui lì, a pescare: ha visto tutto ed è corso ad avvisarci.

MATTEO- (Voce impersonale). Ed ora, dov'è?

MOGLIE- Si è rinchiusa in un capanno di pescatori, non vuole aprire a nessuno. Forse avvertiranno la polizia. Capisci Matteo?! La nostra bambina! Bisogna andare subito.

MATTEO- Si, andiamo.(A Giulio, con tutto l'odio possibile) Giovanotto! Noi, ci rivedremo! (Apre le braccia alla moglie che vi si rifugia).

MOGLIE- (Piange). Povera bambina, voleva morire... Cosa le sarà successo... Andiamo Matteo, andiamo, ha bisogno di noi... la nostra bambina... ha bisogno dei suoi genitori. (Esce, sempre abbracciata al marito).

SCENA 6

GIOVANNA - GIULIO

GIOVANNA- Una ragazza tanto calma, brava, bella... Così all'improvviso... Come possono succedere certe cose?

GIULIO- (Si scioglie dalla sua fissità. Si alza, si avvicina a Giovanna). Succedono... succedono.

GIOVANNA- Povero ingegnere... in fondo è un brav'uomo.

GIULIO- (Ironico). Sì, una brava persona... Non credo che tornerà molto presto... Il vostro pranzetto... eh, sì: lo vedo in pericolo.

GIOVANNA- (Accoglie di buon grado le attenzioni di Giulio). Quale pranzetto?

GIULIO- Rosticceria Lo Spiedino: pranzo per due, acqua non gasata, porzioni non abbondanti. (Imita la voce di Giovanna) Non abbiamo molto tempo per mangiare... Un vero peccato.

GIOVANNA- Hai ascoltato la telefonata.

GIULIO- La porta era rimasta aperta. Non volevo origliare ma, a volte non è proprio possibile farne a meno.

GIOVANNA- Sarà meglio che telefoni per disdire. (Si avvicina al telefono)

GIULIO- (Le prende la mano che cerca di sollevare il ricevitore). No... Pensavo: hai bisogno di un commensale. Eccolo qua... Resto io a farti compagnia.

GIOVANNA- Non vuoi proprio perder tempo. Ma se torna l'ingegnere...

GIULIO- Il povero ingegnere ne avrà fino a domani, se tutto va bene. Io invece, sono qua... e ho voglia di stare con te, per raccontarti di me, (le passa un braccio sulle spalle, lei lo lascia fare) per dirti chi sono, come passo il mio tempo... i miei progetti per l'avvenire.

GIOVANNA- Tutta una vita nel tempo di un pasto veloce

GIULIO- Non solo: il signor Raffaele, se ho ben capito, porterà il pranzo all'una, una e un quarto. C'è abbastanza tempo per approfondire fin da ora la nostra conoscenza. (Cerca di abbracciarla compiutamente. Lei rifiuta).

GIOVANNA- Come corri... potrebbero vederci.

GIULIO- Non c'è nessuno.

GIOVANNA- Può entrare qualcuno. La porta d'ingresso, di là nella sala d'aspetto, è aperta.

GIULIO- Esisterà una chiave per chiuderla.

GIOVANNA- Sì. (È eccitata per l'avventura che le si prospetta). Ce l'ho proprio qui. (Prende la borsetta).

GIULIO- Bene, che aspetti?... Vai... Io rimango qui... preparo l'atmosfera... Vai... (Giovanna esce con una risatina tra il vergognoso e l'accondiscendente. Giulio, rimasto solo, studia l'ambiente: sceglie come talamo, la scrivania di Matteo. Con un braccio la spazza rovesciando in terra carta, penna, portacenere e quant'altro sta su una scrivania, si toglie la giacca che getta su una sedia, quindi si pone a un lato della scrivania, sorriso di "giustizia è compiuta" sulle labbra, carezzando idealmente il corpo disteso di Giovanna, mentre cala il sipario).