Sulla porta

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Sulla porta

di Edith Bruck

PERSONAGGI:

Alessandro:                   professore di letteratura, tradut­tore, saggista. È tra i quaranta e i cinquant’anni. Per leggere e scrivere porta gli occhiali. Nella prima parte della commedia indosserà un abito che più tardi vedremo su un altro personaggio.

Miriam:                          sua moglie, aspirante scrittrice, tra­duce in poesia e in prosa dalla sua lingua d'ori­gine: l'ungherese.

Matilde:                         la domestica.

Fernando:                      anarchico, profugo spagnolo, per­seguitato politico in patria.

Andrea:                         funzionario della questura nell'ufficio stranieri.

L'azione si svolge in un appartamento centrale di Roma: oggi.

L'appartamento è composto delle seguenti stanze: soggiorno, studio, stanza da letto, cucina e bagno, collegate tra loro da un lungo corridoio. Ogni stanza è aperta sulla platea di modo che Vazione si può svolgere contemporaneamente in più punti e lo spettatore è in grado di seguire i personaggi nei loro spostamenti. Così, ad esempio, Alessandro e Miriam in bagno; o la donna a ore, Matilde, che presta servizio presso la coppia compirà azioni e gesti diversi in cucina           - (come: mangiucchiare fuori pasto, accendere la radio, bere, lavare i piatti, leggere i fumetti, rubacchiare dividendo equa­mente le provviste, metà per i « signori » e metà nella sua borsa) mentre i personaggi principali agiscono nelle altre stanze. Ogni tanto i dialoghi subiscono delle pause for­zate, e volute, per immissione di dischi o nastri di musica classica.

Il pretesto potrà essere una battuta a soggetto di Alessandro (il protagonista), come ad esempio: « Mi riposa », «Non esiste che la musica », ecc.

ATTO PRIMO

Miriam è seduta accanto alla scrivania che occupa una piccola parte del vasto soggiorno-pranzo am­mobiliato con lo stretto necessario e moltissimi libri. La stanza è resa allegra e familiare dai diversi cuscini colorati e dai ninnoli, ricordi di viaggi, sparsi un po' dappertutto. Nel soggiorno regna un ordine non comune. Da questa stanza è visibile un piccolo studio colmo di libri da cui proviene il ticchettio della macchina da scrivere. Miriam sta sfogliando un dizionario. Anche lei batte qualche frase sulla sua macchina da scri­vere. Si ferma per accendere una sigaretta. Guarda fisso davanti a sé; si muove sulla sedia; sembra indecisa se alzarsi o no. Guarda verso lo studio e ascolta il ticchettio che non s'arresta neanche per un attimo. Miriam scrive un'altra frase, poi la cancella subito, s'alza e va verso lo studio dove il marito ha smesso di battere; si ferma sulla porta perché il ticchettio è ricominciato. Miriam si risiede e a voce alta legge un  verso.

Miriam                           -  Usciva anche il latte... da essa? Esse? Usciva anche il latte da esse... perché avevamo una vacca. Esse o essa? (Gridando verso io studio del marito) Come si dice: essa o esse? I Voce di Alessandro. Che cosa?

Miriam                           -  Si può dire usciva anche il latte da esse?

Voce di Alessandro      - (irritato). Puoi spiegarti meglio? Di cosa parli?

Miriam                           - (con dolce timore). Parla di una vacca che suo padre possedeva e con quelle mani che sapevano fare di tutto mungeva anche le vacche, capisci?

Voce di Alessandro      - (impaziente). No.

Miriam                           -  Ha scritto un libro intero sulle mani di suo padre; dice che da esse o essa usciva anche il latte, chiaro? Voce di Alessandro. Nooo!

Miriam                           -  Parla delle mani di suo padre dalle quali esce il latte mungendo la vacca!

Voce di Alessandro      - (irritatissimo). Devi leg­germi tutto il verso, tutto quello che viene prima e dopo.

Miriam                           - (anche lei impaziente). Non vuoi capire, come al solito. Che t'importa di quello che viene prima e dopo? Voce di Alessandro. Per capire.

Miriam                           -  Quello che viene prima l'ho già tra­dotto e va benissimo.

Voce di Alessandro      - Vorrei capire anch'io.

Miriam                           - (legge con la voce tremolante). Usciva anche il latte da esse, o essa? Ma come si dice? Dimmelo e basta!

Voce di Alessandro      - (paternalistico). Abbi pa­zienza, m'interrompi, sto lavorando anch'io. Dopo tanti anni in Italia non hai ancora impa­rato la grammatica, la sintassi, le cose più ele­mentari, e scrivi in italiano: studia, ti ripeto ogni giorno, leggi, impara! Tu credi che io non lo faccia? Alla mia età? Sei impaziente, non mi ascolti, ma perché hai tanta fretta? Adesso ti sei messa a tradurre poesie! Credi che con l'entu­siasmo si risolva tutto? La traduzione è un'arte! difficile,.. Hai capito? Sei d'accordo? Mi capisci?  Miriam si chiude in un mutismo drammatico tenendo la testa tra le mani.

Voce di Alessandro      - Vieni, ti spiego tutto.) Vieni, piccola, rispondimi; non chiuderti, lo sai che il tuo silenzio è insopportabile per me.

Miriam resta seduta, immobile, muta. Entra nel soggiorno Alessandro. Ha un viso magro, marcato, tipicamente intellettuale. Va verso la moglie con passi morbidi e un sorriso un po' sforzato ma tenero. La giovane moglie non si volta verso di lui ma dall’altra parte. Il suo volto di slava esprime una tragicità e una tristezza che non si spiegano con questa piccola discussione col marito.

Alessandro                    -  Guardami. Cara, sii buona, leg­gimi quei versi.

Alessandro prende la coda di capelli biondi della moglie, fa/sa liberandole la nuca e si china per baciarla. Lei si tira un po' indietro, infantilmente.

Miriam                           -  Uffa!!

Alessandro                    -  Questa coda da gallina non cresce mai. (Ride).

Miriam                           -  Che m'importa?

Alessandro                    -  Sai d'avere una X sulla nuca?

Miriam                           -  Non voglio più tradurre, non voglio più scrivere; basta, ho finito! Non voglio più disturbarti, non avrò più bisogno del tuo aiuto in tutto.

Alessandro                    -  Uhh, che rabbia ha dentro la mia piccola! (Più energico) Vuoi sapere se è esse o essa? È una stupidaggine; ti prego... non de­moralizzarti per così poco.

Miriam                           -  Non usare quella voce.

Alessandro                    -  Guardami, quando si parla di la­voro può anche darsi che io abbia una voce di­versa, un tono che ti dà fastidio. Ma voi donne siete strane, avete una logica molto diversa.

Miriam                           -  Non dirmi sempre voi donne e non usare un altro tono quando si parla di lavoro. Per te, poi, il lavoro è sacro, sublime, è una splendida maledizione da cui ti fai spremere con una voluttà masochistica! Appena ti chiedo una cosa, invece di rispondermi semplicemente, t'irriti, ti chiudi, ripeti per la centesima volta che devo studiare con quella voce insoppor­tabile! Quando mi parli con quel tono, sai bene che mi dimentico di quel poco che so già.

Alessandro                    -  Forse hai avuto un insegnante che...

Miriam                           -  Non ho avuto professori di nessun ge­nere e non cercare sempre attenuanti e risposte nella psicoanalisi.

Alessandro                    -  Sei molto brava, lo sai quanto t'ammiro. Non preoccuparti, va avanti. A che punto sei? (Si china sul foglio e legge) « Usciva anche il latte da esse»; non essa, hai capito?

Miriam                           -  Non potevi dirmelo subito?

Alessandro                    -  Mi fai perdere del tempo.

Miriam                           -  Io? Sei tu che vuoi perdere tempo.

Alessandro                    -  Rileggimi tutto quanto.

Miriam                           -  Mi basta sapere se è esse o essa. Adesso vuoi controllare mille volte.

Alessandro                    -  È il lavoro. Non sono un maniaco.

Miriam                           -  Non posso, la ripetizione m'annoia, mi uccide; leggi se vuoi.

Alessandro                    - (legge). « Usciva anche il latte da esse, perché avevamo una vacca e, in cima al monte, un piccolo lotto di vigna ».

Miriam                           -  Quando leggi tu è più bello.

Alessandro                    - (entusiasta). Brava, funziona benis­simo! Adesso capisci quanto è difficile far fun­zionare la lingua? Brava!

Miriam è contenta. Sente il bisogno d'abbracciare il marito.

Miriam                           -  Come sei magrolino! Mi prometti di trascurare il lavoro ?

L'abbraccio viene interrotto da un lungo suono di campanello.

Alessandro                    - (spaventato). Aspetti qualcuno?

Miriam                           -  No, nessuno.

Alessandro                    - (andando verso il corridoio). Sarà uno dei tuoi ungheresi. Loro non sanno che esiste anche il telefono; ti piombano a casa a qualsiasi ora, di notte, di giorno. Ma da che paesi vieni!

Miriam                           - (gridando). Anche il telefono suona, ci sei o no ?

Alessandro                    -  Per nessuno!

Miriam                           - (alza il ricevitore). Sì, no, un momento, chi lo vuole? Sta per uscire, forse è uscito, un momento...

Alessandro                    - (urlando). Non ci sono!!!!

Miriam                           -  È uscito, mi dispiace. Sì, richiami pure. Buon giorno.

Alessandro ritorna nel soggiorno e fruga febbril­mente nelle proprie tasche.

Alessandro                    -  Ti ho detto che non esisto per nessuno. Sono esaurito, mi scoppiano delle lam­padine nella testa.

Miriam                           -  Ma è difficile dire che non ci sei quando ci sei, mi sento in imbarazzo, bugiarda. Chi ha suonato?

Alessandro                    -  Hai un po' di soldi da prestarmi? Chi era al telefono?

Miriam                           -  Ma chi è venuto e dov'è? Ti voleva un certo Renna.

Alessandro                    -  C'è uno sulla porta, dammi i soldi. Potevi anche chiamarmi, no? Cosa voleva Renna?

Miriam                           -  Chi c'è sulla porta? Ho ottomila, ti servono tutti?

Alessandro                    -  Sì. È un anarchico spagnolo, profugo.

Miriam                           -  Sono contenta che non è un ungherese. Chi gli ha dato il nostro indirizzo?

Alessandro                    -  Alberto.

Miriam                           -  Sempre lui! È molto generoso nel dare gli indirizzi, però a lui non costa niente!

Alessandro                    -  Io ho venti, tu otto. Possiamo dargli la metà?

Miriam                           -  Quattordici?

Alessandro                    -  Sì.

Miriam                           -  Dividiamo il ventotto per tre, no? Lui è solo.

Alessandro                    -  Solo? Con tutti i profughi? Dice che gli piacerebbe uscire dal campo e prendere in affitto una stanza ammobiliata a Roma.

Miriam                           -  Non gli bastano dieci? Che altro ti ha detto? E perché lo lasci sulla porta?

Alessandro                    -  Io ho da fare. Per fortuna è ta­citurno.

Miriam                           -  Come si chiama? È giovane, vecchio?

Alessandro                    -  Non so come si chiami, forse ha la mia età.

Miriam                           -  Non gli hai chiesto niente?

Alessandro                    -  Per carità! Non ho tempo. Mi ba­stano quattromila, dieci gliele do io. Miriam prende la propria borsa e gli dà quattro­mila lire. Alessandro s'avvia in fretta verso il corridoio. Miriam non sente altro che un gran rumore quando il marito chiude l'uscio dietro l'ospite inatteso.

Miriam                           -  Era contento? Poverino. Perché non mi hai fatto conoscere? Alessandro, mi senti? Alessandro!

Miriam capisce che il marito è scomparso con l'ospite. Non è la prima volta che scompare così improvvisamente perché Miriam s'inquieti troppo; solo rimane un po' male. Non ha tempo di pensare a tutte le persone scomparse dalla sua vita perché suona di nuovo il telefono e va a rispondere.

Miriam                           - (al telefono). Ciao, come stai? Male? Mi dispiace, anch'io non scoppio di salute, però ai miei guai mi sono quasi affezionata. (Ascolta) Niente di grave, vedrai. Ah, hai già fatto tutti gli esami? Solo tonsillite? Che buona notizia! Io? Avere la tonsillite, solo la tonsillite è una fortuna immensa! Sì, credimi, pensa a tutta la gente con delle malattie gravissime e ti senti­rai meglio e fortunata... Nei medici? Neanche io ci credo. Morire? Oh non è così facile! Auguri, ti abbraccio, devo lasciarti perché sta rientrando Alessandro che poco fa è scomparso. (Ascolta) Sì, è uscito senza dirmi una parola... No, non è terribile... Tu non sopporteresti? Nella vita in due questo è il minimo che può accadere... Non ti sposerai mai? Fai male. Eccolo, è già tornato. Ciao, ti chiamerò.

Alessandro entra nel soggiorno con un mucchio di libri nuovi.

Alessandro                    - (mostra uno dei libri). Questo è per te, è la Trilogia di Wesker: questo è sull'inva­sione della Cecoslovacchia.

Miriam                           -  Sei scomparso di nuovo? (Prende il libro in mano) La Cecoslovacchia! L'invasione non mi commuove, come non mi ha fatto effetto la cosiddetta rivoluzione nel '56 in Un­gheria.

Alessandro                    -  Sono due cose diverse.

Miriam                           -  Certo, ma il male non sta solo da una parte, anche loro hanno molti elementi reazio­nari. Il fascismo o l'antisemitismo non è mai estraneo a queste rivolte da una parte giuste, dall'altra no.

Alessandro                    -  Ma se eri indignata contro i russi!

Miriam                           -  Certamente lo sono, perché devono andarsene. Ogni paese faccia il proprio socia­lismo secondo le proprie esperienze, educazione e storia.

Alessandro                    -  A che proposito questa confusione ?

Miriam                           -  Non so perché ci preoccupiamo tanto, ogni paese ha quello che merita. Perché deve diventare questo problema il nostro pane quo­tidiano, anzi, la nostra brioche? Perché tutto sommato, discusso e concluso che noi non pos­siamo far niente, viviamo benissimo.

Alessandro                    - (interrompendola). Che vuoi dire?

Miriam                           -  Niente. Parlo come parlano tutti i no­stri amici.

Alessandro                    -  Non sai quello che dici. Sei la solita passionale. Devi 'seguire le cose senza troppa partecipazione e per carità non soffrire per tutto!

Miriam                           -  E tu perché voti comunista? Questo mi fa impazzire!

Alessandro                    -  È il meno peggio. Ti ho anche detto che l'America ha torto nel Vietnam e paradossalmente...

Miriam                           -  Ha ragione in Israele? È questo che vuoi dire? Per farmi piacere? Sono follie! Vi­viamo in un mondo di contraddizioni quotidiane. Anche i ricchi votano comunista, stando a quanto dicono nei loro salotti tra una coppa di champagne e l'altra, affondati in divani bianchi, soffici e costosi. Ma che cerchino di curare il loro senso di colpa con altri mezzi! Anche questo spagnolo! Credi che abbia detto la verità?

Alessandro                    -  Non so, ma calmati e cerca di ra­gionare.

Miriam                           -  Preferisci non indagare, gli sbatti la porta in faccia e con poche lire metti la tua coscienza a posto!

Alessandro                    -  Mi lasci lavorare? Posso andar­mene? Mi puoi dire cosa ti ha detto Renna al telefono ?

Miriam                           -  Gli ho detto che non ci sei!

Alessandro                    -  Forse ha capito che ci sono.

Miriam                           -  Figurati! Neanch'io capisco se ci sei o no, pur vedendoti e parlandoti.

Alessandro va verso il proprio studio.

Miriam                           -  Aspetta, un attimo solo.

Alessandro                    -  Cosa vuoi?

Miriam                           -  Questo cosa vuoi, per esempio, non è diretto solo a me; un cosa vuoi allo spagnolo, uno a Renna, uno alla famiglia, agli amici, al mondo. Ha telefonato anche tua madre.

Alessandro                    -  Già, devo chiamare la mamma.

Miriam                           -  Io vado a fare le spese, ciao. (Gli dà un bacio).

Alessandro                    -  Ciao, peste.

È il primo mattino. Non si vede che Matilde, la domestica, in tenuta di lavoro. È così piccola e tonda che quasi si perde nella grande poltrona del soggiorno dove è seduta. Ascolta la radio e legge un fotoromanzo.

Le trasmissioni radiofoniche sono occasionali. Con la presenza della domestica sulla scena avremo anche la radio da cui Matilde non si separa mai. Ascolteremo canzonette in voga, qualche notizia che la domestica non segue; oppure, s'affretta a cercare un programma di quiz, o altre cose. Quando Matilde lavora e ci sono Miriam e Ales­sandro, abbassa il volume della radio. Però canta a voce alta, appassionatamente. Suona più volte il telefono, ma Matilde resta seduta leggendo avidamente.

Alessandro                    - (grida dalla stanza da letto). Te­lefono!!!

Matilde                          - (alzandosi). Sì sì, ero in bagno, ri­spondo subito. (Alza il ricevitore) Pronto. Sì, è casa Moratti. Scusi, ma lei con chi vuol parlare? E chi è che lo vuole? Scusi sa, ma mi può dire il suo nome? Come? Come? Ah, vuole la si­gnora? Adesso vedo, forse è in bagno, è nella vasca, non può venire, però aspetti lì eh? Può aspettare ?

Appare Miriam in camicia da notte, stordita dalla luce e dal sonno.

Miriam                           -  Che c'è da discutere tanto?

Matilde                          -  Cercalo lei.

Miriam                           -  Chi è?

Matilde                          -  Mah, dev'essere una straniera, non ho capito il nome, ha detto Sardi, o Soroli, Sorbili. Porto la colazione?

Miriam                           -  Abbassi la radio. Uh, che mal di testa!

Matilde                          -  Anch'io, ho anche mal di denti, do­lori dappertutto. Dico che lei non è in casa?

 

Miriam                           - (al telefono). Si, pronto, sono io. Un maschio! Che bello! D'accordo grazie, verrò oggi. (Chiude. Alla domestica) Straniera? Ma è un uomo napoletano. È il fratello di Rita Sartori.

Matilde                          - (grida). Era una donna. Lo giuro, signora!

Miriam                           -  Era un uomo.

Matilde                          - (disperata). Giuro su mia madre, che io possa morire qui all'istante se non era una straniera. Io ho parlato con una donna, magari meridionale! Lei deve credermi!

Miriam                           -  Ci credo, ci credo. Vorrei la colazione qui e il giornale per mio marito.

Matilde                          -  Non può far così, lei deve credermi. Forse era uno scherzo, o un uomo-donna come ce ne sono tanti!

Miriam                           -  Va bene. Porti il giornale.

Matilde                          -  I giornali romani scioperano. Lei deve credermi, signora, io ho parlato con una straniera.

Miriam                           -  Vada a comprare un giornale di Mi­lano, di Napoli o di Torino.

Matilde                          -  Quelli li compera il professore quando scende. Poi quelli di Napoli non li legge mai!

Voce di Alessandro      - Che c'è da discutere? Vada a comperarmi un giornale qualsiasi di stamattina!

Matilde                          -  Sì, professore, mi cambio e scendo.

Voce di Alessandro      - Si cambia per andare qui di fronte?

Matilde                          -  Dove le porto la colazione?

Voce di Alessandro      - Nel soggiorno.

Matilde va in cucina, prende e porta il vassoio già preparato nel soggiorno. Entra Alessandro: pure lui è in pigiama. Ha pochi capelli che vanno in tutte le direzioni dandogli un'aria buffa, comica.

Alessandro                    -  Chi ha chiamato? (Si siede sul divano).

Miriam                           -  Rita ha avuto un maschietto, mi ha avvisato il fratello appena arrivato da Napoli. (Anche lei si siede accanto al marito).

Alessandro                    -  Rita ha un fratello?

Miriam                           - (versando due tazze di tè). Lo conosci benissimo!

Alessandro                    -  Io? Non l'ho mai visto in vita mia!

Miriam                           -  A volte mi spaventi, sei capace di dimenticarti anche della mia esistenza!

Alessandro                    -  Vuoi dire che sono un vecchio rimbecillito, smemorato, ti trascuro, vivo solo per lavorare e leggere, è così ?

Miriam                           -  Non ho niente da aggiungere. (Gli tocca i capelli) Hai i capelli arrabbiati: hai dormito male?

Alessandro                    - (calmò). Sono stanco. Capisci cosa vuol dire essere esauriti ?

Miriam                           -  Me lo ripeti da quando ti conosco!

Alessandro                    -  Dovevi sposarti con un impiegato, un commesso, un portiere, uno con orari e ferie sicure, scopate regolari e frequenti!

Miriam                           - (ridendo). Me l'hai detto anche questo più volte e ti ho risposto che ripeterei l'errore nella scelta.

Alessandro                    -  Scusami, so di darti molto meno di quello che hai bisogno, ho troppo da fare.

Miriam                           -  Sono molto brava, non faccio che ri­durre le mie esigenze, fra poco sarò autosuffi­ciente come te. La solitudine e la mancanza di figli mi spaventano sempre meno. Ricordi i primi tempi quando tu partivi senza di me?

Alessandro                    -  Cara... singhiozzavi come se an­dassi in guerra!

 

Miriam                           -  La mia dipendenza all'inizio e il troppo amore t'atterrivano. Ho fatto dei progressi, no?

Alessandro                    -  Eccome!

Miriam                           -  Con il risultato di una vita di solitudine in due!

Alessandro                    -  È l'ideale. Invece di lamentarti, devi ringraziarmi di averti insegnato a vivere anche da sola; l'ho fatto per il tuo bene, questo almeno lo capisci?

Miriam                           -  Forse, non so.

Alessandro                    - (sente i passi di Matilde che torna). Finalmente!

Entra Matilde con il giornale.

Alessandro                    -  Adesso mi lasci leggere? Perché mi fai parlare al risveglio?

Miriam                           -  Hai incominciato tu con l'autoaccusa! Ogni tanto parli a sproposito.

Alessandro                    -  Brava, bravissima, la tua anima slava è insostituibile. Fai bene a tradurre poesia!

Miriam                           -  A proposito, si deve dire sempre esse per le due mani del padre?

Alessandro                    -  Di che?

Miriam                           -  Madonna, non sai più di che cosa sto parlando.

Matilde va nello studio di Alessandro, pulisce e intanto canta la canzone che trasmette la radio.

Alessandro                    - (a Matilde). Non tocchi le mie carte, l'ho già detto mille volte! (A Miriam) Anche a te ho detto di non dire sempre Madonna! Non ti sta bene, sei straniera. Lascialo dire a noi italiani.

Miriam                           -  Anche gli stranieri hanno la stessa Madonna.

Alessandro                    -  Non tu, però. Perché non nomini il tuo Jehova?

Miriam                           -  A volte dubito del tuo ateismo, per di più sei razzista!

Alessandro                    -  Cara, voi vedete razzisti e perse­cutori dappertutto.

Miriam                           -  Perché parli al plurale? Ti ho già detto che non mi piace quando uno loda le qualità o afferma i difetti degli ebrei usando il plurale. Quando mai mi hai sentito dire: voi atei, o cristiani, o protestanti? Quando si parla di ebrei o negri, tutti usano il plurale, perfino un uomo come te! La gente è antisemita anche nel sub­conscio!

Alessandro                    -  Tesoro, mi fai leggere? Lo sai che parlare al mattino mi distrugge. Riprenderemo la discussione nel bagno. Tanto, mi vieni dietro come un gatto.

Miriam                           -  Infatti, tu mi respingi come fanno i gatti.

Alessandro                    -  E tu ritorni come fanno i gatti. Vieni vieni, gattina mia, su. (Miriam appoggia la testa nel grembo del marito. Lui l'accarezza distrattamente sfogliando il quotidiano) L'hanno arrestato, è terribile.

Miriam                           -  Chi?

Alessandro                    -  Panagulis. Speravo che fosse una fuga ben organizzata.

Miriam                           - (si solleva). Porci maledetti!

Alessandro                    -  Calmati.

Miriam                           -  Ognuno ha le proprie reazioni, non posso leggere o sapere per pura informazione. Disgraziati, fottuti!

Alessandro                    -  Ti disperi, piangi per gli israeliani, anche per gli arabi, per tutti!

Miriam                           -  Sì, per tutte le mostruosità umane.

Alessandro                    -  Le mie reazioni valgono le tue. Credi che io legga per pura informazione?

Miriam                           -  Non alludevo a te, però siamo tutti colpevoli.

Alessandro                    -  Forse, dato che facciamo parte della specie umana.

Miriam                           -  E indignarsi, che serve? Tutto è inu­tile, non si può fare niente.

Alessandro                    -  Uh, che mattinata! Vieni, par­liamo nel bagno mentre mi faccio la barba; devo uscire presto.

Miriam                           -  Usciamo insieme? Mi offri un caffè?

Alessandro                    -  Non so, ho fretta. Sì, va bene.

Miriam                           -  Come le altre volte? Mi hai lasciata per strada.

Alessandro                    -  Che importanza hanno queste sciocchezze ?

Miriam                           -  Non sono sciocchezze. / due s'avviano abbracciati verso il bagno.

Miriam                           -  La vita in due è fatta di piccole cose, per i grandi disastri abbiamo la forza di riserva.

Alessandro                    -  Siamo fatti diversamente. (Scom­paiono dietro la porta del bagno).

Miriam è seduta a tavola. Aspetta con impa­zienza che Alessandro finisca di parlare al tele­fono. Ogni tanto gli fa segno di chiudere, inter­rompere la conversazione interminabile. Si sente la musica che proviene dalla cucina. Alessandro annuisce, scuote la testa, cammina nervosamente trascinandosi dietro il filo in lungo e in largo attraverso il soggiorno. Si ferma e fa qualche movimento di ginnastica, buttando per aria una gamba, fa flessioni. Ha un aria talmente comica che Miriam scoppia a ridere.

Alessandro                    -  Polemici? Hanno rotto da tempo l'unità operaia! Sì, sì, sono scettico... Gli stu­denti? È una valutazione sbagliata. No, per me sono speranze utopistiche. Questi sono elementi solo parziali... Non esiste!... L'azione politica senza organizzazione è impossibile.

Entra la domestica e dà un'occhiata di rimprovero ad Alessandro.

Matilde                          - (a voce alta). Professore, si sbrighi!

Alessandro                    - (a Matilde). E lei abbassi quella musica, idiota! (Al telefono) Scusa, come di­cevi?... Già.

Miriam, stanca e affamata, incomincia a man­giucchiare.

Matilde                          - (a Miriam). Lo chiami lei, signora. Lo chiamano sempre all'ora di pranzo. Il risotto è sfatto. Gli dica di smettere.

Miriam                           -  Sta per chiudere.

Matilde                          - (piano). Adesso dirà che il risotto è cattivo, che il bicchiere puzza, il pane è vecchio. Mi sembra nervoso.

Miriam sorride verso la domestica che con gli occhi sollecita Alessandro a chiudere il telefono e gli fa segno di dare un'occhiata al risotto, di mangiare.

Alessandro                    - (sempre al telefono). D'accordo, riparleremo, sì, sì, arrivederci.

Alessandro si siede a tavola. È teso. Visibilmente esausto.

Miriam                           -  Finalmente.

Alessandro                    -  Volete lasciarmi in pace quando parlo al telefono? Mangia, t'ho già detto mille volte di non aspettarmi.

Miriam                           -  Chi era?

Alessandro                    -  Giorgio Pintus.

Miriam                           -  Un rompiscatole.

Alessandro                    -  È un ragazzo intelligente, un po' noioso come tutti i giovani che valgono qual­cosa.

Miriam                           -  Cosa vuole?

Alessandro                    -  Mi lasci mangiare? (Versa il vino nel bicchiere e beve un sorso) Questo bicchiere sa d'uovo.

 Miriam e Matilde scoppiano a ridere.

Alessandro                    -  Si può sapere che cosa c'è da ri­dere? Volete dire che sono un vecchio rim­bambito che non sente più neanche gli odori? Qui dentro qualcuno ha mangiato l'uovo. (Fa sentire il bicchiere) Sentite? È puzza... sì o no?

Miriam                           -  Non puzza.

Matilde                          -  Non puzza.

Alessandro                    -  Certo non può puzzare se l'ha lavato lei!

Miriam                           -  Anche il pane è vecchio, vero? Alessandro non capisce subito che la moglie cerca di prenderlo in giro dolcemente per calmarlo.

Matilde                          -  Le cambio il bicchiere.

Alessandro                    -  Le ho detto mille volte di non la­vare i bicchieri con quei detersivi micidiali. E mai possibile che nessuno m'ascolti?!

Matilde                          -  Non ho usato detersivi, lo giuro, pro­fessore. Vero, signora?

Matilde esce per prendere un altro bicchiere.

Miriam                           -  Tesoro, mangia. (Gli bacia la mano). Matilde rientra con un bicchiere lucidissimo.

Alessandro                    - (l'annusa). Questo sì, è pulito. Grazie,

Matilde                          -  Lei ha mangiato?

Matilde                          -  Moh, che ho mangiato!

Alessandro                    - (automaticamente). Che cosa ha mangiato?

Matilde                          -  Poco, niente. In questi giorni non mi va di mangiare.

Alessandro                    -  Se non mangia mai, com'è che è così tondetta?

Matilde                          -  Sono sempre stata, non da signorina però. Domandi ai signori Fraticelli dove pre­stavo servizio da signorina.

Alessandro                    -  Si segga, mangi con noi.

Matilde                          -  No no no, professore; anche la si­gnora mi ha detto tante volte di mangiare in­sieme quando lei è fuori.

Alessandro                    -  E perché non mangiate insieme?

Matilde                          - (con pudore). No, io mangio meglio per conto mio.

La conversazione tra Matilde e Alessandro che mangia e parla automaticamente viene interrotta da un lungo suono del campanello.

Matilde                          -  Sarà un profugo per la signora.

Alessandro                    - (sbottando). Porca Eva! Non si può mai stare in pace!

Matilde                          -  Apro? Dico che non ci siete?

Miriam                           -  Io ci sono.

Alessandro                    -  Lascia stare, vado io. (Si alza e va verso il corridoio).

Miriam                           - (gli grida dietro). Se è lo spagnolo, la­scialo entrare!

Alessandro                    -  Mangia.

Miriam e Matilde tendono l’orecchio per sentire chi è l’ospite inatteso. Dopo pochi secondi la porta si richiude rumorosamente e appare Alessandro molto turbato.

Miriam                           -  Chi era?

Alessandro                    -  Lui! Lo spagnolo, in compagnia di un altro. Mi hanno portato dei quadri da ven­dere. Per che cosa mi hanno preso, per un mi­lionario senza gusto?! Ci vuole coraggio per dire che quei quadri sono belli! A me! Detesto la cattiva pittura. La pittura è come la poesia, o è bella o è brutta, non esistono mezzi termini! Erano quadri orrendi!

Miriam                           -  Hai finito? Perché te la prendi tanto? Non fai che ripetere che erano brutti. Calmati e mangia, chiuso, finito.

Alessandro                    -  Non ho più fame, basta.

Miriam                           -  Gli hai dato un po' di soldi?

 Alessandro                   - (cammina su e giù). Per quei qua­dri? Siamo impazziti? Io, comperare quei qua­dri? Abbiamo il baule pieno d'acquisti del ge­nere! Non faccio che dare, dare, dare!

Miriam                           -  E non chiedi mai niente in cambio. Se tu chiedessi, anche gli altri ti darebbero.

Alessandro                    -  Io ho sempre lavorato, non ho chiesto mai niente a nessuno. Gli avrei anche dato due, tremila lire, ma erano in due, due uomini, perdio! Non gli si può fare l'elemo­sina! Alla vista di quei quadri, mi sono arrab­biato subito; che mostruosità! Ecco, mi è scop­piata un'altra lampadina!

Miriam                           -  Sei nel buio, perciò non sei ragionevole. Che altro potevano offrirti?

Alessandro                    -  Non dovevano offrirmi quei brutti quadri... Se vuoi va, corri a cercarli, non de­vono essersi allontanati molto, corri!

Miriam                           -  Chi li conosce?

Alessandro                    -  Già, tu non li hai mai visti. Non preoccupiamoci, chiuso, basta, sono calmissimo, ho voglia di mangiare.

Miriam                           -  Poveretti, forse hanno fame...

Alessandro                    - (mangia di malavoglia). È mai pos­sibile che uno non abbia un minuto di pace? Sono stanco, i rapporti diventano sempre più difficili, forse l'età? Anni fa sopportavo tutto, ricordi ?

Miriam                           -  Sì, eri meno insofferente, ma stanco sì, e le lampadine ti scoppiavano sempre nella testa!

Alessandro                    -  Non credo di pesare sugli altri. La mia stanchezza la tengo per me come i miei problemi; mi chiudo, mi isolo, non chiedo niente.

Miriam                           -  E per te dare è chiudere, liquidare una noia, non pensarci più. È così?

Alessandro                    - (ride). Io non do niente eh?

Matilde                          - (urla dalla cucina). Avete finito? Porto il caffè?

Miriam                           -  Uno dà anche quando riceve, accetta.

Alessandro                    - (a Matilde). Porti pure il caffè! (Alla moglie) Vuoi dire che dovevo accettare quei quadri orrendi?

Miriam                           -  E cosa abbiamo risolto? Siamo qui a parlare d'altro e pensiamo a loro.

Alessandro                    -  A chi?

Miriam                           -  Allo spagnolo e a quell'altro.

Alessandro                    -  L'altro, appena l'ho visto! Non so che faccia abbia, non ci penso affatto, sto be­nissimo. (Grida) Si può avere il caffè?

Matilde                          - (porta il vassoio col caffè). Ha ragione il professore! Quegli spagnoli tornino a casa loro, vadano a lavorare. Anche mio marito lavora! E tanto meglio se se ne vanno al loro paese: i posti servono anche a noi italiani.

Alessandro                    -  Sono profughi.

Matilde                          -  Mica sono rumeni, ungheresi o ceco­slovacchi come quelli che vengono dalla signora; adesso anche la Spagna è occupata dai russi? È una novità. La televisione non ha detto niente. Ho visto una cosa, ma era su un paese... non la Spagna, incomincia con la vu...

Alessandro                    -  Venezuela!

Matilde                          -  Sì sì, Venezuela!

Alessandro                    -  Ha visto cosa succede quanto uno lotta per la libertà e la giustizia? E la stessa cosa capita in Spagna! Capito?

Matilde                          -  Sarebbe meglio se ognuno si facesse i cavoli propri, senza impicciarsi nelle cose politiche.

Alessandro                    -  Matilde, lei mi delude. Speravo che lei avesse capito qualcosa vivendo in questa casa da cinque anni.

Matilde                          -  Da sei, professore; sono venuta nell'aprile del...

Alessandro                    -  Non ha capito niente.

Matilde                          -  Professore, le giuro che non ho vo­tato fascista come mio marito. Gli ho detto di sì, per fargli piacere.

Alessandro                    -  E per chi ha votato?

Matilde                          -  Il voto è segreto, non lo dico neanche a lei.

Miriam cerca con segni e occhiate di indurre il marito al silenzio.

Alessandro non le dà retta, continua a conversare con la domestica con indifferenza.

Alessandro                    -  E i vostri rapporti?

Matilde                          -  Che vuol dire rapporti?

Alessandro                    -  La batte ancora, o adesso vi amate ?

Matilde                          - (drammatica), Non mi crede, è geloso di uno che conosco, un amico. Professore, lui è vecchio, ha tredici anni più di me!

Alessandro                    -  È più giovane di me!

Miriam                           - (seccata). Forse se fossi scesa subito li avrei trovati.

Matilde                          -  La signora pensa a quei due.

Miriam                           - (al marito). E tu? Non ci pensi? (Alla domestica) Vada pure,

Matilde                          -  (Al marito, ap­pena la domestica s'allontana) Parli solo per parlare a vuoto.

Alessandro                    - (s'alza di colpo). Esco.

Qualche giorno dopo, Miriam è sola in casa. È sdraiata sul divano del soggiorno. Con lo sguardo percorre gli oggetti, i mobili, scopre una macchio­lina sul pavimento lucidissimo. S'alza subito e con il proprio fazzoletto fa scomparire la macchia. S'aggira nel soggiorno spostando e spolverando qualche oggetto. Si ferma accanto alla sua scri­vania. Prende il portacenere. Esce per vuotarlo. Ritorna e si siede per terra, sempre accanto alla scrivania. Apre uno dei cassetti. Prende una delle vecchie lettere; a caso. È senza busta. Resta se­duta all'indiana e legge la lettera a voce alta.

Miriam                           - (legge). « Carissima, sei un tesoro di ragazza. Ma è anche buffo vedere come non ci capiamo. Il nostro è un dialogo tra due sordi. Io ripeto sempre la stessa cosa, e tu le tue. Ho un lavoro cane. Sono giù di salute, veramente. Ieri sera sono stato al teatro (Brecht), a metà sono uscito. Sono stanco. Ho bisogno di dor­mire... Dormire, dormire... come Amleto. Grazie del tuo espresso. Ti ha dato la cura il dottor Manfredi? Ciao, piccola cara ragazza (so che non sei stata bambina o troppo poco). Sta se­rena. Un bacio, Alessandro ».

Miriam sente il rumore del chiavistello e corre incontro al marito come è nelle sue abitudini. Entrano nel soggiorno abbracciati. Hanno un aspetto melanconico. Si capisce che qualcosa li inquieta.

Alessandro                    -  Sei stata in casa tutto il giorno?

Miriam                           -  Sì.

Alessandro                    -  Niente?

Miriam                           -  No.

Alessandro                    -  Non angosciarti, si farà vivo. Tor­nerà, t'assicuro e ripeto che non gli ho detto altro; solo che non mi interessavano quei quadri. Mi ha cercato qualcuno?

Miriam                           -  Chissà come glielo hai detto! Quel giorno avevi già i nervi, per colpa di quella lunga telefonata con Giorgio. Avrai usato quella voce antipatica che infastidisce anche me.

Alessandro                    -  Non credere che io m'angosci meno di te, io che non ho mai rischiato niente per le mie idee politiche. La carriera politica mi lasciava fréddo, però avrei potuto fare di più, da giovane s'intende.

Miriam                           -  Fare si può sempre, e facciamo anche.

Alessandro                    -  Sì, qualche firma d[ protesta, di­scussioni sterili, un po' di soldi. È ridicolo, e i fatti non cambiano. (S'accorge della lettera che Miriam ha ancora in mano) Chi ha scritto?

Miriam                           - (sorride). È una vecchia lettera di tanti anni fa.

Alessandro                    -  Frughi sempre nel passato. But­tale via.

Miriam                           -  Te la leggo.

Alessandro                    - (spaventato). Per carità! Non t'ho mai chiesto delle tue avventure; puoi imma­ginare quanto interesse ho per la tua corri­spondenza!

Miriam                           - (legge). « Sei un tesoro di ragazza. Ma è anche buffo vedere come non ci capiamo. Il nostro è un dialogo tra due sordi ». Alessandro è impaziente, vuole andarsene, ma Miriam lo trattiene a forza.

Alessandro                    -  Basta, tesoro.

Miriam                           -  « Ho un lavoro cane, sono giù di sa­lute. Sono stanco. (Più in fretta) Ho bisogno di dormire. Dormire, dormire... come Amleto. Ciao, piccola cara ragazza », firmato?

Alessandro                    -  Da un rompiscatole! Ma dove hai pescato dei tipi così noiosi, così finti padri!

Miriam                           - (lo bacia). A palazzo Marignoli!

Alessandro                    - (incredulo). Quella sera eravamo in tanti, anche Alberto ti ha fatto la corte; il bam­bino eterno con la faccia da vecchio!

Miriam                           -  Tu non mi volevi...

Alessandro                    -  Spero che tu non voglia di nuovo rimproverarmi...

Miriam gli mostra la lettera e ride trionfante. Alessandro si mette gli occhiali. Stenta a rico­noscere la propria scrittura.

Miriam                           -  Visto?

Alessandro                    -  È avvilente. Ti scrivevo così?

Miriam                           -  Quando scrivevi!

Suona il campanello. Ambedue corrono ad aprire la porta. Rientrano delusi con un mucchio di ri­viste e giornali. Alessandro incomincia subito a cestinarli.

Alessandro                    -  Siamo affogati dalle carte. Questo portiere nuovo è un genio! Espressi e telegrammi giacciono in portineria e porta su questa robaccia!

Miriam                           -  Dovrei lavorare.

Alessandro                    -  T'aiuto un po', sei contenta?

Miriam                           -  È il più bel regalo che mi puoi fare!

/ coniugi s'avvicinano alla scrivania. Miriam si siede. Alessandro resta in piedi dietro di lei.

Alessandro                    -  Come puoi lavorare in questo di­sordine? Organizzati meglio!

Alessandro sposta i libri, dizionari, lettere, por­tacenere.

Miriam                           -  Lascia stare. Ognuno lavora nel pro­prio disordine, esteriore e interiore.

Alessandro                    -  Brava, però metti un cuscino die­tro la schiena, ti lamenti sempre dei dolori. Perché vuoi soffrire? (Le dà un cuscino) Un giorno ti regalerò una vera scrivania.

Miriam                           -  Sto bene, non voglio il cuscino.

Alessandro                    -  Vuoi star scomoda? A che punto sei?

Miriam                           - (legge). « Ignora l'onniscienza / la vo­lontà del padre onnipotente / il bimbo che mai vide / alzando gli occhi...»

Alessandro                    - (l'interrompe irritatissimo). Dopo vide virgola! alzando gli occhi virgola. Non si capisce niente!

Miriam                           -  Fammi finire!

Alessandro                    -  Come fai a leggere? Non senti che mancano le virgole?

Miriam                           -  Non m'importa niente delle virgole, te l'ho già detto mille volte! Le metterai tu dopo le tue virgole che non sono le cose più importanti del mondo! L'italiano è corretto, sì o no? Del resto me ne frego!

Alessandro                    -  Come parli?

Miriam                           -  Come tutti!

Alessandro                    -  Non devi trascurare l'importanza delle virgole. Dove corri?

Miriam                           -  Non so mettere le virgole, neanche i punti!

Alessandro                    -  Perché sei impaziente. Almeno ca­pisci quello che stai traducendo?

Miriam                           -  Noooo! Sono analfabeta! Non posso lavorare con te, Io sapevo. Quando fai così, le lampadine in testa scoppiano a me! Sono nel buio, già nel buio!

Alessandro                    -  Ti prego, non perdiamo tempo. Continua, piano però. Non capisco niente.

Miriam                           -  Finisco di leggere e capirai tutto, l'im­paziente sei tu.

Alessandro                    -  Hai messo le virgole dopo vide e dopo alzando gli occhi?

Miriam                           -  No! Ho dimenticato, non esistono re­gole per le virgole, ognuno le mette dove e quando gli pare e piace! Oggi si scrive anche senza queste maledette virgole!

Alessandro                    -  La poesia è un'altra cosa, non dire scemenze.

Miriam                           -  Ho finito. Non traduco più e quando sei con me in macchina non guiderò più!

Alessandro                    -  Che nesso ha la guida con la tra­duzione? Vuoi spiegarti?

Miriam                           -  Tu sai meglio di me che è la stessa cosa. Rimproverarmi per una virgola è come quando dici di mettere il lampeggiatore, cam­biare la marcia, star attenta e così via... Non capisco più niente, non so più guidare, e adesso non so l'italiano!

Alessandro                    -  Scusami, cara, scusami.

Miriam                           -  Ah, sì, ha telefonato Alfredo.

Alessandro                    -  Alfredo? Non conosco nessun Alfredo... Però vedi che ha telefonato qualcuno, poi t'arrabbi quando ti interrogo sulle telefo­nate. Cosa voleva?

Miriam                           -  Se non lo conosci, perché vuoi sapere?

Alessandro                    -  Per indovinare.

Miriam                           -  Ha detto che il commento va benissimo!

Alessandro                    -  E non mi dici niente?

Miriam                           -  Ho dimenticato.

Alessandro                    -  Fuma di meno, hai perso la me­moria. Che altro ha detto ?

Miriam                           -  Niente.

Alessandro                    -  Sei sicura?

Miriam                           -  Ti chiamerà stasera.

Alessandro                    -  Vedi che ti ha detto qualcosa?

Miriam                           -  No, gli ho detto che stasera sarai in casa e mi ha risposto che chiamerà. Vai pure, preferisco lavorare per conto mio. (Legge) « Mani simili a queste ».

Alessandro                    -  Cosa?

Miriam batte a macchina velocemente.

Miriam                           -  Ho finito! Metto un punto? Te la leggo, vuoi sentire? «Neanche adesso io so se Dio c'è. So soltanto, se ci fosse, cosa sarebbe il suo lavoro ».

Alessandro                    -  Come mai hai messo le virgole, e al posto giusto? Vedi che basta riflettere, avere orecchio come per la musica; è la stessa cosa!

Miriam                           -  L'ho fatto per istinto. Dopo la parola soltanto, uno deve riflettere per forza perché si parla dell'esistenza di Dio. Io mi fermerei del tutto! Ti piace?

Alessandro                    -  Non so, fammi leggere. (Alessandro si china a leggere).

Miriam                           -  Ti va?

Alessandro                    -  Brava, è molto bello.

Miriam                           -  Davvero? Sono felice! Mi porti al ci­nema?

Alessandro                    -  Adesso?

Miriam                           -  No, stasera. Me l'hai promesso tante volte, poi, all'ultimo momento, cambi idea.

Alessandro                    -  La contraddizione è la mia libertà! Stasera però ti porto, promesso. Ora vado a lavorare per me.

Miriam                           -  Sta con me...

Alessandro                    -  Se prima non mi volevi.

Miriam                           -  Anch'io cambio idea!

Alessandro                    -  O sto con te o ti porto al cinema. E adesso vado a lavorare.

Miriam                           -  Già, mai due felicità insieme! Devo scegliere una anche se ti costa poco darmene due insieme! Bisogna dosarla, eh?

Alessandro                    -  Stupidina mia, cara, rimango con te e ti porto anche al cinema. Sei contenta? Però, se ci ripenso, al cinema potresti andare anche con un'amica o un amico. Sì, preferisco lavorare. Meglio che uno di noi resti a casa. Potrebbe venire anche di sera, sei d'accordo?

Miriam                           -  Il portone è chiuso.

Alessandro                    -  E se telefona?

Miriam                           -  Non ha il numero. Suonano? Forse è lui! t|

Alessandro                    -  Sì, vado. (Va ad aprire).

Miriam resta in attesa.

Alessandro rientra; mostra un pacco di libri.

Alessandro                    -  Tutto qui. Cerca di lavorare.

Miriam                           -  Non hai detto che resti con me?

Alessandro                    -  Ho detto così? Non posso, cara, sono pieno di lavoro.

 Alessandro entra nel proprio studio e si siede.

Miriam                           - (gridando). Mi viene in mente lo zio. Ricordi? Ti spiava, non capiva in cosa consiste il tuo lavoro vedendoti leggere, prendere appunti dietro la scrivania!

Alessandro                    -  Che tesoro d'uomo tuo zio!

Miriam                           -  Come ridevo quando mi disse che non lavori ma stai seduto lì dentro per ore!

Alessandro                    -  Era simpatico. Ciao, ciao, fammi lavorare. Non ci sono per nessuno, intesi?

Miriam                           -  Sì, sì. Per tua madre ci sei?

Alessandro                    -  Uffa, sì sì. Anche per un certo Alfredo, hai capito? Bonetti.

Miriam                           -  Ho capito.

Ambedue incominciano a battere a macchina. Miriam con gran rumore e con due dita come Alessandro, solo che lui fa molto meno rumore e si ferma spesso a riflettere.

ATTO SECONDO

Sono passati diversi giorni. È sera. I coniugi sono a letto. Dalla parte di Alessandro che legge c'è un lume acceso coperto da un fazzoletto scuro per dar meno fastidio alla moglie che tenta di dormire. Alessandro con un brusco movimento tira fuori una gamba da sotto la coperta lasciando in parte scoperta anche la moglie che brontolando si ricopre. Dopo un po' Alessandro si tira su chinandosi verso il comodino; fruga nei cassetti in cerca di qualcosa. Miriam rimane scoperta di nuovo e di nuovo si ricopre con dei gesti bruschi. Alessandro finalmente ha trovato il tagliacarte e apre le pagine mano a mano che finisce di leg­gerle. A questo rumore ripetuto e fastidioso Mi­riam sussulta, si rigira nel letto con la speranza che Alessandro si accorga di quanto è insoppor­tabile questo rumore. Invece lui non ci pensa affatto, è beato, felice. Incomincia a frugare tra le dita dei piedi, si strappa pezzetti di pelle e unghie mettendoseli in bocca e masticando con un gusto non comune. Smette di tormentare i piedi e, prendendo un cerotto sul comodino, se lo mette sul dito letteralmente ferito. Mastica spensierato. Tira fuori anche l'altra gamba, unisce le ginocchia per appoggiare il libro che sta leg­gendo e, in questa posizione, ha le due mani libere e se le tormenta mangiandosi le unghie, strappandosi le pellicine e mettendosele in bocca. Fa anche degli strani rumori con le unghie. Si muove di nuovo, prende un altro cerotto per le mani. Se lo mette. Legge e mastica con gran pia­cere. Prende una sigaretta, l’accende e si guarda intorno cercando un portacenere.

Miriam                           -  Cannibale! Mettiti i guanti!

Alessandro                    -  Ah, non dormi? Mi dai il tuo portacenere ?

Miriam gli dà il portacenere. Alessandro continua a muoversi, agitarsi: tossisce, si gratta, strappa qualche pelo bianco dal petto.

Alessandro                    -  Questo non è il mio cuscino. (Prende subito quello della moglie e gli dà il suo) Ho sete.

Miriam resta in silenzio.

Alessandro                    -  Dormi?

Miriam                           -  Magari!

Alessandro                    -  Mi fai un piacere? Una bella limonata con molto zucchero. Io apro un po' la finestra. Questa stanza è un buco. Tu sei una stufa, riscaldi troppo il letto e per giunta hai freddo! Sei una donna ideale per l'inverno.

Miriam                           -  Cercatene una per ogni stagione, ma non aprire la finestra.

Alessandro                    -  È mai possibile avere freddo?

Miriam                           -  Se aprì non ti faccio la limonata.

Alessandro                    -  Grazie, cara, ma cerca di dormire. Miriam si alza e se ne va in cucina. Torna con la limonata per il marito.

Alessandro                    -  Metti lì. (Indica il comodino).

Miriam                           - (torna a letto). Fino a che ora intendi agitarti e strapparti pelle e peli, unghie e carne?

Alessandro                    - (ride). Non mi piace essere os­servato.

Miriam                           -  So quello che fai senza guardarti, anche quando sei lontano mille miglia! Chissà con quanto piacere pascoli quando non ci sono io!

Alessandro                    -  In quanta libertà, vuoi dire?

Miriam                           -  Mi hai promesso a mezzanotte di leg­gere un'ora. Sono le due, ho sonno.

Alessandro                    -  E chi t'impedisce di dormire?

Miriam                           -  Il fatto che tu non dormi e che non sei capace di leggere in silenzio senza acro­bazie notturne e questo rituale tormentarti mani e piedi. Calmati, controllati.

Alessandro                    -  Io! Sono calmissimo, sei tu che non riesci a dormire.

Miriam                           -  Tu calmo...

Alessandro                    -  Ancora dieci minuti, una volta....

Miriam                           -  Sì sì, leggevi fino all'alba, abitavi da solo, eri libero e, anche se dormivo da te, non osavo fiatare. Adesso da moglie legittima non faccio che protestare! Occupo troppo posto nella tua vita, è così?

Alessandro                    -  Hai una buona memoria, brava! Sei anche divertente però, non solo ingom­brante. (Le accarezza un orecchio).

Miriam                           -  Tu con il tuo silenzio e la tua autosuf­ficienza vuoi più di me che chiedo e parlo. E smetti di giocare con il mio orecchio, non sono un gatto! Non solo tu, ma anche il pensiero per lo spagnolo m'impedisce di dormire.

Alessandro                    - (continua a giocare e leggere nello stesso tempo). Tornerà, fammi finire questo ca­pitolo; so già che appena spengo la luce ti passa il sonno e ti metti a parlare. S'aggiusterà tutto, vedrai.

Miriam                           -  Vorrei dormire.

Alessandro                    - (spegne la luce). Ecco fatto! Non posso, non posso dormire su ordinazione. (Riac­cende la luce).

Miriam                           -  Neanch'io. (Accende anche lei, prende un libro e legge).

Alessandro sembra più sveglio che mai. S'alza. Esce. Accende una luce accecante sul corridoio. Entra nel bagno. Apre il rubinetto e grida.

Alessandro                    -  Hai sciacquato la gola con borossigeno? Vieni, te ne preparo un bicchiere.

Alessandro sì sciacqua la gola rumorosamente con lunghi gargarismi.

Miriam                           -  Non sciacquo niente, spegni la luce del corridoio!

Alessandro                    -  Ti farebbe bene, disinfetta.

Miriam invece di muoversi spegne le luci sul comodino. Alessandro entra in cucina. Apre il frigorifero. Prende una bottiglia di limonata. Cerca l'apri- bottiglia frugando nel cassetto del tavolo. Rientra nella stanza buia.

 

Alessandro                    -  Hai spento di nuovo? Fammi accendere, non posso bere nel buio. Cinque minuti, solo cinque.

Miriam                           -  Sono le due e trenta.

Alessandro                    - (accende). Scusami, hai ragione, bevo e spengo.

Beve in fretta qualche sorso e spegne la luce.

Alessandro                    -  Facciamo l'amore?

Miriam                           -  Adesso? No, no.

Alessandro                    -  Avvicinati cara, su, tu dormi se vuoi. Io ti metto dentro, mi riposa. Ti pro­metto di dormire anch'io.

Miriam                           -  Promesso?

Alessandro                    -  Cara, come sei calda. (Un breve silenzio) Sei sicura che nessun altro ha chia­mato oggi?

Miriam                           -  Vuoi saperlo adesso?

Alessandro                    -  Non t'arrabbiare, non ti chiedo più niente.

Miriam scoppia a ridere.

Alessandro                    -  Perché ridi? Dove vai? Voltati. A proposito, hai imbucato la lettera?

Miriam                           -  Quale?

Alessandro                    -  Se non vuoi far l'amore, pazienza, lo faremo domani. Buona notte, cara. Dove l'hai imbucata la lettera?

Miriam                           -  Alla posta centrale, nella buca!

Alessandro                    -  Non far così, ti prego, a che ora l'hai imbucata? Ti chiedo perché te lo dimen­tichi spesso.

Miriam                           -  Non oggi.

Alessandro                    -  Sei entrata? Fuori le buche sono sempre piene.

Miriam                           -  Sono entrata.

Alessandro                    -  E i francobolli?

Miriam                           -  Li hai messi tu, vorrei dormire.

Alessandro                    -  Ciao, tesoro, dormi. Vado nel soggiorno a leggere, non faccio rumore, mi taglio le unghie.

Miriam                           -  Di nuovo?

Alessandro s'alza e subito inciampa in una sedia.

Alessandro                    -  Ho bisogno di una forbicina, dove la trovo?

Miriam                           -  Dappertutto, siamo pieni di forbicine.

Alessandro                    -  Buona notte, cara. (Esce e chiude dietro di sé la porta).

Qualche giorno dopo. Miriam è seduta sul di­vano e sfoglia un quotidiano in attesa del marito. Ogni tanto tende l’orecchio a un fischio che pro­viene dalla strada. S'alza. Va verso la finestra. Dalla cucina si sente canticchiare Matilde in duetto con la cantante della radio. Miriam guarda l'orologio. Si appoggia al parapetto della finestra e rimane lì. Entra Matilde.  Si mette accanto a  Miriam.

Matilde                          -  Scommettiamo? Quella del profes­sore sarà la quindicesima automobile.

Miriam                           -  Mille lire?

Matilde                          -  Trecento.

Miriam                           -  È inutile, sta arrivando.

Matilde                          -  Io non lo vedo.

Miriam                           -  Ha grattugiato il formaggio?

Matilde                          -  No, al professore non piace.

Miriam                           -  A me sì.

Matilde                          -  Vado (Esce).

Miriam fa dei gesti di saluto al marito che posteg­gia la macchina. Lascia la finestra e corre per apri­re la porta. I due entrano insieme nel soggiorno.

Alessandro                    -  Non è venuto?

Miriam                           -  No, niente.

 Alessandro va verso il mobile dove ci sono i qua­derni, le rubriche e il telefono. Prende un qua­derno e cerca di leggere i nomi delle persone che hanno telefonato durante la sua assenza. Nono­stante lo sforzo, non sembra capire i nomi segnati da Matilde.

Alessandro                    -  Mi lavo le mani. (Alla domestica) Matilde!

Alessandro va a lavarsi le mani. Matilde entra nel soggiorno.

Matilde                          -  Sì, professore.

Alessandro                    - (dal bagno). M'aiuti a leggere quei nomi.

Matilde                          - (prende il quaderno). Hanno chiamato tutti questi, più uno poco fa, prima che la si­gnora rientrasse. È un nome che finisce con ni.

Alessandro                    - (rientra). Cosa?

Matilde                          - (tenta di leggere la propria scrittura). Tutti questi segnati: Baratti, Cop... Coppetti... Coppini, poi, Rim... Rimatti... Riatti, e uno che finisce con ni, Giannini, Marini; parlava in fretta non ho capito, solo il ni. Alessandro e la moglie si siedono a tavola.

Alessandro                    -  Sì metta qua accanto a me, Ma­tilde; cerchiamo di indovinare insieme questi nomi misteriosi.

Matilde                          - (trionfante). Uno è Leri, quello ha te­lefonato tante volte.

Alessandro                    -  Quando? Perché non me lo avete detto?

Matilde                          -  Quello lungo che è venuto anche a pranzo.

Alessandro                    -  Ho capito. E questo? (Indica un nome sul quaderno).

Matilde                          -  Ah questo era un'interurbana, non ho ben capito: è Milani da Milano, o Milano da Roma. Io penso che era Milano da Milano.

Alessandro                    -  Quello che pensa lei non m'inte­ressa. Cosa voleva?

Matilde                          -  Niente. Telefonerà un'altra volta.

Alessandro                    -  Quando?

Matilde                          -  Non so, non ho fatto in tempo a dirgli di telefonare all'ora di pranzo perché ha chiuso. Ah sì, ha telefonato un altro che non ha voluto dirmi chi era; forse uno di quelli che telefonano così; forse è un ladro! Io ho una paura qui in casa! Posso portare il riso?

Alessandro                    -  Porti pure. Ma perché avete fatto il riso di nuovo? Mi sembra di averlo mangiato anche ieri sera, o sbaglio?

Miriam                           -  Al salto, però.

Alessandro annusa il bicchiere.

Matilde                          - (entrando con il riso). Devo cambiarlo? Le giuro, professore, che non ho più usato i detersivi.

Alessandro                    -  Cos'è questa storia dei detersivi ?

Matilde                          -  Ha detto lei di non usarli.

Alessandro                    -  Già, per carità! La carne, però, non la mangio, non ho proprio voglia; formaggi e basta. (Annusa il riso) Che strano odore!

Miriam                           -  È riso.

Alessandro                    -  Questo lo so, ma ha uno strano odore, senti?

Miriam                           -  Preferisci due uova al pomodoro?

Alessandro                    -  Brava; sì, è un'ottima soluzione.

Miriam                           - (grida verso la cucina). Matilde, faccia due uova al pomodoro per mio marito.

Matilde                          -  Adesso?

Miriam                           -  Sì, adesso. (Incomincia a mangiare il riso).

Alessandro                    -  Lasci stare, Matilde, mangio anch'io il riso. (Mangia anche lui).

Miriam                           -  Hai chiesto in giro se per caso lo co­noscono ?

Alessandro                    -  Sì, nessuno ha saputo dirmi niente.

Miriam                           -  Se compravamo uno di quei brutti quadri, oggi avremmo potuto essere tranquilli.

Alessandro                    -  Lo so, lo so... (S'alza e controlla il funzionamento del telefono). I coniugi rimangono in silenzio. Ogni tanto Ales­sandro va verso il telefono e ricontrolla il fun­zionamento. Tendono l’orecchio ai rumori dei passi, all’ascensore, al suono del campanello dei vicini di casa. Solo Matilde è calma; cantic­chia ininterrottamente o semplicemente ascolta la radio che trasmette le solite canzonette, re­clame e quiz.

Alessandro                    - (smette di mangiare). Prendiamo il caffè e t'aiuto a tradurre.

Miriam                           -  Bene.

Matilde gli porta il caffè. Bevono in fretta. Mi­riam si siede accanto alla sua scrivania e Ales­sandro resta in piedi non proprio dietro di lei ma nelle vicinanze, camminando e fumando nervo­samente.

Miriam                           -  Vorrei tradurre una breve poesia di József Attila intitolata: «Epitaffio per un con­tadino spagnolo ».

Alessandro                    -  Com'è?

Miriam                           -  È molto bella. Mi è venuto in mente per via dello spagnolo. « Il generale Franco m'arruolò per essere un truce soldato, non ho disertato, per paura che mi farà fucilare. / Per paura, ho combattuto con l'esercito contro il diritto e la libertà, ai muri di Irun. E anche così mi ha raggiunto la morte ».

Alessandro                    -  Questo ha capito tutto già trenta anni fa! Ma tu non stavi facendo un'antologia d'amore?

Miriam                           -  L'amore! Gli amori d'Attila erano così disperati come tutta la sua vita. Era un genio, e s'è suicidato!

Alessandro                    -  Va avanti.

Miriam                           -  È tutto qui, sono quattro righe.

Matilde                          - (grida dalla cucina). Me ne vado, arri­vederci!

Miriam e Alessandro     -  Arrivederci.

Alessandro incomincia a mangiarsi le mani, il palmo, le unghie.

Miriam                           -  È presto.

Alessandro                    -  Sai che scappa sempre. Miriam, lo parlo di te, delle tue mani; se co­minci adesso, fino a stasera te le divori.

Alessandro                    -  Vado a mettermi i guanti.

Alessandro entra nel proprio studio. Si mette i guanti bianchi di filo ed esce.

Miriam                           -  Ti vanno bene?

Alessandro                    -  Preferisco quelli di seta, sono più leggeri.

Miriam                           -  Li ho cercati dappertutto inutilmente. Telefono! Rispondo io?

Alessandro                    -  Vado. (Prende il ricevitore) Ca­rissimo!

Miriam gli chiede con gli occhi se per caso è lo spagnolo. S'alza e si mette accanto al marito che ascolta e ripete « ... Sì, no, no, in una prospettiva storica, non mi riferivo all'umanesimo. Ah sì? L'ambiguità, secondo me risiede nel lettore, non nel criterio di classificazione. (Acconsente con la testa, ascolta). D'accordo sono valori approssi­mativi... Scusami, suonano». (Un lungo suono del campanello).

Miriam                           -  È lui! Apro?

Alessandro                    -  Ti richiamo, scusami, ciao. (Chiude il telefono. A Miriam) Abbiamo da dargli qual­cosa da mangiare?

 

Miriam                           -  C'è tutto, corri, apri! Miriam capisce subito che è lo spagnolo perché Alessandro accogliendolo sulla porta grida di gioia.

Alessandro                    -  Bentornato! Bravo! Carissimo! Vieni, vieni, anche mia moglie ti aspetta! Entrano nel soggiorno. Alessandro tiene la mano sulle spalle dell'uomo. Lo spagnolo è frastornato, intimidito da questa accoglienza inspiegabile. Barcolla, indietreggia. È la mano di Alessandro a tenerlo in qualche modo diritto in piedi.

Miriam                           -  Buongiorno. (Gli dà la mano). Lo spagnolo è vestito poveramente. È magrissimo. Nel viso lungo e scavato ha due occhi chiari im­pauriti. È di statura media. Ha la pelle chiara e pallida. Si inchina leggermente per salutare

Miriam                          -  Mormora un nome incomprensibile.

Miriam                           - (indicando la poltrona). Accomodatevi.

Alessandro                    -  Portaci da bere, forse qualcosa da mangiare, anche per me, m'è venuto appetito.

Lo Spagnolo                  -  (in cattivo italiano). Grazie tanto, ho sete, solo sete.

Alessandro                    -  Cosa bevi? (Con slancio) Possiamo darci del tu? Vuoi la birra? Aranciata? Forse qualcosa di forte?

Lo Spagnolo                  -  (disorientato). Birra. Alessandro corre a prendere una bottiglia di birra e gliela versa in un grande bicchiere.

Alessandro                    -  Sei sicuro di non aver voglia di mangiare qualcosa? (A Miriam) Offri da man­giare all'ospite! Non ne hai più di quelle pol­pettine così buone?

Miriam                           -  Ho tutto, non vuole.

Alessandro                    -  Va, prendi qualche polpettina; forse con la birra vanno giù facilmente. Vero, amico?

Lo Spagnolo                  -  Sono venuto...

Alessandro                    - (sempre eccitato lo interrompe). Sai... ero un po' stanco, scusami, mi perdoni?

Lo Spagnolo                  -  Ho dormito nei vagoni morti alla stazione. Roma è un po' umida.

Alessandro                    -  Sui binari morti. Vuoi un po' di salatini, noci? Pistacchio?

Miriam lo guarda e ha gli occhi pieni di lacrime.

Miriam                           -  Mangi qualcosa. Prosciutto jugoslavo? O salame ungherese?

Lo Spagnolo                  -  Anch'io sono stato in Jugoslavia, anche in Ungheria. Che bei posti, che gente buona.

Alessandro                    -  Dov'eri sparito?

Lo Spagnolo                  -  Non voglio più dormire nei va­goni, temo la polizia, non sono un vagabondo.

Alessandro                    -  .Sei andato da altri amici a chiedere sostegno ?

Lo Spagnolo                  -  Qualche compagno ha dato... poco. Sono venuto per chiedere dodicimila lire, ho bisogno di dodicimila.

Alessandro                    -  La mia giacca ti piace?

Lo Spagnolo                  -  La tua giacca?

Alessandro                    - (si toglie la giacca e gliela dà) Te la regalo, vuoi provarla? È ancora in buono stato... cachemire.

Lo spagnolo s'alza, toglie la propria giacca e si mette quella di Alessandro che gli sta un po' larga.

Alessandro                    -  È un po' larga anche a me. Camicie ne hai? E maglie?

Lo Spagnolo                  -  Mi servono dodicimila lire.

Miriam                           -  Lei può venire da noi quando vuole.

Alessandro                    -  Vado a prepararti una valigia di cose necessarie. (Esce).

Miriam                           -  Roma è davvero umida.

Lo Spagnolo                  -  La signora non è di Roma?

 

Miriam                           -  Non mi chiami signora, il mio nome è

Miriam                           -  Sono d'origine ungherese.

Lo Spagnolo                  -  Belle donne in Ungheria, bellis­sima gente, bella vita.

Miriam                           -  La vita?

Alessandro                    -  Ecco fatto! È una buona valigia. (Mette la valigia sul tavolo) Ti piace? Era la mia valigia preferita da anni. Vieni qua. (L'o­spite s'alza e va vicino ad Alessandro) Qui c'è di tutto: calze, mutande, maglie, camicie, fazzo­letti, pantaloni...

Lo Spagnolo                  -  Come per entrare in prigione.

Alessandro                    -  Scusa.

Lo Spagnolo                  -  Sei gentile.

Alessandro                    -  Sediamoci adesso, raccontami qualcosa.

Alessandro va a sedersi. L'ospite resta in piedi.

Alessandro                    -  Devi scappare?

Lo Spagnolo                  -  No, io no. (Mostra la sua maglia grigia e malandata) Adesso farò una doccia e mi cambierò.

Alessandro                    - (spaventato). Qui?

Lo Spagnolo                  -  Ho preso una stanza in affitto.

Alessandro                    -  Hai fretta di andartene, eh? Anche io ho daffare.

Lo Spagnolo                  -  La doccia si paga a parte, due­cento lire.

Alessandro                    -  Le docce te le offro io per un mese intero! Ti do ventimila, va bene?

Lo Spagnolo                  -  Mi servivano dodici, venti vanno bene.

Alessandro                    -  Vado a prenderti carta, matita, qualche libro.

Alessandro entra nello studio e raccoglie tutto quello che gli capita sottomano.

Lo Spagnolo                  -  Grazie.

Alessandro                    -  Ecco, ti do anche un accendisi­gari, fiammiferi...

Lo Spagnolo                  -  Devo cercarmi un lavoro, potrei tradurre. Sono stato a Milano dove mi hanno promesso un lavoro.

Alessandro                    -  Milano? La mia città natale. Viaggi eh? Bravo! Fai bene ad andare a Mi­lano; è una città solida.

Lo Spagnolo                  -  Con questa giacca troverò lavoro più facilmente.

Alessandro                    -  Be', non ti trattengo. Devo dirti che quei quadri erano brutti davvero.

Lo Spagnolo                  -  Il mio compagno è un pittore.

Alessandro                    -  Come pittore ti piace?

Lo Spagnolo                  -  È un compagno; devo aiutarlo.

Alessandro                    -  Che numero di scarpe porti?

Lo Spagnolo                  -  Ho piedi piccoli, quaranta.

Alessandro                    -  Ti andranno benissimo le mie. (Si toglie le scarpe).

Lo spagnolo si siede per provarle.

Lo Spagnolo                  -  Ti togli di dosso?

Alessandro                    -  Ne ho altre due paia!

Lo Spagnolo                  -  Me ne andrei...

Miriam                           -  Ho io diecimila lire, vuoi?

Alessandro                    -  Già, certo, i tuoi soldi. Ecco. (Gli dà ventimila lire) Siamo stati un po' insieme. Torna presto. Chiudo la valigia e ti accompa­gno. È una chiusura difettosa, ecco fatto!

Miriam                           -  Hai messo nella valigia asciugamani e sapone?

Alessandro                    -  No.

Miriam                           -  Aspetta, vado a prenderli.

Miriam entra nel bagno. Apre un armadietto e tira fuori due pezzi di sapone. Uno è molto grande, di forma ovale. L'altro è piccolo; quadrato. Aspira il profumo di quello grande, poi lo rimette nell'armadio. Resta lì, però, ferma e indecisa. Prende di nuovo il sapone grande e rimette quello piccolo nell'armadietto. Questo gesto lo ripete più volte senza  poter decidere quale dei due dare all’ospite. È una crisi vera e propria di fronte a una scelta così insigni­ficante eppure decisiva per lei, che deve superare l’istinto egoistico che non le permette di regalare quel pezzo di sapone di lusso. La lotta dura per un po', infine riesce a superare la propria meschi­nità ed entra trionfalmente con il sapone grande. Entrando s'accorge che l'ospite ha indosso una scarpa di Alessandro e una sua. Si mette a ridere indicando i piedi dell'ospite. Finalmente ride anche l'ospite scoprendo una fila di denti aguzzi, quasi vampireschi.

Miriam                           -  Ah, l'asciugamano! (Rientra con tre asciugamani piuttosto usati). Alessandro sistema tutto per bene nella valigia, mentre lo spagnolo cambia la scarpa rimettendo quelle vecchie sue.

Lo Spagnolo                  -  (più sciolto). Tua moglie capisce tutto.

Alessandro                    -  È una brava ragazza. (Dà una ca­rezza a sua moglie e un colpo sulle spalle magre dello spagnolo).

Lo Spagnolo                  -  Me ne vado.

Alessandro                    -  T'accompagno. (Lo spinge legger­mente verso il corridoio).

Lo Spagnolo                  -  (dà la mano a Miriam). Vi ho disturbato.

Alessandro                    -  Per carità! Hai fatto benissimo a venire, va' senza ringraziamenti, anzi: io e mia moglie ti ringraziamo.

La porta si chiude dietro il tanto atteso ospite. Alessandro torna nel soggiorno saltellando di

gioia.

Alessandro                    -  È fatta!

Miriam                           - (l'abbraccia). Mannaggia a lui. Ti con­fesso che non riuscivo più a pensare ad altro.

Alessandro                    -  Proprio a te devono capitare queste

cose.

Miriam                           -  Hai sofferto anche tu.

Alessandro                    -  Per altri motivi.

Miriam                           -  Che differenza fa?

Alessandro                    -  Niente.

Miriam                           -  E se dopo tutto ci ha ingannati?

Alessandro                    -  Comeee!! Hai detto che ci ha ingannati!

Miriam                           -  No, non ho detto così, non so perché mi ha attraversato la mente questo pensiero.

Alessandro                    -  A me non verrebbe mai in mente una cosa del genere. Voi donne siete sospettose, sbagliate.

Miriam                           -  Scusami, però voi uomini siete ciechi! Vi si può ingannare con una facilità, tu poi! Semplicemente rifiuti il sospetto e neghi l'in­ganno, vivi sulla fiducia senza indagare.

Alessandro                    -  Vuoi minacciarmi con il tradi­mento? Io non ti chiedo mai niente, sei tu ad autocensurarti!

Miriam                           -  Non alludo a noi.

Alessandro                    -  E va', vai a cercarti questa famosa avventura per cui spasimi tanto! Non sopporto una moglie infelice!

Miriam                           -  Smettila! Se fossi infelice sarei già lon­tana da qui.

Alessandro                    -  Allora perché mi minacci?

Miriam                           -  Io? Sei tu a sentirti minacciato!

Alessandro                    -  Io ho sempre vissuto sulla fiducia.

Miriam                           -  No, ti rifugi nella fiducia, è il tuo bunker, è l'utero materno, è una scelta! Io non ho tutto questo. Sono più indifesa di te, perciò so­spetto; chiaro?

Alessandro                    -  Chissà quanti, in passato, ti hanno ingannata...

Miriam                           -  Il passato conta, le esperienze non si cancellano e bene o male devono insegnarci qualcosa.

Alessandro                    -  Parli come il tuo avo re Salomone!

Miriam                           -  La tua saggezza viene dalla tua cultura, ma in certi casi vale più l'esperienza.

Alessandro                    -  Perché gridi? Detesto le donne che gridano. Chiudiamo l'argomento.

Miriam                           -  Non lo abbiamo mai aperto. Non hai parlato neanche con lo spagnolo, che sappiamo di lui? Non fai che fuggire dalla gente.

Alessandro                    -  Certo, a te piacerebbe sapere vita e morte di tutti, parli con i vicini, con il frutti­vendolo, il fornaio, il parrucchiere, i macellai...

Miriam                           -  Sei un classista? Se hai detto tu che è la mia ricchezza. Certo voi intellettuali salutate a malapena il vostro portiere ma votate comu­nista. T'ho anche detto mille volte di non dire macellai in senso spregiativo!

Alessandro                    -  Scusami, forse i tuoi parenti ma­cellai sono dei filosofi, come tuo cognato fornaio che legge Marx; da noi in Italia è diverso. Lo ammetto, hai ragione, ti chiedo scusa. Alessandro prende la mano della moglie e la bacia più volte.

Miriam                           -  Sai cosa mi ha chiesto oggi il mio for­naio? Se Israele è la capitale d'Egitto.

Alessandro                    -  E tu?

Miriam                           -  Magari! Almeno fossero amici, non nemici mortali.

Alessandro                    -  Se viene lo spagnolo quando sono fuori casa, meglio se non lo fai entrare.

Miriam                           -  Non ti capisco. Perché?

Alessandro                    -  È meglio.

Miriam                           -  Se uno bussa s'apre la porta, se uno chiede gli si dà qualcosa.

Alessandro                    -  È un proverbio ungherese?

Miriam                           -  Me l'ha insegnato mia madre.

Alessandro                    -  Era molto religiosa?

Miriam                           -  Non confondiamo la religione con la bontà spontanea e umana. Ogni religione stru­mentalizza e appropria quei pochi lati buoni che l'uomo ha per natura e che non han niente a che fare con le religioni. Come non puoi chia­mare socialismo il regime attuale di certi paesi: è un socialismo importato, imposto, che non può funzionare perché il socialismo riguarda l'in­dividuo e la propria coscienza. È un sentimento! Ecco, ho trovato la parola giusta.

Alessandro                    -  Sei adorabile.

Miriam                           -  Mi consideri una deficiente!

Alessandro                    -  I grandi problemi sociali non si risolvono con i sentimenti.

Miriam                           -  No?! Invece attraverso la dittatura, sì? Poveri illusi, ciechi, sordi, ottusi!

Alessandro                    -  Come mai t'occupi di politica?

Miriam                           -  E chi se ne occupa? Entra in casa e ci guasta la vita, giorno per giorno. Non ab­biamo la possibilità di far niente, siamo impo­tenti anche nelle minime cose, perciò siamo così come siamo.

Alessandro                    -  La tua serietà mi spaventa.

Miriam                           -  Anche me. Voglio sapere la verità su quelli che fanno veramente qualcosa, per esem­pio sul

Lo Spagnolo                  - 

Alessandro                    -  È necessario?

Miriam                           -  È indispensabile.

Alessandro                    -  Non deve diventare un'ossessione.

Miriam                           -  Tra i tanti dubbi che ho, vorrei risol­vere almeno questo.

 

Alessandro                    -  La prossima volta, gli chiederò delle cose precise.

Miriam                           -  Devi interrogarlo con dolcezza, chissà che terrore ha delle domande. Io voglio sapere la verità.

Alessandro                    -  Vuoi dire che io la temo?

Miriam                           -  Non ho detto questo.

Alessandro                    -  Non mi sembra un uomo facile, è chiuso, anche sospettoso.

Miriam                           -  Vorrei seguirlo, scoprire dove alloggia, come vive.

Alessandro                    -  Non dire sciocchezze. Adesso po­tresti parlare e fantasticare per ore; in questo non ci somigliamo davvero!

Miriam                           -  Per fortuna! Se tu mi somigliassi non potremmo vivere insieme perché faccio una fa­tica bestiale a sopportare me stessa.

Alessandro                    -  Cerca una poesia d'amore, mettiti a tradurre tranquilla, io vado a lavorare per me.

Miriam                           -  Mi ossessionano anche le virgole. Alessandro se ne va nello studio. Miriam si siede. Sfoglia un libro. Si alza di colpo.

Miriam                           -  Esco.

Alessandro                    -  Fai bene, va pure. (Batte a macchina).

Miriam                           -  E dove vado?

Alessandro                    -  Dove vuoi. Fai un giretto se non riesci a lavorare.

Miriam va a dare un bacio al marito che gli offre la fronte continuando a battere con le mani inguantate. Miriam in un paio di mutandine nere siede a rovescio di fronte alla finestra. Sta prendendo il sole sulla schiena, con la testa piegata sullo schie­nale della sedia. È immobile. La domestica appa­recchia per il pranzo. Entra ed esce dal soggiorno senza far commenti a voce, però dà delle occhiate di continuo verso la signora quasi nuda. Miriam controlla la tintarella sulla schiena e si volta per prendere un po' di sole davanti. Al rumore della chiave nella porta, istintivamente si copre il seno. Entra Alessandro.

Alessandro                    -  Perché sei così? È una novità?

Miriam                           -  Sto prendendo un po' di sole! Non mi vede nessuno.

Alessandro                    -  Vestiti.

Miriam                           -  Come sei noioso! Non posso truccarmi, non posso mettermi la minigonna, neanche a casa mia posso stare nuda. Per una moglie nulla è permesso.

Alessandro                    -  Questione di gusto.

Miriam                           -  No, di moralismi in famiglia. Non fa

Alessandro                    -  D'estetica. suona -

camicie

Miriam                           -  No, anche a te piacciono le mini­ gonne sulle altre. Miriam

Alessandro                    -  Sulle giovani. Alessa

Miriam                           -  Sei offensivo. Per me anche questo è un fatto di libertà: ognuno si vesta e si conci^^ ^ come gli pare e piace. iertinei

Alessandro                    -  Non mia moglie. :e, ciaa

Miriam                           -  Non ho voglia di discutere. (Suona Haessan telefono) Rispondo? noglie e

Alessandro                    -  No, copriti. (Miriam va a vestirsi).^1RlA^ Entra Matilde per rispondere al telefono. arella.

Matilde                          -  Sì, non so, un momento. (Ad Ales\LEssA> sandro) Cercano lei, cosa dico? ta cam

Alessandro                    -  Chi è?

Miriam                           -

Vlessan hina. N

Matilde                          -  Dottor Ferri. Alessandro va a rispondere di malavoglia.

Alessandro                    -  Buongiorno a lei. Sì, d'accordo, pi mi va bene alle sette.

Miriam                                     -

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 Non fa in tempo ad allontanarsi che il telefono suona di nuovo. Entra Miriam con indosso una camicia indiana cortissima.

Miriam                           -  Rispondo?

Alessandro                    -  No. (Alza il ricevitore) Pronto, ciao... bene, benissimo. Sì, sì, rileggimi, ti ascolto... Come? Sì, virilità è tra virgolette, come causa. Sì certo, anche assistenza, lavoro, pertinente e contenuti teorici oggettivi. Grazie a te, ciao.

Alessandro va a sedersi a tavola accanto alla moglie che ha incominciato a mangiare.

Miriam                           -  Hai visto? Ho preso un po' di tin­tarella. %

Alessandro                    - (mangia con poco entusiasmo) Que­sta camicia ti sta benissimo.

Miriam                           -  Ne ho comperata anche un'altra rosa.

Alessandro                    -  Compri compri, sei una formichina. Non ho molto appetito oggi. (A Matilde) Porti pure il caffè.

Miriam                           -  C'è qualcosa che non va?

 

Alessandro                    -  Sono stanco. (S'alzano per sedere sul divano).

Matilde                          - (entrando con il caffè). Stamattina è passato lo spagnolo.

Alessandro                    -  Cosa voleva?

Matilde                          -  Se non lo sapete voi! Torna adesso, mi ha detto così. Ecco è già arrivato. (Suona il campanello).

Alessandro                    - (a Matilde). Faccia entrare. (Alla moglie) Devo liquidarlo subito, ho un mucchio di cose da fare. Devo anche uscire.

Matilde                          - (grida dal corridoio prima di aprire la porta). Quando me lo sono visto di fronte sta­mattina ho creduto di vedere lei, professore. Era vestito con la sua roba!

Lo spagnolo accompagnato da Matilde entra nel soggiorno. È vestito da capo a piedi con le cose regalategli da  Alessandro. Saluta la coppia e si siede familiarmente.

Alessandro                    -  Come stai? Mi sembra che tu stia meglio.

Lo Spagnolo                  -  (si guarda gli abiti). Anche tu sei magro.

Alessandro                    - (grida a Matilde). Un'altra tazza! (All’ospite) Ti va di bere un caffè?

Lo Spagnolo                  -  Non sono venuto per me. Per un mio compagno, ha bisogno di settemila lire. Devi scusarmi, non so da chi andare.

Alessandro                    -  Hai trovato lavoro? E Milano? Sei stato a Milano?

Lo Spagnolo                  -  Sì, per due giorni. Ti chiederei qualche buon indirizzo a Milano. Tu sei di lì, vero?

Alessandro                    -  Sì, però ho lasciato Milano tanti anni fa, ho pochi amici, qualche compagno d'università: meglio non rivederli; sono incontri disastrosi! Ma dimmi di te. Cosa fai, dove vivi?

Lo Spagnolo                  -  Adesso sono in un gruppo che comincia a organizzarsi anche qui. Abbiamo contatti con l'estero, anche per questo è neces­sario avere più mezzi. Mi puoi dare settemila?

Lo spagnolo parla a bassa voce e si guarda intorno come se temesse qualcosa. Entra Matilde per riprendere il vassoio e dà un'occhiata dura all'ospite.

Matilde                          - (al suono del telefono). Professore, ri­sponde lei?

Alessandro                    -  Non ci sono! E neanche mia moglie.

Lo Spagnolo                  -  Non vorrei disturbarvi.

Alessandro                    - (a Matilde). Risponda, per favore.

Matilde                          - (mentendo). Ho fretta, devo andare dal dottore.

Alessandro                    -  Si può sapere che cosa ha?

Matilde                          -  Mal di pancia, sto male.

Miriam                           - (piano ad Alessandro mentre Matilde ri­sponde al telefono). Sai che è gelosa di tutto quello che diamo agli altri?

Matilde                          -  11 professore è occupato, sì, non può, ha detto che non può!

Alessandro                    - (s'alza irritatissimo e va al telefono). Salve, scusami, dimmi. Sì sì, d'accordo, la cosa più importante è l'indipendenza, ma no! Lo sviluppo economico è una questione secondaria, sì precisamente entro la cornice di questa diffi­cile situazione. La contraddizione? Certo, ne riparleremo. Per il momento ti lascio, devo lasciarti. Ciao, caro.

Lo Spagnolo                  -  Vado via subito, disturbo.

Alessandro                    - (distratto). Quanto volevi?

Lo Spagnolo                  -  Settemila. Per il mio compagno.

Alessandro                    -  Cosa deve fare?

Lo Spagnolo                  -  Fare un viaggio. Deve partire, gli mancano settemila.

Miriam                           -  Dove deve andare?

Alessandro                    -  Cosa risolve con settemila lire? Mi dicevi di abitare...

Miriam                           -  Dove è il suo amico?

Alessandro                    -  Hai cambiato recapito? Vuoi dirmi qualcosa di più?

Miriam                           -  L'amico è stato in prigione con lei? Perché?

Alessandro                    -  Raccontami...

Lo spagnolo bersagliato dalle domande gira la testa da una parte all'altra con crescente diffidenza e terrore. Rimane muto. Di colpo s'alza come se volesse fuggire. I coniugi gli chiedono scusa con lo sguardo per questo interrogatorio. Alessandro vede in lui se stesso nei propri abiti. Anche Mi­riam lo confonde con il marito e questo le impe­disce di continuare con le domande.

Alessandro                    -  Scusaci, forse ti abbiamo fatto troppe domande.

Lo Spagnolo                  -  Devo andare; lui mi aspetta qui sotto casa.

Miriam                           -  Perché non è salito con lei? Alessandro dà un'occhiata di rimprovero alla moglie.

Lo Spagnolo                  -  È un ragazzo coraggioso. Alessandro cava di tasca un biglietto da diecimila lire.

Lo Spagnolo                  -  Non ho il resto!

Miriam                           -  Cambio io, scendiamo insieme.

Lo Spagnolo                  -  (spaventato). No no, signora, vado io. (Intanto fruga nelle tasche).

Miriam                           - (insistente). Vengo con lei, così cono­scerò l'amico.

Alessandro                    -  Vengo io con te, andiamo?

Lo Spagnolo                  -  Il mio compagno è timido, orgo­glioso, soffre per questa vita umiliante.

 

Miriam                           -  Scendo e cambio, lei m'aspetti qui.

Alessandro                    -  Lascia stare.

Lo Spagnolo                  -  (sempre frugando nelle tasche). Ho io da cambiare! Ho dimenticato, tengo il resto che serve all'amico per partire.

Alessandro                    -  Tieni pure tutto e auguri al tuo compagno.

Lo Spagnolo                  -  (sollevato). Grazie. Vado adesso, arrivederci.

Alessandro                    -  Ti accompagno.

Lo Spagnolo                  -  (si volta spaventato). Devi uscire?

Alessandro                    -  No, ti accompagno alla porta.

Lo Spagnolo                  -  Non ho salutato tua moglie.

Alessandro                    -  Vai pure, la saluto io per te.

Appena si chiude la porta dietro lo Spagnolo, Mi­riam corre per seguirlo.

Alessandro                    - (ancora sulla porta). Dove vai?

Miriam                           -  Lo seguo.

Alessandro                    -  No!

Miriam                           -  Sì! Non mi fido. Perché non voleva che io scendessi con lui?

Alessandro                    -  Forse non c'era il compagno ad attenderlo, forse voleva tremila lire in più!

Miriam                           -  Forse forse forse!!! Non mi interessa il forse, tutto è forse!

I coniugi si avviano verso il soggiorno.

Miriam                           -  Forse esiste un al di là, forse scoppia una guerra mai vista e così avremo il vantaggio che le guerre piccole cesseranno. Si vive di sup­posizioni, d'illusioni, dubbi e ipotesi. Voglio almeno sapere chi è lui!

Alessandro                    -  E sapendolo cosa risolvi?

Miriam                           -  La sua autenticità mi darebbe fiducia per altri cinque anni. Io ho vissuto sempre così, a tappe, aggrappandomi a qualcosa di positivo. Fammi uscire!

Alessandro                    -  Non essere infantile.

Miriam                           -  Smetti di trattarmi come fossi una bambina!

Alessandro                    -  Non gridare.

Miriam                           -  Forse hai ragione, ti ho reso io pa­terno. Lasciami fare, non voglio la protezione.

Alessandro                    - (ride). Per l'età quasi quasi potrei essere tuo padre.

Miriam                           -  Non smontare la mia rabbia come il mio entusiasmo e le mie passioni. Che altro m'offri in cambio? Io non sono più io!

Alessandro                    -  L'equilibrio, una certa saggezza in tutto, e meno partecipazione.

Miriam                           -  E a che cosa servono queste qualità che possiamo chiamare anche indifferenza, di­stacco ?

Alessandro                    -  Vorrei lavorare.

Miriam                           - (imbronciata). Perché mi hai impedito di seguirlo?

Alessandro                    -  Anch'io voglio sapere la verità; però non a costo di seguire, pedinare un uomo come fossi un poliziotto, capisci?

Miriam                           -  Tu sopprimi l'istinto usando sempre la ragione.

Alessandro                    -  Per fortuna.

Miriam                           -  Oggi aveva gli occhi strani, forse aveva bevuto, forse si droga.

Alessandro                    -  E poi? Tutto questo può essere anche vero; in questo caso è doppiamente in­felice.

Miriam                           -  La prossima volta mi aiuti a scoprire la verità?

Alessandro                    -  Sì, certo; figurati se non torna! Aspettiamo. Adesso mettiti a lavorare anche tu, non ci pensare più.

Miriam                           -  Ho bisogno di te.

 

Alessandro                    -  Per che cosa?

Miriam                           -  Vorrei leggerti la poesia che ho già tradotto, non credo che vada bene. Miriam va a prendere il foglio dattiloscritto.

Alessandro                    -  È lunga?

Miriam                           -  È brevissima, senti. Il titolo è... « Alla grande Balena ». « Oh nostro Signore » oppure « Dio » c'è una virgola, « tremenda Balena ». La «b» dev'essere maiuscola?

Alessandro                    - (impaziente e distratto). Va avanti.

Miriam                           -  « Cosa sarà il nostro destino », ci sono due punti, poi «noi mille mondi?», ma credo che si può dire «che destino avremo?» oppure «che cosa ci riserva il destino?». «Noi dan­ziamo » balliamo o saltelliamo, quale è meglio?

Alessandro                    -  Non so... va avanti.

Miriam                           -  « Sulla tua grande schiena. Oh non muoverti, la tua schiena è scivolosa» o vi­scida?

Alessandro                    -  Non ho capito niente.

Miriam                           -  Non mi hai neanche ascoltata.

Alessandro                    -  Non mi sembra che valga la pena di tradurla.

Miriam                           -  È un grandissimo poeta!

Alessandro                    -  Anche i grandi scrivono delle cose

brutte.

Miriam                           -  È un poeta veramente grande, enorme!

Alessandro                    -  Lo so, lo so, però la scelta è troppo importante, non puoi tradurre qualsiasi cosa, devi dare il meglio di un poeta.

Miriam                           -  Non posso, le cose più belle sono lunghe e complicate.

Alessandro                    -  Tradurre è un lavoro lungo, fa­ticoso...

Miriam                           - (l'interrompe). Un lavoro che si fa per amore verso un poeta o la poesia, non porta né denaro né gratitudine, è così?

Alessandro                    -  Non ho detto questo. È un lavoro che richiede tempo e pazienza, tu hai sempre fretta. Adesso non posso dedicarti tempo, ho molto da fare.

Alessandro entra nel suo studio, si siede, mette i guanti, legge e prende appunti. Miriam si stende sul divano e guarda il soffitto in silenzio. Sono passati alcuni giorni. È una mattina di domenica. Miriam in camicia da notte e vestaglia sta pulendo a fondo l'appartamento. Ha appena finito di passare il sidol su alcuni oggetti di rame. Va al telefono. Chiama il 16 per sapere l'ora esatta. Carica il proprio orologio e va in cucina. Mette su il caffè. Prende la lucidatrice e la porta nel soggiorno. Attacca la spina e incomincia a lucidare il pavimento facendo un rumore infernale.

Alessandro                    - (gridando dalla stanza da letto). Non sopporto quella macchina infernale, a che serve la donna? Perché la teniamo se ogni do­menica ti metti a fare le grandi pulizie? Sembri mia madre! Che ora è?

Miriam                           -  Sono le undici!

Alessandro                    -  Ti dispiace scendere per i giornali?

Miriam                           -  Sono in camicia da notte. Vuoi il caffè o il tè?

Alessandro                    -  Tè.

Miriam                           -  Il caffè è pronto.

Alessandro                    -  Allora portami il caffè e non chie­dermi cosa preferisco.

Miriam                           -  Ti faccio il tè.

Alessandro                    -  No, va bene il caffè, devo sve­gliarmi.

Miriam                           -  Dico alla portiera di prendere i gior­nali?

Alessandro                    -  Sbaglia sempre. Mi alzo, andrò io.

Miriam riporta la lucidatrice in cucina. Prepara la colazione per  Alessandro.  

Alessandro                    -  Non portarmela qua, smetti di lucidare e vengo nel soggiorno.

Miriam                           -  Ho già smesso.

Un lungo suono di campanello fa trasalire ambedue.

Alessandro                    -  Chi sarà? Proprio oggi?

Miriam                           -  Non so.

Alessandro                    - (esce, grida e va ad aprire in pi­giama). Ma è mai possibile un giorno di pace! Io me ne vado, mi ritiro in un eremo, cambio casa. Pettinati tu e stacca almeno il telefono!

Miriam                           -  Io non ci sono.

Alessandro                    -  Sta tranquilla, lo liquido anche se è il padreterno!

Miriam s'avvicina all'ingresso per scoprire chi è l'ospite inatteso.

Alessandro                    - (aprendo). Ah sei tu? Di nuovo qui? Cosa è successo? (Alla moglie) È il nostro amico spagnolo! Entra entra, non siamo molto presentabili, oggi è domenica, c'è più calma, è l'unico giorno in cui mi permetto di dormire un po' di più. Questa casa è rumorosa.

Miriam si infila una vestaglia.

Lo Spagnolo                  -  Disturbo, è giorno di riposo.

Alessandro                    -  Per mia moglie è giorno di grandi pulizie, per me è un giorno qualsiasi, devo lavorare.

Lo Spagnolo si siede accanto ad Alessandro sul divano. Miriam s'abbottona in fretta la vestaglia.

Alessandro                    - (alla moglie). Porta un'altra tazza. Miriam esce ed entra con un'altra tazza. Versa il caffè.

Lo Spagnolo                  -  Parto.

Alessandro                    -  Per dove?

Lo Spagnolo                  -  Per la Spagna. Devo; hanno arre­stato mio fratello, voglio rivedere mia moglie, i miei figli. Parto domani.

Alessandro                    -  E se ti prendono?

Lo Spagnolo                  -  (agitato). Sono venuto per salu­tarvi, ringraziarvi e... per...

Alessandro                    -  Sei sicuro di far bene? Non so cosa dirti, cosa consigliarti.

Lo Spagnolo                  -  Mi mancano i soldi per il viaggio. Ho deciso, parto. Vado alla frontiera con la Francia, poi si vedrà. Mio povero fratello...

Lo Spagnolo nasconde il viso tra le mani. Miriam e Alessandro si guardano. Si chiedono con gesti e sguardi come fare, come agire, come poter sapere la verità. Miriam fa segno ad Ales­sandro d'avvicinarsi e magari sentire l'alito per scoprire se ha bevuto o no. L'uomo è lì, con la testa fra le mani. Dopo un po' scopre il viso pallido, si tormenta le mani. Alla coppia manca di nuovo il coraggio di interrogarlo e la loro espressione oscilla tra la pietà, la fiducia, il sospetto.

11 penoso silenzio viene interrotto dallo Spagnolo che ha fretta di sapere se daranno i soldi neces­sari o no.

Lo Spagnolo                  -  Ancora sono qui, non sapevo dove andare.

L'uomo abbassa la testa e Miriam ne approfitta per indurre il marito con gesti e sguardi a farlo parlare. L'atmosfera è penosa, comica. La scena è domi­nata da un silenzio che sembra interminabile. Alessandro dà uno sguardo all'orologio di  Miriam.

Alessandro                    -  Scusate, è tardi, le edicole tra poco chiudono. Io devo scendere per i giornali.

Lo Spagnolo                  -  Cosa leggi? Te li prendo io!

Alessandro                    -  No, caro, scendo io, ti ringrazio.

 

Miriam                           -  Resta qui con noi a mangiare?

Alessandro                    - (mentendo). Hai dimenticato? Sia­mo fuori, in famiglia. Preparati anche tu. (Allo Spagnolo) Scusa, eh? Sarà per un'altra volta.

Lo Spagnolo                  -  Parto.

Alessandro                    -  Già...

Miriam capisce che il marito rinuncia a sapere e preferisce che l'ospite se ne vada al più presto; questo è anche il desiderio dello Spagnolo.

Alessandro                    -  Sei proprio deciso?

Lo Spagnolo                  -  Devo partire, solo tu puoi aiu­tarmi.

Alessandro                    -  In che cosa?

Lo Spagnolo                  -  Il viaggio costa diciottomila.

Alessandro                    -  Diciottomila; già... hai bisogno di soldi, non sono un ricco.

Lo Spagnolo                  -  (spaventato). Me ne andrei anche a piedi. Sono venuto anche per salutarvi. Eccovi il mio nome e l'indirizzo. (Tira fuori un biglietto che Miriam s'affretta a prendere).

Miriam                           -  Finalmente sappiamo il suo nome!

Lo Spagnolo                  -  (con sospetto). Non sapevate?

Miriam                           -  No, nemmeno questo.

Alessandro                    -  Vado a prenderti i soldi, spero di averne! (Esce).

Miriam                           -  Con quale treno parte?

Rientra Alessandro e gli dà subito due biglietti da diecimila.

Alessandro                    -  Più di questo non posso darti, mi spiace. Non vorrei che tu facessi un passo sba­gliato con questi soldi.

Lo Spagnolo                  -  Parto domani sera.

Miriam                           -  Quale confine?

Lo Spagnolo                  -  Il più vicino, dove ho molti amici.

Alessandro sempre in pigiama fa segno alla moglie di lasciarlo andare. Lo Spagnolo di colpo s'alza e va ad abbracciare Alessandro che sorpreso perde l'equilibrio e sta per cadere all’indietro anche perché riservato come è indietreggia per difendersi. È commosso e per questo cerca di liberarsi dal lungo abbraccio.

Lo Spagnolo                  -  Posso baciare tua moglie? Mi

permetti ?

Alessandro                    -  Certo, certo.

L'uomo con lo stesso slancio abbraccia Miriam e le dà un bacio interminabile.

Alessandro                    - (tocca le spalle dell'uomo). An­diamo? Eh, andiamo?

Lo Spagnolo                  -  (staccandosi da Miriam). Scusa... scusa...

Alessandro                    - (gli dà la mano). Cosa devo augu­rarti? Coraggio, ti accompagno.

/ due uomini vanno verso il corridoio. Miriam è rimasta immobile dopo il lungo bacio. Si scuote solo al rumore quando il marito chiude la porta dietro l'ospite. Alessandro rientra nel soggiorno.

Alessandro                    -  È fatta! Chiuso, non ci pensiamo più!

Miriam                           -  Invece ci penso; non è chiuso niente! Questa storia mi fa impazzire!

Alessandro                    -  Questa è la prova che è difficile sapere la verità anche in un caso come questo.

Miriam                           - . Io non voglio questa prova!

Alessandro                    -  Ho tentato il possibile, non si può forzare un uomo se non vuol parlare. Ti ho già detto che non sono un poliziotto.

Miriam                           -  Non abbiamo chiesto niente. Uno che vuol sapere la verità non si comporta come noi. E se tu sapessi che ci ha ingannati fin dall'inizio?

Alessandro                    -  Non cambierebbe niente.

Miriam                           -  Io mi sarei comportata diversamente.

 

Alessandro                    -  No cara, esattamente così, su questo non ho dubbi. Ora fammi scendere per i giornali. (Va a prendere i pantaloni e rientra).

Miriam                           -  Non mi importa niente dei giornali! È da quando hai aperto gli occhi che non pensi ad altro! È un'ossessione quotidiana, la nevrosi dell'informazione. Dovevamo pretendere che parlasse!

Alessandro                    - (sta mettendosi i pantaloni). Con quale diritto? Per quelle due lire che gli ab­biamo dato? Ti rendi conto cosa stai dicendo?

Miriam                           -  Non è questione di soldi, lo sai bene; anche tu volevi sapere.

Alessandro                    - (esce e ritorna con una maglia). A momenti, sì, mi hai trasmesso l'angoscia, però per me non era un problema essenziale. (Si mette la maglia più volte a rovescio) Solo ha ria­cutizzato in me un certo senso di colpa per...

Miriam                           -  Cosa hai da rimproverarti?

Alessandro                    -  E tu?

Miriam                           -  Ho le tue stesse colpe, se di colpa si può parlare. Uno è sempre in tempo però per lottare, per esporsi.

Alessandro                    -  Oggi è diverso, quel poco che si fa non è che ci costi molto. La politica è un mestiere tutt'altro che allettante; l'esperienza, gli anni aprono gli occhi...

Miriam                           -  E poi? Cosa avviene? La rassegna­zione ?

Alessandro                    -  Soprattutto stanchezza, ama­rezza e...

Miriam                           -  E le preoccupazioni per le nostre pic­cole o grandi malattie vere, immaginarie. La corsa al benessere, l'analisi continua del nostro sfacelo fisico, terrore della morte, della vecchiaia.

Alessandro                    -  Certe cose si raggiungono troppo tardi nella vita. Anche morire si dovrebbe da giovane.

Miriam                           -  Voglio sapere la verità.

Alessandro                    -  Preparami il bagno, torno subito.

Miriam                           -  Ho un'idea! Chiederò informazioni al mio amico poliziotto.

Alessandro                    -  Cosa?

Miriam                           -  Sì, quello dell'ufficio stranieri, lui deve sapere!

Alessandro                    - (indignato). Non bestemmiare.

Miriam                           -  Perché no?

Alessandro                    -  Perché è assurdo!

Miriam                           -  Perché lo è? Io ho fiducia in lui, è onesto, gentile.

Alessandro                    -  Un poliziotto!

Miriam                           -  Sì, un poliziotto, perché? Lui non è un essere umano? Non è figlio di mamma e papà?

Alessandro                    -  È un poliziotto!

Miriam                           -  E con ciò? Tra di loro non esistono buoni e cattivi, onesti e corrotti? Perché questa discriminazione, perché quest'avversione per principio?

Alessandro                    -  Uno della questura! Fare il poli­ziotto non è un errore, è una vocazione! Una scelta.

Miriam                           -  No, un uomo può anche fare un lavoro sbagliato, però sempre è un uomo! Detestare i poliziotti in massa è un errore come disprezzare i militari, o i negri, o gli ebrei.

Alessandro                    -  Non confondiamo le cose, ti prego.

Miriam                           -  Non sono d'accordo, questa volta non mi convinci. Molta gente entra nella polizia per forza maggiore: come la povertà. È uno dei tanti problemi sociali, come fare la suora o il prete: non è sempre la vocazione che li spinge o una libera scelta; il più delle volte la necessità, la famiglia, l'ignoranza. La colpa è della società che non offre di meglio.

Alessandro                    -  Discutere è inutile, devo scendere.

Miriam                           -  Non guardarmi così, non ho intenzione di denunciare nessuno e non sto elogiando la polizia!

Alessandro                    -  Mi sembra che lo stai facendo.

Miriam                           -  Sei in malafede e questo mi dispiace (quasi piangendo) davvero.

Alessandro                    - (sì avvicina alla moglie). Non te la prendere, ne riparleremo, d'accordo? Mi fai scendere? Prendo i giornali.

Miriam                           -  Cosa mangi?

Alessandro                    - (la bacia). Piangi? Ma perché, te­soro, vuoi spiegarti? Forse non ti capisco, non so quello che vuoi dire.

Miriam                           -  Non voglio che tu approvi la mia idea per debolezza. Devi essere convinto anche tu che il mio amico poliziotto non è un mostro.

Alessandro                    -  Ma non voglio avere niente a che fare.

Miriam                           -  Perché pretendi da loro di comportarsi umanamente se noi tutti li guardiamo come fos­sero dei cani rabbiosi e sempre pronti ad arre­stare innocenti?

Alessandro                    -  Prova, vai, prova! risponderanno con il manganello!

Miriam                           -  Non tutti! (Piange di rabbia).

Alessandro                    -  Piangi! Non ti capisco, non chie­dermi più niente. Fai quello che vuoi, non sarò io a impedirtelo.

Miriam                           - (contenta). Posso?

Alessandro                    -  Vuoi il mio permesso? Sei adulta e indipendente. Devo comprare qualcosa? Miriam. No, niente.

Alessandro                    -  Ti porto dei cioccolatini?

Miriam                           -  No, fanno male, ingrassano.

Alessandro                    -  Solo oggi. Te li prendo?

Miriam                           -  Perché oggi? Perché è domenica? Se credessi avrei il sabato da festeggiare.

Alessandro                    -  Meglio che scenda; fra poco dirai che voglio convertirti a una religione che non ho. (Esce).

Ritroviamo Miriam nel soggiorno in compagnia di un uomo che può avere trentacinque anni. Indossa un abito di lana leggera principe di Galles, scarpe a punta, camicia e cravatta. Ha un viso quadrato, lineamenti regolari, capelli folti e ondulati. L’uomo è in piedi. Sta guardando la libreria, l’arredamento.

Matilde smette di canticchiare in cucina. Miriam s'avvicina all'ospite.

Miriam                           -  Scusa, Andrea, torno subito. Andrea. Tuo marito è fuori?

Miriam                           -  Gli dispiaceva di non vederti. Andrea. Anche a me, volevo conoscerlo.

Miriam                           -  Anche lui voleva conoscerti, t'assicuro. (Esce).

Miriam è in cucina. Matilde intanto ha acceso la radiolina e sta cercando un programma di suo gradimento.

Matilde                          -  E quello chi è?

Miriam                           -  Un poliziotto.

Matilde                          - (spaventata). E perché è venuto? Cosa vuole? L'ha chiamato lei, signora? Forse le manca qualcosa?

Miriam                           -  È un mio amico.

Matilde                          - (sorpresa e spaventata chiude anche la radiolina). Lei porta in casa tutti quanti. Il pro­fessore lo sa?

Miriam                           -  No, non lo sa che è qui, però sa che è un mio amico.

Matilde                          -  Mah, sarà così...

 

Miriam                           -  Ci prepari un buon caffè con biscotti...

Matilde                          -  Non vengo di là, viene lei a pren­dere qui.

Miriam                           -  Perché? Cosa ha fatto per avere tanta paura di un poliziotto?

Matilde                          -  Io? Niente. Non ho fatto niente e da allora non ho toccato neanche uno spillo; loro sono delle carogne. Quello non sembra neanche un poliziotto.

Miriam                           -  E che aspetto devono avere i poliziotti? Cosa hanno di tanto diverso da noi?

Matilde                          -  Che ne so io? Però si riconoscono.

Miriam                           -  Voglio presentarla.

Matilde                          -  No signora, per carità, mi ha già vista quando gli ho aperto la porta.

Miriam                           -  E con ciò?

Matilde                          -  Niente, ha sorriso. Devo dire che ha una bella dentiera.

Miriam                           -  Sono suoi! Vado di là.

Matilde                          -  Il caffè è pronto. Miriam si volta e se ne va. Andrea. Quanti libri...

Miriam                           -  Servono per il nostro lavoro.

Andrea                          -  Costano troppo; che problemi con i libri scolastici dei miei ragazzi.

Miriam                           -  Quanti ne hai?

Andrea                          -  Tre, una femmina e due maschi. Ti ho portato delle fotografie, sono a colori. (Cava di tasca una specie di minialbum di plastica e lo dà a Miriam).

Miriam                           -  Belli! E questa signora?

Andrea                          -  È la mia, un po' sfatta con i figli.

Era bella...

Miriam                           -  È bella ancora.

Andrea                          -  No... non è più tanto giovane.

Miriam                           -  Più di me!

Andrea                          -  Tu sei una ragazzina. Mia moglie ha avuto una vita di fatica e di preoccupazioni.

Miriam                           -  Anch'io, e mio marito.

Andrea                          -  Be', scrivere o leggere è un lavoro diverso.

Miriam                           - (gridando verso la cucina). Matilde, ci porti il caffè per piacere!

Segue un lungo silenzio.

Andrea                          -  Non dovevi disturbarti.

Miriam                           - (energica). Porti il caffè!

Andrea la guarda un po' sorpreso.

Miriam                           -  È un po' debole d'udito, le voci maschili

le sente di più. Chiamala tu.

Andrea                          -  Io?

Miriam                           -  Fammi il piacere, ti prego.

Andrea                          - (ridendo). Matilde!

Matilde                          -  Sì! Subito.

Entra Matilde con il vassoio, a testa bassa.

Miriam                           -  Matilde, voglio presentarle il signor Gotti.

Andrea s'alza e tende la mano a Matilde.

Andrea                          -  Piacere!

Matilde si pulisce le mani nel grembiule prima di tendere la destra, debolmente, rimanendo muta e con lo sguardo altrove.

Miriam                           -  Grazie, Matilde!

Andrea                          - (a voce alta per l’udito). Grazie, molto gentile!

Matilde esce un po' terrorizzata delle voci di Andrea e  Miriam.

Andrea                          -  Così giovane e già sorda... Come fai a tenerla?

Miriam                           -  È pulita, ruba meno delle altre.

 

Andrea                          -  Ruba?

Miriam                           -  A volte, anche le sigarette straniere.

Andrea                          -  E la tieni ?

Miriam                           -  Perché no? Ah già, ho le sigarette anche per te.

Andrea                          -  Lascia stare.

Miriam apre un cassetto e prende una stecca di sigarette americane.

Andrea                          -  Sempre dell'ambasciata?

Miriam                           -  Questa volta no.

Andrea                          -  Tu viaggi molto.

Miriam                           -  Per queste sono andata solo fino a via della Croce!

Andrea                          -  Non le accetto, grazie.

Miriam                           -  Sei un amico o un poliziotto?

Andrea                          -  Siamo amici.

Miriam                           -  Appunto, è un regalino insignificante.

Andrea                          -  D'accordo. Che fai adesso? Lavori an­cora in quel posto?

Miriam                           -  Lavoro in casa, sto traducendo dall'un­gherese.

Andrea                          - (sente sbattere la porta). Chi è venuto?

Miriam                           -  Nessuno, è la donna che se ne è andata.

Andrea                          -  Senza salutare?

Miriam                           -  Come sempre. Vuoi sentire una poesia che ho tradotto?

Andrea                          -  Mi leggi davvero?

Miriam va alla scrivania e prende le pagine dat­tiloscritte.

Miriam                           -  Mi dirai se ti piace o no.

Andrea                          -  Io?

Miriam                           -  Sì, perché no?

Miriam rimane in piedi e legge la poesia:

PALMA VOCIFERANTE

Miriam                           -  Su di una palma che vocifera prenderei posto volentieri io, che ho un'anima celeste rannicchiata dentro un corpo d'argilla che trema. Vorrei sedere sull'albero di palma in un cerchio di scimmie erudite e lascerei che piovesse addosso come un lucido acquazzone quel berciare acuto ; imparerei le loro nenie le canteremmo in coro trasecolando divertito che il blu del naso e del deretano siano tutt'uno. Sopra le palme invase raggerebbe un sole immenso, mentre io sento la vergogna di far parte della razza umana; mi capirebbero le scimmie      - reattivamente ancora sane, forse se si vivesse assieme a me pure toccherebbe in sorte la clemenza della buona morte.

Andrea rimane in silenzio.

Miriam                           -  Ti piace?

Andrea                          -  Non so giudicare una poesia straniera, mi sembra una non so...

Miriam                           -  L'ha scritta un poèta ucciso dai fascisti.

Andrea                          -  Perché?

Miriam                           -  Perché era ebreo.

Andrea                          -  Da noi ce ne sono ancora di quelli.

Miriam                           -  Ebrei nella polizia?

Andrea                          -  No, fascisti, anche al ministero.

Miriam                           -  Era fascista quello con baffi che anni fa lavorava nella tua stanza?

Andrea                          -  Era un meridionale.

Miriam                           -  Ma fascista?

Andrea                          -  Meridionale. Devo andare adesso.

Miriam                           - (gli dà un biglietto con il nome dello Spagnolo). Telefonami quando saprai qualcosa.

Andrea                          -  Hai un giornale (Prende la stecca delle sigarette).

Miriam                           -  Certo, te la incarto. (Prende un pezzo di carta da un cassetto).

Andrea                          -  Tuo marito non è geloso?

Miriam                           -  Di chi?

Andrea                          -  Anche di me, siamo qui soli...

Miriam                           -  Non c'è ragione, ti accompagno. Scu­sami se te lo chiedo; è una mia semplice cu­riosità.

Andrea                          -  Posso telefonarti?

Miriam                           -  Certo, quando vuoi.

Andrea                          -  Quando saprò qualcosa.

Miriam                           -  Grazie. (Stanno uscendo).

Andrea                          -  Perché ti interessa quest'uomo?

Miriam                           -  Per una ragione banale.

Andrea                          -  Ti piace?

Miriam                           - (ride). Non possono esserci altre ra­gioni ?

Andrea                          -  Sei una donna piacente.

Miriam                           -  Grazie; ciao,

Andrea                          -  

Andrea                          -  Arrivederci. La tua poesia era bella.

Miriam                           -  Mia? Magari! Ciao, ciao.

È mattino. Alessandro si sta vestendo con molta fretta. Matilde gli porta nella stanza da letto le scarpe pulite. Miriam è stesa sul letto.

Matilde                          -  Professore, sa che ieri pomeriggio è

venuto un poliziotto?

Alessandro                    -  Cosa?

Matilde                          -  È un amico della signora.

Miriam                           -  Non era un uomo uguale a tanti altri? Dica la verità, Matilde.

Alessandro                    -  Non potevi fare a meno?

Miriam                           -  No, mi telefonerà. T'assicuro che è molto gentile, gli piacciono anche le poesie.

Alessandro                    - (si sta spazzolando i capelli). Questa è una notizia davvero consolante.

Matilde                          -  Se devo dire la verità non sembrava un poliziotto.

Miriam                           -  Era antipatico?

Matilde                          -  Io non l'ho guardato bene, ho aperto la porta, lui mi ha detto buongiorno, mi ha sorriso con la dentiera, la signora dice che sono suoi.

Alessandro                    - (si siede sull'orlo del letto). Ti chiama per dire che cosa? Non potevi aspettare?

Miriam                           -  Mi dirà quello che sa.

Alessandro                    -  È una follia.

Miriam                           -  Ti saluta.

Alessandro                    -  Che onore! Corri, suona il tele­fono, forse,.è lui; è uno zelante!

Miriam va nel soggiorno per rispondere al tele­fono. Alessandro rimane nella stanza da letto.

Miriam                           -  Sono io, sì, ti ascolto... No, non è pos­sibile. Come? Cosa dici? No, è assurdo, non ci credo, è impossibile!... E la ragione? La ra­gione! No, non ti credo, devi sapere.

Entra anche Alessandro nel soggiorno. Vede che la moglie è pallida, sta tremando.

 

Alessandro                    -  Chi è? Cosa c4è?

Miriam                           - (sempre al telefono). Una sciocchezza? E come lo sai se non sai? Come faccio a cre­derti?... Va bene, va bene... (Chiude il telefono).

Alessandro                    -  Dimmi.

Miriam                           - (s'appoggia al marito, senza forze). L'hanno arrestato.

Alessandro                    -  Il tuo poliziotto!

Miriam                           -  Lui non c'entra, non sa niente, non sa neanche il perché.

Alessandro                    -  Su di lui non hai dubbi? Gli credi?

Miriam                           -  Non so più niente... non capisco... non credo in niente... Mi richiamerà.

Alessandro                    - (più tenero). Certo... certo...

Miriam                           -  Certo, che cosa è certo? Niente, solo il dubbio su tutto e tutti... Però ho bisogno di... credere di...

In quel momento Matilde accende la radio in cucina. Trasmettono una canzone di successo. La voce della cantante riempie tutta la casa, copre l’ultima battuta di Miriam come i rumori delle macchine che passano, i clacson impazziti per un ingorgo. La coppia tenta ancora di parlare però non si sentono altro che i rumori esterni e la canzone, mentre cala il sipario.

FINE